GUIDO DA STAGGIA, O.S.A. (+1289)
SECONDO PRIORE GENERALE DELL'ORDINE AGOSTINIANO
E PATRIARCA DI GRADO
di T. ZAZZERI
da ANALECTA AUGUSTINIANA, XLV (1982), pp. 117-181.
PRELUDIO
Frate Guido da Staggia, 2° Priore Generale dell'Ordine degli Eremiti di S. Agostino dopo la grande unione del 1256, è uno di quei soggetti che hanno avuto la sfortuna di vivere troppo presto, quando cioè l'Ordine Agostiniano unito non aveva ancora fatto le ossa e aveva da affrontare ben altri problemi che registrare in pergamene e codici la propria storia. In conseguenza di ciò poche notizie si hanno di lui, e perfino deformate al punto di aver creato due personaggi.
Primo: GUIDO DA STAGGIA, gratificato dei cognomi di Antoniani o Grazzini o Franzesi, secondo i gusti. Costui esce dal nulla, diventa Generale dell'Ordine intorno al 1265, va a morire a Bologna - secondo i gusti - nel 1268, 1269, 1270, 1271.
Secondo: GUIDO DA BOLOGNA, gratificato del cognome Salani. Questo esce dal nulla, vien mandato in Germania dal primo Generale, Lanfranco Settàla di Milano, a organizzare le comunità e la Provincia Tedesca, in base alle norme della grande unione, ecc. Poi scompare dalla scena, per ricomparire intorno agli anni 1279-82 come Patriarca di Grado, dove sarebbe morto - secondo i gusti - nel 1282, 1284, 1288.
Questi due personaggi son vissuti nelle pagine dei nostri storici in assoluta separazione fino al nostro secolo. Un esempio ormai classico ce l'offre il "Bollettino Storico Agostiniano" di Firenze: "1265-1269. Ven. P. GUIDO DA STAGIO - Veniva dalla Congregazione Toscana. Era nato nel castello di Stagio, Provincia di Siena, ed aveva professato nel nostro Romitorio di S. Antonio non lungi da Siena, da dove era passato al Convento di Lecceto, culla gloriosa d'un numero grande di Santi. Nel 1251 era Priore del nostro Romitono di Villabona. Fu eletto Generale di tutto l'Ordine nel 2° Capitolo celebrato, come il primo, in S. Maria del Popolo in Roma. Piissimo, prudente, forte, consolidò e diede ancora maggiore incremento alla grande opera di organizzazione così felicemente iniziata dal suo predecessore. Morì in Bologna, dove ebbe ononifica sepoltura, nel 1269. Dai nostri storici è chiamato Beato" (Bollettino Storico Agostiniano, Firenze, a. II, n. 2 (gennaio 1926), p. 47).
Per il Guido Salani non ho trovato nel Bollettino Storico Ag.no se non una fugace citazione; così, per avere un medaglione simile al precedente, devo indietreggiare fino al Lanteri: "FRATER GUIDO SALANI, Bononiensis, vir Augustinianae Religionis zelo, pietatisque operibus clarus, in Germaniam a Gen. Lanfranco Septala missus ut illa coenobia unito Ordini aggregaret, hanc provinciam optime gessit, magno utique Eremitanae Familiae incremento. Capellanus fuit Petri diaconi Card. S. Georgii, et a Nicolao III die 25 maii 1279 creatur Patriarcha Ecclesiae Gradensis in eiusdem nominis insula Venetae ditionis. Rexit usque ad annum 1288, quo illius terrestris huius habitationis domus dissoluta fuit" (J. LANTERI, Eremi Sacrae Augustinianae Pars Prima (epitome dei vescovi O.S.A. italiani ed esteri in Italia), Roma 1874, pp. 87-88).
Come si vede, i due medaglioni si ignorano a vicenda, non solo per la distanza cronologica di stesura, ma s'ignorano nel contenuto. Due soli punti in comune: il nome "Guido" e la città di Bologna, dove uno muore e l'altro nasce. Ma proprio da qui vien la spinta a questo modesto lavoro che vuol servire a rimettere ordine fra tante notizie distratte e distorte; a risvegliare a favore di Frate Guido da Staggia una migliore attenzione degli studiosi della nostra storia. Per questo ho raccolto e discusso ciò che mi è stato possibile raccogliere di quanto è stato più recentemente pubblicato in materia, con l'apporto anche di qualche novità, frutto della mia ricerca.
- I -
FRATE GUIDO DA STAGGIA PRIMA DEL 1262
Per cominciare la trattazione prendo a filo conduttore il medaglione già mutuato dal Bollettino Storico Agostiniano. Il nome "Guido" è un nome come un altro e non presenta problemi; semmai vedremo a suo luogo il problema della identificazione di Guido da Staggia con altri Guido che s'incontrano in quell'epoca. Quello che meraviglia un po' è quel "da Stagio" in un testo italiano, scritto nel ventesimo secolo da un autore toscanissimo quale fu il compianto P. Stanislao Bellandi, dopo che lo stesso Torelli - tre secoli prima e a Bologna - aveva usato la grafia moderna e ufficiale: STAGGIA. Questo toponimo unito al nome Guido indica con molta probabilità il luogo di nascita; ma non esiste un certificato di nascita o di Battesimo al riguardo: il nostro Guido potrebbe anche essere nato altrove ed aver presa poi quella denominazione per indicare l'eremo in cui si dedicò a Dio. Questo eremo lo conosciamo con altri nomi, ma era nel comune di Staggia: "Actum in ecclesia S. Antonii de Silva Maiore, O. S. Augustini, Comunis Staggie" (Chartularium Conv. S. Aug. S. Geminiani, doc. LXIV, in Analecta Aug.na, XII (1927-28), p. 333).
E qui comincia la danza dei toponimi e della confusione di cui son rimasti vittime diversi autori. Ecco:
Eremus S. Antonii de Silva Maiore,
Eremo di S. Antonio di Selvamaggio,
Eremus S. Antonii de Nemore,
Eremo di S. Antonio al Bosco,
Eremo di S. Antonio dei Confini,
Eremo di S. Antonio dei Laghi Ambrosiani,
Eremus S. Antonii Silvae vel Lacus Viridis,
Romitorio di S. Antonio non lungi da Siena.
Sarebbe prolisso elencare tutte le fonti che hanno usato l'una o l'altra, o più d'una, di queste denominazioni. Piuttosto è da rilevare che il termine "Silva Maior", quando non è stato accompagnato dal titolare "S. Antonio", ha fatto confondere quest'eremo con i due che sono nella Selva del Lago: Lecceto e S. Leonardo.
Il Torelli (Secoli Agostiniani, IV, Bologna 1675, p. 457) nel commento al Capitolo Generale di Cascina (1250, per lui 1251) arriva a proporre l'identificazione di "Silva Maior" con S. Maria in Selva, dove mi trovo a scrivere, che si è sempre chiamato "S. Maria" e mai "S. Antonio" e che nel 1250 non esisteva ancora. L'indicazione "dei Confini" è stata usata da chi ha voluto dare risalto al fatto che l'eremo di S. Antonio si trovava sul confine fra le due repubbliche di Firenze e di Siena; e anche ecclesiasticamente era quasi sul confine della diocesi di Volterra - entro cui si trovava - con Firenze e Siena al nord e con Fiesole e Siena a est. L'appellativo "dei Laghi Ambrosiani" si appoggia al fatto che presso l'eremo si trovavano tre specchi d'acqua di origine palustre; due di essi sussistono tuttoggi, anche se uno è poco più di una grande vasca. L'aggettivo "ambrosiani" ha riferimento nell'antica leggenda secondo la quale S. Ambrogio vescovo di Milano, recandosi una volta "ad limina Petri", dovette sostare presso una locanda o posta, situata sul suolo occupato oggi dal maggiore dei laghetti. Avendo ricevuta cattiva ospitalità dai gestori che erano infedeli, il Santo, al momento di ripartire, predisse sventura a quella locanda; e quando egli si fu allontanato di lì, la locanda e gli edifici dipendenti e poco distanti sprofondarono nel sottosuolo, e le voragini aperte si riempirono subito d'acqua, dando origine ai laghetti. E' una leggenda, d'accordo; ma l'appellativo "dei Laghi Ambrosiani" che ne è derivato ha generato a sua volta un errore geografico macroscopico in quell'autore che in Analecta Augustiniana (V, 1913-1914, p. 401-402) ha pubblicato a puntate il "Summarium" delle bolle pontificie raccolte in copie, per ordine del Generale P. Agostino Gioia, nell'Archivio Gen. dell'Ordine. Ecco: "Sixtus IV (8 novembris 1483). Confirmavit concessionem factam a Priore Generali Ambrosio Corano Congregationi Illicetanae, eique iubet, ut recipiat concessum conventum S. Antonii Lacus Viridis, vel Buschi Ambrosiani, extra muros Mediolanenses". Dall'eremo del Bosco a Milano, percorrendo la superstrada Siena-Firenze e l'autostrada del Sole, si ha una distanza di oltre 350 chilometri. Tutta colpa di S. Ambrogio! "Lago Verde": o per il muschio che si forma sulla superficie dell'acqua stagnante, o per gli alberi della selva attorno che si specchiavano nell'acqua. Anche il P. T. de Herrera (Alphabetum Augustinianum, Madrid 1644, I, p. 67; II, p. 423) commette un errore di identificazione, ma a causa del titolare "S. Antonio". Gli eremi dell'O.E.S.A. di Tuscia fra i 61 del Capitolo Gen. di Cascina - che avevano per titolare (da solo o accoppiato con altro) S. Antonio Abate, erano almeno cinque; e l'Herrera confonde il nostro con l'eremo dell'Ardinghesca, in diocesi di Grosseto; ma poi si ricrede facendo l'eguaglianza: Silvae Maioris S. Antonii de Nemore. Infine è equivoca l'indicazione data dal Bollettino Storico Ag.no: "Romitorio di S. Antonio non lungi da Siena", perché, sia pure su altra strada, era equidistante da Siena (e forse più vicino) l'eremo di Rosia. Questo aveva per titolari accoppiati S. Antonio Abate e S. Lucia V. M.; sicché nei documenti si trovano i due titolari insieme, o l'uno o l'altro da soli. Leggendo lo "Spoglio B 54" dell'Arch. di Stato di Siena, s'incontra più volte: "Romitorio di S. Antonio nella Valle di Rosia", che è poi il medesimo da altri chiamato "Eremo di S. Lucia a Rosia". Ed era anche questo in dioc. di Volterra come S. Antonio al Bosco. Ricapitoliamo. L'eremo, che la tradizione costante dice essere stato la prima dimora religiosa del nostro frate Guido da Staggia, era quello di S. Antonio al Bosco, il quale si trovava allora nello stato di Siena, ma sul confine con quello di Firenze, nel territorio comunale di Staggia, in diocesi di Volterra. Oggi questa è la situazione: Staggia e il suo territorio sono frazione del comune di Poggibonsi, in provincia di Siena e in diocesi di Colle Valdelsa. Gli avanzi dell'eremo (casa colonica) si trovano stretti fra la superstrada Firenze-Siena e la vecchia strada Colle-Monteriggioni. Oggi vi si trova presso una più recente chiesa parrocchiale che ha, però, lo stesso titolo: S. Antonio al Bosco. La notizia che frate Guido da Staggia sia passato in un secondo tempo dal "Bosco" al "Lecceto" appare come una creazione di autore ignoto, riferita dall'Herrera e respinta dal Landucci, anche se poi quest'ultimo se ne serve e per riempire un po' il vuoto biografico di Frate Guido da Staggia e per dare maggior lustro all'eremo della Selva del Lago, allungando la lista dei Leccetani illustri. Ma non esiste alcuna prova né un solo indizio della dimora di frate Guido a Lecceto (Alphabetum cit., I, p. 279; A. LANDUCCI, Sacra Leccetana Selva, Roma 1657, p. 147). Ancor meno attendibile è l'affermazione che frate Guido da Staggia nel 1251 fosse priore dell'eremo di Villabona; affermazione che il Bollettino Storico Ag.no prende dal Torelli, ma io ignoro se il Torelli l'abbia recepita da altro autore. Comunque la notizia, così com'è data, tradisce l'allusione al documento capitolare di Cascina (TORELLI cit., IV, p. 453ss) in cui fra 61 rappresentanti di 61 eremi si trova al 7° posto il nominativo "Guidonis prioris de Valle Bona de Carfagnana". Al riguardo, già il P. F. Roth (Die Augustiner-Generale des 13. Jahrhunderts, in Cor Unum, Würzburg 1951, p. 18) faceva notare che nella stessa lista si trova anche un "fratris Guidonis Vallis Perlate"; e io aggiungo che l'eremo della Valle di Perlata (54° della lista) era fra il Lago di Bolsena, Montefiascone e Tuscania. Come si vede, rispetto a Staggia, Perlata era al polo opposto della Garfagnana e - in totale assenza di documenti pro o contro - niente vieterebbe di pensare che il nostro Guido si identificasse con quello di Perlata e non con quello di Valle Bona. E attenti alla differenza toponomastica! Valle Bona non è Villabona. Ambedue le località sono riscontrabili a nord di Lucca. Ma l'eremo in questione si trovava in Valle Bona, nel comune di Castelnuovo Garfagnana; mentre Villabona è molto più vicina alla città di Lucca e non vi è mai stato un eremo agostiniano. Se proprio fosse obbligatorio identificare il nostro Guido con uno dei tanti Guido che s'incontrano nei documenti dell'epoca, eccone uno che fortemente mi attrae per più indizi che spiegherò di seguito. Il 19 ottobre 1237 Andreolo di Vitaccaro da Monte Calvaiano e suo figlio Felice vendono al "SACERDOTE GUIDO EREMITA" un pezzo di terra posto alla rocca di MENSANO presso la cella del detto sacerdote Guido. Questo il succo di una pergamena originale dell'Arch. di Stato di Siena (Diplomatico, alla data. "Anno domini millesimo CC. XXXVII indictione XI die XIIII kalendas novembris. Nos Andriuelus domini Vitaccari de monte calvaiani et Felice eius filius vendimus et tradimus iure proprio tibi Sacerdoti Guidoni heremite et tuis successoribus in perpetuum unam petiam terre ... que est posita super Roccha ... Actum extra castrum de Mençano iuxta cellam dicti sacerdotis Guidonis coram ... testibus rogatis. Ego Incontrus imperialis aule notarius". Cfr. sempre in ASS lo "Spoglio B 54" (S. Agostino di Siena), f. 34r, doc. n. 87, dove il compilatore malamente legge "Verzaio" in luogo di "Mençano". Si noti inoltre che l'apparente errore di datazione "1237, indizione XI", mentre altrove allo stesso anno si legge "indizione X", è dovuto al fatto che in Siena e suo territorio il numero dell'indizione è di un'unità avanti a tutti gli altri paesi. Pertanto è esatta la data "19/X/1237", anche se è dissonante il numero indizionale) già appartenuta al convento di S. Agostino di quella città. Gli indizi che attirano la mia attenzione sono questi: 1° la distanza di soli Km. 15 tra Mensano e l'eremo di S. Antonio al Bosco, mentre da qui a Valle Bona sono Km. 100 e a Montefiascone sono Km. 110, sempre in linea retta; 2° Calvaiano, Mensano e S. Antonio al Bosco, nel sec. XIII, erano tutti nella diocesi di Volterra: quindi è facile ammettere che sacerdoti e religiosi della stessa zona si conoscessero reciprocamente; 3° mentre l'eremo di Mensano non è mai stato nominato nella storiografia agostiniana, finché io non ho stilate queste pagine, risulta ampiamente noto quello della Selva Maggiore; e si sa che questo, dopo la grande unione del 1256, appartenne alla Provincia Senese fino al sec. XV quando, abbandonato dalla Provincia in mani secolari, fu d'autorità assegnato alla Congregazione di Lecceto. Sicché, tenuto conto di tutto questo e non trovandosi documento alcuno che si opponga, niente vieta di ipotizzare questo profilo cronologico:
1237 - Vive a Mensano il giovane prete-eremita Don Guido (età circa anni 27).
1243 - Cosciente e partecipe della confusione di regole, stili, abiti eremitici, Don Guido (età c. a. 33) si accorda con altri esponenti dell'eremitismo toscano e, con tre di essi, va ad Anagni o a Roma per esporre il problema al Papa Innocenzo IV: "per dilectos filios fratres S., H., G[UIDONEM], et P. eremitas" (Papa Innocenzo IV, nella bolla Incumbit nobis del 16/XII/1243, indirizzata "A tutti gli eremiti residenti in Tuscia, esclusi i frati di S. Guglielmo", dichiara di prendere i provvedimenti che seguono nel testo, in seguito alla richiesta fattagli da quattro eremiti che egli ricorda con le sole iniziali perché ai destinatari erano già personalmente noti: "S., H., G. et P.". Noi, purtroppo, a distanza di secoli, leggiamo quelle iniziali come un rebus da risolvere; e le soluzioni possibili sono svariate, ma nessuna è sicura. La soluzione proposta da P. B. Van Luijk (in Gli Eremiti Neri nel Dugento, Pisa 1968, a p. 55) non mi convince affatto. Pertanto non è fuori luogo ipotizzare che la "G" possa nascondere il nostro frate Guido).
1243, 16 dicembre - Innocenzo IV, accogliendo le istanze dei "Quattro", emana le due bolle "Incumbit nobis" e "Praesentium vobis", creando l'Ordine degli Eremiti di S. Agostino in Tuscia, convocando il primo Capitolo Generale e affidando la guida e il controllo del tutto al Cardinale Riccardo degli Annibaldi (Vedi B. VAN LUIJK, Bullarium O.E.S.A. periodus formationis, Würzburg 1964, nn. 32 e 33).
1244 - Don Guido (età c. a. 34) accoglie le disposizioni pontificie, partecipa al Capitolo Gen. di fondazione dell'O.E.S.A. di Tuscia e, per non restare isolato come pecora senza pastore, lascia Mensano e va ad unirsi alla comunità di S. Antonio al Bosco, nel comune di Staggia, portando seco le sue robe, i suoi libri, i suoi documenti, compresa la pergamena della terra vendutagli da Andreolo e Felice. E, per ricominciare da capo e per distinguersi dai suoi omonimi, prende il nome di FRATE GUIDO DA STAGGIA.
1250, maggio - Frate Guido (età c. a. 40) non partecipa al Cap. Gen. di Cascina perché, pur vivendo nell'eremo "Silvae Maioris", non è il priore.
1256, gennaio-marzo - A Roma in S. Maria del Popolo, si celebra il Capitolo della grande unione, cui possono partecipare due membri per ogni comunità. Frate Guido da Staggia (età c. a. 46), già animatore dell'altra unione, è inviato a Roma insieme col priore di S. Antonio al Bosco; così si amplia il suo orizzonte: egli conosce religiosi di altre provenienze, gli altri conoscono lui.
1262, maggio - Terzo Capitolo Generalissimo (a Orvieto? vedremo in seguito il perché di questo interrogativo): Frate Lanfranco da Milano è confermato Priore Generale per il terzo triennio consecutivo. Dalla Germania giungono notizie non buone circa le reazioni dei Guglielmiti e l'atteggiamento di alcuni vescovi verso il nuovo Ordine. Occorre un tipo di sicuro affidamento, energico, intraprendente, autonomo da campanilismi locali e simpaticamente noto nelle alte sfere. Guido da Staggia (età c. a. 52), che seppe così bene lavorare in Tuscia e poi nella Provincia Senese, appare come il tipo che ci vuole. E si decide di mandarlo in Germania con la carica di Priore Provinciale. Eccetera. Il documento di Mensano, giunto in "Silva Maiore" con Guido stesso, sarebbe poi passato all'archivio della Provincia Senese (in S. Agostino di Siena) quando questa svuotò l'eremo di S. Antonio per cederlo a dei secolari. Se fosse obbligatoria - ripeto - una identificazione a tutti i costi, preferirei questa a tutte le altre. Ma non si è trovato finora un sol documento col nome di "Frate Guido da Staggia" che sia anteriore al 1262. D'altra parte il nome Guido in quell'epoca era assai comune in ogni ceto di persone. Quindi - fino alla scoperta di nuovi documenti sicuri - ogni ricostruzione della vita del nostro personaggio, anteriore al detto anno, subisce la tara della fantasia. Tutt'al più, accettata come storica la tradizione antica, costante, mai smentita, anzi avallata dal toponimo "Staggia", che egli avesse fatta la sua professione religiosa nell'eremo di S. Antonio al Bosco, si giunge all'affermazione conseguenziale che egli appartenne all'Ordine degli Eremiti di S. Agostino in Tuscia prima della grande unione del 1256.
Obbiezione possibile: Nulla osta che il Don Guido di Mensano - una volta diventato frate Guido da Staggia - sia stato in seguito nominato priore di Valle Bona di Garfagnana e abbia anche partecipato in questa veste al Capitolo Generale del 1250 a Cascina. Risposta chiara: A questa congettura si oppongono due dati di costume e di fatto. Nell'O.E.S.A. di Tuscia il priore di ciascun eremo veniva scelto dal Capitolo conventuale fra i religiosi della comunità stessa: primo dato. E questo perché (secondo dato) in quell'Ordine, a quell'epoca, la professione religiosa (chiamata "juramentum fidelitatis") comprendeva anche l'obbligo della "perseverantia in loco", cioè di risiedere sempre in quella casa alla quale il novizio donava "se stesso e tutti i suoi beni". Ciò risulta da vari atti "spogliati" qua e là negli archivi di stato di Siena e di Lucca. Questo costume - abolito con le nuove costituzioni dopo la grande unione del 1256 - prima di questa data era in pieno vigore, come un portato dell'origine canonicale di molti dei nostri eremi (incardinamento ad una chiesa particolare) e dell'autonomia e autosufficienza che anche i non canonicali godevano prima del 1244. Il trasferimento di un eremita da una casa all'altra sarebbe stato visto come un andare a mangiare il pane altrui e un venir meno al servizio promesso alla propria chiesa ed eremo. E questo vale anche per negare il passaggio di Guido da Staggia dall'eremo di S. Antonio a Lecceto; a meno che tale passaggio non sia avvenuto dopo il 1256; ma, come ho già detto, ciò non è dimostrabile. Diverso era il caso, quando si trattava di dar vita ad una nuova comunità, per es. S. Maria del Popolo a Roma (1250). E' chiaro che allora il Generale frate Matteo dovette prelevare alcuni religiosi da questo o quell'eremo per formare il "corpus" della comunità romana. A corollario della risposta data, vale anche la pena notare che proprio dal costume della "perseverantia in loco" nacque e sopravvisse a lungo nell'Ordine unito lo stato giuridico e l'espressione verbale del "filius conventus", anche quando i Capitoli e i superiori maggiori hanno avuto il potere di trasferire i religiosi da un convento all'altro.
- II -
IL PROBLEMA DEI COGNOMI
I cognomi o casati da esaminare sono quattro; tre per il Guido di Staggia: Antoniani, Grazzini, Franzesi; uno per il Guido di Bologna: Salani. I primi due (Antoniani e Grazzini) li troviamo negli storici agostiniani; il secondo e il terzo (Grazzini e Franzesi) negli autori di storia locale della Valdelsa. A parte il fatto che un uomo solo non possa nascere in tre famiglie differenti, vediamo che cosa si debba o si possa pensare di ciascuno dei cognomi. Leggendo la "Sacra Leccetana Selva" del Landucci (cit. p. 147), si acquisisce la chiara nozione che "Antoniani" non è altro che il genitivo di "Antonianus", il quale è soltanto l'attributo degli abitatori dell'eremo di "S. Antonio" (al Bosco). Perciò, se in qualche occasione può tollerarsi lo scrivere "Frate Guido Antoniano", intendendo "Frate Guido di S. Antonio al Bosco", è invece un errore netto e non giustificabile lo scrivere "Frate Guido Antoniani" perché, con ciò, si attribuirebbe a questa persona un casato di pura fantasia. Lo stesso Landucci (loc. cit.) dimostra di non essere convinto circa l'attendibilità del cognome "Grazzini" attribuito al nostro Guido. Infatti lo riporta, ma con la precauzione "come vogliono alcuni"; e lo dà con una "z" sola: "Grazini". Il sac. Giovanni Bencini, invece, intitola un suo articoletto semplicemente così: "Il Beato Grazzini da Staggia"; fa del nostro Guido un antenato dello scrittore A. M. Grazzini detto il Lasca, lo dice nato "forse nel 1228"; poi le solite notizie tipo Torelli; aggiunge che per suo merito in quattro anni di governo (1265-69) l'Ordine raggiunse il numero di 2000 conventi. L'unica notizia originale è che "nella sagrestia della Chiesa propositura di Staggia vi è un medaglione che lo rappresenta con la fronte circondata di aureola". Ma quello che interessa è che, fin dal titolo, egli non ha dubbi, tanto che mette solo il cognome: "Il Beato Grazzini"; e il nome compare solo nel testo (in Miscellanea Storica della Valdelsa, anno 34, n. 2/3, (dicembre 1926), p. 154-55). Di parere contrario è invece Rovigo Marzini il quale, per fare l'elogio della famiglia Franzesi di Staggia, parte risoluto: "Guido da Staggia della storica famiglia Franzesi, nonostante che alcuni lo dicano della famiglia Grazzini, era, nel 1265, già monaco nel convento di S. Antonio presso Staggia ... Un suo ritratto conservasi nella sagrestia della Pieve di Staggia"; e prosegue citando altri nobili Franzesi (Ibidem, anno 31, n. 3 (novembre 1923) sotto il titolo "Antico castello e terra di Staggia - Famiglie e uomini illustri", p. 104). Lo stesso autore, proseguendo la rassegna delle celebrità di Staggia, scrive: "Assai più celebre tra le famiglie originarie di Staggia, è quella Grazzini, che ebbe principio sul far del secolo XIII, e più precisamente nel 1216, da un tal Grazzino. Due bravi monaci Agostiniani, il beato Giovanni da Staggia nel 1380 e il padre Francesco Grazzini nel 1408, illustrarono questa famiglia sia colla santità della vita che colla scienza singolare nelle materie ecclesiastiche. Il secondo fu il fondatore dei Canonici di S. Agostino"; e qui cita due autori citati dal Landucci (Idem, Ibidem, p. 105-06). Per il Marzini, dunque, il nostro Guido è un Franzesi, e i Grazzini sono fuori causa. Come si vede, ognuno tira l'acqua al suo mulino senza mai curarsi di portare un argomento o un documento. Nella totale assenza di documenti e tenendo conto di una certa moda riscontrata nei secoli XV e XVI, specialmente tra famiglie di una certa pretesa nobiliare, io mi convinco che anche qui ci troviamo di fronte ad una delle svariate manipolazioni in cui i nostri antichi si son trovati coinvolti, per non dispiacere a certi pezzi grossi benefattori di questo o quel convento. Così frate Guido da Staggia - qualche secolo dopo la morte (e perciò egli non ne ha colpa alcuna) - sarebbe diventato un "Grazzini" o un "Franzesi", alla stessa maniera che un Agostino d'Ancona diventò un "Trionfo", un Clemente da Osimo diventò un "Briotti" di Sant'Elpidio, un Agostino da Tarano (Rieti) diventò un "Novello" di Taormina, di Termini Imerese, di Terranova di Sicilia e credo anche di Trapani; un Giacomo da Viterbo diventò un "Capocci", un frate Giovanni, fratello laico, ex-contadino maremmano, analfabeta, sacrestano in S. Agostino di Siena e poi in S. Pietro in Cieldoro di Pavia, tornato a morire a Siena (in concetto di santità), diventò, non si sa come, un Beato Giovanni "Chigi".
In merito al cognome "Salani", che vorrebbe distinguere il Guido di Bologna da quello di Staggia, il discorso è molto diverso e mi pare più complicato. Le possibilità sono varie e, tanto per cominciare, bisogna dire che a metà del XIII secolo anche a Bologna il nome "Guido" abbonda. Nel 1262 il procuratore degli Agostiniani di S. Giacomo al Savena è "frate Guido da S. Maurizio"; le case che egli compra, in nome dei suoi confratelli, dentro Porta S. Donato di Bologna, per fondare il grande S. Giacomo Maggiore, appartenevano agli eredi di un tal Guido Zagni; nel 1267 (15 giugno da Viterbo) il Generale dell'O.E.S.A. frate Guido da Staggia approva l'acquisto delle case suddette per la nuova fondazione; nel 1268 Guido di Bartolomeo Guidonzagni (= di Guido Zagni) riscuote il saldo per le case acquistate dai frati di S. Giacomo. E, guarda caso, fra i vari "Guido" che incontriamo (senza contare tutti gli altri "Guido" che certamente esistevano a Bologna) si vede mescolato proprio il nostro - in veste di Generale dell'Ordine - il quale, con la sua lettera da Viterbo per approvare la nuova fondazione, con l'indulgenza ottenuta dal Papa Clemente IV a favore del convento bolognese, resta indissolubilmente legato al convento di S. Giacomo Maggiore di Bologna, anche se non proprio come il fondatore (Il Tempio di S. Giacomo Maggiore in Bologna, Bologna 1967, pp. 7, 10 e 215). Questo può contribuire a spiegare un "Guido da Bologna", ma non spiega ancora il cognome Salani e connessi. Ho detto sopra che la possibilità sono varie; vedìamole in ordine. Prima: Il ricordato frate Guido da S. Maurizio; poteva essere lui di casa Salani, se quella famiglia esisteva già in quell'epoca in terra bolognese; un cronista non troppo accorto ha attribuito a questo Guido gesta non sue.
Seconda: può esser esistito un altro "frate Guido da Bologna", diverso dai già noti, proveniente da casa Salani, coinvolto in qualche errore di qualche cronista, come sopra. Terza (sia detto con tutta riverenza per il Crusenio, l'Herrera e il Torelli, anche se quest'ultimo - da bolognese purosangue - fa le capriole per elogiare la famiglia Salani e attribuirle il frate Guido in questione): Può darsi benissimo che le due componenti del genitivo demotico e del favore ai benefattori del convento, già denunciate per gli altri cognomi, abbiano insieme concorso in un procedimento di questo genere:
1. Frater Guido Stagianus (= da Staggia),
2. Frater Guido Stajanus,
3. Frater Guido Sajanus,
4. Frater Guido Salanus (genit.: Salani).
Così, per successive deformazioni grafiche, si può essere arrivati alla creazione - per il nostro Guido - di un cognome omofono a quello della famiglia bolognese decantata dal Torelli. Deformazioni del genere sono infinite nelle vecchie scritture a mano e a stampa; ecco due esempi ben riconoscibili. Primo: Frate Aiuto di Garfagnana dell'O.E.S.A. di Tuscia, Priore della Cella di Prete Rustico e contemporaneamente Visitatore Generale del suo Ordine, più tardi (nel 1259) Provinciale della Prov. Pisana, trasformato così:
1. Aiuto di Garfagnana,
2. Aiuto di Graffagna,
3. Aiuto Graffano,
4. Aiuto da Fano (e naturalmente dell'Ordine di Brettino).
Secondo: P. Filippo Elssen, tedesco (+1654), autore dell'Encomiasticon Augustinianum, il quale poco più di un secolo dopo risultò così mascherato: Elssen, Elsius, Elsi, Clesi P. Filippo Clesi, autore dell'Economastico Agostiniano. Ora, se nulla osta che anche la città di Fano possa avere avuto un suo "Frate Aiuto", ostano invece i documenti dell'Archivio di Stato di Lucca contro l'attribuzione all'ipotetico fanese di ruoli e di storia che competono al concreto garfagnino. Quanto al P. F. Elssen, ha pensato il tempo a far cessare lo scempio del suo nome. Tornando al caso nostro, non meraviglia più che un processo di questo genere possa aver creato un "Guido Salani" e che la connessione susseguente fra questo e la famiglia bolognese dei Salani sia stata quasi inevitabile, specialmente se tale famiglia aveva qualche propensione affettiva verso la Chiesa di S. Giacomo Maggiore. Il fatto però è uno e incontrovertibile: Il presunto frate Guido Salani da Bologna, mandato in Germania a organizzare le comunità agostiniane e la Provincia d'Alemagna, dai documenti tedeschi risulta inequivocabilmente essere un solo: FRATE GUIDO DA STAGGIA.
Conclusione: Nessuno dei quattro cognomi (Antoniani, Grazzini, Franzesi, Salani) merita di essere applicato al nostro frate Guido perché nessuno di essi è storicamente giustificabile.
- III -
IDENTIFICAZIONE
Che frate Guido da Staggia e frate Guido Salani fossero una sola persona lo aveva già scoperto e sostenuto più di due secoli fa il tedesco P. Angelo Hoeggmair O.S.A. nel suo lavoro "Catalogus priorum provincialium O.E.S.A. per provinciam totius Germaniae seu Alamaniae, deinde per provinciam Bavariae", stampato a Monaco di Baviera nel 1729, a pag. 2. Ma la notizia, a quanto pare, non trovò credito, o perché troppo ci si fidava dei Crusenio (anche lui tedesco e agostiniano), degli Herrera, dei Torelli, ecc., o perché lo scritto pubblicato in Germania non valicò i confini di quella nazione e restò ignorato in Italia e altrove, anche se scritto in latino; tanto che gli autori posteriori, es.: Lanteri e Bellandi, poterono ignorarlo tranquillamente. E lo avrei ignorato anch'io se, leggendo attentamente l'Analecta Augustiniana (vol. XXIII (1954), p. 136, dove è dato il testo latino del doc. (n. 3) e la noticina da me riportata) non avessi trovato una noticina a piè di pagina, scritta dal P. Franz Roth O.S.A. al termine di un documento del 1264, da lui trascritto e pubblicato (con altri due) sotto il titolo "Miscellanea documentorum ordinis nostri". Ecco la noticina in parola: "Sigillum provincialis, documento originali annexum et hodie in archivo civitatis v. Stuttgart asservatum, hanc habet inscriptionem: S(igillum) fr(atr)is Guido(n)is de Stagia ord(inis) H(er)emit(arum)". Iure igitur contendebat frater Angelus Hoeggmair O.E. S.A., priorem generalem Guidonem de Stagia et provincialem Germaniae Guidonem Salani unam eamdemque fuisse personam". E qui cita la pubblicazione del 1729 come sopra. Ma prima di scendere a particolari sul documento e sigillo citati, procediamo con ordine. Il P. F. Roth, nella biografia del Gen. Guido da Staggia (vedi nota 9) dice testualmente: "La Congregazione di Tuscia tenne nel 1251 [=1250] un Capitolo Generale a Cassina [=Càscina] e fra i 61 priori che sottoscrivono un documento [= quello trasmessoci dal P. L. Torelli] vi sono due Guido [già incontrati nel capo I: Guido di Valle Bona e Guido di Perlata] ... Cinque anni dopo Guido fu mandato in Germania col compito di portare sotto un'unica direzione i conventi delle cinque congregazioni, colà esistenti, e per ottenere l'adesione di altri".
"Cinque anni dopo": con questo dato, rapportato all'anno 1251, Roth afferma che Frate Guido da Staggia fu mandato in Germania nel 1256, presumibilmente dopo la pubblicazione della bolla Licet Ecclesiae con la quale il Papa Alessandro IV aveva ratificato le conclusioni del Capitolo della grande unione. Ma è solo una sua affermazione non dimostrata. Di fatto il documento più antico in cui si faccia esplicitamente il nome di "fratre Guidone de Stagia" è del 1262, redatto in Orvieto e oggi conservato all'Arch. di Stato di Siena nel fondo del Convento di S. Agostino di quella città (Diplomatico, alla data 1 giugno 1262, con cartellino di segnatura "S. Agostino di Siena l giugno 1262"; vedi Spoglio B 54, fo. 128v-129r). Leggiamone il testo: "In nomine domini amen. Anno eiusdem millesimo ducentesimo sexagesimo secundo. Indictione quinta / tempore domini Urbani pape quarti. Die primo mensis Iunii. Dominus Ionta da Fi/careto Iudex coram me notario et testibus infrascriptis habuit et recepit a fratre / bandino priore fratrum loci Conventus Senarum de ordine Sancti Augustini sol/vente pro FRATRE GUIDONE DE STAGIA duodecim libras denariorum senensium quas di/cebam (sic) dictum fratrem Guidonem sibi dare debere. De quibus denariis se bene / [quietatum] vocavit. Renuntians non habite pecunie et non invocate exceptioni, pri/[vilegio] fori et omni legum auxilio et de ipsis denariis fecit eidem fratri Bandino / stipulanti pro dicto fratre Guidone fidem et refutationem et pactum de non pe/tendo aliquid de quantitate predicta. Quam refutationem promisit hahere ratam / sub obligatione suorum bonorum et pena dupli pecunie solute; qua soluta vel non ratum / maneat contractum. Actum in civitate Urbeveteri ante apothecam Ranerii t[ ...]e / presentibus Ranerio t[ ...]e, Accurso Guillelmi senensis et Iacobo Ranerii Ia/cobi testibus. Et ego Boniohannes Petri tolosani auctoritate alme Urbis / prefecti notarius constitutus hiis omnibus interfui et ut supra legitur ro/gatus scripsi et subscripsi". "Signum dicti (S. N.) Boniohannis notarii". Dal testo di questa ricevuta, o quietanza, abbiamo per la prima volta il nome completo: "Fratre Guidone de Stagia"; ma dove egli si trovasse o dove fosse la sua residenza, quale ruolo coprisse - di gerarchia, di amministrazione, di apostolato o di nulla - non appare: soltanto si può pensare che egli o non si trovasse in Orvieto, o fosse sprovvisto del denaro necessario, perché il suo debito vien pagato da frate Bandino, priore di S. Agostino a Siena (Questo frate Bandino compare sulla scena agostiniana nel 1227 come priore dell'eremo di Foltignano (Lecceto) e tale resterà a lungo. Nel 1262 risulta priore di S. Agostino in Siena; nel 1275 provinciale della Prov. Senese; il 22/XI/1276 (A. S. SIENA, Spoglio B 70 - Lecceto) risulta priore di S. Leonardo al Lago, all'atto di ricevere una donazione da quel don Palmerio di S. Colomba che, nel 1250, aveva "restituito" l'eremo di S. Leonardo agli eremiti di Foltignano. LANDUCCI cit., p. 95, lo dice morto il giorno 11 marzo 1276. Ma, tenuto conto del "modo senese" nel computo cronologico, in una data compresa fra il 1 gennaio e il 24 marzo, il numero dell'anno va accresciuto di un'unità; così la data di morte di frate Bandino si legga: 11 marzo 1277. Ecco scomparsa l'apparente contraddizione fra la morte in marzo e l'ufficio di priore a novembre di uno stesso anno). Né si può tirare a indovinare la ragione di quel debito: acquisto di beni per questo o quel convento di cui fosse il procuratore? Suo equipaggiamento per la trasferta in Germania? Onorario per qualche causa discussa (il creditore era un giudice)? O chi sa quale altro motivo? Una cosa è certa: la somma pagata da frate Bandino per conto di frate Guido è piuttosto alta; 12 libre di denari senesi potevano costituire il reddito netto di un anno per un'intera comunità eremitica di 5 o 6 religiosi; quindi quel pagamento nasconde la conclusione di un affare piuttosto importante. Ma non ci dice di più. Per ritrovare il nostro frate Guido bisogna fare un salto da giugno a dicembre (1262) e da Orvieto a Würzburg, in Germania. Nei "Documenti e regesti" del convento agostiniano di Würzburg (A. ZUMKELLER, Urkunden und Regesten zur Geschichte der Augustinerklöster Würzburg und Münnerstadt, Würzburg 1966, vol. I (Würzburg). In questo capitolo e nel seguente, ogni volta che si citano documenti esistenti in Germania, s'intendono citati da questo volume, salvo indicazioni diverse) troviamo: "1262, 23 dicembre. Iningo vescovo di Würzburg concede al Provinciale frate Guido e ai frati eremiti dell'Ordine di S. Agostino in Germania, su raccomandazione di Riccardo Cardinale diacono di S. Angelo, di erigere nella città o nella diocesi di Würzburg un oratorio e un convento. "Datum anno Domini 1262, X kalendas ianuarii, indictione VI, pont. nostri anno IX" (doc. 15, p. 52). Questo il regesto di un doc. il cui originale è irreperibile, ma è inserto integralmente in altro diploma, del Capitolo della Cattedrale di Würzburg, in data 14/5/1263, che incontreremo più oltre. Comunque, in questo e nei susseguenti documenti, frate Guido è nominato senza specificazioni particolari, come "de Stagia", "de Bononia", "Salani" o altre; ci è detto soltanto che egli era il "frater Guido provincialis vester" per "universis fratribus ordinis sancti Augustini per Alemaniam constitutis" (doc. n. 16, p. 53). Il doc. n. 17 (p. 54), riportato solo in regesto, è di capitale importanza, non solo perché riferisce quali dovevano essere i rapporti della comunità agostiniana col vescovo, col Capitolo dei canonici, coi fedeli di Würzburg, ma soprattutto per i tre sigilli di cui era munito: quello del vescovo Iringo (ora perduto), quello del Capitolo della Cattedrale e quello del provinciale degli Agostiniani, che tuttora pendono -anche se deteriorati - dalla pergamena originale. A proposito, questa è conservata nell'Archivio di Stato di Monaco di Baviera con la segnatura: "Würzburg 3245". Il citato volume del P. A. Zumkeller, da cui prendo tutte queste notizie sui documenti, alle pagg. 36-42 presenta alcuni sigilli dell'Ordine Agostiniano, delle Province tedesche, di conventi, di singoli religiosi. A pag. 36 (n. 2) descrive proprio il terzo dei sigilli appesi alla pergamena originale del doc. n. 17. E ci informa che è un sigillo a due facce diverse, come una moneta: da un lato una figura con una iscrizione, dall'altro lato figura e iscrizione diverse. E ne descrive il lato anteriore. A pag. 40/41 (1° fra i sigilli personali) descrive il lato posteriore. Nelle tavole fuori testo alla fine del volume son riprodotte in fotografia: al n. 2 il primo lato, al n. 17 l'altro lato. Ecco come si presenta il lato anteriore (foto n. 2): Forma a mandorla, lesionata alle due punte, alt. circa mm. 53. Entro la cornice che porta l'iscrizione un arco gotico lobato, sotto cui la figura di un vescovo con mitria in testa e seduto in trono, di profilo voltato a destra dove, sedute su tre scanni, tre figure di frati attenti alle parole e ai gesti del vescovo; nello spazio che è fra il vescovo e il frate che si trova più in alto sono incise verticalmente dall'alto in basso queste lettere: "S. AUG." che vogliono indicare il vescovo essere S. Agostino. La cornice a mandorla porta questa iscrizione (dall'alto in senso orario): "[S. P']VICIAL. H'EMITAR. [ORD. SC]I. AUG. I. ALEM[ANIA]" = Sigillum Provincialis Heremitarum Sancti Augustini in Alemania. Ed ecco la descrizione del lato posteriore (foto n. 17): A mandorla c. s., ma con incisione alquanto più piccola (mm. 38 invece di mm. 53) sicché la caduta di cera alle due punte estreme non ha lesionato affatto l'incisione. Anche qui arco gotico lobato e, sotto di esso, scena della deposizione di Cristo morto dalla Croce. Al centro il Cristo con le braccia già staccate dalla croce; alla sua destra due figure in piedi che lo sostengono; alla sua sinistra una figura in piedi che sostiene il braccio sinistro di Gesù, e una figura in ginocchio in atteggiamento di orante. Sotto questa scena, altra cornicetta lobata e, sotto di essa, la figura di un frate inginocchiato, a mani giunte, in preghiera. La cornice con l'iscrizione è sormontata da un'architettura come di chiesa a tre navate, con occhio rotondo in alto e finestre oblunghe su tutta la facciata. Iscrizione (dall'alto in senso orario): "S' FRIS. GUIDOIS. D' S(interrotta dalla tunica del frate orante)TAGIA. ORD. H'EMITA." = Sigillum fratris Guidonis de Stagia ordinis Heremitarum. Abbiamo dunque un sigillo originale, ancora pendente dal documento originale; e questo ci presenta da un lato la carica ricoperta da colui che ha appeso il sigillo stesso, e dall'altro lato il soggetto che ricopre quella carica: Frate Guido da Staggia dell'Ordine degli Eremiti (di S. Agostino) Provinciale degli Eremiti di S. Agostino in Alemagna. Che altro manca alla certezza della identificazione? Nulla, mi pare. Neppure la controprova. Ed eccola subito. All'inizio di questo capitolo, per ricordare il P. Hoeggmair, ho accennato a un documento pubblicato dal P. F. Roth in Analecta Augustiniana (vol. 23, anno 1954, p. 136). In questo doc. - che si conserva nell'Archivio civico di Stuttgart - frate Guido scrive in prima persona plurale: " frater Guido prior provincialis fratrum eremitarum ordinis Sancti Augustini per regnum Alamaniae, cum definitoribus ac universis fratribus ad provinciale capitulum celebrato (?) in Semanshusen, Ratisponensis dioecesis, congregatis". E' una lettera indirizzata al monastero femminile di Oberndorf (diocesi di Costanza) in cui si dichiara di accogliere quella comunità nell'O.E.S.A. Il doc. si chiude così: "In cuius rei signum praesentes litteras sigillorum dicti capituli et provincialis munimine fecimus roborari. - Datum in dicto capitulo Semanshusen, anno Domini M. CC. LXIIII, VI kalendas iunii" = A garanzia di quanto sopra abbiamo munito la presente lettera dei sigilli del Capitolo e del Provinciale. Nel Capitolo di Seemanshausen il 27 maggio 1264. E il sigillo del Provinciale, testimone il P. F. Roth, porta la scritta identica a quella del sigillo bifacciale già esaminato: Sigillum fratris Guidonis de Stagia Ordinis Heremitarum.
- IV -
GUIDO DA STAGGIA IN GERMANIA (1262-1265)
Per quanto tempo frate Guido da Staggia dimorò in Germania? Ho già mostrato di non condividere l'affermazione del P. F. Roth circa i "cinque anni dopo" il 1251, cioè il 1256, come data di andata; e ciò per carenza di documenti che lo dimostrino. Ma trovo non trascurabili altri due motivi che propongo qui di seguito, in appoggio ad una mia ipotesi. Motivo psicologico: Al Capitolo della grande unione dovettero partecipare anche dei religiosi provenienti dalla Germania. Mandando subito un italiano ad organizzare quella provincia, il Generale Lanfranco Settala avrebbe forse fatto credere di non fidarsi troppo dei Tedeschi; il che non avrebbe giovato al suo prestigio personale e tanto meno alla pacifica unione che si voleva ottenere di tante comunità eterogenee. Pertanto penso che solo in un secondo tempo - vista la situazione che si era creata per il dissenso dei Guglielmiti, per l'ostilità di alcuni vescovi verso i nostri, per certe intemperanze provocate da più parti - il Generale (o l'assemblea capitolare) abbia deciso di mandare lassù un uomo di polso, di fede garantita, di spirito d'iniziativa e di sacrificio, e gradito al Card. Riccardo, a raddrizzare una situazione piuttosto storta. Motivo documentario: In sei anni (1256-62) frate Guido non avrebbe combinato nulla? Non avrebbe lasciato tracce? Tutto è possibile, ma bisognerebbe dimostrarlo. La mia ipotesi invece è basata su dati di costume e di fatto, ed è che frate Guido abbia avuto il mandato di recarsi in Germania - e con la nomina a Priore Provinciale - proprio nel Capitolo Generalissimo del 1262, quando frate Lanfranco da Milano venne rieletto Priore Generale per il terzo triennio consecutivo. E mi induce a questa convinzione proprio il documento di quietanza (Orvieto, 1 giugno 1262) da me pubblicato nel capitolo precedente. Vediamo. Dati di costume: I Capitoli Generalissimi, per la elezione (o rie-lezione) del Priore Generale, erano triennali; quindi: 1256, 1259, 1262; in tutti e tre fu eletto e rieletto Frate Lanfranco; ma dove furono celebrati i Capitoli del 1259 e 1262 non si sa. E' noto invece che, in quell'epoca, il giorno preferito per la elezione del Generale era il giorno solenne della Pentecoste. Dati di fatto: Ficareto, provenienza del giudice Giunta, il creditore di frate Guido, è frazione del comune di Todi (Perugia), a NE della città. Orvieto è in prov. di Terni. Ambedue questi luoghi sono ben lontani da Siena che è nel cuore della Toscana e dove risiedeva frate Bandino. La Pentecoste del 1262 cadde il 28 maggio; quindi il 10 giugno 1262 (data del doc. in esame) era la "feria quinta infra octavam Pentecostes". Ecco ora la domanda chiave: Perché frate Bandino, priore del convento di Siena, è in Orvieto e non a Siena, o a Ficareto o a Todi, quando paga il debito di frate Giudo? Ed ecco la risposta che forma la sostanza della mia ipotesi: Frate Bandino si trova in Orvieto come padre vocale al Capitolo Generalissimo (in veste di definitore della Prov. Senese? non so) nel quale il rieletto frate Lanfranco prende la decisione di mandare frate Guido da Staggia in Germania. Il giudice Giunta di Ficareto (a Todi il conv. di S. Agostino a Porta di Via Piana era stato fondato circa dieci anni prima dagli Eremiti O.S.A. di Tuscia, e perciò egli poteva benissimo essere informato del consesso capitolare di Orvieto) desideroso di riscuotere il suo credito, si reca ad Orvieto in cerca di frate Guido: tra tanti frati ... non si sa mai! Forse anche lo stesso frate Guido era in Orvieto, ma privo della somma necessaria a saldare il debito. Alla difficoltà di frate Guido rimedia frate Bandino, a Capitolo terminato, quattro giorni dopo Pentecoste. Dopo di che, coi conti in regola, frate Guido potrà partire tranquillo per la Germania: giugno-luglio del 1262. Naturalmente occorreranno altri punti d'appoggio più solidi, prima che questa mia ipotesi diventi notizia storica. Ma credo tutt'altro che inutile l'averla presentata. Più facile è stabilire la fine del mandato di frate Guido in Germania. Tutti i nostri storici, dal Crusenio al P. Bellandi, lo danno eletto Priore Generale nel 1265, salvo poi a sbagliare su altri particolari. Una data più vicina alla completezza la porge il P. F. Roth in due articoli diversi; ma contraddicendosi alquanto, perché in uno dice "7 maggio", nell'altro dice "8 maggio" (Die Augustiner-Generale, cit., p. 19: "7 maggio 1265"; Cardinal Richard Annibaldi first Protector of the Augustinian Order, 1243-1276 (Augustiniana - Lovanio) p. 27: "8 maggio 1265". In ogni modo le due date non si riferiscono esattamente al giorno dell'elezione di frate Guido, bensì a un documento redatto in quel Capitolo in cui Guido era già stato eletto a capo dell'O.E.S.A.). Ma di ciò si tratterà più ampiamente nel capitolo dedicato al generalato del Nostro. Una cosa, comunque, mi pare chiara: Frate Guido da Staggia entrò nel Capitolo Generalissimo del 1265 come Priore Provinciale della Germania e ne uscì Priore Generale di tutto l'Ordine. Riassumendo: La permanenza in Germania dell'Eremita di S. Antonio al Bosco fu di tre anni scarsi: dall'estate del 1262 alla primavera del 1265. Per sapere qualcosa di ciò che frate Guido fece in Germania, ricorro ancora - inevitabilmente al P. Roth e al P. Zumkeller. Il primo dice: "Guido fu mandato in Germania col compito di portare sotto un'unica direzione i conventi delle cinque congregazioni riunite, colà esistenti, e per ottenere l'adesione di altri. In questo compito ebbe tale successo che, alla fine del suo mandato, poteva contare 30 conventi" (Cor unum, cit., p. 18). E' superfluo dire che i 30 conventi non li ha fondati tutti frate Guido: erano in massima parte case o eremi di quelle "congregazioni" preesistenti al 1256, anno della grande unione. Fondazione operata da frate Guido, importantissima per la vita e per la storia degli Agostiniani in Germania, è quella del convento di S. Agostino a Würzburg, già accennata nel cap. III. Il 23 dicembre 1262, il vescovo di Würzburg - il quale, durante un suo viaggio in Italia per affari della sua diocesi, aveva ricevuto calde raccomandazioni dal Card. Riccardo Annibaldi a favore degli Agostiniani - porge a frate Guido un bel dono natalizio: il documento che lo autorizza a fondare un convento e chiesa in città o, a scelta, nel territorio della sua diocesi. Il 17 marzo 1263 è già acquistato il terreno per "100 marchi d'argento puro", da pagare entro due anni in rate e date prestabilite, con la condizione-strozza che il ritardo del pagamento di una rata farebbe perdere ai frati il terreno e il denaro versato in rate precedenti e anche eventuali costruzioni iniziate sul terreno stesso. Ma frate Guido e i suoi procuratori (frate Hesso e frate Enrico) l'accettano egualmente. Il 13 maggio di quell'anno, il vescovo, col preposto e il decano del Capitolo della Cattedrale da una parte, e il provinciale frate Guido con "gli Agostiniani di Würzburg" dall'altra parte, stipulano la convenzione per i reciproci buoni rapporti. Il giorno dopo (14 /V/1263) il Capitolo della Cattedrale, nella misura che gli compete, e rifacendosi alle raccomandazioni fatte al vescovo dal Card. Riccardo di S. Angelo, accoglie con benevolenza e promette protezione e difesa alla comunità e alle cose degli Agostiniani. Il susseguente 28 giugno, Alberto vescovo, già di Ratisbona e ora predicatore apostolico della crociata in tutta la Germania e Boemia (= S. Alberto Magno), accorda 40 giorni d'indulgenza a tutti coloro che aiuteranno con offerte gli Agostiniani a costruire il loro convento a Würzburg; e ciò con lettera che ripete la formula delle bolle pontificie "Quoniam ut ait Apostolus". Qui mi piace far notare che, nel doc. di convenzione fra Autorità diocesana e frati Agostiniani, accanto al provinciale frate Guido troviamo "gli Agostiniani di Würzburg". Il che vuol dire che nel frattempo una comunità si era già in qualche modo impiantata in città. Il nuovo convento era dunque una fondazione energicamente voluta e da concretare rapidamente. Quindi l'attributo di "strenuo" che gli autori danno a frate Guido non è solo un elogio di moda, ma trova riscontro nella sua attività. E se a questo si potesse aggiungere come storia provata ciò che ho detto a titolo ipotetico del periodo anteriore al 1262, bisognerebbe ammettere che l'intraprendenza e l'instancabilità erano componenti essenziali della sua personalità. Altro atto importante del provincialato di Guido in Germania è l'aggregazione all'O.E.S.A. del monastero femminile di Oberndorf, già ricordato a proposito del documento e sigillo di Stuttgart. Quelle monache osservavano la Regola di S. Agostino, ma si trovavano isolate e forse prive di adeguata assistenza spirituale, liturgica, ecc., non essendo unite ad alcuno degli ordini di eguale regola. Furono proprio esse a chiedere di essere unite all'O.E.S.A. E frate Guido, in sede di Capitolo Provinciale radunato nel convento di Seemanshausen, d'accordo con tutti i padri capitolari decide di accogliere nell'Ordine quel monastero e di impegnare la Provincia tedesca degli Eremitani alla dovuta guida ed assistenza delle religiose presenti e future; salvi sempre i diritti del vescovo di Costanza e del parroco locale. Questo, in data 27 maggio 1264 (Vedi nota 18). Probabilmente il monastero di Oberndorf non fu né il primo né l'ultimo dei monasteri femminili uniti all'Ordine Agostiniano da frate Guido da Staggia. Una cosa è certa: Due anni dopo (9/IV/1266) quando Guido era già Generale, il Card. Riccardo indirizzò a lui e al Provinciale di Germania (successore di Guido) una lettera (Testo della lettera e notizie di essa in Analecta Aug.na, XXIII (1954), p. 135. E' il secondo dei tre documenti pubblicati dal P. Roth sotto il titolo "Miscellanea documentorum Ordinis nostri". La lettera in parola si trova solo in copia nell'Arch. civico di Darmstadt, ms. 86 (un libro di copie di docc. che apparteneva al nostro convento di Magonza) con precise norme, concessioni e limiti per un'adeguata assistenza delle monache agostiniane in Germania; e in quella lettera si parla di monasteri, al plurale; il che fa capire che non ve n'era soltanto uno; ma non sappiamo quanti fossero. In ogni caso, la lettera di frate Guido alle monache di Oberndorf resta ancora il solo documento che dia il nome di un monastero femminile aggregato all'O.E.S.A. nei primi trent'anni dalla grande unione.
Per capire meglio il ruolo svolto da frate Guido nella questione dei Guglielmiti, mi pare doveroso rammentare sommariamente alcune date e fatti caratterizzanti della storia dell'Ordine di S. Guglielmo. Quest'Ordine era nato nel 1157 con spirito quasi anacoretico: piccole comunità viventi in luoghi selvaggi e in rigida austerità, sull'esempio e con le norme date a voce da S. Guglielmo e - dopo la morte del Santo - scritte dal suo vero primo discepolo Alberto da Siena, le "Institutiones Sancti Guillelmi Eremitae". Nessun compromesso col mondo! Basta pensare ai nomi dei luoghi scelti: Tana del lupo, Monte Pruno, Mala Valle, Valle Aspra, ecc. E, così com'era nato, crebbe e si propagò pacificamente, protetto prima da Papa Alessandro III, poi da Innocenzo III. Nel 1225, il 9 maggio, il primo trauma: Onorio III concede ai Benedettini del monastero di Monte Favale (Pesaro) di entrare nell'Ordine Guglielmita mantenendo la Regola di S. Benedetto. Fu un compromesso fra il tugurio e la badia che portò una prima scissione tra i Guglielmiti, creando le due correnti di Malavalle e di Monte Favale (Bolla "Solet annuere" indirizzata "Priori et fratribus Heremi sancti Benedicti de Monte Fabali - Datum Tibure VII idus maii anno nono", pubblicata da ANNIBALE DEGLI ABATI-OLIVIERI-GIORDANI in Memorie della badia di S. Croce in Monte Fabali del Pesarese, Pesaro 1779, p. 29. L'autore, a p. 4, mentre dice che questa bolla è citata dal nostro Herrera e dall'Henschenio negli Acta Sanctorum februarji dei BOLLANDISTI, l'assegna all'anno 1224, con evidente errore di calcolo. Essendo stato eletto Onorio III il 18 luglio 1216, il 9° anno del suo pontificato va dal 18 luglio 1224 al 17 luglio 1225; pertanto il maggio dell'anno 9° non può essere che il maggio 1225. Quindi la data esatta è il 9 maggio 1225. L'Olivieri fa notare anche che il vero nome del monastero di Monte Favale era "Santa Croce"; però era chiamato anche "S. Maria" per la presenza di una veneratissima Immagine di Maria Vergine; e nella bolla di Onorio III è chiamato "S. Benedetto" perché abitato da monaci benedettini). Gregorio IX, forse con la prospettiva di ottenere la riunione di tutto quell'Ordine, commise l'ingenuità di imporre (1237-38) la Regola di S. Benedetto a tutti i Guglielmiti. Fu il secondo trauma che provocò un'emorragia di persone e di intere comunità. Quando il 16 dicembre 1243 Innocenzo IV creò l'Ordine degli Eremiti di S. Agostino in Tuscia, intelligentemente escluse i Guglielmiti, per non imporre loro un tracollo totale con un altro cambiamento di regola a breve scadenza. Ma entrarono fra gli Agostiniani di Tuscia alcune di quelle comunità che non avevano accettato il cenobitismo abbaziale dei Benedettini e, d'altra parte, non potevano più oltre sussistere con le sole "Institutiones S. Guillelmi Eremitae". E, a mio modesto parere, fu proprio questo passaggio di ex-guglielmiti all'eremitismo apostolico degli Agostiniani che indusse Alessandro IV (1255-56) a convocare per l'unione generale in un solo Ordine di S. Agostino anche gli eremiti di S. Guglielmo (che avevano ormai da quasi 20 anni la Regola di S. Benedetto). Ma l'effetto non fu quello che il Papa sperava. Intanto le due gerarchie dei Guglielmiti (Malavalle e Monte Favale) rifiutarono decisamente l'unione con gli Agostiniani e, nello spazio di tre mesi, ottennero dallo stesso Alessandro IV una bolla che permetteva loro di restare nella propria autonomia con la Regola di S. Benedetto (Bolla "Licet olim" del 22/VIII/1256, "Generali et fratribus ordinis S. Guilelmi", da Anagni "XI kal. septembris anno II" (Potthast, n. 16528). Ma già nel periodo fra le due bolle (Licet Ecclesiae del 9/IV/ e Licet olim del 22/VIII) Alessandro IV aveva fatto ai Guglielmiti concessioni che li incoraggiavano all'autonomia: 7/V/1256, raccomanda a tutti gli Ordinari diocesani di concedere loro libertà di fondare case nei loro territori (Potthast, n. 16375); 10/VII/1256, autorizza il Generale dei Guglielmiti a colpire di scomunica quelli tra i suoi professi che vogliano passare ad altro ordine meno rigido (Potthast, n. 16461). Per le comunità periferiche si creò il dilemma: accettare l'ordine del Papa o seguire l'esempio dei capi? E, come sempre, c'è chi sceglie una parte e chi l'altra: alcune case passarono pacificamente all'O.E.S.A., altre puntarono i piedi. Gli Agostiniani, d'altro canto, dovevano obbedire alla bolla "Licet Ecclesiae" (9/IV/1256) e a tutte le direttive del Card. Riccardo, ecc. Di qui i contrasti per il possesso di questa o quella casa, per la regola, per l'abito, ma soprattutto per la sottomissione a questa o quella obbedienza. E quando si dice contrasti, non sono carezze. E siccome l'Ordine di S. Guglielmo e quello di S. Agostino erano presenti anche a nord delle Alpi, dalle Isole Britanniche all'Ungheria, anche in quelle terre vi fu bisogno di correre ai ripari con uomini di cervello, cuore e polso di provata capacità. In Germania fu mandato il nostro frate Guido da Staggia. Per aver notizia di quali conventi guglielmiti siano stati annessi all'O.E.S.A. in quel momento, devo ricorrere al Crusenio (Monastici Augustiniani Pars Tertia cum Addimentis P. J. Lanteri O.S.A., p. 12 e segg., nella biografia del Generale Lanfranco Settala), dove trovo nominati i conventi di Mindelheim, di Praga, di Bismark, di Weissenborn, che avrebbero fatto il passaggio di buona voglia, malgrado l'opposizione e le minacce di alcuni loro gerarchi. Per altri due conventi, invece, troviamo che si dovette ricorrere ad un arbitrato; e siccome si trovavano entrambi in diocesi di Ratisbona (= Regensburg), niente fu trovato di meglio che rimettere la questione nelle mani del vescovo Leone Thundorfer (successore di S. Alberto Magno). Costui, esaminati i pro e i contro, alla presenza dei rappresentanti delle due parti - frate Guido provinciale degli Agostiniani da una parte, i Guglielmiti dei conventi di Seemanshausen e di Schönthal dall'altra - dopo avere ammoniti i Domenicani e i Francescani a non seminare zizzania in questo campo, decise che i religiosi dei due conventi di Seemanshausen e di Schönthal si sottomettessero all'Ordine Agostiniano; e perché tutto fosse chiaro per tutti, ne fece redigere documento munito del suo sigillo episcopale, da consegnare agli interessati: "Datum Ratisbone, anno 1263, septimo idus februarii" (= 7 febbraio 1263) (Riportato per intero dal Crusenio c.s., con l'annotazione: "Originale huius testimonii exstat in Seemanshausen"). Un anno dopo frate Guido radunerà il Capitolo Provinciale degli Agostiniani d'Alemagna proprio in uno di quei due conventi già contestati, a Seemanshausen, già ricordato a proposito delle monache di Oberndorf aggregate all'O.E.S.A. A questo punto mi piace chiudere il capitolo, e il discorso su frate Guido da Staggia in Germania, con le parole del P. F. Roth: "Guido, perciò, fu l'unico provinciale che uscì vittorioso da questa contesa, e fu questo il motivo per cui l'attenzione dell'Ordine si posò su di lui".
- V -
GUIDO DA STAGGIA 2° GENERALE DELL'ORDINE (1265-1271)
Su questo titolo i nostri storici son tutti d'accordo; e lo sono anche sull'anno di elezione: 1265. Ma sul resto vi sono molte inesattezze. Ecco il Crusenio: "Lanfranco succedit Guido, qui tunc Senarum Provinciae praeerat, comitiis rursum Romae apud S. Mariam de Populo habitis" (Monastici Augustiniani, cit., p. 14). Per cominciare, egli non dice la data di questa successione; e poi se, come abbiamo visto, frate Guido in quel tempo era provinciale in Germania, non poteva esserlo contemporaneamente a Siena o altrove. In fine il luogo dove fu celebrato il Capitolo: Roma, S. Maria del Popolo. Privi di ogni documentazione in proposito, i nostri autori han giuocato sulla celebrità ed importanza del primo convento che l'Ordine ebbe nella città del Papa (E' ormai pacifico che la chiesa e convento di S. Maria del Popolo in Roma furono affidati agli Eremiti O.S.A. di Tuscia da Innocenzo IV il 27 giugno 1250, e da loro occupati qualche mese dopo. In precedenza c'erano stati i Frati Minori di S. Francesco i quali furono trasferiti a S. Maria in Campidoglio, a prendere il posto di una disciolta comunità di Benedettini. Ved. documenti in VAN LuuK, Bullarium cit., n. 70 e 74. Cfr. Analecta Aug.na, vol. IX (1921/22), p. 72 e segg.) e, come si presume che sia stato celebrato lì il Capitolo della grande unione (1256) perché Alessandro IV aveva convocato "presso la Sede Apostolica" i rappresentanti dei vari ordini che voleva unire, così i nostri storici hanno immaginato che anche il Capitolo Generalissimo del 1265 sia stato celebrato a S. Maria del Popolo, più per amore che per informazione storica. E ciò fino ai nostri tempi: basta rileggere il medaglione dal Bollettino Storico Ag.no nel mio preludio. Dal Belgio, esattamente da Lovanio, si è fatta strada la notizia di un documento che esisteva nel convento ag.no di quella città e che andò distrutto durante la guerra 1939-45 (Vedi nota 26). Il doc. in parola era stato emesso dal Capitolo Generalissimo in corso a Perugia il 7 (o 8?) maggio 1265 e destinato a frate Giovanni da Gubbio, provinciale in Francia (come Guido lo era stato in Germania) per approvare gli accordi conclusi fra quel provinciale e i Canonici del Duomo di Ypres, per la fondazione di un convento in quella città. Con quel documento frate Guido da Staggia Priore Generale, insieme coi suoi definitori, oltre ad approvare la fondazione, assegna il convento di Ypres alla Provincia di Germania. Oltre a ciò il documento in parola ci fa capire quanto segue: 1° Il Capitolo Generalissimo del 1265 - in cui frate Guido fu eletto a capo dell'Ordine - fu celebrato a Perugia e non a Roma. 2° Fu celebrato con qualche settimana di anticipo (la Pentecoste del 1265 cadde il giorno 24 maggio) perché convocato non con la prassi ordinaria, alla scadenza del triennio, ma con quella straordinaria: 9 mesi dopo la morte del Generale in carica. E questo ci fa comprendere che il Generale Lanfranco da Milano era morto ai primi d'agosto del 1264. 3° Il 7 maggio 1265 frate Guido da Staggia era già Priore Generale in carica.
Il compito di frate Guido, collocato al vertice dell'Ordine, non fu certamente facile né felice per lui; fu invece di grande interesse per l'Ordine stesso. Non erano bastati gli 8 anni abbondanti della guida di frate Lanfranco a spegnere certe remore e resistenze che si manifestavano qua e là, e dovute alle diverse impostazioni originarie che ciascuno degli ordini, ora uniti, aveva prima del fatidico 1256. Pensiamo alla rigida povertà costituzionale dei Brettinesi, in contrasto coi possedimenti e col diritto di proprietà dei Toscani; ai Poveri Cattolici "ex magna parte clerici", "paene omnes litterati" (VAN LUIJK, Bullarium cit., n. 3, bolla di Innocenzo III (18/XII/1208) "Ne quis de caetero" indirizzata a Durando di Huesca e ai suoi fratelli "qui Pauperes Catholici nuncupantur". In questo doc. il Papa approva (e la riporta ad litteram) la professione di fede cattolica fatta da Durando stesso e dai suoi adepti, dopo la triste esperienza di commistione coi Poveri di Lione e coi Valdesi. Più tardi, i seguaci di Durando riceveranno la Regola di S. Agostino e saranno chiamati "Frati dell'Ordine di S. Agostino detti Poveri Cattolici". La grande unione del 1256 ne porterà molti, se non tutti, nell'O.E.S.A.) perché nati per l'apostolato e non per la solitudine, in contrasto col minor numero di sacerdoti e col minor grado di istruzione nei Toscani, Giamboniti, Brettinesi ed ex-Gugiielmiti. Si pensi all'inurbamento richiesto dal dovere dello studio e dell'apostolato, in contrasto col segregazionismo originario degli ex-Guglielmiti; all'autonomia che avevano in precedenza le singole case dei Toscani nell'eleggere i loro priori e procuratori, a confronto con le nuove norme sui Capitoli Provinciali. E non era ancora estinta del tutto la resistenza dei Giamboniti e dei Brettinesi riguardo al modello e al colore dell'abito. Si aggiunga che la questione dei Guglielmiti - dentro o fuori dell'Ordine Agostiniano? - ebbe un ritorno di fiamma e procurò nuovi dispiaceri al nuovo Generale frate Guido da Staggia. Morto nel 1261 il Papa Alessandro IV e dopo il breve pontificato di Urbano IV (1261-64), fu per Guido una grazia celeste il trovarsi vicino al nuovo Papa Clemente IV. Questi era francese, ma al secolo si chiamava anche lui Guido; era stato eletto anche lui a Perugia (8/X/1264), e vi risiedeva ancora quando frate Guido fu eletto Generale. Ma, quel che conta, il nuovo Papa si mostrò molto benevolo verso il nostro Ordine e verso la persona di frate Guido. Né va dimenticata la presenza protettiva anche del Card. Riccardo degli Annibaldi. Così, almeno per i rapporti con la Santa Sede, il generalato dell'Eremita di S. Antonio al Bosco cominciava sotto i migliori auspici. Quanto durò il generalato di frate Guido da Staggia? Abbiamo visto che diversi autori assegnano date diverse alla sua morte, la quale avrebbe comunque interrotto il suo servizio all'Ordine. Oggi siamo in grado di affermare tranquillamente che egli fu rieletto per un secondo triennio nel Capitolo Generalissimo del 1268 e lasciò il governo dell'Ordine soltanto nel Capitolo del 1271, quando fu eletto frate Clemente da Osimo, il 24 maggio, solennità della Pentecoste. Questa scadenza la si deduce dal fatto che il 25 aprile del 1271 frate Guido risulta ancora Generale in carica e interessato alla fondazione della Chiesa di S. Agostino a Prato (Firenze).
Qui devo soffermarmi alquanto, per il fatto che la data "25 aprile 1271" è messa in discussione e retrocessa di un anno, cioè al 1270, dal P. Saturnino Lopez O.S.A., nelle sue note sui documenti da lui pubblicati sotto il titolo "De conventu Pratensi O. N.". (Vedi Analecta Aug.na, vol. VIII (1919-20) p. 284ss. Il P. S. Lopez avverte che egli trascrive il doc. da una copia semplice del sec. XVIII conservata in A.G.A. Fermo nella convinzione che il doc. in parola debba datarsi "1270", egli è costretto a retrodatare al 1270 anche la facoltà scritta che il Provinciale frate Placito ha avuta dal Generale Guido da Staggia, "Datum Spoleti XVI kal. aprilis", senza anno, e quella del Card. Riccardo "Datum Viterbii XIV kal. aprilis anno Domini 1271 apostolica sede vacante". Tutto sarebbe stato più semplice e chiaro, se il venerato autore avesse ricordato la differenza fra il "modo fiorentino" e quello "pisano" nell'usare lo "stile dell'Incarnazione". La "concordia" in parola è parzialmente pubblicata anche dal PASQUETTI G. in La Chiesa di S. Agostino e l'opera degli Agostiniani in Prato, Prato 1930, p. 23, riprodotta dal ms. "Selva di Memorie" di un certo Palli, nell'Arch. Capit. di Prato. Né il Palli nè il Pasquetti hanno dubbi sulla data "1271". Anche il Bollettino Storico Aa.no, anno VIII, n. 2 (gennaio 1932), pp. 38-43, in un articolo anonimo su "La Chiesa di S. Agostino in Prato - Toscana" riporta parzialmente la "concordia" stessa con la notizia che gli Agostiniani erano già sul posto "al Serraglio" dall'anno precedente, cioè nel 1270, ecc. Questo articolo dimostra la sua dipendenza dal vol. del Pasquetti. Comunque, al di fuori del P. Lopez, nessuno mette in dubbio la data della "concordia": 25 aprile 1271). Il primo doc. in questione è l'atto di "concordia", cioè di compromesso, tra gli Agostiniani da un lato e Don Alcampo, preposto della Pieve di Prato dall'altro, per la fondazione testé ricordata. Il testo di questa "concordia" comincia così: "In Dei nomine amen. Anno dominice Incarnationis millesimo ducentesimo septuagesimo primo, septimo kalendas maii. Indictione quartadecima. Actum Prati, in camera infrascripti domini Prepositi... Ad honorem omnipotentis Dei ..., et ad honorem et reverentiam sacrosancte Romane ecclesie et Summi Pontificis et domini Riccardi sancti Angeli diaconi Cardinalis et FRATRIS GUIDONIS PRIORIS GENERALIS fratrum Heremitarum ordinis sancti Augustini, et omnium ad quos de negotio pertinere potest. Hec est concordia inita ...". A questo punto, perché sia più chiaro il discorso susseguente, è bene ricordare che Prato nel XIII secolo non era come oggi la terza città della Toscana e non era sede vescovile. Ecclesiasticamente era una pieve in diocesi di Pistoia, politicamente era con Pistoia sotto l'influenza di Firenze; anche per il calendario a Prato si usava lo stile "ab Incarnatione", ma nel "modo fiorentino" e non nel "modo pisano". Fra la zona d'influsso fiorentino e quella d'influsso pisano c'era di mezzo tutta la zona lucchese, dove si usava ormai il calendario di stile "romano" ("a Nativitate"). Cosicché una data che a Firenze veniva scritta come "25/IV/1271", a Pisa sarebbe stata scritta: "25/IV/1272". Orbene il P. S. Lopez considerò questa data scrita nel modo pisano (ma con quale argomento?) e sentì il bisogno di togliere all'anno un'unità per portarla alla giusta corrispondenza con lo stile moderno: 1270. E portò a conferma l'argomento che la "indizione 14" competeva proprio all'anno 1270. Ma il Cappelli (Cronologia, cronografia a Calendario perpetuo, Milano, III ediz., 1969, p. 263) e il Potthast (cit., vol. II, p. 1651 fra le testimonianze dell'elezione di Gregorio X) ci mostrano, invece, che il numero indizionale "14" compete al 1271. Del resto, per verificare, basta fare le due semplici operazioni aritmetiche, tipiche del caso. Prima: Al numero dell'anno discusso (1271) addizionare 3 (anno 3 a. C., inizio del 1° ciclo indizionale): 1271 + 3 = 1274. Seconda: Dividere il totale ottenuto per 15 (gli anni che formano un ciclo indizionale): 1274:15 = 84 con resto 14; dove il quoziente 84 rappresenta i cicli indizionali già trascorsi e il resto 14 indica che l'anno di partenza 1271 è il 14° del ciclo in corso. Quindi è esatta la data "25 aprile 1271" del documento in esame. Fatta questa precisazione, notiamo che la "concordia" si apre con una dichiarazione d'ossequio e riverenza a Dio, alla Corte celeste e a quella terrestre: "ad honorem et reverentiam sacrosancte Romane Ecclesie et Summi Pontificis (notare la mancanza del nome personale del Papa) et domini Riccardi S. Angeli Diaconi Cardinalis et FRATRIS GUIDONIS PRIORIS GENERALIS fratrum...". Qui non occorrono sforzi per essere d'accordo col P. Lopez, nell'affermare che alla data del documento (25 aprile 1271) frate Guido da Staggia era ancora vivo e Generale in carica. Altrimenti il notaio, Francionetto Accompagnati, avrebbe omesso il nome personale "Fratris Guidonis", come omise il nome personale del Papa, perché in quel momento: se frate Guido non fosse stato più vivo e non più Generale sarebbe stato vacante il seggio generalizio dell'O.E.S.A., com'era vacante il soglio pontificio. Invece il nome "Fratris Guidonis" c'è, collocato vivo tra vivi e col titolo che gli competeva. Resta così stabilito che, a distanza di un mese dal Capitolo Generalissimo del 24 maggio 1271 il Generale degli Agostiniani era sempre frate Guido da Staggia. Inoltre, se frate Guido fosse morto nel corso del mese fra il 25 aprile e il 24 maggio del '71, il Capitolo non avrebbe avuto luogo, dovendo per legge trascorrere 9 mesi fra la morte del Generale in carica e l'elezione del successore; sicché frate Clemente da Osimo non sarebbe stato eletto prima del febbraio 1272; invece è dimostrato che egli fu eletto il 24 maggio 1271. Conclusione ormai chiara: Frate Guido da Staggia esercitò l'ufficio di Priore Generale dell'O.E.S.A. dai primi giorni di maggio del 1265 al 23 maggio 1271: 6 anni ben completi, dopo i quali cedette le redini a frate Clemente da Osimo. Dell'opera svolta da frate Guido al vertice dell'Ordine si parlerà nel capo seguente. Qui mi premeva fissare l'intelaiatura cronologica del suo generalato, e sfatare così le fantasiose affermazioni della sua morte nel 1268, 1269, 1270 e 1271 almeno fino al 24 maggio, e dare anche una sommaria immagine del clima nel quale egli dovette cominciare a pilotare la navicella degli Eremiti di S. Agostino.
- VI -
L'OPERA DI FRATE GUIDO GENERALE
Nel primo triennio (1265-68), come ho accennato, frate Guido poté contare sulla disponibilità e simpatia del Papa Clemente IV e, sia per tutto l'Ordine come per singole comunità provinciali o locali, ottenne interventi ragguardevoli. Una ragione non trascurabile della ritrosia di certi vescovi contro l'impianto di comunità di "frati mendicanti" era nel timore che diminuisse la frequenza dei fedeli (e le loro offerte) alle chiese parrocchiali, con conseguente diminuzione delle "decime" pagabili dai parroci al vescovo e da questo alla Camera apostolica. Tanto che, quando un vescovo annuiva alla fondazione di un convento in un centro abitato, quasi sempre troviamo registrato, fra le condizioni imposte, il divieto di portare i sacramenti ai parrocchiani moribondi a domicilio, l'obbligo di non ammettere parrocchiani defunti alla sepoltura nel cimitero o nella chiesa conventuale, più limitazioni varie nell'esercizio del culto, nel suono delle campane, sì da scoraggiare i fedeli dal frequentare le chiese dei frati; più certe tassazioni da pagare in moneta o in libbre di cera al vescovo, al capitolo della cattedrale, al parroco del luogo. Negli stati oltre le Alpi e anche nell'Italia del nord ci fu una vera sollevazione ancor più pretestuosa che, in parole povere, si può racchiudere in questo concetto: Sono eremiti! Perciò restino nei loro eremi fra i monti e nei boschi; e non vengano a dar fastidio in città, contravvenendo alle loro regole. Ed ecco ciò che frate Guido riesce ad ottenere dal Papa:
1265 - 22 giugno - Clemente IV esenta l'O.E.S.A. dal pagare le tasse sulle offerte dei fedeli alle nostre chiese, e dalle percentuali ai parroci sui funerali ("Devotionis augmentum", Empoli p. 61, n. 1).
1266 - 7 giugno - Il Papa scrive al vescovo di Lucca, Enrico I, pregandolo di cedere agli Agostiniani la chiesa di S. Colombano perché possano fondarvi accanto il convento (BARSOTTI M., La Coronatione..., p. 124). Il giorno dopo scrive al Card. Riccardo Annibaldi, impegnandolo a tutelare i nostri frati della Provincia Pisana contro certi molestatori ("Sub religionis", Empoli, p. 62, n. 3). E' del 13 luglio 1266 la "Pacis vestrae" (Empoli p. 61, n. 2) con la quale Papa Clemente stabilisce che i nostri religiosi non possano esser chiamati in causa da alcuno, col pretesto di ordini pontifici, se non quando tali ordini facciano espressamente il nome degli Agostiniani. Due giorni dopo ("Quasdam litteras", Empoli p. 62, n. 4) rinnova il privilegio dell'altare portatile, già concesso da Innocenzo IV.
1268 - 2 maggio - Il Papa rinnova per gli Agostiniani di Tuscia la bolla detta il "Mare magnum", cioè "Religiosam vitam eligentibus", di cui oggi è difficile spiegare la ragione, dal momento che diritti, benefici e privilegi concessi in questa bolla erano già prima estesi a tutto l'Ordine. Numerose sono le indulgenze a favore di nostre chiese con motivazioni varie, per es.: 1266, 27 nov., un anno e 40 giorni ai visitatori della chiesa dei Ss. Antonio e Lucia di Rosia per la sua consacrazione, eseguita dall'agostiniano Imerio Guardalupo vescovo di Accia in Corsica (da non confondere con Aiaccio) (Originale dell'indulgenza in A. S. SIENA, Diplomatico, alla data; vedi spoglio B 54, f. 154r. La notizia della consacrazione della chiesa da parte di Imerio, in vari cronisti O.S.A.; che Imerio fosse dell'O.E.S.A., vedi EUBEL, Hierarchia Catholica, vol. I, p. 67); 1267, 27 maggio, 100 giorni alla chiesa di S. Colombano di Lucca (già in mano degli Agostiniani) per la festa titolare di S. Colombano (Originale in A. S. LUCCA, Diplomatico, alla data; v. Notulario S. Agostino I, p. 66); 1268, 26 giugno, 100 giorni per la costruzione di S. Giacomo Maggiore di Bologna; e altre simili. Ma il Papa non aveva da pensare, naturalmente, soltanto agli Agostiniani. Anzi, pochi mesi dopo l'elezione di frate Guido al generalato, cioè il 20/XI/1265, Clemente IV senza volerlo creò un grosso grattacapo al nostro Generale e a tutto l'Ordine. Alludo al famoso "privilegio delle 300 canne" a favore dei Domenicani: "Ad consequendam gloriam" (Potthast n. 19455). In forza di questa bolla, nelle città e paesi dove si fossero già installati i Domenicani, nessun altro ordine poteva fondare un proprio convento a distanza minore di 300 canne (= m. da 875 a 900) da quello dei frati Predicatori. Due giorni dopo ("Sane non sine", Potthast n. 19462) estende il privilegio a favore dei Francescani e aggrava la faccenda col nominare esplicitamente i religiosi coinvolti nel divieto: fra questi gli Agostiniani. La distanza minima obbligata di 875 metri poteva risultare innocua nelle grandi città, ma nei piccoli centri creava forti imbarazzi. Se Domenicani o Minori avessero già preso posto dentro le mura castellane, chi fosse giunto dopo di loro avrebbe dovuto accamparsi fuori delle mura. Ecco due casi a titolo di esempio. E' del 20 giugno 1266 ("Vestram et vestri", Potthast n. 19705) l'ingiunzione di Papa Clemente agli Agostiniani di Monterubbiano (Ascoli Piceno) di interrompere la costruzione del loro convento perché fondato a meno di 300 canne da quello dei Francescani. Il caso di Fano (Pesaro) è ancora più clamoroso. Qui, gli Agostiniani di S. Stefano in Padule, con contratto dell'11/III/1265 (vacante il vescovato di Fano, vacante il generalato dell'O.E.S.A. e prima della bolla delle 300 canne) avevano acquistato la chiesa di S. Lucia dentro le mura di Fano, per trasferirvisi. Ma non poterono farlo subito perché occorreva attendere il consenso del futuro vescovo. Nel frattempo: 1/7 maggio 1265, frate Guido da Staggia è il nuovo Generale dell'O.E.S.A.; 4 ottobre '65, Fano ha il nuovo vescovo Morando; 20/22 novembre '65, escono le bolle delle 300 canne. Il 5 aprile 1266, il vescovo Morando approva, con alcune pesanti riserve, la cessione di S. Lucia agli Agostiniani. Questi si muovono per costruire; i Domenicani si muovono per impedirlo. Tutto è messo in discussione: il primo contratto, la sollecitazione del Card. Simone di S. Martino, la firma del vescovo Morando; la città, come al solito, si divide in fazioni pro o contro questi o quelli. Ma intanto i religiosi che erano stati sacrificati dal privilegio delle 300 canne, compreso il nostro Generale Guido da Staggia, avevano certamente perorato la loro causa presso la Santa Sede; sicché il 28 giugno 1268, con la bolla "Quia plerumque" diretta a Domenicani e Francescani, riduce da 300 a 140 canne la distanza privilegiata a loro favore (Per le bolle delle 300 e delle 140 canne v. POTTHAST, nn. 19455, 19462, 20373). Il 24 agosto 1268, nuovo contratto per S. Lucia tra il vescovo Morando e frate Rinaldo da Civitanova "sindico ... conventuum et locorum et fratrum de Brictinis ... et S. Stephani de Paduli" nel quale, fra l'altro, è convenuto che frate Rinaldo o chi per lui pagherà la somma pattuita "quando continget fratres ordinis memorati Heremitarum S. Augustini, qui nunc sunt vel in futuro erunt, habere et possidere ecclesiam S. Lucie de Fano". Questo dimostra che almeno fino al 24 agosto 1268 i nostri frati non avevano potuto metter piede a S. Lucia ed erano rimasti bloccati nel "Padule". Più tardi vi entreranno; ma non sarà un possesso pacifico; tanto che il 27 agosto 1271 la milizia comunale di Fano occuperà a mano armata la chiesa di S. Lucia "per impedire che avvengano disordini"; e ci vuole un patto scritto perché siano incolumi le persone e i diritti dei frati Agostiniani (Fano, BIBLIOTECA FEDERICIANA, Mss. del fondo Amiani, cart. 7, fasc. 10. Questo fascicolo contiene la trascrizione (sec. XVIII) di vari docc. che erano allora nell'archivio del conv. di S. Lucia; comincia con la "Religiosam vitam eligentibus" di Innocenzo IV ai Brettinesi (VAN LUIJK Bullarium, n. 96), finisce con un questionario sul comportamento del vescovo Morando in relazione alla vicenda da me riferita: "Quaestio talis est". Il doc. origin. dell'occupazione armata di S. Lucia è in A. S. FANO, Diplomatico, alla data, accompagnato da trascrizione eseguita dal P. S. Lòpez nel 1930. Mi sono diffuso alquanto sulla vicenda fanese per completare, e in parte correggere, ciò che scrissi nel mio studio su "S. Stefano in Padule di Fano" (Fano 1977) circa il momento del trasloco dei nostri a S. Lucia. Allora ammisi che ciò potesse essere avvenuto alle soglie dell'inverno del 1266; ma i nuovi dati acquisiti spostano l'evento a dopo il 24 agosto 1268). Ma ormai frate Guido da Staggia non era più a capo dell'Ordine, e queste faccende non lo sfioravano piu. I due casi di Monterubbiano e di Fano ci dicono come il tempo di frate Guido, e quindi il suo governo, non fosse un periodo facile nel quale bastasse una supplica o un sorriso a muovere cielo e terra. Senza un pilota "risoluto e riservato" - "strenuus et discretus lo definisce Enrico di Friemar - (Riferisco da "Guido von Stagia" di P. F. ROTH cit. in Cor Unum 1951, p. 19) la fragile barca dell'Ordine Agostiniano avrebbe anche potuto naufragare. Ma i suoi problemi non erano limitati a certe ostilità per le fondazioni di conventi urbani. C'era la questione fondamentale delle osservanze religiose: fra le altre il voto di povertà. Se per alcuni, come gli ex-Brettinesi, poteva essere abbastanza facile per avere istituzionalizzata la povertà assoluta fin dalle origini, non lo era affatto per i Toscani, in gran parte provenienti da comunità già proprietarie, alcune di molti altre di pochi beni. Quindi, oltre la disparità di condizioni originarie, fra i vari gruppi uniti nel 1256, c'era disparità anche all'interno di uno stesso gruppo: la Cella di Prete Rustico (Lucca) aveva un reddito annuo netto di 200 libre lucchesi, l'eremo di Cerralto (progenitore di S. Maria in Selva) soltanto di 10; l'eremo di Lecceto pagava una decima di 24 libre e 10 soldi senesi (= reddito netto minimo: libre 245), l'eremo di Larniano (Montecatini Val di Cecina) pagava 7 libre e 5 soldi (= reddito: Libre 72 e 10 soldi); questi sono pochi esempi, ma eloquenti. (Rationes Decimarum Italiae - Tuscia I, numeri (nell'ordine delle mie citazioni): 4872, 5239, 2518, 3070). Orbene, nel settembre 1266 troviamo che il Generale frate Guido è in Toscana e precisamente nell'eremo di S. Salvatore di Cascina (quello famoso per il Cap. Gen. dei 61 eremi nel 1250), da dove - insieme col Priore Provinciale frate Giacomo da Uliveto - scrive il documento che segue: "Patres frater Guido prior generalis O. E. S. Augustini et frater Iacobus eiusdem ordinis prior provincialis in Pisana Provincia, facimus, ordinamus, constituimus fratres Stephanum priorem de Morillone et Baronem priorem de Chifenti, procuratores et sindicos et nuntios speciales nostro nomine et fratrum Pisane Provincie ad distribuendum redditus. Datum apud nostrum heremum S. Salvatoris Montis Pisani anno 1267 [stile pisano] decimo kalendas octobris" (=22 settembre 1266) (BARSOTTI M., "La Coronatione ... di Maria Vergine detta del Sasso nella Chiesa di S. Agostino di Lucca", Lucca 1693, p. 132, che dice conservato il doc. nell'archivio di S. Agostino di Lucca; ma nel fondo agostiniano dell'A. S. Lucca non l'ho trovato). Se questo documento non è stato ridotto ai minimi termini dal Barsotti, è proprio lo specchio della risolutezza e riservatezza che viene attribuita a Guido. Manca l'apertura solita "In nomine Domini", manca una qualunque motivazione religiosa o disciplinare, manca una scadenza al mandato dei due procuratori; e poi "distribuire i redditi": quali? a chi? ai singoli religiosi o alle comunità? in che modo? Niente di tutto questo. Stile telegrafico! E chi ha orecchi per intendere intenda! Le istruzioni le ebbero certamente i due procuratori a parte. L'importante era che certi eremi non avessero di troppo e altri troppo poco. A proposito dello stile di frate Guido, dopo letto il doc. qui sopra, mi pare di trovare una conferma - salve certe peculiarità spiegabili - anche nel doc. di delega relativo al convento di Prato; credo, perciò, che valga la pena, per confronto, riportare anche questo (Inserto nella "concordia" già trattata; v. nota 39): "Frater Guido Generalis prior ordinis Heremitarum S. Augustini, religiosis viris priori provinciali Provincie Pisane et conventui de Prato, Heremitarum ordinis S. Augustini salutem in Domino. Auctoritate nostra quam habemus super predicto ordine, vobis componendi pacificandi et concordiam faciendi cum preposito et canonicis maioris Ecclesie de Prato super questione que vertitur inter vos ex una parte, et ipsos ex altera, plenam auctoritate presentium concedimus potestatem, ratum habituri et firmum quicquid in hac parte duxeritis faciendum. In cuius rei testimonium presentes fieri fecimus litteras et nostri sigilli munimine roborari. Datum Spoleti XVI kalendas aprilis" (= 17 marzo; manca l'anno, ma sappiamo essere il 1271) (Sapendo dal P. A. LUBIN O.S.A., Orbis Augustinianus, Parigi 1672, p. 217-18, che il conv. di Spoleto era stato fondato nel 1265 (aggiungo: presso la preesistente chiesetta di S. Nicolò, come per il S. Colombano di Lucca), proprio l'anno che vide a Perugia frate Guido eletto Generale, non è astruso pensare che il convento spoletano sia stato la prima fondazione voluta da Guido - prima di lasciare l'Umbria - per dare una sede principale ad una nuova provincia (= della Valle Spoletana), visto che i più importanti conventi umbri - Perugia e Orvieto - appartenevano alla Prov. Romana. Il fatto poi che, quasi allo scadere del suo mandato, frate Guido si trovi a Spoleto (17/111/1271) - se si accetta la premessa - fa pensare che egli si trovasse là per controllare lo sviluppo di quel convento e per dare corpo alla nuova Prov. Spoletana. Questa, infatti, la troviamo nominata per la prima volta l'anno seguente (1272) nella concessione del vescovo di Gubbio per la fondazione del conv. di Cantiano (Pesaro): "... fratri Mattheo Provinciali de Valle Spoletana". Cfr. Analecta Aug.na, vol. II (1907-08) p. 439-40 che cita il Torelli. Il Provinciale Matteo qui nominato è quel Matteo Eschini spoletano che più tardi sarà vescovo di Faenza. Costui, nel 1309, poserà la prima pietra per la nuova monumentale chiesa di S. Nicolò a Spoleto, che tuttoggi si ammira). Certe differenze si devono al fatto che il doc. del 1266 è una nomina decretata stando in mezzo ai frati ai quali è destinata, ad uso interno della Provincia Pisana; invece questo del 1271 è una lettera da servire come credenziale presso un'altra autorità, cioè il Preposto della pieve di Prato. Ma lo stile è quello. Nel corso di questo studio si è più volte accennato a fondazioni di conventi qua o là, più o meno fugacemente, secondo l'assunto del momento; ora mi piace posare l'attenzione su due nomi, Lucca e Pisa, perchè, se molti conoscono il S. Agostino di Lucca e più ancora il S. Nicola [da Bari] di Pisa, non sono proprio molti coloro che conoscono i predecessori di questi due conventi e che si debbono proprio all'opera di Guido da Staggia e allo stesso periodo di tempo.
Cominciamo con Lucca. Fin da prima di muoversi per la Toscana, frate Guido dovette avere nel suo programma organizzativo un nuovo convento in Lucca: era un centro troppo importante e, per di più, circondato da numerosi eremi agostiniani; non mancavano, quindi, uomini e mezzi per realizzare un ambizioso progetto. Forse fu proprio lui a presentare al vescovo di Lucca, Enrico I, la citata lettera di raccomandazione del Papa Clemente IV (27/VI/1266). Qualche mese dopo, infatti, troviamo che i due procuratori, Stefano di Moriglione e Barone di Chifenti, acquistano il terreno necessario presso la chiesa di S. Colombano (A. S. LUCCA, Notulario di S. Maria di Corteorlandini, vol. II, p. 41. Qui è riassunta, con dato cronologico generico "secolo XIII", la copia legale del notaio Inghifredo Bongiorni dal registro del notaio Bartolomeo. Essendo malridotta la pergamena, ne risulta lacunoso il transunto: "Don Alamanno arciprete di S. Martino [= la Cattedrale] di Lucca, Rettore dell'ospedale e con i canonici del Capitolo lucchese ... vendono ai frati ... Barone priore dell'eremo di Moriglione [sic] dell'Ord. degli Eremiti di S. Agostino della Provincia di Lucca ovvero Pisana, sindaci e procuratori costituiti da frate Guido Priore Generale di tutto l'O.E.S.A. e da frate Giacomo Provinciale", il terreno presso S. Colombano. Pur nella scorrettezza del testo, si capisce che l'acquisto del terreno è posteriore alla nomina dei due procuratori (23/IX/l266) e non può risalire al 1255 come si trova scritto in Bollettino Storico Ag.no, anno VIII n. 3 (marzo 1932), p. 81). Per affrettare la realizzazione, Guido si provvede di altri appoggi: le lettere del Card. Riccardo e del vescovo Enrico dirette al Capitolo della Cattedrale (22/111/1267), invitanti a cedere S. Colombano agli Agostiniani col consenso a costruirvi accanto un convento (BARSOTTI M. cit., p. 124, che a margine cita la fonte: "Lambertus Paganellus Rape, die 22 martii an. 1267 in tabulario Lucensis monasterii S. Augustini, arca 1). Due mesi dopo gli Eremitani risultano già insediati a S. Colombano, visto che il 27 maggio 1267 il Papa accorda indulgenza di 100 giorni ai fedeli visitanti quella chiesa "dei frati O.E.S.A." nella festa del titolare S. Colombano (vedi nota 40). Nel 1291, il 3 dicembre, Papa Nicolò IV estenderà tale indulgenza alle feste di S. Agostino e di S. Paolo Primo Eremita e rispettive ottave (A. S. LUCCA, Diplomatico, alla data, originale con bollo plumbeo pendente; v. Notulario S. Agostino I, p. 129). Il convento si era intanto ampliato nello spazio, nelle strutture, nel numero e nel buon nome dei religiosi: nel 1296 ve n'erano venti (Bollettino Storico Ag., anno VIII, n. 3 (marzo 1932) p. 82). Ma i tempi si evolvevano; frate Guido era già da un pezzo nel numero dei più; e nel 1317 un altro Generale, Alessandro da S. Elpidio, prenderà l'iniziativa per la fondazione del "S. Agostino" dentro le mura (A. S. LUCCA, Diplomatico, alla data: 11 ottobre 1317; Da Avignone, al Provinciale della Prov. Pisana e al Priore del convento di Lucca. Ved. Notulario S. Agostino, p. 189). Nel 1322 il "S. Colombano" sarà venduto al "vescovo di Aquilegia" (A. S. LUCCA, Diplomatico, alla data 1321, febbraio 28; originale, "Actum Florentie" nel conv. di Ognissanti. Essendo il doc. redatto a Firenze con data anteriore al 25 marzo, bisogna correggere l'anno: 1322), e nel 1519 sarà demolito per fare spazio alle nuove mura urbane. Il nome di S. Colombano sarà dato, in sua memoria, al baluardo che ne occupa lo spazio.
Passiamo a Pisa. La vera storia del primo insediamento agostiniano dentro le mura di Pisa l'aveva già profilata l'attentissimo P. S. Lopez in Analecta Aug.na (Vol. VIII (1919-20) p. 300 e segg.: "De conventu Pisano") nel lontano 1920. Ma conviene rimetterla in luce per più motivi: per alcuni testi che il P. Lopez non trovò; perché questi coinvolgono direttamente il nostro frate Guido da Staggia; perché siano informati - se vogliono - coloro che disdegnano, o non possono, leggere i grossi tomi della vecchia Analecta Augustiniana, scritti tutti in latino. Fino alla grande unione i nostri, che pure avevano numerosi eremi intorno a Pisa, non avevano un convento in città. Ma nel programma di inurbamento, come si era provveduto a Firenze e Siena, e si stava provvedendo a Lucca, non si poteva trascurare Pisa. Ed ecco come vanno le cose (trascrivo da un codice ms. che presento in nota): "n. 181 - Nel 1267, 10 settembre [st. pisano, quindi: 1266]: Don Leonardo Arciprete del Duomo di Pisa, assieme col Capitolo de' Canonici di detta Chiesa donò al P. Giacomo da Oliveto, Provinciale de' Romiti della Provincia Pisana dell'Ordine de' Romiti di S. Agostino, ed assieme [= contemporaneamente] Priore conventuale del Romitorio di S. Salvatore sopra Vico, uno staioro di terra posto in Pisa sotto ad un pezzo di terra di raggione del Duomo e suddetto Capitolo, posto in Pisa vicino la Chiesa di S. Agnese. [Il] qual staioro è confinato a 1° via pubblica che è appresso le muraglie della città, 2° terra degli eredi di Alberto Sbrigati, 3° carraia pubblica che è tra detta terra e la Chiesa di S. Agnese per cui si va alla porta della città detta de' Lecci, 4° chiasso comunale; acciò vi fabbrichi una chiesa sotto il titolo di S. Agostino, e questa per sé e suoi Romiti e tutta l'università de' Romiti. Con patti, che la detta Chiesa sia sotto il titolo di S. Agostino; che detta Chiesa sia in perpetuo in padronato del Capitolo de' Canonici; che ogni anno per la festa dell'Assunta diino, o nel tempo della Messa cantata oppure del Vespro, due candele di una libbra per candela; che invitino il Camarlingo del Duomo alla festa di S. Agostino acciò venga con chi gli piace e canti la Messa; che non possino fare alcuna festa che impedisca le funzioni del Duomo; che non ricevino, e diino sepoltura in detta Chiesa da fabbricarsi ad alcuno che sia forestiero, e [?] della cura del Duomo; e che ogni Priore nel termine di otto giorni che sarà venuto al possesso di detta Chiesa e Romitorio, debba andare ad inchinare il Capitolo del Duomo, riconoscendolo come padrone di detta Chiesa; ed in caso [che] non si fabbrichi detta Chiesa, sia la donazione nulla. Rogò il contratto ser Bartolomeo notaio ... nel chiostro della Chiesa Maggiore ...; testimoni ... e frate Giacomo da Parrana. Nell'istesso giorno, cioè 1 settembre 1267 [= 1266]. Il suddetto P. Giacomo da Oliveto ... comprò ... dal suddetto Arciprete e Capitolo del Duomo un pezzo di terra posto in Pisa vicino a S. Agnese ed indiviso dal suddetto donatogli e confinato in tutto e per tutto come quello di sopra, di misura staiora sette, e col donato di staiora 8, per prezzo di lire 60 lo staioro. Quale vendita fecero i Canonici per comprare ... [altro terreno altrove]. Rogò il suddetto notaio in detto luogo e con detti testimoni".
"N° 183 - Nel 1267 [= 1266], 17 settembre. Don Bernardo Abbate dei Ss. Eugenio e Vito assieme co' suoi monaci dà facoltà al P. Guido, Generale di tutto l'Ordine de' Romiti di S. Agostino, di fabbricare e Chiesa e Capitolo nel territorio donatole [sic] dal Capitolo del Duomo, essendo detto territorio nella sua cura di S. Vito, con patto però che annualmente diino una candela di mezza libbra il giorno dell'Assunta di Maria Vergine, che non pregiudichino [gli Agostiniani] il jus della Chiesa parrocchiale di S. Vito e [di] S. Agnese, che ne' 5 giorni di Pasqua non confessino alcuno che sia della suddetta parrocchia senza loro consenso, e non ricevino alcuno alla sepoltura che sia di loro cura, se non per pura devozione [?], e che tali patti siino confermati da tutto il Capitolo Generale de' Romiti, con obbligo di non impetrare alcuno benefizio o grazia contro detti patti, e gliene diino copia della conferma. Rogò ser Leopardo Carnelevaie ...; testimoni li sigg. Canonici ... intervenuti per il loro Capitolo e juspatronato su detta Chiesa costruenda; e ... altri
". (Pisa, ARCH. CAPITOLARE, cod. C 167. Cartaceo del secolo XIX, cm. 32 x 22, legato in cartone con dorso in pergamena, numerazione interna per fogli; composto di ff. 250 numerati + 40 non numerati + 1 in principio e 3 in fine in bianco. Titolo sul dorso: "Transunto delle carte ant[iche] di S. Niccola di Pi[sa]". E' la copia eseguita da un tal Giuseppe Rossi, vidimata dal "P. Girolamo Cervelli camarlingo e custode dell'archivio del suddetto convento". Ambedue le firme sono accompagnate alla data "3 febbraio 1808". Al f. n. 1 è riprodotta l'intitolazione originale: "Estratto di tutte le cartapecore che si ritrovano nell'archivio del V[enerabile] M[onastero] di S. Niccola di Pisa. Fatica fatta dal P. Maestro Ferri agostiniano da Genova in tempo che egli è stato Superiore in capite del medesimo convento, cioè in cinque anni e mesi [sic] continovi. Avvertasi però che di tutte queste pergamene in numero di 1238, solo 260 spettano al V. M. da che fu abitato da' Padri Agostiniani e sono segnate colla lettera A". Il P. Ignazio Ferri di Celle Ligure fu nominato priore di S. Nicola a Pisa nel Cap. Gen. del 1721: penso che sia questo l'autore il quale, con epicheia geografica, si dice di Genova. Nel codice si trovano anche transunti di docc. riguardanti altri nostri eremi; fra questi il più antico è il n. 69 (f. 15) nel quale frate Ilario priore di S. Salvatore di Cascina paga libre 40 al Rettore di S. Frediano di Pisa, a riscatto di un'ipoteca: "5/11/1230").I due transunti riportati ci dicono chi, come e quando ha fatto i primi passi per l'insediamento degli Agostiniani dentro le mura di Pisa: gli stessi che pochi giorni dopo firmeranno il decreto, già visto, "ad distribuendum redditus", cioè il Generale Guido da Staggia e il Provinciale Giacomo da Uliveto. Si intuisce anche che frate Guido, il giorno 17/IX/1266, era a Pisa non solo per l'autorizzazione da chiedere all'Abate di S. Vito, ma anche per controllare di persona il terreno acquistato da frate Giacomo. A proposito, dov'era situato? Tenuto conto che la Chiesa di S. Agnese era nell'angolo fra Via Volturno e Via Nicola Pisano (verso l'Arno), che la "Carraia" era il nome dell'odierna Via Volturno e si trovava stretta fra la Chiesa di S. Agnese e il terreno comprato dai frati, quest'ultimo era nell'angolo fra Via Volturno e Via Nicola Pisano verso Via E. Fermi (che allora non esisteva). Calcolando che 8 staiora di superficie corrispondono a un quarto di ettaro (circa mq. 2500/2800), il terreno dei frati doveva affacciarsi su Via Nicola Pisano fra gli attuali sbocchi di Via Volturno e della modernissima Via Enrico Fermi, spingendosi dentro le due vie parallele per un tratto di circa 50 metri, limitato da un vicolo (il "chiasso comunale") oggi scomparso, il quale doveva essere parallelo a Via N. Pisano (Ho potuto ricostruire l'ubicazione mettendo a raffronto con una pianta moderna di Pisa le piantine e i testi prodotti da Emilio Tolaini in "FORMA PISARUM", Pisa 1967, facendo perno sulla chiesa di S. Agnese chiaramente indicata nelle piantine antiche). Nel citato cod. C 167 non ho trovato altri docc. o notizie del "S. Agostino" pisano fino al 1285. Il 4 giugno di quest'anno donna Orlandinga, ved. di Ildebrando Porco, si fa terziaria agostiniana, donando se stessa e tutti i suoi beni alla Chiesa di S. Agostino. L'atto fu rogato "nel coro della detta Chiesa di S. Agostino, dove si celebra la Messa" (f. 55r, n. 247, st. pisano 1286, 4/VI). Nel 1292 Andrea della Seta, fu Michele, novizio agostiniano, fa testamento e, dopo due lasciti a favore della mamma Villana e della sorella Cilla, fa erede universale il "Convento di S. Agostino in Pisa, a nome di cui fa professione" (f. 60r, n. 270). E' registrato anche un lascito di tal Bonvicino pisano, infermo a Parigi, in data 26/XII/1293. Ma ormai da tre anni, con la delega del Generale Clemente da Osimo, era scattata l'operazione "S. Nicola" che si concretò poi con l'ingresso degli Agostiniani in questa chiesa il 14 maggio 1294. E del convento di S. Agostino, fondato da Guido da Staggia, nessuno parlerà più; neppure la topografia pisana.
Troviamo il nome di frate Guido legato anche allo sviluppo del convento di S. Spirito a Firenze (fondato nel 1251), per l'autorizzazione che egli concesse al priore di S. Spirito di vendere in blocco edifici e possessi dell'eremo di S. Matteo in Arcetri, al fine di impiegare il ricavato per lo sviluppo delle strutture del S. Spirito stesso. Il fatto che la licenza data da frate Guido sia citata insieme ad analoga del Provinciale frate Giacomo, già incontrato nelle pagine precedenti, mi induce a pensare che, insieme, il Generale e il Provinciale abbiano visitato anche S. Spirito e S. Matteo e, insieme, abbiano presa la decisione di vendere il secondo per accrescere le capacità del primo. E non mi pare che a ciò si opponga il fatto che simile licenza sia stata accordata anche dal Card. Riccardo Annibaldi. Il documento che ricorda come un antefatto questa triplice licenza a vendere l'eremo di Arcetri è del 1279 (Analecta Augustiniana, XII (1927-28), p. 107, doc. n. 16 della serie "Nonnulla documenta florentina", pubblicata dal P. S. Lopez OSA) e non riferisce le date dei tre documenti; ma il fatto di ritrovare insieme al Generale lo stesso Provinciale frate Giacomo mi fa credere che ciò sia avvenuto nell'autunno del 1266 (dopo Lucca e Pisa), nel tempo insomma che frate Guido svolse la sua visita in Toscana; tanto più che, tre anni dopo, a S. Matteo risulta già viva e vitale una comunità "dominarum inclusarum", cioè di monache (IBIDEM, idem. Vedi anche REPETTI E., Dizionario ... della Toscana, vol. II, p. 683 voce "Lepori, monastero di", il quale colloca la vendita proprio al 1269, a favore di tre donne che furono poi le fondatrici delle "dominarum inclusarum"). Quel processo che ho chiamato inurbamento non era né doveva essere fine a se stesso. E se, nei centri minori ciò era finalizzato all'esercizio dell'apostolato, per le fondazioni nelle più grandi città c'era la mira specifica di dare una propria dimora ai giovani religiosi che dovevano frequentare le scuole di grammatica, filosofia, teologia, sì da procurare all'Ordine gli elementi preparati per creare, poi, scuole proprie nell'Ordine stesso. In questo piano, come il predecessore Lanfranco da Milano aveva provveduto alla fondazione di un convento a Parigi, il nostro Guido ne volle fondato uno a Oxford, nel 1268 (P. F. ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, p. 28, il quale in nota 373 cita le fonti: "Document of foundation in Charter Roll 52 Henry III (C 53/57 m 7). Little in Victoria County History-Oxford II (London 1907), 143-148"), per i giovani da mandare a quello "studium"; e il convento stesso diventerà in seguito "studium generale" dell'Ordine Agostiniano.
Nel capitolo precedente ho accennato ad un ritorno di fiamma dei Guglielmiti, particolarmente nell'Europa del nord. Vista oggi, filtrata dai secoli, la vicenda fu meno drammatica di come poté apparire a Guido da Staggia, solo tre anni prima protagonista e vincente, e agli storici dei secoli passati. In pratica andò così. L'uscita degli Agostiniani dagli eremi verso le città faceva sì che diversi di questi eremi rimanevano disabitati, e fra di essi anche alcuni che erano appartenuti ai Guglielmiti e poi passati all'O.E.S.A. Fu così che l'Ordine di S. Guglielmo, visto che certi edifici agli Agostiniani non servivano praticamente più, ne richiese la restituzione. Nella tensione fra "lo voglio" e "non te lo do" si dovette arrivare all'arbitrato del Card. Riccardo, forse con tanta speranza da parte dei nostri e di frate Guido in particolare, essendo l'eminente arbitro anche il "protettore" degli Agostiniani. Ma il Cardinale, con sentenza del 31/VII/1266, stabilì la restituzione di varie case ai Guglielmiti, comprese alcune tuttora abitate dai nostri; e il Papa Clemente IV, con la bolla "Ea quae iudicio" del 29 agosto successivo, confermò l'arbitrato del Card. Riccardo (CRUSENIO cit., pp. 14-19, riporta la lettera pontificia, ma al punto che dovrebbe riprodurre inserto alla bolla il testo della sentenza del Card. Riccardo, lo storico se la sbriga con un "etc.". Vedi POTTHAST n. 19807). I documenti registrano qualcosa della storia, ma la storia la fanno gli uomini. Non è così? E il ricordato provvedimento a favore dei Guglielmiti non poté non ferire l'animo di Guido che in Germania - mandatovi per obbedienza - aveva lavorato con tanto zelo ad una costruzione che ora, dopo soli 3 o 4 anni, vedeva in parte demolita da chi prima l'aveva approvata. Non solo! Il citato provvedimento dovette rinfocolare anche l'avversione del clero diocesano contro gli "eremiti" che volevano "entrare in città". Meno male che nel 1268, 30 gennaio, Clemente IV, a richiesta di frate Guido, si degnò scrivere "Archiepiscopis, episcopis ... per Alemaniam" esortandoli a desistere da questa avversione per le fondazioni agostiniane nelle città (P. F. ROTH, "Guido von Stagia" cit., p. 19, afferma che analoghe lettere di Clemente IV furono indirizzate ai vescovi dell'Aquitania (sud-Francia) e della Spagna; ma io non son riuscito a trovarne traccia). E' la bolla "Hos qui relictis" la quale, dopo la consueta arenga, affronta così l'argomento: "Sane dilecti filii Generalis et alii fratres Eremitae S. Augustini nobis significare curarunt, quod nonnulli vestrum"; dove è evidente il ricorso di frate Guido "Generalis" al Papa, per far cessare la guerriglia dei pretesti contro l'Ordine Agostiniano (CRUSENIO cit., p. 15). L'anno 1268, oltre la bolla citata qui sopra, oltre la riduzione delle famose 300 canne, e altri eventi minori, fu testimone di due fatti importantissimi per questa storia. Il primo è la rielezione di frate Guido da Staggia alla guida dell'Ordine. Fu un evento importantissimo per Guido stesso perché il vedersi rieletto fu come una firma di approvazione dei confratelli al suo operato; e questo, almeno in quel momento, deve averlo molto consolato; fu importantissimo per l'Ordine per le ragioni che vedremo dopo, spiegando il secondo evento. Il fatto della rielezione è dimostrato certissimo dal documento pratese discusso nel cap. precedente: nell'aprile 1271 Guido era ancora Priore Generale; ciò non sarebbe stato possibile senza che - alla scadenza del primo triennio - fosse stato rieletto. Ma dove, quando, fu celebrato il Cap. Generalissimo del 1268? Il "quando", tenuto conto del costume di allora nell'O.E.S.A., mi pare che si possa risolvere con certezza collocandolo al 27 maggio, solennità della Pentecoste. Il "dove" a è impossibile stabilirlo, allo stato della documentazione oggi nota. In quel momento il Papa Clemente IV dimorava a Viterbo, e di lì emanò le due bolle "Quia plerumque" del 5 e 28 giugno per la faccenda delle 140 canne. Può essere stata una grazia voluta fare agli Agostiniani, dopo aver visto da vicino il loro Capitolo e il consenso confermato a Guido? Tutto può essere, ma può anche essere tutt'altro. Il secondo evento importantissimo, e negativo purtroppo, del 1268 fu la morte del Papa Clemente IV, a Viterbo il 29 novembre. D'accordo! Alle spalle del Generale c'era sempre il Card. Riccardo Annibaldi, Diacono di S. Angelo, Protettore dell'O.E.S.A., ecc. Ma intanto la Chiesa Cattolica era senza capo visibile, e i Cardinali avevano altro da pensare che a consigliare o favorire questo o quell'ordine religioso. I Cardinali allora erano 21, dei quali due erano fuori d'Italia per ragioni diverse. In 19 presenti e radunati a Viterbo, impiegarono quasi tre anni a eleggere il nuovo Papa, che fu poi uno dei due assenti (Tedaldo (o Teobaldo?) Visconti, di Piacenza, fu eletto Papa il 1 settembre 1271, mentre era in pellegrinaggio in Oriente. Rimise piede in Italia, a Brindisi, il 1 gennaio 1272; arrivò a Viterbo il 10 febbraio, dove assunse il nome di Gregorio X; il 13 marzo arrivò a Roma dove, il 27, fu incoronato. Vedi Potthast vol. II pp. 1651-53. Ho dato questi particolari per evidenziare il travaglio della Chiesa in quel momento storico: dopo tre anni circa di sede vacante, ancora sei mesi, prima che il Papa fosse "completo" e "governante"). E sappiamo anche come reagirono i Viterbesi di fronte alle lungaggini e alle risse dei Cardinali, rinchiudendoli a chiave nel palazzo papale - con la minaccia di farli morire di fame - finché non avessero eletto il Papa. Con la Chiesa priva della sua guida normale, col collegio cardinalizio che perdeva tempo in litigi per il potere, con le potenze politiche in Italia e fuori in fermento, con guerricciole e scorrerie che periodicamente distruggevano o, quanto meno, depredavano qualche eremo non protetto da salde mura castellane, quel triennio non fu davvero un periodo da accademia per la Chiesa e per gli ordini religiosi, tanto meno per il nostro che, ai problemi di stabilità e organizzazione interna, vedeva sovrapporsi pesantemente guai di origine affatto estranea alla vita religiosa e di portata universale. In questo clima l'eremita di S. Antonio al Bosco deve aver rimpianto il ritiro, il verde, i laghetti della sua Selva Maggiore; ma non poteva abbandonarsi a nostalgie; egli non apparteneva più a se stesso, e lo sapeva. Aveva una grande famiglia di uomini consacrati a Dio e alla Chiesa; a questa famiglia doveva pensare e provvedere; questa doveva guidare con tanta più oculatezza, pietà e fermezza, quanto maggiore era il pericolo del rilassamento e della disgregazione, frutti della sfiducia e della paura che potevano infiltrarsi negli animi dei confratelli. Credo, quindi, che sia stato provvidenziale che al timone della navicella agostiniana vi fosse quel Guido, definito risoluto e riservato, che riuscì a condurre felicemente l'Ordine all'approdo del Capitolo Generalissimo del 1271. Nella moltitudine dei documenti che oggi mancano all'appello, principalissimo è il registro d'ufficio del generalato di frate Guido. In esso avremmo potuto trovare notizie della sua attività, delle sue visite alle case dell'Ordine, di ciò che ordinò o vietò, dei Capitoli Generali intermedi a quelli Generalissimi; e - fra le righe di testi prevalentemente legislativi o giurisdizionali - avremmo potuto meglio conoscere il suo carattere, la sua pietà e carità; avremmo insomma un quadro più chiaro della sua personalità e delle sue virtù che - alla sua morte - lo fecero chiamare "Beato". Invece, niente! Un piccolo segno della sua pietà e di una sua particolare devozione verso la Passione di Gesù Cristo potrebbe essere quello di avere scelto, come emblema da incidere sul suo sigillo personale, la "Deposizione di Gesù morto dalla Croce"; e la sottostante figurina di frate genuflesso potrebbe rappresentare Guido stesso (vedere descrizione del sigillo al cap. III). E' questo l'unico barlume nel buio che circonda la spiritualità di frate Guido. Andò mai a visitare i confratelli fuori d'Italia? Oltre i pochi conventi nominati in questo studio, di quali altri stabilì o favorì la fondazione? Può attribuirsi a lui Generale l'erezione di qualcuna delle province dell'Ordine? In merito alla vita liturgica, alla preghiera comunitaria, ai rapporti tra singoli religiosi e al suo modo di trattare coi singoli confratelli, che ne sappiamo oltre gli sfruttatissimi aggettivi "strenuus et discretus"? A parte l'accenno già fatto alla distribuzione dei redditi, come visse e come promosse l'osservanza dei voti religiosi? Son tutte domande che fino ad oggi non trovano risposta.
Del secondo triennio di generalato (1268-1271), dopo le notizie già date, la mia povera ricerca ne ha trovate solo altre due: 1269, fondazione del convento di S. Marco (detto poi di S. Agostino) a Montepulciano (Siena) (A. G. A. ROMA, cod. Ff 5, f. 38, relazione del 1650 sullo stato di quel convento); 1270, 15 agosto, consacrazione della chiesa di S. Giovanni Battista a Lovanio (Belgio) (CRUSENIO cit. p. 19. L'Autore dopo questa notizia aggiunge: "Hoc anno [1270] etiam obiit Guido Generalis Bononiae non sine magnae sanctitatis opinione, ibique reconditur, signato elevatoque sarcophago. Indicitur autem capitulum generale apud Urbemveterem in annum sequentem"; e con questo chiude il discorso sul nostro Guido. Ma, come risulta errata la notizia della morte e sepoltura di Guido, non sarà forse errata anche l'informazione circa il Cap. Gen. del 1271 "apud Urbemveterem", cioè a Orvieto?). Ma non ho elementi per dire se, e quale, parte vi abbia avuta il Generale Guido da Staggia. Ricordiamo pure, in base alla lettera di delega scritta da Guido al Provinciale Pisano per la faccenda di Prato, che egli il 17 marzo 1271 si trovava a Spoleto. Era là per dare vita alla nuova Provincia della Valle Spoletana? Questa provincia infatti non si trova mai nominata prima del 1272 (fondazione del convento di Cantiano). Può darsi; ma si può pensarlo solo a titolo ipotetico per ulteriore ricerca. Il successivo 25 aprile - con l'autorizzazione del Card. Riccardo e con la delega generalizia - il Provinciale Pisano e i frati di Prato conclusero col Preposto Alcampo la ricordata "concordia", anche "ad honorem fratris Guidonis Prioris Generalisa" ecc. Passa un altro mese e viene eletto a capo dell'Ordine frate Clemente da Osimo (24 maggio 1271). E di frate Guido da Staggia si perdono le tracce.
- VII -
INTERMEZZO (1271-1278)
Fatto morire Guido da Staggia nel 1271 al più tardi, fatto Patriarca di Grado un Guido Salani da Bologna nel 1279 al più presto, rimane un periodo di otto anni in cui i nostri storici non hanno saputo infilare nessun altro Guido; a meno che non abbiano inteso estendere il periodo del "Guido Salani in Germania" dal 1256 al 1279, il che non mi risulta. Anzi del Guido Salani da Bologna si dice che prima della nomina a Patriarca era già "cappellano del Card. Goffredo Diacono di S. Giorgio al Velabro". Mettiamo allora questa notizia nei suoi giusti limiti: E' sicura e inconfutabile la notizia che il frate Guido agostiniano, nominato Patriarca di Grado, prima di questa nomina era "tunc capellanum dilecti filii nostri G. sancti Georgii ad Velum aureum Diaconi Cardinalis". Sono parole del Papa Nicolò III; vedremo in seguito il testo integrale del documento. Ma né l'indirizzo né il testo della bolla pontificia aggiungono alcunché di specificativo circa la provenienza del Guido Patriarca; c'è solo questo: "te fratrem heremitarum ordinis sancti Augustini"; niente Bologna, niente Staggia, nessun casato. E qui devo mettere alcuni puntini sugli "i".
1.
Il fatto che Guido da Staggia abbia cessato dal suo mandato di generale dell'Ordine il 24 maggio 1271 non significa che egli sia morto il giorno dopo. Si aggiunga la non esistenza della sua tomba in S. Giacomo di Bologna. Al riguardo il Torelli se la sbriga dicendo che forse c'era, ma nel rifacimento della chiesa di S. Giacomo può essere stata distrutta. A questo argomento troppo facilista si oppongono i fatti: A Milano (S. Marco), a Siena (S. Leonardo prima e poi S. Agostino), a Orvieto (S. Agostino), le nostre chiese hanno tutte subìto trasformazioni radicali, ma le spoglie e le tombe dei nostri grandi generali ivi sepolti (rispettivamente Lanfranco Settala, Agostino da Tarano, Clemente da Osimo) sono state salvate, anche se spostate dalle collocazioni primitive. Non credo che i Bolognesi sarebbero stati meno riguardosi verso le spoglie e la tomba (se questa fosse stata in S. Giacomo e artistica per di più) proprio di quel Generale Guido che aveva assistito quel convento nella sua difficile nascita e sviluppo.2.
Nell'epoca in cui nuotano queste mie ricerche non esisteva ancora per gli ex-generali dell'O.E.S.A. il privilegio (!?) di non potere accettare incarichi inferiori al generalato. Proprio il successore di Guido, Clemente da Osimo, ci offre un chiaro esempio a proposito. Nel 1274, dopo il primo tniennio e sotto il nuovo Generale Francesco da Reggio Emilia, egli fu nominato Visitatore della Provincia Romana e, probabilmente, dopo due anni in tale ufficio, fu anche Priore Provinciale della Prov. Senese (e questo darebbe in parte ragione a chi scrisse che, dopo il primo generalato, frate Clemente si ritirò a Lecceto).3.
All'Archivio di Stato di Bologna (Demaniale conventi soppressi, Eremitani di S. Giacomo Maggiore, 1/1607, n. 22: 1279 maggio 3 "Compra de' PP. di S. Giacomo da Aimerico Mattugliani d'una pezzola di terra hortiva ... Rog. ser Iuanino Bentivogli ..."; questo Aimerico effettua la vendita a "fratri Guidoni de S. Mauritio de ordine conventus S. Iacobi") ho trovato che alla data 3 maggio 1279 - quando il nostro protagonista era già Patriarca di Grado - quel frate Guido da S. Maurizio che avevamo incontrato nel 1262 era ancora procuratore (e acquirente di terreni) del Convento di S. Giacomo di Bologna. Quindi il Guido Mauriziano era e resta fuori della nostra storia.4.
L'unico documento che son riuscito a trovare a Bologna (ASB, come sopra, n. 19: 1277 marzo 15. Il Card. Goffredo assolve i frati di S. Giacomo Maggiore dalla scomunica promulgata contro di loro dall'Arciprete e Capitolo della Cattedrale bolognese. Sono tre pergamene diverse che, quanto alla cronaca dei fatti, si completano a vicenda, e son redatte tutte dal notaio viterbese "Iacobo Petri") in cui sia nominato un frate Guido accanto al Card. Goffredo, è del 15 marzo 1277: "Actum Viterbii in hospitio dicti domini Cardinalis [Gotofridus] in anno mense et indictione supradictis coram his testibus ad hoc specialiter vocatis et rogatis, scilicet Domino Symone de Gandulfis auditore et capellano predicti domini Cardinalis, FRATRE GUIDONE et fratre Andrea presbiteris predicti domini Cardinalis, fratre Jacobo familiari dicti domini Cardinalis et domino Transmundo de Alatro". Anche qui niente Staggia, niente Bologna, niente Salani, ad accompagnare il nome di questo frate Guido. Anzi, neppure è detto se uno o tutti questi frati nominati (Guido, Andrea e Giacomo) fossero agostiniani: chi ci rassicura, almeno sul nome di Guido, è la bolla indirizzata al Guido Patriarca.5.
Dal brano documentario riferito or ora appare distinto il ruolo di "cappellano", coperto da Don Simone Gandolfi, dal ruolo di "presbitero" attribuito ai due frati Guido e Andrea. Si aggiunga che, alla data 18 settembre 1276 (6 mesi prima del doc. citato sopra) in altro documento riguardante il Card. Goffredo e il conv. di S. Giacomo di Bologna, il "cappellano" è un'altra persona: "Anno Nativitatis [Domini] 1276, indictione 4a, tempore domini Johannis pape XXI, anno primo. Magister Johannes de Paczano Capellanus Reverendi patris domini Gottofridi sancti Georgii ad Velum aureum Diaconi Cardinalis" (ASB, c. s., n. 18: 1276 settembre 18. Il Card. Goffredo ordina - tramite il suo cappellano "magistro Iohanne de Paczano" - al notaio Giovanni Ricco da Firenze di trascrivere nel registro personale del Cardinale stesso la commissione che egli (Goffredo) ha ricevuto a voce dal Papa Giovanni XXI: esaminare e concludere la vertenza tra il Capitolo del Duomo di Bologna e i frati di S. Giacomo. Il doc. in parola è qui in copia autentica stilata dal notaio Pietro di Bartolomeo da Guarcino, su richiesta di Giacomo da Parma procuratore dei frati Eremitani di Bologna, e autenticato dal sigillo dello stesso Card. Goffredo d'Alatri, ma senza la data della riproduzione. Comunque la vertenza tra i Canonici di S. Pietro di Bologna e gli Agostiniani di S. Giacomo si concluse con l'assoluzione dì cui alla nota precedente). Queste variazioni danno l'impressione che l'esser cappellano del Cardinale fosse un ruolo molto precario e quasi occasionale; si ha infatti questa successione: 1276, 18/IX, Maestro Giovanni da Pazzano (quello di Modena o quello di Reggio Calabria?); 1277, 15/III, Don Simone Gandolfi; 1278, primavera, frate Guido O.E.S.A. Perciò io non sfoggerei tanto il titolo di "Cappellano del Card. Goffredo" quanto il fatto che, anche prima di chiamarlo "cappellano", il Cardinale teneva vicino a sé questo frate agostiniano - frate Guido - e se ne giovava non solo per il servizio liturgico, ma anche come testimone in atti legali, il che non si usa con uno sconosciuto o con un ingenuo.6.
Con buona pace di tutti coloro che hanno creduto in un Guido Salani da Bologna, agostiniano, Provinciale in Germania, cappellano di un Cardinale, Patriarca di Grado, bisogna arrivare ad ammettere che dai documenti contemporanei del personaggio in questione non salta mai fuori un "Guido da Bologna" (e tanto meno un "Guido Salani"), ma sempre e soltanto o un Guido da Staggia o un Guido sic et simpliciter.7.
Giovandoci delle affermazioni degli storici "pro Salani", si può costruire un ragionamento molto facile e conclusivo. Essi dicono che il frate Guido, cappellano del Card. Goffredo e poi Patriarca di Grado, è quello stesso che era stato in Germania ad organizzare la Provincia Tedesca. Ma oggi è chiaramente dimostrato che il "Guido in Germania" è proprio Guido da Staggia. Ne consegue che frate Guido da Staggia e il Guido Patriarca di Grado sono la stessa unica persona.Ora resta solo da scoprire dove e come frate Guido trascorse il tempo dalla fine del generalato (maggio 1271) fino al periodo passato a Viterbo, alle dipendenze del Card. Goffredo d'Alatri (1277-78). Tornò al suo nido di S. Antonio al Bosco? Ebbe incarichi diversi nella sua provincia o in altre? Prese forse dimora nel conv. di S. Giacomo a Bologna? E forse lì lo raggiunse la notizia della sua promozione al vescovato, sì da far nascere la credenza distorta che egli fosse bolognese? Non è da escludere neppure quest'ipotesi che è poi la più benigna - fra le varie possibili - per spiegare lo spezzamento in due del personaggio, con la creazione di un Guido Salani da Bologna. Tenendo, però, conto di quanto detto al punto 2°, esistono altre possibilità da non trascurare.
Nel 1274 un frate Guido è priore del convento di Montespecchio (dioc. e prov. di Siena) (Analecta Aug.na, vol. 12, p. 184, doc. n. VIII: Atto di procura del Cap. Prov. Senese per le contestazioni sorte in seguito alla fondazione dell'eremo di Racciano (S. Gimignano). Fra i Capitoiari presenti e consenzienti è "frater Guido prior conventus de Monte Speculo". Questo doc. e il seguente fanno parte del Chartularium conventus S. Augustini S. Geminiani pubblicato dal P. S. Lopez, 1930). Nel 1275 a Montespecchio è priore un frate Giovanni (Come sopra, p. 185, dcc. n. X); mentre troviamo in questo stesso anno un frate Guido priore dell'eremo di Ardinghesca (dioc. e prov. di Grosseto) (ARCH. DI STATO SIENA, Diplomatico, Patrimonio dei Resti, alla data 1275 ottobre 20. A questa data si trovano due pergamene originali (purtroppo malridotte e di difficile lettura) relative ai primordi del convento di S. Pietro all'Orto (alias S. Agostino) in Massa Marittima. Vi erano divergenze fra i due ecclesiastici (Spinello e Bartolomeo) e gli Agostiniani che erano loro subentrati nella Chiesa di S. P. all'Orto. La questione viene rimessa all'arbitrato di "Andreas de Gandulfis Capellanus ven. Patris domini Ricardi ... diaconi Cardinalis, arbiter et arbitrator, laudator, ... factus et electus a fratre Bandino priore dudum provinciali Senensi, fratre Bono priore Sancte Barbare montis Miate et fratre GUIDONE priore Sancti Antonii de Ardingheschis ord. sancti Augustini ... et a domno Bartholomeo clerico" [segue la sentenza arbitrale]. Il notaio conclude: "Lectum, latum et pronuntiatum fuit supradictum arbitratus laudum per dictum dominum Andream Molarie in Camera dicti domini Cardinalis anno mense et die et indictione predictis coram dicto domino Cardinali presentibus fratre Augustino de Sabina, fratre Marcho de Abbatia montis Miati, fratre Thomasio Pisano, fratre Thoma Parm[ensi], fratre [Lauren]tio Senensi ordinis sepefati" ... (S. N.) Et ego Bonostes Guiducii de Perusio apostolice sedis auctoritate notarius ...". La seconda delle due pergamene, che contiene l'atto di accettazione e d'osservanza dell'arbitrato da parte degli Agostiniani, reca la stessa data e gli stessi nomi di persone; cambiano le desinenze perché il soggetto non è più Andreas, ma "Frater Bandinus prior provincialis Senensis" ecc. E' vero che i due docc. non parlano di Capitolo Generale, ma di questo siamo informati dai codice Cc. 18 dell'Arch. Gen. O.S.A., pubblicato in Analecta Aug.na, vol. II, p. 226).
Nell'ambito della ricerca nascono spontanee due domande: Quel frate Guido che nel 1274 è priore a Montespecchio può identificarsi con quello che l'anno seguente è priore a Vallaspra? (Anche qui, come per S. Antonio al Bosco, abbiamo gran varietà di denominazioni per un solo eremo: (S. Antonio di) Ardinghesca (deformato in Ardinguesca, Ardigneta), "Vallis Aspera" (= Vallaspra, deformato in Val d'Aspra), dei Bagni, Petriolo, Pari, Selvagiunta, ecc., creando talvolta l'illusione che si tratti di diversi conventi. Vedi A. LUBIN O.S.A., Orbis Augustinianus, Parigi 1672, pp. 301 e 460). E questo Guido - o l'uno o l'altro se son due diversi - può identificarsi con Guido da Staggia? Per l'identificazione fra il Guido di Montespecchio e quello di Vallaspra non ho alcun elemento e perciò non mi pronuncio. E' forte invece la tentazione di identificare il Guido di Vallaspra con Guido da Staggia; ed ecco il perché. Il terzo dei documenti qui citati (v. nota 74) ci presenta il frate Guido priore di Ardinghesca o Vallaspra, insieme al Provinciale frate Bandino - come nel 1262 - e ad altri personaggi di spicco, fra cui (attenzione!) "fratre Augustino de Sabinia" (= B. Agostino da Tarano, alias Novello) e "frater Bonus prior sancte Barbare de Monte Miate" (= frate Bono priore dell'eremo di S. Barbara presso Santa Fiora che 9 anni prima aveva accolto nell'Ordine il convertito ["conversus"] Matteo da Tarano in Sabina [= frater Augustinus de Sabinia]) e altri ancora. Questa élite di frati della Prov. Senese si trova a Molaria (Roma) ospite del Card. Riccardo Annibaldi per il Capitolo Generale annuale. Ora, il ritrovare un Guido accanto al Provinciale Bandino, e per di più al Capitolo Generale, mi rende difficile pensare che il Provinciale abbia condotto seco l'ignoto priore di un romitorio silvestre, magari poco esperto di diritto e di affari; mentre mi arride l'idea e di una vecchia amicizia che si perpetua e di una scelta a ragion veduta, per l'esperienza che Guido da Staggia aveva acquisita in tanti anni di governo a diversi livelli, fino al generalato; anche se ora - libero da ogni impegno di governo - Guido era tornato al suo ideale eremitico, andando a nascondersi in un romitorio più piccolo e più remoto dal consorzio umano di quanto lo fosse S. Antonio al Bosco. Ma tutto questo non è che un'ipotesi plausibile che aspetta conferma o smentita da ulteriori ricerche e scoperte.
- VIII -
IL PATRIARCATO DI GRADO
Se i documenti del Cardinale Goffredo d'Alatri ravvivano la fiaccola semispenta di frate Guido da Staggia, chi, però, la rimette sul candelabro è il Papa Nicolò III con la nomina del nostro ex-generale al Patriarcato di Grado. Ma della luce effusa da lui in 10 anni, fuor di parabola, della sua opera di pastore fra le genti venete nessun raggio è giunto fino a noi. Per farci una ragione di ciò, bisogna tentare di ricostruire alquanto la vicenda del Patriarcato di Grado. Non inganni la sonorità dei termini "patriarca" e "patriarcato": la sede gradesana era un arcivescovato metropolitano, con alcune diocesi suffraganee, formanti una provincia ecclesiastica come tante altre; con l'aggiunta - avvenuta in un secondo tempo - della "primazia di Dalmazia". Partiamo con ordine. La città di Aquileia (in terraferma, poco a nord dell'isola di Grado) era sede vescovile dal secolo III; e da lì il Cristianesimo dovette propagarsi tutt'intorno dal Veneto all'Istria e verso il Nord. Malauguratamente nell'anno 355 il vescovo Fortunaziano aderì alla setta ariana, per non entrare in disgrazia dell'imperatore Costanzo, ariano a sua volta. I successori di Fortunaziano furono autentici campioni del Cattolicesimo: Valeriano presiedette con S. Ambrogio di Milano, nel 381, un concilio in Aquileia, per porre fine al dilagare dell'arianesimo; Cromazio, amicissimo di S. Girolamo, risulta già col titolo di "metropolita" di tutti i vescovi della Venezia, Istria, Norico, ecc.; si è dunque formata nel V secolo la provincia ecclesiastica di Aquileia. Quando il Papa Vigilio, nel 554, condannò la dottrina dei "Tre Capitoli" (al II Concilio di Costantinopoli), nel Nord-Italia vi fu una ribellione in massa; il metropolita di Aquileia tornò allo scisma ariano e si autoproclamò "Patriarca di Aquileia". Quattordici anni dopo, per sfuggire all'invasione dei Longobardi, il "patriarca" Paolino I si rifugiò nell'isola di Grado, portando seco tutte le reliquie, i libri, i tesori, della Chiesa Aquileiense. Il rifugio provvisorio divenne col tempo sede stabile del "Patriarca di Aquileia in Grado". Nell'anno 606 fu possibile finalmente eleggere un "patriarca" di fede cattolica: Candidiano. Ma gli scismatici non mollarono e, raccoltisi nuovamente in Aquileia, elessero un altro patriarca di fede ariana, per compiacere i gerarchi longobardi. Questa, l'origine dei due patriarcati vicini, simultanei e rivali: Aquileia e Grado. Questo fedelissimo a Roma, quello scismatico e compiacente verso il potere secolare. Intorno agli anni 698-700 anche il patriarcato di Aquileia tornò all'unità con la Chiesa Romana; ma ormai la spartizione delle due province ecclesiastiche resterà; anzi Aquileia avrà col tempo un vero potere temporale cui Grado non giungerà mai. Resterà, comunque, alle due giurisdizioni il titolo di "patriarcato" e ai rispettivi arcivescovi quello di "patriarca". Il Nord-Adriatico sarà a lungo punto di scontro più che d'incontro fra tre civiltà e tre politiche (e quindi tre modi d'intendere la Religione, la Chiesa, i diritti degli uomini): la latina, la germanica, la bizantino-slava. La città di Grado subirà invasioni armate e saccheggi da parte dei fautori di Aquileia; resterà semidistrutta e ridotta a un povero villaggio di pescatori (Le notizie fin qui riferite sono ricavate prevalentemente dall'Enciclopedia Italiana, Roma, vol. III (1929), voce "Aquileia", p. 805ss.; vol. XVII (1933), voce "Grado", p. 621ss. ); tanto che, dal 1150, i patriarchi di Grado porranno talvolta la loro dimora nell'isola di Olivolo (alias Castello perché fortificata) nucleo centrale della nascente stella di Venezia; e ciò creerà disagi e dissidi fra il metropolita ospite e il vescovo residente di Castello. A questa situazione intese rimediare il Papa Alessandro III con la bolla "Non sine contemptu" del 21 gennaio 1178, indirizzata al Doge di Venezia. Con questa bolla il Papa dichiara che ha intenzione di trasferire stabilmente in Venezia la sede del Patriarcato di Grado; invita il Doge a farsi mediatore e garante della pace fra i due prelati (Biblioteca Marciana, Venezia, Ms. 4292, DE RUBEIS, Excerpta et animadversiones de episcopis insularum venetarum, fol. 19). E il patriarca di Grado avrà una sua dimora - "palatium patriarcale" - sul Canal Grande, vicino alla Chiesa di S. Silvestro nella zona "de Rivo Alto" (= Rialto). Ma i patriarchi avranno sempre vita difficile, sia per le prepotenze di Aquileia che non cesserà di reclamare i suoi diritti su Grado, sia a livello di rapporti umani: due documenti del Papa Alessandro IV (1256) ci informano che certi ecclesiastici e monaci boicottavano il prelato gradesano col negargli l'ospitalità o almeno il pagamento di certi emolumenti che a lui spettavano, quando - per il suo ministero pastorale - egli doveva spostarsi da luogo a luogo nella sua diocesi o in quelle suffraganee (POTTHAST, n. 16462 e 16463). A proposito, e per aiutare a capire meglio il divario di potere fra Aquileia e Grado, giova annotare che il metropolita di Aquileia contava 17 diocesi suffraganee, così che il suo dominio si estendeva da Pola a Como, da Mantova a Trento e Belluno; mentre Grado aveva soltanto 6 diocesi suffraganee e di piccola entità, situate nella laguna: Asolo, Caorle, Chioggia, Iesolo, Torcello e Castello (= Venezia). A questa pochezza della provincia ecclesiastica di Grado aveva voluto rimediare il Papa Anastasio IV (1154), annettendo al patriarcato gradesano tre diocesi della Dalmazia - Veglia, Arbe, Osor - sottratte alla giurisdizione del metropolita di Zara. L'anno seguente tutta la provincia di Zara fu sottoposta al patriarca di Grado col titolo di primazia (Adriano IV, 1155); e il titolo di "patriarca di Grado" si allungò con quello di "primate di Dalmazia" (KEHR P. F., Italia Pontificia, vol. VII, parte I e II, Berlino 1923/25, voci: "Patriarchatus Aquileiensis" e "Patriarchatus Gradensis". Cfr. EUBEL C., Hierarchia Catholica, I, p. 541). Il che fu confermato da Alessandro IV nel 1256, con l'aggiunta di altri privilegi al patriarca di Grado; e questo per premiare i Veneziani che si erano egregiamente comportati nel combattere il tiranno di Padova, Ezzelino da Romano (POTTHAST, n. 16481. Cfr. PAGI FRANCESCO, Breviarium historico-chronologico-criticum Pontificum Romanorum, ediz. II, Lucca 1729, t. II, p. 195; RINALDI O. (continuatore del Baronio) Annales Ecclesiastici, t. II, Lucca 1747, p. 557). Durante il tempo che fu patriarca il nostro Guido si verificò un altro episodio increscioso il quale, almeno parzialmente, ci aiuta a spiegare il silenzio delle fonti a suo riguardo. La Repubblica di Venezia, al fine di evitare la dispersione di uomini e di mezzi che intendeva usare solo per la propria utilità civile e militare, aveva da tempo inserito nei suoi statuti un articolo che vietava ai Veneti di partecipare, con uomini o finanziamenti, alle guerre che non riguardavano Venezia e il suo territorio. Nel marzo del 1282 si accende la guerra dei "Vespri Siciliani" che vede alleati i vecchi fautori degli Svevi con Pietro III re d'Aragona contro Carlo I d'Anjou re di Sicilia e amico del Papato. Due mesi dopo (7 maggio 1282) da Orvieto, il Pontefice Martino IV lancia la scomunica contro i Palermitani, contro Pietro d'Aragona e contro tutti i loro fautori (Potthast n. 21895). Poi chiede aiuti a destra e a manca per aiutare l'angioino re Carlo a ricacciare dalla Sicilia gli Aragonesi. I Veneziani, che pur godevano della protezione pontificia, in forza dei citato statuto, rifiutarono al Papa gli aiuti richiesti. Il Papa risponde lanciando l'interdetto contro Venezia; il che vuol dire non solo congelamento dell'amicizia fra potere pontificio e stato veneto, ma anche sospensione di ogni esercizio religioso pubblico in tutta la città: chiese chiuse, niente sacramenti, niente campane, niente feste religiose, niente funerali religiosi, ecc., fino a quando non si verificassero le condizioni per ottenere l'assoluzione. E questa situazione durò per qualche anno. Il 29 gennaio 1285 (Potthast n. 22206) Martino IV dà facoltà al Guardiano dei frati Minori di Venezia di assolvere i Veneziani dalla censura, a condizione che prima abbiano pagato alla Santa Sede la multa pecuniaria stabilita. Ma, a quanto pare, i Veneziani non pagarono e lo stato d'interdetto continuò. Qui mi viene spontanea una domanda: Perché la delega per l'assoluzione viene data a un frate francescano e non al vescovo di Venezia o addirittura al metropolitano di Grado, residente pure lui a Venezia? Credo proprio che, a causa dell'interdetto e per potere pacificamente governare e curare pastoralmente il resto dei rispettivi territori, i due prelati fossero esulati da Venezia verso altri lidi. E l'interrogativo "Dove andò il patriarca Guido?" rimane purtroppo senza risposta. Il 28 marzo 1285 muore Papa Martino IV. Cinque giorni dopo (2 aprile) sale sulla cattedra di S. Pietro il nuovo Papa Onorio IV. Egli tenterà il 5 agosto 1285 (Potthast n. 22278) di sbloccare la situazione veneziana perché la causa della Sicilia sta a cuore anche a lui; ma, stando ai documenti, i Veneziani tennero ancora duro. E' del 18 marzo 1286 (Potthast n. 22397) la lettera di Papa Onorio IV al vescovo di Venezia, Bartolomeo Quirini, in cui detta nuove condizioni prima di assolvere la città dall'interdetto: fra le altre c'è la modifica di un certo statuto della repubblica (quello, naturalmente, che era alla base della discordia e della censura). Dopo che saranno stati scritti e pubblicati i nuovi articoli, il Vescovo potrà pubblicamente assolvere la città dall'interdetto. Il che, stante la dinamica di quei tempi, dovette avvenire qualche mese dopo. Se a quanto si è detto fin qui si aggiunge che il 3 aprile 1287 morì il Papa Onorio IV e il soglio pontificio rimase vacante quasi un anno, cioè fino al 22 febbraio 1288 (elezione di Nicolò IV), il quadro degli antefatti e del clima in cui visse il nostro frate Guido, come patriarca di Grado, è quasi completo; e ci aiuta un po' a capire il buio dominante in questo settore della nostra storia. Ma si sa almeno quando Guido andò a Venezia? Quanto durò il suo ministero pastorale? Quando e dove morì? Di questo tratterà il capitolo seguente.
- IX -
GUIDO DA STAGGIA PATRIARCA DI GRADO (1278-1288/89)
Per aprire questo capitolo niente è più opportuno del documento chiave, cioè la bolla "Ad universalis ecclesiae" del Papa Nicolò III, già preannunciata nelle prime battute del cap. VII (ARCHIVIO SEGR. VATICANO, Reg. Vat. 39 (Lettere di Nicolò III) foglio 32r, n. 116). Eccone il testo integrale: "Venerabili fratri Guidoni Patriarche Gradensi. Ad universalis ecclesie regimen superna dispositione vocati circa cuiuslibet statum ecclesie aciem sollicite meditationis extendimus pastoralis partes officii vigilantius adhibentes, ut singule pastoribus gubernentur idoneis et rectoribus providis disponantur, quatenus illorum circumspectione provida et providentia circumspecta operante illo qui pastorum Pastor et Rector agnoscitur, spiritualibus et temporalibus proficiant incrementis. Sane Gradensi ecclesia pastoris solatio destituta, venerabiles fratres nostri Episcopi Suffraganei, ac dilecti filii Archidiaconus et Capitulum eiusdem ecclesie ad quos communiter electio patriarche in ecclesia ipsa de antiqua et approbata et actenus pacifice observata consuetudine pertinet, vocatis omnibus qui voluerunt debuerunt et potuerunt commode interesse die ad tractandum de provisione facienda ipsi ecclesie de pastore prefixa, convenientes in unum super huiusmodi provisione in nos unanimiter compromittere curaverunt. Nos igitur qui circa viduatas ecclesias continue attentionis oculis vigilamus, volentes eidem ecclesie ne dampna ex longa vacatione subiret salubriter providere, te fratrem heremitarum ordinis sancti Augustini tunc Capellanum dilecti filii nostri G[ottofridi] sancti Georgii ad Velum Aureum Diaconi Cardinalis cui de vite munditia, religionis zelo, dono scientie, disciplina morum, providentia spirituali et temporali prudentia laudabile testimonium perhibetur, tam ex virtute compromissi huiusmodi, quam ex plenitudine potestatis apostolice, de f[ide] n[obis] com[missa] (Possibile lettura variante: "de facultate nobis competente") predicte ecclesie in patriarcham prefecimus et pastorem ac tibi propriis nostris manibus munere consecrationis impenso palleum de beati Petri corpore sumptum insigne videlicet pontificalis officii cum ea qua decuit instantia postulatum a nobis tibi fecimus assignari. Sperantes firmiter ex laudabilibus testimoniis que de tua circumspectione commendabiliter predicantur, quod eadem ecclesia sub tuo regimine grata suscipiet Deo propitio in spiritualibus et temporalibus incrementa. Tolle igitur iugum domini, tam leve collis humilibus, quam grave superbis, et in caritate Dei pascendum suscipe gregem eius super quem noctis vigilias diligas, sollicitusque custodi, ut liber invadendi aditus non pateat invasori. Beatus siquidem eris si dominus insuspicabili hora venturus te invenerit sic agentem, quia cursu consum(m)ato quod tuo labori proponitur et horum fide servata que tue sollicitudini committuntur, te immarcescibili corona iustitie decorabit. Datum Viterbii XIIII kalendas septembris Anno primo". La fonte è sicura: analizziamola per estrarne tutto quello che può dirci. L'espressione "Venerabili fratri" i papi la usano per tutti i vescovi, loro fratelli nell'episcopato; quindi quel "fratri" non ha niente a che fare con l'appartenenza o meno del destinatario a un ordine religioso. Questa appartenenza, nel caso specifico, è chiaramente indicata nel testo: "te fratrem heremitarum ordinis sancti Augustini".
Circa l'identità del destinatario "Guidoni", mi pare che il discorso si sia esaurito nel cap. VII (Intermezzo) con la identificazione in Guido da Staggia. L'espressione "patriarche Gradensi" ci fa capire che - alla data del documento - frate Guido era già stato nominato patriarcha di Grado, consacrato vescovo e fornito di tutti i requisiti per esercitare il suo ufficio; diversamente il destinatario sarebbe stato chiamato "electo" e non "patriarche". E ciò è confermato dalle forme avverbiali e verbali usate nel testo a riguardo di Guido, tutte di tempo passato: "TUNC Capellanum", "PREFECIMUS", "IMPENSO", "DECUIT", "POSTULATUM", "FECIMUS assignari"; tutte espressioni che indicano una situazione già trascorsa e una procedura già completata. E' importante questa osservazione perché tutti gli autori ritengono questa bolla essere il decreto di nomina; segno che la citano senza averla letta. Questa mia osservazione, che può apparire severa e presuntuosa, è confermata dal fatto che nessun autore (che citi la bolla in esame o che comunque assegni una data alla nomina di Guido) offre la data esatta. Dall'Ughelli al Potthast (F. UGHELLI, Italia Sacra, tomo V (Venezia 1720) col. 1138/39; POTTHAST n. 21586 (che dipende da Ughelli): 25 maggio 1279. Ughelli e seguaci, inoltre, commettono un altro errore, dicendo il nostro Guido "cappellano del Cardinale Pietro diacono di S. Giorgio al Velabro". Nella bolla che sto esaminando troviamo la iniziale "G" che da altre fonti sappiamo corrispondente a "Goffredo". Pietro Peregrosso, milanese, fu Card. Diac. di S. Giorgio al Velabro, sì, come successore di Goffredo, ma soltanto dal 1288 in poi, quando il nostro Guido era arcivescovo già da 10 anni e prossimo al tramonto: non poteva perciò essere cappellano del Card. Pietro), dall'Herrera al Lanteri (T. HERRERA (che trovo citato e corretto dal TORELLI, Secoli Ag.ni, t. IV, p. 809) colloca la nomina di Guido al patriarcato nel 1282. Il Torelli dice che questa è la data della morte e che la nomina fu nel 1279; e così sbaglia tutte e due le date. Per il Lanteri ved. il medaglione nel mio preludio), fino al compianto P. F. Roth (Cardinal Richard Annibaldi cit., p. 29, scrive la data "7 agosto 1278" e, in nota, cita la bolla "Ad universalis ecclesiae", e come fonte un "Gay 119" che io non conosco. D'accordo, qui è errato solo il giorno (7 invece che 19); ma così com'è scritta non è esatta neppure questa data), tutti danno una data diversa da quella scritta nel Registro di Nicolò III; unica eccezione Corrado Eubel (Hierarchia Catholica, ristampa di Padova 1960, vol. I, p. 266: "..... Guido O.E.S.A. ab ipso S[ummo] P[ontifice] iam cons[ecratus] / 1278 aug. 19 / Nic. III a. 1° (t. 39) ep[istola] 116". E nel richiamo "3" a piè di pagina dice che Guido era prima "Capell. Gotifredi S. Georgii ..." ecc.) che, scrivendo non una storia ma un catalogo, dedica al Nostro una sola riga, ma con la data e la fonte esatte, annotando anche che il 19 agosto 1278 Guido era "jam consecratus". La data è scritta: "XIIII kalendas septembris Anno primo" = 19 agosto del 1° anno di pontificato. Orbene, eletto Papa Nicolò III il 25 novembre 1277, il suo 1° anno terminò il 24 nov. 1278; così l'unico "agosto" che entra in quell'anno è l'agosto del 1278. Pertanto è inequivocabile la data della bolla: 19 agosto 1278. Se la bolla "Ad universalis ecclesiae" non è il decreto di nomina o elezione, che cos'è? E' la credenziale, o testimoniale, con la quale il Papa, dopo aver nominato frate Guido patriarca di Grado, dopo averlo consacrato vescovo con le proprie mani, dopo avergli fatto consegnare il pallio (con tutti i carismi, indulgenze e privilegi spettanti a chi riceve quell'insegna) che Guido aveva dovuto chiedere dopo la consacrazione episcopale: tutti atti e cerimonie che postulavano proposta, consensi, preparazione rituale, confezione di indumenti appropriati, insomma facevano passare del tempo, finalmente, con linguaggio diplomatico e paterno insieme, gli dice ciò che, più sbrigativamente, sì riassume così: Caro Guido, adesso non ti manca più nulla; perciò prendi questa lettera e corri a Grado perché quella Chiesa ha bisogno di te (essendo vacante da almeno due anni: "ne dampna ex longa vacatione subiret"). Con lettere simultanee e redatte sullo stesso schema (mutatis mutandis), furono avvertiti del prossimo arrivo del nuovo patriarca l'arcidiacono e il Capitolo della Cattedrale di Grado, i vescovi suffraganei, il clero della città e della diocesi di Grado, il Doge di Venezia e il suo Consiglio, affinché tutti lo accogliessero nelle dovute maniere e gli prestassero la dovuta obbedienza (Vedi nota 81; subito dopo il testo della lettera indirizzata "Guidoni Patriarche", sono registrate "in eundem modum" le altre sotto lo stesso numero 116 e occupando parte del f. 32v). Informati di tutto ciò, dobbiamo ammettere che la nomina o "electio" di Guido è da anticipare almeno al giugno 1278. Il 19 agosto successivo, esaurite tutte le pratiche e preparativi, il Papa dà ordine a Guido di raggiungere la sede cui è destinato: la bolla "Ad universalis ecclesiae" che è per lui un ordine di partenza, sarà per i Gradesani, i Veneziani e per tutti gli aventi diritto, la tessera da cui riconosceranno il loro nuovo legittimo pastore. Il testo della bolla, dopo un preambolo in cui il Papa Nicolò espone la sua premura e preoccupazione per il buon governo delle diocesi ("circa cuiuslibet statum ecclesie aciem sollicite meditationis extendimus"), ci informa che la "electio" del patriarca di Grado - per antica, approvata e perdurante tradizione e consuetudine - sarebbe spettata ad un'assemblea formata dai vescovi suffraganei e dall'arcidiacono con tutto il Capitolo della Cattedrale gradesana. Ma costoro - convocati tutti quelli che vollero, dovettero e poterono comodamente intervenire nel giorno stabilito per questa elezione - avevano deciso all'unanimità di rimettere la faccenda nelle mani del Papa. Questa unanime rinuncia di quell'assemblea qualificata all'esercizio di un diritto-dovere tanto importante non si spiega, se non pensando ad un forte disaccordo sulla scelta del candidato al patriarcato. Vari elementi mi piegano a questa convinzione. 1°: Il Papa dice di aver proceduto alla nomina di Guido non per la morte, o per la rinuncia, o per il trasferimento, del patriarca predecessore (che non viene rammentato affatto, come avviene invece in casi simili, compresa la nomina del successore di Guido che vedremo in seguito), ma perché la Chiesa Gradense non subisse danni per la lunga vacanza. 2°: L'Ughelli cit., con un piccolo errore aritmetico, dimostra in proposito poca attendibilità; colloca infatti la nomina a Grado di Giovanni d'Ancona al 1272 [9 settembre] e lo fa governare per quasi 8 anni, quindi almeno fino alla primavera del 1280, quando era già stato nominato Guido da circa 2 anni. 3°: Il Cappelletti G. (Le Chiese d'Italia, vol. IX, Venezia 1853, p. 75/76) colloca l'ultima notizia di questo patriarca Giovanni al 20 luglio 1273, poi, senza dire quando e come sia finito, passa a parlare del nostro Guido, dicendo: "A lui [Giovanni V] venne dietro, nel 1279, l'eremitano agostiniano fra Guido". La data inserita in quel modo pare voglia rilevare un salto di tempo. 4°: L'Eubel cit. - che, prima di ogni nominativo, indica come e quando è finito il governo del predecessore con le formule "ob." (obitu = per morte), "ren." (renuntiatione = per non accettazione), "tr." (translatione = per trasferimento), "prom." (= per promozione al cardinalato), "res." (resignatione = per dimissioni), accompagnate se possibile dalla data rispettiva - fa precedere il nome del nostro Guido da un vuoto segnato con dei puntini per dire: Non so come e quando sia finito il patriarca Giovanni. Mettendo insieme indicazioni e silenzi dei vari autori e l'accenno del Papa ai danni possibili per lunga vacanza, mi piego a credere che questo vuoto del seggio gradesano durasse da almeno un paio d'anni. E perché i "grandi elettori" del golfo veneto avrebbero aspettato tanto a rivolgersi al Papa per dare un successore allo scomparso (non necessariamente morto) patriarca Giovanni? E' intuibile il primo motivo: disaccordo sulla scelta; il secondo va ricercato sul soglio pontificio, troppe volte vacante o occupato da papi il cui pontificato troppo breve lasciava con frequenza la Chiesa nel lutto e nell'incertezza. Il quadretto che segue giustifica la mia convinzione.
1273 - 20 luglio - Ultima notizia del patriarca Giovanni V.
1276 - 10 gennaio - Muore il Papa Gregorio X.
1276 - 21 gennaio - Eletto Papa Innocenzo V.
1276 - 22 giugno - Muore Innocenzo V.
1276 - 11 luglio - Eletto Papa Adriano V.
1276 - 18 agosto - Muore Adriano V.
1276 - 15 settembre - Eletto Papa Giovanni XXI.
1277 - 20 maggio - Muore Giovanni XXI.
Seguono 6 mesi di sede vacante.
1277 - 25 novembre - Eletto Papa Nicolò III.
In questo rapido succedersi di triregni e di corone funebri, come avrebbero potuto, gli "elettori", procedere ad una nomina e poi ottenere dal Papa la necessaria conferma? Oppure rivolgersi al Santo Padre perché provvedesse di sua iniziativa il patriarca a Grado? Finalmente, il 26 dicembre 1277, Nicolò III viene incoronato e comincia a governare la Chiesa Cattolica. E siccome, grazie a Dio, sopravvive, l'assemblea degli elettori veneti si rivolge a lui perché provveda il nuovo pastore a quel gregge. Fra i cardinali, attorno al Papa, c'è quel Goffredo d'Alatri che tiene con sé come cappellano quel frate Guido agostiniano del quale si dice un gran bene per molti titoli: "de vite munditia, religionis zelo, dono scientie, disciplina morum, providentia spirituali et temporali prudentia". E' dunque un soggetto inappuntabile per condotta, pio, saggio, esperto di governo e, per di più, non è veneziano, sicché è del tutto estraneo alle beghe e lotte di potere delle famiglie nobili del Ducato; è dunque l'uomo che ci vuole, capace di tenere con mano salda e con circospezione la disciplina del clero e dei fedeli. La Chiesa Gradesana ne riceverà sicuramente "Deo propitio in spiritualibus et temporalibus incrementa". Nel maggio-giugno del 1278 Nicolò III nomina frate Guido da Staggia Patriarca di Grado. Il 19 agosto successivo - con la "Ad universalis ecclesiae" - lo spedisce a destinazione. Dopo di che è facile pensare che il vecchio eremita (il quale, se fosse accertabile quanto ho scritto nel cap. I, avrebbe a questo punto l'età di 68 anni), da Viterbo, dove risiedeva il Papa (e col Papa il Card. Goffredo, e con Goffredo il nostro Guido), abbia intrapresa la lunga cavalcata per Venezia e Grado qualche giorno dopo, raggiungendo la propria sede almeno nel settembre 1278. Una volta giunto in mezzo al suo gregge, che cosa ha fatto il nuovo pastore? Come ha governato la sua arcidiocesi? Quali i suoi rapporti coi vescovi suffraganei della Laguna e con quelli della Dalmazia? Uno storico veneziano, il senatore Flaminio Cornelio, a metà del secolo XVIII, scrisse: "Guido ex Ordine Heremitarum anno 1279 [anche lui!] assumitur Patriarcha, de quo ea tantummodo scire licuit, quae Ughelli affert tom. V, col. 1139" (F. CORNELIO, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis ... illustratae ac in decades distributae, vol. III, Venezia 1749, p. 22). Siamo serviti! Abbiamo già visto che su tre informazioni dell'Ughelli (nomina nel 1279, già cappellano del Card. Pietro Peregrosso, morte nel 1288) soltanto l'ultima è accettabile, pur con qualche chiarimento che faremo in seguito. Ho provato a cercare in vari archivi del Veneto e Venezia Giulia, prima per corrispondenza poi di persona; ma, fra silenzi e risposte evasive e perfino un rifiuto a farmi vedere un certo archivio, mi son trovato quasi al punto in cui era Flaminio Cornelio. Eccezione lodevole, l'Archivio di Stato di Venezia - e ne ringrazio vivamente la Direttrice Dott. Maria Francesca Tiepolo e il personale - anche se il risultato non ha ripagato l'impegno mio e lo zelo degli archivisti: poche notizie e tutte di carattere amministrativo che non offrono elementi utili a conoscere la personalità e l'opera religiosa e pastorale di Guido. Ma vale egualmente la pena registrarle, per evitare una lacuna in più a questo mio contributo. Una delle prime preoccupazioni del nuovo patriarca dovette essere quella di non aver liti con la chiesa di S. Silvestro, presso la quale era il palazzo patriarcale. Questa chiesa era dipendente e tributaria del Patriarcato di Grado (insieme con altre chiese di Venezia); ma nel passato non c'era stata sempre buona armonia fra i prevosti di S. Silvestro e i patriarchi succedutisi. Guido, per mantenere la pace col prevosto che vi trovò al suo arrivo, deve aver pensato di allestirsi una cappella nel palazzo patriarcale. E siccome occorreva denaro che egli non aveva, ne ottenne dalle casse dello Stato. I "Procuratori di S. Marco" (ARCH. DI STATO DI VENEZIA, Miscellanea atti di diplomatici e privati, busta 6, doc. 226. E' una memoria scritta in tempo posteriore, ma la data dello stanziamento è confermata dal cit. F. Cornelio, vol. XIV, p. 200/01 dove è data anche la cifra di libre 200. I "Procuratori di S. Marco" erano chiamati in quel tempo gli addetti alle finanze dello stato veneziano), in data (attenzione!) 9 marzo 1279, stanziano la somma di libre 200 di moneta veneziana per arredamento e parati della cappella del palazzo patriarcale, da versare "a frate Guido Patriarca di Grado". La data di questa notizia è una conferma in più (se fosse necessaria) a quanto ho detto circa la data di nomina del Nostro al seggio gradesano. Ancora del 1279 - 19 ottobre - redatto a Venezia "in palatio patriarchali Gradensi", è l'atto con cui Guido affitta a B. vescovo Bossinese [sic] tutte le decime e i redditi del patriarcato nella pievania di S. Fior, per annuo canone in denaro (ARCH. ST. VENEZIA, Mensa Patriarcale, busta 16, doc. G 14. Non ho trovato in EUBEL cit. una diocesi "Bossinense", ma solo "Brixinensis" (= Bressanone) come unica che avesse nel 1279 un vescovo di nome "B." (= Bruno)). Da un atto del 16 novembre 1279, sappiamo che il Patriarcato possedeva anche due saline a Chioggia Minore, le quali furono affittate a certo Bartolo Carraria da Don Moresente, pievano di S. Martino a Chioggia Minore e procuratore di "Guido patriarca di Grado e primate di Dalmazia" (IBIDEM, idem, busta 13, doc. E 43). Per tenere l'ordine cronologico, inserisco qui una notizia dal Cappelletti: il Patriarca Guido "consacrò nel 1280, addì 11 gennaio, la chiesa dei frati Domenicani a Zara: ce ne assicura il Farlati che ne pubblicò il relativo documento" (Ved. nota 88. Ignoro chi sia questo Farlati; comunque la notizia è già presente in F. CORNELIO cit., vol. XIV, p. 210/11). Si direbbe che, dopo un anno trascorso a Venezia, il patriarca si sia mosso per visitare le terre sulle quali aveva la giurisdizione di primate e, data l'occasione, l'arcivescovo di Zara, Lorenzo Periandro, e i frati Domenicani gli abbiano fatto omaggio, invitandolo a consacrare quella chiesa. Nel 1283 - 9 maggio - lo ritroviamo nel suo palazzo a Venezia, nell'atto di affittare ad altri (invece che a B. vesc. Bossinese) le decime e redditi del patriarcato nella pievania di S. Fior (= S. Floriano?) in diocesi di Céneda (= Vittorio Veneto) (ARCH. ST. VENEZIA, Mensa Patriarcale, busta 16, doc. G 13). I nuovi locatari sono Don Paolo di S. Giovanni di Rialto e Don Vittore di S. Silvestro. A questo punto (per l'ordine cronologico) c'è una brutta sorpresa. All'inizio di questo studio ho lamentato il fatto che i nostri storici avessero spezzato in due il nostro personaggio: ora si aggiunge un'altra frattura. Il citato Cappelletti, dopo le poche righe dedicate al patriarca "fra Guido", scrive testualmente: "Un patriarca gradese, ignorato finora da quanti ne scrissero la serie, ci si presenta sotto l'anno 1284: egli è un FRANCESCO GERARDI, di cui ci dà sicura notizia una carta dell'archivio ducale (5), dalla quale ci è fatto sapere, che nel dì 5 agosto del detto anno, indict. XII, egli permetteva a Guglielmo, vescovo di Equilio, d'investire per ventott'anni i consiglieri e il comune di Lido Maggiore di un tratto di acque nominato La Tragola, per esercitarvi la pesca (1). Dopo di lui, nel 1289, viene il patriarca fra Lorenzo, domenicano" ecc. Tale informazione sarà ripresa e accettata venti anni dopo dal Gams (P. B. GAMS, Series Episcoporum Ecclesiae Catholicae (1873), p. 792).
Risultato complessivo:
1. Guido da Staggia, generale dell'O.E.S.A.
2. Guido da Bologna, patriarca di Grado O.E.S.A.
3. Francesco Gerardi, patriarca di G. non ag.no.
Ma è un grosso errore. Il Gams è stato ingannato dal Cappelletti; questi, a sua volta, è stato ingannato dalla fonte o da un altro autore che tosto incontreremo. Intanto la fonte del Cappelletti non è un documento originale, ma una copia in registro; e forse egli non ha visto neanche questo registro ma il brano documentario che l'altro autore aveva ripreso dal registro stesso. Infatti, al richiamo "5" cita: "Liber Publicorum, carta 16", e al richiamo "1": "Vedere il Ms. Coleti inedito, nella Bibl. Marciana, Cod. CXLIV della classe IX lat., carta 43". Il quale Coleti, secondo Cappelletti, sarebbe il continuatore e il correttore dell'Ughelli. Ad ogni modo il "Liber Publicorum" è un registro o campione, compilato forse qualche secolo dopo la data del documento ivi riportato; e qui è l'origine dell'errore: lo scrivano ha letto male il nome del patriarca che era scritto paleograficamente. Notare queste parallele:
FRA(ter) G(ui)D(o)
FRA(ncesco) G(erar)D(i).
E, se il mio argomento non convincesse qualcuno, ecco la contro-prova che ci dimostra il nostro Guido ancora vivo e sempre patriarca di Grado e primate di Dalmazia alla data 7 gennaio 1288 (stile veneto). Nell'Arch. di Stato di Venezia, fondo "Mensa Patriarcale", busta n. 84, son custodite varie decine di pergamene; fra di esse quelle segnate: 0 2, 0 4, 0 9, 0 12, 0 13, 0 67. Queste son tutte copie autentiche di atti molto anteriori ed estranei allo scopo (dal 1135 al 1224); perciò non interessa il contenuto degli atti, ma la dichiarazione di autentica del notaio trascrittore, sempre il medesimo e nella stessa data per tutte le carte sopra elencate. Ecco il testo della dichiarazione notarile: "(S. N.) Ego Johannes Cassiolus de Venetia auctoritate imperiali notarius autenticum hoc exemplar seu originale vidi et legi, et ut in eo [?] proprio nihil addens, minuens seu mutans quo quidem possit mutari sillaba voluntatis totam [sic] hic de verbo ad verbum quam verius potui transcripsi et fideliter exemplavi ac in formam redegi publicam signum meum consuetum apposui DE MANDATO ET AUCTORITATE venerabilis patris domini FRATRIS GUIDONIS Dei gratia sancte GRADENSIS ECCLESIE PATRIARCHE DALMATIEQUE PRIMATIS die mercurii VII mensis IANUARII [manca l'anno] PRIME INDICTIONIS. Venetiis in palatio patriarchatus Gradensis presentibus venerabilibus patribus dominis fratre G[uilelmo O.S.B.] Dei gratia episcopo Aqlino [Equilino = Ièsolo] et fratre A[ugustino O.S.A.] episcopo Civitatis Nove [= Asolo] et fratre Benedicto capellano dicti domini patriarche et aliis". (Per i nomi dei due Vescovi ospiti del patriarca e testimoni del notaio Giovanni Cassiolo, ved. EUBEL cit. p. 241 e 191 rispettivamente. Ho cercato notizie dell'agostiniano vescovo "Civitatis Nove" cioè di Asolo: in EUBEL (dal Gams) si ha che fu eletto il 18 agosto 1281, morto nel 1310; dal LANTERI, Eremi Sacrae Augustinianae pars Prima, Roma 1874, p. 72, apprendo che il venerdì 13 marzo 1284 si trovava a Verona dove, insieme al vescovo locale, consacrò il cimitero del nuovo convento ag.no di S. Eufemia; inoltre che nel 1303 consacrò la chiesa di S. Pantaleone in Venezia; nient'altro). Come sopra, si legge nella pergamena "0 2". Le lacune incontrate si risolvono con la lettura della perg. "0 9", in cui al posto di "in eo [?]" si legge "in eo reperi", e dove ho scritto [manca l'anno] si trova "Anni a Nativitate Domini M. CC. LXXXVIII". Nella "0 12" invece di "Anni" si ha "currentibus annis". Tutto il resto è identico in tutte le pergamene ricordate. Dunque il mercoledì 7 del gennaio 1288 (stile veneto) a Venezia, nel palazzo del patriarca di Grado, sono presenti il venerabile padre e signore Frate Guido patriarca ecc., due vescovi ospiti, il cappellano del patriarca e il notaio Giovanni Cassiolo, più altri non nominati. Guido dà ordine al notaio di copiare certi documenti, il notaio scrive, gli altri son lì a testimoniare sulla giustezza di quello che egli scrive. Più chiaro di così! Ma un'ulteriore conferma ci verrà nel cap. seguente, quando si tratterà della morte del nostro protagonista. Era necessario eliminare quel Francesco Gerardi, mai esistito, e restituire a Guido anche quell'atto riguardante il comune di Lido Maggiore e la pesca nella Tragola, oltre a quattro anni di vita in più. Fra le due date - 5 agosto 1284 (la Tragola) e 7 gennaio 1288 (not. G. Cassiolo) - c'è un vuoto di notizie sul conto di Guido. Fino al 1286 si può spiegare con l'interdetto che gravava su Venezia (v. cap. prec.); dopo quest'anno e fino alla sua morte ho trovato una sola notizia e per di più indiretta: la registro per non perdere neppure l'ultima briciola. Diocesi di Chioggia, suffraganea di Grado. Questa sede, dopo il vescovato di Matteo durato 20 anni buoni (ante 1265-1284), era caduta nel caos. Un agostiniano, frate Tolomeo vescovo di Sardoniki in Albania, rifiutò il trasferimento a Chioggia. Dopo di che si ebbero due vescovi nominati e morti prematuramente. Intanto che due preti veneziani si litigavano il posto di Chioggia, Bartolomeo Quirini vesc. di Venezia ne fu nominato amministratore apostolico. Altri tre furono nominati ma non accettarono. Ultimo di questi fu Leonardo pievano di S. Eustachio in Venezia, nominato vescovo di Chioggia da Guido patriarca di Grado, dietro ricorso del Capitolo chioggiotto che non sapeva più a quale santo raccomandarsi. Ma dopo la non accettazione da parte di Leonardo, non restò che ricorrere al Papa Nicolò IV. Questi, il 16 settembre 1290, spedì a Chioggia come nuovo vescovo il francescano frate Enrico (Bolla "Ex susceptae voluntatis" datata "XV kalendas octobris anno 3° (= 17 settembre 1290), così in Potthast n. 23405; in Eubel, I, p. 194, si ha la data "1290 sept. 16"; in AGA, Schedario per il Bullarium O.S.A. (compil. P. S. Lopez) si ha il titolo della bolla "Ex susceptae servitutis" e la data "XVI kalendas octobris anno 3°" (= 16 sett. 1290), ma questa scheda dipende dal LANGLOIS, Les Registres de Nicolas IV, vol. II, colonna 547/48). Per dare una collocazione meno incerta all'ultimo atto che conosciamo di frate Guido da Staggia, devo ricorrere al solito sistema della scaletta.
1284 - Muore Matteo vesc. di Chioggia.
? - Tolomeo O.E.S.A. rifiuta il trasferimento da Sardoniki.
? - Stefano, eletto, confermato e consacrato, muore poco dopo.
1286 - 17 giugno - Bartolomeo Quirini vesc. di Venezia è nominato amministratore apostolico di Chioggia.
? - I due preti litiganti e sperperatori (Leonardo Faletro e Alirone di S. Giov. Crisostomo in Venezia)
desistono dalle loro pretese.
? - Simone detto Mauro pievano di S. Barnaba in Venezia, eletto vesc. di Chioggia, non accetta.
1287 - 11 gennaio - E' eletto Stefano Betani che accetta, ma muore prima di essere consacrato.
1287 - 3 aprile - Muore il Papa Onorio IV. Seguono oltre 10 mesi di sede vacante, sicché è impossibile
l'elezione di un vescovo senza la conferma del Papa, che non c'è.
1288 - 15 febbraio - Eletto il Papa Nicolò IV.
? - Il Capitolo del duomo di Chioggia sceglie per vescovo un certo Percivallo (o Geruvallo?) canonico di
Monza; ma costui non accetta.
? - Il Capitolo chioggiano si rivolge a GUIDO PATRIARCA DI GRADO. Questi nomina vescovo di
Chioggia un certo Leonardo, pievano di S. Eustachio in Venezia, ma anche lui non vuol saperne.
1289 - post 7 gennaio - Muore il patriarca di Grado, frate Guido. Tutte le diocesi collegate sono in lutto;
bisognerà prima dare un successore a Guido, poi si penserà a Chioggia. Ma la vicenda chioggiotta non
c'interessa più.
A questo punto devo arrendermi: non ho trovato altre notizie sulla vita e l'opera del nostro protagonista. Mi diceva la nominata Dott. M. F. Tiepolo che molti dei documenti che io cercavo sono probabilmente trasmigrati a Vienna o in altre città austriache, durante il dominio dell'Impero Austroungarico sulle nostre regioni lombardo-venete, insieme ad altro materiale archivistico e bibliografico sicuramente emigrato. Buona fortuna a chi vorrà e potrà cercare e trovare di più sul nostro Guido da Staggia!
- X -
MORTE DI GUIDO (1289)
Fino a quando è durato il ruolo di Guido come patriarca di Grado? Tutti gli autori sono concordi nel dire: fino alla morte (Naturalmente, gli autori ag.ni parlano di Guido Salani di Bologna; gli altri di un Guido agostiniano non meglio specificato). Ma - l'abbiamo già visto - la concordia finisce quando si tratta di stabilirne la data. Torelli, per correggere l'Herrera, dice: 1282; Cappelletti fa sparire Guido, senza dirlo né morto né vivo, nel 1284; l'abate Ughelli lo dà morto nel 1288. Gli autori più recenti, salvo il Gams, si attengono prevalentemente all'Ughelli, compreso il P. F. Roth che lo dice nominato il 7/VIII/1278 e morto dieci anni dopo (Cardinal Richard Annibaldi cit., p. 29). Purtroppo - come già vedemmo per la nascita - manca una testimonianza diretta della sua morte. Vediamo allora se si può almeno restringere al minimo lo spazio di oscillazione. Bisogna non dimenticare due cose: prima, la data scritta dal notaio Giov. Cassiolo nelle sue trascrizioni: 7 gennaio 1288; seconda, lo "stile veneto" nel computo cronologico. Nello stile veneto di quell'epoca l'anno cominciava il 1° giorno di marzo, con due mesi di ritardo rispetto al nostro stile moderno. Cosicché i mesi di gennaio e febbraio - per i Veneziani del secolo XIII - erano gli ultimi due mesi dell'anno "vecchio", e non i primi due mesi dell'anno "nuovo". E non si oppongono a ciò le formule "a Nativitate" o "ab Incarnatione" che nello stile veneto erano semmai un frutto del costume cristiano, ma non cambiavano la struttura del calendario: dal 10 marzo al 28 (29) febbraio susseguente. In conseguenza di ciò la data scritta dal notaio Giov. Cassiolo sulle pergamene ricordate va letta da noi moderni: "7 gennaio 1289". Stando così le cose, frate Guido non può essere morto se non dall'8 gennaio 1289 in poi. Perché, poi, l'abate Ughelli possa ascrivere il decesso di frate Guido al 1288, non si può scendere oltre il 28 febbraio, perché col 1° marzo sarebbe stato "anno 1289" per tutti, Veneziani compresi, Ughelli compreso. In conclusione la morte di frate Guido da Staggia, patriarca di Grado, va datata fra l'8 gennaio e il 28 febbraio del 1289. A questa conclusione mi pare che si accordino anche le informazioni che ci vengono dal documento del Papa Nicolò IV per la nomina del successore di Guido al seggio di Grado. Ancora una volta, dopo la morte di Guido, l'assemblea elettorale di Grado (Capitolo della cattedrale più i vescovi suffraganei) dovette radunarsi per eleggere il patriarca. Non sappiamo quanto tempo impiegassero; ma, tra funerali, convocazione dell'assemblea, discussioni, ecc., finalmente viene scelto un frate Domenicano, certo Bonifacio. Gli viene comunicata la scelta fatta; egli risponde di non accettare la propria elezione; nuova seduta dell'assemblea, la quale decide di rimettere ancora una volta al Papa la nomina del nuovo pastore. E il Papa Nicolò IV provvede nominando patriarca di Grado un altro Domenicano: frate Lorenzo. Sappiamo e in parte intuiamo tutto questo dalla bolla di Nicolò IV "Vacante Gradensi ecclesia per obitum Guidonis", indirizzata "Venerabili fratri Laurentio patriarche Gradensi", datata intorno alle Feste Natalizie dell'anno 1289 (Io non ho il testo della bolla in parola e, per questo, ho scritto "intorno alle Feste Natalizie", dato che EUBEL, a p. 266, scrive la data "22 dec. 1289"; POTTHAST (n. 23148) che dipende da Ughelli, scrive "VIII kalendas ianuar. anno 2°" (= 25 dicembre 1289); in AGA, lo Schedario per il Bullarium OSA. riprende dal LANGLOIS cit. questa data: 28 dicembre 1289. 22, 25, 28: qual'è il giorno esatto?). Ora, perché a Natale il Papa possa scrivere a frate Lorenzo "patriarche Gradensi", cioè già nominato, consenziente e consacrato (coerentemente a quanto già detto riguardo a Guido sui termini "patriarche" e "electo"), certamente del tempo ne è passato dopo la morte di Guido, ma non troppo: da marzo a dicembre c'è stato tutto il tempo necessario e comodo per la scelta e rinuncia di frate Bonifacio, per il ricorso al Papa e per il suo intervento. Pertanto non vedo come si possa anticipare la data di morte di Guido dal periodo che ho calcolato sopra: Gennaio-febbraio 1289.
Dove è morto? Avendolo trovato ancor vivo e operante (il 7 gennaio 1289) nel suo palazzo sul Canal Grande di Venezia, e morto tutt'al più un mese e mezzo dopo, non mi pare lontano dal vero l'affermare che egli sia morto nel suo palazzo veneziano, vicino a S. Silvestro. Tenuto anche conto che egli non era più giovane, che i mezzi di viaggio allora non erano così rapidi e comodi come oggi, è difficile pensare che avesse ancora programmi di viaggi, visite pastorali e simili. E mi pare sintomatica anche la presenza dei due vescovi: Guglielmo di Iesolo e Agostino di Asolo; non si fanno scomodare due vescovi da lontano solo perché facciano da testimoni a un notaio. Tendo a credere che fossero lì in casa del patriarca proprio per lui. E' insinuante anche il particolare che essi erano due soggetti provenienti da ordini religiosi: benedettino era quello di Iesolo, agostiniano come Guido era quello di Asolo. Non si può affermare, ma neppure negare, che fossero lì proprio per assistere il vecchio patriarca, loro "padre e pastore", nell'ultima tappa verso l'eternità.
Dov'è sepolto? Mistero! Rifatta completamente nel secolo scorso, la Chiesa di S. Silvestro non ha tracce di tombe antiche; l'archivio di quella chiesa non è visibile; il "Chronicon Gradense", visto alla Marciana, termina circa trent'anni prima del nostro Guido; altre fonti le ho trovate aride: mi son trovato disarmato. Avrei preferito un finale diverso per questo mio studio. Frate Guido da Staggia se lo sarebbe più che meritato! Comunque quel che ho scritto spero che serva a rompere il ghiaccio che copriva questo pioniere del nostro Ordine Agostiniano, a far cessare nei suoi riguardi la pigrizia degli elogi di maniera, a incoraggiare la ricerca delle nostre "radici", per ritrovare più bella e più vera la nostra fisionomia: Eremiti che sanno trovare se stessi, Dio e il prossimo nel silenzio, nello studio, nella contemplazione; per essere pronti a rispondere: "Eccomi! Manda me!", quando la Chiesa, cioè Gesù Cristo, ci chiama allo scoperto; pronti a tornare, finito il compito, a ritirarsi nel silenzio dell'eremo o ... dell'eternità.