LIBRO SECONDO

Nel qual si tratta della Communione dell’Union dello Spirito, che deve esser fra i professori della Vita monastica.

Cap.I.

Che deve esser tra i Frati un sol cuore, et una sola anima in Dio.

Quelli; che vivono talmente, che tengono insieme ogni cosa commune in Dio; son chiamati Cenobiti: La vita de i quali è tanto più felice, quanto rappresenta, lo stato del futuro secolo, dove tutte le cose saranno communi: essendo Iddio il tutto nel tutto: come dice la Glosa sopra quelle parole del Quarto capitolo de gl’Atti de gl’Apostoli. La moltitudine de i credenti haveva un sol cuore, et una sola anima. Et perche ivi è somma pace, et sicurezza: la Città; nella qual precedeva la figura di sì fatta vita; fu dimandata GIERUSALEM, cioè. Visione di Pace. Onde si vede, che la communion cenobitica; della qual principalmente trattiamo; non consiste tanto nella cohabitation corporale, quanto nell’unione spirituale, ch’è la seconda Communione, proposta nel principio dell’altro Libro, et significata in quelle parole; Haveva un sol cuore, et una sola anima, alle quali son conformi quelle di sant’AGOST. nella Regola, quando egli dice. ET SIT vobis anima una, et cor unum in Deo. cioè. Et habbiate una sola anima, et un sol cuore in Dio. Pero questa seconda Communione di Spirituale Unione seguita ragionevolmente la prima; la quale è Communion di Cohabitation Locale; et senza questa non è d’alcun valore, essendo necessario; che se siam congregati insieme co i corpi; habitiamo anco insieme con gl’animi: poi che non giova, ch’una casa ci congiunga, se ci separano diverse volontà; mirando Iddio più all’union dell’animo, ch’a quella del luoco, come dice Ugone nell’esposition della predetta Regola, e’l medesimo padre nostro, sant’Agostino nel Sermone: De Filio prodigo a gl’Eremiti con queste parole. Pensate fratelli a che fine siam venuti quà: Ecco, che ci troviamo nella solitudine, et si siamo allontanati dal secolo, et siam quì già molto tempo, per poter viver più quieti, secondo la forma Apostolica, poi che non è il luoco quello, che faccia gl’huomini santi, ma potranno ben le buone opere santificare il luoco, et noi. Percioche l’Angelo pecco nel Cielo, et l’Huomo nel Paradiso, et nondimeno non si trovava luoco più santo dell’uno, et dell’altro di quelli: Che, se i luochi potessero far beati, chi gl’habita, ne l’Huomo, ne l’Angelo sarian caduti della lor dignità. Onde; come dice Giov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Giosefo; quelle parole del Salmo. Ecce, quam bonum, et quam incundum habitare fratres in unum : non si deveno intender, quanto al luoco, ma quanto alla volontà: poco giovandoci, che siam congiunti nell’habitatione, se siam disuniti ne i costumi, et nell’animo; facendosi la congiuntione appresso à Dio per la conformità de i costumi, non per l’habitation de i luochi. Ma si deve esaminar diligentemente, se queste doi voci CORE, ET ANIMA sian prese diversamente, o se, come Sinonimi, habbiano un’istesso significato. Et certamente diversi Dottori; discorrendo sopra quelle parole di S.Matteo, al Cap. 22. Diliges Dominum Deum tunm ex toto corde tuo, et ex tota anima tua : fanno differenza fra cuore, et anima, benche san Gregorio dica quello esser un riempimento di parole. Ma io; (perche il mio fine nel presente Trattato è di seguitar affatto l’intention di sant’Agostino;) dico, ch’egli per quello, che si vede, intende per il core la concordia della volontà, et per l’anima la conformità della vita, come egli medesimo accenna, anzi dice espressamente nel Sermone. De Pace. Dove parlando di questa materia, dice così. O quanto è buona, quanto gioconda, et quanto divina cosa, o fratelli, habitare insieme, et che fra voi sia un cuore, una volontà, un’anima commune, et una sola forma di vita. Serve nell’istesso proposito la sua auttorità sopra il predetto Salmo, come diremo più di sotto in questo medesimo Libro, al Cap. XII. Et questo è il buon’ordine del vivere: che ci sia prima una sola volontà, et poi una vita concorde, come dice Ugone. Che’l cor si debba intender convenientemente per la volontà, si vede da questo: che si come il cor corporale è principio di tutti i moti del corpo, così la volontà è principio di tutti i moti dello spirito. Pertanto nel Primo Libro de i Rè, al cap. XIII. Samuel; parlando di David; dice. Quæsivit sibi Dominus virum, secundum cor sunm. cioè. Il Signor s’ha cercato un huomo, secondo il cor suo, il che vuol dire, secondo la sua volontà: Et la Sapienza increata disse nel Cap. XXIII. de i Proverbij. Fili præbe mihi cor tuum. Figliuolo dammi il tuo core, cioè la tua volontà. Et questa concordia di volontà è molto necessaria à chi vive nella Congregation cenobitica, perche; come dice Ugone nel medesimo luoco; s’io voglio far la mia volontà: costui la sua: et quell’altro la sua, si fanno delle divisioni, ne nascono contese, sdegni, et risse, che sono l’opere della carne, et non si convengono à gl’huomini religiosi, che quando entrorono nella Religione, si spogliorono della proprio volontà, imitando colui, che disse. Non veni facere voluntatem meam. Non son venuto per far la mia volontà. Pero all’hora habbiamo un sol cuore in Dio, quando ogn’un di noi si sforza; non di compiacer alla propria volontà; ma di far secondo quella d’altri in bene per amor di Dio, o secondo la conformità della volontà di Dio. Di quà vien generata l’Obedienza: cresce la Carità, l’Humiltà, et la Giustitia, et l’altre Virtù, come la Pace, la Concordia, la Correttion fraterna, la Patienza, et l’altre, delle quali ragionaremo per ordine. Si vede parimente, che per l’anima si deve intender propriamente la vita, perche l’anima; secondo il Filosofo; è principio della vita: et quelli saranno detti haver una sola anima, che terranno una istessa vita, cioè una medesima forma di vivere. Et questa union d’anima è congiunta dall’amore, onde si dice nel Primo Libro de i Rè, al cap. XVIII. che l’anima di Gionata era molto unita all’anima di David. Et sant’Agostino nel Quarto libro delle Confessioni, chiama un suo amico la metà dell’anima sua. Se adunque amaremo Iddio con tutta l’anima nostra, e’l nostro prossimo, come noi medesimi, sarà l’anima dell’uno senza dubbio così congiunta all’anima dell’altro, che, come da una sola anima; ne verrà una sola vita, et una sola forma di vivere. Ma; quando io voglio far una vita in una congregatione: costui un’altra: et colui un’altra; si dividono l’anime, i costumi, le cerimonie, et le vite, et si fanno diversi modi di vivere. Et quelli, che fanno questo, se ben, quanto alla prima communione, son congregati in una casa, quant’à questa seconda non vi si trovano con un’istesso volere, ne hanno una medesima anima, ma quanti soggetti sono, tant’anime sono: quanti capi, tante opinioni: quanti huomini, tanti costumi: quante anime, tante vite; Et tanti i modi, et le forme di vivere, quante son le vite: Ne questa è vita Apostolica, ma Babilonica. Non è Regola di sant’Agostino, ma è una confusione, che non ha regola: Non è ordine, ma horrore. Pero egli nel Sermone, De Margaritis regularis Institutionis, esorta principalmente i frati alla communione di questa unione di spirito, dicendo. Piaccia fratelli dilettissimi, à voi; c’habitate nell’Eremo nel nome del nostro Iddio; d’haver un’istesso proposito, secondo la vita Apostolica, et vivere in commune. Stiamo adunque fermi in questa vita, et con l’aiuto di Dio conserviamoci costantemente in essa.

Cap.II.

Della Obedienza de i Frati.

La prima Virtù adunque, ch’è generata, (secondo Ugone,) dall’union de i cuori, è l’Obedienza; la qual degnamente tiene il primo luoco, perche; come dice sant’Agostino in un Sermone; niuna cosa piace tanto à Dio nell’huomo religioso, quando l’obedienza, essendo essa sola più pretiosa, che tutte l’altre Virtù. Questa c’è commandata nella Regola dall’istesso Padre nostro con queste parole. PRÆPOSITO, tanquam patri obediatur: multo magis Presbytero, qui omnium vestrùm curam gerit. cioè. Sia resa obedienza al Preposito, come ad un padre, et molto più al Presbitero, c’ha la cura di tutti voi. Dove sotto’l nome di Preposito s’intende un Prelato, overo un Rettore immediato, che sia posto al governo del monasterio sotto un’altro Prelato superore, come egli medesimo dechiara in un’altro Sermone, dicendo. Benche tutti quelli; che son sopra gl’altri; si possano propriamente chiamar Prepositi, l’uso nodimeno ha ottenuto, che quelli si chiamino particolarmente Prepositi, ch’esercitano una certa cura di Priorato sotto gl’altri Prelati, et questi appresso di noi son dimandati Priori. La qual espositione è convenevolmente accettata per quelle parole: Una certa cura di Priorato : Poi che quelli, ch’amministrano i Priorati con ragione si dimandano Priori, et egli nel Decreto dell’osservanza regolare: parlando de i Novitij; chiama il Prelato immediato Priore, dicendo. Probetur in omni conversatione ab illo, qui Prior est. cioè. Sia provata diligentemente la vita, e i costumi suoi dal Priore. Per il Presbitero poi intende il Sacerdote, alqual s’appoggia la general cura dell’anime: Et questo soleva esser Vescovo nella prima institutione dell’Ordine, onde anco i Vescovi erano chiamati anticamente Presbiteri, come afferma il cap. Olim. Dist. 95. Da che si conosce, che l’Ordine da principio fu instituito sotto l’ordinario reggimento del Vescovo, il quale haveva auttorità di mettere al governo de i frati un Prior claustrale, ch’era chiamato Preposito, perche per quell’officio era antiposto à gl’altri, et poteva esser laico: Ne cio è meraviglia, potendo à quel tempo i laici esser anco Abbati, come si legge nel cap. A Subdiacono. Distin. 93. et cap. Generaliter. I 6. q. I.et hoggi ancora ogn’uno; pur che sia ne gl’ordini minori; puo esser Abbate, se bene è irregolare, et incapace de gl’ordini superiori, come habbiamo extrà: De ætate, et qualit.ordinand. cap. Tuan in Domino. Puote anco sant’Agostino far Preposito de i suoi frati un de i sacerdoti del suo medesimo Collegio, eletto canonicamente; il che è più verisimile; et commettergli quella parte di cura, che gli piacque, havendo nel suo monasterio i sacerdoti, e i laici. Et in quel caso la cura delle cose communi toccava al Preposito, et quella delle maggiori al Presbitero. Ne è dubbio, che seco si trovassero alcuni sacerdoti, essendovi Euodio, Nebridio; Pontiano, et Alipio; alcuni de i quali furon poi fatti Vescovi: V’erano anco i laici, perche molti, ch’egli haveva ragunati per i boschi, eran laici, oltra quelli, che gl’haveva dati san Simpliciano, à i quali egli insegno à dire il Pater noster, come si vede nel suo Sermone, De Oratione. Et questo, c’habbiam detto, e quanto al primo stato dell’Ordine. Ma à questi tempi; ch’esso non è sottoposto alla giuridition de i Vescovi; in luoco del Presbitero, succedono i Priori Provinciali, et sopra tutti è il Prior Generale, che solo ha la cura di tutti noi. Ma nella Cogregatione de i Canonici Regolari, et de i Premostratensi, l’Abbate rappresenta il Presbiterio, et non ci essendo alcun’Abbate, il Vescovo tien quel luoco. Ci commanda adunque il Padre, et Precettor nostro sant’Agostino, ch’obediamo à i nostri Prepositi: Per la qual cosa facciamo anco profession d’obedienza, non confidandoci in noi medesimi sì, che presumiamo di saper quello, che voglia Iddio da noi: Et pero ci mettiamo sotto la cura de i nostri Superiori, perche ci governino, dando lor la mano nella professione, accio, c’habbiamo à guidarci nella strada di Dio: Onde non possiamo più vivere à voglia nostra; ma siamo obligati à gir prestamente, dove colui; che ci guida; commanda, che noi andiamo, et guardarci da quello, ch’esso ci prohibisce, havendogli donato noi stessi per amor di Dio, et per acquistare il Regno de i Cieli: Et già non siamo più nostri, ma di colui, à cui si siamo venduti, et pero non possiamo far cosa alcuna senza la sua volontà, essendo egli signor del voler nostro. Et perche è furto dispor dell’altrui robba contra la voglia del padrone, et chi lo commette, non s’avvicina al Cielo, deve guardarsi ogni frate di non voler cosa che sia contra, overo oltra la volontà del suo Superiore. Ne pensi alcuno, che’l commandamento del Presbitero, o del Preposito sia di poca importanza, perche sia fatto da un’huomo, et che percio non gli si debba necessariamente obedire; perche si dice nella regola di san Benedetto, che l’obedienza, che si deve dare à i maggiori, si rende à Dio. Sopra le qual parole san Bernardo nel Libro. De Dispensatione, et præcepto : dice così. Quello, ch’i maggiori commandano in luoco di Dio, non deve esser inteso altramente, se non, come se fosse commandato dall’istesso Dio. Perche qual differenza è, che la sua volontà sia manifestata à gl’humini, o da lui medesimo, o col mezo de i suoi ministri, sian’huomini, o sian’Angeli? Ne dica alcuno, ch’egli parla di quelle cose, che dice la Scrittura, o manifesta la ragione, perche; quant’à cio; non si deve aspettar, chi le insegni, ne obedire à chi le prohibisca, ma in quello, ch’è così occulto, et oscuro, che si puo dubitar, se piaccia, o non piaccia à Dio; l’huomo pur, che non sia certo d’offenderlo, deve obedire à i Superiori, come, se gli fosse commandato da Dio. Così parla san Bernardo. Sia adunque ogni frate in tutte le attioni sue così disposto, che possa veramente dire al suo Superior quelle parole, che diceva al padre il proprio figliuol di Dio, che fu obediente fino alla morte. Pater mi, non sicut ego volo, sed sicut tu. cioè. Padre mio, non sia fatto come vogl’io, ma come vuoi tu. Ma non dicono, ne fanno così quelli, che desiderano d’haver più tosto i Prelati, secondo la propria volontà, che far quello, ch’essi vogliono: et dicono almen col core. Padre sia fatto, come vogl’io, non come vuoi tu. Et questi son simili à quel cieco, alquale il Signor dimando; come si legge in San Matteo, all’VIII. capo; Quid vis, ut faciam tibi? Che vuoi tu, ch’io ti faccia? Sopra le qual parole dice san Gregorio in un Sermone, che molti son così fatti, che bisogna più tosto, ch’i Superiori dimandino loro quello, ch’essi vorrebbono, che si facesse, che altramente. Et nelle Vite de i Padri si fa mentione d’uno, ch’ando a trovare un’Abbate, et gli disse, c’harebbe voluto trovar qualche Abbate conforme al suo desiderio, et viver seco: Et esso gli rispose. Tu vai cercando un’Abbate, non per seguitar la sua volontà, ma perch’egli seguiti la tua. Perdonatemi Padre; (disse colui;) ch’io mi gloriava, credendo di dir bene, et non sapendo quel, ch’io dicessi. Io ho udito à dir da un frate di valore, et di vita molto religiosa, ch’un suo figliuolo di confessione gl’haveva narrato, ch’una volta era stato rapito da un certo spirito, et condotto al luoco, dove si crucciano i dannati, et che vedendo una persona, ch’era horribilissimamente tormentata più dell’altre, et dimandando allo spirito, per qual peccato colei sentisse così aspro supplicio; gl’era stato risposto, che ne dimandasse à lei propria, et l’harebbe inteso: Onde ricercandola, perche, et come fosse giunta in luoco di tanti tormenti, essa gl’haveva detto, ch’essendo una bellissima donna al mondo era stata occasione à molti di molti mali, oltra c’haveva commesso col proprio corpo altri nefandissimi peccati: et essendo dimandata da nuovo, come si fosse lasciata persuadere à mal usar la bellezza, ch’è dono di Dio, gl’haveva risposto cio esserle avenuto per la propria dapocaggine, et per la soverchia tenerezza del suo confessore, c’haveva troppo compiacciuto alla sua volontà. L’istesso si deve temer, ch’avenga ad alcuni frati, che vorrebbono haver i Prelati pronti alle proprie volontà. Tre cose son per gradi; (dice sant’Anselmo nel libro delle Similitudini;) l’obedienza, et la disobedienza; che son contrarie fra se, et estreme; et la licenza, che sta fra esse, come mezana, et questa per certo inganna molti, come egli dice nel medesimo luoco, mettendo l’esempio della serva, che sta fra la padrona, et la ladrona. Questa è la serva, ch’è sotto la padrona; ne le è contraria, come quella, che ruba, et per questo tiene il luoco di mezo fra di esse; ma in molte cose inganna la padrona, cercando d’uscir di casa con finger molte occasioni, et se non ottien licenza, lascia di servire, scusandosi con l’infermità; s’attrista, mormora di nascosto, et così fa nell’altre cose, come si legge in quel luoco. Così la licenza, procurata alcuna volta con bugie, et ottenuta con fraude ancor, che non sia contraria all’obedienza, come è la disobedienza, et la ribellione, spesso nondimeno è molesta, et toglie qualche cosa alla vera obedienza, et perde il merito, e’l frutto, ch’essa produce; anzi il più delle volte non val niente, come dice il cap. XXXIII.q.v. e’l cap. Quorundam.extra.De electio. lib.VI. Così faceva un frate, che soleva spesso scorrere alla città; percioche essendogli stato vietato strettamente dal Priore, che non uscisse di convento, fuor che in casi di necessità, hora diceva, ch’era chiamato à visitar un’ammalato, hora, ch’andava à comprar carta pergamena, hora candele, hora una cosa, et hora un’altra, che parevano necessarie, et utili: et sotto lo scudo della licenza copriva i suoi appetiti, che lo tiravano in questo, et in quell’altro luoco: Et così ingannava il Priore, se ben non usciva mai senza licenza. Ma avenne, che passando egli un giorno da un luoco, dove era un’indemoniato; ch’era tormentato nella gola; pregandolo quei del luoco, che s’accostasse, et cacciasse con l’orationi, et con gl’esorcismi quel demonio; non potendo far di meno di compiacergli, s’appresso al patiente, et havendo detto il principio dell’Evangelio di san Giovanni, et altre orationi, che gli parve; soggunse. Io ti commando in virtù di santa obedienza, o Demonio, che tu esca di quà. Ma lo spirito rispose da quel corpo crucciato, et disse. Che m’hai à commandare in virtù di santa obedienza tu, che non fosti mai veramente obediente? Di che il frate si vergogno, et ando via. Et s’egli fosse stato veramente obediente à i suoi Superiori; senza dubbio sarebbe stato obedito dall’immondo spirito, come i demonij, et l’insensibili creature obedirono à quei frati, de i quali si parla di sotto nel capitolo seguente. Guardisi oltra di cio ogni frate; se non vuol perdere il merito dell’obedienza; di non dir mal del suo Prelato, et d’udir volontieri, ch’altri ne dica, perche Dio punisce particolarmente questo vitio, come fece in Cam, che scoprendo le parti vergognose del padre, merito una irremediabil maledittione, come si legge al decimo cap. del Genesi. Creda, et tenga per certo il frate, che’l suo Prelato è inspirato da Dio à commandargli cose, che siano totalmente salutari all’anima sua. Et così insegna san Gieronimo scrivendo à Rustico Monaco, et dice. Temi il Prelato del monasterio, come signore. Amalo, come padre, et pensa, che tutto quello, ch’egli ti commanda, ti sia di salute, ne voler esser giudice del giudicio de i maggiori, essendo officio tuo obedire, et esequire, quanto t’è commandato, dicendo Moisè. Odi Israele, et taci. Così fece un buon frate giovane, il quale essendo esercitato dal Priore con molti commandamenti, et facendo ogni cosa senza mai stancarsi, quand’esso gli domando, s’era stanco di far tante cose, ch’ gl’eran commesse, rispose allegramente. Padre, se non vi stancarete voi di commandare, io non mi stancaro d’obedire.

Cap.III.

Della virtù, efficacia, et frutto della vera, et santa Obedienza.

Mostrano chiaramente molti esempij de gl’antichi di quanta virtù, et efficacia sia la santa Obedienza ne i Religiosi. Si trova nelle Vite de i Padri, ch’essendo commesso ad un frate di buona volontà, et pronto all’obedienza dal suo Abbate, ch’andasse à pigliar non so che sterco bovino in un luoco, dove stava una leonessa, disse. Io ho inteso da molti; (Padre,) che v’è una mala bestia. Ma l’Abbate, sorridendo rispose. Se essa ti verrà incontra, legala, et menala teco. Il frate adunque fece l’obedienza, et la leonessa, uscendo fuori, gli s’avento adosso, ma sforzandosi egli di fermarla, essa scuotendosi gli fuggì dalle mani, e’l frate tuttavia seguitandola, diceva. Non ti muovere, perche l’Abbate m’ha commesso, ch’io ti leghi, et conduca à lui. La bestia adunque si fermo, et esso la prese, et condusse al monasterio, di che l’Abbate meravigliatosi, ne diede gratie à Dio. Ma accio che il discepolo non se ne insuperbisse; gli disse per humiliarlo. Come sei insensato tù, così hai menata teco una bestia insensata. Pero scioglila, et lasciala tornare al suo luoco. Si trova nelle medesime Vite, ch’essendo mandato un’altro frate dal suo Abbate à recar dell’acqua lungi dal monasterio, si scordo di pigliar la fune: et come fu giunto al pozzo, se ne rammaricava assai, onde non sapendo, che fare, gettatosi in terra, si mise à piangere, et pregar Dio, dicendo. Signor habbi compassion di me per amor del tuo servo, che m’ha mandato quà. Dapoi rizzatosi grido, et disse. O pozzo: il mio Abbate m’ha mandato à pigliar della tua acqua. Et subito l’acqua ascese sino alla bocca del pozzo, et egli empiutone il suo vaso, se n’ando via, ringratiando Dio, et l’acqua torno al suo luoco. Ad un’altro frate fu commandato dall’Abbate; che desiderava di tenerlo in continuo esercitio: che inaffiasse un palo secco, benche gli bisognasse portar l’acqua sù le spalle due miglia discosto, e’l palo per la virtù dell’obedienza fiorì il terz’anno, et fece frutto, che si chiamo il frutto dell’obedienza. Et san Severo dice in un Dialogo d’haver veduto quell’arboscello. Un’altro frate; essendo mandato dall’Abbate per obedienza à far una facenda in una villa; temeva d’andarvi, dubitando di scandalizarsi, vedendo qualche donna; onde l’Abbate gli disse. Io pregaro Dio, che ti difenda da ogni tentatione. Pertanto giunto nella villa picchio alla casa, dove haveva à fare il suo negotio, ne vi trovo altri, ch’una giovanetta, la quale aprendo l’uscio, l’invito ad entrar in casa, sin che venisse suo padre, et non volendo esso entrarvi, lo tiro dentro per forza. Il frate vedendo, ch’era tirato à peccare; si raccomandava à Dio sospirando, et diceva. Signore per l’oration di colui; che m’ha mandato quì; salvami in quest’hora. Et subito, c’hebbe detto questo, si trovo sul fiume appresso il suo monasterio, et torno à casa mondo da quel peccato. Fu molto obediente san Paolo Semplice, che fu discepolo di sant’Antonio: Percioche havendogli imposto il suo maestro; per far prova della sua obedienza; che stesse in oratione inanzi alla porta della sua cella, fin ch’egli uscisse fuori, vi stette un giorno, et una notte intiera, senza mai moversi, et sempre orando. Un’altra volta; facendo alcune sciocche dimande in presenza di certi frati, et accennandogli sant’Antonio piacevolmente, che tacesse, et se ne andasse; torno in cella, et mantenne silentio per molti giorni, sin ch’esso gli commando, che parlasse, ancor che non gl’havesse detto quelle parole à quel fine. Soleva bene; per far perfetta esperienza della sua obedienza; commettergli alcune cose, che ne per ragione, ne per causa alcuna si dovevano comettere, come sarebbe cavar l’acqua d’un pozzo tutt’un giorno, et versarla per terra: disfar le sportelle tessute, et tesserle da nuovo, sdruscire, et ricucire i vestimenti, et con molt’altri esercitij far prova di lui, il quale senza mai contradire, faceva prontissimamente ogni cosa, onde venne à tanta perfettione, che faceva maggiori miracoli, che l’istesso sant’Antonio di maniera, che per la sua perfettissima obedienza si faceva in un certo modo obedir da Dio per forza: Conciosia che essendogli un giorno condotto inanzi un’indemoniato, ne riuscendo l’effetto della liberatione così presto; come egli harebbe voluto; adiratosi; quasi come fanno i bambini; disse al Signore. Veramente, ch’io non mangiaro hoggi se tu non liberi costui, et quello subito rimase libero. D’un’altro frate si legge appresso, che nel camino risuscito un morto. San Severo ancora nel suo Dialogo fa mentione d’uno, c’haveva promesso d’obedire all’Abbate talmente, che non si saria guardato d’andar nel fuoco, essendogli commandato da lui: Pero commettendogli l’Abbate, ch’entrasse in un forno rovente, v’era entrato immantinente, et la fiamma gl’haveva ceduto, come fece già à i tre garzoni Hebrei. Et Giov. Cassiano nell’Institutioni de i Padri riferisce, che l’Abbate Mutio, per obedire ad un padre del monasterio, non dubito di gettare in un fiume, un figliuolino picciolo, ch’egli haveva, ne manco da lui, ma il fanciullo fu raccolto dall’alveo del fiume da persone apparecchiate per questo. Nella qual attione fu rivelato à quel Padre, che colui haveva agguagliato di merito Abraam. Habbiamo nel medesimo luoco, che fu commesso ad un frate nobilissimo dal Superior del monasterio, che portasse à vender per le piazze diece sporte sù le spalle, et (perc’havesse à star più lungamente in quell’officio,) che non le vendesse tutte ad un solo; ma à più persone, una per volta: Et quel devoto frate lo fece con ogni diligenza. Si ha anco l’esempio di san Mauro, discepolo di san Benedetto, il qual chiamato da lui, corse passando sù l’acqua, senza avedersene. Et quel santo padre attribuì questo miracolo all’obedienza del suo discepolo più tosto, ch’à i proprij meriti, come dice san Gregorio nel Secondo libro de i Dialoghi, al cap. Settimo. Ad un’altro frate nostro di questi tempi, commando il Priore; che voleva provar quant’egli fosse pronto all’obedienza; essendo una gran pioggia, che stesse sotto le goccie del canal d’un tetto, fin che da esso ne fosse richiamato: il che egli fece obedientemente. Si legge anco, ch’un frate canevaro, essendo chiamato dal Priore, mentre cavava il vino d’una botte, v’ando in fretta, et lascio il boccale sotto la botte, portando la spina in mano: onde il Priore dubitando, che’l vino ne fosse uscito, ando in cantina, et trovato il forame della botte aperto, e’l vino fermato; ancor che ve ne fosse assai dentro; resto molto meravigliato, et attribuì quel miracolo alla pronta obedienza del frate. Si dice, che’l beato Nicola da Tolentino, essendo gravemente ammalato di maniera; ch’i frati dubitavano della vita sua; et havendo ordinato il medico, oh’egli mangiasse carne, non volse farlo, fin che’l Prior Generale, (ch’era all’hora in quel luoco) non glielo commando. All’hora il sant’huomo, pien d’affanno, chiamato il Priore, disse. Io son obligato ad obedire al Generale in ogni modo, perche questo è quello, ch’io ho promesso: questo è quello, ch’io ho dedicato da principio al salvator nostro, alla sua santissima madre, et à sant’Agostino, et quello, ch’io ho desiderato d’osservar sino alla morte. Presentandogli adunque il Priore, et l’infermiero la carne, perche ne mangiasse, esso volendo far l’obedienza; presane una picciola particella, ne gusto una volta solamente, dicendo. Ecco; ch’io ho obedito. Non vogliate tentarmi più del vitio della gola, perch’io mi son accostato al consiglio d’un miglior medico, et da quelhora si risano prestamente. Ne questo fu attribuito alla poca carne, ch’egli haveva mangiato, ma al medicamento del celebre medico, et al merito dell’obedienza. All’istesso padre, essendo infermo un’altra volta, fu messa inanzi una pernice arrostita, perche ne mangiasse, ma ricusando egli di farlo, gli fu commesso dal Priore, che ne mangiasse per obedienza, onde volendo obedire sospiro, et alzati gl’occhi al Cielo, et fatto il segno della croce, stese la mano verso la pernice, et essa subito risuscito, et volo via. Un’altro frate, che faceva prontamente, et volontieri tutte l’obedienze, che gl’erano imposte da i Superiori, essendo in punto per dir la messa, et facendo strepito molte rane, ch’erano in quel luoco, talmente che la devotione de i frati ne restava non poco impedita, il Priore scherzando gli disse: Andate, et dite à quelle bestie, che tacciano. Onde egli andando all’acqua, dove stavano le rane, fatto il segno della Croce; disse loro queste parole. Io vi commando in nome del Signor nostro GIESU’ Christo, che tacciate: Ne da quell’hora inanzi vi si sentì più quello strepito. Si legge appresso, ch’un’altro frate bene, et lungamente esercitato nell’opere dell’obedienza, libero un’homo molestato da molti demonij in presenza di tutto il popolo ragunato in chiesa à quest’effetto, percioche commandando egli loro in virtù della santa obedienza del nostro Signor GIESU’ Christo; (poi c’hebbe letto l’Evangelio, et alcune altre devote orationi;) ch’uscissero di quel corpo, ne mai più nocessero ad huomo alcuno; i demonij, fatti tremanti per l’obedienza del predetto frate, con grandissimo strepito ne uscirono, laciando un’intolerabil fetore dietro di se. Per il che quel popolo comincio à tenerlo in gran veneratione, ma egli fuggendo la vanagloria, si partì di quella terra. Raccogliamo adunque da tutti i detti esempij, quanta sia la virtù dell’obedienza, poi che domo la ferocissima leonessa: fece ascender l’acqua del pozzo: rese fruttifera la verga secca: trasferì il frate da un luoco all’altro subitamente, et lo difese dalla fornicatione: sforzo quasi l’istesso Iddio à cacciare i Demonij: risuscito i morti: costrinse la fiamma del fuoco à cedere: lego il naturale affetto, c’ha il padre verso il proprio figliuolo, et preservo il fanciullo dal pericolo di sommergersi: humilio la superbia del nobile: fece caminare il frate sù l’acqua, et à quell’altro sopportar la pioggia del tetto: ritenne il vino, che non uscisse della botte: risano quell’altro frate dell’infermità: ritorno in vita la pernice arrostita: impose silentio alle rane; et caccio i demonij d’un corpo, ch’essi molestavano: Oltra di cio reintegro la lampada rotta, et porto un sasso grandissimo da un luoco all’altro, come diremo nel cap. seguente. Ecco, quanto grande è la Virtù dell’Obedienza, che commando à tante, et si diverse nature di cose. Ne è meraviglia, se essa; (come dice sant’Agostino;) condusse di cielo in terra l’istesso figliuol di Dio, fattore di tutte le creature; et lo conficco anco co i chiodi sopra la Croce, et fu; (come discorre san Bernardo;) tanto amata dal figliuol di Dio, ch’egli volse più tosto dar la propria vita, che perder l’obedienza. Di questa sacrata Virtu si legge nelle Vite de i Padri, ch’un santo padre vide in cielo quattro ordini. Il primo era d’humini infermi, che ringratiano Iddio: Il Secondo di quelli, ch’attendono all’hospitalità, et fervono diligentemente à i peregrini: Il Terzo di quelli, che vivono nella solitudine: Il Quarto di quelli, che per amor di Dio si sottomettono obedientemente à i padri spirituali: Et quelli; ch’erano in questo quarto ordine; portavano una collana d’oro, et havevano maggior gloria de gl’altri: Onde dimandando il detto padre à colui; che gli mostrava questo; perche l’ordine più picciolo fosse più glorioso de gl’altri, gli fu risposto così. Quelli, ch’attendono all’hospitalità, lo fanno di propria volontà: Così quelli, che si dedicano all’Eremo, hanno abandonato il secolo per propria elettione, ma questi, che si son donati all’obedienza, et hanno sprezzato tutte le loro volontà, dependono da Dio, et da i commandamenti del Padre spirituale, et percio possedono maggior gloria. Per il che; (diceva quel padre;) è buona, figliuol mio, l’obedienza, che si fa per amor di Dio. Cammina per i vestigij di questa Virtù, perche l’obedienza è salute di tutti i fedeli, et madre delle Virtù: apre i Cieli: inalza gl’huomini; habita con gl’Angeli, et pasce tutti i Santi, che da questa sono stati stati s’attati, et per questo son diventati perfetti. Essendo adunque la santa obedienza di così gran valore, consideri qualunque frate, che error faccia, non si curando, anzi sprezzando quello, che gl’è commandato in virtù dello Spirito Santo, et della santa obedienza: Et chi fa cio è peggior d’un demonio, il quale obedisce all’huomo obediente. Onde Frate Giovanni da Viterbo; che passava cent’anni d’età, et circa ottanta haveva tenuto una vita irreprensibile; essendo vicino alla morte; pregato alla mia presenza da i frati, che lasciasse loro in testamento qualche precetto salutare; rispose, che gli lasciava l’Obedienza.

Cap. IV.

Della Benevolenza de i Prelati verso i lor sudditi.

Ma; si come il suddito sottomette la propria volontà al Prelato per obedienza; così deve il Prelato compiacere all’incontro al suddito per benevolenza: onde sant’Agostino, havendo detto nella Regola. HONORE coràm vobis Prælatus sit vobis. cioè. Honorate il vostro Prelato: subito sogginge. TIMORE coràm Deo substratus sit pedibus vestris. cioè. Esso per timore inanzi à Dio si sottometta à i piedi vostri. Et altrove. IPSE vero; qui vobis praest; non se existimet potestate dominante, sed charitate serviente, fœlicem. cioè. Ne si tenga felice il vostro Superiore, per haver auttorità di commandare, ma per haver occasion di servir con carità. Percioche l’Officio della Prelatura nell’Ordine non è officio di potestà; ma di carità; non d’honore, ma di peso; non di dominio, ma di servitù: Di che habbiamo l’esempio nell’istesso vero Pastore, et Prelato, il qual non venne in terra, per esser servito, ma per servire, et disse. Ego in medio vestrùm sum sicut, qui ministrat. cioè. Io son nel mezo di voi, come colui, che serve. Così dice l’Apostolo S.Paolo. Cum liber essem ex omnibus, omnium me seruum feci. cioè. Io; essendo del tutto libero; mi son fatto servo di tutti. Ma questa servitù de i Prelati è di doi sorti. L’una è corporale. L’altra è spirituale. E utile fare alcuna volta, et con occasione la servitù corporale à i sudditi; ma non sempre; leggendosi che’l nostro Signore lavo una sola volta i piedi à i suoi discepoli, quando voleva separarli da loro, et lasciar qualche esempio d’humiltà per l’ultimo commiato. Et san Martino trasse alcuna fiata le scarpe al suo servitore; non pero, che sempre, et in ogni cosa lo servisse, salvo che con la disposition dell’animo. Maestro Henrico d’Urimaria parimente; del qual si farà mentione più à basso; soleva riferire il suo compagno, o qualch’altro frate, che lo servisse, aiutandolo à cingersi la cappa, et facendo alcuni altri servitij bassi, ne percio resto di conservar la dignità magistrale, et in questa maniera è lecito à i Prelati humiliarsi molte volte in così fatti servitij corporali verso i sudditi, o per dar buon’esempio di se, o in articolo di necessità, et d’utilità. Non è pero di giovamento abbassarsi troppo in questo; accio che, mentre s’osserva una eccessiva humiltà; non si venga à romper l’auttorità del governo appresso à i sudditi, come dice l’istesso Maestro nostro nella Regola. La spiritual servitu del Prelato si considera, così nelle attioni interiori, come nelle esteriori. Nelle interiori: perche, se bene egli è superiore à gl’altri; quant’all’honore; deve pero nel cor suo riputarsi inferiore onde dice Ugone nell’esposition della Regola, che quanto più il Prelato è honorato esteriormente, tanto più deve temere Iddio, et humiliando se stesso, antiporsi nel pensiero quelli, da i quali viene honorato: Et di quà si genera una benevolenza in lui, per la quale egli non convertisce in suo honore, et commodità la volontà de i suoi sudditi; già trasferita in se; ma la rivolge in beneficio loro di maniera che; si come essi vorebbono bene à se medesimi, se fossero padroni della propria volontà; così egli voglia bene à loro, che se ne sono spogliati, per darla à lui. Per il che anco questa è chiamata benevolenza. Et si puo dir del Prelato, come del tutor d’un minore, che per se stesso non ha l’amministratione de i suoi beni, ma sì bene col mezo del tutore, il qual; se conserva bene, et fedelmente la robba del pupillo; ne vien lodato, ma applicandola all’uso proprio, dalle Leggi è chiamato usurpatore. Il medesimo si puo dir del Prelato, che tien la volontà del suddito in suo potere, come sotto tutela, secondo che ho detto di sopra. Nelle attioni esteriori ancora si considera la servitù del Prelato nelle cose spirituali: Perche tutto quel bene; ch’egli fa nell’officio suo; è in servitio di quelli, per i quali egli lo fa: Poi che; se corregge gl’inquieti, se conforta i pusillanimi, se raccoglie gl’infermi, se con patienza sopporta i negligenti, se castiga gl’erranti, se lega i peccanti, et s’assolve i penitenti; fa sempre opere di spiritual servitu, benche siano congiunte all’honore: Et quanto à questo, i Prelati son servi de i sudditi. Pertanto anco il sommo Prelato della Chiesa chiama se stesso servo de i servi, secondo quel detto.

I Signor de i Signori esserti servi

Già solevano, o ROMA,

Et hor Signor ti son de i servi i servi.

Et questi atti di sevitù vengono dall’habito della benevolenza; la qual suol mostrarsi hora con una certa pietosa mansuetudine, et piacevolezza, et hora con una certa austerità, et asprezza: Nascono tuttavia, et l’una, et l’altra ne i buoni Prelati dal fonte della detta benevolenza, e i buoni sudditi accettano così questa, come quella con egual disposition d’animo. Quanto alla mansuetudine, et piacevolezza del pietoso Prelato ne habbiamo l’esempio in San Martino, Vescovo di Turone, il quale, (come si legge,) porto una grande, et meravigliosa benevolenza à i suoi sudditi; ne solamente à i buoni, et à quelli, ch’operavano bene, ma anco à i delinquenti: Perche riceveva nel seno della pietà, et misericordia sua tutti quelli che volevano pentirsi, et guardarsi da i peccati; onde essendo ripreso dal Diavolo, che ricevesse alla penitenza quelli, ch’una volta eran caduti nel peccato; gli rispose. Se tu proprio, o meschino, ti rimanesti di molestar gl’humini, et ti pentisti de i tuoi errori, io confidandomi nel Signore ti prometterei la misericordia di Christo. Un’altro esempio ne habbiamo in Frate Clemente della Marca Anconitana, che fu già Prior Generale dell’Ordine nostro, il quale accompagno il nome di clemente con gl’effetti, perche fu huomo di meravigliosa clemenza, et pietà, et di gran santità, caro non meno à Dio, ch’à gli huomini, et tutto gratioso: per mezo del quale la Maestà sua ha mostrato molti miracoli, et mentre visse, et dopo la morte alla presenza della Corte di Roma, et di tutti i Cardinali sedendo Papa Nicola Quarto: Il qual persuaso dalla quantità, et grandezza de i suoi miracoli, volse, ch’egli stesse molte settimane senza sepoltura in Orvieto, dicendo, che non era conveniente, ch’un corpo di tanta santità fosse messo sotto terra: Et fu tanta la moltitudine de i popoli, che correvano à schiere à veder quel corpo per singolar devotione, che fu necessario, che la Communità d’Orvieto, per la gran frequenza delle genti, ruinando molte case, facesse allargar la strada commune, ch’andava al convento, accio che vi si potesse passar più liberamente. Ne dal suo corpo ne i tempi di grandissimi caldi fu sentita alcuna puzzolente esalatione, spargendo esso più tosto un soavissimo odore, come fa fede il venerabil Padre Benedetto Cardinale, ch’essendogli figliuolo di confessione, lo visito per particolar devotione molte volte, et fu poi fatto Papa, et chiamato Bonifacio Ottavo. Quanto poi all’austerità del duro, et aspro Prelato; molti esempij si leggono nelle Vite de i Padri del modo, che tenevano quei santi huomini, per eccitar i lor discepoli, aggravandogli di commandamenti, ch’erano anco inutili, et alcuna volta senza ragione, come si legge di sant’Antonio, il qual ne commetteva molti sì fatti à san Paolo Semplice, per provar l’obedienza, et perseveranza sua, come habbiam detto di sopra nel Capitolo precedente: Et Giov. Cassiano à questo proposito mette l’esempio d’uno, che per obedire ad un padre; benche gli bisognasse tor l’acqua due miglia discosto; adacquava un legno secco, et essendo dimandato dal padre, se’l legno haveva ancor fatto le radici, rispose, che nol sapeva: Onde esso lo spianto, poi che colui l’haveva abbeverato un’anno continuo, et lo getto via: Et di quell’altro, che commandato da un’altro padre getto fuori della finestra un vaso d’oglio, che solo era nell’Eremo, senza considerar; quanto gran sciochezza fosse quella, che gl’era stata imposta. Dice ancora, ch’un frate giovane; portando dell’ova in un canestro, et dovendo passare un fossato; dimando ad un padre, come doveva fare, per passare con quell’ova, et esso gli rispose scherzando, che lasciasse prima il canestro oltra il fosso, et poi lo seguitasse: il che egli fece subito, non pensando, quanto fosse vano quello, che gl’era commesso. Narra il medesimo Cassiano, ch’un’altro frate; per obedire ad un padre; s’affaticava, quanto poteva, per voltar un sasso, che molte persone non haveriano potuto pur movere. Et san Gregorio nel Primo libro de i Dialoghi scrive d’un severissimo padre d’un monasterio, sotto il quale il beato Nonnoso faceva vita monastica, et tolerava con una meravigiosa, et continua tranquillità d’animo i suoi rigorosissimi costumi, conversando tra i frati con tanta mansuetudine, che molto spesso mitigava con la propria humiltà l’iracondia sua. Per il che venne à tanta perfettione, c’hebbe gratia da Dio di far molti miracoli: un de i quali fu questo, che lavando un giorno nell’Oratorio le lampade di vetro, una d’esse gli cadde di mano, et si ruppe in molti pezzi, onde egli temendo il grandissimo furore del sopradetto padre, raccolti prima tutti i pezzi della lampada, et postigli inanzi all’altare con gran sospiri si mise ad orare, et alzato il ca dall’oratione, trovo la lampada sana. Questo medesimo padre porto con l’oratione da un luoco all’altro un gran sasso, che non si saria potuto muover con cinquanta paia di buoi. Ecco adunque quanto giova à i buoni sudditi l’asprezza de i Prelati, la quale se ben alcuna volta è ingiusta, procede nondimeno alla loro benevolenza, et percio è usata con buona conscienza. Ne bisogna, ch’essi dimandino à i sudditi perdono di così fatti ingiuriosi esercitij, essendo commandati per bene, et non con animo d’offendere, ne con rancore; ma per zelo d’amore, et di buona volontà. Et pero dice sant’Agostino nella Regola. SI IPSI etiam modum vos execessisse sentitis, non à vobis exigitur, ut à vobis subditis veniam postuletis. cioè. Ancor, che conoschiate d’haver ecceduto il modo convenevole; non si richiede pero, che ne dimandiate perdono à i sudditi vostri. Et più di sotto. SED TAMEN petenda est venia ab omnium Domino, qui novit eos; quos plus iusto fortè corripitis; quanta benevolentia diligatis. cioè. Si deve pero chiederne perdono al Signor del tutto, che fa, quanto amiate quelli, che forse riprendete più del giusto. Fu già un Prior nell’Ordine nostro casto, religioso, et devoto, ma molto rigoroso nel governo; (com’io intesi già da i miei vecchi, essendo ancor giovanetto;) quantunque sotto di lui fiorisce grandemente la disciplina della nostra Religione, perche si attendeva ottimamente all’osservanza della Regola: et all’Offcio divino, e i delinquenti eran castigati senza alcun rispetto. Haveva questo Padre nel suo convento un frate fra gl’altri, che portava singolar devotione à san Giov. Battista, et per l’austerità del Priore, procurava d’esser mandato à qualche altro convento: Ma apparendogli quel Santo in visione, et esortandolo à non partirsi; perche gl’era d’utilità, et di salute star sotto à quel Priore fin’alla morte; persevero sotto’l governo suo, mentre visse, et al fine morì santamente il dì della Natività di san Gio. Battista: e’l Priore, dopo una lunga infermità, partendosi di questo mondo; ricevette da Dio gloria, et premij grandi, come fu rivelato ad una santa sorella del nostro Ordine. Habbiam nel medesimo proposito un notabile esempio di doi venerabili huomini di questa sacra Religione; L’uno fu Frate Agostino da Terano, Prior General dell’Ordine: l’altro frate Giacomo da Viterbo, eccellente Maestro in Teologia, perche il primo fu persona di gran santità, et di meravigliosa austerità, et rigore nel conservar la disciplina dell’Ordine, et amo vivamente la Giustitia, et l’honor della Religione, et prima, c’havesse l’officio del Generalato, era stato penitentiero di Roma, essendo oltra di cio Dottore famoso di Leggi canoniche, et civili. L’altro era parimente molto dotto, et celebre, come mostrano i suoi scritti, onde per i meriti della sua bontà, et dottrina fu eletto à concorrenza, et di commune concordia Arcivescovo di due chiese, cioè di Napoli, et di Benevento. Questo padre; trovandosi ad un Capitolo Generale, che si doveva celebrare in Napoli; fu pregato à voler informar il Prior Generale dell’innocenza d’un buono, et valente frate, che gl’era stato accusato à torto, et facendolo egli per pietà, il Generale, chiamato tutto il Capitolo, (senza haver rispetto alla riverenza, che meritava una tanta persona;) disse queste parole. Fratelli carissimi con mio dispiacer vi faccio sapere, che i frati nutriti, et posti in stato di dignità dal nostro Ordine, così ricompensano la Religion madre loro, che s’affaticano di difendere, et scusare i frati colpevoli, et vitiosi. A queste persone si rizzo in piedi quel padre venerabile; et considerando, che quella riprensione non procedeva, se non da benevolo, et cordial zelo, et fervor d’un tanto padre; rispose in presenza di tutti i frati humilmente così. Padre io mi protesto inanzi à Dio, et a voi, che s’io in questa materia ho detto qualche cosa, l’ho fatto con animo sincero, et con pura intentione, et per beneficio dell’Ordine. Nondimeno, se vi par, ch’io v’habbia offeso, ne chiedo perdono à Dio, et à voi, et sono apparecchiato à farne la penitenza. Della qual risposta fatta da un tant’huomo con humiltà, et riverenza così grande rimasero tutti i frati stupefatti, et intrinsicamente emendati, et l’animo del Padre Generale pienamente acquetato. Ecco con quanta auttorità i padri nostri passati solevano riprender le persone; quantunque grandi, per zelo dell’Ordine, et con quanta humiltà, et patienza sopportavano le riprensioni, ancor che ingiuste, gl’huomini principalissimi della Religione; che dovevano esser poi colonne della Chiesa: Per cio che l’anno istesso il predetto Maestro Giacomo fu eletto, et confermato Arcivescovo di Napoli. Deveno pero i Prelati guardarsi di non condurre i frati alla disperation con l’indiscreta asprezza: Intorno à che mi sovviene un’esempio dell’Abbate Apollo, di cui si legge nelle Collationi de i Padri, ch’incontrandosi una volta con un frate giovane; che per grand’ardor di concupiscenza carnale voleva lasciare il monasterio, et tornare al secolo, conobbe dalla mestitia della faccia, et da altri segni, ch’egli haveva la mente piena di dolore, et d’afflittione: Perilche dimandatagli la cagione di tanta tristitia, intese, ch’era molestato dalli stimoli della carne, et c’havendo scoperto il suo affanno ad un Padre, per haverne rimedio, ne era stato ripreso con amarissime parole, havendogli esso detto, ch’era un’infelice, et indegno d’esser chiamato monaco colui, che poteva esser tentato di tal peccato. Per la qual cosa, (disse,) io son caduto in tanta disperatione, che voglio tornare al secolo, et prender moglie. Ma il buon’Apollo, consolandolo con dolci, et piacevoli parole, gli disse, che non haveva percio à disperarsi, perche egli ancora provava spesso quella tentatione, ma doveva confidarsi nella gratia, et misericordia di Dio, che non abandona mai chi si assicura in lui; et che lo pregava, che per un sol giorno ritornasse alla sua cella, et se intanto non havesse conosciuto la misericordia di Dio, havesse poi fatto quello, che fosse stato inspirato. Fatto questo si mise à pregar caldamente, et con molte lagrime il Signore, che rivolgesse la battaglia carnale del giovane contra il vecchio, accio che esso in questo modo imparasse ad haver compassione dell’altrui fragilità. Pertanto finita l’oratione, vide un’huomo negro, et brutto, ch’indrizzava saette infocate contra il vecchio, il quale essendo subito ferito, usciva di cella, et andava, come un pazzo, correndo di quà, et di là, et pensava di tornare al secolo. All’hora il santo padre Apollo gli disse. Ritornate alla vostra cella, et sappiate, che questa è una tentation diabolica, ne havete potuto; benche siate tanto vecchio; difendervi da un colpo d’una saetta, dalla quale il Signore ha voluto lasciarvi ferire, per insegnarvi ad haver compassione della fragilità del prossimo: poi che non solamente non havete consolato quel giovane, combattuto dalle tentationi diaboliche, ma quanto à voi, l’havete messo nelle proprie mani del Demonio. Imparate adunque col vostro esempio ad esser pietoso dell’altrui debolezza, et ad imitatione del Salvatore, non vogliate atterrar la canna sbattuta dal vento, ma aiutate più tosto il vostro fratello con amorevoli esortationi. Et da quell’hora per le orationi dell’Abbate Apollo colui, che percuote, et risana, libero subito da quella tentatione il giovane, e’l vecchio. Io ancora ho conosciuto alcuni Prelati nell’Ordine, che con la loro imprudente austerità hanno condotto à disperatione alcune buone persone, che potevano esser nelle loro provincie colonne della Religione, et harebbono potuto sollevare con pietosi conforti. Alcuni altri ho conosciuto, che con piacevoli esortationi, et con una mansueta destrezza hanno acquetati gl’animi d’alcuni frati, già vicini alla disperatione, et conservati col mezo della gratia divina in honore, et nella buona vita.

Cap.V.

Della scambievol Carità de i Frati.

Et perche nella communanza della Spirituale unione, non solamente deveno i sudditi esser ben ordinati verso i Prelati per obedienza, e i Prelati verso i sudditi per benevolenza; ma si ricerca anco, che tutti i frati siano ben ordinati fra se stessi con l’amore, et col legame della scambievol carità; Pero il nostro Maestro sant’Agostino nel principio della sua Regola ci raccomanda il detto amore, dicendo. ANTE OMNIA, Fratres charissimi, diligatur Deus, deinde proximus, quia ista præcepta sunt principaliter nobis data. cioè. Sopra ogni cosa, fratelli carissimi, amiamo Iddio,et dopo lui il prossimo, essendo questi i principali precetti, che ci son dati. Ma si deve veder, qual sia questa carità, overo amore, per il quale i frati hanno ad unirsi insieme: Et questo è più determinato dall’istesso precettor nostro, quando egli dice. NON AUTEM carnalis, sed spiritualis, inter vos debet esse dilectio. cioè. Non deve esser carnale l’amor tra voi, ma spirituale. Carnale è quello, ch’è secondo l’affetto della parentela, et della carne, col mezo del quale quelli, che son d’una medesima patria, il marito, et la moglie, i fratelli, et gl’altri congiunti di sangue per naturale amore s’uniscono; ne questo fra’secolari è biasimato, ma facilmente si rompe: Pero è vietato alle persone spirituali, che rinontiando il mondo, deveno esser nude d’affetti carnali. Ma l’amore spirituale è quello, che si congiunge col legame della carità, la quale è prodotta dalla sola similitudine delle Virtù; come dice Giov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Giosefo con queste parole. Questo è il vero, et intiero amore, che cresce insieme per la doppia perfettione, et parità di Virtù de gl’amici, la cui confederatione; quand’è fatta una sola volta; non sarà rotta da diversità di desiderij, ne da controversia alcuna di volontà : Pertanto puo la dissolutione esser indissolubile in quelle persone, nelle quali è un’istesso proposito, et una volontà, et un medesimo volere, et non volere. Et questa è la vera santa, et perfetta amicitia, che deve esser tra i frati, i quali deveno havere un’istesso volere, et non volere in Dio. Et per questo amore, come per un segno spirituale, volle Christo che si conoscesse il gregge delle pecorelle sue, dicendo. In hoc cognoscent omnes, quod discipuli mei estis, si dilectionem habveritis ad invicem. cioè. In questo conosceranno tutti, che sete miei discepoli, se v’amarete l’un l’altro. Ma con quale intentione debbano i frati amarsi insieme lo dechiara sant’Agostino nella Regola, dicendo più à basso. OMNES ergo unanimiter, et concorditer vivite, et honorate in vobis invicem Deum, cuius templa facti estis. cioè. Pertanto vivete tutti con un’istesso animo, et in concordia, honorando à vicenda Iddio in voi medesimi, di cui sete fatti tempji. Ecco, come ogn’uno deve pensar, che Dio habiti nel suo fratello, et così amare, et honorar Dio in lui. Pero nelle Vite de i Padri si legge, che sant’Apollonio commandava strettamente à i suoi monaci, che ricevessero i frati forastieri, come se fosse venuto il Signore dicendo, che per questa causa s’è introdotto, che s’adorino i frati, che vengono di fuori, perche si tien per certo, che nella lor venuta venga il Signor nostro GIESU CHRISTO, il qual dice. Hospes eram, et collegistis me. Io era forastiero, et m’havete alloggiato. Et di quà si è presa quella lodevole osservanza nell’Ordine, che i nostri frati siano ricevuti inginocchioni, et sian loro basciate le mani. Ma si deve avvertire; che secondo la dottrina dell’Abbate Giosefo nelle Collationi de i Padri; sette circonstanze si ricercano, per conservar l’amore, et la pace tra i frati.

La Prima è il disprezzo delle sostanze mondane: percioche da cose vilissime sogliono nascer litigij, che si troncano, quando si sprezza la robba temporale, mentre si considera essere brutta cosa antiporre una vilissima facoltà al pretiosissimo amor del fratello. Sopra di che raccontaro un’esempio di doi Padri, c’habitavano insieme in una cella, et non havevano mai havuto una picciola contesa fra loro: Percioche disse l’uno all’altro. Facciam noi ancora qualche lite insieme, come fanno gl’altri. Rispose il compagno. Io non so come si litighi: Ecco, (disse il primo,) ch’io metto questo matton quì in mezo fra noi, et dico, ch’egliè mio, et tù dì, ch’esso non è mio, ma ch’è tuo: et così contenderemo, et faremo lite. Messo adunque il mattone fra loro, disse l’uno. Egliè mio. Rispose l’altro. Et io l’ho per mio: Et replicando il primo. Esso non è tuo, ma è mio, Suggiunse il compagno. S’egliè tuo pigliatelo. Et detto cio non seppero più litigare. Ma à i tempi nostri non è necessario finger di questa maniera le cause delle liti: Percioche il Diavolo, et le proprie volontà de gl’huomini le trovano à bastanza.

La Seconda circonstanza è la mortificatione della propria volontà, et pero gl’antichi Padri la tenevano sotto grandissima guardia. Onde nelle Vite loro si legge, ch’essendo dimandato un d’essi da alcuni frati; che l’havevano fatto mangiar fuor dell’hora sua consueta, s’haveva dispiacer d’haver rotto la sua consuetudine, rispose, che egli dispiaceva solamente, quando satisfaceva alla propria volontà. Soleva dir l’Abbate Pacomio. Non compiacer mai alla tua volontà, ma più tosto humiliati, et fa quello, che vuole il prossimo: Et un’altro Padre diceva, che’l Demonio non combatte con noi, quando satisfacciamo alle nostre volontà, perche esse son diventate demonij. Et la propria volontà è un muro di metallo fra Dio, et gl’huomini. Pero qualunque la rinontiarà, potrà dire. Io trapassaro il muro nel mio Dio. Ma tu dirai. Quale è la propria volontà? A questo risponde così san Bernardo nel Sermone: De lepra Naaman. Io chiamo propria volontà quella che non è commune con Dio, ne con gl’huomini, ma è solamente nostra, quando vogliamo qualche cosa, non per l’honor di Dio; non per utilità de i fratelli, ma solamente per noi medesimi, non havendo intentione di picer à Dio, ne di giovare à i fratelli, ma di satisfar à i proprij moti dell’animo nostro: Et à questa è drittamente contraria la carità, ch’è Dio, essendo inimica, et mantenedo guerra crudelissima con quell’altra. Et che cosa ha in odio, et punisce Dio, se non la propria volontà? Cessi questa, et non ci sarà Inferno.

La Terza circonstanza è, non fondarsi imprudentemente nel proprio giudicio, ma obedir più tosto à quello del prossimo, ch’alle proprie deliberationi.

La Quarta è, saper che tutte quelle cose; che sono stimate più utili; si deveno posporre al beneficio, che nasce dalla carità, et dalla pace. Et come puo nascer seminario alcuno di discordia fra quelli, che cedono tutti alla volontà et al giudicio proprio, et anco; dove pretendono qualche utilità; mettono il voler, e’l giudicio d’altri inanzi al suo?

La Quinta è, creder, che l’huomo non debba in modo alcuno adirarsi, ne per giuste, ne per ingiuste cause.

La Sesta è, procurar di liberar l’animo del fratello da qualunque rancore egli havesse conceputo, ancor che ingiustamente contra di se, con non minor diligenza, che se fosse proprio, tenendo per certo, che quel dispiacer del fratello è tanto dannoso à chi non fa ogni sforzo, per cacciarglielo dal cuore, quanto, s’egli istesso tenesse quella colera con un’altro.

La Settima circonstanza è, persuadersi d’havere à partirsi di questo mondo ogni giorno: il qual pensiero raffrena tutti i moti de i vitij, et di tutte le passioni. Onde san Bernardo nel suo Specchio dice. Se tu sei tentato d’alcun peccato, pensa fra te stesso, se dovendo morir all’hora, volessi farlo. Habbiamo un’esempio di molta carità nel Beato Nicola da Tolentino, che fu huomo compitamente caritativo, et pietoso verso i frati, et verso tutti gl’altri, talmente che riputava guadagno morir, non solamente per Christo, ma anco per il prossimo. Teneva che’l vivere, e i vestimenti; ch’eran deputati à i frati; fossero pochi, ancor che si contentasse egli di poco. Amava i poveri, et gli aiutava con parole, et con fatti: Procurava lor da vivere, et da vestire: Raccoglieva volontieri i frati forastieri, come, se fossero stati Angeli di Dio; Era allegrezza à i mesti, consolatione à gl’afflitti, pace à gl’inimici, refrigerio à gl’affaticati, soccorso à i poveri, et rimedio singolare à prigioni, et à gl’infermi. De i peccatori haveva tanta compassione, che faceva oratione per molti suoi figliuoli di confessione, digiunava, celebrava le messe, et piangeva, et pregava Dio per essi, accioche fossero liberati dalle tenebre de i peccati: Per gratia di questa Virtù non cercava quello, che fosse suo, ma quello, ch’era di GIESU CHRISTO. Le sue parole in somma; perche uscivano da un cor pieno di carità; non havevano sapor d’otio, ne di superfluità, ne di superbia; ma eran tutte piene d’edificatione, et d’honestà. Un simile esempio si ha di frate Hertinodo Goto, col quale sin dalle fasce crebbe la pietà verso il prossimo. Percioche essendo ancor giovane, et secolare, dava à i poveri tutte quelle cose da mangiare, che poteva tor nacostamente di casa del padre, il quale era un’honorato, et ricco cittadino: Onde fu trovato tal volta à portar per compassione sù le spalle proprie le corbe piene di robbe per alleggerir qualche poverello di quel peso: et fatto frate soleva andar raccogliendo le croste, et le miche del pane, et con licenza de i Superiori portarle à i poveri: Era fra tutti i frati del suo tempo in quella terra di singolare splendore nel fuggire i ragionamenti inutili, nel parlar di cose utili, nella misericordia verso i poveri, nel castigo del proprio corpo, nell’esercitio delle buone opere, nell’orar devotamente, nella dolcezza della contemplatione, nell’osservanza della disciplina regolare, et nel zelo dell’amor fraterno. E i segni, che Dio ha mostrato per mezo suo dopo la sua morte, fanno testimonio della santità, nella qual egli ha vivuto in terra, et della felicità, c’ha ottenuta in Cielo. L’istesso si puo dire di frate Tomaso da Rimini, laico, et canevaro; il qual fu tanto pietoso verso i poveri, che toglieva occultamente, et dava lor tutto cio, che gl’avanzava dalle necessità de i frati nella Dispensa, o di pane, o d’altro; anzi molte volte di quello, ch’era necessario al viver loro. Percioche essendosi una volta ordinato nel Convento nostro di Rimini il Capitolo Provinciale, et havendo fatto i procuratori del Capitolo una buona provision di pane, secondo la moltitudine de i frati; vedendone Frate Tomaso tanta copia; mosso da compassione de i poveri, ne diede loro una gran parte; onde i procuratori trovandosi mancare il pane, il quale havevan creduto, che fosse dovuto bastar per molti giorni, dimandorono in colera al canevaro, dove fosse andata tanta quantità di pane: il quale essendo semplice, come una colomba, ne sapendo all’hora fare altra scusa, confidatosi nel Signore, disse, che se gl’era dato tempo conveniente, harebbe reso con l’aiuto di Dio buonissimo conto di tutto quel pane; et ritiratosi nel suo Oratorio, prego il Signore piangendo, che lo sollevasse pietosamente da quell’angoscia. Fornita l’oratione, et tornato alla Dispensa, trovo una gran quantità di pane, et maggior di quella, c’haveva havuto prima; et era tanto fresco; come se fosse stato cavato dal forno il giorno inanzi. Di che rallegratosi l’huomo di Dio, ne diede molte gratie alla bontà sua, che non abandona quelli, che sperano in lei; et chiamati i procuratori, consigno loro il pane, ch’era in maggior numero, et miglior dell’altro: Li quali tutti stupefatti, conoscendo il miracolo, lodorono Iddio. Questo frate, per la compassione, c’hebbe sempre de i poveri di Christo, et in vita, et dopo la morte, fece molti miracoli, che son registrati nel convento nostro di Rimini. A questi aggiungeremo il Beato Agostino da Terano, il quale deposito l’officio del Generalato, volendo nascondersi dal mondo, et conversar con la mente in Cielo, si risolse d’habitar nell’Eremo, et s’elesse il luoco di san Leonardo nella Diocese di Siena: Ma non puote starvi tanto secretamente, che non fosse scoperto, perche andavano da tutte le parti à trovarlo, non solamente i frati dell’Ordine, per haverne esortationi spirituali, ma anco molt’huomini secolari; c’havevano inteso la fama della sua santità; vi concorrevano ogni giorno da paesi lontani, et eran recreati con la parola della Vita, et con l’esempio delle sue buone opere. Ne era alcuno così sbattuto, et afflitto, che non se ne partisse consolato, et non adorasse Dio in lui. Et fra gl’altri un Preposito de i Salimbeni, il quale essendo tanto tribolato per la morte della madre, c’haveva quasi à noia la vita, et per consiglio de gl’amici era andato à trovarlo, sentendo i dolci conforti, che quel sant’huomo gli dava, et oltra quello, che si puo credere, meravigliandosene, disse. Io non vorrei, che mia madre vivesse, et esser privo di così gran consolatione, come è quella, ch’io ho sentito per le parole di quest’huomo. Era anco un frate giovane nella città di Riete, c’haveva nome Giovanni, et era semplice, humile, sempre giocondo in viso, et piacevole con tutti: nel mangiare, nel bevere, et nelle altre cose; che s’appartengono alla commune conversatione de i frati; era buon compagno, et trattabile, ma pero irreprensibile, et si secreto di vita molto singolare. Si mostrava molto amorevole,et caritativo verso tutti i frati, ne gli s’udì mai uscir parola di bocca, o si vide alcuna sua operatione, che fosse contraria all’amor fraterno. Era officioso con tutti, et specialmente con gl’infermi, à i quali lavava i piedi, scuoteva i vestimenti, accommodandogli de i suoi, et facendo loro volontieri tutte quelle carezze, che poteva: Serviva oltra di cio à tutti i sacedoti indifferentemente alla messa molto volontieri, et con grandissima diligenza. Soleva andar solo nell’horto del convento, et quando ne usciva si vedeva spesso, c’haveva pianto; Onde dimandato una volta; perche piangesse, rispose. Io sospiro, et piango, perche vedo gl’arbori, l’herbe, gli uccelli, et la terra co i suoi frutti obedire à Dio, et gl’homini; à i quali in premio dell’obedienza è promessa la Vita eterna; contrafare à i commandamenti del lor Creatore. A questo frate di felice memoria venne per alcuni giorni continui inanzi alla morte un rossignuolo alla finestra della cella, il qual cantava dolcemente: di che meravigliandosi i frati, et dimandando, che fosse quello, rispondeva sorridendo, et quasi scherzando, che quella era la sua sposa, che l’invitava al Paradiso; et un giorno servendo alla Messa, vide sopra l’altare una luce celeste, et l’istesso dì comincio à star male, et tolti con devotione i santi Sacramenti, rese lo spirito à quello, che l’haveva creato. Nello spatio del medesimo anno fece Dio col mezo di questo santo frate circa centocinquanta gloriosi miracoli, come ho inteso da i frati di quel convento una volta, che mi trovai personalmente alla sepoltura sua.

Cap.VI.

Quanto sia dannosa la Discordia tra i Frati.

Si come nella congregatione de i Religiosi niuna cosa è più salutare, che la carità; per la quale i cuori de i frati si congiungono per unione di volontà; così niuna cosa è più dannosa, che la Discordia, col mezo della quale i cuori si separano per diversità di volontà: Sotto il nome di discordia comprendo io al presente tutti i vitij, ch’in qual si voglia modo v’habbian qualche parte; o come madri, o come figliuoli, o come compagni: come son l’ire, le risse, le liti, l’odio, l’invidia, il rancore, lo sdegno, le mormorationi, le partialità, et altri simili vitij; li quali son tutti vietati da sant’Agost. sotto’l generalnome di liti; dicendo esso nella Reg. LITES, aut nullas habeatis, aut quam celerrimen finiatis. cioè. O non habbiate lite alcuna fra voi, o havendone, finitele quanto più tosto potrete. Et tocca in quel luoco tre danni pericolosi, che son generati dalle liti, et dalla discordia.

Il primo è, che fa l’anima homicidiale, et quanto à questo sant’Agostino aggiunge: NE IRA crescat in odium, et trabem faciat de festuca, et animam faciat homicidam. Sic enim legitur: Qui odit fratrem suum, homicida est. cioè. Accio che l’ira, crescendo, non diventi odio, et convertisca la festuca in un trave, et faccia l’anima homicidiale, poi che così si legge: Chi odia il suo fratello è homicidiale; perche non essendo le liti senza ira, et l’ira facendosi odio; se non si depone l’odio; genera l’homicidio dell’anima, secondo il luoco allegato da sant’Agostino, et notato nella prima Epistola Canonica di san Giovanni, al VII. cap. dove dice. Qui odit fratrem suum, homicida est. cioè. Chi odia il suo fratello, è homicidiale, almeno spiritualmente: Perche prima ammazza l’anima propria, portando odio al fratello, et dopo l’anima del fratello, provocandolo all’ira, alla discordia, alle risse, dalle quali anco molte volte seguita l’homicidio corporale con la morte di colui, ch’è il primo ad odiare, et à provocare, et così esso è homicida di se medesimo per l’occasione, che ne da; provocando altrui.

Il secondo danno è, che rende le nostre orationi inesaudibili, et quanto à questo soggiunge sant’Agostino. SI AUTEM invicem se læserint, invicem sibi debita relaxare debebunt, propter orationes vestras, quas utique, quanto crebriores habetis, tanto sanctiores habere debetis. cioè. Ma se si offenderanno insieme, si deveno perdonar l’uno all’altro, per rispetto dell’orationi vostre, le quali certamente, quanto son più spesse, tanto deveno esser più sante. Et dice. Per rispetto dell’orationi vostre : Percioche, se i frati non si rimettono le offese l’uno all’altro, non sentono beneficio dalle orationi, ma nocumento. Pero di dice Ugone nell’espositione della Regola sopra il medesimo passo. Diciamo ogni dì à Dio nelle orationi: Perdona i nostri peccati à noi, come noi gli perdoniamo à quelli, che ci hanno offeso: Ma, se non rimettiamo il debito à i nostri debitori, cioè à quelli, che ci offendono, dicendo à Dio: Perdona i nostri peccati à noi, come noi gli perdoniamo à quelli, che ci hanno offeso; accusiamo noi medesimi con la nostra propria oratione, et provochiamo Dio ad ira contra di noi, et ci procacciamo noi medesimi più tosto la maledittione, che la benedittione. Et così aviene, che l’oratione, che dovrebbe esserci salutare, ci è nociva; et accresciamo i peccati nostri inanzi à Dio, che doveremo diminuire. In un’altro luoco ancora ci viene insegnato, che’l fratello, che tien odio contra il fratello, et non gli perdona l’offesa, non puo, ne deve fare alcuna oratione, essendo scritto in san Matteo: Si offers munus tuum ad altare, et ibi recordatus fueris, quia frater tuus habet aliquid adversum te; relinque ibi munus tuum ante altare, et vade priùs reconciliari fratri tuo. cioè. Se tu offerendo il tuo dono all’altare, ti ricordai, che’l tuo fratello habbia qualche sdegno contra di te, lascia il dono tuo inanzi all’altare, et va prima à riconciliarti con lui. Sopra la qual sentenza Giv. Cassiano nelle Collationi de i Padri, dice. Come potrà tolerare alcuno in se, o in altri qualche rancore, considerando, che non deve fare oratione, se si conoscerà haver qualche dispiacer d’animo, o malevolenza contra d’altrui, o ch’altri l’habbia contra di se? Percioche per la medesima necessità egliè obligato à placar l’ira del fratello, per la quale gl’è commandato, che non s’adiri con lui. Tanto adunque vuoleIddio, che noi acquetiamo lo sdegno del nostro fratello; che s’egli haverà alcuna cosa contra di noi; non accetta i doni nostri, cioè non lascia, che gli siano offerte le nostre orationi, sin che non si sia tolta con presta satisfattione dell’animo suo quella cattiva dispositione, ch’egli o giustamente, o ingiustamente haverà conceputa. Percioche non hai à lasciare il tuo presente inanzi all’altare, et andare à riconciliarti col tuo fratello solamente; perch’egli habbia ragionevole occasione di lamentarsi di te; ma; (dice il Signore;) se tu ti ricordarai, che’l tuo prossimo habbia alcuna cosa contra di te, cioè, se sarà cosa alcuna, benche leggiera, et di poco momento, per la quale si fosse commossa l’ira del tuo fratello contra di te, et una subita ricordanza te ne stimolasse la memoria; sappi, che non dei offerire à Dio i doni spirituali delle orationi tue, se prima non haverai cacciato con benigna satisfattione del cor del fratello tuo l’odio nato per qual si voglia causa. Ma perche è proprio della fragilità humana, che l’huomo sia toccato alcuna volta dal moto dell’iracondia; prudentemente aggiunge sant’Agostino, et dice. O finitele, quanto più presto potete, secondo quello, che è scritto nell’Epistola à gl’Efesij al cap. Quarto. Sol non occidat super iracundiam vestram. Il Sole non tramonti sopra la vostra iracondia. Nel qual proposito soleva dir l’Abbate Agatone, come si racconta nelle Vite de i Padri. Non sono andato mai à dormire in discordia con altri, ne ho mai voluto, quanto ho potuto; ch’alcuno vada à dormir con disdegno contra di me, ma prima ho voluto pacificarmi seco. Et circa cio parlaro per esperienza del venerabil padre, Maestro Prospero da Reggio, professor di Teologia, (del quale io fui già scolare in Bologna;) perchè egl’hebbe questa virtù, che se alcuna volta dice va à qualche frate, benchè basso, alcuna parola dispiacevole; sempre lo mandava à chiamar prima, ch’andasse à dormire, et gliene dimandava humilmente perdono, il qual atto d’humiltà ha usato spesse volte con me huomo indegno.

Il terzo danno è, che ci rende inhabili, et non atti alla disciplina monastica, et quanto à questo soggiunge sant’Agostino. QUI AUTEM non vult petere veniam, aut non ex animo petit, sine causa est in monasterio, etiam si inde non proijciatur. cioè. Chi non vuol chieder perdono, o non lo dimanda con tutto il cuore, sta senza causa nel monasterio, ancor che non ne sia cacciato. Ben dice, Senza causa : stando un tal’huomo nel monasterio indarno, perche egli non è grato à Dio co i sacrificij ne con le orationi; ne puo far frutto con l’opere buone: Anzi è utile nel monasterio, come il caprone nell’horto. Et che fa il caprone nell’horto, se non dissipare? Et pero deve il padron dell’horto cacciarvelo, se lo vuol conservar fruttifero. Così ancora colui, che non è pieghevole alla concordia; non è atto al servitio del monasterio, anzi gli nuoce; pero, come huomo pestifero, ne deve esser cacciato.

Il Quarto danno si puo aggiungere à gl’altri, che la discordia distrugge, et annichila le cose, ancor che sian grandi, et molte: onde dice san Gieronimo in una Homilia sopra quelle parole di san Luca al cap. XI. Omne Regnum in se ipsum divisum desolabitur : che si come per la concordia le picciole cose crescono così per la discordia le grandissime si distruggono. Et gl’esempij, che servono à questo, ci sono inanzi à gl’occhi: Percioche si vede, che molti ricchissimi monasterij si sono impoveriti per le discordie, et partialità de i loro habitatori, et all’incontro altri poveri, et fondati sù la povertà; vanno crescendo sempre con notabile augumento di bene in meglio, per la concordia de i frati. Si puo accompagnar con questi anco il Quinto danno, il quale è, che la discordia ci espone, et scopre à gl’assalti de gli inimici: Onde san Gregorio sopra quelle parole della Cantica, Terribilis, ut castrorum acies ordinata; dice: Le squadre de gl’eserciti all’hora si mostrano terribili à gl’inimici, quando son così serrate, et ristrette, che da niuna parte si vedon disunite. Ma quando son divise, si vede il contrario. Et san Giov. Grisostomo nell’Homilia LXXVII. sopra san Giovanni, mostrando, che la concordia fa forte l’huomo contra l’inimico, dice così: Se saranno d’accordo doi o diece, non sarà più uno colui, ch’è uno, ma ogn’un d’essi farà per diece, et uno si trovarà in diece, et diece in uno: et s’haveranno de gl’inimici, chi sarà inimico ad uno, sarà inimico à diece, et s’alcuno haverà mille, o doi mille amici, sarà il medesimo.

Cap. VII.

Dell’Humiltà, che deveno havere i frati.

Et perche la Carità, et la Concordia non posson conservarsi senza l’Humiltà, dicendo sant’Agostino in un Sermone à gl’Eremiti. Dove è la superbia, signoreggia la Discordia, pero egli nella Regola commanda, che la superbia si tronchi, con queste parole. NEC ERIGANT cervicem, quia sociantur eis, ad quos foris accedere non audebant, sed sursum cor habeant, et terrena vana non querant, ne incipiant monasteria divitibus esse utilia, non pauperibus; si di vites illic humiliantur, et pauperes illic inflantur. Rursus etiam illi, qui aliquid videbantur esse in sæculo, non habeant fastidio fratres suos, qui ad illam sanctam societatem ex paupertate venerunt: Magis autem studeant, non de parentum divitum dignitate, sed de pauperum fratrum societate gloriari. cioè. Ne alzino la testa, perche sian fatti compagni di quelli, à i quali non ardivano pur d’appressarsi, quand’eran di fuori; ma tenedo il core in alto, non cerchino le cose vane di terra, accioche i monasterij non comincino ad esser di profitto à i ricchi, et non à i poveri, se quelli vi s’humiliano, et questi vi s’insuperbiscono. Oltra di cio quelli, ch’erano di qualche stima appresso al mondo, non si rechino à noia i proprij fratelli, che son venuti dalla povertà à quella santa compagnia, ma si sforzino di gloriarsi più tosto della compagnia de i lor poveri fratelli, che della dignità de i ricchi parenti. Et poco più à basso. NEC EX tollantur, si communi vitæ aliquid de suis facultatibus contulerint: Nec de suis divitijs magis superbiant, quia eas in monasterio partiuntur, quam si eis in sæculo fruerentur: Alia quippe quæcunque iniquitas in malis operibus exercetur, ut fiant; Superbia vero etiam bonis operibus insidiatur, ut pereant. Et quid prodest, dispergendo dare pauperibus, et pauperem fieri, cum anima misera superbior efficitur, divitias contemnendo, quam fuerat, possidendo? cioè. Ne s’inalzino, s’haveranno posto qualche cosa delle lor facoltà nella vita commune. Ne s’insuperbiscano più delle lor ricchezze; perche ne facciano parte al monasterio; che se le godessero al secolo, poi che ogni altro vitio s’adopera, perche si facciano le cattive opere, ma la Superbia tende insidie anco alle buone, accio che periscano: Et che giova sparger quà, et là il suo, et dandolo à i poveri, diventar povero, se l’infelice anima diventa più superba, sprezzando le ricchezze, che non era stata, mentre le possedeva? Et molto ben dice: L’infelice anima, perche è veramente infelice cosa, et degna di compassione, che’l frate; che quand’entro nella Religione, lascio oltra le sostanze sue, anco se medesimo; s’insuperbisca di questo disprezzo. Pero dice Ugone. Si come è beata quell’anima, che dispensa il suo per amor di Dio, et per humiliarsi, così è misera quella, che se ne insuperbisce. Et veramente è infelice colui, che per il camino delle virtù s’indrizza à i vitij, et trabocca nelle pene da quella parte, dalla quale haveva à riceverne il premio: Et una tal persona sta certamente nel monasterio senza causa essendo sconvenevol cosa ch’si possa imparar ad esser superbo nella Scola dell’Humiltà. Pero, poi ch’à i superbi Angeli non fu utile il Cielo, è cosa chiara, che à gl’huomini superbi non sarà d’alcuna utilità il monasterio: Et se’l luoco sarà santo, se sarà santo l’habito, et se l’opere ancora pareranno sante, il tutto dal vitio della Superbia sarà fatto inutile, onde i monasterij sono utili solamente à gl’humili, perche essi si lasciano insegnar da Dio, come è scritto. Docebit mites vias suas. Insegnarà à i mansueti le sue vie. E i buoni Religiosi sono studenti, et discepoli della Scola dell’Humiltà sotto il maestro di questa virtù, ch’è CHRISTO, il qual legge lor la lettione dell’Humiltà, et gli esorta ad impararla. Odano i frati questa lettione humilmente: la intendano perfettamente: la conservino nella memoria, et la esequiscano efficacemente: Ma udiamo san Matteo al cap. XI. per saper, che Scola sia questa, dove egli dice. Discite à me, quia mitis sum, et humilis corde. cioè. Imparate da me, che son mansueto, et humil di cuore. Questa è una lettion breve, et molto sententiosa, perche abbraccia tutti i precetti della Christiana Religione, come mostra sant’Agostino nell’Epistola LVI. à Dioscoro, dicendo. Non è strada alcuna, che ci possa condurre all’intelligenza et all’acquisto della Verità, fuor che l’Humiltà: et quand’io ne fossi dimandato, direi questa esser la via, cioè, l’Humiltà, non perche non ci siano anco de gli altri precetti, ma perche se questa non andarà inanzi, et non accompagnarà, et non seguitarà tutti i beni, che noi faremo; se non ce la proporremo avanti, per mirarla, se non ce la terremo à canto, per appoggiarvisi, et se non l’haveremo di sopra, perche ci raffreni; mentre ci rallegraremo di qualche bene, c’haveremo fatto; il tutto ci sarà tolto di mano della Superbia. Et seguita. Come quel nobilissimo Oratore, dimandato, che cosa giudicasse doversi osservar principalmente ne i precetti dell’eloquenza, si dice, che rispose: La Pronontiatione, Et essendogli fatta da nuovo la medesima dimanda, replico: La Pronontiatione. Et benche fosse ricercato la terza volta della istessa cosa, non disse altro, che la Prononciatione; così ogni volta, che tu mi dimandasti de i precetti de la Religion Christiana, non ti vorrei risponder altro, che l’Humiltà doversi principalmente osservare. Finalmente, se cerchiamo gli esempij dell’Humiltà, gli troviamo principalmente nel proprio maestro d’essa, CHRISTO, il qual, come buono, et legal maestro non insegno tanto con le parole, quanto la mostro con l’esempio, et con l’opere: Onde dice. Imparate da me, non solamente con le parole, ma anco con gl’effetti. Percioche essendo egli Signor del tutto; humilio se stesso sino alla morte, et morte piena di molta ignominia. Et per insegnar l’Humiltà discese dal Cielo, come dice sant’Agostino nell’Homilia seconda sopra san Giovanni, con queste parole. Christo fu crocifisso per insegnar l’Humiltà. Et nell’Homilia XV. Il figliuol di Dio discese in terra, et si fece humile, per curar la causa di tutte l’infermità. Et seguita. Se tu ti vergogni d’imitar l’humil huomo, imita l’humile Iddio. Della grand’humiltà ancora, ch’osservavano i santi Padri molti esempij si trovano nelle lor Vite, et Giov. Cassiano nelle Collationi recita, ch’essendo l’Abbate Pinufio Prelato in un gran monasterio d’Egitto, et vedendo, che non poteva esercitarsi nell’Humiltà, per esservi molto honorato; fuggì vestito d’habito secolare, ad un’altro monasterio, che sapeva esser più stretto, dove stette molti giorni piangendo inanzi alla porta, pregando et gettandosi à i piedi de i frati, fin che fu finalmente ricevuto, et dato per compagno ad un frate à lavorar nell’horto, per il che con le proprie spalle portava il litame, per ingrassarlo, et non solo esequiva con somma humiltà quello, che gl’era commandato; ma faceva di notte altri vili servitij, che per la bruttezza loro erano schifati da gli altri, di maniera, che la mattina non se ne sapeva l’auttore, et continuo in questo esercitio tre anni. Essendo poi conosciuto da un frate, che capito à quel monasterio, et scoperto, se ne partì con lagrime, dicendo, che per invidia del Diavolo l’humiltà sua era stata defraudata, et dopo fuggì la seconda fiata in Palestina, dove sperava d’esser totalmente sconosciuto. Habbiamo nel medesimo proposito l’esempio di Frate Agostino da Terano; il quale essendo nobile di sangue, et famoso Dottor di leggi canoniche, et civili, et molto potente nella Corte di Rè Manfredo, et caro à tutti; cadde per divina dispositione in una gagliarda infermità, et dubitando di morire, dimando à Dio spatio di penitenza, promettendo, che subito libero dal male si sarebbe fatto Religioso. Risanatosi adunque, et entrato per vocation divina nell’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino nell’Isola di Sicilia; volse l’huomo di Dio, pigliando l’habito della santa Religione, far nel principio della sua conversione i fondamenti dell’Humiltà, occultando lo splendor della scienza, la nobiltà della stirpe, et l’altezza del suo primiero stato, accioche niuno considerandolo da alcuna delle dette qualità havesse potuto tenerlo in veneratione, et accio che da questo non gli fosse potuta entrar occultamente nel cuore qualche scintilla di superbia. Pertanto volse esser sciocco tra i frati, per esser ammaestrato da Dio: si fece povero per arricchirsi del Tesoro celeste: non volse esser conosciuto da alcuno, per esser conosciuto da Dio: si humilio nel mondo, per esser inalzato appresso à Dio: Conversava coi frati più vili, et più sprezzati, sapendo, ch’era di tanto maggior merito in Cielo, quanto per amor di Dio era più sprezzato nel mondo appresso à gl’huomini. Non si udiva dalla sua bocca, che si vantasse, ne dicesse parola del suo primo stato. Attendeva con grand’humiltà, et devotione alla cerca, et à i più bassi, et più vili servitij della casa senza darsi à conoscere; et vivendo in tanta humiltà, piangeva con allegrezza, c’havesse differito tanto à convertirsi à Dio. L’anima sua si struggeva di desiderio della patria superna, per la qual teneva per nulla tutte le cose presenti. Se alcuna fiata gl’usciva contra sua voglia qualche parola di bocca, per corregger il prossimo; (il che egli soleva far per zelo del bene, et per odio del male; et per la carità sua verso il prossimo;) condannando se stesso, si metteva à i piedi del fratello, et gliene dimandava perdono. Intanto essendo stato alquanto tempo in Sicilia nel monasterio con grand’humiltà, avenne, ch’alcuni frati Senesi andorono per obedienza dell’Ordine à quel convento, à i quali havendo esso dimandato de i luochi della Provincia di Siena, et inteso, che ve n’erano di solitarij, et separati dall’habitation de gl’huomini, et molto commodi per servire à Dio, ottenuta licenza dal Superiore, passo nella detta Provincia con pochi, et utili vestimenti, et non essendo punto conosciuto da quei frati, fu messo nell’Eremitorio di Santa Barbara; che non era molto lontano dal Castello di Santa Fiora; dove stette servendo à Dio, et sentiva tanta abondanza di dolcezza nel cuore per devotione, che molte volte gli pareva d’esser fra le schiere de i beati, et gustare il premio del celeste riposo. Et perche non si sapeva chi egli fosse, et di quanto valore, gl’erano imposti i più bassi servitij del convento, i quali il buon padre forniva con grande humiltà, et molto volontieri. Faceva la cerca, spazzava la casa, lavava i piatti, et teneva monde tutte le masseritie di casa, onde i frati considerando il suo stato, la santa vita, et l’edification delle parole, ch’egli diceva con una certa semplicità, l’udivano volontieri. Era all’hora Prior di quel luoco un Senese, chiamato Frate Buono, huomo assai venerabile, et prudente; il qual considerando la bontà di questo frate, e i consigli suoi pieni di salute, l’amava grandemente, et sentiva gran piacer dell’humiltà sua, della gravità de i suoi costumi, et della dolcezza de i suoi ragionamenti. Pero passando per obedienza dell’Ordine dal convento di Santa Barbara à quel di sant’Antonio, lo meno seco; et fatto Prior di Rosia l’anno seguente, lo tenne in sua compagnia. Nel qual luoco il sant’huomo, non conosciuto da niuno, fu fatto conoscere, con questa occasione. Havevano i frati di quel convento una lite alla Corte, et già dubitavano di perderla; pero sentendone gran dispiacer per haver à restar privi d’una possessione, ch’era di gran sostentamento al monasterio; volse Iddio porre sul candelabro della Religione la lucerna, ch’infino all’hora era stata sotto il moggio, perche facesse lume à tutti quelli ch’erano in essa. Percioche vedendo il sant’huomo gl’animi de i frati molto confusi, et conoscendo, ch’era lor fatta una grande ingiustitia, ando à trovare il procuratore, et dimando secretamente, che gli fosse dato da scrivere. Il quale benche se ne ridesse; non sapendo, ch’egli sapesse, ne scrivere, ne leggere; nondimeno, perseverando esso à dimandare, gli diede carta, penne, et inchiostro, onde egli ritiratosi da un canto, scrisse poche parole; ancor che molte in sentenza; et le diede al procuratore, perche ne fosse data copia all’avversario, il quale era Messer Giacomo de’Pagliaresi, come fu fatto. Costui leggendola, et considerando la brevità delle parole, et la virtù pregnante della sentenza, disse. Il Diavolo hà fatto questa scrittura, o un Angelo, o M.Matteo da Terano che studiava in Bologna à i miei tempi, et morì nel fatto d’arme del Rè Manfredo; percioche il Beato Agostino, prima ch’entrasse nella Religione, era chiamato Matteo, et facendosi frate, prese quest’altro nome, per esser del tutto incognito al mondo. Havendo poi inteso dal procuratore, ch’un frate rozo, et ignorante haveva fatto quella scrittura, disse. Non è così: et andato subito à Siena al monasterio, fece chiamare il Priore, e i frati, et dimando chi era quel frate, di che patria, et come fosse capitato in quel luoco; et conosciuta la condition sua dalle risposte loro, fece congiettura, ch’esso fosse quella persona, che veramente era. Perilche ando subito à Rosia, et vedendo vivo colui; ch’egli teneva per morto; rimase meravigliato della sua humiltà, et corse prestamente ad abbracciarlo, et basciarlo, ne puote ritener le lagrime, et benche il sant’huomo lo pregasse assai, che non volesse turbar la sua pace, manifestandolo, non volse compiacerlo, ma disse à i frati. Voi havete un tesoro occulto, perche questo è il miglior huomo del mondo. Tenetelo adunque, come si richiede: et già la lite è finita in favor vostro. Cominciorono pertanto i frati ad haverlo in veneratione, et riverirlo; ma il buon padre, ch’era fondato in vera humiltà, rifiutato ogni honore, et ogni riverenza che gl’era fatta, et non lasciando le prime opere servili, attendeva à vivere, come haveva cominciato. Ne si deve lasciar fra gl’esempij dell’humiltà sua di dire, c’havendo commesso Papa Nicola Quarto à frate Clemente della Marca, Prior Generale, che gli provedesse d’un frate idoneo, et sufficiente per confessore, et Penitentiero di Roma, esso gli meno inanzi alla presenza de i Cardinali; ch’erano in Consistorio; Frate Agostino; il qual non sapeva cosa alcuna di quello, che si trattava. I Cardinali, vedendolo in habito così vile, et di presenza così austera, et rustica, dissero al Generale: Da qual bosco havete cavato questo frate selvatico? Condotto adunque à i piedi del Papa; perche desiderava molto di tornare all’Eremo, per attender solamente al servitio di Dio, come era solito; quando il Papa gli mise la mano sopra la testa, per dargli la sua auttorità, comincio à pianger così fortemente, ch’egli, e i Cardinali se ne meravigliorono; Ma havendo poi conosciuto la bontà sua, la santità della vita, et lo splendor della scienza, l’honoravano con affetto di carità, et quando esso assicurato da zelo di giustitia gli correggeva alcuna fiata, non sol con preghiere, l’ascoltavano patientissimamente, honorando Iddio nel suo servo, come quello, che era pieno di tanto fervore, et di consigli così salutiferi, che pensavano, che le parole, che gl’uscivano di bocca, venissero dal Cielo. Et benche egli fosse obligato à star personalmente nella Corte del Papa, stava nondimeno con l’animo sempre nell’Eremo. Essendo adunque stato il detto venerabil padre Penitentiero intorno à 22 anni, celebrandosi il Capitolo Generale dell’Ordine à Milano, fu eletto Prior Generale, benche assente, di commune consenso. Alla quale elettione egli fece lungamente resistenza, sin che’l Papa lo costrinse ad accettarla: Et governo l’Ordine con gran carità, et humiltà, et con molto zelo di giustitia, essendo humile nell’esortatione, severo nella correttione, et benigno à tutti, se ben rigoroso à se stesso; et perche sentiva somma molestia d’haver à lasciar la solita dolcezza della devotione, ch’era la vita del suo core, et attender alla cura de gl’altri; poi c’hebbe fornito doi anni in quell’officio: s’affrettava di depor quel peso, per tornare al suo Eremitorio: Perche usandosi, secondo lo stile dell’Ordine, di celebrare il Capitolo Generale di tre in tre anni, egli non di meno anticipo d’un’anno il Capitolo, che si doveva celebrare in Napoli, nel qual volendo rinontiare il Generalato; fece per quattro giorni ferma resistenza à i voti di tutti gl’elettori, che non volevano accettar la sua resignatione, ma cercavano unitamente di raffermarlo per lor padre, et pastore, ne mai volse consentire. Finalmente, poi che le supplicationi di tutto il Capitolo, et le preghiere del Rè Carlo, (che v’era presente,) non valsero à piegarlo à ripigliare il Generato; i frati furono sforzati ad eleggergli il successore. Nel medesimo Capitolo il detto Rè Carlo, padre del Rè Roberto, mosso dalla devotione, c’haveva all’Ordine, et à questo sant’huomo, dono alla nostra Religione il capo di San Luca Evangelista. Al fine deposto l’officio ancor, che fosse chiamato alla Corte da Papa Bonifacio Ottavo, fuggì industriosamente la presenza sua: et subito lasciata ogn’altra cosa, torno alla solitudine, ritirandosi in un certo Eremitorio fabricato ad honor di san Leonardo con alcuni pochi frati, che s’accompagnorono seco, et riposandosi ivi all’ombra della divina contemplatione.

 

 

Cap. VIII.

Della Patienza, che deveno havere i Frati.

Ma perche la Patienza è testimonio dell’Humiltà; (dicendo sant’Agostino in una Epistola à Proba vergine. Molto facilmente si puo portare una veste vile, caminar col capo chino, et abbassare il velo sù gl’occhi; ma non si puo mostrar l’humiltà, se non sopportando le ingiurie; ne potendosi aquistar, ne conservar la vera patienza senza la profonda humiltà del cuore, et essendo la vera humiltà confermata dalla patienza, (come dice Giov. Cassiano;) pero gl’esempij della Patienza si deveno ragionevolmente porre appresso à quelli dell’Humiltà. Fa mentione san Gregorio nel primo libro de i Dialoghi dell’humiltà, et patienza d’un certo Costanzo, il quale; (essendo andato à vederlo un Savio mosso dalla fama sua, et havendolo sprezzato, et detto, c’haveva creduto di veder un grand’huomo, et che colui non haveva niente dell’huomo;) gli rese gratie di queste parole, et disse. Tu solo sei quello, che m’hai veduto con gl’occhi aperti. Quando adunque fu humil costui, (dice san Gregorio,) ch’amo più chi lo sprezzava, che se medesimo? Et le ingiurie mostrano, qual sia l’huomo nel secreto. Molti altri esempij della meravigliosa patienza de i santi Padri si scivono nelle Vite loro, et fra gl’altri d’un’Abbate, à cui essendo dimandato, come havesse acquistato questa Virtù, che quando gl’occorreva qualche tribolatione nel monasterio, non ne parlava: rispondeva. Quand’io entrai in questo luoco dissi all’animo mio. Tu, et l’asino sete una medesima cosa. Adunque, si come egli è battuto, et non parla, così fa tu ancora, come dice il Salmo. Io son diventato, come un giumento appresso di te. Si narra anco d’un frate giovane, ch’essendo cacciato del monasterio da un Padre ne usciva, et sedeva di fuori, aspettando con humiltà, sin che vi fosse richiamato, et all’hora ritornava, et cacciato un’altra fiata se n’andava, onde aprendo il Padre la porta, et trovandolo ad ogni prova egualmente patiente, con dolore gliene chiese perdono, dicendogli. Tu sei il padre mio, percioche l’humiltà, et la patienza tua hanno vinto la mia pusillanimità: Da quì inanzi tu sarai il vecchio, et io il giovane, e’l discepolo, perche col valor tuo hai superato la mia vecchiezza. I Filosofi, volendo tal volta provare i monaci, quando alcun d’essi passava, dicevano. Tu Monaco, cattivo vecchio vien quà. Il qual andandovi prestamente, essi cominciavano à battergli la faccia, et colui voltava loro l’altra massella. All’hora i Filosofi, rizzandosi l’adoravano, et dicevano. Ecco il vero monaco: et lo facevan seder nel mezo di loro, dimandandogli. Che cosa fate voi più di noi in questa solitudine? Voi digiunate, et noi digiuniamo: Voi domate la carne, et noi la domiamo. Et tutto cio, che fate voi, facciam noi ancora. Che fate adunque nell’Eremo più di noi? Et quel monaco rispondeva: Noi nella gratia di Dio v’avanziamo, et custodiamo la mente nostra: Et quelli dicevano. Questo non possiam far noi: et edificati lo lasciavano andare. Un’esempio, quasi simile d’humiltà, et di patienza ho veduto in Frate Giovanni di Lana, huomo certamente di lodevole, et religiosa vita, il quale essendo Bacciliero in Teologia, haveva letto le sentenze in Parigi, et si trovava Prior del nostro convento in Bologna, quando occorse quello ch’io diro. Una persona nobil di sangue; ma vile di costumi, et scelerata, entrando nel monasterio con alcuni suoi seguaci, et trovando questo padre à passeggiar nel chiostro, lo ricerco di non so che cosa, che non era utile al convento, et essendogli negata ne prese colera, et gli diede una guanciata con tanta forza, che se lo fece cader à piedi, et comincio pistarlo co i piedi, et co i pugni, sin che vi corsero i frati, et lo ritennero. Ma il Prior rizzatosi sù le ginocchia, gli porgeva l’altra massella, et diceva. Signor battetemi, quanto voletemi. Di che colui stupefatto ando via. Et sopporto quel buon Padre quella scelerata ingiuria con tanta patienza, che non fu sentito à lamentarsene punto: Nondimeno il convento se ne ricordo poi, et opero, che quella persona ne fosse convenevolmente castigata. Occorse anco in mia presenza un’altro esempio di patienza nel medesimo Priore di felice memoria. Percioche; riprendendo egli nel suo Capitolo alcuni frati di negligenza; un di loro, levatosi recito alcuni articoli di censure contra di lui, dicendo, ch’era scommunicato, et irregolare, et che non si doveva tener per Priore. Et benche esso, secondo le leggi dell’Ordine potesse leggitimamente difendersi, nondimeno tacendo, come fa l’agnello inanzi à colui, che gli taglia la lana, si partì del convento, così per la pace propria, come per quella de gl’altri, et diede luoco à quella calunnia, ritirandosi à san Bartolo, dove con humiltà di spirito attendeva alle orationi, et à i digiuni, aspettando con patienza il giudicio del Prior Generale, come ho vedut’io proprio, che fui molte volte à visitarlo in quel luoco co i miei compagni, così per consolarlo, et honorarlo, come per nostra utilità spirituale, ne udimmo dalla bocca sua uscir mai una parola d’impatienza. Finalmente; benche non subito, ma di là à poco tempo; fu eletto con suo maggior honore Prior del medesimo luoco, et governo quella casa molt’anni lodevolmente, et utilmente, come hanno mostrato gl’effetti, così in quel convento, come ne gl’altri luochi dell’Ordine. Habbiamo anco quest’altro non meno eccellente esempio dell’humiltà sua; ch’essendo egli molto sufficiente, et dotto Bacciliere in Teologia, et venendo il tempo di presentarsi, per pigliar il grado del Magisterio; rinontio spontaneamente à quella dignità, et à quell’honore per humiltà, et per il zelo, che portava al luoco, ch’era sotto il suo governo, conoscendo chiaramente, che la sua assenza gl’harebbe recato non picciol danno, et si contento più tosto di servire utilmente à Dio, et alla Religione in luoco più basso, che d’esser alzato à più sublime stato, o à maggiori titoli d’honore. Perche nel tempo del suo reggimento rassetto notabilmente il convento, allargando i cortili, et facendovi delle stanze: Ne sol l’accrebbe di fabriche di muri, ma lo edifico anco lodevolmente con l’honestà de i costumi; et con la conservatione della disciplina, et con la conveniente provisione delle cose necessarie al vivere. Questo Padre fu persona di così buona fama, di così sincera fede, et di vita così santa, ch’alcuni secolari, per acquistar fede à quello; che dicevano; col suo nome, giuravano per frate Giovanni di Lana. Morì finalmente in Bologna ben vecchio, et pieno di buone opere, et ando à vedere i beni di Dio nella terra de i viventi. Frate Simon da Todi parimente, Lettor del medesimo Ordine, molto riverito, et molto santo; (il quale era stato Prior Provinciale, et locale in diversi conventi;) essendo gravemente accusato al Prior Generale in assenza da alcuni suoi emuli in un Capitolo Generale, dove mi trovai io ancora, et havendo patito per quelle accusationi, dedutte Dio sa come, grandissimi incommodi, et vergogna, et calunnie; tolero patientemente tutte le offese, che gli furon fatte; et procurate da i suoi avversarij per amor di colui, che patì per noi ingiurie, et passione, sapendo, ch’è scritto; Inpatientia vestra possidebitis animas vestras. cioè. Nella vostra patienza possederete alle anime vostre; et al fine fu mandato à predicar à Bologna, dove essendo gratioso nel parlare, non solamente insegno la dottrina al popolo di Dio, ma l’illumino ancora con l’esempio della propria vita sua. Predisse la sua morte, predicando una volta publicamente, et al fine morendo felicemente lascio chiara fama d’alcuni miracoli. Da i predetti esempij si vede chiaramente, che l’humiltà, et la patienza fortificano la carità, et la concordia tra i frati, perche, se frate Simone si fosse voluto difender gagliardamente, essendo l’huomo, ch’era, haverebbe commosso tutta la Provincia, anzi una gran parte dell’Ordine, et suscitato varij disturbi, et se frate Giovanni havesse fatto resistenza alle calunnie, come haverebbe potuto, non è dubbio; che molti frati del convento, et dello studio si sariano accostati dalla parte sua, onde ne saria potuta nascer una sì fatta divisione, et partialità nel convento, che non si saria forse mai più sradicata. Ma essi; come huomini santi; volsero più tosto sopportare humilmente, et patientemente le ingiurie nelle persone proprie, che consentire, che per causa loro nascessero disturbi fra gl’altri. Percioche con la patienza d’un solo; (come dice Giov. Cassiano;) si provede alla discordia di molti, si come la concordia di molti si rompe per l’impatienza d’un solo: Et molti credono di posseder la vera humiltà, ma non ne hanno altro, che l’ombra, come afferma il medesimo Cassiano nelle Collationi de i Padri con questo esempio. Un frate giovane; che mostrava somma humiltà nell’habito, et nelle parole; ando à trovar l’Abbate Serapione, et essendo esortato da lui à far con gl’altri la solita oratione, non volse, dicendo, ch’era un peccatore, et indegno dell’habito monastico: Volendogli poi il vecchio lavare i piedi, disse, ch’era involto in tante scelerità, che non meritava d’haver pur l’uso dell’aria commune. Onde egli poi, che l’hebbe fatto mangiar seco gli disse. Figliuolo; essendo tu giovane, et gagliardo non ti è utile esser così vagabondo, et otioso, et andare scorrendo quà, et là con una instabil leggierezza. Pero volendo far profitto, sta nella tua cella, et affaticandoti con le proprie mani, attendi à te stesso. Ma colui hebbe tanto sdegno di queste parole, che si cangio in faccia: Per la qual cosa l’Abbate, che se ne era accorto, gli disse. O figliuol mio, havendo tu detto insino adesso, che sei un peccatore, et accusato te stesso, come huomo non degno di vita; hora, ch’io ti ho dato i buoni avvertimenti, dovevi tu cospramente adirartene? Pero se vuoi esser humile, impara à sopportar virilmente quello, che ti vien detto da altri, et lascia andar le parole vane. Per la qual cosa il frate gliene chiese perdono, et si partì molto emendato. Habbiamo anco nelle Vite de i Padri l’esempio d’un frate di quei tempi, il quale humiliandosi in presenza di molte persone, et dicendo, ch’era un peccatore et un’huomo vile, et indegno, et si fatte cose, et rispondendogli un’altro frate, che diceva la verità, sdegnatosi di quella risposta, gli uso parole molto aspre. A cui l’altro replico. Che volevi, ch’io dicessi? Doveva io forse dire: Tu menti? Dio mi guardi, ch’io ti parli con sì poco rispetto, Havendoti detto adunque, che tu dici la verità, perche ti turbi? Onde disse il detto Abbate Serapione, che si deve ritener quella vera humiltà di cuore, che non nasce dal gettarsi à terra, et inchinarsi con le parole, et col corpo, ma dall’intima humiltà della mente, et all’hora l’huomo darà manifesti indicij di patienza, quando senza palesar le proprie colpe; che dagl’altri non son tal’hor credute; spezzarà quelle, che gli verranno arrogantemente attribuite da chi si sia, et sopportarà con mansueta patienza le ingiurie, che gli saranno fatte. Et si deve saper, ch’i gradi della vera humiltà, et patienza, ne i quali deveno esercitarsi i Religiosi; son vent’uno: De i primi dodici fa mentione san Benedetto nella Regola: De i sette seguenti sant’Anselmo nel libro delle Similitudini: De i doi, che restano, parla la Glosa sopra quelle parole di san Matteo al III. Cap. Sic decet nos implere omnem iustitiam. etc. Il primo grado è: Mostrar sempre humiltà nel cuore, et nel corpo con gl’occhi chinati à terra. Il secondo: Proferir poche, et ragionevoli parole senza gridare. Il terzo: Non esser facile al riso. Il quarto: Ascoltar con silentio le altrui parole. Il Quinto: Accommodarsi à quello, che tien la Regola commune del monasterio. Il Sesto: Tenersi, et chiamarsi più vile di tutti. Il Settimo: Confessarsi, et riputarsi indegno, et inutile ad ogni cosa. L’Ottavo: Non scusare i proprij peccati. Il Nono: Esser patiente per obedienza nelle cose difficili, et aspre. Il Decimo: Sottoporsi obedientemente à i maggiori. L’Undicesimo: Non satisfar con diletto alla propria volontà. Il Dodicesimo: Temer Dio, et ricordarsi di tutti i suoi commandamenti. Il Tredicesimo: Conoscersi meritevole d’esser sprezzato. Il Quattordicesimo: Dolersi di meritar si fatto disprezzo. Il Quindicesimo: Dar buon consiglio à tutti. Il Sedicesimo: Persuaderlo. Il Diciassettesimo: Comportar il male, che vien detto di se. Il Diciottesimo: Sopportar d’esser trattato con disprezzo. Il Diciannovesimo: Amarlo. Il Ventesimo: Sottoporsi à gl’uguali, et non antiporsi à i minori. Il Ventunesimo: Star sotto à i minori: nel qual s’adempie tutta la Giustitia.

Cap. IX.

Della Superbia spirituale, dalla quale con grandissimo lor danno son combattute così le persone religiose, che vivono nella Congregatione, come quelle, che stanno nella solitudine.

Si come adunque i frati; che vivono nella congregatione; spesso son combattuti dalla Superbia, et se non son difesi dallo scudo dell’Humiltà, ne nascono molte liti, et discordie; (perche, come dice sant’Agostino, dov’è la Superbia signoreggia la discordia; la quale è causa molte volte, che alcuni si partano dalla Religione;) così anco quelli, che vivono nelle solitudini, spesso son tentati di Superbia spirituale, et se non sono armati di vera humiltà di cuore, l’inimico; ch’alcune volte ha fatto traboccar gl’humini santi dal proposito della salute; entrando occultamente distrugge il Collegio delle Virtù. Percioche questo vitio di Superbia spirituale, combatte altrui con tale artificio, ch’à pena da gl’occhi, benche acutissimi, puo esser preveduto, o schifato; Onde, quando si pensa, che sia estinto, all’hora con la morte del proprio vincitore, si rinforza più gagliardamente contra di lui, come dice Giov. Cassiano nelle Collationi de i Padri. Et pero dice il nostro Maestro nella Regola. ALIA QUIPPE quæcunque iniquitas in malis operibus exercetur, ut fiant; Superbia vero etiam bonis operibus insidiatur, ut pereant. cioè. Ogn’altro vitio s’adopera, perche si faccian le cattive opere: ma la Superbia tende insidie anco alle buone, accioche periscano. Dice, che la Superbia tende insidie, perche le copre di fuori con la veste della Virtù, come mostra sant’Agostino nell’Homilia VIII. sopra la Epistola Canonica di san Giovanni, dicendo così. Vedete fratelli, quante opere faccia la Superbia, et quanto simili, et quasi pari alla Carità. Pasce la Carità chi ha fame: lo pasce anco la Superbia. La Carità fa oratione: Questo fa anco la Superbia. La Carità veste il nudo: Lo veste anco la Superbia. La Carità digiuna: Digiuna anco la Superbia. La Carità sepelisce i morti: Gli sepelisce anco la Superbia. Tutte l’opere buone, che vuol fare, et fa la Carità, son fatte all’incontro dalla Superbia. Ma la Carità le fa, perche Iddio ne sia lodato: La Superbia per esserne lodata essa. Onde l’istesso Padre ammonisce principalmente i suoi frati dell’Eremo à fuggir la Superbia in un suo Sermone, che comincia. Nihil sic Deo placet, fratres charissimi, quemadmodum obedientia; dove dice così. Io parlo finalmente di quei frati, che soglion viver lontani dal monasterio, ne i quali non deve nascer la Superbia dall’esempio. Hai vivuto nel convento, et ti sei poi contentato di starne discosto diece miglia, non dei pero sprezzar la congragatione de i santi Padri, ne per questo dei stimarti più vile, perche tu venga à trovare i tuoi fratelli. Et soggiunge. O voi, che state nel Deserto: parlo con ogn’un di voi: o tu sei miglior de i frati, che son nel convento, o peggiore: Se sei migliore: vieni, per dar esempio della tua vita, et se sei peggiore: vieni, per imparar quello, che non sai. Peccato di superbia è, quando alcuno dice, che sta remoto, ne si degna di vedere, et visitare i frati. Pero, quando i Padri più vecchi; c’hanno il governo dell’anime altrui; vedono alcuni andar ne i Deserti, et non venire al convento, et esser superbi, vadano essi proprij, et ve gli conducano, non per far lor danno, ma per liberargli dalla Superbia. Habbiamo in questo proposito nelle Vite de i Padri l’esempio d’un monaco, che fu huomo di meravigliosa astinenza, assiduo nelle orationi di giorno, et di notte, et fiorito in tutte le Vitù: Ma insuperbito, ch’ogni cosa gli riuscisse così felicemente, comincio quasi à confidarsi nelle buone opere sue, et attribuir tutto il ben, che faceva, più tosto à se stesso, ch’à Dio: Onde il Demonio; andando à trovarlo in forma d’una bellissima donna, et stando la notte seco; lo piego con amorose lusinghe à i desiderij lusuriosi. Ma mentre il monaco si sforzava di venire à gl’abbracciamenti dishonesti, il Demonio gridando fortemente con voce spaventosa, et urlando, come ombra sottil, ch’egl’era, gl’uscì dalle braccia, et lo lascio, bruttissimamente schernendolo: Et all’hora una grande squadra di demonij; ch’era in aria; con molto riso grido, dicendo. O monaco, che t’inalzavi sin’al Cielo, come hai preso la strada dell’Inferno e il monaco all’hora, diventato come pazzo, et già fatto preda de i demonij; non potendo sopportar la vergogna di si fatto inganno, ritorno al secolo. Si legge anco nell’istesso libro d’un’altro monaco tanto perfetto in ogni spirituale esercitio, ch’era pasciuto nel deserto di cibo celeste, et perche si gloriava delle sue Virtù, comincio ad intepidirsi con tanta pigritia; et arder di tal fuoco di libidine, ch’era sforzato à tornare al secolo. Perilche essendo uscito della cella, et errando per l’Eremo, alloggio in una celletta con alcuni monaci, da i quali essendo pregato à far qualche Sermone sopra il fuggire i lacci del Demonio, rimase parlando tanto compunto, che tornato alla sua cella; fece penitenza; benche non ricuperasse il beneficio della mensa celeste. Un frate de i nostri tempi; ch’era huomo molto austero, et singolare; credendo acquistar maggior perfettione; si ritiro in una cella remota dal consortio de i frati con licenza del Priore, et standovi alcuni anni visse solitario nel servitio di Dio, di maniera, che cominciava ad esser honorato, come santo. Ma il seminator di tutti i mali gli semino così gran superbia nel core; che sprezzando gl’altri frati; stimava se solo più di tutti, per il che diceva; et scriveva; ch’era chiamato, et eletto, et amato da Dio, et *il primo appresso alla Beata VERGINE, et molt’altre sì fatte parole arroganti. Et io dopo la sua morte ho veduto un libro scritto di sua mano, dove eran notate quelle cose: Ma non fece così glorioso fine, come haveva fatto Frate Giovanni Buono, non havendo imitato con la vita. Et benche havesse fatto molte buone opere, nondimeno per la sua superbia non furon grate à Dio, perche, (come dice san Gregorio nel primo libro de i Dialoghi;) Molte cose paion buone, et non sono, perche non son fatte con buon animo: E’l fine dell’opera dimostra la purità dell’intentione, non cessando l’antico avversario di tendere insidie alle persone solitarie, per infettare, et estinguere col veleno della superbia le lor buone opere. Di questo habbiam parlato nel Cap.IV. del libro precedente, verso il fine, et nel Quinto: Pero sant’Agostino esorta così i suoi frati Eremiti in un Sermone, dicendo. Non si conviene, fratelli miei, à i servi di Dio, che stanno nell’Eremo esser superbi. Guardatevi adunque, et state vigilanti, che non v’enfiate di superbia per le buone opere, c’havete fatto, sapendo, che per la superbia gl’Angeli buoni son diventati demonij. Guardatevi, fratelli, che orando, o facendo qualche altra cosa, non diciate con la bocca, o col core, come disse il Fariseo. Io ti ringratio Signore, ch’io non son, come gl’altri huomini: Percioche à questo per instigation diabolica spesso pensano quelli, che vivon nelle solitudini. Spesso siam tentati à dirlo dall’inimico de i servi di Dio. Et io vorrei più tosto, ch’usciste dell’Eremo, che dire, o pensar cose si fatte. Ma quando sete tentati à dirlo, over lo pensate da voi stessi, subito gridate; et esclamate, dicendo. Io sono un verme, et non un’huomo: il vituperio de gl’huomini, e’l disprezzo della plebe. Benche siate ornati di tutte le Virtù, dite col Publicano. O Dio sia tu propitio à me peccatore. Si puo forse sperare, che Dio misericordioso havesse veramente grate l’opere del predetto frate, ma che volesse purgar la superbia della sua singolarità con una non gloriosa morte. Ma lasciamo giudicar questo à colui, il cui giudicio è un profondo Abisso. Un’altro esempio si ha di sotto di questo medesimo lib. al Cap. XIII. Di qua si trahe questo avvertimento, che la singolarità è biasimevole nella Congregation cenobitica, et non puo esser quasi senza superbia spirituale, di che trattaremo più copiosamente di sotto nel Cap. XII. del Quarto Libro.

Cap.X.

Della Correttion fraterna.

S’appartiene ancora la correttion fraterna all’officio della Carità; la qual deve farsi per amor del prossimo, et per odio de i vitij, et d’essa scrive nella Regola il Precettor nostro così. ET SI HANC, de qua loquor vobis, oculi petulantiam, in aliquo vestrum adverteritis, statim admonete, ne cœpta progrediantur, sed de proximo corrigantur. Si autem post admonitionem iterum; vel alio quocunque die idipsum cum facere videritis, iam velut vulneratum, sanam dum prodat, quicunque hoc potverit invenire. Priùs tamen et alteri, veltertio demonstrandum, ut duorum, vel trium possit ore convinci; et competenti severitate coerceri. Nec nos iudicetis esse malevolos, quando hoc indicatis: Magis quippe innocentes non estis, si fratres vestros; quos iudicando corrigere potestis; tàcendo perire permittitis. Si enim frater tuus vulnus habet in corpore, quod velit occultari, cùm timet secari, nonne crudeliter à te sileretur, et misericorditer indicaretur? Quanto ergo potiùs debes manifestare, ne deteriùs putrescat in corde? Sed antequam alijs demonstretur, (per quos convincendus est; si negaverit;) priùs Præposito debet ostendi, si admonitus neglexerit corrigi,* ut fortem possit secretiùs correptus non innotescere cœteris. Si autem negaverit, tunc neganti adhiben di sunt alij, etiam coràm omnibus; ut possit non ab uno teste argui, sed à duobus, vel tribus convinci. Convictus vero; secundum Præpositi, vel etiam Presbyteri; ad cuius dispensationem pertinet; arbitrium; debet emendatoriam subire vindictam: Quam si ferre recusaverit, etiam, si ipse non abscesserit, de vestra societate proijciatur: Non enim, et hoc sit crudeliter, sed misericorditer, ne contagione pestifera plurimos perdat. Et hoc, quod dixi, de oculo non fingendo, etiam in cœteris inveniendis, prohibendis; iudicandis, convincendis, vindicandis q peccatis diligenter, et fideliter observetur cum dilectione hominum, et odio vitiorum. Le quali parole voglion dir così. Se v’accorgerete, ch’in alcun di voi sia quella lascivia d’occhi, di che hora vi parlo, subito ammonitene colui, accio che i principij non vadano più oltra, ma siano subito emendati. Et se dapoi, che l’haverete ammonito; lo vederete un’altra volta, o qual si voglia altro giorno fare il medesimo, ogn’un di voi; che l’habbia veduto; lo scopra, come persona ferita, perche si possa curare, ma prima si deve farlo sapere ad uno, overo à doi altri; accioche convinto per bocca di doi, o di tre si possa castigar con quella severità, che si ricerca: Ne crediate d’esser malevoli, per far saper questo; poi che non sarete più innocenti, se lasciarete perire i vostri fratelli, occultandogli, potendogli emendate con scoprirgli: Percioche, se’l tuo fratello ha una piaga nel corpo; la qual egli non vorrebbe, che si sapesse, dubitando, che gli si tagli; non saresti tu crudele à tacerla, et pietoso à palesarla? Quanto più adunque dei manifestarla, accio che non diventi putrida nel cuore con maggior pericolo? Ma prima, che si publichi à gl’altri; (che negandolo egli, possan convincerlo,) si deve avisarne il Prelato; (se pero ammonito non i curarà d’emendarsi;) accioche forse emendandosi secretamente, cio non possa venire à notitia di tutti, ma se negarà, si deveno all’hora chiamar gl’altri anco alla presenza di tutti, accioche possa non solamente esser accusato da un testimonio, ma sia convinto anco da doi; o da tre, et come sarà convinto, deve sottoporsi al castigo, che gli si da, perche s’emendi, come parerà al Preposito, overo al Presbitero, c’hanno questo carico. Et s’egli non volesse accettarlo sia cacciato fuor della vostra compagnia; ancor che non se ne partisse da se. Ne questo ancora sarà atto di crudeltà, ma di pietà, accioche colui con la pestifera sua conversatione non ne ammazzi molt’altri. Et quello, c’ho detto, intorno al non affisar l’occhio nelle donne, sia anco osservato diligentemente, et fedelmente nel trovar, prohibir, manifestar, convincere, et castigar gl’altri peccati con amor verso il prossimo, et con odio contra i vitij. Ecco, quanto bene, et chiaramente ci mostra il padre nostro la forma della correttion fraterna, la quale non è punto diversa della forma Apostolica, et Evangelica; dicendosi nell’Evangelio. Si peccaverit in te frater tuus, vade, et corripe eum inter te, et ipsum solum, si te audierit, lucratus eris fratrem tuum; si autem te non audierit, adhibe tecum unum, vel duos, ut in ore duorum, nel trium stet omne verbum. cioè. Se’l tuo fratello peccarà in te, va, et riprendilo fra te, et lui solo: Se ti obedirà, haverai guadagnato il tuo fratello; ma se non ti ascoltarà, chiama teco doi, o tre, perche si deve creder totalmente al testimonio di doi, o di tre: Et l’Apostolo dice: Si præoccupatus fuerit homo in aliquo delicto, vos; qui spirituales estis; instruite huiusmodi in spiritu lenitatis. cioè. S’alcuno sarà trovato in qualche peccato, voi; che sete spirituali; ammaestratelo con spirito di piacevolezza. Nella correttion fraterna adunque si deve tener quest’ordine. Dei prima ammonir il fratello fra te, et lui solo con carità, et secretamente: Se si correggerà, sarà bene, se no, si deve farlo saper al Preposito, cioè al Prelato, alqual s’appartiene questa correttione, scoprendo pero à lui solo il peccato del fratello, accioche volendo esso ancora emendarsene; il secreto resti nel Prelato, essendo mente di sant’Agostino, che’l delitto del fratello stia occulto, quanto è possibile, pur ch’esso voglia emendarsi, et percio dice. Accioche forse emendandosi secretamente, cio non possa venire à notitia di tutti. Nel qual luoco alcuni libri hanno * Ne fortem. et non puo stare, essendo intentione di sant’Agostino, che’l peccato del fratello non venga à notitia d’altri, pur ch’esso voglia emendarsene: et all’hora sia corretto secretamente. Onde si legge nelle Vite de i Padri che dimandando un frate all’Abbate Pastore, se vedendo il peccato del fratello, havesse fatto bene à coprirlo; il vecchio gli rispose. Sempre, che copriamo il peccato del nostro fratello, copre anco Iddio il nostro, et qualunque volta lo publicaremo, farà egli publico parimente il nostro. Finalmente, se’l tuo fratello negarà il peccato, o non si curarà d’emendarsene; sia scoperto ad altri, che possa convincerlo, et poi sia manifestato, et palesato publicamente, cioè proclamato in Capitolo, et castigato con la severità, che si ricerca à beneplacito del Prelato, come dice sant’Agostino, dovendosi tagliar con dolor quelle piaghe, che non si possono curar con rimedij piacevoli. Deveno adunque i frati guardarsi di non denontiar, ne accusare alcuno fuor di quest’ordine, et contra la forma dell’Evangelio, et della Regola nostra. Et si deve avvertire, che secondo le leggi, la Denontiatione è di tre sorti. cioè. L’Evangelica, la Canonica, et la Regolare. L’Evangelica è quella, di cui parla san Matteo, al cap. XVIII. dove dice. Si peccaverit in te frater tuus, etc. come habbiam detto di sopra: la quale ricerca doi ammonitioni; Et di questa si parla nel cap. Si peccaverit. II.q.I. la Canonica è quella, che si fa per il peccato publico, della qual tratta il cap. Qualiter, et qno extrà. De accusat. e’l cap. Licet Heli. De Simonia. Et è differenza fra la Denontiatione Evangelica, et la Canonica: Perche la prima ricerca doi ammonitioni, et l’altra ne vuol tre; et questa si fà per pena, et quella per penitenza. La Denontiation Regolare è quella, che si fa, secondo la forma di qualunque Ordine, come è questa, di che noi parliam quì, la quale è secondo la Regola di sant’Agostino, et è differente dall’Evangelica, nella qual si ricercano doi ammonitioni, come s’è detto; si come in questa ne deveno intervenir tre, prima che si faccia la publica denontiatione in Capitolo, come habbiam veduto. E anco differente la Regolare dalla Canonica, perche la Canonica si fa per pena, et la Regolare per pena, et per penitenza; Pero dice sant’Agostino. Deve sottoporsi al castigo, che gli si da, perche s’emendi. Et seguita. Et s’egli non volesse accettarlo, sia cacciato fuor della nostra compagnia, ancor che non se ne partisse da se. Non si deve intender pero, che’l frate sia subito cacciato dalla congregatione, dovendosi proceder per gradi. Percioche in tre modi si separa egli dalla compagnia de i frati. Nel primo, quando uno è condannato alla pena, che si chiama di colpa più grave; per la quale viene escluso del consortio de gl’altri, et si prohibisce, che niuno conversi, o parli seco, come habbiam nel XLIX. Cap. delle Constitutioni. Nel secondo, quando egli è posto in prigione, perche all’hora si discaccia dalla compagnia de i frati, et si riserra nelle tenebre esteriori. Nel terzo, quand’è cacciato dalla Religione, come pecora infetta. Non si deve pero venir così facilmente à questo terzo modo, ma solamente, quand’un frate fosse tanto incorrigibile, che non se ne potesse sperar correttione alcuna. Si legge nelle Vite de i Padri, c’havendo un monaco commesso un’errore nella sua congregatione, fu dimandato à un’Anacoreta cio, che si dovesse far di lui, il qual consiglio, che si cacciasse via: Ma egli vedendosi cacciato si mise in un fossato à piangere, et dolersi: Il che essendo riferito all’Abbate Pastore, lo fece chiamare, et baciatolo si rallegro seco, et lo prego, che mangiasse. Mando poi à pregar l’Anacoreta, che venisse à trovarlo, et gli disse così. Eran doi huomini in un luoco, et tutti doi havevano i lor morti, ma l’uno d’essi lascio il suo morto, et ando à pianger quello dell’altro. Dalle quali parole l’Anacoreta compunto, ricordandosi del consiglio, c’haveva dato, rispose: Pastore tu stai sù in Cielo, et io sto giù in terra. Sono tuttavia alcuni, che, (come dice Ugone,) non riprendono le altrui colpe, per voler corregger il prossimo, ma per sfogar l’odio, che portano nel cuore. Pero si deve far la correttion fraterna non con ira, ne con malevolenza, ma più tosto con dolcezza, et con carità: Et se tal’hora si mostra nella voce qualche rigore per la qualità del delitto, resti nondimeno nella mente sempre la piacevolezza: Onde l’Apostolo, poi c’hebbe detto. Voi, che sete spirituali, ammaestrate colui con spirito di piacevolezza; soggiunge. Considerans te ipsum ne, et tu tenteris. cioè. Considerando te stesso, accio che tu ancora non sia tentato. Et sant’Agostino nel Sermone, De Iustitia à gl’Eremiti, dice così. A noi s’appartiene, fratelli, esser mondi, et santi, et all’hora; quando vederemo peccare il nostro fratello; debbiamo esser molto solleciti in riprenderlo, accioche egli non perisca per la nostra negligenza; percioche la Carità non deve sfodrare il coltello dell’odio, ne della malivolenza, ma quello della correttione, per zelo di Giustitia. Si legge nelle Vite dei Padri, che dimandando un’Abbate ad un’altro Anacoreta cio, che dovesse far d’un monaco, c’haveva errato, esso lo consiglio à cacciarlo del monasterio, per il che essendo cacciato; l’Anacoreta fu assalito da una subita tentatione, et mentre piangeva inanzi à Dio et diceva: Signore io ho peccato habbi pietà di me; sentì una voce, che diceva. Questo t’aviene, perc’hai abandonato il tuo fratello nel tempo della tentatione. Ne senza causa vuol sant’Agostino, che’l frate, se è possibile, sia corretto secretamente, sapendo, che molti non diventano migliori, perche i lor peccati si scoprano, anzi molte volte peggiori, come si vede dal sottoscritto esempio, posto nel medesimo luoco. Un monaco, havendo commesso un’error nel monasterio, era stato scoperto; onde essendone ripreso da tutti, era andato à trovar l’Abbate Antonio: Ma essendo seguitato da i frati, perc’havesse à tornar al convento, et rimproverato del suo peccato, negava d’haverlo fatto. Si trovava per sorte in quel luoco all’hora l’Abbate Pafnutio, il qual recito questa parabola, c’haveva inteso nella Congregation de i monaci, et disse. Io ho veduto appresso alla riva d’un fiume un’huomo, che stava sepolto nel pantano sin’alle ginocchia, et alcuni, che venendo per porgergli la mano, et trarnelo; ve lo sommersero sino al collo. All’hora l’Abbate Antonio: parlando del Beato Pafnutio; disse. Ecco un’huomo, che con la verità puo salvar l’anime. Dalle quali parole frati compunti, chiedendo perdono, rimenorono il monaco al monasterio. Si come adunque quella correttion fraterna si deve far con carità della parte del corripiente, così anco deve esser sopportata con carità dalla parte della persona, ch’è corretta. Ma contra di questo fanno alcuni, che, se ben sono ammoniti con ogni carità, et amorevolezza; recandosi ogni cosa à male, si sdegnano, et s’adirano. Di cio habbiamo l’esempio in quel frate giovane, nominato nel Cap.VIII. di questo libro, et in un’altro, ch’io ho conosciuto, ch’essendo avvertito; benche con carità di qualche sua negligenza; soleva sempre rivolger la colpa contra chi lo avvertiva, pigliando qualunque occasione. Et se altri gli diceva: Fratello io vi dico questo in carità: rispondeva: Et io vi dico quest’altro pure in carità; ma si vedeva veramente, che questa sua correttione non nasceva da affetto caritativo, ma da instinto di vendetta. Et s’egli riceveva in mala parte una secreta ammonitione, come harebbe ricevuto una publica accusatione, fatta in Capitolo inanzi à tutto il Convento? Solevano già i frati accusarsi ordinariamente in Capitolo l’un l’altro de i loro errori, secondo la forma delle Constitutioni, et così publicati ricevevano humilmente, et con carità ogni cosa ad imitatione de gl’antichi Padri, che toleravano con humiltà anco le colpe, ch’eran lor falsamente apposte; et confessando d’esser peccatori, ne facevano, come colpevoli, volontaria penitenza. Et così si legge di santa Marina, ch’era tenuta un monaco, et essendo incolpata d’haver ingravidata una fanciulla, rispose, c’haveva peccato: Onde fu cacciata dal monasterio, et patendo una lunga pena, ne fece molta penitenza. Et nelle Collationi de i Padri si legge, ch’essendo entrato secretamente un frate pestifero nella cella del Beato Pafnutio un giorno di Domenica, mentre egli era in Chiesa, et havendoci nascosto un suo libro, ne fece poi querela al Beato Isidoro in presenza di tutti i frati, affermando d’haverlo perduto: Pertanto meravigliandosi ogn’uno della novità d’una tanta sceleraggine, colui, che se n’era querelato; propose ch’i frati si fermassero in chiesa, et se ne cercasse diligentemente in tutte le celle. Ilche facendosi, fu trovato il libro nella stanza di Pafnutio, et publicato alla presenza di tutti: Il quale, se ben nella sua conscienza si conosceva innocente; nondimeno s’offerse humilmente alla satisfattione, et penitenza: Ma mentre uscito di chiesa; spargeva copiose lagrime nell’oratione, et triplicando i digiuni, s’asteneva i giorni delle Domeniche dalla communione, et inginocchiatosi in terra sù la porta della chiesa; dimandava con somma humiltà perdono ad ogn’uno di quel delitto; colui, che haveva commesso sì fatto mancamento, assalito dal Demonio, manifesto tutte le insidie della sua fraude.

Cap. XI.

Della carità, che si deve usar co i frati infermi.

Ricerca la carità fraterna, ch’i più forti aiutino la debolezza de gl’infermi: Pero il Padre, et Maestro nostro provede particolarmente à i frati infermi, et mostra con qual carità debbano esser trattati, dicendo nella Regola. Quelli, che non posson patir, per non esser avezzi, etc. Et dapoi. Certamente, si come è necessario à gl’ammalati pigliar manco cibo, per non aggravarsi; etc. Et appresso. Ne si nieghi; quando à cio astringa al forza dell’infermità; ch’altri si possa lavare il corpo, etc. Et più di sotto. La cura de gl’ammalati, o di quelli, che dopo l’infermità hanno bisogno di rifarsi, etc. Dove si deve avvertire, ch’egli replica tante volte quello, che tocca à gl’infermi, per mostrar, quanto gli piaccia, che se ne habbia diligentissima cura, sapendo, che in persona loro si serve à colui, che doverà dire. Infirmus eram, et visitastis me. Io era infermo, et mi visitaste. Et fece l’huomo santo quello, c’ha insegnato; leggendosi ch’egli volontieri visitava gl’infermi, et ne risanava molti con l’oratione, et con l’imposition delle mani. Si legge à questo proposito nelle Vite de i Padri, ch’un monaco fece una volta questa dimanda ad un padre, dicendo. Se son doi frati, et uno stia nella sua cella digiunando sei giorni intieri, et facendo molte altre fatiche, et l’altro serva à gl’infermi; qual opera di queste due è più grata à Dio? A cui rispose il vecchio. Se quel frate, che digiuna sei giorni, s’appiccasse per le narici, non si potrebbe mai agguagliare à colui, che serve à gl’infermi: Et se ci consideriamo bene, questo è un servitio angelico, perche è officio de gl’Angeli servire à Christo, e’l fratello infermo rappresenta Christo; Onde anco nelle Vite predette si trova, che Dio mando un’Angelo à servire ad un Padre ammalato, che non haveva, chi lo servisse, il quale essendo stato sette giorni al suo governo, et essendo andati i frati à visitarlo, si partì, et esso; poi c’hebbe lor narrato quello, che gl’era occorso intorno al ministerio dell’Angelo; dormì in pace. Nel medesimo libro si legge, che’l beato Giovanni minore servì dodici anni ad un vecchio, il qual benche vedesse, quanto egli s’affaticava, non gli disse mai una parola piacevole; ma essendo per morire, presolo per la mano, gli disse in presenza d’alcuni padri, c’habitavano in quel luoco: Stafano: Stafano: Stafano. Et lo raccomando loro, dicendo. Questo è un’Angelo, non un’huomo, havendomi servito in questa infermità tant’anni, senza haver mai una buona parola da me. Si ha anco l’esempio di Maestro Henrico di Urimaria, il qual finita la Messa, et dette le sue orationi, che oltra la Messa soleva dedicare à Dio, visitava ogni giorno gl’infermi, se ve n’era alcuno in quel luoco; confortandogli con dolci ragionamenti, et essendo molto giudicioso dell’arte del medicare; non si sdegnava di toccar loro il polso, guardar l’orine, et cercar sottilmente, et diligentemente i segni de i pronostichi: Et oltra le consolationi, che dava con le parole, alcuna fiata, chiamando i medici, dava lor con carità anco rimedij reali di quelle cose, che gl’erano concedute per uso suo, et usava in somma tanta pietà, et amorevolezza verso gl’infermi, che spesse volte assaggiava prima; quasi facendo la credenza; i cibi, o bevande, ch’essi abhorrivano, accioche più sicuramente, et più volontieri pigliassero quello, che veniva lor dato. Una volta; sospettandosi, ch’un frate havesse la lepra, et schifandosi per cio gl’altri di mangiare, et bever seco; questo servo di Dio, esaminatolo diligentemente, et trovatolo mondo da sì fatta infermità; per levar quella opinion da i frati; lo fece seder alla mensa appresso di se, et volse, che mangiasse seco nella propria scudella, et bevesse col suo bicchiero, accioche in questo modo non fosse tanto abhorrito. Il Beato Nicola da Tolentino parimente haveva molta compassion de gl’infermi, et gli visitava spesso, procurando, et dando lor tutto quello, che poteva havere, et era grato all’appetito; anzi era tanto pietoso; che non potendo caminar senza bastone per le molte piaghe, et battiture, che gli dava il Demonio; non lasciava pero mai di visitargli; et confortargli con divini, et devoti ragionamenti, risanandone molti miracolosamente. Era in Tolentino uno, che si chiamava Bernardo di Puglia, il quale andando in viaggio oltra il mare, lascio gravida la moglie, c’haveva nome Margarita, et prima che’l marito tornasse, partorì un figliuolo sano, et bello, che morì poco tempo dapoi. Per la cui morte essa sentì molto dolore, onde cadde in una tale infermità; ch’essendosi molte volte ingravidata dopo il ritorno del marito; sempre faceva il parto morto. Considerando adunque, che s’ingravidava indarno, sconciandosi ogni volta, et sospirando, et dolendosi era afflitta da una gran passione: Il che intendendo il santo Frate Nicola, et havendone compassione, fece oratione per essa molti giorni, et poi le disse. Habbi fede nel Signore, figliuola, ne ti lamentar più, perche di breve ti nascerà una figliuola, c’haverà l’anima dal mio creatore, nella cui misericordia confidato, ardisco di dirti, che da quest’hora inanzi, non partorirai più alcun figliuolo, ne figli vola, che non habbia anima, et vita: Et così avenne; come egli le haveva predetto; percioche partorì una figliuola viva. et dapoi fece tutti gl’altri animati. Hebbe questa istessa donna una figliuolina picciola, chiamata Cecca, c’haveva una enfiatura sotto il mento, grossa, come un’ovo d’oca, ne potendosi guarir per alcun consiglio di medici; massime perche, ne la madre ne la figliuola volevano lasciarla tagliare; l’una ne sentiva molto dispiacere, et l’altra era tormentata da un grandissimo dolore. Il che conoscendo in spirito l’huomo di Dio, mando à dir, che gli fosse portata la fanciulla: La madre gliela porto, et presentandogliela, disse. Io so veramente, et credo, che la mia figliuola sarà liberata da questo male per vostro mezo. Ma egli disse. Tacete, ne vogliate haver ardimento di parlar di me in questa maniera. PregateIddio, et la sua santissima madre, et sant’Agostino padre nostro, che rendano alla nostra figliuola la perduta sanità: Et fatto il segno della Croce sopra la fanciulla, et toccato il male, disse. Tornate à casa, che’l Signor GIESU Christo vi dia la consolatione, che desiderate. La donna ando à casa, considerando la virtù delle sue parole, et subito giunta guardo la figliuola, ne puote trovarle alcun segno d’enfiatura, ne di male alcuno. Nacque anco alla medesima donna un figliuolo, il qual pareva, che non movesse membro alcuno fuor, che le labbra, et essendo battizato, non si puote conoscere, s’haveva l’anima: et la madre piangeva, et diceva. Ahi meschina me, c’ho partorito un figliuolo, la cui anima è dannata, pero il sant’huomo fu sforzato à visitarla, per riferirle à consolation sua una visione, c’haveva havuta la notte precedente dell’anima del suo figliuolo, et le disse. Io era nel mio letto, et dormiva, et ecco, che l’anima del tuo figliuolo m’è data nelle mani. Stavano intorno terribili demonij, et trattavano fra loro, dicendo: Quest’anima è nostra, perche non è perfettamente battizata; Ond’io, ancor che mi conoscessi di poco merito, non volsi lasciar di pregar Dio humilmente, che mandasse un’Angelo in difesa di quell’anima, che m’era stata raccomandata, et era in pericolo: Et piacque alla sua immensa pietà d’inviarne à quella parte uno di molto valore, il qual cacciati i demonij, la ricevette dalle mie mani, per doverla poi collocar nelle sedie celesti. Consolatevi adunque, consolatevi, ne vogliate turbarvi de i giudicij di Dio, essendo meglio, c’habbiate generato un figliuolo all’altissimo Cielo, ch’à questo bassissimo mondo; et non habbiate ardir di palesare in modo alcuno ad altri; mentre ch’io vivero; le gratie, c’havete veduto essere state operate da Dio per mezo di me huomo infelice. Et certamente questo sant’huomo, non solamente fu pietoso vivendo verso gl’infermi, restituendone molti alla sanità, ma mostro la medesima pietà dopo la morte, risanandone molti più, che non haveva fatto in vita, percioche non potendo la predetta donna, che per tante prove conosceva la virtù della sua santità, haver delle reliquie di quel santo corpo, che giaceva nel cataletto, et havendogli lavato molte volte con devotione le mani, e i piedi, et raccolte, et riposte riverentemente quelle lavature in un vaso mondo di vetro; per mezo di quell’acqua furon risanati molti infermi, oltra che fu cosa miracolosa, ch’essendosi serbata per vent’otto anni, non si guastasse mai, ma si mantenne sempre chiarissima, et senza alcuna corrottione. Fu uno di Monte Ritondo, il quale havendo incontrato per viaggio i suoi inimici, ne potendo fuggir dalle mani loro, chiese gratia per amor di Dio, et di san Nicola, che prima, che l’ammazzorono il poverello, che si raccommandava à Dio, et à san Nicola, et poi che fu morto, presero il corpo, et lo gettorono in un lago d’acqua bollente, che scaturiva dal terreno, et andato al fondo, vi stette otto giorni. Ando poi l’ottavo giorno il beato Nicola nel suo habito, et lo risuscito: Perilche uscito del lago, et guidato da lui; ando di notte alla sua terra, et fattasi aprir la porta entro in casa sua, dove la moglie, e i figliuoli piangendo lo ricevettero con molta allegrezza. Ma egli messosi à letto, et dimandato un sacerdote, si confesso, et communico, et prese l’estrema untione. Dapoi fece testamento, et tolto commiato dalla moglie, et dai figliuoli, et da gl’amici, poi c’hebbe narrato, che l’beato Nicola l’haveva risuscitato, custodito, et condotto à casa sua; circa la Terza rese lo spirito à Dio et essendo posto nel cataletto, rimasero l’ossa bianche senza carne, che come s’intende, si conservano sin’al dì d’hoggi per miracolo. Ad un’altro da Tolentino; che si chiamava Maestro Tomaso; nacque un figliuolo mezo morto, ne poterono le ostetrici haver così tosto l’acqua, per battizarlo, che non morisse prima; et poi che gli fu uscita l’anima, rimase la carne senza distintion di membra; (che è cosa horrenda nella natura;) à guisa d’una certa massa, ch’essendo maneggiata, pigli diverse forme, per la qual cosa il padre, et l’avola del bambino si misero à gridare, et fecero voto à san Nicola, accio che impetrasse da Dio, che non gli lasciasse con questo scorno? che si dicesse, c’havessero generato una così horrenda, et così mostruosa creatura; et che quell’anima non si dannasse, ma che riunita al suo corpo, si vedessero le membra distinte: Pero facendo oratione il sant’huomo; l’anima fu resa al mostruoso corpo in un meraviglioso modo, et la carne con le membra distinte fu restituita nella sua bella forma naturale, et hebbe il santo battesimo. Ho veduto anco molti altri miracoli di questo sant’huomo: ma perche non me gli ricordo particolarmente; diro così in generale, ch’egli ha risuscitato più di venti morti, c’ha liberato, et conservato uno, ch’era stato impiccato: ch’ad una donna, che soleva in vita sua dargli la elemosina; fece crescer il grano nella cassa; che ne guarì un’altra, ch’era stata così sconciamente battuta dal marito, che con una fibbia l’haveva rotta una massella in quattro pezzi. Molti altri innumerabili miracoli oltra questi ha fatto, et fa Dio ogni dì col mezo di questo santo padre talmente, ch’à pena bastarebbe la lingua humana à narrargli, et la penna à scrivergli. D’alcuni de i quali sarà un sommario particolare nel fin di quest’opera.

Cap.XII.

Che gl’infermi deveno haver patienza, et render gratie à Dio.

Ma si come si deve sevire à i frati con carità, et aiutargli nelle necessità; così deveno essi accettare i servitij, che son lor fatti per amor di Dio con gratitudine, patientemente, et render gratie à quelli, che gli servono, et deveno guardarsi non di attristargli con dimande superflue, et con impatienza: Et quanto haveranno ricuperate le primiere forze, tornino, (come commanda il Maestro nostro sant’Agostino,) alla solita loro, et più felice vita. Pertanto deveno ricordarsi gl’infermi, che per questo son conosciuti esser figliuoli di Dio; perche son castigati col flagello della sua disciplina, essendo scritto nel libro de i Proverbij al cap. III. et nell’Epistola à gl’Hebrei al XII. Fili mi noli negligere disciplinam Domini; neque fatigeris, dum ab eo argueris: Quem enim diligit Dominus, castigat. Flagellat autem omnem filium, quem recipit: In disciplina perseverate. Tanquam filijs, vobis offert se Deus. Quis enim filius, quem non corripit pater? Quod, si extrà disciplinam estis, cuius participes, facti sunt omnes, ergo adulteri, non filijs estis. cioè. Figliuol mio, non disprezzar la disciplina di Dio, ne ti dispiaccia d’esser ripreso da lui, percioche Dio castiga quelli, ch’egl’ama; et flagella ogni figliuolo, ch’egli accetta: Perseverate nella disciplina, perche Dio s’offerisce à voi, come à suoi figliuoli; Et qual si puo dir figliuolo, se non è castigato dal padre? Onde, se sete senza la disciplina; della quale tutti gl’altri hanno parte; sete adulteri, non figliuoli. Et questo persuade col bel mondo il Padre nostro sant’Agostino, discorrendo sopra quelle parole del Salmo. Gloriamini omnes recti corde : dove dice così. Quelli son di retto core, che seguitano in questa vita la volontà di Dio. E volontà di Dio, che tu sia alcuna volta sano, et alcun’altra infermo. Ma, quando sei sano, ti è dolce la volontà di Dio, et quando sei infermo ti è amara. Non sei di retto core. Et per qual causa? Perche non vuoi drizzar la tua volontà verso quella di Dio, ma vuoi torcer quella di Dio verso la tua. Se tu sei torto, la tua volontà si deve drizzar à quella, et non si deve torcer quella verso te, et all’hora haverai il cor retto. Non dir nel tuo animo. Dio veramente non ha cura delle cose humane: Ne voler dire il Demonio m’ha fatto questo: Attribuisci del tutto il tuo flagello à Dio: perche il Demonio non ti ha fatto nulla, quando lo permetta colui, c’ha potestà di sopra, o alla pena, o alla disciplina. Alla pena per gli scelerati: Alla disciplina per i figliuoli. Non sperar d’haver à viver senza flagello, perche forse speraresti d’esser privato della heredità. Percioche egli flagella ogn’un, ch’accetta per figliuolo, onde il suo unico figliuolo, benche fosse senza peccato, non fu pero senza flagello. Vedi come accommodasse la sua volontà à quella del padre, havendo detto. Trista è l’anima mia sin’alla morte. Et altrove Padre, s’è possibile, passi da me questo calice. Ecco, ch’egli mostra la volontà humana, ma vedi poi il cor retto. Nondimeno o padre non sia fatto, secondo la mia volontà, ma secondo la tua. Nelle cose, che t’occorrono, fa in questa maniera. Hai bene al mondo? Sia da te benedetto Iddio, perche ti consola. Sei afflitto nel mondo? Benedici Iddio, perche ti monda, et ti prova, et sarai di retto core dicendo. Benediro il Signore in ogni tempo: Sia sempre la laude sua nella bocca mia. Et se verrà l’ultimo giorno, rallegrati; et entrandoti occultamente nel cuore la fragilità dell’humana volontà; subito indrizzala à Dio, accio che tu possa esser di quelli, à i quali si dice. Gloriatevi tutti voi, che sete di retto core. Queste son parole di sant’Agostino, il qual dice il medesimo sopra i Salmi XXXV. et LXV. et nell’Homilia VI. sopra l’Epistola Canonica di san Giovanni, et ne trattiam noi nel fin del Capitolo XIX. di questo libro; et nelle Vite de i Padri un Padre dice. Se sarai occupato da qualche infermità del corpo, non voler mancar d’animo, perche il Signor Dio tuo vuole, che tu ti faccia debile di corpo. Chi sei tu, che debbi riceverlo con tanta molestia? Non ha egli pensato per te in ogni cosa? Vivi tu forse senza di lui? Sopporta adunque, et prega lui, che ti dia quelle cose, che ti giovano, cioè, che tu habbia à far quello, che gli piace. A questo proposito habbiamo l’esempio in santa Petronilla, la quale era molestata dalla febre per volontà di san Pietro suo padre, et dimandandogli Tito; perche risanando tutti gl’altri infermi; lasciava la figliuola in quell’infermità; esso rispondeva, che lo faceva, perche le giovava: Et cio per la sua molta bellezza; Onde diceva Santa Sincletica: Se ci sopraviene l’infermità, non ce ne attristiamo, perche ci giova, per distruggere i desiderij corporali; poi che, si come per un gagliardo medicamento si parte il male, così per la tribolatione del corpo, si partono i vitij: Et questa è una gran virtù, quando nell’infermità s’ha patienza, et si rendono gratie à Dio. Se perdiamo gl’occhi non ce ne dogliamo, perdendosi un’istrumento di superbia, ma rallegriamoci più tosto, che si possa specular con gl’occhi interiori alla gloria del Signore. Se siam diventati sordi, non ci turbiamo, perc’habbiam perduto l’occasion d’udir le vanità, et se tutto il corpo nostro s’infermasse, non restiam di rallegrarsene, crescendoci la sanità nell’huomo interiore. Di che ne habbiamo doi esempij più à basso nel capitolo XXVII. di questo libro in Didimo, et nell’Abbate di Chiaravalle. Disse un Padre, che la somma religione è, che l’huomo nell’infermità renda gratie à Dio, percioche si come con un potente, et forte rimedio si provede all’indisposition del corpo, così con l’infermità corporale s’estirpano i vitij. Se sei ferro, perdi la ruggine nel fuoco delle tribolationi: Se sei oro, diventi più splendido, et più puro. Perlaqual cosa i santi Padri desideravano d’esser sempre infermi, per esser castigati. Onde si legge, ch’essendo molto crucciato da i dolori della milza il Beato Palemone, discepolo di san Pacomio, et pregato da i frati à lasciarsi far qualche rimedio, rispondeva. S’alcuni martiri di Christo sono stati tagliati in pezzi, altri decapitati, et alcuni altri abbrusciati, et nondimeno hanno tolerato per la fede Christiana costantemente ogni pena sino alla fine; perche vogl’io, cedendo ad alcuni piccioli dolori, gettar via impatientemente i premij della patienza, et temer vanamente le brevi afflittioni, ch’io patisco, per desiderio della vita presente? Si fa mention nelle Vite predette d’un monaco, che non volse mangiar le polpette, che gli furon presentate, ne si curo di star trent’anni infermo, per purgar meglio i suoi peccati. Et d’un’altro, che spesso si ammalava; et essendo passato un anno intiero, che non haveva havuto male, si doleva, et diceva piangendo: Iddio m’ha abandonato, perche non m’ha visitato. Si legge ancora, ch’alloggiando una volta sant’Ambrosio in casa d’un’huomo molto ricco, et dimandandogli, come stava, colui gli rispose: Lo stato mio, Signore, fu sempre felice, et glorioso: Ecco, che m’abondano infinite ricchezze: possedo un copioso numero di figliuoli, et di nepoti: ho molti servitori, et tutto quello, ch’io desidero, ne mai ho provato alcun contrario accidente, ne cosa, che m’habbia dato travaglio. Di che il sant’huomo stupefatto disse à quelli, ch’eran seco. Levatevi: Fuggiamo perche Dio non è qui. Mentre adunque fuggivano, essendosi scostati alquanto, la terra s’aperse subito, et inghiottì colui con tutte le sue sostanze. Ilche vedendo sant’Ambrosio disse. Ecco, fratelli, con quanta misericordia Iddio perdona all’huomo, quando gli manda qualche avversità, et quanto aspramente è corrucciato seco, quando gli dona largamente le prosperità. Gl’infermi adunque; che son patienti, et rendono gratie à Dio; son degni di molt’honore appresso di lui. Di che se n’ha un’esempio nelle Vite de i Padri in colui, che vide i quattro ordini in Cielo. Il primo de i quali era de gl’infermi, che ringratiavano Iddio; come s’è detto di sopra nel III. Cap. del presente libro. Rendano adunque gl’infermi gratie à Dio del filial castigo, et sopportino con ogni patienza la disciplina, e’l flagello paterno; raccommandandosi totalmente alla volontà di lui, che fa quello, che ci è più utile, o partirsi di questa vita, o vivere, per far più lunga penitenza, et per acquistar maggior merito. Così fece il Beato Nicola da Tolentino, il quale essendo talmente ammalato una volta; che non s’haveva speranza della vita sua; si raccommandava à Dio, alla Beata Vergine MARIA, et à sant’Agostino suo padre: Et ecco, ch’essendo preso da un soave sonno gl’apparvero ambidoi con un meraviglioso aspetto, onde l’huomo santo, affidando la vita nella beata Vergine con attentione, et con stupore, le disse. Chi sei tu, o Signora, che sei venuta con tanta gloria à trovar me, che son polvere, et cenere? Io son MARIA Vergine, (rispose essa,) et madre di colui, che ti ha salvato; la quale molte volte hai chiamato in tuo aiuto col tuo padre Agostino, che tu vedi hora appresso di me. Ecco, che siam venuti, per darti il nostro consiglio, accio che tu racquisti la sanità: Et accennando col dito verso la piazza, disse. Manda colà à dimandar à quella gentildonna; à cui è molto cara la tua devotione; un pan fresco per te in nome del mio figliuolo, et havutolo, bagnalo nell’acqua, et mangialo, et haverai il beneficio della sanità. Il sant’huomo destatosi, sveglio colui, che lo serviva, et senza scoprir la visione, lo mando al luoco mostratogli, à chieder alla gentildonna il pan fresco in nome del nostro Signor GIESU CHRISTO. Il servente havuto il pane, lo mise con allegrezza nell’acqua, et poi glielo diede à mangiare, il quale, fattogli prima il segno della Croce, ne prese una particella, et ricupero subito la sanità, et si levo di letto. O Vergine santissima, molto ben provedersi con questo rimedio al tuo servo, il qual niuna altra vivanda gustava così volontieri, come quelle, ch’erano mendicate per amor del tuo figliuolo, et tuo. Un’altro esempio di patienza habbiamo in Maestro Henrico d’Urimaria, professore di Teologia; à cui volendo dare il Signore per sua molta benignità il riposo dopo le fatiche; comincio più di doi anni avanti alla sua morte à castigarlo paternamente con gravi dolori, et passioni di reni, di vescica, di pietra, et di difficoltà d’orina, mostrando in questo modo d’amarlo, come figliuolo. Nelle quali passioni, et dolori tutti gli rese sempre gratie à Dio, dicendo; ch’era molto certo, che la sua clemenza gl’haveva mandato quel castigo per purgatione de i suoi peccati; se per incontinenza dell’humana fragilità si fosse preso qualche piacer illecito di quelle parti del corpo; et non gl’havesse con intiera penitenza ancor cancellati: Ne per queste passioni allento punto lo studio della sacra Scrittura, ne le solite orationi; anzi l’accrebbe oltra le forze sue, et mentre puote, non resto mai di consigliare, et adoperarsi in beneficio dell’Ordine. Finalmente; essendosi degnato il Signore di far più pungente il suo flagello, per purgarlo meglio dalle reliquie de i peccati lo percosse più di doi mesi inanzi, ch’egli morisse, con una così fatta paralisìa, nella lingua, che non poteva parlar, se non imperfettamente, di maniera che non era inteso niente, o poco. Onde visitandolo il Provinciale in quell’infermità, et esortandolo più per officio, che per bisogno, ad haver patienza; gli diceva fra le altre cose. Voi Padre Maestro havete superato tutti gl’huomini di questa Patria in eloquenza, et non puo quasi essere, che da questo alcuna fiata non vi sia entrata nel cuore qualche aura di vanagloria, per il che debbiamo sperar, che la clemenza d’Iddio v’habbia voluto mandar questa passione, et privatione dell’officio della lingua, per purgarvi inanzi al fin della vita vostra di così fatto fumo, accio che; quando per gratia di sua Maestà l’anima vostra sarà spogliata di cotesta carne; resti affatto monda per favor della sua misericordia. A questo piangendo dirottamente l’huomo di Dio; si come stette sano dell’intelletto, et di tutti i sentimenti sin’all’uscita dell’anima; così si sforzava con cenni, et con quelle parole, che poteva proferire; d’accennare, et mostrare, c’haveva nel core le parole del Provinciale: Et fu tanto patiente, et tanto devoto in tutta quella infermità, che qualunque andava à visitarlo per carità, si partiva compunto de i suoi peccati. Onde un Maestro dell’Ordine de i Frati Minori, facendo un’oratione nelle sue esequie, fra l’altre laudi, che gli diede, disse questo. Io l’ho visitato nel letto ammalato, et ho veduto, ch’egl’era, come un’Angelo di Dio, percioche le sue guancie erano rosse sin’all’uscita dello spirito d’un color di rose, di maniera che pareva, che’l rossor della faccia mostrasse lo splendor della mente, quantunque fosse per la lunga infermità smagrato, et consumato.

Cap.XIII.

Della preparatione de i Frati alla morte.

Benche gl’huomini religiosi debbano star continuamente apparecchiati ad aprir la porta al Signor, quando picchia; tuttavia deveno farlo con somma diligenza quelli, che giacciono infermi, quando si conoscono la morte vicina. Pero dice san Luca al cap.XII. Beautus seruus ille, quem, cum venerit Dominus, invenerit vigilantem. cioè. Beato sarà quel servo, ch’alla venuta del suo Signore, sarà trovato vigilante. Nel qual luoco dice san Gregorio nell’Homilia XIII. Viene il Signore, mentre s’affretta di venire al giudicio: picchia, quando con le molestie delle infermità ci avisa la morte esser appresso, et se lo riceviamo con amore, gl’apriamo subito la porta. E’l padre nostro, sant’Agostino nel Sermone, De Fletu, et Pœnitentia, à gl’Eremiti dice così. Se la morte ti soprastà, non t’incresca. Sta preparato sì, che tu non possa temer la morte, per cominciare à viver dopo la morte: Conciosia che inanzi alla morte tu vivevi morendo, o morivi vivendo. Di che ce ne diede l’esempio egli medesimo, ch’essendo nel letto infermo, et sentendosi appropinquar la dissolution del corpo, si teneva inanzi i sette Salmi Penitentiali, che s’haveva fatti scriver sul muro all’incontro del letto, et gli leggeva, et rileggeva; et leggendogli spargeva molte lagrime, ne faceva altro, ch’orare, et pianger devotamente, sin che giunto all’ultim’hora, dormì in pace. Si dice, che san Nicola da Tolentino per sei mesi, prima che morisse, udiva ogni notte inanzi all’hora di matutino con l’orecchie corporali una soavissima harmonia d’Angeli, dalla qual dolcemente intenerito, diceva. Desidero d’esser sciolto, et d’esser con Christo. Percioche conoscendo da questo segno l’huomo di Dio, che quello era il fine della vita sua, diceva allegramente esser venuta la sua morte, et esser già sù le porte, et giacendo nel letto ne dava gratie à Dio, il quale; essendo egli visitato da molte persone, et stando tuttavia infermo; fece per mezo suo molti miracoli, come si legge di sant’Agostino, ch’essendo infermo, guarì un’altro infermo. Conoscendo egli adunque approssimarsi l’hora del suo passaggio, fattosi chiamare il Priore, e i frati, disse loro humilmente queste parole. Benche io non mi senta punto colpevole in questo, non percio me ne tengo giustificato: Pero, s’io ho offeso alcun di voi in qualche cosa, vi prego, che per amor di Dio mi perdoniate i miei mancamenti, et prego lui, che rimetta à voi le vostre colpe. Domando poi al Priore la generale assolutione di tutti i suoi peccati, et che gli fossero dati i Sacramenti della santa madre Chiesa. Pertanto havuta l’assolutione solennemente, et piangendo tutti i frati; che gli stavano d’intorno, et orando con lui, tolse con grand’effusion di lagrime il corpo del Signore, dicendo. Benedictus, qui venit in nomine Domini. Dapoi disse al Priore. Mostrate, vi prego, à questi miei occhi mortali quella Croce d’argento, che s’è fatta delle elemosine delle buone persone di questo Castello, dove ho veduto à metter del vero legno della santissima CROCE, accioche io con la virtù di quella, quasi appoggiato ad un’onnipotentissimo bastone; possa passar liberamente il Giordano di questo secolo, et giunger felicemente al fiume del Paradiso. Alla qual devota dimanda consentendo il Priore; gli fece portar riverentemente la Croce; et come il sant’huomo l’hebbe inanzi, inginocchiatosi nel letto, disse con grande abondanza di lagrime. Dio ti salvi Croce pretiosa, che fosti degna di sostentar il prezzo di tutto il mondo, il qual pendendo sopra di te per l’intenso caldo della sua passione, sudo sangue rosato, et perdono al ladrone, che gli chiese misericordia. Egli per te mi difenda dal maligno avversario in quest’hora. Finalmente poi, che l’hebbe basciata, quanto gli piacque, disse à colui, che lo serviva. Vedi: Non restar d’intonarmi mai da quì inanzi nelle orecchie queste parole. Dirupisti Domine vincula mea: tibi sacrificabo hostiam laudis: accio che, se mancando la carne per debolezza, io non potessi dir cosa alcuna con la bocca; possa dirlo al mio Dio almen col core. I frati adunque; vedendo, ch’egli non haveva perduta la memoria; hora si partivano, et hora tornavano: Et quando eran partiti, si sentiva una voce d’allegrezza, et di riso, la qual; se ben era sua; pareva, che fosse d’altri: Ne è meraviglia, che quella voce, ch’era solita à lodare Iddio per speranza, cominciasse à lodarlo all’hora, che lo vedeva nella propria forma: Onde essendo dimandato. Che havete voi veduto, Padre, che fate tanta festa, et tanta allegrezza? Rispondeva tutto allegro. Io vedo Dio, e’l Signor mio GIESU Christo con la sua madre, et col padre mio sant’Agostino. GIESU mi dice. Sù servo buono, et fedele: Entra à goder la contentezza del tuo Sign. Accorgendosi adunque i frati, ch’egli era in transito di morte, gli raccommandorono l’anima con le solite orationi: Dopo le quali il sant’huomo dicendo. Nelle tue mani, Signore, raccomandando lo spirito mio, congiunte, et alzate le mani al Cielo, et drizzati gli sguardi verso la Croce predetta; rese al suo Creator lo spirito con volto giocondo, et sereno. Et poiche fu morto, si videro molti manifestissimi miracoli per i suoi meriti. Percioche il Signor fece meraviglioso il Santo suo in vita, et dopo morte moltiplico i segni, e i prodigij per mezo suo. Un simile esempio si ha del Beato Agostino da Terano, il quale essendo stato quasi diece anni nell’Eremitorio di san Leonardo, poi c’hebbe laciato il governo della Religione, volendo il Signore chiamarlo à se dall’esilio mondano; comincio à sentire oltra l’ordinaria sua indispositione, altre molestie d’infermità corporali, et sentendo la voce di Dio, che lo chiamava, lo fece sapere à molti frati, pregandogli, che fossero presenti alla sua morte: Da che si vede, ch’egli in spirito l’haveva preveduta. Giunto adunque all’estremo passo della vita, stette così sano dell’intelletto, et de i sentimenti, come se non havesse havuto alcuna alteration di corpo, et trovandosi presenti alla sua morte molti frati, et alcuni Nobili Senesi, si vedeva da i suoi gesti, ch’egli si affrettava di partirsi, come se fosse stato invitato alla celeste mensa: Et così standogli essi d’intorno, et facendo oratione, rese l’anima à Dio. Fu rivelata la sua morte ad un sant’huomo, chiamato frate Pietro di Camerata, ch’era vivuto con licenza de i Superiori circa vent’anni in una solitudine; dove era un luoco dell’Ordine; in grande austerità, et innocenza di vita. Et perche portava grande affettione al detto santo Padre Agostino, per consolarlo in quell’infermità, fu mandato à pregar per doi frati, che si degnasse di venire à visitarlo, benche stesse quattordici miglia lontano: Ma, quando furon vicini alla sua cella; egli uscendo loro incontra, prima che gli spiegassero la causa del lor viaggio, con voce lagrimosa disse. Non è necessario, ch’io venga, fratelli, perche già il nostro padre Agostino è uscito di questo mondo, et io ho raccommandata l’anima sua à Dio. Per il che tornando i frati, intesero, ch’egl’era morto in quell’hora medesima, c’havevano incontrato Frate Pietro, et quando esso haveva detto lor quelle parole. Il che è chiarissimo argomento, ch’egli, benche stando nella sua cella si fosse trovato tanto discosto col corpo; v’era pero stato presente con lo spirito, come si vide in effetto. Fu chiaro questo venerabil Padre per molti miracoli, che fece dopo la morte, per la qual causa il Reverendo Vescovo di Siena non volse, che quel venerando corpo fosse sepolto in terra, ma lo fece mettere in una sepoltura conveniente, et porre in luoco honorevole nella chiesa de i nostri frati, dove ogn’anno il giorno della sua Depositione si fa sin’al dì d’hoggi festa solenne dalla Communità di quella Città à lode di Dio, et à perpetua memoria di così sant’huomo. Essendo caduta una gran quantità di terra adosso ad un giovane da Massa, che lavorava in una fossa, sì ch’egli ne fu cavato morto; una sua sorella lo raccommando al beato Agostino, et fece voto, che se gli veniva fatta gratia del fratello, sarebbe andata scalza alla sua sepoltura, et gl’haverebbe presentato una bella imagine grande com’era esso. Per il che finita l’oratione, il giovane aperse gl’occhi, et mangio. Era stato morto un dì, et una notte, et ritorno in vita à preghiere del beato Agostino. Una fanciulla ancora, cadendo in una fossa piena d’acqua, s’affogo: Onde il padre, et la madre, che l’havevano cercata tutt’un giorno; poi che l’hebbero trovata il dì seguente, et cavata della fossa; la votorono al Beato Agostino, et fu risuscitata. Una biscia era entrata per la bocca in corpo ad un contadin Senese; che dormiva nel suo campo, perilche andando à Siena, et non trovando medico alcuno, che lo potesse aiutare, si voto al sant’huomo, e’l serpe in presenza di molte persone gl’uscì piacevolmente per la bocca, senza ch’esso ne restasse punto offeso. Un giovane Senese; patendo un gran travaglio d’una rottura da basso di lungo tempo; si voto al Beato Agostino, et fatta la promessa rimase libero, et perche non adempì il voto, poco tempo dapoi fu molestato da nuovo della medesima infermità, et la porto altri sei mesi, onde votatosi un’altra volta, et satisfacendo; ne resto libero incontinente. Si legge ancora, che’l beato Giovanni da Riete sentì alcuni giorni inanzi alla sua morte un rossignuolo, che cantava alla finestra della sua cella, invitandolo con quel canto al Paradiso, di che habbiam fatto mentione di sopra nel Cap.V. del presente Libro. Et Maestro Henrico d’Urimaria, essendo infermo, et in gran pericolo della vita, et facendo i frati la confession general per lui; perche non poteva parlare; il Prior Provinciale, che v’era presente, et haveva dalla Sedia Apostolica, et dal Prior Generale privilegij singolari; gli diede una larga, et copiosa assolutione, la quale l’huomo di Dio ricevette affettuosamente con gran devotione, et allegrazza, et con molta effusion di lagrime, et essendo giunto all’hora estrema, ricuperato, non so come, l’officio della lingua, oro alquanto, et orando proferì queste parole così distintamente, ch’i circonstanti lo poterono intender molto bene. Nelle tue mani, o Dio Padre, raccommando l’anima mia. Nelle tue mani, o Dio Figliuolo, raccommando l’anima mia. Nelle tue mani, o Dio Spirito Santo, raccommando l’anima mia. Et poi, senza haver perduto ne la vita, ne l’udito, già molto vecchio, quasi dormendo, mando fuori lo spirito alla presenza de i frati, che facevano oratione, et essendo portato alla chiesa, secondo il solito, molte persone concorsero per devotione à vederlo, et toccarlo, et basciargli le mani, e’l suo venerabil corpo, et fra gl’altri una santa donna della sua Religione; ch’era stata lungo tempo crucciata da gravi dolori di capo con una continua vertigine; havendo toccato quella sacra faccia, et poi maneggiatosi con l’istessa mano devotamente il viso, ne rimase subito sensibilmente libera, come se fosse stata bagnata da un piacevol sudore. Frate Hermanno de Allis, Bacciliero in Teologia, et huomo di santi costumi, et di vita innocente, havendo portato quasi un’anno una infermità con gran patienza, benchè fosse debile, disse ogni dì l’Hore canoniche, et celebro la Messa, sin che puote muoversi di letto, et dapoi se la fece dir da altri ogni giorno, anzi havendo detto l’Hore sino alla Nona l’ultimo dì della sua vita, et udita la Messa, quando fu appresso alla Nona si fece chiamare i frati, et disse loro, che quella era l’hora della sua partenza, et che gli fosse portato il libro, et letta la raccommandation dell’anima: Pero mandandosi per esso, et non trovandosi, perch’era stato portato alla città in servitio d’un’altro infermo, l’huomo di Dio, se ben era in transito di morte, dimandava pur del libro, et essendogli risposto, ch’esso era alla città, replico, che si mandasse à pigliarlo, che l’harebbe aspettato. Finalmente essendo portato, et leggendogli i frati la raccommandation dell’anima, recitava egli medesimo le istesse parole, et rispondeva. Amen. Dapoi, dimandando, che gli si leggesse la passion del Signor nostro GIESU Christo; gli fu letta quella, che scrive san Matteo, messogli inanzi il libro sul letto, et egli mettendovi la man sopra, faceva segno à colui, che leggeva, quando havesse à fermarsi, et quando havesse à seguitare, per poter applicar meglio la mente à i passi più devoti. Finita quella, si fece legger la passion di san Marco; et giunto à quelle parole. IESUS, emisa voce magna, expiravit. spiro esso ancora: et chi v’è stato presente, ne fa fede, et io particolarmente, che l’ho servito in tutta la sua infermità: Di che sia lodato Iddio. Un’altro esempio ne habbiamo d’un frate giovane infermo, che sentendo approssimarsi l’hora della morte, si levo di letto con molta fatica, et presa la cappa, prego colui, che lo serviva, che l’aiutasse à vestire, il qual pensando, ch’egli freneticasse, lo voleva rimetter nel letto, ma egli tuttavia pregandolo si mise la cappa, et si cinse la correggia. Et dicendogli quell’altro. Dove volete andare? Che volete fare? Gli rispose. Tosto lo vederete. Et perche era debilissimo, et sentiva vestendosi un grand’affanno, tenendosi con una mano ad una pertica, disse: Signor GIESU Christo, che pendesti in Croce per me misero peccatore; concedimi gratia per la tua crudelissima passione, che’l grandissimo dolore, ch’io provo, stando in questo modo, supplisca per tutti i miei peccati, et detto questo si rimise nel letto con l’habito in dosso, accommodando ì piedi, et tirandosi il cappuccio sù gl’occhi, et recatesi le mani d’inanzi al petto in forma di Croce, disse. Nelle tue mani, Signore, raccomando lo spirito mio, et poco dapoi morì. O quanto è buono Iddio, il qual concede così religioso fine in morte à quelli, che l’hanno devotamente servito in vita. Un’altro frate sacerdote, sentendosi vicino alla morte, si apparecchio per dir la Messa, et la disse con gran fiacchezza, dapoi si mise à letto, et morì il giorno medesimo. Fece Iddio gratia à costui; perche soleva dir volontieri la Messa; che potesse torre l’ultimo commiato nella propria Messa. Un frate laico, che pareva sano, andava cercando per il convento con licenza del suo Prelato, un confessore, et trovato uno, ch’era occupato, lo prego, ch’andasse seco in Coro ad ascoltar la sua confessione, et dargli i Sacramenti della Chiesa. Il sacerdote si scusava, et diceva, ch’era impedito, parendogli anco, che quell’altro vaneggiasse; nondimeno vinto dalle sue preghiere, ando finalmente seco in Coro, dove esso si confesso con quella purità, che piacque à Dio di donargli, et chiese il vivifico Sacramento dell’Eucaristia, onde il sacerdote, stando il laico inginocchiato avanti all’altare, preso riverentemente il vaso, dov’era il corpo del Signor nostro GIESU Christo, lo communico. Dapoi il laico, postosi à sedere all’incontro dell’altare, lo prego, che subito gli desse il Sacramento dell’estrema untione; Ma esso giudicandolo sano, non voleva consentire, tuttavia pregato affettuosamente, gliene compiacque. Et così esso scalzatosi nel luoco medesimo, ricevette quella sacra untione con molta riverenza, et rimessesi le scarpe, mando per un barbiero, et si fece rader il capo; et la barba, dicendo che voleva comparir mondo, et polito inanzi à Dio. Et poi che fu raso, si levo, et disse. Adesso io voglio andar à letto, per non levarmene mai più vivo, et subito, che fu nel letto, comincio à star molto male, et morì il dì seguente. Io haveva conosciuto questo frate sin da fanciullo, il quale era tanto casto, ch’io penso, ch’egli morisse vergine: Era parimente tanto fedele, che s’io havessi havuto una cassa piena d’oro, et di gioie pretiose, gliela harei fidata in mano sicuramente. Haveva anco un fervente zelo all’honor dell’Ordine, et essendo stato molt’anni compagno del Sacristano, haveva maneggiato le masseritie dalla Sacristia molto politamente, et conservatele con gran diligenza: Oltra, che haveva molt’altre virtù interiori, da Dio solo conosciute: Per le quali la clemenza sua lo ricompenso d’un fine così meraviglioso. Un’altro frate, ch’era buon predicatore, et haveva molti figliuoli, et figliuole di confessione; (come quello, c’haveva questa virtù, ch’ascoltava volontieri le confessioni delle povere donne, et delle devote persone;) essendo infermo à morte, fu veduto in spirito da una donna devota, che sino all’ultimo punto della vita sua era dannato, et ch’all’hora Iddio, mossosi à pietà di lui l’haveva salvato, et che l’anima sua com’era uscita del corpo, era discesa in acerbissime pene di fuoco, ma che l’istesso giorno della sua morte, le lagrime, et le orationi delle sue devote figliuole havevano estinto una gran parte di quell’incendio, et nell’hora, ch’egli fu liberato dal Purgatorio, la detta donna sentì una voce, che diceva. Va presto inanzi all’altar di santa Catarina; la cui dedicatione si celebra hoggi: (Et quivi egli soleva dir la Messa:) Pero facendo essa quanto le era imposto, lo vide condur dal Purgatorio, et venir sopra quell’altare, et subito discender dal Cielo molti figliuoli, et figliuole sue, ch’erano morti inanzi à lui, et passati al Paradiso, et esso poi senza alcuna dimora ascender con loro solennemente al Cielo. Dalquale esempio si vede, quanto sia buona, et salutifera cosa giovare alle persone povere, sprezzate, et devote, et udir le confessioni di molti per amor di Dio, poi che questo frate per le lagrime, et preghiere loro fu liberato in breve tempo dal Purgatorio. Mostrano i predetti esempij, che la morte de i sant’huomini è pretiosa inanzi à Dio, perche; come dice sant’Agostino nel libro, De Disciplina Christiana; non puo far cattiva morte chi ha tenuta buona vita, si come per quello, ch’egli soggiunge; non puo ben morire, chi ha mal vivuto. Aggiungiamo per spavento delle cattive persone à questi qualch’altro esempio di quelli, che son morti malamente. Si fa mentione nelle Vite de i Padri d’un monaco, che desiderava di veder come l’anima del giusto, et quella del peccatore sian cavate fuora de i corpi: per il che sedendo una volta in cella, v’entro un lupo, et presolo per i vestimenti, lo tirava fuori, et egli levatosi lo seguitava, ma poi, che’l lupo l’hebbe condotto sin’ad una certa città, lo lascio, et si partì, onde il monaco entrando in un monasterio, ch’era fuori della città: dove stava un’huomo, c’haveva fama d’essere un gran solitario, et all’hora era infermo à morte; vide, che si faceva un grand’apparecchio di torchi, et di lampade, per far honore à colui, il quale era in tanta consideratione, che si pensava, che Dio salvasse quella città per lui, et che morendo esso, fossero per morir tutti i cittadini. Venuta adunque l’hora della sua morte, vide uno spirito infernale, che con un Tridente infocato andava adosso al solitario; et udì una voce, che pareva, che venisse da Dio, et dicesse: Si come quest’anima non m’ha lasciato mai fermar pur’un’hora dentro di se, così tu cavala di questo corpo senza misericordia; Per il che quel ministro infernale, presogli il core col Tridente, et tormentantolo per molte hore, ne trasse fuori l’anima. Il frate entrato poi nella città, trovo un peregrino, che giaceva infermo in piazza, ne era, chi ne havesse cura, et stette un giorno seco. Intanto, essendo giunta l’hora della sua morte, vide à discender gl’Angeli Michele, et Gabriele, et porglisi à sedere, l’uno dalla destra, et l’altro della sinistra, et pregar l’anima, ch’uscisse, la qual nondimeno, quasi che non volesse abandonare il suo corpo, non usciva; Onde disse Gabriele à Michele. Piglia homai quell’anima, et andiamocene. Dio ci ha commandato, che la facciamo uscir senza dolore; (rispose Michele;) pero non possiamo farle violenza, et così dicendo, grido ad alta voce. Signor, che vuoi far di quest’anima, che non ci obedisce, et non vuole uscir di qua? Per il che, essendole discesi intorno tutti gl’Angeli con Cantici, et Hinni, fu udita una voce, che diceva. Ecco, ch’io mando David con la citara, et con tutti i musici di Gierusalem, accioche quell’anima invitata dalla loro harmonia, et dal canto de gl’Angeli, udita la voce loro esca fuori: Et così l’anima uscì, et fu ricevuta da Michele con allegrezza, et festa grande. Un frate sacerdote; ch’era un giovane leggiero, et incontinente; essendo uscito un giorno col suo Priore à i Termini, et cadendo infermo à morte, non si volse confessare à lui in modo alcuno, ma ad un prete secolare, et morì: Et dopo la morte apparve ad un buono, et devoto frate, et gli disse, ch’era dannato, perch’era morto senza vera penitenza de i suoi peccati. Dal quale esempio deveno imparare i frati à confessarsi al Priore, et à i loro Superiori, che possono assolvergli principalmente da i casi riservati dalle Constitutioni dell’Ordine à i Priori sotto pena di sentenza d’escommunicatione, perche l’assolutione data da gl’altri confessori di propria auttorità è vana, et non val nulla. Intorno à che si vederanno molti esempij ne i Capitoli XIII. et XV. del seguente libro. Fu un frate laico, giusto, et casto, et molto affettionato alla Religione, ma superbissimo, et desideroso di commandar nel convento: et esercitando volontieri la Procureria, era altiero nell’officio suo, ne poteva tolerar alcun Priore, che non fosse di sua satisfattione, ne altro Procurator, che se stesso: Et tal volta dimandava astutamente d’esserne assoluto, ma se l’otteneva, s’adoperava di maniera, che tosto vi ritornava. Non faceva più conto de i frati sacerdoti, et de i chierici, che de i cuochi, et sapeva mostrarsi à i Prelati così geloso del beneficio della Religione, et del convento, che gl’eran comportati tutti gl’altri difetti. Costui stette nell’ultima sua infermità tre giorni senza poter parlare, et morendo di notte, un frate vecchio, et devoto vide di lui, et udì in sogno cose terribili, onde destatosi, dubitando, ch’egli fosse morto, accese la candela con tanto spavento, che non sapeva, che fare. Ma voltatosi à Dio, disse. O Signore. Questo frate ha vinto, o è stato vinto? Et udì una voce, che gli diceva. Ti sarà risposto, se vuoi. Ma egli pieno di paura, rispondeva. Non Signore: temendo, se consentiva, di non venir meno, sentendo qualche cosa horrenda. Nondimeno sofferse dormendo quello, che non haveva voluto sofferir vegghiando: Percioche quel frate gl’apparve in sogno, et gli disse, ch’era dannato, et dimandandogli esso, se poteva dargli qualche aiuto, rispose di no. Ma perche, (disse,) hai meritato la dannatione eterna? Fece colui, come uno, che si vergogni di confessare intieramente qualche suo peccato, et di la à poco rispose. I Priori, e i frati mi fecero danno, dove credevano di giovarmi. Et detto questo, disparve. Quel frate poi, cacciato il sonno, considerando quelle parole, et rivolgendo per il pensiero la vita, e i costumi di colui, trovo, che questa risposta era del tutto conforme al modo di vivere, ch’egli haveva tenuto nell’Ordine, perche in ogni cosa era lasciato fare à suo modo, ne si curava del Priore, ne del Sottopriore, ne del Lettore, ne d’alcun’altro; ma faceva cio, che voleva, per il zelo, che mostrava alla Religione. Avvertiscano adunque i frati, et non desiderino d’esser lasciati operar, secondo la propria volontà. Un’altro frate buono, et casto haveva fatto una volta adirar un vecchio à torto, et non gliene haveva dimandato perdono in vita: Essendo poi morto gl’apparve, et disse: Perdonami ti supplico dell’offesa, ch’io ti feci già, c’hora solamente conosco d’havere errato, et d’haverti fatto ingiuria, et percio ne sento pena. Questo esempio deve essere ammaestramento à i frati circa il dimandar perdono inanzi alla morte à tutti i lor fratelli delle ingiurie fatte, et quando non sene habbia memoria particolare, si dimandi almeno in generale. Hebbe un frate sacerdote questa visione del suo Prior morto, et sepolto in un luoco celebre. Vide i frati tornar in un certo modo dalla sepoltura al Coro, dove udì una voce, che diceva. L’Idolo della destruttione è stato posto nel luoco del Santuario. Si chiama Idolo di destruttione ogn’uno, ch’è Prelato solamente di nome, et non cerca altro, che d’esser sopra gl’altri; ch’è largo à se medesimo, e à gl’altri è stretto; ch’à se, et à i suoi è piacevole, et à gl’altri è rigoroso, et grave; et meritando d’esser assoluto dall’Officio per qualche occasione, molto più propriamente potrà esser chiamato Idolo di destruttione. Et perche si presume, che quel Prior fosse tale, quella voce non fu senza misterio. Tuttavia non si puo far sempre giudicio del merito di chi muore dal modo del morire, perche tal volta i sant’huomini fanno un dishonorato fine, e i scelerati muoiono honoratamente. Di che ne habbiam questo notabile esempio nelle Vite de i Padri. Era all’Eremo un’huomo solitario, et infermo, à cui serviva un devoto secolare, et nella città vicina era un ricco, et scelerato huomo, che stava pur sempre ammalato: Avenne, ch’egli morì, et fu accompagnato alla sepoltura da tutti i cittadini col Vescovo, et con molti lumi; e’l servente del solitario, ch’era andato alla città, per recargli del pane, com’era solito, lo vide portare à sepelir con tanta pompa: Tornato poi all’Eremo trovo, ch’una fiera l’haveva devorato il solitario, per il che gettatosi à terra inanzi à Dio, disse. Io non mi levaro di qua, sin che tu non mi mostri, perche quell’huomo empio sia stato sepolto con tanto honore, et questo; che t’ha servito di giorno, et di notte; sia stato così crudelmente stratiato. Et ecco, che l’Angelo di Dio venne, et gli disse. Quell’huomo cattivo haveva fatto una picciola buona opera in questo mondo, et ne ha ricevuto il premio di quà, per non haver à trovar alcun riposo di là: Ma il solitario; ch’era ornato di buoni costumi, et di virtù, et haveva commesso un picciol peccato; ne è stato punito in questo mondo, perche possa trovarsi puro inanzi à Dio nell’altro. Dalle quali parole colui consolato se n’ando, dando gloria à Dio de i suoi giudicij, che son veri. Ne giudico doversi passar con silentio, che non essendo gl’infermi, et quelli, che stanno in transito di morte, sani dell’intelletto; hanno bisogno di conforto, et aiuto de gl’altri più ne i servitij spirituali, che ne i corporali. Pero le Constitutioni dell’Ordine deliberano molto santamente, et prudentemente nel Cap. XIV. che’l Priore, e i frati aiutino, et confortino gl’infermi con dolci, et piacevoli parole, soccorrendogli col suffragio delle quotidiane orationi; et che nell’hora, che l’anima deve uscir del corpo, i frati si trovin tutti insieme, subito havuto il segno dall’infermiero, o dal sacristano, et facciano verso l’infermo l’officio, che si ricerca. Dove si deve notare, che non senza causa i nostri Padri hanno determinato, che tutti i frati debbano ragunarsi intorno à chi si trova in pericolo di morte, perche essendo quella appunto l’hora di combatter contra il bruttissimo inimico, ogn’uno ha bisogno d’esser aiutato dal suffragio di molti. Pero il Beato Agostino da Terano haveva pregato vivendo tutti i suoi amici, et specialmente i devoti, ancor che secolari, che fossero presenti alla sua morte, perche se bene il crudelissimo avversario non cessa mai di combatterci; suol tuttavia in quell’hora particolarmente spargere il mortal veleno delle sue maligne macchinationi, et tentando gl’huomini santissimi intorno alla Fede Christiana, procurar di ruinare il fondamento della nostra salute, sapendo, che levato quello, tutto l’huomo va in perditione. Narra il Beato Cirillo in un’Epistola, scritta à sant’Agostino, che sant’Eusebio discepolo di san Gieronimo, il dì, ch’era per morire, comincio due hore inanzi alla morte à fare alcuni atti, tanto terribili, ch’i monaci; che gli stavano d’intorno; spaventati giacevano in terra, come privi d’intelletto, percioche alcuna fiata con gl’occhi traversi, con le mani giunte insieme, con l’aspetto spaventoso, et con una voce horribile gridava, quasi che rispondesse à qualcheduno. Non lo faro: Non lo faro. Tu menti: Tu menti. Et dapoi tornando in se, abbassava la faccia verso la terra, et gridava, quanto poteva. Aiutatemi fratelli, ch’io non perisca. Onde i monaci piangendo, et tremando gli dimandavano. Che havete Padre? A i quali egli rispondeva. Non vedete le squadre de i demonij, che vorrebbono atterrarmi? E i monaci gli dicevano. Che volevano che faceste, quando dicevate. Non lo faro: Non lo faro? Rispondeva. Si sforzavano di farmi bestemmiare il nome di Dio, et percio io gridava, che non voleva farlo. Ma perche Padre, (replicavano essi,) nascondevate voi la faccia verso la terra? Per non veder, (diceva,) il loro aspetto, il quale è tanto brutto, et spaventoso, che tutte le pene del mondo non son nulla appresso ad esso. Et così parlando tornava à far gl’atti di prima, continuando in quel modo sin’all’estremo punto della vita. I frati, ch’erano presenti, tutti spaventati stavano come morti, ne sapevano, che fare. E veramente glorioso Iddio ne i suoi santi, mirabile nella sua Maestà, et benigno, et pietoso verso quelli, che lo temono, ne abandona i servi suoi nel tempo delle necessità: Pericioche san Gieronimo apparve à sant’Eusebio; ch’era già giunto all’ultima hora della vita; et lo conforto benignamente, per la cui venuta tutta la turba diabolica, ch’era quasi infinita; piena di spavento disparve à guisa di fumo, come fanno fede molti monaci; ch’affermano d’haverlo veduto per divina dispensatione con gl’occhi proprij. Et questo si verifica ancor più, perche tutti i circonstanti udirono queste parole di bocca di sant’Eusebio. D’onde vieni tu Padre? Perc’hai tanto tardato? Ti prego, à non abandonare il tuo figliuolo. A cui un’altra voce che fu udita da tutti, rispose subito. Non dubitar figliuol mio, perch’io; che t’amo tanto, non t’abandonaro. Et detto questo il venerabile Eusebio dopo un breve intervallo rese l’anima à Dio. Pero, se i demonij danno così crudel battaglia intorno alla Fede ad huomini tanto giusti, et santi, et grandi nell’hora della morte; che debbiam pensar, che facciano à i cattivi, à i pusillanimi, à i peccatori? Perche adunque l’inimico tenta l’huomo di Fede in quell’hora con tanto pericolo; hanno deliberato alcune Religioni; che quando un frate è in punto di morte, gl’altri udito il segno si levino subito, et dicano. Credo in Deum Patrem. Etc. Et subito vadano insieme ad aiutar con le loro orationi il campion di CHRISTO, che combatte. Era poco tempo fà in transito di morte un frate Lettore, dotto, di buona vita, et da me molto amato; onde havendo detto i frati l’Officio consueto, secondo i Decreti dell’Ordine, non si moveva, di maniera che si dubitava, che fosse morto, et ecco, che lo vedemmo à mover il capo così fortemente, et in tanta fretta, che restammo stupefatti. Dalla qual cosa facendo io giudicio, ch’egli fosse molto travagliato dal Demonio, commisi à i frati, che facessero oratione con maggior fervore, et dicessero il Simbolo Apostolico. Credo in Deum Patrem, etc. Et di là à poco crollo la testa un’altra volta, et dopo un breve spatio di tempo, perseverando i frati nell’oratione, fece la terza fiata quel moto, et così morì. Et moveva la testa, come fa chi vuol negar qualche cosa, quasi, che volesse dire. Io non consento. Non: Non: Non. Pero chi ha alcun’amico in vita, lo aiuti ne gl’estremi bisogni della morte. A questo proposito fanno gl’esempij allegati di sopra nel Cap.V. del libro precedente.

Cap.XIV.

Della Regola di sant’Agostino, et come fosse data à i nostri frati, et delle Constitutioni dell’Ordine.

Havendo noi discorso intorno alle circonstanze, che si ricercano nell’union del core, et nella congiuntion della volontà; passiamo à trattar di quelle, che si conoscono appartenersi all’union dell’anima, et alla conformità della vita, poi che non basta; (come s’è concluso di sopra;) c’habbiamo un cor solo, se non habbiamo anco una sola anima in Dio. E adunque principalmente necessario, accioche i frati tengano nella lor communanza una vita conforme; ch’essi si governino con una Regola; che gl’indrizzi à questo. Pero l’istesso Padre, et Maestro nostro sant’Agostino; poi c’hebbe congregati in un luoco i frati sparsi per diverse solitudini, volendo anco ridurgli sotto l’osservanza d’una sola vita; (non giovando, c’habitiamo in una casa, se non siamo uniti di vita, et di costumi;) scoperse prima alla presenza di tutti l’intention sua intorno all’imitatione della vita Apostolica, ricercandone la volontà di ciascuno: Da poi; essendo essi del medesimo proposito, et havendo determinato di commun consenso per opera d’un’istesso Spirito d’osservar con l’aiuto di Dio quel modo di vivere, che sant’Agostino havesse deliberato; esso diede lor quella vita brevemente scritta, che stando nelle proprie possessioni haveva cominciato ad osservare insieme co i suoi secondo la traditione Apostolica, et è quella, che comincia. Communi diffinitione decrevimus apud vos. Et per questo si puo chiamar Decreto d’osservanza Regolare; et da alcuni è dimandata Prima Regola; la qual si vede manifestamente essere stata fatta da sant’Agostino di consentimento de i detti frati per queste parole. Communi diffinitione decrevimus. cioè. Habbiam deliberato di commun consenso: Et anco per quest’altre, che son nel fine. Omnia ergo, quæ in isto libro continentur; omnes fratres observent, atque subscribant, qui boni esse desiderant. cioè. Osservino adunque tutto quello, che si contiene in questo libro, tutti quei frati, che desiderano d’esser buoni, et vi si sottoscrivano. Si vede anco, che fosse scritta per i frati, c’habitano fuori delle città, non per i Canonici Regolari, dicendo egli nel medesimo luoco. Si vero; ut fieri solet; incursio repentina supervenerit, aut hostilitas, ut impossibile sit fratribus* in unum remanere, sed oporteat eos fugam petere propter insecutionem inimicorum. Etc. cioè. Ma se; come occorre; sopravenisse qualche subita incursione, o guerra, sì che i frati non potessero star insieme, ma fossero sforzati à fuggir per la persecutione de gl’inimici, etc. Dove non si puo intendere in modo alcuno, ch’egli parli de i Canonici, ne de i Chierici, c’habitan nelle città. Ma poi, ch’i frati furono à bastanza introdotti in questa prima osservanza; sant’Agostino, fatto Prete, fece, et diede loro un’altra breve Regola, che comincia. Ante omnia fratres charissimi diligatur Deus, deinde proximus; dove commemora prima quel precetto di Dio, dal qual depende tutta la legge, e i Profeti. Dapoi ordina l’Officio. Appresso esorta i frati al lavoro manuale, et allo studio delle sacre lettioni, alla rinontiatione delle proprie facoltà, et finalmente alla disciplina della mensa, et da altri precetti, concludendola con queste parole. Et nobis non parva erit de vestra salute consolatio. Si conosce anco, che questa Regola fosse indrizzata più tosto à i frati, ch’à i Canonici, perche sant’Agostino non poteva, prima che fosse Vescovo, dar legge à i Canonici, che non eran suoi sudditi, et già havevano havuto l’Officio divino nella lor chiesa, oltra che’l lavorar di propria mano, et vender i lavori del Monasterio; come egli commanda in quel luoco; non si conveniva punto à i Canonici, dicendo. Mane ad opera sua sedeant. cioè. La mattina attendano à lavorare, nella qual’hora i Canonici deveno attendere all’Officio divino*. E anco manifesto, ch’egli fece questa Regola, prima che fosse Vescovo, perche subito fatto Prete; comincio à viver secondo la Regola Apostolica, come dice Possidonio, ilche non si puo intender d’una Regola, non ancor formata, o non fatta da lui; (come, se si pigliasse la Regola per il modo di viver de gl’Apostoli, ma pero senz’altra Regola formata da lui,) perch’egli non comincio à viver, secondo quella Regola, quando si fece Prete, havendola osservata tre anni prima nelle proprie possessioni. Se si deve adunque verificare, ch’egli, poi che fu Prete, cominciasse à viver secondo la Regola; bisogna intender questo d’una Regola formata, et fatta da lui, non essendo stato alcuno inanzi à lui dopo gl’Apostoli, c’habbia fatto alcuna Regola conforme alla vita Apostolica; Onde si vede, ch’egli poi che fu Prete, comincio à viver secondo la Regola fatta prima, c’havesse il Vescovato: Percioche; se bene inanzi era vivuto secondo il modo Apostolico; non era pero vivuto, secondo la Regola, che non era ancor fatta, come dice il medesimo Possidonio nell’istesso luoco, et si canta nell’Antifona, che fatto Prete fondo subito un monasterio di Chierici, dove non dice di Monaci, ma di Chierici, et si deve riferire al secondo Monasterio, ch’egli fece nell’horto, nel quale mise per la maggior parte frati Chierici, ma nel primo monasterio, ch’era nell’Eremo, potevano esser molti laici, di che ho parlato di sopra nel Cap. VII. del lib. precedente, come faro anco più à basso nel seguente Capitolo, essendo compresi i Monaci sotto’l nome di Chierici, et essendo capaci del chiericato, come si legge nel cap. Si clericatus.XVI.q.I. E i Chierici, c’hanno fatto professione nella Regola di sant’Agostino; son chiamati Monaci, come dice il cap. Perniciosam. XVIII.q.II. Egli poi essendo Vescovo, et usando l’auttorità ordinaria, et Diocesana, mando fuori una Regola solenne, et molto discreta, perche servisse, non solamente per i frati predetti, ma communemente per tutti i Chierici, et è quella, che comincia. Hæc sunt, quæ, ut observetis, præcipimus, in monasterio constituti: Et finisce con queste parole. Et in tentationem non inducatur. Et chiama questa seconda Regola, Specchio, dicendo nel fine. Ut autem vos in hoc libello, tanquam in speculo, possitis inspicere, etc. cioè. Et accioche possiate mirarvi in questo libretto, come in uno specchio, etc. Et è chiamata Specchio de i Chierici, perche sant’Agostino haveva deliberato, ch’essa fosse osservata da tutti i Chierici, ancor che la rivocasse. Onde si deve saper, (come è registrato nel cap. Nolo. XII.q.I.) ch’esso haveva fatto tre constitutioni sopra la povertà de i Chierici. La prima fu, ch’essi non potessero haver niuna cosa propria; ma perche era male osservata, et se ne trovavano molti trasgressori, la rivoco. Et poi di consentimento de gl’istessi Chierici torno à confermarla: Et di questo parla egli nel primo Sermone. De communi vita Clericorum, che comincia. Propter quod volui : sino à quel luoco. Certè ego sum, qui statueram : dove con una seconda constitutione rivoca la prima, come si legge nel cap. Certè. XII.q.I. Della terza parla nel secondo Sermone, De communi vita Clericorum, che comincia. Charitati vestræ, la, dove egli dice. Ecce dico, audistis, qui habere voluerit proprium, etc. Nel qual luoco si fa mentione delle predette tre constitutioni. Della prima, quando dice. Ecce dico, audistis. Della seconda con quelle parole. Dixeram enim, et scio me dixisse. Della terza in quel luoco. Ita modo, quia placuit illis, etc. Et tutte tre son raccolte da Gratiano nel predetto cap. Nolo; dove piglia questi doi Sermoni, che sono intitolati. De Communi vita clericorum, per un solo. Et se bene egli in quel testo mette inanzi il Sermone, Propter quod volui, à quello, che comincia. Charitati vestræ. dice nondimeno altrove, che quello è il secondo, come fa nella XIII.q.II. cap. Si quis irascitur. Et secondo questo la Regola di sant’Agostino obliga solamente quei Chierici, c’hanno consentito à sottoporvisi. Percioche egli non poteva fare uno Statuto generale sopra i Chierici di tutto il mondo, ma solamente sopra quelli della sua Diocese, se pero la Sedia Apostolica non havesse voluto allargarlo per tutto, ancor che sia opinion di Gratiano nella detta XII.q.I. cap. Nulli. §. Si ergo, et nel seguente, ch’i Chierici, c’hanno la Prebenda, et quelli, che da fanciulli sono stati dedicati alla militia spirituale; non possano in modo alcuno haver qual si sia cosa di proprio, se pero ritenedo il suo, non sgravassero la chiesa di spesa: Di che parlaro più copiosamente nel Cap.II. del libro seguente. Adunque per quello, c’habbiam veduto, si puo dir, che sant’Agostino habbia fatto tre Regole. La prima, essendo ancor laico, la qual pero io non dimando Regola, non havendo egli all’hora alcuna auttorità di farla, ma direi, che fosse più tosto un privato decreto, come fatto di consenso di private persone, come ho predetto. Perilche ho giudicato, che non debba esser nominato Regola, ma Decreto d’osservanza regolare. Fece la seconda, poi che fu fatto Prete, la qual si puo dimandar Regola, perch’egli haveva già cura d’anime, et di sudditi, et ne haveva licenza da san Valerio Vescovo, et questa non s’estendeva à i Canonici, com’ho detto. La terza fece, essendo Vescovo, la qual abbracciava i suoi Canonici, et universalmente tutti i Chierici, che l’havevano professata, ne i quali si comprendono anco i frati, come ho mostrato di sopra. Et così si vede, come siano intese le tre Regole sopradette; se pero altri non volesse dire, che la seconda, et la terza non sian Regole distinte, ma che tutto quello, ch’egli dice da queste parole. Antem omnia, fratres charissimi, diligatur Deus, deinde proximus, sino à quell’altre. Et in tentationem non inducatur; sia una sola Regola. Et in questo modo sant’Agostino non haverebbe fatto altro, ch’una Regola, non potendo haver nome di Regola quel primo privato Decreto, per le cause, che si sono addotte: Et l’haverebbe data, così à i frati, come à i Canonici, et à i Chierici indistintamente. La quale opinione si potria sostentar convenientemente, se non ci fossero quattro ragioni in contrario. La prima è, che nella prima Reg. che comincia. Antè omnia, si comprendono quasi tutte l’istesse cose, che si trattano più distesamente in questa, che si chiama Specchio, et questa replicatione fatta in un’Operetta, sarebbe inutile, ma si deve presumer in un Dottor, tanto savio. La seconda, perche quella particella, che tratta de i Salmi speciali, et dell’opere manuali, non si conviene à i Canonici. La terza, percioche Ugone nell’espositione della medesima Regola non dice cosa alcuna sopra quella parte. Antem omnia, ma comincia assolutamente ad esporla da quelle parole. Hæc sunt, quæ, ut observetis, præcipimus, etc. La quarta, perche sant’Agostino nella parte antecedente non parla in luoco alcuno, commandando, ma in questa, quasi con esordio, et commandando dice. Hæc sunt, quæ ut observetis, præcipimus : rimettendosi à quello, che seguita, senza accennar cosa alcuna delle precedenti, benche ve ne sian molte, ch’in sostanza son l’istesse con le seguenti. Per le quali ragioni si conclude chiaramente, che questa, et quella non sono una sola, ma due Regole distinte; come conferma Maestro Tomaso d’Hibernia, che fu già mio compagno di studio nella Sorbona di Parigi in un Trattato intitolato, Manipulus florum : dove fra gl’altri libri di sant’Agostino, connumera, et nota doi Regole distinte. Ma perche quest’ultima, che si chiama, Specchio, abbraccia più chiaramente, et più pienamente tutte le cose trattate nelle due, (per dir così,) prime Regole, pero sopravenuta quella; quasi un lume maggiore; così i frati, come i Canonici l’hanno accettata, benche i frati per segno dell’antica sua institutione, habbian ritenuto l’esordio della prima, et applicatolo à questa: Et di quà nasce, che nel principio della Regola, usata hora da i frati, fu messo questo esordio. Antem omnia, fratres charissimi, diligatur Deus, deinde proximus, quia ista præcepta sunt principaliter nobis data : Et subito lasciato il resto, quasi continuando, si conclude. Hæc ergo sunt, quæ, ut observetis, præcipimus, etc. Et che’l padre sant’Agostino habbia dato la medesima Regola, chiamata Specchio, non solo à i Canonici Regolari, ma anco à i frati suoi, c’habitavano nell’Eremo, si vede apertamente dal suo Sermone, De triplici genere monachorum, che comincia. Ut nobis per litteras, etc. Dove lodando alcuni de gl’istessi frati, dice. Non solamente volsero esser poveri, ma si contentorono anco di far più di quello, che noi habbiam publicato nel nostro Specchio. Ecco, che quei frati hebbero, et osservorono la Regola, detta Specchio, avanzando anco con l’opere quello, ch’essa commandava. Questo medesimo è chiaro nel Sermone. *De margaritis regularis institutionis, à gl’Eremiti, dove egli ristringe in poche parole tutti gl’articoli sostantiali, et principali, et cerimoniali della detta Regola, concludendolo con queste parole, che son nel principio d’essa. Hæc sunt, quæ, ut observetis, præcipimus. Per le quali par, ch’egli all’hora del se, et specialmente appropriarse à i detti frati la Regola, come vuole la testura del sopradetto Sermone: Anzi essa fu particolarmente applicata, autenticata, et confermata dalla Sedia Apostolica all’Ordine dei Frati Eremiti di sant’Agostino; come habbiam veduto di sopra nel Capit. XVIII. et XIX. del libro precedente; Et come vedremo nel seguente al Cap. III. In lode sua adunque possiam dire, ch’essa fra tutte l’altre Regole approvate, è più universale, per la moltitudine de i professori; più facile, per la chiarezza di quelle cose, che contiene; et più soave, per moderation de i precetti. Quanto all’universalità si vede, che non solamente è tenuta da i professori di questa sacra Religione, et da i Canonici Regolari; à i quali doi Ordini si conosce, che l’ha data sant’Agostino proprio; ma anco da i frati Predicatori, da i Premostratensi, da i *Robertini, da i Servi di Santa Maria, et da molt’altri Religiosi. Et se forse fra questi Ordini si contendesse del primato di questa Regola, cioè chi di loro l’habbia prima, o più degnamente ricevuta, et chi per cio meriti maggior prerogativa; io, rimosso ogni scropolo, giudico, che quelli si debbano più degnamente gloriar del primato di essa, che più devotamente, et con maggior fervore mettono in esecutione quello, ch’in essa si contiene, et s’io mi ci potessi accommodarle, vorrei esser più tosto di quel sacro Ordine, che vantarmi, che l’istesso padre sant’Agostino l’habbia data da principio à i Padri nostri: Perche non si deve considerare à chi fosse prima donata, ma da chi sia principalmente osservata, et si deve temer, ch’à quelli; che contendono di questo primato; non avenga, come à i Giudei, i quali, perc’hebbero immediatamente la legge di Dio per mano di Moisè, si gloriano d’esser stati i primi, e i più degni ad haverla, ma pero non si curano d’osservarla, anzi le son molto ribelli: Et di questi si verifica nelle Vite de i Padri questo detto d’un Padre. I Profeti hanno scritto libri, e i nostri Padri son venuti dopo di loro, et hanno operato in essi qualche cosa, e i lor successori se gli son messi nella memoria. Venne poi la generatione, che si trova adesso, che gl’ha scritti nelle membrane lasciandogli in otio sù le finestre. Che questa Regola sia più facile, et più piana per la chiarezza delle cose, che contiene, si vede da cio, che d’alcune altre son nati per questa causa varij dubbij appresso alla Sedia Apostolica, et se ne son ricercate diverse dechiarationi, come si legge in alcuni Capitoli, extra. De statu monachorum, et nel cap. Exijt. De verborum significatio. lib.6. et nella Clementina. Exivi de Paradiso, et nell’Estravagante di Papa Giov.XXII. Ad Conditorem Canonum, et in molt’altri luochi simili: Ma di questa santa Regola non è mai nato dubbio alcuno, perche le cose, che essa tratta, son’ordinate molto distintamente. E anco più soave, et più leggiera, per la moderation de i precetti: perche non è stato mai alcuno, c’habbia dubitato, che nella Regola di sant’Agostino, si contenga precetto alcuno, non solamente impossibile, ma difficile ad osservare sopra le forze dell’humana fragilità, come si è fatto alcuna volta d’alcune altre: Ne è stato mai necessario temperar con alcuna moderatione il suo rigore, ne interpretarla pienamente, havendogliene più tosto aggiunto qualche parte le Constitutioni dell’Ordine: Delle quali certamente si deve tener questo, che siano state fatte da i Padri nostri per particolar commissione, et auttorità della Sedia Apostolica, come si vede chiaramente dal Privilegio di Papa Innocentio Quarto. Esse furon poste in luce anticamente da gl’antichi Padri, et poi in tempo di Frate Clemente, già Prior Generale, di cui ho fatto mentione nel presente libro al Cap. IV. furono emendate, et meglio ordinate; percioche essendo egli andato una volta al convento di Siena, et havendo havuto information della persona del famoso huomo Frate Agostino da Terano, ch’all’hora stava nell’Eremitorio di Rosìa in grande humiltà, occultando, quanto poteva, lo stato, et condition sua; (non potendo stare in tutto nascosta la lucerna posta sotto il moggio,) lo chiamo appresso di se, et fattolo suo compagno, lo meno seco alla Corte di Roma, dove lo fece anco ordinar prete, quasi contra sua voglia: Et così vivendo insieme questi doi chiarissimi Padri, rividero con molta diligenza le predette Constitutioni, et come quelli, che portavano un’ardente affettione à questa Religione, le mandoron fuori meglio ordinate, distinguendole per Capitoli, et Rubriche, aggiungendo, et levando alcune cose, secondo, che giudicorono convenienti alla sacra Religione, et al buono stato dell’Ordine, et le fecero esaminare in tre Capitoli Generali. Furon poi messe in luce, et publicate la prima volta nel Capitolo, celebrato in Orvieto l’anno del Signore M.CC.LXXXIV. et di là à tre anni furono accettate, et approvate nel Capitolo Fiorentino, et finalmente dopo tre altri anni ratificate, approvate, et confermate con alcune Additioni, et variationi nel Capitolo di Ratisbona, nel quale si trovo presente il venerabil Dottore Egidio Romano: Et di quà viene, che le Constitutioni di Fiorenza sono alquanto differenti da quelle di Ratisbona: Le quali essendo poi mostrate, et presentate dal venerabil padre Alessandro da sant’Elpidio General dell’Ordine, à Papa Clemente Quinto, furon da lui lodate, ma non confermate, et fu in beneficio della nostra Religione, à cui non saria di giovamento, che le nostre Constitutioni fossero confermate dalla Sedia Apostolica, perche essendo tal volta espediente mutar qualche cosa, secondo la varietà de i tempi, se fossero confermate, non si potria farlo, non essendo lecito rompere gli Statuti della Sedia Apostolica; quando son fatti con determinata sentenza; senza particolar commissione, et volontà del Sommo Pontefice, come si ha extra. De Confirmatione.cap.Venerabiles, et cap. Cum. accessissent, et extra. De Constitution. cap. Cum. M. Ferrariensis: Et altrove. Per il che si conosce esser di molta utilità, che gli Statuti, et Atti de i Capitoli Generali si presentino, quando sia bisogno, al sommo Pontefice, perche siano approvati, et lodati, ma non confermati; onde essendo io stato eletto dal Priore, et da tutto il Capitolo General di Milano, per andare à presentar l’elettione, et gl’Atti suoi al Santissimo Padre in CHRISTO, et Signor nostro, Papa Clemente Sesto, et havendogli esso letti alla presenza mia, et dimandatomi delle qualità dell’eletto, et d’alcun’altre cose, che per sue Bolle, et lettere speciali scritte al Capitolo, haveva commandato; poi ch’io gl’hebbi risposto particolarmente, secondo la commissione, che teneva, soggiunse queste parole formali. La persona eletta ci piace: et lodiamo gl’Atti, et non disse gli confermiamo, ilche io vidij volontieri, et notai attentamente. Le sopradette nostre Constitutioni ancora non obligano i trasgressori à reato di colpa, ma solamente di pena, fuor che in casi di precetto, o di disprezzo, come si vede apertamente nel loro medesimo Proemio, dove si dice così. Accio che adunque si proveda alla pace, et unione di tutto l’Ordine, vogliamo, et dechiariamo, che le Constitutioni nostre non ci oblighino à colpa, ma à pena, fuor che in caso di precetto, et in caso di disprezzo : Il che importa assai, come s’è detto; per le conscienze de i frati, et per la pace, et union dell’Ordine: Ma vediamo con diligenza, se tutto quello, che si contien nella Regola di sant’Agostino, obliga i suoi professori alla colpa, o s’è tutto di precetto, che è il medesimo. Dice un solenne Dottore, che sì, per la parola, commandiamo, posta nel principio della Regola là, dove essa dice. Queste son quelle cose, che vi commandiamo, ch’osserviate voi, che state nel monasterio. Et penso, che egli dica la verità, quanto à quelli; che fanno espressa professione d’osservar la Regola di sant’Agostino; Percioche, se ben molte cose, ch’essa contiene, sono per natura consigli divini, overo Apostolici, nondimeno diventano precetti, o hanno forza di precetto, quando la persona vi si obliga per voto, se bene in luoco della detta parola, commandiamo; fosse detto, ammoniamo, o veramente consigliamo, o altra si fatta parola: ma non credo, che Religione alcuna habbia questa forma di far professione. Pertanto dicono alcuni, che quelli, che fanno professione sotto questa forma. Io faccio professione, et prometto obedienza à voi Prelato, et à i vostri successori, secondo la Regola di sant’Agostino sin’alla morte; non s’obligan di precetto à niuna di quelle cose, ch’ordina la Regola, fuor che quando il Prelato le giudicasse tali, et le commettesse. Perilche, s’egli dicesse ad uno. Io ti commando questa, o quell’altra cosa delle contenute nella Regola, quelle gli saranno di precetto, et non altre, ancor che’l Legislatore non havesse usato parola alcuna di commandamento, perche colui ha promesso obedienza in questo modo, cioè, d’obedire, non alla Regola, ma al Prelato, secondo la Regola, di maniera che per questa strada gl’ordini della Regola non obligano quel suddito, se non col mezo del Prelato. Ma il nostro Ordine non fa professione in questa forma, et tengono la vera opinione quelli, che dicono, che tutto il punto di questa difficoltà consiste nella forma della professione, la qual; secondo i Decreti de gl’antichi Padri nostri dell’Ordine; è questa. Io Frate tale faccio professione, et prometto obedienza à DIO onnipotente, alla beata VERGINE MARIA, et à voi padre tale Priore in nome , et luoco del Prior Generale dell’Ordine de i Frati Eremiti di sant’AGOSTINO, et à i vostri successori di viver senza proprio, et in castità, secondo la Regola di sant’AGOSTINO sin’alla morte. Et quelli, che fanno così fatta professione, promettono espressamente, non sol l’obedienza, ma tutti i tre voti sostantiali della Religione, i quali secondo questa forma giuridico, che oblighino tali professori à precetto, et à voto esplicito, benche non vi s’interponesse mai il commandamento del Prelato, ma quanto à gl’altri tengo con quelli della seconda opinione; che fuor di questi tre, niuno sia di precetto, se non col mezo del Prelato con tutto, che nel principio della Regola sia detta quella parola, commandiamo, la qual non s’intende sempre in senso di necessità, et di potenza, ma tal’hora in senso di persuasione, et di dottrina, come si dicono i precetti dell’arte, et come i Dottori, et Maestri scolastici si chiamano precettori, et come dice san Gieronimo d’haver havuto Donato per precettor nella Grammatica, Vittorino nella Retorica, Gregorio Nazianzeno nella Teologia, et nella lingua Hebraica Barrabano Giudeo, come egli scrive à Pammachio, et Oceano: così ancora sant’Agostino è precettor nostro nella disiplina Regolare; ond’io in quest’opera l’ho allegato, et chiamato spesso Precettor nostro: Et sono obligati questi professori à i predetti tre voti, non solo assolutamente, ma anco, secondo la modificatione della Regola, di maniera, che’l frate è tenuto ad obedire al Preposito di precetto, et per voto, così quanto alla sostanza dell’atto d’obedienza, come quanto al modo descritto nella Regola, il qual è questo. Esser obediente al suo Prelato, ma molto più al Presbitero; Sottoporsi al castigo dell’opere di negligenza ad arbitrio suo; Andar con chi esso commanda, et tenerlo in honore, et riverenza, et far simili officij, che s’appartengono alla suggettion del suddito, la qual modifica l’obedienza. Il medesimo dico anco, quanto al viver senza proprio, et in castità, di che ragionaremo à i suoi luochi. Quant’al restante della Regola, benche non v’habbiamo obligo di precetto; ne di voto esplicito, tengasi qual forma si voglia di far professione; giudico nondimeno, che siamo tenuti à farlo per deliberatione, o consiglio, o ammonitione del Padre nostro, alqual per la Regola ci siam sottomessi, ma pero in modo, che se si trasgredisce, non s’incorra in peccato mortale, se non si facesse per disprezzo, come s’alcuno determinasse ostinatamente nell’animo suo di non voler osservar quello, che si contien nella Regola, sotto la quale si gloria di militare: perche dimostra d’esser figliuolo adultero colui, che non si cura d’esequire i ricordi del padre. Onde qualunque deliberatamente lascia d’osservare i consigli della Regola, senza dubbio commette peccato, et delitto, et deve farne penitenza come si consiglia il detto padre nostro nel fin della Regola, dove dice: Quicunque viderit aliquid sibi dcesse, doleat de præterito, et caveat de futuro, orans, ut sibi debitum dimittatur. cioè. Qualunque si vederà mancar qualche cosa, si doglia del passato, et viva cautamente per l’avenire, pregando, che gli sia perdonato il suo peccato. Ma si deve particolarmente avvertire, che dove si dice nella detta forma di far professione. Io prometto obedienza à DIO, et alla beata VERGINE MARIA, alcuni credendo di far bene, v’aggiungono, et à sant’AGOSTINO, per una certa non considerata devotione, et semplicità, c’hanno verso il detto santo padre nostro; onde anco molti libri di Constitutioni de i tempi moderni sono stati corretti, o più tosto corrotti, non trovandosi questa additione nelle Constitutioni antiche de i Padri nostri, ne meno nella forma ordinata da Papa Innocentio Quarto in un Privilegio della Religione, et forse non senza misterio, percioche prometter obedienza à sant’Agostino, secondo la sua Regola, che altro è, se non prometter d’osservar indefinitamente la sua Regola, et generalmente obligarsi à tutte le cose, ch’essa contiene, valendo nelle leggi la Propositione indefinita, quanto l’universale? Ne ci commanda DIO, o Santa MARIA, o il Prelato, che osserviamo tutto quello, che contiene la Regola, come fà sant’Agostino, cominciando essa così. Queste son quelle cose, che vi commandiamo, ch’osserviate. Si deve adunque per maggior cautione seguitar l’antica forma de i Padri nostri, ch’incautamente introdur novità alcuna.

Cap.XV.

Dell’Officio Divino, et del modo di cantare, et dire i Salmi.

La prima, et principal cosa, che la Regola della sacra Religione commanda, che s’osservi nella vita commune; è il culto di Dio, il quale; quant’à quello; che trattiamo al presente; si considera nell’Officio Divino, et nelle orationi: Alcune delle quali son communi, et publiche, come l’Hore canoniche; et alcune son private, come quelle, che fa ciascuna persona per sua devotione privatamente. E’l Padre, et Maestro nostro ci insegna nella Regola, come queste, et quelle si debbano fare, dicendo. Orationibus instate horis, et temporibus constitutis. cioè. Siate assidui nelle orationi all’hore, et à i tempi deputati. Questo, quanto alle orationi communi. Soggiunge poi. In Oratorio nemo aliquid agat, nisi ad quod factum est; unde et nomen accepit; ut si etiam fortem aliqui, præter horas constitutas; si eis vacat; orare voluerint, non eis sint impedimento, qui ibi aliquid agendum putaverint. cioè. Niuno faccia nell’Oratorio alcun’altra cosa, che quella, per cui esso è stato fatto, et da cui ha anco preso il nome, accioche, se alcuni oltra l’hore determinate; havendo tempo; volessero far oratione, non siano impediti da quelli, che pensassero di servirsene ad altro. Et questo, quanto alle orationi private. Dapoi seguita, et dice. Nolite cantare, nisi quod legitis, esse cantandum. cioè. Non vogliate cantar altro, che quello, che leggete doversi cantare. Et questo s’intende parimente dell’Officio publico, che si fa cantando solennemente. Ma quì si deve esaminar bene, qual sia quell’Officio Divino, che si deve dir cantando, o senza canto, et à cui siano tenuti i frati di questa Religione. Et per maggior chiarezza di questo, si deve sapere, ch’à i tempi di sant’Agostino la Chiesa non haveva ancora ordinato il Divino Officio, come esso si trova adesso, ma si diceva nelle chiese, come pareva bene à ciascuno, secondo la capacità del suo intelletto, come si legge nelle Institutioni de i Padri al cap. secondo del libro secondo, et per questa causa sant’Agostino ordino à i suoi frati l’Officio di quella maniera, che si vede nella Regola, che comincia. Antè omnia. Et benche il beato Damaso Papa ne i tempi di Teodosio Imperatore commandasse, ch’i Salmi si cantassero nelle chiese di giorno, et di notte, secondo la distintione, che fece san Gieronimo di sua commissione con aggiungervi nel fine. Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto, nondimeno non essendo ancor publicata per il mondo questa institutione, i frati in quel primo stato dell’Ordine restavano ancora obligati per la Regola all’Officio da sant’Agostino; ma essendo poi ridotto l’Officio Ecclesiastico da san Gregorio in miglior forma, e i frati riuniti dalla lor dispersione ne i tempi seguenti; come habbiam detto di sopra, la Sedia Apostolica gl’obligo à dir l’Officio della Chiesa Romana, et così rimasero assoluti dall’osservanza di quello, ch’era stato ordinato prima da sant’Agostino. Ma; se non vi si fosse interposta l’auttorità della Sedia Apostolica; sariano ancor tenuti i frati; per obedire alla Regola, à dire il medesimo Officio: Si deve anco saper, che poi che sant’Agostino fu fatto Vescovo, et l’institutione di Papa Damaso intorno à gl’Officij Divini si comincio à publicare da Papa Siricio suo successore, ogn’uno; mentre questo era ancor nuovo; cantava ad elettion sua cio, che voleva, et quello ancora, ch’era scritto, perche si leggesse, non perche si cantasse: La quale sconvenevolezza volendo levar sant’Agostino da i suoi discepoli; aggiunse questa clausola nella Regola. Nolite cantare, nisi quod legitis esse cantandum: Quod autem non ita Scriptum est; ut cantetur; non cantetur. cioè. Non vogliate cantare altro, che quello, che leggete doversi cantare. Et quello; che non è scritto, che si canti; non si canti. Cerchi il frate nel modo del cantare di satisfar più à Dio, ch’à gl’ascoltatori; perche chi procura di satisfare à Dio, cantando, tanto più lo farà, quanto più puramente, et più semplicemente cantarà. Mirando egli più alla devotione, et alla purità del cuore, ch’alla soavità della voce, come dice colui.

Nell’orecchie di Dio meglio risuona

L’affetto, che la voce, e’l cor devoto

Più, che soave, o musico instrumento:

E’ meglio; che lo strepito; l’amore.

Ma non s’intende, che canti semplicemente in honor di Dio colui, che non si cura d’imparare à cantare, et cantando con ignoranza, canta bestialmente, anzi abbaia, come bestia, et costui non piace, ma dispiace à Dio, non havendo voluto saper quello, che poteva. Si trovano pero alcuni, che non son disposti à cantar bene, o per difetto di natura, o per dissonanza di voce, et questi deveno cantar, come sanno, seguitando gl’altri, et se discordano da gl’altri, tacciano, ne vogliano attribuirsi quel valor, che non hanno, o gloriarsi del loro sciocco canto, come ho inteso di molti nell’Ordine nostro. Onde dice il Padre, et Maestro nostro nel libro Decimo delle Confessioni. Quando avien, che mi mova più il canto, che la cosa cantata, confesso, che faccio peccato, degno di penitenza, et all’hora non vorrei udir chi la canta. Nel qual luoco ancora recita, come essendo prima à Milano, subito battizato, frequentava le chiese, et stando intento all’harmonia de gl’Hinni, et alla melodia de i Salmi, sentiva un dilettevol ristoro, et piangeva con allegrezza. Narra di più nell’istesso libro, ch’Atanasio Vescovo d’Alessandria faceva legger i Salmi con tanta semplicità di voce, che’l leggente pareva più simile ad uno, che pronontiasse, ch’ad uno, che cantasse. Un frate devoto soleva cantare in Coro spesso, et molto devotamente, et con tanta affettione, c’haveva all’Officio Divino, che non gli pareva di potersi mai stancar nel canto; havendo adunque cantato in una solennità tanto, che gl’era quasi mancato il fiato, si mise à riposar nel suo letticciuolo, et s’addormento, et dormendo gli parve di sentire, che tutto il fiato; c’haveva mandato fuori cantando in honor di Dio; gl’era restituito dal cor di Dio, onde svegliatosi poi si sentì tutto confortato, et rinfrancato; et da quell’hora inanzi canto con maggior fervore à lode di Dio. Ma il canto strepitoso et interrotto, che si fa, non per lodare il Signore, ma per vanagloria, è sprezzato da lui, et approvato dal Demonio. Pero Cesario dice, ch’un’huomo religioso; cantando alcuni Chierici ad un festa, et alzando tumultuosamente le voci; vide nel più alto luoco della chiesa un Demonio, c’haveva un sacco negro nella man sinistra, et con la destra vi metteva dentro le voci de i cantori: li quali, poi c’hebbero fornito di cantare, si gloriavano d’haver lodato Iddio bene, et altamente: Ma colui; c’haveva veduto quello, ch’io ho detto; rispose. Veramente havete cantato tanto bene, che s’è empiuto un sacco del vostro canto, et meravigliandosi essi di quelle parole, scoperse loro cio, c’haveva veduto. Narra anco l’istesso auttore, che cominciandosi un Salmo in un monasterio dell’Ordine Cisterciense con voce mediocre, et seguitando in quel tuono i monaci più vecchi, un giovane molto arrogante alzo la voce più di tre tuoni, et benche quei Padri gli facessero resistenza, nondimeno havendo alcuni dalla parte sua che l’aiutavano; rimase superiore, et essi per fuggir lo scandalo, gli cedettero, ma gli fu veduto uscir un Demonio della bocca, come un ferro infocato, et andar verso quelli, che l’havevano aiutato. I frati adunque; quando sono à i Divini Officij; si guardino di non esser pigri, et fastidiosi, et si sforzino di starci riverentemente, non meno con lo spirito, che col corpo, cantando volontieri le lodi divine inanzi à gl’Angeli, che vi son presenti, dicendo col Salmo. In conspectu Angelorum psallan tibi. cioè. Io, o Dio mio, ti lodaro alla presenza de gl’Angeli. Abhorriscano totalmente il riso, et le parole vane, dovendo servire in quel luoco alla Maestà di Dio con ogni timore, et riverenza. Proferiscano le parole dei Salmi distintamente, et intieramente, senza mozzarle nel mezo, o dirle con molta fretta: Nel qual proposito san Bernardo; ammonendo i suoi frati nel Sermone XLVII. sopra la Cantica; dice. V’esorto, o dilettissimi, à star presenti alle lodi divine sempre puramente, et attentamente, accioche, si come sete pronti al servitio del Signore, così lo serviate allegramente, non pigramente, non dormendo, non sbadigliando, non risparmiando la voce, non troncando le parole nel mezo, non trapassandole intiere, non proferendole, quasi nel naso, con voci interrotte, et languide, come fanno le donne. Si legge nelle Institutioni de i Padri, al Cap. Decimo del secondo libro, che tale era la disciplina nel dire i Divini Officij appresso i Padri d’Egitto, che quando essi si ragunavano à certe solennità, chiamate Sinaxi, era tanto il silentio in così numerosa moltitudine, che non pareva, che ci fosse altri, che colui, che cantava il Salmo, et principalmente, quando l’oratione era nel fine perche non si sputava, non si raschiava, non si sentiva tosse, non sbadigliamente, ne alcun’altra voce, se pero qualcheduno, rapito in spirito, non l’havesse fatto disavedutamente. Un frate; che soleva dir l’Hore velocemente, et negligentemente; dicendo una notte il Matutino con un suo compagno più tosto gracchiando, che pronontiando quello, che leggeva, si sentì il Demonio appresso, che contrafaceva la voce del corvo, quasi schernendolo, di che spaventato, disse da quel tempo inanzi l’Hore canoniche con maggior diligenza. Si dice ancora, c’hessendo una notte doi frati à seder sopra i lor letti, quasi giacendo, et dicendo insieme il Matutino, vi si fece sentire il Demonio con un’intolerabil fetore, et disse. Una tale oratione merita un tale incenso. I frati, che non sanno dire i Salmi, ne catare come gl’idioti, et quelli, che non hanno lettere, o non possono, come i vecchi, et poco sani, in luoco dell’Hore; c’harebbono à dire; dicano il Pater noster, come insegna il Padre nostro sant’Agostino nel Sermone, De oratione à gl’Eremiti; dove parlando à gl’idioti, dice così. O fratelli miei; benche siate di grosso ingegno, ne siate capaci delle cose sottili; non vi tengo pero peggiori, anzi m’è più caro, che siate ignoranti humili, che savij superbi. V’habbiam detto principalmente, che debbiate cantare, orare, et lavorar con le mani, quando bisognarà, ma se v’avanza tempo, non siate pigri à dire il Pater noster. Et più à basso. Orate adunque fratelli, dicendo il Pater noster, et ringratiando il donator di tutti i beni. Et quanto à i vecchi, et poco sani l’istesso Padre in un’altro Sermone, che comincia, Apostolus Petrus, fratres charissimi, dice in questa maniera. Et se sarà alcun fra voi, che sia stato santissimamente nell’Eremo ottanta, et più anni, etc. Pero vogliamo, et commandiamo in nome di CHRISTO, che anco quelli, che sono di cento, et più anni, dican nel lor letticciuolo il Pater noster, et sian serviti diligentemente, et senza mormoratione, accioche essi parimente intercedano per noi in Cielo, dove hanno già la loro conversatione.

 

 

 

Cap.XVI.

Dell’attentione, che si deve haver nell’Officio Divino, et nell’altre orationi, et che’l Diavolo si sforza d’alienare, et turbar la mente di quelli, che orano.

Debbiamo sforzarsi con tutto il poter nostro; mentre oriamo, et cantiamo; di considerar con l’intelletto quello, che diciamo con la bocca, come faceva colui, che disse. Psallam spiritu, psallam et mente. cioè. Cantaro con lo spirito, et cantaro con la mente. Et questo è quello, che dice il precettor nostro nella Regola. Psalmis, et Hymnis, cum oratis Deum; hoc versetur in corde, quod profertur in ore. cioè. Quando fate oratione à Dio con Salmi, et Hinni, rivolgete nel core quello, che proferite con la bocca. Onde dice Ugone nell’esposition della Regola. Spesso oriamo, et habbiamo la mente in altra parte, ne consideriamo cio, che diciamo, ma Dio non esaudisce quelle orationi, alle quali non sta intento colui, che ora: Il che suole spesso avenire per stimolo del Demonio, il qual sapendo l’utilità, che viene dall’oratione, et havendo invidia all’huomo, c’habbia gratia d’impetrar quello, che chiede, manda nel cor de gl’oranti i tumulti de i pensieri, per alienar la mente dall’oratione, et distrugger il frutto, che se ne trahe. Contra la cui malitia debbiamo haver la mente costante, perc’habbia tanto più gagliardamente à mantenersi ferma nella rettitudine del suo stato, quanto più siamo assaltati dalla turba de i pensieri. All’istesso ci esorta san Bernardo nell’allegato Sermone XLVII. sopra la Cantica, dicendo: Dovete cantar puramente, non pensando ad altro, mentre cantate, ch’à quello, che si canta, ne dico doversi schifar solamente i pensieri vani, et otiosi, perche particolarmente in quell’hora, et in quel luoco si deveno fuggir quelli ancora, à i quali i fratelli officiali sono spesso sforzati à dar luoco, quasi necessariamente per i communi bisogni. Ne vi consigliarei anco à ricevere all’hora nella mente vostra quelle cose, che poco prima havete lette ne i libri, sedendo nel chiostro, come son quelle, che riportate di fresco da questo auditorio dello Spirito Santo dalla presente viva voce, et ragionamento mio. Son cose salutifere, ma non è salutifero, che vi si consideri, mentre si canta, percioche lo Spirito Santo in quell’hora non ha grato quello, che tu gl’offerisci fuor d’obligo, se non ti curi di dargli quello, che dei per obligo. Si legge nelle Vite de i Padri, che’l Demonio ando ad una cert’hora di notte alla cella di san Macario in forma di monaco, et picchiando all’uscio, disse. Levati sù fratello, et andiamo alla congregatione de i frati. Ma l’huomo di Dio, conoscendolo rispose. O bugiardo, et inimico d’ogni verità, c’hai tu à fare nella congregatione de i buoni? Ma egli ridendo fortemente, replico. Non sai tu, che senza di me non si fa niuna ragunanza di monaci? Vieni, et vedrai l’opere nostre. Levatosi adunque il sant’huomo, et andato, dove i frati erano già congregati, vide alcuni huomini piccioli, et negri, ch’andavano scorrendo quà, et là, et quasi volando, et quando toccavano con doi dita gl’occhi à qualcheduno, lo facevano addormentar subito; et s’ad altri mettevano un dito in bocca, lo facevano sbadigliare, cangiandosi inanzi à questo in figura di donna, et à quell’altro mostrandosi in atto d’edificare, o di portare, o di far qualche altra cosa, et quei frati andavano rivolgendo nel pensiero le imagini di tutte quelle cose, che quegl’Etiopi havevan fatto vedere à ciascun di loro, ma volendo poi fare il medesimo ad alcuni altri, ne eran cacciati talmente, che non ardivano pur di passar loro inanzi. Finita la visione esamino il sant’huomo separatamente ciascun de i frati; et trovo, che tutti erano stati ingannati nel pensiero, secondo la predetta rappresentatione. Si trova nelle istesse Vite, che desiderando il medesimo san Macario di saper la vita di doi frati giovani, ando una volta alla lor cella per albergar quella notte con essi, i quali vedutolo, gli s’inchinorono sino in terra, et fatta la solita oratione, et preso il cibo, gl’accommodorono una stora in un canto della cella, et si coricorono essi dall’altro: Et ecco, mentre pareva, che s’apparecchiassero per dormire, che s’empiè la cella d’uno splendore, chiaro come la luce di mezo giorno, ne essi se ne accorsero, ma quando pensorono, che’l vecchio dormisse, levatisi si posero in oratione, alzando le mani al Cielo. Egli, che senza esser veduto da loro, mirava ogni cosa attentamente, vide i Demonij, ch’à guisa di mosche, si volevano posar su la bocca, et su gl’occhi del più giovane, ma l’Angelo del Signore gli rispingeva, et cacciava via, ne mai potevano appressarsi al maggiore: Da che san Macario conobbe, che quello era il più perfetto nel timor di Dio, et che i Demonij davano ancor molestia al minore. Finalmente nel far del giorno i frati tornorono à dormire nel letto loro, et san Macario levandosi; come, se si fosse svegliato in quel punto, essi parimente, quasi desti da un lungo sonno, si rizzorono. Il maggior poi, accostandosi al sant’huomo, l’invito à cantar i XII. Salmi, et mentre gli cantavano, si vedeva uscir dalla bocca del più giovane ad ogni verso una facella di fuoco, et ascendere al Cielo: Et quando l’altro cantava, et moveva le labbra, per dire i Salmi, uscirgli parimente dalla bocca come un fumerello di fuoco, et salire in alto. Il che vedendo san Macario ne diede gloria à Dio, et raccommandatosi alle loro orationi; si partì tutto contento. Si sforza adunque il Demonio, non solamente disturbar le orationi de i frati con occulte suggestioni di vani pensieri, ma s’affatica anco molte volte, per impedir quelli, che orano con scoperte, et sensibili molestie. Di che habbiam particolare esempio nel beato Nicola da Tolentino, il quale, come huomo di meravigliosa santità, orava assiduamente: Per il che portandogli invidia il Demonio delle sue devote orationi, non sol lo molestava con cattive inspirationi, et tentationi, ma anco con crudeli battiture, et con spaventose apparitioni, onde essendo una volta il servo di Dio in oratione inanzi all’altare, gl’ammorzo la lampada, ch’ardeva, et oltra di cio la getto in terra, et la ruppe, et fermatosi sul tetto dell’Oratorio, imitava le voci di diverse fiere, et voltando i coppi sotto sopra, s’affaticava per guastare il coperto, ma conoscendo il sant’huomo, che quello era un’inganno diabolico, perseverava nell’oratione con maggior fervore: Et ecco, che orando, quel sceleratissimo inimico entro furiosamente per la porta, et messogli spavento lo prese con impeto, et gli diede così crudeli battiture, che per molti giorni gliene restorono i segni per tutto il corpo. Un’altro giorno; mentre egli si cusciva una tonica; il Diavolo gliene ascose un pezzo, onde poi che l’hebbe cercato, et ricercato assai, non potendo trovarlo, diceva. O santo Dio, chi m’ha ingannato? Senza dubbio sarà stato colui, che non merita d’esser nominato: E’l Demonio rispondendo, disse. Egl’è il vero: io t’ho ingannato, et t’ingannaro, ma poi che non posso vincerti in questo modo, procedero teco altramente. Che sei tu disse il sant’huomo? Io son Belial, (replico il Demonio,) mandato à provar la tua santità. Et egli. Se Dio si scoprirà in mio aiuto, non havero paura di cosa, che mi possa far qual si voglia huomo. Volendo il detto padre andar una notte à far la solita oratione, ne trovando aperto l’Oratorio; perche haveva anticipato, come soleva far sempre, l’hora di Matutino; et volendo entrar nel Refettorio, dov’era dipinta l’imagine del Crocifisso, fu gettato à terra sù la soglia della porta dal Diavolo con tanta violenza, che non poteva rihavere il fiato, nondimeno preso ardir nel nome di CHRISTO si levo sù, et aviandosi verso l’Oratorio, fu battuto, et fatto cader un’altra volta, onde sforzato finalmente à partirsi, si sentì sbatter crudelmente à traverso ad un cantone, che trovo nel camino: Ma come volse Iddio, uditosi nel Refettorio lo strepito de i Demonij, che combattevan seco, si mossero i frati, et corsero tutti verso quella parte, dove trovorono il sant’huomo disteso in terra, et aiutatolo à rilevarsi, non potendo egli stare in piedi; lo portorono al suo povero letticciuolo, ma esso, confortato da CHRISTO, se ne levo subito, et appoggiatosi ad un bastone, attese à fornir le solite orationi, ringratiando Dio Salvatore. Perche adunque gl’oranti patiscono tante molestie; di quà nasce, che fra tutte le opere buone l’oratione è difficilissima: Onde si legge nelle Vite de i Padri, che l’Abbate Agatone, dimandato da i frati, qual virtù nella vita monastica fosse più faticosa, rispose. Credetemi, che non si trova fatica eguale à quella, che si prova nell’oratione, perche mentre l’huomo prega il suo Dio, sempre gl’inimici demonij attendono ad interromperlo, sapendo di non esser impediti da niun’altra cosa, fuor che dall’oratione, che si fà à Dio, poi che in ogn’altra fatica, che si pigli à far l’huomo, che tien vita religiosa; quantunque essa si faccia con gran fervore, et patienza, ha pure, et sente un poco di riposo, ma nell’oratione bisogna combatter molto sin’all’estremo fine, et percio nel principio di tutte l’Hore canoniche, armandoci del segno della Croce contra le battaglie diaboliche, diciamo. DEVS IN ADIUTORIUM MEUM INTENDE. Dell’efficacia del qual versetto parlando Giov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Isaac, dice, ch’esso comprende tutti gl’affetti, che possono occorrer nell’humana natura, et s’accommoda propriamente à tutti gl’assalti: Percioche contiene in se la protettione della divina invocatione contra tutti i pericoli imminenti; l’humiltà della devota confessione; la perpetua vigilanza del timore, et della sollecitudine; la consideratione della propria fragilità; et la fiducia, che deve haver l’huomo d’esser esaudito. Questo versetto è un muro inespugnabile à tutti quelli, che son combattuti dal Demonio, et è uno scudo fortissimo, che ci difende contra tutte le battaglie de i vitij, et ogn’uno, ch’è posto in qual tribolatione si voglia, deve dire. DEUS IN ADIUTORIUM MEUM INTENDE: DOMINE AD ADIUVANDUM ME FESTINA. Questa invocatione ci monda da tutti i vitij, et ci conduce alle celesti contemplationi, et à quell’ineffabile ardor d’oratione, provato da pochi. Et quì si deve saper, che, come dice sant’Agostino nell’Homilia XXII. sopra san Giovanni, s’alcuno intende poco un Salmo, ma pero crede, che vi sia qualche cosa di buono, quello, ch’egli canta, non è affatto perduto. Il medesimo credo di colui, che l’intende bene, et è obligato ad intenderlo; ma sviato dalla fragilità, non sta attento à quello, che canta: perche, come dice l’Abbate Pemen, et molt’altri santi Padri nelle Vite loro, si come i serpenti, quando odono le parole; che gl’incantatori dicono, et molte volte non intendono; conoscendo la lor virtù, s’acquetano, et gl’obediscono, così i Demonij, benche noi non possiamo intender la virtù delle Scritture Divine, conoscendo la forza della parola di Dio, restano spaventati, et si partono fuggendo da noi; non potendo sopportar le parole, che lo Spirito Santo ha parlato per la bocca de i Profeti, et de gl’Apostoli servi suoi.

Cap. XVII.

Come debba prepararsi ogn’uno all’oratione.

Debbiam prepararsi, prima che ci mettiamo in oratione d’esser tali; (come dice Giov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Isaac;) quali desideriamo d’esser nell’oratione, percioche la mente, et l’animo prendono forma; quando si ora; dallo stato precedente, et pero debbiam cacciar da i petti nostri, inanzi ch’andiamo ad orare quello, che non vogliamo, che v’entri di nascosto, mentre oriamo, essendo necessario, che tutto quello, che la mente nostra haverà conceputo inanzi à quell’hora, ci sia rappresentato dalla memoria, quando siamo in oratione. Onde Ugone nell’espositione della Regola dice così. Giova molto alla purità dell’oratione guardarsi in ogni luoco, et sempre da gl’atti illeciti, et raffrenar l’udito, et la lingua da i ragionamenti otiosi, et avezzarsi à caminar nella legge di Dio, et investigar con tutto il core i testimonij suoi: Essendo necessario, che quelle cose, che si soglion fare, parlare, et udir più spesso, ci tornino nell’animo, come nel proprio, et consueto albergo loro. Sforzisi pertanto ogni frate, per poter schifare i tumulti de i pensieri, di svegliare il cuore à devotione, prima che si cominci l’Officio, essendo noi tanto tepidi, et pigri ne gl’Officij Divini, per non ci essere eccitati prima à devotione: Per la qual cosa ne usciamo poi; come v’entrammo; freddi, et dissoluti: Et quando si comincia l’Officio Divino, cacciati già i pensieri vagabondi, inalziamo la mente à Dio; stando intenti à quello, che si canta. Altramente, se ci lasciaremo entrar prima i pensieri, à pena potremo guardarci dal loro tumulto. Percioche l’antico avversario, et serpente, che gli mette ne i nostri cuori, usa in cio continua diligenza, alla cui testa, se non si fa qualche riparo, esso sdrucciolando penetra à poco, à poco nelle intime parti del cuore senza esser sentito; et come un’huomo forte, et armato; si sforza di difender l’entrata della casa sua. Et contra questo giova assai, che’l frate, subito che si desta, dia bando à i pensieri, ne i quali il Diavolo vorrebbe occuparlo, et offerisca al Signore le primitie di quelli, et dell’attioni sue col mezo dell’oratione, o d’alcun’altra buona meditatione col moto anco della persona, piegando le ginocchia, stendendo le mani, spandendo le braccia in forma di Croce, gettandosi con tutto il corpo in terra, et facendo altri così fatti gesti, (come mostra Giov. Cassiano nella Collatione XXI.) co i quali si sveglia l’affetto della devotione, et lo spirito si riscalda, et così il frate sarà tutto il giorno più devoto, et più libero. Un’esempio se ne ha in un devoto frate, il qual soleva insegnare à i frati giovani, et Novitij, ch’ogni volta, che si destavano, essendo in letto, lodassero Iddio con le mani alzate al Cielo, dicendo qualche oratione, et non è dubbio, che quel devoto servo di Dio faceva con l’opere quello, ch’insegnava ad altri con la bocca. Ma si deve avvertire, che come dice pure il medesimo Cassiano nella Collation Nona, per poter far l’oratione con quel fervore, et purità, che si conviene, bisogna osservar con ogni diligenza questi precetti. Prima si deve troncar affatto ogni sollecitudine delle cose temporali: Nel secondo luoco: Non haver cura, ne pur ricordarsi di qual si voglia negotio. Nel terzo: Troncar le detrattioni, i vani ragionamenti, et tutte le brutte, et ridicole parole. Nel quarto: Eradicar da i fondamenti, et totalmente quelle cause, che provocano l’ira, et la tristitia del cuore. Nel quinto: Estirpar da radice il nocivo fomite de i desiderij carnali, et dell’avaritia, et così cacciati, et troncati del tutto questi, et simili vitij; che possono esser veduti, et notati anco alla presenza de gl’huomini, et purgata, et mondata, come ho detto, la conscienza; ilche si fa con pura semplicità, et innocenza; si deveno porre stabili fondamenti di profonda humiltà, che possano sostener la torre, che deve andare al Cielo: Dapoi vi si deve sopraporre la spiritual fabrica delle Virtù, et prohibire all’animo, che non vada scorrendo, o vagando licentiosamente in questa, et in quella parte, accioche cominci pian piano ad inalzarsi alla contemplatione di Dio, et della visione spirituale, come, se gli fosse detto sempre. Levati: Levati sù terra. Et qualunque sarà così preparato, s’inalzerà all’eccellenza di quell’oratione, di cui soleva dir sant’Antonio questa, non homana, ma celeste sentenza. Non è perfetta oratione quella, nella quale il monaco fa cio, che fa, o intende quello, che dice. In questo modo stava preparata quella santa donna MONICA, madre di sant’AGOSTINO, di cui egli medesimo parla in una Epistola, scritta à sua sorella monaca; perche spesso orando s’inebriava tanto di Spirito Santo, che mentre il Signor giaceva nel letto del suo core, tal volta per un giorno intiero, non mostrava d’haver ne voce, ne sentimento: Ne debbiam meravigliarsene, poi che quella pace, che supera ogni senso, sepeliva i sensi corporali di quella santa Vedova, di maniera, ch’à pena le matrone di casa, et le vicine, quantunque la pungessero, potevano svegliarla: Essendo poi fatta degna di quella serva di CHRISTO di ricenvere i Santissimi Sacramenti il giorno di san Cipriano, et essendo nella casa propria, fu alzata da terra, quasi un cubito, onde, se ben soleva esser quietissima, grido. Voliamo: Voliamo al Cielo, o fedeli, et essendo dimandata, che cosa gli fosse occorsa, non rispondeva nulla, ma abondava di tanta allegrezza, ch’invitava tutti gl’altri à far festa, cantando col Profeta. Cor meum, et caro mea exultaverunt in Deum viuum. cioè. Il cor mio, et la carne mia, hanno fatto festa nel Dio vivo. Un’altro giorno ancora, essendo la serva tua, o Signore, prevenuta, et visitata da te, et considerando i beneficij, che tu vestito della carne nostra per tua clemenza hai fatto all’humana generatione, merito tanta gratia di compuntione, et sparse così gran copia di lagrime, spremute col torchio della Croce, per la memoria della tua passione, che le goccie, che cadevano sul pavimento, mostravano i suoi vestigij per la chiesa, et tanto più cresceva il fiume delle lagrime, quando più l’abondanza la esortava à contenersi dal pianto. A simili eccessi speculativi fu rapita anco l’istessa santa donna col figliuolo Agostino (come egli proprio scrive nel Nono libro delle Confessioni;) quando, stando tutti doi una volta appoggiati ad una finestra, dalla qual si vedeva l’horto della casa, ove erano, et separati dalla gente, soli parlavano insieme con gran dolcezza della vita eterna de i Santi, et tenevano la bocca del core aperta per desiderio de i superni fiumi del fonte della Vita, et alzandosi in quel pensiero con più ardente affetto, et trapassando di grado in grado tutte le cose temporali, arrivorono velocemente con tutto il desiderio del core alla regione dell’indeficiente abondanza, et al fonte della Vita Eterna, alqual lasciando legate con sospiri le primitie de i loro spiriti, tornorono al primo ragionamento, mostrando nelle parole di sprezzare il mondo, e i suoi piaceri. Et che’l detto Padre sant’Agostino fosse rapito à questi istessi eccessi, lo confessa egli medesimo nel X. libro delle Confessioni, rendendone gratie à Dio con queste parole. Alcune volte tu m’introduci in un’affetto molto inusitato di dentro ad una certa dolcezza, ch’io non so, et se diventerà perfetta in me, sarà non so che cosa, che non sarà questa vita. Et desiderando d’esser tirato à si fatte contemplationi il detto contemplatore, dice così nel libro, De Contemplatione Domini nostri IESU CHRISTI. Tu Signor sei la vita mia, in cui io vivo; la speranza, à cui m’appoggio; la gloria, ch’io desidero d’acquistare. Tieni il cor mio: reggi la mente: drizza l’intelletto: inalza l’amore: sospendi l’animo, et tira la bocca della mia assetata anima à i superni fiumi: S’acquetino di gratia i tumulti delle cose carnali. Tacciano le imaginationi della terra, dell’acque, dell’aria, del Cielo. Tacciano i sogni, et le imaginarie rivelationi: Ogni lingua: ogni segno, et tutto quello, che si fa passando quà giù: taccia anco in se medesima la propria mia anima, non pensando à se, ma solamente à te Dio mio. Perche tu veramente sei il cuore, et la fuducia mia. Et nel libro delle Postulationi dice. Dammi ti prego, Signore, le ali della contemplatione, delle quali vestendomi; possa volare in alto verso di te, et altre simili parole. Soleva essere il sant’huomo talmente tirato, et rapito à questi eccessi, ch’andando una donna à parlargli una volta, ch’egli sedeva nello studio, non puote haverne risposta, ne pure un cenno da lui, ma le fu detto poi questo in sogno. Agostino non s’accorse punto di te, quando tu gl’andasti à parlare, perche disputava attentissimamente della gloria della Trinità, ma tornarci sicuramente, che lo trovarai molto pietoso verso di te, et ne trarrai salutifero consiglio. In questa medesima dispositione stava continuamente quell’huomo di singolar santità, il beato Nicola da Tolentino, inanzi al quale caminava spesso; quand’egli andava ad orare; una molto lucida stella in segno della devota oratione, et della sua celeste contemplatione, come gl’era apparso prima in sogno, percioche essendo stato una notte lungamente in oratione nella sua cella, et addormentatosi leggiermente, haveva veduto dormendo una chiarissima stella, grandissima di forma, et di moto velocissima, et tanto poco distante d’altezza, che caminava presso à terra, quant’è alta la statura d’un’huomo, et pareva, che cominciasse dal Castello di sant’Agnolo, sua patria, et movendosi s’aviasse verso Tolentino, et si feremasse avanti all’altare dietro al coro dell’Oratorio, il qual era all’hora verso il chiostro, dove egli soleva dir molte volte la Messa, et star di giorno, et tal’hor di notte lungamente in oratione; et vedeva, che concorrevano molte genti di varie Province, et Nationi alla fama, di così fatto spettacolo. Pertanto fatto certo di questo meraviglioso segno dalle molte visioni havute, non sol quella notte, ma alcune altre appresso, comincio à considerar con meraviglia, che cosa esso potesse significare, et non ne trovando causa alcuna, rivelo secretamente il tutto ad un’altro padre di buona consideratione, et di lodevol vita, il qual con un parlar profetico gli disse. Questa stella, Padre reverendo, predice senza fallo la vostra santità: Et io, quanto à me, tengo per certo, che’l corpo vostro sarà sepolto in quel luoco, dove essa s’è fermata, et che per i molti miracoli, che vi si faranno, siano per concorrervi da ogni parte diverse genti, che non v’haveranno conosciuto, per ricevere il beneficio della sanità, et far riverenza alla vostra sepoltura. Ma il sant’huomo pien d’humiltà rispose. Lasciate, caro fratello, questa opinione, perch’io fui sempre inutil servo di CHRISTO. Dichiarimi esso Iddio la mia Visione, poi che voi non la intendete. Ma di là à poco tempo, estrando egli un giorno nell’Oratorio, come soleva, una stella, movendosi, come s’havesse havuto i piedi, gli caminava inanzi sin’al predetto altare, et occorrendo questo ogni giorno, fu avisato in spirito, che quella stella, ch’egli vedeva il giorno, dechiarava quella, c’haveva veduto la notte; et che conteneva in se qualche verità: Et così entrando un’altro dì nel medesimo Oratorio, la stella gl’andava pure inanzi, come haveva fatto prima, ond’egli fatta riverenza, et oratione all’altare, si mise à passeggiar lungamente per l’Oratorio, ma mentre passeggiava, non la vedeva più, et quando tornava all’altare, essa subito v’appariva sopra, il che essendogli occorso molt’anni continui inanzi alla morte, egli conoscendo in cio, non la propria gloria, ma quella di Dio; gliene rendeva gratie, come al donator di tutti i beni; Pertanto avvicinandosi il tempo della sua partenza, prego con ogni carità i frati, che lo sepelissero in quel luoco, ne dovessero levarnelo giamai: Et era per certo conveniente, che dove lo spirito di quell’huomo di Dio, soleva inalzarsi nel tempo dell’oratione col testimonio della stella à gl’eccessi contemplativi; ivi rimanesse il corpo à perpetua memoria de i suoi meriti: Ma perche si manifestasse più chiaramente la pietà di Dio, avvenne che per molt’anni dopo la sua morte sempre nel giorno del suo transito; quando infinite genti concorrevano à visitar quel venerabil corpo per ottener rimedij di sanità, et non prima, ne dapoi; era veduta quella stella da chi la voleva vedere, star dritta, et quasi immobile sopra la sua sepoltura, perche si sapesse, che’l Beato Nicola non era chiaro per i suoi miracoli solamente in terra, ma godeva anco in Cielo i premij eterni. Fu anco un’altro frate tanto devoto di Dio, et de i suoi Santi, et particolarmente delle feste di CHRISTO, che le teneva dipinte tutte in diverse carte separatamente, et sin che duravano, teneva attaccata à i muri della cella la carta di quella solennità, che v’haveva messa nel principio della festa, et sedendole all’incontro, et mirandola devotamente, orava, sospirava, et piangeva. Era anco così riverente alle feste della Beata VERGINE, che le riceveva alcuni giorni prima con dir mille volte l’Ave Maria. Mostrava oltra di cio una principal devotione alla festa di tutti i Santi, di maniera ch’una settimana inanzi s’apparecchiava à riceverla con digiuni, et con altre mortificationi, et per otto giorni continui la solennizava con quella maggior riverenza, che poteva. Diceva parimente le sue Messe con tanta devotione, che sentiva molto dispiacer, che’l ministro, o altra persona lo potesse vedere in faccia, uscendogli da gl’occhi molte lagrime, che gli bagnavano le guancie copiosamente, et havrebbe voluto, che fossero state nascoste ad ogn’huomo. Finalmente, perche portava tant’honore à i Santi, passo al Signore il dì della loro solennità, et dopo alcune settimane apparve bello, et allegro ad un’altro buon frate; et gli disse, ch’era stato felicemente ricevuto nel collegio de i Santi.

Cap.XVIII.

Della particolar preparatione alla Messa, et alla sacra Communione.

Ma, se bene i frati; perche non resti vano il frutto dell’oratione; deveno prepararvisi con grandissima diligenza, nondimeno è obligato ogn’uno à disporsi sommamente con quella preparatione, che si ricerca, et con tutte le forze sue à celebrar la Messa, et ricever la sacra Eucaristia, per poter degnamente servire, et partecipar de i sacri misterij: Et questo si fa in tre modi. Nel primo: Recitando l’Hore canoniche, poi che ogni sacerdote deve, prima che celebri la Messa, dir Matutino, et Prima con quella devotione, che gli vien data da Dio, et con intention d’haver à satisfare all’altre all’hore compententi, come si ha nel cap. I. et nel cap. Dolentes. extra. De celebratione Missarum. Nel secondo: Dicendo inanzi alcune orationi particolari, il che è solamente di cosiglio, cioè, ch’ogn’uno, secondo l’affetto della propria devotione s’avezzi à dire alcune orationi, che svegliano la mente à devotione, indrizzano lo spirito à Dio, et mondano l’huomo dalle reliquie dei peccati. Et pero ho detto, che son di consiglio, non se ne potendo dar legge, che sia commune à tutti, perche quello, che saria poco ad uno, potria esser soverchio ad un’altro, secondo le diversità delle dispositioni de gl’huomini. Onde si legge nella vita del Beato Pacomio, che quando l’Angelo gli porto la Regola, et disse, ch’in essa s’ordinava, che si facessero dodici orationi il giorno, dodici la sera, et dodici la notte; dicendo il santo Pacomio, ch’eran molto poche; rispose l’Angelo, ch’in quella Regola s’ordinavano quelle, alle quali potevano facilmente satisfare i più debili, ma che i più perfetti non havevan bisogno di quella legge, percioche quelli, che si pascono della purità della mente, et della divina contemplatione, non cessano d’orar da se stessi, stando nelle proprie celle. Nel terzo modo si fa questa preparatione: Confessandosi sinceramente de i proprij peccati, sì che non ne resti alcuno nella conscienza, perche; (come dice Papa Gelasio; et è registrato nel cap. Sacrosancta. I.q.I.) la sacrosanta Religione, che contiene la disciplina Catolica, merita tanta riverenza, che non deve alcuno presumer di giungerci, se non ha prima purgata la conscienza: Et come, essendo chiamato il celeste Spirito, verrà alla consecratione del divino misterio, se’l sacerdote, che lo prega à venire, per esser pieno di colpevoli attioni, è reprobato? Onde dice anco san Gieronimo sopra Malachia, come si legge alla XLIX. Distintione, cap. Sacerdotes. I sacerdoti sprezzano il nome del Signore, et quanto à loro, offeriscono il pane imbrattato: andando all’altare indegnamente. La Glosa sopra quelle parole di san Paolo nell’Epistola prima à i Corintij, al cap.XI. Quicunque manducaverit panem, et biberit calicem Domini indignem, etc. dechiara che cosa sia andare indegnamente all’altare, dicendo. Indegno senza dubbio è colui, che non va all’altare con la mente devota, overo persevera nella volontà di peccare, et colui è reo nel corpo, et del sangue del Signore, cioè, reo della morte di CHRISTO, et percio sarà castigato da Dio, come s’havesse ammazzato CHRISTO. Et perche questi sono alcuna volta puniti dal Signore anco con pena temporale; soggiunge l’Apostolo nel luoco citato. Ideo inter vos multi infirmi, et imbecilles, et dormiunt multi. cioè. Pero fra voi si trovano molti infermi, et debili, et molti, che dormono: Percioche; (dice la medesima Glosa;) questi mali occorrono à chi riceve quel Sacramento indegnamente. Era un frate in una Provincia, che viveva trascuratamente, et se ben non haveva detto tal volta l’Hore canoniche, ne fatta alcuna preparatione d’orationi, ne mondata la conscienza con la confessione, celebrava pero la Messa ogni giorno, forse più per rispetto de gl’huomini, che di Dio. Ma avenne, ch’essendo egli un dì all’altare, et dicendo la Messa alla presenza di molte persone, et de i più honorevoli huomini della città, poi c’hebbe fatta la consecratione, et l’elevatione del Sacramento fu assalito per volontà di Dio da un così subito, et così fiero accidente, che rimase stupido, et quasi agghiacciato, ne sapeva, o poteva dire, o far cosa alcuna, ma stava tutto tremante, attonito, et poco men che perduto: Di che avedendosi un prudent’huomo de i circonstanti, gli s’accosto riverentemente, et gli dimando, se sentiva qualche dispiacere, à cui egli disse. Chiamatemi prestamente il tal frate, nominando me, il quale era all’hora Vicario del Prior Generale in quella Provincia, et mi trovava in convento. Io essendo chiamato, v’andai subito, et volendo esso cominciare à confessarsi; quando vidi la moltitudine, et qualità delle persone, ch’eran nella chiesa, dubitando di qualche scandalo; lo confortai amorevolmente con queste parole. Buon figliuolo non temete: Habbiate buon proposito, confidandovi nella misericordia di Dio, et dopo la messa mi parlarete. Hora seguitate sicuramente, et fornite la Messa sopra la mia parola, ch’io vi saro in aiuto inanzi à Dio, et à gl’Angeli suoi; onde egli preso animo, ritorno in un certo modo in se, et mostratomi nel libro il luoco del Canone, c’haveva lasciato, standogli io tuttavia appresso, et quasi sostentandolo; come quello, ch’era indebolito, et non poteva parlare; finì la Messa. Venne poi alla mia cella, et mi disse, che vedendosi il Sacramento inanzi, gl’era venuta un’improvisa memoria de i suoi peccati, onde ne haveva havuto così horrendo timore, che tutte l’ossa gli tremavano, et gli pareva, mentre era in quell’horrore, ch’i Demonij l’haveriano dapoi portato vivo all’inferno, aggiungendo, che trovandosi in quella paura, et spavento volontieri harebbe voluto confessarsi, et per questo haveva mandato per me, et che mi pregava da nuovo à voler provedere alla salute dell’anima sua. Io udita la sua confessione lo licentiai bene instrutto, et emendato con la benedittion di Dio. Il medesimo giorno, et in quell’istesso luoco un’altro frate, preso da non so che spirito frenetico; stando avanti alla mensa, dove io mangiava con gl’altri, disse gridando questo verso del Salmista. Propter iniquitatem corripuisti hominem, et tabescere fecisti, sicut araneam, animam eius. cioè. Hai castigato l’huomo, per la sua iniquità, et hai fatto, che si consumi l’anima sua, come il ragno, et detto questo, senza parlar più oltra voltatosi, ando via subito, con meraviglia d’ogn’uno. Io nella mia mente applicai quel verso al caso, ch’era occorso poco prima, perche colui non haveva tanto intelletto, c’havesse potuto allegar una sentenza così conforme, et così propria à quell’accidente, ancor che l’havesse saputo, essendo stato, quasi per tre mesi prima alienato della mente, onde è verisimile, che qualche spirito habbia allegata quell’auttorità per bocca sua, perche non credo, ch’in tutta la Bibbia se ne fosse potuta trovar un’altra così propia à quel caso, come questa; havendo castigato Dio quel frate molto pietosamente, et paternamente, volendo, che l’anima sua si struggesse di stupore, et d’horrore, per guardarla dal pericolo della dannatione eterna, secondo quello, che soggiunge l’Apostolo dopo le sopradette parole nel medesimo luoco, dicendo. Quando siamo giudicati, (il che si deve intender, come dice la Glosa, con queste pene temporali,) siamo ripresi dal Signore, accioche non siamo condannati insieme con questo mondo. Fà à questo proposito il primo esempio, posto di sotto nel Terzo libro al Cap. XV. Quei sacerdoti poi, che vanno degnamente all’altare, come son quelli, che fanno diligentemente le tre preparationi sopradette, portano à se stessi, et à gl’altri frutto salutifero, acquistando à i popoli, per il lor bene detto ministerio, la divina gratia, et remission de i peccati, come dice l’allegato cap. Sacerdotes, e’l cap. Ipsi. I.q.I. et col mezo del lor sacrificio liberano l’anime dalle pene del Purgatorio. Di che habbiamo un’esempio nel Beato Nicola da Tolentino, il quale essendo conventuale nel monasterio nostro di Valmagnente appresso alla città di Pesaro, soleva per gran fervor di devotione celebrar la Messa ogni giorno molto à buon’hora, onde essendo deputato una volta per Hebdomadario della Messa conventuale, sentì riposandosi nel letto suo, la notte inanzi alla Domenica della sua settimana, ch’un’anima lo chiamava con alta, et compassionevol voce, et piangendo diceva. Guardami Frate Nicola, huomo di Dio: Et egli guardandola, cerco di riconoscerla, ma non potendo, dimando, chi fosse, la quale gli rispose. Io son l’anima di frate Pellegrino da Osimo servo tuo, da te molto ben conosciuto, quand’era al mondo. Hora son crucciata in queste fiamme, alle quali Dio m’ha destinato, non à pena eterna; come io haveva meritato; ma per sua misericordia à pena temporale: pero ti prego humilmente, che ti degni di celebrar questa settimana la Messa per me, accioche io possa uscir di questo fuoco. Rispose il sant’huomo. Degnisi d’aiutarti il mio Salvatore, il cui sangue ti ha ricomperato, perch’io essendo deputato à dir la Messa conventuale per tutta questa settimana, non posso celebrarla per i morti, et specialmente hoggi, ch’è giorno di Domenica, ne si deve mutar l’Officio, per dir la Messa de i morti. Vieni, o padre venerando, (replico l’anima,) et guarda se ti bisogna compiacere ad una così grande, et così miserabil moltitudine, da cui son mandato ad impetrar questa gratia dalla tua misericordia, et così dicendo lo condusse all’altra parte del monasterio, et gli mostro una pianura verso Pesaro, dov’era una innumerabil quantità di gente dell’uno, et dell’altro sesso, di diverse età, stati, et ordini, et disse. Habbi: habbi pietà di così misera turba, ch’aspetta il tuo giovevole aiuto; Percioche, se ti degnarai di celebrar la Messa per noi, restaremo quasi tutti liberi da queste crudelissime pene. Il sant’huomo adunque svegliatosi, et mossosi à gran pietà di quell’anime, comincio con abondantissime lagrime à pregar caldamente per loro il Salvatore di tutti, et la mattina seguente, inginocchiatosi riverentemente à i piedi del Priore, gli racconto la Visione havuta, non come era stata appunto, ma con tacerne qualche parte, per fuggir la vanagloria, supplicandolo, che quella settimana gli lasciasse dir la Messa per i morti, il qual acconsentendo alle sue devote preghiere, deputo un’altro suo loco; onde egli celebrando per i morti tutta quella settimana, pregava efficacemente con lagrime cordiali la Maestà Divina di giorno, et di notte per la moltitudine, che gl’era stata mostrata. Et ecco, che passata la settimana gl’apparve il detto Frate Pellegrino, et lo ringratio della già impetrata gratia, affermando, che per la misericordia di Dio, et per i sacrificij, et devote orationi sue era stato liberato da quelle pene con quelle tante anime, ch’esso haveva già vedute, et era volato felicemente alla gloria celeste, dicendo. Ci hai liberati da quelli, che ci affligevano, et hai confusi quelli, che ci odiavano. O huomo ineffabile, il merito della cui santa vita comincio à conoscersi, essendo ancor giovane sin nel Purgatorio. Ne solamente spoglio co i suoi meriti il Purgatorio, ma pare, ch’in un certo modo riportasse anco dall’Inferno qualche preda, come diremo. Essendo esso conventuale in Recanati, hebbe una trista, et lagrimosa nuova, cioè, ch’un suo fratello carnale era stato improvisamente ammazzato da i suoi nimici. Il sant’huomo, à cui non era punto nascosta la sua licentiosa vita, sospirando, ne potendo contener le lagrime per compassione, disse. Oimè, ch’io dubito, che quel meschino sia dannato. Facendo adunque più grave astinenza, pregava Dio per lui giorno, et notte, celebrando la Messa de i morti per quindici giorni continui per l’anima sua, et faceva oratione al Signor nostro GIESU CHRISTO, perche si degnasse di rivelargli, se quell’anima era salva, o dannata. Passati i quindici giorni, stando egli in chiesa ad accender la lampada à riverenza del corpo di CHRISTO, ch’era sù l’altare del convento, udì una voce, che gridava, et diceva. Fratello mio. Fratello mio. Io ringratio il mio Dio, e’l Signor GIESU CHRISTO, il qual riguardando con gl’occhi della sua pietà alle preghiere, et lagrimose orationi tue, benche io fossi dannato, m’ha liberato: Ma dubitando l’huomo di Dio dell’astutie del Demonio, il qual tal’hora si trasforma in un’Angelo di luce, per intricar tanto più facilemente l’anime ne i lacci de i peccati; disse senza alcun timore. Perche mi tenti tu inimico maligno? Mio fratello è morto, et Dio solo puo dannare, et salvare: Ma egli rispose. Non dubitar fratello mio, perche io son veramente Gentile, tuo fratello, liberato da GIESU CHRISTO dall’Inferno per le tue orationi: Persevera adunque arditamente, et valorosamente nella vita, c’hai cominciata, perche son così grate l’opere tue à Dio, ch’otterrai da lui tutto quello, che gli dimandarai nella vita presente, mentre ci viverai, et nell’altra; dov’io sono hora; sarai glorioso. Ma; se à qualcheduno paresse difficile à creder, che colui fosse liberato dall’Inferno per le orationi di questo sant’huomo; si puo intender, ch’egli fosse dannato à pena temporale, non eterna, et che quello, ch’è tolto per Inferno, sia il Purgatorio, si come il Limbo de i Padri fu chiamato Inferno, quando si dice, che Christo discese all’Inferno. Habbiamo anco l’esempio di quel Provinciale, che con l’oratione libero un frate dalle pene del Purgatorio in questo modo. Un frate apparve dopo la morte al suo Provinciale; che nelle sue orationi ne faceva assidua mentione; et lo prego, che non cessasse d’orar per lui, perche era condannato per quindici anni al fuoco del Purgatorio. Il Provinciale, come fedel fratello, fece commemoration devotissimamente di lui il dì seguente nella Messa, et continuo à pregar per l’anima sua ogni giorno, come haveva cominciato: et ecco, ch’esso gl’apparve una volta tutto allegro, et disse, ch’era stato liberato dal Purgatorio per le sue preghiere. Dal quale esempio deveno imparare i frati à communicare à i proprij Prelati le cose appartenenti alla lor salute, imitando questo frate, il quale se fosse stato disobediente, et superbo col suo Prelato, non sarebbe stato inspirato da Dio à ricorrere al Provinciale. Imparino anco i Prelati ad esser vigilanti nelle loro orationi per i vivi, et per i morti commessi alla lor cura, essendo di molto valore appresso à Dio le orationi, che fa un Prelato caritativo per i suoi sudditi, come si legge nel Decreto I.q.I. al citato cap. Ipsi. Perche, quanto son maggiori, et i più degni i Prelati, tanto più facilmente sono esauditi nelle necessità, per le quali fanno oratione. Si legge parimente, che Maesto Henrico di Urimaria celebrava la Messa ogni dì, se non era impedito da qualche accidente d’inevitabil necessità, et sempre si preparava à dirla con gran devotione, et particolarmente co i detti tre modi, percioche diceva l’Hore canoniche con grandissima devotione; come ho detto nel precedente Capitolo; faceva à Dio molte orationi particolari per consuetudine; et prima che celebrasse, si confessava ogni volta con molta sincerità, ancor che sapesse di non esser aggravato d’alcuno special peccato, sapendo il prudente, et devoto huomo, che la confessione non sol lavava le immonditie delle colpe, ma accresce anco, et rinforza le virtù, et che spesso chi non ha la gratia, per virtù di quel santissimo Sacramento, la ottiene: et chi è colui, che non habbia ogni dì qualche peccato da confessare, almeno dell’Officio non ben detto; della perdita del tempo; de i varij, et vani pensieri; delle parole otiose; dei falsi giudicij, et sospetti; de i moti dell’iracondia, et de gli otiosi ragionamenti; dell’intemperanza del mangiare, et del bevere, et d’altri simili mancamenti, senza i quali à pena passano questa vita anco i perfetti? Si eleggeva sempre il detto Padre per confessore qualche persona matura con licenza del suo Prior Provinciale. Ma fanno il contrario alcuni frati incauti, che si confessano à i giovani, et compagni proprij, et si assolvono l’un l’altro indifferentemente, senza auttorità, ne licenza alcuna da ogni sorte di peccati, non considerando, ch’una si fatta assolutione non è d’alcun valore, così, quanto alle leggi communi, come anco, quanto alle Constitutioni dell’Ordine, che ne trattano nel Capitolo Ottavo, et nondimeno quelli, ch’assolvono altrui da qualcheduno de i tre casi specialmente riservati, secondo le dette Constitutioni, son subito scommunicati. Il detto Padre adunque, mentre diceva la Messa, stava così attento al ministerio, et alla contemplatione di quel misterioso sacrificio, che quasi tutto rapito da devotione, ardeva si, che gli si vedeva spesso la faccia sparsa di serafico rossore, et discendergli dalle guancie un’abondante pioggia di lagrime per la dolcezza di quel sacro fervore, di maniera che quelli, ch’udivano la sua Messa, et vedevano i suoi devoti gesti, et le calde lagrime, che gl’uscivano da gl’occhi, restavano compunti, come io intesi da un certo giovanetto, il qual; benche seguitasse le lascivie mondane, ascoltando una volta la Messa di questo venerabil Padre, sentì tanta contritione, che s’accese di gran desiderio di farsi Religioso, et finita la Messa, gli scoperse questa sua intentione, nella quale egli confortatolo con allegrezza, perc’havesse effetto, l’indrizzo ad un monasterio della Diocese Cabilonense, detto Greneronde, dov’è un pezzetto d’un’osso di santa Catarina vergine, che soleva già stillar miracolosamente diversi liquori, hor di latte, hor d’oglio, et hora altri humori, ma già qualche tempo prima haveva cessato di dispensar così meravigiosi doni, sin che andandovi un giorno il predetto Maestro Henrico, et celebrando la Messa sù l’altare; dove si custodivano le reliquie della predetta Santa, ch’egli haveva in somma veneratione; mentre diceva, et considerava con quella maggior devotione, che poteva, le secrete parole del Canone, quel sacro officello comincio à stillar visibilmente, et mandar fuori in abondanza i detti meravigliosi liquori. Col qual miracolo si degno quella santa Vergine di mostrar chiaramente, che quello era un suo devoto, et molto grato Capellano. Il beato Agostino da Terano parimente, se non era impedito da qualche infermità, diceva ogni giorno la Messa, senza mai tralasciarla, con una viva devotione, ne poi che l’haveva detta, tornava à i communi ragionamenti, ma chiudendosi in cella, stava in oratione sino alla Terza. Era un’altro reverendo lettore, et già Provincial nell’Ordine, chiamato Frate Ludolfo di *Camoslaria, persona per certo molto prudente, et di vita esemplare, essendo rigoroso nel governo, et devoto nell’oratione, assiduo ne gli studij, et nelle sacre lettioni, et sollecito nel proveder la Religione di libri, come vide apertamente, mentre egli visse, et alla sua morte. Costui si come era devoto nell’oratione, così; quando non era impedito; soleva dir anco la Messa devotamente, pero dicendola una volta con grandissimo fervore la notte del Natal del Signore, et mettendo una particella dell’Hostia nel calice, quando si dice Pax Domini, secondo il solito; vide uscir dall’orlo superiore del calice di dentro alcune gocce chiare, et calando mescolarsi col sangue sacramentale: di che rimase molto stupefatto, et considerando cio, che fosse quello, si ricordo, ch’è scritto. Qui biberit aquam, quam ego dabo ei, fiet in eo fons aquæ salientis in vitam æternam. cioè. In colui, che beverà dell’acqua, ch’io gli daro; nascerà una fonte d’acqua, che salisce alla vita eterna, et così attribuendo ogni cosa alla gratia divina, continuo la Messa, et prese humilmente il Sacramento con somma riverenza, et con effusion di lagrime, rendendone gratie à Dio, et poi rivelo secretamente questo accidente à me suo strettissimo amico. Un altro frate, che nella Messa, et nelle orationi particolari, haveva pregato Dio lungamente, et caldamente per l’anima di frate Oldrico, di Bransuich, c’haveva tenuto vita religiosissima, et era stato molt’anni Prior dell’Ordine; hebbe dormendo questa Visione di lui. Gli pareva d’esser in chiesa à predicar al popolo, et d’haver inanzi frate Oldorico morto in un cataletto, et che, mentre raccomandava l’anima sua dopo il sermone à quella gente, non sapendo qual riverenza, et honor poter mostrare al corpo di colui c’haveva amato in vita, vedendosi appresso molti, et diversi vestimenti sacerdotali pretiosi, gli gettava tutti ad uno, ad uno sopra il suo corpo, pensando con questo di fargli un grand’honore; et che mentre s’affaticava assai in questo officio, veniva di sopra per l’aria una picciola carta membrana scritta à lettere d’oro, la qual pareva, che si trattenesse in aria intorno à quel corpo, et quello, che v’era scritto, diceva così. Levati anima nel tuo riposo. Et egli lette queste parole si sveglio tutto allegro con fiducia, che l’anima dell’amico fosse stata assonta alla misetricordia di Dio nel riposo de i Beati. Quanto giovi à dir la Messa ogni giorno, et communicarsi si puo veder dall’esempio, et dalla dottrina di sant’Apollonio, il qual; (come si trova nelle Vite de i Padri;) esortava i suoi monaci à pigliare ogni giorno, potento, il santissimo corpo di Christo, accioche allontanadosi da lui, non venissero à star lontani da Dio: et ricevendolo spesso, ricevessero anco il Salvatore, il qual dice. Qui manducat meam carnem, et bibit meum sanguinem, in me manet, et ego in illo. cioè. Chi mangia la mia carne, et beve il mio sangue, habita in me, et io habito in lui; essendo di molta utilità à i monaci far memoria della passion del Signore, servendo lor per un’esempio di patienza. Si da oltra di cio la communione, perche ogn’uno si sforzi di trovarsi sempre così apparecchiato, che possa degnamente partecipar de i divini misterij, aggiungendo anco, ch’à i credenti si da con questo mezo la remission de i peccati. Perilche dice Giov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Teona. Non debbiam restar di communicarsi, perche ci conoschiam peccatori, ma più tosto procurar di farlo, quanto più si puo, per porger medicina all’anima, ma pero con tal humiltà di mente, che giudicandoci indegni di ricever così gran gratia, lo facciamo più tosto, per trovar rimedio alle piaghe nostre: Altramente non doveremmo haver anco ardimento di ricever la communione una volta l’anno, come fanno alcuni, che misurano talmente la dignità de i Sacramenti celesti, che giudicano essi non dover esser ricevuti, se non da gl’huomini santi, et mondi, et non che più tosto essi facciano santi, et mondi quelli, che gli ricevono. Et questi incorrono in maggior nota d’arroganza; (mentre si persuadon più di schifarla;) credendo, quando gli ricevono, d’esser degni di ricevergli. Essendo molto più conveniente assicurarsi di pigliar quei sacri misterij, almeno ogni Domenica con humiltà di cuore, per rimedio delle nostre infermità, che insuperbiti da vana persuasione, stimarsi degni di parteciparne al fin dell’anno. Pero sant’Agostino nel libro, De verbis Domini dice così. Piglia ogni giorno quello, che ogni giorno ti puo giovare. Vivi di modo, che tu meriti di pigliarlo ogni giorno: Et chi non merita di riceverlo ogni giorno, non merita di riceverlo anco al fin dell’anno. Un frate de i nostri di vita religiosa, et devota vide con gl’occhi proprij, non dormendo, ma ben vegghiando i demonij vestiti con le cappe negre, che facevano festa d’alcuni frati morti, et gli schernivano cantando, et dicendo. Questi frati eran pigri, ne si curavan di dir la Messa, sin che’l lor Maestrello non entrava in coro. Imparino da questo esempio i Sacerdoti à dir la Messa volontieri, non per timor de i Prelati, ma per amor di Dio, accioche i demonij non ne habbiano allegrezza; et si guardino essi, et ogn’uno di non investigar molto profondamente il misterio dell’Eucarestia, ma contemplino col solo occhio della Fede, ch’esso è un invisibile, et incomprensibil misterio, nascosto sotto le specie visibili. Ho conosciuto un frate, il quale essendo un dì alla Messa, quando vide l’elevatione della sacra Hostia, fu soprapreso da una certa dubitation di mente intorno à quel Sacramento, per alcune ragioni naturali, c’haveva udito à trattar in una disputa: Per il che dormendo nel suo letto la notte seguente hebbe questa Visione. Gli pareva d’esser in un’ameno, et vago giardino, dov’era un’huomo molto venerabile, c’haveva seco una honorata compagnia d’alcuni huomini rari, et che gli fosse fatto sapere in spirito, che quello era Christo, et gli altri erano gl’Apostoli, onde guardandogli da lontano, perche si riputava indegno di farsi lor più vicino, et desiderando di veder ben d’appresso l’amabil faccia del Signore, con speranza d’impetrarne alcuna non picciola gratia; mentre lo mirava più avidamente; esso gli faceva segno, quasi con cenni di capo, o di mani, ch’andasse inanzi, et gli pareva, che s’accostasse, et che stando con timore dietro à gl’Apostoli, il Signor GIESU Christo si piegasse à terra, et preso* un poco di gramigna, quanto saria un grano di formento, chiamandolo gli commandasse, ch’aprisse la bocca, et che cangiandosi quel grano in pane simile all’Hostia sacramentale, subito che l’haveva preso in mano, glie lo desse à mangiare, et ch’esso, poi che l’haveva ricevuto, incontinente se lo sentisse in bocca à diventar carne, di maniera che gli pareva d’haver la bocca tutta piena di carne: Da che conobbe essergli stato in questo modo rivelato; (benche ne fosse indegno;) che’l corpo di Christo è veramente in quel benedetto Sacramento, di che egli haveva scioccamente dubitato, et ne rimase pieno di grandissima meraviglia, onde tutto infiammato, piangendo grido, quanto più puote. Dio mio: Dio mio. Et replico questa voce molte volte, benche tuttavia dormisse, talmente che anco da poi che si fu svegliato; come, se non havesse saputo dir altro; diceva continuamente Dio mio: Dio mio.

Cap.XIX.

Dell’instanza dell’oratione, et ch’essa suole essere esaudita.

Bisogna anco orare instantemente, onde il nostro Maestro non dice semplicemente. Orate, ma. Orate instantemente: Ne si deve restar d’orare, se ben il tumulto de gli strepitosi pensieri disvia la mente dall’oratione, et quantunque Iddio non esaudisca subito. Anzi bisogna instar perseverantemente orando, et picchiando, sin che le importune tentationi de i desiderij carnali; che fanno strepito intorno à i nostri sensi; restino superate da una costantissima sollecitudine, et attenderci diligentemente, sin che se ne habbia piena vittoria: poi che il Regno di Dio non è promesso à gl’otiosi, ne à i negligenti, ne à i pigri, dicendo la scrittura. Regnum cœlorum vim patitur, et violenti rapiunt illud. cioè. Il Regno de i Cieli patisce violenza, et lo rapiscono quelli, che gli fanno forza. Onde Ugone nell’esposition della Regola dice. E grata à Dio l’instanza, et l’importunità nell’oratione: Se i premij son grandi, non deveno esser piccioli i desiderij, et la grandezza de i desiderij deve esser conforme alla grandezza de i premij. Per la qual cosa, se Dio non esaudisce altrui alle prime lagrime, non si deve pero restar di picchiare, et dimandare, anzi bisogna perseverar con tanta instanza, et pregare spesso il Salvatore, et con gridi tanto ostinati, che’l desiderio di chi ora ne rimanga satisfatto. Così fece la donna Cananea, la qual perseverando costantemente in pregar Christo, ottenne cio, che volse. Così fece Maria Maddalena, che trovo Christo, come desiderava, perche non abandono il monumento. Anna parimente dopo una lunga afflittione sentita con Helcana suo marito, per non poter haver prole, non cessando di dimandar questa gratia à Dio; fu finalmente esaudita. Gioachino, et Anna ancora; da i quali nacque la beata VERGINE MARIA; non poterono impetrar con sacrificij, ne con orationi alcuna posterità per lungo tempo, sin che piacque à Dio di consolargli al fine dopo l’obbrobrio della sterilità. Et volse il Signore prolungare à Zacaria, et à Elisabetta, genitori di san Giovanni Battista, la medesima gratia, c’havevano dimandato con humili, et lunghe orationi, accio che aprendosi poi il ventre d’una donna sterile, et vecchia, fosse maggiore il miracolo. Finalmente la madre di sant’Agostino, quantunque havesse pregato Dio vivamente, et lungamente, et con molte lagrime, per la conversion del figliuolo, come si legge; non fu pero, se non dopo molto tempo esaudita, senza dubbio, perche la conversione paresse più meravigliosa, essendole ceduto al fine più di quello, c’haveva dimandato, degnandosi il Signore di donarle il figliuolo, non sol, come fedel Christiano, ma ancora, come sprezzator del mondo, et di farle gratia, che fosse anco il lume della Chiesa: Ma lasciando gl’esempij antichi, veniamo à i moderni, et raccontiamo la meravigliosa natività del beato Nicola da Tolentino, la cui madre, che si dimandava Amata, essendo già vecchia; (com’era anco Compagnone suo marito;) et non havendo figliuoli, frequentava la chiesa à simiglianza di quell’Anna, di cui fa mentione nel Testamento vecchio, et pregava affettuosamente il Signore, che le donasse qualche prole. Haveva costei una singolar devotione à san Nicola di Bari, onde un giorno orando, si voto à Dio con molte lagrime, et disse. Signor mio GIESU Christo, che puoi fare ogni cosa, mira me serva tua con gl’occhi della tua pietà, et liberami dal vituperio della mia sterilità, concedendomi, ch’io concepisca, et partorisca un figliuolo in tuo servitio à lode, et gloria del nome tuo. Ma perche le mie orationi poco vagliono inanzi alla divina Maestà tua, io prego humilmente il pietoso Vescovo tuo, san Nicola, che m’impetri gratia da te, Dio onnipotente, ch’io possa esser consolata, promettendo percio insieme col marito mio, et servo tuo d’andare à visitar la sua sepoltura à Bari. Fatto il voto, essa, e’l marito dormendo nel proprio letto, videro in sogno l’Angelo del Signore, che diceva. Levatevi: Levatevi, et andate prestamente à san Nicola di Bari. Ivi intenderete qual doverà essere il figliuolo, che nascerà di voi, et quando sia per nascere. Pertanto svegliati con molta allegrezza di così fatta Visione, et dato subito buon’ordine intorno à i beni, et poderi loro, si misero in viaggio, per andare à Bari, et come furon giunti alla chiesa di san Nicola, satisfecero devotamente, et diligentemente con doni, et orationi à i lor voti, ringratiando Dio, et quel santo d’ogni gratia ricevuta. Dapoi, quasi stanchi per la fatica del camino, si posero à dormire così, come stavano sedendo sul pavimento della chiesa inanzi all’altare di san Nicola, et ecco, che mentre dormivano, quella beatissima anima apparve loro in habito Pontificale, et disse. L’Angelo di Dio; che v’ha dato nova del figliuolo, che deve nascer di voi; m’ha detto; ch’io venissi à trovarvi in questa chiesa per affermarvi, et farvi certi, che vi nascerà un figliuolo, c’haverà il nome mio, et doverà nascer per l’intercessioni mie. Questo sarà un’accettissimo servo di Dio, terrà vita religiosa, et austera, sarà sacerdote, et offerirà alla Maestà sua sacrificio accettabile. Fornirà la vita sua con grandi, et alti miracoli, et risplenderà per segni, et prodigij. Ritornate adunque à casa vostra con certezza, che la vostra dimanda sia stata esaudita. I devotissimi peregrini si destorono, et riputandosi indegni d’una sì fatta Visione, tornorono allegri alla patria. La donna poi s’ingravido, et partorì un figliuolo, il qual nel battesimo fu chiamato Nicola, et allevato in ogni disciplina di buoni costumi. Fu anco un frate molto devoto, che si chiamo Hertinodo Goto, il quale essendo ancor giovane, et secolare, pareva ch’imitasse san Nicola nelle spesse visite delle chiese, et nella pietà verso i poveri, et afflitti: Nella frequentation delle chiese faceva risplender la sua carità verso Dio, et nella compassion de i poveri la carità verso il prossimo, et mentre era al secolo, veniva primo di tutti alla porta della chiesa; quando si suonava il segno di Matutino. Finalmente entro nella Religione, et fatto sacerdote, divento un devoto servo di Dio, et poi che l’hebbe servito lungamente nel secolo, et nell’Ordine, considerando, che la scrittura dice. Quodcunque petieritis patrem in nomine meo, dabit vobis. cioè. Il padre mio vi concederà tutto quello, che gli dimandarete in nome mio, confidatosi nella misericordia di chi l’ha promesso, prego il Signore, che gli mostrasse il suo figliuolo, CHRISTO Signor nostro, come era stato già pendente in Croce, et ottenendolo, si sentì trafigere il cuore per quella Visione da tal saetta d’amore, che per la compassion, che n’hebbe, gli pareva, ch’un coltello di dolore gl’havesse trapassato l’anima. Non molto dapoi acceso d’ardore de i celesti desiderij, dimando à Dio, che gli mostrasse quella gloria, et allegrezza, nella quale era stata assonta al Cielo la madre dell’unigenito suo figliuolo, et fu esaudito. O huomo d’ineffabil devotione, che merito con le sue preghiere di veder CHRISTO crocifisso, come l’haveva veduto Giovanni Evangelista, et la festosa, et gioconda assontione al Cielo della gloriosa VERGINE MARIA: Et si come hebbe nella prima Visione amaritudine, et dolore, così nella seconda sentì dolcezza, et allegrezza, et l’una, et l’altra fu così eccellente, ch’essendo sano, quando le vide, poi che l’hebbe vedute, rimase infermo, perche un corpo mortale non puote sopportare di veder cose piene di tanta eccellenza. Essendosi adunque ammalato, ne dimando perdono al Priore, et cofesso d’haver commesso un grandissimo peccato, dimandando; quantunque misero, et indegno; che gli si mostrassero cose sì fatte, et di là à pochi giorni passo à miglior vita pieno di buone opere, et chiaro per evidenti miracoli. Fra i quali fu questo memorabile, ch’una grande, et honorata persona, essendo infetta di lepra, poi c’hebbe fatto voto di visitar la sua sepoltura, si risano in un momento. Si vede adunque da i passati esempij, ch’un’huomo devoto; che dimanda à Dio qualche cosa instantemente; ottien finalmente, quanto desidera, pur che gli sia di salute. Ne si considera solamente l’instanza dell’oratione in quella perseveranza, che si fa con interpositione di tempo; come s’è detto ne gl’esempij posti di sopra; ma si ricerca anco, ch’essa sia fatta incessantemente, cioè continuamente, come dice il Salvator nostro in san Luca al Cap. XVIII. O portet semper orare, et nunquam deficere. Bisogna orar sempre, et non cessar mai. Dicendo anco san Paolo à i Tesalonicensi. Orate sine intermissione. Fate oration continuamente. Onde leggiamo, che’l medesimo Salvatore spesso stava tutta la notte in oratione, come si legge in san Matteo al cap. XIV. et in san Luca al quinto. Et si deve saper, che l’oratione è di tre sorti, cioè. La vocale, di cui dice il Salmo. Voce mea ad Dominum clamavi, et exaudivit me. cioè. Io ho gridato al Signor con la voce mia, et egli m’ha esaudito. La mentale, della qual parla un’altro Salmo. Desiderium pauperum exaudivit Dominus. Iddio ha esaudito il desiderio de i poveri: Et l’attuale, over d’opera, la qual si fa operando bene, pero dice la Glosa sopra le citate parole di san Luca. Non lascia d’orar colui, che non lascia di far bene. Si legge nelle Collationi de i Padri, ch’essendo dimandato l’Abbate Isaac, come si potesse adempir quello, che commanda l’Apostolo, quando dice; Fate oratione continuamente; rispose: Quando la mente nostra sarà alleggerita del peso d’ogni passione, et congiunta con ardentissimo desiderio à quel sommo Bene, all’hora s’adempirà quello, che dice l’Apostolo; Fate oratione continuamente. Percioche essendo all’hora la mente nostra inalzata dalle immonditie terrene, quasi alla purità angelica, tutto quello, ch’essa riceverà, trattarà, et farà, si potrà chiamar sincerissima, et purissima oratione. Si dice nelle Vite de i Padri, che l’Abbate Arsenio voltava il sabbato di sera le spalle al Sole, et alzava le mani al Cielo orando, sin ch’esso tornava la Domenica ad illuminargli la faccia: Et nelle Collatione de i Padri, che stando una notte sant’Antonio tanto lungamente in oratione, che cominciava à nascer il Sole, grido in fervor di spirito; et disse. O Sole, perche m’impedisci? Tu non nasci hora per altro, che per separarmi dallo splendore di questo vero lume. Si trova oltra di cio nelle dette Vite, ch’entrando un discepolo dell’Abbate Besarione nella sua cella; lo trovo in oratione con le mani alzate al Cielo: Et stette quattordici giorni continui in quel modo. Vi si legge ancora, ch’un demonio, mandato da Giuliano Apostata, per una certa risposta in Oriente, come fu giunto in un luoco, dove orava Publio monaco, non puote passar più oltra, anzi continuando esso l’oratione, fu sforzato à starvi immobile per diece giorni, et torno al fine senza haver fornito il negotio, scusandosi, che le orationi del monaco non l’havevano lasciato passare, et Giuliano lo minaccio, che se ne sarebbe vendicato, ma fu ammazzato esso di là à poco tempo: Si trova anco, che’l Beato Giovanni Eremita stette tre anni sopra un greppo di montagna in continue orationi senza prender altro cibo, che la sacra communione ogni Domenica. Aggiungiamo à questi l’esempio di san Nicola da Tolentino, il quale era tanto assiduo nell’oratione, ch’orava dopo la Compieta sin’al cantar del gallo, et levandosi poco inanzi al Matutino, stava in oratione sino alla mattina, et dopo la Messa sino alla Terza, quando non era occupato nelle confessionni, et dopo la Nona sin’al Vespro, s’era libero dalle obedienze, oltra ch’era sempre il primo ogni giorno all’Hore ordinarie, et soleva orare, non solamente nell’Oratorio commune, ma anco inanzi all’altare, dove è hora sepolto il suo corpo, et in cella, dove teneva doi pietre, per inginocchiarsi sù l’una, et appoggiarsi sù l’altra, quand’era molto stanco d’orare, accioche le braccia, ch’erano afflitte per esser state lungamente alzate, restassero anco mortificate dalla freddezza, et durezza della pietra. Il medesimo leggiamo di Maestro Henrico di Urimaria, il qual frequentava talmente l’oratione, che o fosse nell’Oratorio, o nella cella, o nel chiostro, o nella strada, orava sempre oltra le hore delle necessità naturali, quando non studiava, o non era occupato ne i consigli, et negotij della Religione, percioche quella benedetta bocca non lasciava mai i colloquij divini, ne le orationi, come quello, che quando orava, parlava à Dio, quando studiava, Dio parlava à lui, quando consigliava, o insegnava, o trattava qualche negotio, parlava di Dio, et per amor di Dio, di maniera che gli si saria potuto accommodar quello, che dice Paolino à sant’Agostino in una Epistola. Io direi, che la tua bocca fosse un canal d’acqua viva. Nelle solennità de gl’Officij Divini non sentiva mai rincrescimento alcuno, quantunque si cantassero adagio, et con lunghezza di tempo, et si sforzava, quanto poteva, d’esservi presente. Era ogni mattina il primo in coro all’hora di Prima, mentre era sano, et ci stava sin’al fin della Messa conventuale, dapoi si preparava devotissimamente per dir la Messa con gran riverenza, et contritione, confessandosi diligentemente, et con molta effusione di lagrime, et nella Messa diceva devotissimame orationi per i vivi, et per i morti, pronontiando le parole adagio, et intieramente, non sol nella Messa, ma anco, quando diceva l’Hore canoniche, o di giorno, o di notte, di maniera che pareva, che le cantasse più tosto, che le recitasse, o leggesse. Et in somma era quel buon padre pieno di tanto fervore, ch’alzando, quand’orava, la faccia, gl’occhi, et le mani al Cielo, stava con tutta la persona, et con tutto il pensiero intento, et raccolto nella dolcezza della sua devotione, sospirando, et piangendo. Diceva ogni giorno l’Officio de i morti; talvolta due, et tre volte, in un giorno, oltra le private orationi, perche così in convento, come fuori, quand’haveva tempo; sempre si metteva à dir caminando l’officio de i morti, tanto che stancava i suoi compagni, benche egli non si stancasse mai: Onde alcuna volta, per alleggerirgli, quando vedeva qualche frate disoccupato; l’invitava à dir seco le vigilie de i morti, et quando andava in viaggio, se ben era in carro, non restava d’orare, pero lamentandosi una volta, che gli dolevano i denti, come quello, che gl’haveva molto debili, uno, che lo serviva, sentendolo, gli disse, che non era meraviglia, se i denti gli dolevano, anzi era da meravigliarsi, che ne havesse pur uno, poi che la sua bocca non si serrava mai. Si deve tuttavia sapere, che se ben l’instanza dell’oratione giova molto, accioche essa sia essaudita, come ho detto di sopra, nondimeno le dimande de i sant’huomini non son sempre esaudite, anzi molte volte i cattivi, più che i buoni, ottengono da Dio quello, che dimandano, come mostra sant’Agostino con alcuni esempij nella sesta Homilia sopra l’Epistola Canonica di san Giovanni: Et è cosa chiara, che l’Apostolo san Paolo prego Dio instantemente, che lo liberasse da gli stimoli carnali, ne puote impetrarlo: Et all’incontro quando il Demonio dimando, che gli fosse data licenza di molestar Giob, fu esaudito, et anco, quando dimando à CHRISTO, che fosse lasciato entrar ne i porci. Ecco, ch’i demonij furono esauditi, et l’Apostolo no. Ma, come egli soggiunge poi, l’Apostolo fu più esaudito, che’l Demonio, perche esso fu esaudito, quanto alla salute, se ben non quanto alla volontà: E’l Diavolo, ben, quanto alla volontà, ma ad eterna dannatione. Non deve adunque attristarsi l’huomo giusto, se in quello che dimanda, non è esaudito, come desidera, perche il più delle volte saria col suo danno. Intorno à che sant’Agostino da l’esempio del medico, il qual conoscendo, che l’acqua fredda deve nuocere all’infermo, gliela nega, bench’esso la dimandi. Pero, (dice,) impara à pregar Dio, et lascia la cura al medico. Faccia egli quello, che sa, Tu confessa l’infermità: Egli ti dia la medicina, Mantieni tu al carità: Egli vuol tagliAre, et abbrusciare: Tu, se essendo abbrusciato, et tagliato, gridi, et non sei esaudito, sa esso, quanto oltra cammini la putretudine: Tu vorresti, ch’esso ritirasse la mano, et egli va cercando il sino della piaga, et sa sin dove arrivi. Non ti esaudisce, secondo la tua volontà, ma quanto comporta la tua salute.

Cap.XX.

Che vale assai l’intercession di qualche Santo, perche l’oration nostra sia esaudita.

Giova veramente all’oratione; perch’essa sia più facilmente esaudita; l’intercession di qualche Santo, come dice Giob al cap. quinto. Ad aliquem Sanctorum convertere. Raccomandati à qualche Santo: Questo fece la madre del beato Nicola da Tolentino, come ho detto nel Cap. precedente. Nel qual proposito raccontaro alcuni successi della mia infelicità. Essendo io una volta in viaggio con un mio compagno, et passando sopra un carro un fiume velocissimo, chiamato * Boda, il quale all’hora era uscito fuor delle rive del suo alveo più del solito, come fummo al mezo, l’impeto del fiume riverso il carro, et lo ruppe in pezzi, portando oltra i cavalli la parte dinanzi, et restando noi su quella di dietro agitati dall’onde, le quali percuotevano da ogni banda quel pezzo di carro, che ci sostentava, con tanta forza, che minacciavano di rivoltarlo sottosopra, onde ne saremmo restati sommersi, benche ci sforzassimo di tenervisi sopra; ma havendo contrastato alquanto con affanno, et con paura, il mio compagno, ch’era un valente lettore, et da me in CHRISTO, singolarmente amato, mi fu levato da canto dalla violenza del fiume, et rimase con mio gran dolore affogato; ond’io, vedendomi posto nel medesimo pericolo, ne restandomi rifugio d’alcun’aiuto humano, ricorsi con tutto il cuore alla santa madre de i Santi, et di misericordia, facedo quel voto, che Dio m’inspiro, et così preso animo, stando sospeso nell’acqua con tutto il corpo sino alle braccia; mi tenni con le mani à quel pezzo di carro et in quel modo mi lasciai portar dal corso dell’onde per spatio di più di cento canne, sin che piacque à quella beata VERGINE di mandare un peccatore ad aiutarmi con una barchetta, il qual mi trasse alla riva tutto smarrito, bagnato, et tremante di freddo, et molto afflitto per la perdita del compagno: Nondimeno portato nel letto, et rihavute tosto le forze, ne resi gratie à Dio, et alla sua santissima madre, percioche, se la divina possanza non m’havese aiutato, non saria mai stato possibile, ch’io mi fossi pututo sostentare à quel legno, in quel modo, così lungamente, in tanta distanza di camino, et in un così grande impeto d’acque. Del qual miracolo fa non picciola fede l’improvisa venuta di quel pecatore, il qual parve veramente, che vi fosse mandato da Dio. Un’altra fiata parimente, passando io col mio Provinciale, et con doi nostri compagni un’assai gran fiume, che si chiama Molda, et all’hora era più gonfio del solito, et essendo giunti al mezo, dov’era maggior la furia dell’acqua, la barchetta nostra fu condotta dalla violenza del fiume, malgrado di chi la governava, sotto un ponte, dov’era un gargliardissimo corso d’acque, et passatolo, girandosi intorno urto in uno scoglio, et si riverso, empiendosi d’acqua, anzi più tosto sommergendovisi tutta, di maniera che non si vedeva più. Il che vedendo il Provinciale, sperando di salvarsi à nuoto, si lancio fuori della barca, et comincio à nuotare, ma come hebbe i panni ben pieni d’acqua, perdendo le forze, come huomo accorto, si drizzo in piedi, et fermandosi sul fondo stette nell’acqua sin’al collo contra l’impeto del fiume, et in quel modo si mantenne tanto, ch’un pescator venne con una barchetta à levarlo, et trar fuori di quell’affanno. Uno de i nostri compagni, che vedendo il pericolo, era saltato di barca, fu portato da i vestimenti sopra l’acqua lungi dalla barca poco men, che un tiro di balestra, ma poi che fu ben bagnato, cominciando à gire al fondo per la gravezza de i panni, fu sbattuto à caso, o forse per providenza di Dio à traverso ad uno sterpo, dove si tenne tanto, che fu tolto nella barchetta dal medesimo pescatore. Ma io; che non sapendo nuotare più, ch’una pietra; non poteva haver questa speranza, mi trovava molto confuso, perche confidandomi nell’acqua, ne sarei restato subito sorbito, et stando nella barca, sarei andato seco al fondo. Io meschino adunque, quasi disperato, non sapendo, che fare, et vedendomi abandonato d’ogni aiuto humano, cominciai à pensar per inspiration divina, che la salute nostra è venuta dal legno, et così elessi di star fermo nella bacchetta, andasse ove volesse, et chiamando in mio soccorso la madre di Dio, replicava l’Ave Maria, e’l Credo, et ecco, (cosa meravigliosa à dire,) che la barchetta, che già m’era sott’acqua sino alla cintura, si fermo, et stette immobile contra doi moti suoi naturali. Contra l’uno, perche essendo grave, et già piena d’acqua, non discendeva à basso, quantunque il fiume sotto di se sin’al fondo fosse alto, quanto è lunga la statura d’un huomo, come seppi poi da i pescatori: Contra l’altro, perche essendo portato il legno naturalmente dal moto dell’acqua; la barca, se bene il fiume le correva con furia di sotto, di sopra, et da ogni parte, stette ferma in quel luoco, ne seguito il flusso del fiume. Stando io adunque circondato tutto, com’ho detto, dall’acqua sin’alla cintura, et replicando l’Ave Maria, quasi per mez’hora, finalmente il pescatore; c’haveva salvato il Provinciale, et l’uno de i nostri compagni; mi s’accosto con la sua barchetta, et mi condusse salvo alla riva insieme con l’altro, ch’era rimaso meco nella barca nostra. Sia benedetto Iddio in tutte le cose, et la sua santissima madre, col mezo della quale apparve à i credenti la salute del mondo. Una terza, non meno stupenda meraviglia, anzi un miracolo, (se è lecito chiamarlo così,) m’occorse, mentr’io era Provinciale, percioche andando sopra un carro con un compagno da un convento all’altro, come si costuma, capitai per sorte nelle mani de i malandrini, i quali, oltra che mi tolsero i cavalli, et alcune altre bagalie; presero anco il mio servitore, et lo menorono seco, per il che condottomi in una villa vicina, trovai altri cavalli, et un servitore, perche ci menassero col nostro carro ad una città discosta solamente sei miglia Tedesche, ma essendo la strada cattiva, e i cavalli stanchi, et cominciando à farsi notte; fummo sforzati, per allegerire il carro, à caminare à piedi per i sentieri, andando esso per la strada larga, per il che impediti dall’acque, et dalle tenebre, che non ci lasciavano ritrovare insieme; ce ne allontanammo assai, non pero senza sospetto, che quel contadino fosse uscito per qualche suo disegno della strada dritta, havendo noi lasciato nel carro molte cose nostre necessarie, che i malandrini non havevano potuto portar seco. Pero mandato il mio compagno ad intender quello, ch’era del carro, mi fermai da aspettarlo in un luoco determinato, ma egli havendo smarrita la strada, non puote ritrovarmi. Finalmente, poi che io l’hebbi aspettato per buona pezza, mi posi à caminar inanzi col lume dell’intelletto agente, vietandomi le tenebre l’uso della vita corporale, et quanto potei, m’indrizzai verso quella città, alla quale eravamo inviati, et così giunto ad un ponte, dove mi bisognava passare; sentìj abbaiar certi cani grandi, et feroci da un molino vicino, ch’in un certo modo havevan preso il passo del ponte dall’una parte, et dall’altra: Io non hebbi ardire d’andar più avanti, dubitando di non esser fatto in pezzi, pero fermai il passo tutto confuso; perche oltra, che mi doleva la perdita del compagno, de i servitori, de i cavalli, et delle robbe nostre; mi premeva anco il pericolo della mia propria persona, vedendomi posto nel poter di quei cani, et essermi impedita la fuga dall’oscurità della notte, et che in quel luoco conversavano solamente ladri, et lupi, et provava me in quello, che dice il Savio. Guai à chi è solo, perche cadendo non haverà chi lo sollevi, et così pieno d’affanno, non sapendo, ove voltarmi, mi gettai in terra, et feci oratione, raccommandandomi con semplicità di cuore, et votandomi alla beata VERGINE MARIA, madre di Dio, con ricordarle solamente il dolore, c’hebbe per tre giorni della perdita del figliuolo, et all’incontro l’allegrezza, che sentì, quando lo trovo, pregandola, che si degnasse di consolare in quel modo me sconsolato ancora con la ricuperatione della mia perduta compagnia, sì che potessimo ritrovarsi salvi à laude del suo figliuolo: Et da quel punto assicuratomi mi levai, et andai prestamente verso il ponte, ch’era occupato da i cani da ogni parte, et quivi armatomi del segno dlla Croce, dicendo quelle parole del Salmo: Libera, Signore, l’anima mia dall’hasta, et l’unica mia dalla man del cane, passai salvo per mezo di loro, ch’eran già fatti muti, et piacevoli, et giunto al Borgo della città, picchiai, et chiamai tanto alla porta, ch’un’huomo da bene, venne à rispondermi, et havendo inteso la mia disgratia, ne hebbe compassione, et perche non puote haver le chiavi della porta, m’aiuto con un certo ingegno à passar la prima muraglia, ricevendomi nella sua povera casetta. Io certamente mi rallegrai di esser giunto in quel picciolo albergo, se ben mi turbava assai la perdita della famiglia, et delle robbe mie, non havedo oltra di cio, mangiato, ne bevuto quel giorno per le fatiche, et affanni patiti: Ma mentre io stava riposandomi, ecco non so chi gridar fuor della porta, et dimandar, se v’erano entrati alcuni Religiosi, à cui ricercando io chi egli fosse, mi rispose, ch’era colui, ch’io haveva preso per il governo del carro, et che l’haveva menato all’altra porta. Questa nuova mi diede un poco di conforto, onde licentiatomi dal mio hospite, ripassai con l’aiuto suo il medesimo muro, et seguitando colui, andai tosto all’altra porta, dove giunse anco il mio compagno per un’altra via fuor d’ogni nostra opinione, per il che rallegratomi ancor più, non sentiva altro di dispiacer, che della prigionia del mio servitore: Ma ecco, che sedendo, et ragionandone appresso al carro; egli sopravenne insperatamente, dove noi eravamo, non sapendo, che ci fossimo. Io havendolo conosciuto alla voce, restai sopra modo meravigliato, et contento, et dimandatolo di quello, che gl’era occorso, intesi che i malandrini l’havevano menato per una lunga, et non usata strada, et che finalmente era fuggito lor dalle mani, di che io rimasi pieno di stupore, et d’allegrezza, et lodai Dio nella sua beatissima madre, che m’haveva fatto ricuperar tutta la mia famiglia perduta, et divisa da me per una così gran dispersione, et in un modo tanto meraviglioso, et stupendo, essendosi noi trovati tutti insieme à meza notte, in un’hora, et ad una porta. VERGINE veramente benedetta in eterno, la qual ricordandosi sempre della predita del suo figliuolo Dio, et huomo, si degno di far parte à noi miseri così meravigliosamente di quell’allegrezza, c’hebbe nel ritrovarlo. Intanto chiamati i guardiani della città, operammo talmente con preghiere, et con denari, che ci fu aperta la porta, et andammo al nostro convento, ch’era già il Matutino, dove preso un poco di cibo, ci mettemmo à letto. La mattina seguente poi, fatto sapere il tutto al Signor della terra, ricuperammo con l’aiuto suo anco i cavalli, et le robbe, che ci erano state tolte à laude della medesima gloriosa VERGINE. Et certamente fra tanti beneficij fattimi da Dio, et dalla sua dolcissima madre, non trovo in me punto di merito, ma solamente riconoscono in essi i miei peccati, per causa de i quali mi sono occorsi i predetti casi pieni di pericoli, accioche risplendesse verso di me infelice l’infinita misericordia di colui, che non vuol la morte del peccatore, et l’immensa pietà di lei, che si chiama consolatrice de i peccatori. Da i quali esempij si vede, quanto vaglia l’intercession de i Santi; non si sdegnando essi di porgere il loro aiuto à i peccatori. Non mi vergognaro à questo proposito di confessare un mio error di negligenza à laude di Dio, et di san Pietro Prencipe de gl’Apostoli, percioche essendo l’anno del Giubileo, ultimamente passato, una pestilenza molto gagliarda per il mondo, i frati da ogni parte concorrevano à Roma, di maniera che se cio si fosse permesso alcuni conventi sarian rimasti senza frati, il che vedendo io, ch’all’hora, per l’officio mio, haveva il governo della nostra Provincia, et considerando, che le leggi riprendono i religiosi vagabondi, ristrinsi, quanto potei, questa licenza, et esortai i frati à far un peregrinaggio spirituale ne i lor conventi in luoco di quello di Roma con certe opere devote, ch’io ordinai à riverenza di Dio, et di san Pietro, promettendo con voto di fornire il medesimo peregrinaggio in persona, accio che i frati anco per questo si rimovessero da quel pensiero, benche il timor della pestilenza, ch’all’hora faceva grandissimo danno, mi moveste à fare il voto. Passato poi l’anno del Giubileo, et cessata per misericordia di Dio la peste, io infelice, benche sgravato del peso dell’officio mio, à guisa del coppier di Faraone; che quando fu rimesso nelle primiera prosperità, si scordo dell’interprete del sogno suo; non pensai d’osservar la promessa. Si trovava all’hora in quel luoco un vecchio, et devoto frate, il quale era stato à Roma per l’indulgenza del Giubileo: A costui haveva io fatto poco prima la mia confession generale, ne pero m’era ricordato di confessarmi della negligenza, et omissione del voto predetto: ma avenne, ch’essendosi egli inginocchiato una notte devotamente inanzi all’altar maggiore, per orare, et havendo fatto nell’oratione; come poi mi disse; particolar mention di me, quasi stanco fu preso da un leggier sonno, di maniera che non dormiva, ne vegghiava intieramente, et stando così vide san Pietro Apostolo, che quasi gli si fermo inanzi simile d’effige alla sua imagine, ch’egli haveva veduta in Roma, et teneva due chiavi nella man destra, et gli disse queste formali parole. Dirai à frate Giordano lettore, che non ha osservato quello, che m’ha promesso: Et cio detto disparve. Il frate svegliatosi bene, sentì qualche spavento di così fatta Visione, et meraviglia insieme, et subito, c’hebbe commodità di parlarmi, mi rivelo fedelmente, quant’haveva veduto. Per il che io, esaminando nella conscienza mia me stesso, mi ricordai del voto fatto à san Pietro di fornire in persona quello spiritual peregrinaggio, c’haveva imposto à gl’altri frati. Onde, quanto prima potei, lo cominciai, et adempij con l’aiuto di Dio. Sia benedetto san Pietro, che si degno d’avvertirmi della mia negligenza. Questo esempio ci ammonisce, che debbiam considerar diligentemente quello, che promettiamo à Dio, et à i suoi Santi, et satisfar, quanto più intieramente possiamo alle promesse. Perche; se ben essi non hanno bisogno del bene, che noi facciamo; hanno tuttavia molto grati i voti nostri per nostra salute. Ne mi par di dover tacer un notabil beneficio, fattomi da Dio per i meriti di san Martino, percioche, passando io una volta in servitio dell’Ordine per la Provincia della Francia, giunto nella Diocese di Turone, m’ammalai di febbre, nondimeno visitato il corpo di san Martino, seguitai il cammino, come potei, fino ad Angio, ma crescendo la febbre mi posi à letto, et poi che m’era necessario fornire il viaggio impostomi dalla Religione, ne mi giovavano i consigli de i medici, cominciai à pensare, ch’io era incorso in quella infermità nel terrirorio di san Martin di Turone, et che di lui si canta. O Martino, medicina, et medico, etc. Pertanto prostrato in oratione, feci voto à quel glorioso Santo, che se mi liberava dall’infermità mia, harei detto alcune Messe in honor suo, et fatto ogni giorno commemoratione di lui tutto’l tempo della vita mia con l’Antifona, et Colletta, et fatto dipinger nel mio convento la sua gratiosa imagine. Fatto il voto, et venuta l’hora del parosismo, io sentendo i segni, che soglion venire inanzi alla febbre, messomi à letto, restai preso da un soave sonno, dal quale svegliatomi poco dapoi, mi trovai tutta la persona alleggerita, et così fatto sano, attesi à fornir il corso del negotio, che m’era stato commesso. Ho udito dire da un valente frate nostro; ch’era all’hora Provinciale nella sua Provincia; che passando egli una volta per la Lombardia, vide alcuni malandrini, che lo perseguitavano, ne sapendo, come salvarsi, si nascose fra le biade, (essendo all’hora il tempo di mietere,) di che coloro avendosi, andorono verso quella parte, dove egli satava nascosto, et chiamando in soccorso suo la madre di Dio, diceva devotamente questi versi. Monstra te esse matrem; Sumat per te preces, Qui pro nobis natus, Tulit esse tuus : perche, come disse, haveva inteso un miracolo, fatto dalla beata VERGINE sopra un fanciullo affogato, il quale essendo portato in un monasterio inanzi alla sua imagine, quando i monaci, cantando l’Hinno, Ave maris stella, furono à quel verso. Monstra te esse matrem; era risuscitato, et levato, onde il detto frate, pensando pure all’efficacia di quelle parole, replico più volte quel verso col core, et con la bocca. I ladri adunque; benche lo cercassero per quelle biade, da ogni parte, et tal volta s’avvicinassero al luoco, dov’egl’era; non poterono mai vederlo, et non trovandolo tornorono à casa vacui, et esso rimase per la protettione della beata VERGINE libero dalle mani loro.

Cap.XXI.

D’una molto utile oratione di sant’Agostino.

Et perche debbiamo imitare il beatissimo Agostino padre nostro, quando con la gratia di Dio possiamo, voglio far brevemente mentione dalle tue orationi, accioche i frati più semplici imparino ad applicarsi con le menti alla devotione, et eccitare i proprij affetti verso Dio nell’oratione. Et se bene il detto santissimo padre ne ha inserito in diversi suoi scritti molte devotissime; come quello, ch’era tutto intento alla specolatione de i secreti celesti; secondo, che si puo vedere nel libro delle Supplicationi, o Meditationi sue, (dove ne scrisse diciotto solennissime, et piene di grandissima devotione, nelle quali; quasi sorbito dalla dolcezza divina, et tutto acceso della contemplatione, et desiderio della celeste Gierusalem; spiega largamente il riverente affetto della sua mente; et come si vede ne i suoi Soliloquij, et nel libro. De contemplatione Domini nostri IESU CHRISTI, et in molt’altre, et specialmente ne i libri delle Confessioni, le cui parole, quasi tutte infiammano altrui all’amor di Dio, come condite col mele, della dolcezza divina, et abondanti di soavissima devotione;) ho voluto nondimeno sceglierne fra le altre una, ch’egli mette nel sin d’un suo libro chiamato Specchio, over Manuale, dove; (come dice Possidonio;) son descritte con brevità tutte le prohibitioni, et tutti i precetti, et documenti, che s’appartengono alla regola della vita secondo l’uno, et l’altro Testamento, dalla quale oratione conoscerà ogn’uno, che la leggerà attentamente, come sia obediente, o disobediente à Dio, et è questa.

Oratione di sant’Agostino molto bella, et utile.

Iddio ineffabile, et di natura incirconscritta, creator di tutte le cose, padre del Signor nostro GIESU CHRISTO, il qual mandasti esso proprio tuo amato figliuolo à prender la vita nostra, perche ci donasse la sua, et perche fosse perfetto Dio, quanto al padre, et perfetto huomo, quanto alla madre, tutto Dio, et tutt’huomo, un’istesso CHRISTO, eterno, et temporale; immortale; et mortale; creatore, et creatura; forte, et debile; nutritore, et nutrito; pastore, et pecorella; morto temporalmente, et vivo teco in eterno, il qual promettendo à quelli, che l’amano, la communicatione della vita, disse. Tutto quello, che dimandarete à mio padre in nome mio, vi sarà dato: Ti prego, Signore, et supplico con ogni affetto nel nome del predetto tuo caro figliuolo, che tu, et esso mi diate gratia, ch’io in ogni cosa vi benedica, vi santifichi, et glorifichi. Concedimi Dio mio per lui, et in lui il perdono de i miei peccati, la custodia de i tuoi commandamenti, la vera dilettione, e’l fermo amor tuo, le forti arme dell’humiltà contra il Demonio, perfetta unione, et inestinguibil carità co i miei fratelli, temperanza nel mangiare, nel bevere, et nel dormire, continenza contra ogni sorta di libidine, et di vani desiderij, l’udito casto, il veder semplice, purità di cuore, mondezza di corpo, et di pensieri, custodia di bocca, et di cuore, sì ch’egli non concepisca dentro alcuna iniquità, ne la lingua la partorisca di fuori, non dica le cose false, non taccia le vere, non nasconda le salutifere, non proferisca le mortifere. Ti prego ancora; che tu mi dia gratia, ch’io sia assiduo nell’oratione, forte nel digiuno, frequente nella lettione, et ch’io legga, senza mai stancarmi, i tuoi precetti, abbracci le cose rette, abbellisca le brutte, adorni le belle, conservi le sane, rinforzi le debili, con perseveranza custodisca tutte quelle, che ti piacciono. Concedimi ancora ti prego, ch’io sprezzi le cose temporali, et ami le eterne con tutto il cuore, tenga il mondo morto, quanto à me, et me, quando al mondo, viva à te, ne mi rallegri, o m’attristi de i successi temporali, ne tema, o ami cosa alcuna temporale, non sia corrotto dalle prosperità, ne atterrato dalle avversità. Prego anco, o santo Padre, la tua clemenza nel nome del medesimo tuo figliuolo, che circoncida in me tutti i vitij del cuore, et del corpo, mi dia l’accrescimento, et la perfettione delle Virtù. Illumina il senso, et l’anima mia, sì ch’io ti dimandi quello solamente, che ti piace d’udire: Insegnami quello, ch’io debbo pensare, fare, parlare, et tacere: Dammi Prudenza, Temperanza, Fortezza, et liustitia. Dammi giudicio di saper discerner fra la destra, et la sinistra. Dammi anco un senso vigilante, et un’intelletto provido, accio ch’io possa distinguere il ben dal male. Togli dal cor mio ogni senso, che mi possa alienar da te. Risanami dello stupor della mente. Estirpa dalle viscere mie i consigli iniqui. E sradica dalla mia lingua la consuetudine della detrattione, la facilità delle bugie, la dishonesta, et ridicolosa loquacità ne i ragionamenti, risanando con la medicina dell’arte tua tutte le infermità della vanità mia. Dammi continuamente un perfetto sentimento in purgatissimi costumi. Fermami con la virtù della tua onnipotenza, ne mi lasciar agire errando, secondo la mia volontà. Ordina tutta la vita mia, come piace alla tua providenza nella tua volontà: Non lasciar morir l’anima mia peccatrice, per cui è morto Christo: Mettimi la briglia in bocca, et tirami dietro di te, come animal mansueto, percioche tu conosci tutto quello, che mi giova. Non sia lecito al Diavolo, ne à me, ne al mondo, ne ad altri confondere i tuoi doni, essendo tutto fragile quello, che si sforza di contraporsi à te. Havendo tu dalla fanciullezza mia usato meco gran misericordia; da perfettione à quello, che cominciasti. Dammi sempre, et in ogni luoco l’aiuto della tua pietosa difesa contra il mio crudelissimo avversario, accio che si come quel scelerato non cessa mai d’assaltar la fragilità mia, così sia sforzato dalla possanza tua à partirsi confuso. Concedimi, ch’io sia picciolo à gl’occhi miei, per poter esser grato à i tuoi. Dammi, et accrescimi sempre fermezza nella Fede. Dammi Speranza costante, et Carità perfetta, humiltà profonda, patienza invittissima, et perpetua castità d’animo, et di corpo. Dammi perpetua contrition di cuore, et un fonte di lagrime. Dammi semplice innocenza, et purità di cuore, stabilità, costanza, et integrità di mente. Dammi forze invitte, accio ch’io sia invitto vincitor di me stesso. Habbia dominio la ragione sopra di me, et sopra la ragione la gratia tua, perche l’impeto della carne non mi tiri à viver bestialmente, ma sia la vita mia honesta, et ragionevole. Fammi provido, et discreto in ogni cosa. Dammi gratia, ch’io non sia ad alcuno occasione di scandalo. Fa, ch’io habbia la semplicità, et la verità, et seguiti sollecitamente quelle cose, che si appartengono alla pace, et alla carità. Allontana da me ogni hipocrisia, ogni fintione, et fa, ch’io ti serva in verità con animo generoso, et per amor tuo mi sottoponga à i commandamenti de i maggiori, et concorra di core prestamente, et allegramente all’obedienza alla compassione, alla concordia. Sveglia la mia pigritia co i tuoi stimoli di giorno, et di notte, et fammi perseverar vigilantemente ne i precetti, et nelle laudi tue. Dammi una scienza humile, ch’edifichi, una lingua dotta, et eloquente, per poter con l’esortatione far le cose buone, migliori, et rimetter le cattive nella linea della rettitudine. Infondimi ti prego la scienza nel core per amor del figliuol tuo, et dammi tu, et esso lo spirito della Sapienza, et dell’intelletto, del consiglio, et della fortezza, della scienza, et della pietà, et riempimi del santo timore, et amor tuo. Dammi gratia, ch’io sia bagnato con l’acqua superiore, et con l’inferiore. Dammi la benedittione della rugiada del Cielo, et della grassezza della terra: Fa, che l’anima mia arda nel fuoco dell’amor tuo, et ch’io sia totalmente morto al mondo. Concedimi, ch’io habbia sempre un cor contrito, et humiliato inanzi à te. Fammi pianger per gratia tua i miei peccati, prima ch’io muoia, et cercar sempre la faccia tua con tutta la mente, et saper mio. Infondi l’amor tuo nel petto di me misero peccatore, et scrivi la dolce memoria tua nelle tavole del cor mio. Illuminami con la luce della celeste patria, et non lasciar, che l’imagine tua s’oscuri in me, la qual con l’aiuto tuo sia difesa, sì che si conservi sempre bella, et monda. Sia in mio favore la pietosa, et fedel custodia de i beati Angeli sempre, et in ogni luoco, et concedimi, che le squadre di tutti i Santi intercedano appresso di te per me meschino, accio che io per le lor preghiere, et meriti possa esser fatto degno della pietà tua di quanto ci ha promesso il tuo figliuolo. Dona gratia à me huomo fragilissimo d’imitare i vestigij de i santi Monaci padri miei. Dammi la lor mansuetudine, modestia, toleranza, benignità, povertà, longanimità, contrition di cuore, un fonte di lagrime, astinenza dal mangiare, et dal bevere, semplicità di cuore, et di bocca, allegrezza spirituale, e’l perfetto disprezzo del mondo. Ti supplico à darmi carità sopra ogni cosa. Ti chiedo humiltà. Ti dimando patienza, le quali compagne, non si separino mai dalla fede mia; et insieme vera pudicitia d’animo, et di corpo, come hai dato à loro. Ti prego per il figliuol tuo riguarda in me, et habbi pietà di me; esaudisci l’oration mia, et dammi la tua gloria per l’abondanza della tua benignità, la qual perseveri continuamente meco, sin ch’io impari à caminar nella tua misericordia, et giustitia inazi à te, et obedire alla tua volontà tutti i dì della vita mia. Dimando questa: Dammi questa. Essa mi faccia pacifico con gl’amici, et quieto con gli inimici, mitighi l’asprezza delle mie parole, mi ritiri da i ragionamenti otiosi, mi spinga sempre à pensare à Dio, et alle cose, che son di Dio, et mi rimuova gl’occhi da questo vano secolo, mi metta ogni hora la morte inazi, ne mi lasci rallegrar quagiù, mi faccia considerare, et pianger il trave, e’l grave peso de i miei peccati, ne mi lasci cercare i delitti, o le festuche leggierissime d’altri. Finalmente mi faccia tener tutte le cose mondane per nulla, et sentir sino al fine te solo Signor mio con tutte le viscere, et operando potentemente m’insegni à farlo, et si come con la tua pietosissima misericordia m’hai dato volontà di venire à te, così ti piaccia per la medesima di donarmi sapienza, et intelletto, virtù, et possibilità di corpo, et d’anima di servirti sempre devotissimamente in ogni cosa col mezo della tua benigna, et gran gratia, senza la quale non possiam pensar, ne parlar, ne far cosa buona, et perche il medesimo unigenito figliuol tuo disse. Niuno viene à me, se’l padre mio non lo tira, ne va alcuno al padre, se non per mezo mio, prego te Santo Padre, et humilmente scongiuro te Dio mio, che tu mi tiri, et conduca à te, dove egli siede alla destra tua, dov’è una vita sempiterna, et beata, un’eterna sicurezza, una sicura tranquillità, una felice eternità, et eterna felicità, dov’è un’amor perfetto, et niun timore, e’l giorno eterno, et uno, dove tu onnipotente vivi, et regni sempre con lui, et egli teco in communione dello Spirito Santo eternamente, et sempiternamente per tutti i secoli de i secoli. Amen.

Un’altra oratione di sant’Agostino.

Signore Iddio onnipotente, che sei trino, et uno, che sei sempre nel tutto, eri il tutto inanzi à i secoli, et serai nel tutto Iddio benedetto; ti raccommando hoggi, et in ogni tempo l’anima, e’l corpo mio, la vita, l’udito, il gusto, il tatto, et l’odorato, et tutti i pensieri, affetti, ragionamenti, et attioni mie, tutte le cose esteriori, et interiori, il senso, l’intelletto, la memoria, la fede, la credulità, et la perseveranza mia nelle mani della potenza tua, accioche tu mi guardi i giorni, le notti, l’hore, e i momenti tutti. Esaudiscimi o Trinità santa, et difendimi da ogni male, da ogni scandalo, et da ogni peccato mortale, da tutte le insidie, et tentationi de i Demonij, et de gl’inimici visibili, et invisibili per le orationi de i Patriarchi, per i meriti de i Profeti, per i suffragij de gl’Apostoli, per la costanza de i Martiri, per la fede de i Confessori, per la castità delle Vergini, et per l’intercession di tutti i Santi, che ti sono stati cari sin dal principio del mondo. Caccia da me la vanagloria della mente, et accresci la compuntion del cuore; abbassa la superbia mia, et fa perfetta in me la vera humiltà; desta in me le lagrime, et intenerisci il cor mio duro, et di sasso: Libera, Signor mio, me, et l’anima mia da tutte le insidie dell’inimico, et conservami nella tua volontà. Insegnami, Signor mio, à far quello, che ti piace, perche tu sei il mio Dio. Dammi il senso perfetto, et l’intelletto, accio ch’io possa ricever la tua profonda benedittione. Concedimi gratia, Signore, ch’io ti dimandi quello, ch’à te piaccia d’intendere, et à me sia utile. Dammi lagrime affettuose, che possano sciorre i lacci de i miei peccati. Ascolta, Signor mio, et Dio mio; ascolta le mie dimande, et dammi gratia, che le mie preghiere siano esaudite, se tu mi sprezzi, io moro; se tu mi guardi, io vivo; se tu ricerchi le mie buone opere, io puzzo; se mi miri con misericordia, risusciti dalla sepoltura un’huomo puzzolente. Allontana da me quello, c’hai in odio, et inserisci in me lo spirito della castità, et della continenza, sì ch’io non t’offenda in cosa, che ti dimandi, togli da me quello, che mi nuoce, et dammi quello, che mi giova. Dammi rimedio, Signor, da sanar le mie piaghe; dammi gratia, ch’io ti tema; dammi compuntion di cuore, humiltà di mente, et pura conscienza. Concedimi, ch’io possa tener sempre la carità fraterna, non mi scordi de i miei peccati, ne cerchi quei d’altri. Perdona all’anima mia: Perdonami i delitti, le colpe, et gl’errori miei. Visita me debile, medica me infermo, risana me, che languisco, et risuscita me, che son morto. Dammi cor, che ti tema, mente, che t’ami, senso, che ti conosca, orecchie, che t’ascoltino, et occhi, che ti vedano. Habbi: habbi misericordia di me o Dio, et riguardami dalla santa sedia della tua Maestà, et caccia le tenebre del cor mio col raggio del tuo splendore, dammi giudicio, che sappia discerner fra il bene, e’l male, et concedimi un senso vigilante. Ti dimando, Signore, la remission de i miei peccati, dalla quale, et per la quale io possa esser favorito in tempo della necessità, et angustia mia. Santa, et immacolata MARIA, madre del Signor nostro GIESU Christo, degnati d’interceder per me appresso à colui, di cui meritasti d’esser fatta Tempio: San Michele, san Gabriele, san Rafaele, santi Cori d’Angeli, et d’Arcangeli, di Patriarchi, di Profeti, d’Apostoli, d’Evangelisti, di Confessori, di Sacerdoti, di Leviti, di Monaci, di Vergini, et di tutti i giusti, ardisco di pregarvi in nome di colui, che v’ha eletti, et della cui vista godete, che vi degniate di supplicare esso Iddio per me huomo colpevole, che voglia liberarmi dalla bocca del Demonio, et dalla morte eterna. Degnati Signor di donarmi vita perpetua, secondo la clemenza, et benignissima misericordia tua. Concedi Signor GIESU Christo concordia à i sacerdoti, tranquillità, et pace à i Rè, à i Vescovi, et à i Prencipi giusti. Ti raccommando, Signore, tutta la santa Chiesa Catolica, gl’huomini, et le donne, i Religiosi, e i secolari, tutti i rettori de i Christiani, et tutti quelli, che credono in te, et s’affaticano per il tuo santo nome, per ottener la perseveranza delle buone opere. Concedi Signor GIESU Christo castità alle Vergini, continenza à quelli, che si son dedicati à Dio, santità à i maritati, perdono à i penitenti, sostentamento alle vedove, et à gl’orfani, protettione à i poveri, ritorno à i peregrini, consolatione à quelli, che piangono, et riposo eterno à tutti i fedeli, che son morti, à i naviganti il porto di salute, à gl’ottimi perpetua stabilità nelle buone opere, à i buoni, et mediocri gratia di farsi migliori, et à i delinquenti, et peccatori presta correttione. O dolcissimo, et pietosissimo, Signor GIESU Christo, figliuolo di Dio vivo, redentor del mondo, io confesso d’essere un misero peccatore fra tutti gl’altri, et in ogni cosa: Ma tu clementissimo, et sommo padre, c’hai pietà di tutti, non patir, ch’io sia alienato dalla tua misericordia. Tu Rè de i Rè; che ci lasci vivere, perc’habbiamo spatio d’emendarsi; dammi devotione, desta in me una mente, che ti cerchi, ti desideri, et sopra tutte l’altre cose ami te, che sei in ogni luoco, tutto, trino, et uno. Ti prego particolarmente, o Signore, et santo padre mio, che sei benedetto, et glorioso per tutti i secoli, che ti degni di governar con misericordia tutti quelli, che fanno memoria di me nelle loro orationi, et quelli, che si raccommandano alle mie, benche indegne, et quelli, c’hanno usato verso di me qualche officio di carità, o qualche affetto di pietà, et insieme i miei propinqui di sangue, et di parentado, così vivi, come morti, perche non periscano. Degnati adunque d’aiutar tutti i Christiani, che vivono, et donar perpetuo perdono, et riposo per i secoli eterni à i fedeli, che son morti. Supplico anco affettuosamente te, che sei Alfa, et W, che quando verrà il fine della mia vita, ti piaccia d’essermi pietoso giudice contra il Demonio accusator maligno, et mostrarti perpetuo mio defensore contra le insidie dell’antico inimico, et farmi perseverar nel santo Paradiso in compagnia de gl’Angeli, et di tutti i Santi tu, che sei benedetto ne i secoli de i secoli. Amen.

Cap.XXII.

Della Divina Lettione, et dello studio della sacra Scrittura.

Ma perche i frati non possono orar sempre attualmente, deveno legger qualche cosa à cert’hore determinate: Pero dice il nostro Maestro nella Regola. CODICES certa hora singulis diebus petantur, extrà horam, qui petierit, non accipiat. cioè. Si dimandino i libri ogni giorno ad un’hora determinata, et non si diano à chi gli dimandarà in altro tempo: Dove dice Ugone. Dicendo, che si dimandino i libri, viene à lodar la frequenza della lettione, dovendo il servo di Dio leggere spesso. Dechiara poi il medesimo Padre nell’altra Regola; che comincia Ante omnia; qual sia la determinata hora di leggere, dicendo. A Sexta, usque ad Nonam, vacent lectioni, et ad Nonam reddant codices. cioè. Attendano alla lettione dalla Sesta, sino alla Nona, et alla Nona rendano i libri. Hoggi nondimeno, secondo il moderno stato dell’Ordine, l’hora di leggere, et d’aprir la Libraria, è limitata ad arbitrio de i superiori. Tre sono i frutti, che ci vengono dalla lettione della sacra Scrittura. Il primo è, secondo Gov. Cassiano nella Collatione dell’Abbate Nesterote, che la mente occupata nelle sacre lettioni, non è presa da laccio alcuno di nocivi pensieri, onde dice anco san Gieronimo à Rustico Monaco. Ama la cognition delle scritture, et haverai in odio i vitij della carne. Et così dice anco i cap. Nunquam. De consecratione. Dist. V. Il secondo frutto, come dice il predetto Cassiano; è che per la lettione la mente riceve un lume di chiara intelligenza, di maniera che anco gl’occultissimi sensi, che leggendo habbiamo appresi da principio superficialmente, ci son rivelati, et fatti intender chiaramente, quando dormiamo, col mezo delle notturne meditationi. Il terzo, secondo Ugone, è che tutta la vita nostra viene ammaestrata, et informata di quello, che deve fare, et fuggire, et dove habbia ad incaminarsi, dicendo. Molto utile è la divina Lettione, insegnandoci quello, che debbiamo schifare, et operare, et à qual parte debbiamo indrizzarsi. Pero dice il Salmo. La tua parola è una lucerna à i miei piedi, et un lume alla strada mia. La lettione accresce il senso, et l’intelletto. La lettione, l’oratione, et l’operatione ci insegnano la vita contemplativa, et l’attiva, et percio nel Salmo è scritto, che è beato l’huomo, che medita il giorno, et la notte la legge de Signore. L’oratione, la lettione, et l’operatione son l’arme, con le quali s’espugna il Demonio; Conquesti instrumenti s’acquista l’eterna beatitudine. Con quest’arme si raffrenano i vitij. Con questi cibi si nutriscono le Virtù. Questo dice Ugone in quel luoco, dove abbraccia tutte le tre utilità sopradette, come puo vedere ogn’uno, le quali insieme con molt’altre, che sentono quelli, che leggono la sacra Scrittura, son raccolte da sant’Agostino in un Sermone, che comincia. Scriptum est, Fratres charissimi, dove dice così. Leggete, fratelli miei, la sacra Scrittura, nella qual trovarete quello, che si deve tenere, et quello, che si deve fuggire: Leggetela, perche essa è più dolce d’ogni mele, più soave d’ogni pane, più gioconda d’ogni vino, più delicata, che l’oglio, più pretiosa, che l’oro, et più pura, che l’argento. Questa invita altrui principalmente ad amar Dio, illumina i cuori, purifica la lingua, giudica la conscienza, santifica l’anima, conforta la fede, ribatte il Demonio, sprezza il peccato, riscalda l’anime fredde, porge il lume alla scienza, scaccia le tenebre dell’ignoranza, estingue la tristitia del secolo, accende l’allegrezza dello Spirito Santo, da bevere à chi à sete. Questa è la Scrittura santa, la legge nostra immacolata, che fa gl’huomini, di pazzi, savij; mette i primi fra gl’ultimi, et di minimi gli fa grandi, muta gl’ignobili in nobili, affrena la natura, vieta la leggierezza, tempera il dolore, dona la speranza, incorona i vecchi, insegna à i giovani, placa gli sdegnosi, insegna la strada à gl’erranti, fortifica gl’infermi, rinfranca i debili, sveglia i sonnacchiosi, ripende gl’otiosi, sollecita i pigri, da la gratia à i credenti, et humilia i Rè. Questa è la scienza delle scienze, che da la sapienza, esalta la gloria, etc. Molt’altre cose soggiunge sant’Agostino nel luoco sopradetto, et anco nell’Epistola à Cirillo, parlando di san Gieronimo, dice, ch’egli non stava mai in otio, ma s’esercitava nelle sacre lettioni, o scrivendo, o leggendo, o insegnando sempre qualche cosa. Dopo vespro si dava all’oratione, et continua orando sino alle due hore della notte, dapoi stanco dal sonno si metteva à dormire in terra, et si riposava sino alla meza notte, dapoi si levava, et si tratteneva con molta attentione sin’all’hora di mangiare nelle lettioni, et in quelle santissime scritture, c’hanno illustrato tutta la Chiesa. Si legge anco dell’istesso padre nostro sant’Agostino, ch’oltra l’hore, ch’egli spendeva nell’orare, et nel provedere alle necessità della sua chiesa, attendeva continuamente di giorno, et di notte alla lettione delle lettere, et scritture sacre, et percio ha scritto tanti libri, ch’à pena saria bastante un’huomo à leggergli in tutta la vita sua, se bene egli ha potuto scrivergli, come dice Possidonio. Dopo lui, (fra tutti i Dottori della nostra Religione, per quello, che ci ricordiamo, et per quello, ch’è potuto venire à notitia della nostra generatione;) il primo professore in Teologia è stato Frate Egidio Romano, nato della nobile stirpe de i Colonnesi, il quale essendo entrato giovanetto nella Religione, benche fosse invitato da i parenti, et da gl’amici con diverse lusinghe à tornare al secolo, volse nondimeno servire à Dio nella Religione, che s’haveva eletto, più tosto ch’obedire à i parenti, et à gl’amici del mondo. Era dotato di così veloce ingegno, che se ben, quando entro nell’Ordine, non haveva quasi niuna cognition di lettere, fece nondimeno, poi che vi fu entrato, tanto profitto ne gli studij, ch’in poco tempo fu mandato à Parigi à studiare in Teologia, dove essendo già in molta stima fra gli scolari, fu deputato dalla Religione à leggere le Sentenze. Acquisto tanta laude in quella lettura, et ne gl’altri Atti, che secondo gli Statuti, et la consuetudine dell’Università di Parigi, soglion fare i Baccilieri di Teologia, et riuscì tanto dottamente, et honoratamente, che di breve ascese con sommo honore alla catedra magistrale, nella quale havendo continuato lodevolmente molt’anni, et essendo già celebre la fama del nome suo per il mondo, fu prima assonto al Priorato Generale, et poi solennemente promosso, et consacrato Arcivescovo Bituricense, et Primate d’Acquitania da Papa Bonifacio Ottavo. Questo solenne, et famoso Dottore fece fra tutti i Maestri del suo tempo molt’opere ad edificatione della santa madre Chiesa, fra le quali son queste, c’ho vedut’io. Tre libri sopra le sentenze. Sopra l’Epistola di san Paolo à i Romani. Sopra la Cantica. Un libro del Reggimento de i Prencipi. Un Trattato, De esse, et essentia. Dell’intelletto possibile. Della Predestinatione, et Prescienza. Del Paradiso, et dell’Inferno. Del peccato originale. Della formatione del corpo humano. Della materia del Cielo. Del corpo di Christo. Della resurrettione de i morti. L’Esamerone. Dell’esentione. Questioni sopra la cognitione de gl’Angeli. Della misura de gl’Angeli. Del moto de gl’Angeli. Della compositione de gl’Angeli. Alcuni scritti sopra la Fisica. Della generatione, et corruttione. Sopra i libri dell’anima. Sopra il libro delle cause. Sopra la Politica. Sopra la Retorica. Sopra la Posteriori. Sopra gl’Elenchi. Molti Sermoni solenni al Clero. Sei Quolibeti, et molt’altri opusculi. Questo padre venerabile, et Dottore eccellente hebbe gran zelo verso la santa Religione, madre sua, et benche fosse stato inalzato à tanta dignità, et al grado del Primato, hebbe sempre l’animo inclinato all’Ordine suo, come mostro nel fin della vita, donandole il più caro Tesoro, c’havesse, perche lascio la Capella, o gl’ornamenti appartenenti al culto divino, al convento nostro di san Trifon di Roma; fattane pero qualche parte al Monasterio Bituricense, et ordino, che tutti i libri si mandassero al convento di Parigi col corpo suo, mostrando in questo modo acconciamente, ch’era stato fedele alunno di quella Università, come egli medesimo le haveva detto, predicando in Parigi nel fin d’un suo Sermone, introducendo quel verso.

Alunno è chi mi nutre, et chi è nutrito:

Volendo percio inferire, che si come egl’era stato già nutrito in quell’honorata Università, così all’hora nutriva lei col cibo della sua dottrina. Di questo così venerabil padre ho inteso, ch’essendo andata un giorno à trovarlo una donna molestata da una grave infermità, come à persona chiara per la dignità Episcopale, et avendogli dimandato rimedio da guarire, esso riputandosi immeritevole, et totalmente indegno di tal virtù, et volendo darle una cortese repulsa, le disse. Va buona donna, et ti sia conceduto, secondo la fede tua, et ch’essa partendosi, si sentì subito libera da quel male, essendo vera questa parola del Signore. Omnia possibilia sunt credenti. Ogni cosa è possibile à chi crede; Et quest’altra. Fides tua te salvam fecit. La fede tua t’ha dato la salute. A questo venerabil’huomo successero nell’istessa catedra Parigina; molt’altri huomini della Religion nostra di vita esemplare, et famosi di scienza, fra i quali fu maestro Giacomo da Viterbo, Arcivescovo di Napoli, nominato di sopra il qual mando alla luce alcune sottili, et utili Questioni sopra i Predicamenti in Divinis, et tre Quolibeti disputati, et ottimamente resoluti in Parigi. Una lettura sopra le Sentenze, con molt’altri suoi concetti, che non furono tutti messi in luce dopo la morte sua, perche molti ruborono le sue opere, et l’attribuirono à se stessi: A questi dopo alcuni altri, che furon di mezo, successe Maestro Henrico di Urimaria, di cui ho fatto molte volte mention di sopra, come faro anco più à basso, essendo stato huomo honorevole à meraviglia, et molto studioso, di maniera ch’imitando i sopradetti primi Padri nella sollecitudine, et havendo in odio l’otio, come il veneno, non fu mai trovato otioso, come quello, ch’essendosi assuefatto à gli studi nella più tenera età, non poteva punto tralasciargli anco nell’ultima vecchiezza, percioche, quantunque passasse i settant’anni della vita sua, frequentava lo studio il giorno, et la notte, talmente ch’à pena si saria potuto trovare alcun lettor novello; benche assiduo ne i quotidiani esercitij scolastici, ch’ogni giorno v’havesse atteso con tanta diligenza, onde dicendogli talvolta alcuni suoi amici domestici da scherzo, che s’egli havesse studiato in Parigi à bastanza, non gli saria stato necessario affaticarsi all’hora tanto ne gli studij; egli recitando quel detto del Savio, rispondeva. Bench’io havessi un piede nella sepoltura, ancora vorre imparare. Et benche studiasse tanto, cofessava nondimeno, che mai non haveva sentito alcun dolor di testa, ne di schiena per lunghezza, o fatica alcuna di studio, come gl’ho udito io à dir di sua bocca più volte. Teneva questo stile ne i suoi studij: correggeva di sua mano i libri scorretti, che leggeva, et scriveva nel margine le cose notabli. Oltra l’altre sue fatiche, scrisse sopra l’Etica d’Aristotele, fece un’opera solenne de i Santi. Una lettura sopra il Cap. Cum Marthæ, delle Decretali. Un libro della perfettion dell’huomo. Un trattato dell’esentione. Doi Quolibeti con molte Questioni necessarie, disputate à Parigi. Molti Sermoni, et Trattati, da predicare. Scrisse anco Maestro Agostino d’Ancona, persona molto prudente et studiosa utilissime glose continuate sopra gl’Atti de gl’Apostoli: Sopra l’Epistole Canoniche: Sopra l’Apocalisse ad imitation delle glose di san Tomaso: Sopra gl’Evangelij: Una postilla sopra l’Epistole Canoniche: Un commento sopra la Metafisica: Sopra le Priori: Un trattato dell’amor dello Spirito Santo: Un trattato delle potenze dell’anima: Un trattato della predication del Genere con molti altri Trattati, et Opuscoli. Comincio anco à far una solenne compositione sopra i detti di sant’Agostino, riducendogli sotto regola d’alfabeto, secondo le materie, et vocaboli particolari, ma prevenuto dalla morte la lascio imperfetta. Questa essendo poi continuata, et condotta à fine dallo studioso huomo, Frate Bartolomeo da Urbino, fu chiamata Milleloquio, et presentata alla Santità di Papa Clemente sesto, il quale accettatala volontieri, gli provide d’un buon Vescovato, dandogli la Chiesa d’Urbino, sua patria. Fece anco il detto padre una simil fatica sopra le sentenze di sant’Ambrosio Vescovo, ad instanza del medesimo Papa. Maestro Alberto da Padova parimente mando in luce alcune buone postille sopra gl’Evangelij delle Domeniche: cento cinquanta Sermoni al Clero in molte materie, et ha fatto molt’altre opere, et se non fosse morto giovane, si puo creder che ne havesse fatte dell’altre. Venne dopo questi Frate Hermanno de Scildis, huomo di molta scienza, et di buona vita, et molto zelante della disciplina, et santità della Religione: il qual compose l’infrascritte opere. Scrisse sopra il primo libro delle sentenze: Fece una postilla sopra la Cantica: et alcune collationi predicabili per tutto l’anno. Scrisse della materia della Cantica: doi espositioni del Pater noster, una secondo san Matteo, l’altra secondo san Luca: un’altra espositione sopra l’Ave Maria. Un breviloquio sopra l’esposition della Messa. Un compendio intorno à i quattro sensi della Scrittura sacra. Lo Specchio, over Manuale de i Sacerdoti. Doi trattai de i vitij capitali. Doi libri sopra i sei giorni. Il claustro dell’anima. Un trattato della concettion della gloriosa Vergine. Un trattato per i giovani intorno all’ordine de gli studij. Un introduttorio alle leggi. Un lungo trattato de i sensi della sacra Scrittura, co i fondamenti, et con le regole sue. Alcuni scritti sopra la Retorica. Un trattato della vera, et falsa amicitia. Un trattato della compensation delle pene del Signore, con l’Hore canoniche. Un trattato de i diece precetti. Un’altro de i cinque sensi. Una lettura sopra la Decretale, Omnis utriusque sexus. Una postilla sopra il Genesi. Un trattato contra l’error de i Flagellati. Un’altro contra Maestro Corrado della comparation della Messa. Molti Sermoni al Clero, molt’altri al popolo, et alle persone sottili. Diverse Questioni senza numero, ne ordine. Un trattato in versi della divisione della Filosofia. Un’opera Quadragesimale. Delle mansioni, et molt’altre opere imperfette. Appresso à questi ha composto molti solenni libri il padre Tomaso d’Argentina, che fu General dell’Ordine nostro, percioche ha scritto sottilmente sopra tutti i quattro libri delle sentenze: molti Sermoni al Clero in diverse materie, et molt’altre utili opere. A questi successe Maestro Gregor. da Rimini, che fu persona molto letterata, et di santa vita, et per le sue notabili fatiche fu particolarmente honorato da tutta l’Università di Parigi. Scrisse meglio, et più copiosamente de gli altri sopra il primo, et secondo libro delle sentenze, pero era udito volentieri, et senza dubbio con ragione, essendo lo specchio di tutti, così di costumi, come di scienza. Scrisse anco sopra l’Epistole di san Paolo, ma non fornì l’opera. Fu fatto Generale contra sua voglia, et ci visse poco tempo per le fatiche insopportabili, che faceva per la salute de i frati, et per l’honor di tutta la Religione. Dopo lui venne Maestro Ugolino da Orvieto, il quale essendo di sottilissimo ingegno, e giudicio, fece atti singolari nella Università di Parigi; onde ne fu molto apprezzato. Compose fra l’altre fatiche sue un’opera molto importante sopra le Sentenze, la quale è grandemente stimata, dove si puo havere, per il che fu fatto Patriarca di Costantinopoli da Papa Urbano Quinto, et Vescovo di Rimini, essendo Generale. Morì assai vecchio, et lascio buona fama di se. Sono stati nel nostro Ordine oltra i predetti reverendi Maestri, doi Padovani, fratelli carnali, l’uno de i quali fu Maestro Bonsembiante, huomo per certo d’acutissimo ingegno, et di gran lettere. Compose egli ancora una grande, et util’opera per gli studenti, et molti Sermoni al Clero, et diverse Questioni, così in Teologia, come in Filosofia. Morì giovane con gran danno della Religione. L’altro suo fratello, chiamato Maestro Buonaventura, essendo molto eloquente fu stimato assai, et dal Clero, et dal Popolo: Fu sollecito ne gli studij, et fece molt’opere utili, et sermoni al Clero sopra diverse materie, et una utile espositione sopra l’Epistola Canonica di san Giacomo. Fu fatto anch’egli Generale, et di là à poco tempo, essendo huomo di gran consiglio, fu creato Prete Cardinale della santa Chiesa Romana, da Papa Urbano Sesto. Ha havuto quest’Ordine molt’altri huomini illustri nelle scienze, de i quali si faria lungo ragionamento, et ve ne son tuttavia molti dottissimi, et di vita esemplare, le cui singolari laudi passaro con silentio, per non esser tenuto un’adulatore.

Cap.XXIII.

Della scienza spirituale, et come s’acquisti.

Oltra queste scienze, ch’impariamo dalle parole de i maestri, et dallo studio della lettione, si trova anco al scienza spirituale, che non s’apprende, se non per divina illuminatione; Pero, secondo la dottrina dell’Abbate Nesterote nelle Collationi de i Padri, si ricercano quattro circonstanze per acquistarla: La prima è la purità del cuore, perche la sapienza non entra nell’anima malevola, ne habita nel corpo sottoposto à i peccati, ne puo la mente immonda ottenere il dono di così fatta scienza. Onde chi desidera di preparargli un luoco nel cuore, deve mondarsi dalla contagione de i vitij, et lasciare i pensieri del mondo; di che parla Giov. Cassiano nel libro quinto delle Institutioni de i Padri, al cap. 34. dicendo. Il Monaco, che desidera di giungere alla notitia delle scritture, non deve affaticarsi sopra i libri de i Commentarij, ma impiegar più tosto tutta l’industria della mente, et tutta l’intention del cuore nella correttione de i vitij carnali, perche subito cacciati quelli, et levati il velame delle passioni, cominciano gl’occhi del cuore à contemplare i sacramenti delle scritture. Et mette l’esempio de gl’occhi corporali, i quali tolti via i difetti, vedon naturalmente il lume visibile, pero dice san Matteo al quinto cap. Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbund. cioè. Beati quelli, c’hanno il cuor mondo, perche essi vederanno Iddio. Et chi sarà tale, potrà dir con fiducia, come dice il Salmo. Psallam, et intelligam in via immaculata. cioè. Io cantaro, et intendero nella vita immacolata. Perche veramente chi canta, all’hora intende quello, che canta, quando con passi d’un puro cuore camina per la strada immacolata. Pero l’Abbate Silvano, essendo ricercato da alcuni frati, come fosse diventato tanto prudente, rispose; (come si recita nelle Vite de i Padri;) che non s’era mai lasciato fermar nel cuore i cattivi pensieri, c’havesser potuto provocar Iddio ad ira.

La seconda circonstanza è l’humiltà della mente, essendo impossibile, come dice il medesimo Cassiano, che colui, ch’attende alla lettion de i libri con fine d’acquistar laude, sia fatto degno del dono della vera scienza. Percioche l’humil Maestro non vuole, che’l suo discepolo sia, se non humile; onde l’istesso figliuolo di Dio dice al Padre in san Matteo, al Cap. undecimo. Abscondisti hæc à sapientibus, et prudentibus, et revelasti ea paruulis. cioè. Hai nascosto questo à i savij, et à i prudenti, et l’hai rivelato à i fanciulli, dando egli l’intelletto à i fanciulli, come dice un Salmo, et un’altro. Bonum mihi, quia humiliasti me, ut discam iustificationes tuas. Mi giova, che tu m’habbia humiliato, perch’io intenda le tue giustificationi.

La terza circonstanza è la devotione dell’oratione, onde dice Ugone nel Didascalicon. Colui, che studia nella Sacra Scrittura, non si confidi nell’acutezza dell’ingegno, o nella sottile investigatione, o nella sollecitudine dello studio, ma nella bontà di Dio, et nella devotione de l’oratione. E’l Savio dice nel libro della Sapienza al cap. settimo. Optavi, et datus est mihi sensus: Invocavi, et venit in me Spiritus sapientiæ. cioè. Ho desiderato, et m’è stata data l’intelligenza: Ho dimandato, et è disceso in me lo Spirito della Sapienza. Pero l’Abbate Teodoro, come narra il detto Cassiano nelle Institutioni predette, desiderando la dechiaratione d’un’oscuro dubbio, stette sette giorni, et sette notti in continua oratione, senza mai levarsene, sin che la risolutione gli fu rivelata dal Signore. Il medesimo dice Cassiodoro nel libro de Intitutione scripturarum. Fa anco mentione sant’Agostino nel primo libro de Doctrina Christiana, intorno al principio d’un cert’huomo barbaro Christiano, che con l’oratione di tre giorni impetro da Dio la piena cognitione delle lettere, senza che gli fossero insegnate da alcuno, et essendogli dato un libro, lo lesse speditamente con molta meraviglia di chi lo vide. Di si fatt’huomini si puo dir quello, che dice san Giovanni nella prima Epistola, al secondo cap. Non necesse habetis, ut aliquis doceat vos, quoniam unctio cius docet vos de omnibus. cioè. Non è necessario ch’alcuno v’insegni, perche l’untione del Signore v’insegna ogni cosa: Sopra le quali parole dice sant’Agostino. Non pensate, che huomo alcuno impari da un’altr’huomo. Possiamo esortar con lo strepito della voce nostra, ma se non è, chi c’insegni di dentro, vano è il nostro strepito. Tien la Catedra in Cielo colui, ch’insegna à i cuori: Pero, com’egli dice nell’Evangelio. Non vogliate chiamarvi maestri in terra, poiche uno solo è il vostro maestro, ch’è Christo. Frate Hermanno de Allis Bacciliere osservava questo santo stile, che quando la notte si levava à studiare, entrava prima in Coro, et poi, ch’era stato alquanto in oratione inanzi all’altare, cominciava à studiare, pero è verisimile, ch’egli acquistasse la scienza più con l’oratione, che con lo studio havendo fatto ottima riuscita, ancor che ci havesse atteso poco tempo: Il che si puo anco congietturare da una sua Visione, ch’egli mi racconto secretamente, per mia edificatione, come ad un suo famigliar discepolo, et è questa. Una notte, essendo egli giovane, et orando, come quello, ch’era tutto devoto, s’addormento, et vide in sogno la beata Vergine, che caminava in fretta verso la chiesa con una moltitudine d’altre Vergini, et haveva nelle mani un bicchiero, col qual dava da bevere à tutte, il che mirando egli con stupore, et piacere, et desiderando nel cuor suo d’esser fatto degno di bever con quel medesimo bicchiere; fu chiamato, et accostatosi bevette, et gli parve, che quella bevanda havesse sapor come d’un’acqua pura. Svegliatosi poi subito, et cominciando à pensar fra se, che cosa volesse dir la signification dell’acqua, si ricordo, che è scritto. Aqua sapientiæ salutaris potavit eos. cioè. Ha dato lor bere dell’acqua della sapienza salutare.

La quarta circonstanza è l’utilità dell’opere, onde dice Giov. Cassiano. Ottengono la scienza spirituale, quasi per premio di molte fatiche quelli solamente, che son perfetti più tosto per la virtù delle proprie attioni, che per le parole de i maestri, et acquistano la scienza, et la cognitione, non tanto con la meditatione de la legge, quanto col frutto dell’opere, dicendo col Salmo. Ho imparato per i tuoi commandamenti: cioè per havergli adempiti. Sforzisi adunque chi attende à la Scrittura divina di mettere in esecutione quello, c’ha udito, et letto per poter accrescer la sapienza con l’opere. Nel qual proposito diro quello, che nell’ottavo libro dell’Historia Tripartita al cap. primo si narra dell’Abbate Pambo, il quale essendo senza lettere, ando à trovar uno che gliele insegnasse, et havendo inteso il primo verso del Salmo, che dice. Ego dixi: custodiam vias meas, ut non delinquam in lingua mea. cioè. Io ho detto: custodiro le vie mie, per non peccar con la lingua mia, non hebbe patienza di ascoltar il secondo, et disse, che potendo far quello, che commandava il primo, gli bastava. Riprendendolo poi il Maestro, ch’in sei mesi non fosse andato alla scola, gli rispose. Non ho ancora adempito quello, che dice quel verso. Dimandato poi da un’altro, se l’haveva imparato, et mandato in esecutione, rispose. Son quarantanov’anni, ch’io l’imparai, ma non ho potuto mai adempirlo. Si racconta nelle Institutioni de i Padri, che stando in transito di morte un santo vecchio, et essendo pregato da i frati, che gli stavan d’intorno, à lasciar loro in luoco di heredità, qualche breve et salutifero ricordo, che gl’aiutasse ad ascendere alla perfettion di Christo, rispose sospirando. Io nell’opere mie non compiacqui mai alla propria volontà, ne insegnai cosa, che non havessi fatta prima. Pero dice il Cassiano, ch’à quelli, c’hanno acquistato la scienza spirituale, non si conviene insegnar con parole cosa, che non habbiano adempita con l’opere. Ma sono alcuni, (come egli dice nell’istesso luoco;) li quali per esser esercitati nelle dispute, et eloquenti, son riputati possessori della scienza spirituale da quelli, che non sanno la forza, et qualità sua, nondimeno altro è haver la facilità della lingua, et la politezza delle parole, et altro penetrar nelle vene, et midolle de i detti celesti, et contemplar quei profondi sacramenti col purissimo occhio del cuore, il che non farà la dottrina humana, ne alcuna mondana eruditione, ma la sola purità del cuore, et l’altre predette tre sue compagne per illuminatione dello Spirito Santo. Hebbero questa sorte di scienza gl’antichi padri Eremiti, de i quali si dice nelle Vite, et Collationi loro, che se ben vivevano nelle selve in santa semplicità, intesero nondimeno profondamente i secreti sensi della sacra Scrittura, come si vede da i ragionamenti, et dalle parole, et opere loro. Nel principio d’un libro, che scrisse sant’Agostino à Orosio, son registrate queste parole, ch’Orosio proprio haveva scritte à lui. Si trovano huomini spirituali, ch’intendono il parlare, et penetrano nell’intelligenza de i gran Dottori, alla famosa scienza de i quali noi, che satisfacciamo à i desiderij nostri, non ci agguagliamo, sì che possiamo intendergli, come essi fanno. Et nel luoco citato, de Doctrina Christiana, dice, che sant’Antonio Monaco d’Egitto, quantunque so se fosse huomo senza lettere, si teneva à mente le Scritture divine, che udiva, et con prudente meditatione le intendeva.

Cap. XXIV.

Dell’opere manuali.

Oltra i tre sostantiali precetti della Regola, ne sono altri tre accessorij, et molto necessarij all’anime, et da essa grandemente lodati; i quali son questi: L’oratione, la lettione, et l’operatione. Dell’oratione, et lettione s’è parlato di sopra: All’operatione similmente ci esorta il Maestro nostro, dicendo. NULLUS sibi aliquid operetur, sed omnia opera vestra in unum fiant maiori studio, et frequentiori alacritate, quam, si vobis singulis propria faceretis. cioè. Niuno faccia per se stesso alcun lavoro, ma tutte le fatiche vostre s’impieghino à beneficio commune con maggior diligenza, et più prontamente, che s’ogn’uno le facesse per se medesimo. Di queste tre parla Ugone così. Dall’oratione siam mandati, dalla lettione impariamo, et dall’operatione siam fatti beati, come dice lo Spirito Santo nel Salmo. Perche viverai delle fatiche delle tue mani, sei beato, et ti giovarà; essendo ordinato il lavoro manuale per cinque buone cause. La prima, et principale è, accioche ogn’uno si procuri il viver, secondo il precetto divino, essendo stato detto al primo huomo. In sudore vultus tui vescèris pane tuo. cioè. Nel sudor della faccia tua mangiarai il tuo pane. La seconda è, accio che si faccia l’elemosina, come dice san Paolo nell’Epistola à gli Efesij, al quarto cap. Qui furabatur, iam non furetur, magis autem laboret, operando manibus suis, quod bonum est, ut habeat, unde tribuat necessitatem patienti. cioè. Chi rubava, non rubi più, anzi s’affatichi, et faccia con le sue mani qualche lecito guadagno, per haver il modo da sovvenire à chi ha bisogno. La terza causa è, per raffrenar la concupiscenza, macerando in questo modo il corpo, come dice l’Apostolo nella seconda Epistola à i Corintij, al sesto cap. In laboribus, in vigilijs, in ieiunijs, in castitate. cioè. Nelle fatiche, ne i digiuni, nelle vigilie, nella castità. La quarta è per cacciar l’otio, et consequentemente, perche si fuggano tutti i vitij, cioè i pensieri nocivi, i furti, le detrattioni, le rapine, i negotij brutti, et altri così fatti peccati. La quinta è per domar la superbia, onde dice sant’Agostino nel libro De opere monachorum, queste parole. S’alcuno si rivolge dalle ricchezze à questa vita, ne viene impedito da alcuna infermità corporale, habbiam noi così perduto il gusto del sapor di Christo, che non conosciamo, quanto egli si risani del tumor della passata superbia, quando troncate le superfluità, delle quali l’animo suo era inanzi mortalmente infiammato, non si sdegna di farsi humile artefice in quelle poche cose, che restano naturalmente necessarie à questa vita? Tratta il medesimo Padre nostro de i predetti precetti, et di queste cinque utilità, che nascono dal lavoro manuale in una sua esortatione, ch’egli fa à i suoi frati Eremiti, dicendo così. Bisogna, che noi siamo assidui nel leggere, et solleciti nell’orare, perche la vita dell’huomo giusto viene instrutta dalla lettione, et adornata dall’oratione, essendo la lettione, et l’oratione l’arme, con le quali si supera il Demonio. Questi son gl’instrumenti, co i quali s’acquista l’eterna beatitudine: Con quest’arme s’affrenano i vitij: con questo cibo si nutriscono le virtù, et occorrendo, che si lasci l’oratione, o la lettione, si deve attendere all’operation manuale, perche l’otio è inimico dell’anima, et l’antico avversario tira à peccar qualunque trova non essere occupato, o nella lettione, o nell’oratione, o nell’opera. Percioche frequentando la lettione impararete, come habbiate à vivere, et insegnare ad altri: continuando nell’oratione potete giovare à voi proprij, et à quelli, che sono uniti con voi in carità. Col lavoro manuale, et con la maceration della carne negarete il nutrimento à i vitij, vi provederete d’aiuto per le vostre necessità, et haverete il modo di soccorrere à i bisognosi. L’istesso dice Ugone nell’esposition della Regola, et questo di più. Si deveno distinguere i tempi, ne i quali debbiamo orare, leggere, et operare. L’hore, e i tempi determinate all’oratione s’intendono senza dubbio, quanto all’Hore canoniche, et à gl’altri officij Divini, come ho detto di sopra. Dell’hore di leggere s’è parlato nel cap. precedente. L’hore parimente, e i tempi d’operare ci son mostrati dal medesimo Padre nostro nell’altra Regola, che comincia. Ante omnia. Dov’egli dice così. Operentur frates à mane, usque ad Sextam. cioè. Lavorino i frati dalla mattina sino alla Sesta. Et più di sotto. Et postquam resecerint, sive in horto, sive ubicunque necesse fuerit, faciant opus usque ad horam lucernarij. cioè. Et poi c’haveranno mangiato, lavorino, o nell’horto, o dove bisognarà, sino all’hora del lucernario. Et più oltra. Mane ad opera sua sedeant: post orationem Tertiæ erant ad opera sua. cioè. La mattina attendano à lavorare, et dopo l’oratione della Terza tornino à i loro esercitij. Et poco più à basso. Sedentes ad opera taceant, nisi fortè necessitas operum exegerit, ut loquatur quis. cioè. Tengano silentio, mentre attendono à lavorare, se pero non bisognasse parlare à qualcheduno per occasion del lavoro. Il che intende sant’Agostino dell’opere communi, non delle proprie, come si vede espressamente nella Regola, poco più di sopra citata, alla quale è conforme molto bene quello, che si legge nel secondo capitolo delle Constitutioni, cioè, ch’i frati, che sanno lavorare, debbano servir senza mercede à gl’altri frati, et à i coventi, secondo la commission de i lor Priori, come si dirà più copiosamente nel cap. seguente. Debbiamo anco lavorar con le proprie mani ad imitation di san Paolo Apostolo, il qual si guadagnava il viver lavorando, com’egli medesimo afferma nella seconda Epistola à i Tesalonicensi, al terzo capitolo, dove parlando di se, et di Barnaba, dice così. Non gratis panem manducavimus ab aliquo, sed in labore, et fatigatione, nocte, et die operantes, ne quem vestrùm gravaremus. cioè. Non habbiam mangiato il pan d’alcuno senza guadagnarlo, ma per non aggravar alcun di voi, habbiam lavorato la notte, e’l giorno con fatica, et stanchezza. Et questo medesimo commando, che col suo esempio facessero gl’altri dicendo. Si quis non vult operari, non manducet. cioè. Se è alcuno, che non voglia affaticarsi, non mangi. Pero san Gieronimo, scrivendo à Rustico Monaco, dice. I monasterij d’Egitto hanno questo costume, che non accettano alcuno, che non sia atto à lavorare, et affaticarsi, non tanto per la necessità del vitto, quanto per la salute dell’anima, accioche non vadano vagando tra pensieri mortiferi. Sant’Arsenio, dimandato in che cosa havesse maggior fiducia, rispose. C’ho fuggito gl’huomini, c’ho alquanto tacciuto, et pianto, ma sento particolar contentezza d’haver lavorato con le proprie mani. Un monaco nelle Vite de i Padri, fece ad un Padre questa dimanda. S’io ho tanto, che mi basta, per supplire alle mie necessità, giudicate voi, ch’io debba pensare à lavorare? A cui quel padre rispose. Benche tu habbia quello, che ti bisogna, non restar pero d’affaticarti, et fa quanto puoi, ma pero con l’animo quieto. Lavoravano anco i santi Padri nell’Eremo con le proprie mani, facendo sportelle, cordicelle, et altre si fatte opere, se ben non ne havevan bisogno per vivere, volevan pero lavorar per le cause sopradette. Per la qual cosa san Gieronimo, scrivendo à Demetriade vergine nobile, dice così. Non dei restar di lavorare, se ben per gratia di Dio, non hai bisogno di nulla, ma dei lavorar come tutte l’altre, accioche essendo occupata nel lavoro, non ti venga altro pensiero, che quello, che s’appartiene al servitio di Dio. Io parlaro liberamente. Ancor che tu dispensasti à i poveri tutte le tue rendite, niuna cosa farai, che sia più apprezzata da Christo, che quello, c’haverai fatto con le proprie mani, o per uso tuo, o per dare esempio all’altre vergini. Habbiamo intorno à cio un’esempio di quel lodatissimo padre, san Paolo, il quale habitando in una grandissima solitudine, ne potendo per la distanza delle terre, vendere i lavori, che faceva per vivere, si sostentava d’alcuni pochi frutti di palme, lavorando tuttavia ogni giorno con le proprie mani, et dimandando continuamente conto à se medesimo del lavoro, che faceva, come se fosse dovuto mantenersi di quella industria, et quando nel fin dell’anno si vedeva piena la spelonca di lavori, attaccava loro il fuoco, et gl’abbrusciava, mostrando in questo modo, ch’il monaco non puo stare in un luoco alcuno, ne defendersi da i cattivi pensieri altramente, che con l’esercitio delle proprie mani, oltra che Dio premia l’huomo della sua fatica nell’altro secolo. Era un’Eremita, c’haveva la cella lontana dall’acqua dodici miglia, et essendosi molto stancato una volta, ch’era andato per essa, disse. A che voglio io affaticarmi, potendo stare appresso all’acqua? Detto questo si vide uno di dietro, che gli veniva numerando i passi, et gli dimando, chi fosse. Il qual rispose, ch’era l’Angelo del Signore mandato à numerare i suoi passi, perche esso fosse remunerato della sua fatica, secondo c’havesse meritato, per il che l’Eremita preso maggior animo, ando ad habitar un pezzo più lontano di là.

Cap.XXV.

S’alcun Religioso sia esento dall’opere manuali.

Cominciando à fabricarsi molti monasterij di monaci in Africa ne i tempi di sant’Agostino, nacque fra loro una gran controversia, perche alcuni adducendo le citate parole dell’Apostolo. S’è alcuno, che non voglia lavorar, non mangi; dicevano, che bisognava lavorar con le proprie mani, et altri contradicendo, à questi tenevano, che non si dovesse lavorare, allegando in lor favore quelle parole dell’Evangelio. Respicite volatilia cœli, quoniam non serunt, neque metunt, neque congregant in horrea, et pater vester cœlestis pascit illa. cioè. Mirate gl’uccelli, che non seminan, ne mietono, ne ragunano cosa alcuna ne i granai, e’l padre vostro gli pasce. Et poco più oltra. Considerate lilia agri, quomodo crescunt: non laborant, neque nent. cioè. Considerate, come crescono i gigli campestri, et non lavorano, ne filano, et dicevano, che quelle parole di san Paolo si deveno intendere spiritualmente, quanto al mangiar la parola d’Iddio, et quant’all’opera della predicatione, et dell’osservanza de i precetti divini, poi che non giova mangiare, cioè, pascersi della parola divina, et non far poi l’opere d’edificatione per altri: Et tanto moltiplicava questa lor contesa, che quasi tutta la Chiesa n’era turbata, defendendo alcuni questi, et alcuni quegl’altri. Per il che sant’Agostino, pregato da Aurelio Vescovo di Cartagine à scrivere alcuna cosa sopra cio, per instruttione così de i monaci, come de gl’altri, ne compose un libro, et l’intitolo, De opere monachorum: nel qual dechiara, ch’à cert’hore, et à certi tempi si deve attendere all’oratione, et à cert’altre operar con le mani, et mostra, quanto sia necessario, et utile il lavoro manuale, ribattendo gl’argomenti de i contradittori, perche il Signore con quelle, et simili parole, che s’hanno nell’Evangelio, non vieto il lavoro, ma la disordinata sollecitudine, et non disse. Non lavorate. Ma: Non vogliate esser solleciti. Mostra anco espressamente per l’altre Epistole, et parole di san Paolo, ch’esso intese del lavorare, et mangiar corporale, come lavorava egli medesimo corporalmente. Et si deve desiderare, ch’essendo detti i Religiosi dal verbo latino, Religare, possono intendersi in doi modi. In un modo, che siano chiamati Religiosi, per esser religati, overo obligati à Dio con un privato legame, come fecero anticamente alcuni monaci, et come fanno hoggi i Becardi, o Lullardi, et altri simili, che non fanno professione in alcuna Religione, ma s’eleggono un così fatto modo di vivere à lor piacere. In un’altro modo, che sian chiamati Religiosi, per essersi obligati à Dio in perpetuo in una Religione con solenne professione di qualche Regola approvata, et questi sono in stato di Religione, ma gl’altri no. Percioche, stato, significa un certa fermezza, et pero si dice, stato, dallo stare. Quelli adunque, che sono ordinati alla Religione con queste due conditioni, cioè, con obligo perpetuo et con profession solenne, propriamente si dicono esser in stato di Religione, et colui, nel quale mancasse una di queste benche fosse Religioso, non sarebbe in stato di Religione. Quanto à i primi, essendo essi per la maggior parte laici, è cosa certa, che non sono in modo alcuno esenti dall’opere manuali, ne si comporta, che vivano d’elemosine, come determina espressamente sant’Agostino nel detto libro, De opere monachorum, non essendo conceduto questo à i laici, se non in quattro casi. Nel primo, se fossero poveri impotenti, et infermi. Nel secondo, se’l lavoro, che facessero, non bastasse à sostentargli. Nel terzo, s’alcuno venisse in povertà, ne sapesse fare esercitio, ne arte alcuna. Nel quarto, s’havesse dispensato ogni cosa à i poveri, ne havesse altro da poter vivere. Ma fuor di questi casi, non havendo i laici possessioni, ne rendite; sono obligati à lavorare, et vivere di qualch’arte lecita: Il che s’intende sotto questo nome d’opere manuali. Quanto poi à quei Religiosi, che sono in stato di Religione, bisogna distinguere: perche alcuni principalmente son nello stato pedetto, ne hanno officio alcuno annesso al loro stato, come furon quei primi Religiosi, che potevano esser per il più laici, et conversi, et questi non son liberi dall’opere manuali, ne hanno licenza di poter viver d’elemosine, come habbiam detto, et d’essi dice san Gieronimo quello, che s’è detto nel capitolo precedente, cioè, ch’i monasterij non sogliono accettar alcuno, che non sia atto à lavorare, et affaticarsi. Alcuni altri hanno qualche officio annesso allo stato della Religione, et questi parimente si distinguono, perche altri hanno officij appartenenti semplicemente alla vita attiva, la qual consiste nell’opere esteriori, et corporali, alcuni de i quali son deputati all’hospitalità, et servono à i poveri, et peregrini, alcuni sono applicati alla militia per difesa de i fedeli, et alcuni à liberar gli schiavi, che si posson chiamar tutte opere manuali, alle quali ogn’uno è obligato, secondo il carico, che ha. Alcuni altri Religiosi sono, c’hanno officij spettanti alla vita contemplativa, come quelli, ch’assistono all’officio Divino continuamente, et servono all’altare, alcuni de i quali oltra di cio attendono allo studio della Scrittura sacra, ad insegnare, et predicar publicamente la parola di Dio: ma questi, come tali, non sono obligati all’opere manuali, et posson vivere lecitamente dell’elemosine, o mobili, o immobili, pur c’habbian particolar privilegio di poter posseder beni immobili.

Ho detto; come tali; cioè, quando esercitano quegl’atti, à i quali son tenuti per i loro officij, che sono. Insegnare: Predicar publicamente: Servire all’altare, et studiar nella sacra Scrittura. De i Predicatori, et ministri dell’altare, dice sant’Agostino così nel libro; De opere monachorum. Se son predicatori, io confesso, che posson vivere alle spese de i fedeli, se son ministri dell’altare, o dispensatori de i sacramenti, non usurpano, ma con ragione si pigliano questa potestà, perche il sacramento dell’altare è commune, ovunque si faccia, à tutto il popolo de i fedeli. Di quelli, ch’attendono à gli studij, san Gieronimo nel libro contra Vigilantio dice così. Persevera in Giudea sin’al dì d’hoggi questa consuetudine, non solamente appresso di noi, ma anco appresso à gl’Hebrei, che son sovvenuti, et serviti da tutta la città quelli, che’l dì, et la notte meditano nella legge del Signore, ne hanno altro padre, che Dio. Anzi questo costume è non sol nella Giudea, ma era anco nell’Egitto, et nella Grecia, dove i Sacerdoti, à i quali si concedeva da principio, ch’attendessero ad investigar le scienze specolative, erano sostentati alle spese del publico, come fa fede Aristotele nel primo libro della Metafisica. Et si deveno intender le predette parole di sant’Agostino, quant’ha quelli, che per l’officio, c’hanno, sono obligati à servire all’altare, non di quelli, che dicono d’attendere all’oratione, et cantar Salmi: Et parimente di quelli, che sogliono ordinariamente insegnare, et predicar publicamente la parola d’Iddio per carico havuto dalla Sedia Apostolica, o da i Prelati Diocesani, et non di quelli, ch’alcuna volta posson riferire, o dechiarar le parole della sacra Scrittura ne i loro Oratorij, o Cappelle, o in altri luochi privati. Le parole di san Gieronimo parimente si deveno intender, quant’à quelli, che studiano assiduamente nella sacra Scrittura, et lo fanno per utilità di tutta la Chiesa, ma non di quelli, che o per devotione, o per imparare, leggono alcuna volta qualche cosa della Scrittura, ne studiano continuamente, come gl’altri, c’habbiam detto. Et che questa sia la vera intelligenza, si vede chiaramente da quello, che scrive sant’Agostino nel detto libro, De opere monachorum, dove dice così. Desidero di saper cio, che facciano i Dottori, che non vogliono operar corporalmente, et in che cosa spendano il tempo. Dicono, ch’attendono all’orationi, à i Salmi, alle lettioni, et alla parola di Dio. Questa senza dubbio è una santa vita, et lodevole nella soavità di Christo, nondimeno, se non debbiam separarci mai da questi esercitij, non doveremmo ancora mangiar mai, ne sarebbe necessario preparare ogni giorno le vivande, perche ci possano essere poste avanti, et mangiate, ma, se la necessità della fragilità nostra à sforza i servi di Dio ad attendere à queste cose ancora con certi intervalli di tempi, perche non deputiamo parimente alcune parti de i tempi all’osservanza de i precetti de gl’Apostoli, essendo più facilmente esaudita un’oratione d’una persona obediente, che diece millia d’un disprezzatore. Quelli ancora, che lavorano con le proprie mani, posson facilmente cantare i Divini Cantici, et quasi alleggerir la fatica con la divina harmonia. Non sappiam noi in quali vanità, et molte volte in quali dishonestà di favole Teatrali, gl’artefici impieghino i cuori, et le lingue loro, benche pero non restino di lavorare? Qual cosa adunque impedisce il servo d’Iddio, che lavora manualmente, nel meditar la legge del Signore, et lodare il nome dell’altissimo Iddio, sì ch’egli debba haver tempi appartati, per imparar quelle cose, che si posson considerar con la memoria? Et soggiunge. Quelli veramente, che dicon d’attender alla lettione, non vi trovano forse quello, che commanda l’Apostolo? Che perversità è questa adunque, mentre si vuole attendere alla lettione, non voler obedirla, et non voler far quello, che si legge, per haver’à leggere più lungamente quello, ch’è buono? Et poi seguita, parlando della predicatione, et dice. S’alcuno deve fare un Sermone, et è così occupato, che non ha tempo da poter lavorar manualmente, posson far questo forse tutti quelli, che son nel monasterio? Non potendo adunque farlo tutti, perche vogliono sotto questo pretesto lasciar di lavorare, ancorche se ben potessero tutti, doverebbono farlo à vicenda, non solamente, accioche gl’altri non fossero impediti nell’opere necessarie, manco, perche basta, ch’uno ragioni, et molti ascoltino. Oltra di cio, come haverebbe atteso l’Apostolo all’opere manuali, se non havesse deputato alcuni tempi determinati à predicar la parola di Dio? Queste son parole di sant’Agostino, dalle quali si vede à qual sorte di Religiosi sia lecito viver dell’elemosine de i fedeli, et ch’essi non sono obligati al lavoro manuale, mentre stanno impiegati ne i predetti officij. Ma perche non tutti i frati d’un medesimo monasterio sono occupati in questi esercitij, o almeno non ci attendono ogni giorno, anzi la maggior parte d’essi, o non sa, o non puo attenderci; quei tali non hanno in modo alcuno quest’esentione, secondo l’intention di sant’Agostino, come si vede in quest’ultime parole, dov’egli dice. Posson far questo forse tutti quelli, che son nel monasterio? Et poco più di sopra. Perche non deputiam parimente alcune parti de i tempi all’osservanza de i precetti de gl’Apostoli? percioche; se ben quei tali son liberi da quest’obligo, quanto allo stato, et officio, che tengon nell’Ordine loro; non son pero disobligati, quanto à quello, che deveno far le persone, che non hanno carico alcuno, essendo per altro tenute al lavoro manuale, quando lor sia commandato da i Superiori; havendo specialmente desiderato l’istesso padre nostro di lavorar con le proprie mani, se ben per l’officio Episcopale haveva il vivere alle spese della chiesa sua, et per le innumerabili molestie, che sentiva per l’altre chiese, era esento dall’opere manuali, ond’egli nel citato libro De opere monachorum, dice così. Benche noi potremmo dire. Chi fa l’arte del soldato à sue spese? Chi pianta la vigna, et non mangia de i suoi frutti? Chi pasce il gregge, et non partecipa del latte di esso? Nondimeno io chiamo in testimonio sopra l’anima mia il Signor GIESU CHRISTO, nel nome del quale dico questo sicuramente, che quanto s’appartiene alla mia commodità, molto più volontieri vorrei fare alcun lavoro con le proprie mani ogni giorno à cert’hore, come s’usa ne i bei governati monasterij, et haver l’altr’hore libere da leggere, overo onorare, o trattar qualche cosa delle divine lettere, che sopportare i tumultuosissimi intrichi dell’altrui cause, o quanto à definire i negotij secolari, giudicando, o quanto al troncargli inanzi, componendogli, alle quali molestie ci ha condannato il medesimo Apostolo, non per volontà sua, ma di colui che parlava in lui. Et per ristringere ogni cosa in una parola; il precetto dell’Apostolo; (secondo l’intelligenza di sant’Agostino nell’allegato libro De opere monachorum;) non fa esento alcuno dalle opere manuali, fuor che i successori, et gl’imitatori de gl’Apostoli. I successori sono i Vescovi, (come dice il cap. in Novo testamento. 2 I. Distinctione,) i quali vivendo delle lor chiese per la cura dell’officio pastorale; son liberi da quest’obligo. Gl’imitatori de gl’Apostoli son quelli, che per auttorità, o Apostolica, o Episcopale son deputati à predicar publicamente, et generalmente la parola di Dio, per il che, si come gl’Apostoli havevano licenza per divina dispositione di viver della predicatione, havendo lor detto Christo. Manducate, quæ apponuntur vobis: dignus est enim operarius mercede sua. cioè. Mangiate quello, che vi vien messo inanzi; perche l’operario merita la sua mercede; così anco quest’altri, che predicano, godono l’istessa esentione, della quale non volse pero servirsi san Paolo, per non dar sospetto à i Gentili, ch’egli andasse vendendo l’Evangelio. Sono anco altri imitatori de gl’Apostoli, c’hanno dispensato tutte le lor sostanze à i poveri, et seguitando il Signore, sono entrati nella Religione: Et à questi, secondo sant’Agostino è conceduto poter viver de i beni de i fedeli, et facendo essi qualche lavoro manuale, fanno un’opera di maggior misericordia, che non fecero quando dispensoron tutti i lor beni à i poveri, ma se non volessero lavorare, che haverebbe ardire d’astringergli? Si deveno ben deputare ad alcune opere in servitio del monasterio, che se ben saranno più libere di fatica corporale, habbian pero bisogno d’esser fornite con maggior sollecitudine, et vigilanza, accioche essi ancora non mangino senza merito il pane, già fatto commune, com’egli dice. E se si deve tener questa regola co i ricchi, che vengon da più delicati costumi al monasterio, quanto più si deve osservare il sopradetto precetto dell’Apostolo, S’è alcuno, che non voglia lavorare, non mangi, in quelli, che come considera sant’Agostino nel medesimo libro, vengono dalla vita rustica, da gl’esercitij mecanici, et dalle fatiche de i plebei alla Religione? Pero, chi vuol mangiare, deve lavorare, anzi chi vuol mangiar più de gl’altri, deve à proportione lavorare anco più, si deve misurar la quantità del lavoro con la portione di quello, che si mangia, il che è conforme alla Regola portata dall’Angelo à san Pacomio, il quale stando una volta lungamente in oratione, (come nella sua vita si legge,) udì una voce dal Cielo, che gli disse. Son per venire à trovarti molti desiderosi di viver bene per mezo de i tuoi documenti, pero gli guidarai con la Regola, ch’io ti mostraro: Et subito gl’apparve l’Angelo del Signore, che gli portava una tavola, dov’era scritta la forma della vita, che s’havesse ad insegnare à qualunque fosse andato alla disciplina di quel monasterio, et fra gl’altri precetti, v’era notato questo. Lascia, ch’ogn’uno mangi, e beva, secondo le forze sue, et fa che ciascuno lavori, secondo che mangia, ne vietarai ad alcuno il mangiare, o il digiuno contra sua voglia. A i più gagliardi, et à quelli, che mangiaranno più, imporrai i carichi più faticosi: Et à i più debili, et astinenti i pesi più leggieri. Si legge nelle Vite de i Padri, ch’essendo andato un frate à trovar l’Abbate Silvano nel monte Sinai, et havendo veduto, ch’i monaci lavoravano, disse loro. A che effetto v’affaticate voi per il cibo, che si perde? Maria fece un’ottima elettione. All’hora il vecchio disse ad un suo discepolo. Dagli un libro da leggere, et mandalo in quella cella vota. Il frate venuta l’hora di Nona, si guardava intorno, se forse il vecchio l’havesse chiamato à mangiare, ma non essendogli detto niente, ando à trovarlo, et disse. Non hanno forse ancor mangiato i frati, o padre Abbate? Et dicendogli il vecchio, che sì: Replico. Et perche non havete chiamato me ancora? Tu sei huomo spirituale, (rispose l’Abbate,) et non hai bisogno di mangiare, ma à noi, che siamo huomini carnali, è necessario mangiare, et pero lavoriamo, et tu hai eletto la buona parte, leggendo tutto il giorno, et non ti curando di pigliar cibo corporale. Per le qual parole il frate comincio à ravvedersi, et disse. Perdonatemi padre Abbate. Et egli seguito. E necessaria senza dubbio Marta à Maria, et per Marta fu lodata Maria. Eran doi fratelli, il minor dei quali, c’haveva nome Giovanni, disse al maggiore. Io vorrei esser quieto, come gl’Angeli, che non fanno cosa alcuna, ma attendon solamente à lodar Dio di continuo, et gettato il mantello, ando all’Eremo, dove fermatosi una settimana, torno al fratello, il quale, bench’egli picchiasse all’uscio, non gli volse aprir, ma disse. Chi sei tu? et rispondendo colui, ch’era Giovanni, il fratello replico, dicendo che non gli credeva, perche Giovanni era diventato un’Angelo, et benche esso pregasse, et affermasse, ch’era Giovanni, non volse mai aprirgli l’uscio sin’al giorno, la mattina poi l’aperse, et gli disse. Se tu sei huomo ti bisogna lavorare. All’hora il fratello gli si getto a i piedi, pregandolo, che gli perdonasse. Si narra nelle medesime Vite, che ricercando l’Abbate Lucio ad alcuni frati, ch’erano andati à visitarlo, s’eran solleciti ne gl’esercitij manuali, et essi rispondendo, che non facevano cosa alcuna di propria mano, ma stavano continuamente in oratione, secondo il consiglio dell’Apostolo, disse loro. Non mangiate? Ma essi tacquero, et egli soggiunse. Non dormite? Dormiamo, risposero. Ma quando dormite; (replico l’Abbate;) chi fa oration per voi, ne sapendo essi, che rispondere, seguito. Perdonatemi fratelli. Voi non fate, come havete detto. Ma vi diro, come io lavorando stia in continua oratione. Mi metto à seder la mattina sino ad una cert’hora ordinaria, et messe nell’acqua alcune poche foglie di palma, ne fo delle treccie per le sporte, dicendo intanto Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam, et secundum multitudinem miserationum tuarum dele iniquitatem meam. Dapoi finito il lavoro; et fatti alcuni vasi, et alcune poche cordicelle; tanto ch’io ne cavo quindici denari; doi ne dispenso à i poveri, et gl’altri mi tengo per vivere, et quand’io mangio, o dormo, essi suppliscono continuamente all’oration mia per i miei peccati.

Cap.XXVI.

Dell’opere convenienti à i frati di sant’Agostino.

Debbiamo esaminar diligentemente, quali opere sian più convenienti à i frati di sant’Agostino. Et certamente, se si mira allo stato moderno non è dubbio, che l’Ordine è fondato principalmente sopra l’opere spirituali, che s’appartengono alla vita contemplativa, le quali son queste. Cantare i divini officij. Servire all’Altare. Orare. Dire i Salmi. Attendere alla lettione, overo allo studio della Scrittura sacra. Insegnare, et predicar la parola di Dio. Ascoltar le confessioni de i fedeli, et procurar la salute dell’anime con la dottrina, e con gl’esempij: Et che questi siano i fondamenti dell’Ordine, si vede così da i Privilegij conceduti alla Sedia Apostolica, come da quello, che s’osserva universalmente tra i fedeli, et è confermato dalla Chiesa Romana. Per le quali opere puo senza dubbio la Religione pretender giuridicamente di viver delle contributioni, et elemosine de i fedeli, come s’è detto di sopra: Ma percioche non posson tutti, o non sanno far questo, et quelli, che possono, o sanno, non lo fanno sempre; (come dice sant’Agostino nel libro allegato di sopra;) ci sono anco altr’opere appartenenti alla vita attiva, nelle quali è necessario, che i frati s’impieghino, secondo i tempi, quando sia lor commandato da i Superiori, et son queste. Andare alla cerca, et caminare in questa, et in quella parte per l’elemosine, et per procurare, et maneggiar altri negorij, necessità, et utilità del monasterio, che si trattan di fuori. Nel convento parimente deveno i frati attender con ogni industria à satisfare alle communi obedienze, non sol quelli, che son deputati, à gl’officij particolari; (come il sacristano, lo speciale, il procuratore, il celerario, il cuoco, l’infermiere, il portinaio, et gl’altri habbian qualsi voglia carico; à i quali tutti commanda sant’Agostino nella Reg. che servano senza mormoratione; ne possono esercitar questi officij, se non operano manualmente, onde così fatti officiali, che servon bene, si posson computare fra gl’operarij manuali;) ma anco gl’altri, à i quali viene imposta da i Superiori alcuna determinata obedienza per un tempo, ne si presume che tutti questi mangino il lor pane indarno, come egli vuole nel luoco citato di sopra.

Ci sono anco dell’altre opere manuali, con le quali si serve non inutilmente al monasterio, secondo la diversità dell’arti mecaniche, di che le persone particolari sono diversamente dotate, come scarpellini, legnaiuoli, calzolari, lanaiuoli, rappezzatori, sartori, fornari, quelli, che fanno la cervosa, vignaiuoli, hortolani, assistenti à gl’infermi, medici, et Dottori di leggi: Et più scrittori, et legatori di libri, et altri artefici di diverse professioni. Di queste, et simili opere parla san Gieronimo, scrivendo à Rustico monaco, et se ne fa mentione nel cap. Nunquam. alla quinta Distintione, De Consecratione. Le cui parole son queste. Non si parta mai li libro delle tue mani. Impara tutto il Salterio. Ora continuamente. Fa sempre qualche cosa, accioche il Diavolo ti trovi sempre occupato. Et più oltra. O tessi qualche sporta di giunchi, o fa qualche canestro di tenere vimine. Zappa il terreno, ripartendo le porchette egualmente, et quando vi saranno seminate l’herbe, o poste le piante per ordine, condurrai l’acque per inaffiarle. Et più di sotto. S’inestino gl’arbori, che non fanno frutto, à occhio, overo à taglio, accioche in poco tempo tu possa spiccarne i dolci frutti della tua fatica. Et poco dapoi. Si tessan le reti per pigliare i pesci: Si scrivano de i libri, accioche, et la mano si procuri il cibo, et l’animo si satij della lettione. I predetti adunque, et simili operarij, o maestri d’arte deveno servir senza mercede; secondo il talento dato da Dio à ciascuno; à gl’altri frati, et à i conventi, come i lor Priori commandaranno tanto, che niuno possa senza licenza del Superior suo lavorar per se, ne per altre persone fuor del convento; Ed s’ad alcuno de i frati fosse conceduto poter scriver libri à qualcheduno dell’Ordine, o fare altra opera, della quale ricevesse denari, o qual si voglia emolumento, deve dispensare il tutto ne i bisogni proprij, et d’altri, secondo la volontà del suo Superiore. Fuor dell’Ordine non sia lecito ad alcuno lavorare à prezzo, ne lavorando per un’amico, che sia fuor del convento, ricever pagamento in modo alcuno, come si contiene nel secondo capitolo delle Constitutioni dell’Ordine, et questo è quello, che dice il Padre nostro nella Regola. NULLUS sibi aliquid operetur, sed oima opera vestra in unum siant maiori, et frequentiori alacritate, quam, si vobis singulis propria faceretis. cioè. Niun faccia alcun lavoro per se stesso, ma tutte le fatiche vostre s’impieghino à beneficio commune con maggior diligenza, et più volontieri, che s’ogn’un di voi le facesse per se medesimo. Et nel libro citato, De opere monachorum, dice. Se gli antichi Principi di questa terrena Republica, solevano esser lodati dall’eloquenza de i lor dotti, perche antiponevano il ben commune di tutto il Popolo della lor Città alle cose proprie, tanto ch’un d’essi, c’haveva trionfato dell’Africa, non haveva, che dar delle sue facoltà alla propria figliuola, che si doveva maritare, se per decreto del Senato non era dotata del denaro publico, quale animo deve aver verso la sua Republica il Cittadino dell’eterna Città della celeste Gierusalem, se non, che quello, ch’egli acquista con la fatica delle proprie mani, sia commune al suo fratello, et supplisca à quello, che gli manca del commune, dicendo con colui; (il cui precetto, et esempio seguita particolarmente ne lavoro manuale;) di esser simile à quelli, che non hanno niente, et possedono, ogni cosa?

 

 

Cap. XXVII.

Che si deve fuggir l’otio.

Il predetto padre nostro sant’Agostino nel Sermone, de otiositate fugienda, à gl’Eremiti, che comincia, Apostolus Petrus, ci esorta à servir diligentemente, in così fatti bisogni del monasterio, dicendo. Sù fratelli miei amatissimi, corona mia, et allegrezza mia discacciate totalmente l’otio, et fate sempre qualche bene, et quelli, à i quali incresce orare, et cantar Salmi, non sian pigri à lavorar di propria mano, considerando, che David mentre stette ne gl’esercitij militari, non hebbe molestie di carne, ma quando rimase in casa otioso, fu oppresso dall’adulterio, et commise l’homicidio. Sansone nelle battaglie, c’hebbe co i Filistei, non puote esser preso da gl’inimici, ma subito, che s’addormento in grembo ad una femina, et si trattenne seco otiosamente, resto prigione, et fu privato de gl’occhi. Et Salamone, mentre s’occupo nell’edification del Tempio, non fu tentato di lusuria, ma finita l’opera, sentì subito gl’assalti carnali, et da essi instigato adoro gl’Idoli. Et soggiunge. Io desidero, che v’occupiate in qualche honesto esercitio, et che ricuperiate nell’Eremo lavorando per l’avenire quello, c’havete perduto al secolo per il passato. Molt’altre cose intorno à questo dice sant’Agostino nel detto Sermone, mettendo l’esempio di sant’Antonio, del qual si parla di sopra nel cap. II. del libro precedente. S’adoperino adunque i frati, secondo il particolar dono, che ciascuno ha havuto da Dio, o di scienza, o d’arte, per non esser condannati nel tremendo giudicio col servo pigro di non haver negotiato il lor talento, accioche facendolo, sian sempre trovati occupati dal Demonio, dal quale non è preso facilmente, chi attende ad un buon esercitio, come dice san Gieronimo. Habbiamo à questo proposito l’esempio di Maestro Henrico di Urimaria, il qual non soleva tralasciar le buone opere, percioche oltra alcuni brevi intervalli di tempo, ch’egli spendeva nelle necessità naturali, o stava in oratione, o studiava, o scriveva, o faceva qualche esortatione à gl’altri, o s’occupava nella commune utilità della Religione, o del convento, o intorno alla salute dell’anime, anzi riprendeva aspramente l’otio ne gl’altri, biasimando specialmente nelle publiche prediche, et nelle private esortationi quelli, che volevano; (come si dice in proverbio;) passare il tempo, o trattenersi con solazzi otiosi, ricordandosi di quello, che dice san Bernardo nel sermone de gli scolari, le cui parole son queste. Niun di voi stimi poco il tempo, che si consuma ne i ragionamenti otiosi. Vola la parola, ne si puo ricuperare, vola il tempo, ne si puo far tornar’a dietro, ne s’avede l’huomo ignorante della perdita, che fa, mentre passa l’hora, concedutagli dalla misericordia del Creatore, perche faccia penitenza, perche impetri il perdono de i suoi peccati, perche s’acquisti la gratia, et si guadagni la gloria. Et sogginge. Nuina cosa è più pretiosa del tempo: Ma ohime niuna cosa è meno apprezzata del tempo. Passano i giorni della salute, ne è, chi ci consideri. Non è chi si curi, che’l giorno gli manchi, et non debba tornar più, ma si come non è per perire un capello del capo così non doverà perire pur un momento del tempo. Di che se ne ha un’esempio di sopra nel cap.22. del presente libro. Facciam bene adunque, mentre habbiam tempo, come ricorda l’Apostolo nell’Epistola à i Galati al sesto capitolo. Pero dice san Gieronimo à Demetriade. Oltra l’esercitio dell’altre hore, delibera quant’hore tu habbia à legger la sacra Scrittura, non per affaticarti, ma per pigliar diletto, et per instruttion dell’anima, et come haverai consumato questo tempo, pigliarai la lana in mano, et ti metterai à filare. Et poi c’ha numerato diversi esercitij feminili, seguita. Se tu ti occuparai in così gran varietà d’esercitij, i giorni non ti saranno mai lunghi, ma se ben fossero, come quelli della state, non lasciando di far qualche lavoro, ti pareranno brevi. S’osserverai questo, salvarai te medesima, et l’altre, et sarai maestra d’una santa vita, et guadagnarai con beneficio di te stessa la castità di molte, dicendo la Scrittura. Sempre desidera l’huomo otioso. Si legge nel libro de i miracoli, ch’essendo in oratione un sant’huomo udì una voce, che piangeva miserabilmente, et dimandando, chi fosse, gli fu detto, che quella era un’anima dannata, che piangeva la sua dannatione, et che fra tutti i suoi peccati, sentiva particolar rammarico della perdita del tempo, che Dio gl’havea dato, poi che in un brevissimo spatio di esso, haverebbe potuto far penitenza, et liberarsi dalle pene infernali. Chi vuol saper qual sia la parola otiosa, ascolti quello, che dice san Gieronimo sopra san Matteo. Otiosa parola è quella, ch’è detta senza utilità di chi la dice, et di chi l’ascolta, quando lasciate le cose importanti, parliam delle vane, e raccontiam le favole antiche. Ma chi replica le brutte, et ridicolose, et è dissoluto, et immoderato nel riso, dicendo qualche dishonestà, non sarà tenuto reo d’otiose, ma di vitiose parole. Si trova nelle Vite de i Padri, ch’un santo padre, à cui Dio haveva rivelato molti secreti, quando tal volta i frati sedendo, et parlando insieme, trattavano delle Scritture sante, et di cose appartenenti alla salute, vedeva, che gl’Angeli santi stavano lor d’intorno con allegrezza, et quando dicevano parole otiose, si partivano sdegnati, et ci venivano porci lordissimi, et pieni d’immonditia, i quali erano i demonij, che in forma di porci si rivoltavan fra loro, et si pigliavan piacer de i lor vani ragionamenti. Nel detto libro de i miracoli si trova, che scrivendo il Diavolo le parole otiose, che si dicevano in una chiesa, et non bastandogli la carta, dov’egli scriveva, si mise ad allargarla con le mani, et co i denti, talmente, che stirandola con molta forza, urto con la testa nel muro, il che vedendo un sant’huomo, gli dimando, che cosa facesse, et esso gli racconto, quanto habbiam riferito. Ma ogni religioso che vuol conoscere, s’è otioso, o se opera qualche cosa, ogni sera prima, che vada, o poi, che sarà andato à letto, faccia conto seco medesimo; (come insegna san Bernardo nel suo specchio;) et esamini come habbia speso quel giorno, et chiamati i suoi pensieri, faccia con essi un diligente discorso, et riveda, che peccato habbia commesso quel giorno, col pensiero, con le parole, et con l’opere, et s’è stato publico, o privato, et così lavi ogni notte il letto suo, cioè mondi la propria conscienza con lagrime di compuntione, con animo d’accusarsi de i peccati palesi publicamente nel seguente Capitolo, et di confessarsi de gl’occulti secretamente, et havendo fatto quel giorno qualche buona opera, non l’attribuisca à se stesso, ma l’offerisca à Dio, di cui essa è, lodandolo, et ringratiandolo.

Cap. XXVIII.

Della castità, et pudicitia de i frati.

La castità ancora è giudicata appartenersi à quell’unione dell’anima, di cui ho parlato di sopra nel Capitolo primo, et nel quartodecimo di questo libro, percioche separa l’huomo dalla carne, et congiunge l’anima con Dio, onde dice sant’Agostino nel libro, De beata vita, che colui è veramente casto, c’ha l’animo intento à Dio, et à lui solo s’accosta. Di quà nasce, che l’anime caste, che son congiunte con Dio, si legano insieme così fortemente, per amor divino, c’hanno quasi una sola anima con Dio, et all’incontro l’incontinenza sommerge tutto l’huomo nella carne; et separa l’anima da Dio, anzi da se medesima, onde i corpi de gl’huomini incontinenti si uniscono col mezo dell’amor carnale, di modo che per la copula diventano una sola carne, come è scritto. Erunt duo in carne una. cioè. Saranno doi in una medesima carne. Oltra di questo, si come l’obedienza è una virtù, ch’affrena l’appetito superiore, il qual è la volontà, et è inteso per il cuore, come s’è detto di sopra, così la castità è una virtù, che affrena l’appetito inferiore, il qual s’intende per l’anima, come tiene il Commentatore sopra quell’auttorità d’Aristotele, al cap. terzo, * dicendo. La castità è il freno, et la conservatione dell’amore, et de gl’appetiti dal disordinato amare, et desiderare. Si come adunque da questa union di cuore si genera, et si nutrisce la virtù dell’obedienza, così dall’union dell’anima; (quanto essa si mantien casta, et non trascorre nell’appetito inferiore;) vien generata, et nutrita la virtù della castità. Et percio il Maestro nostro, quando ci commanda nella Regola, ch’osserviamo la pudicitia, così dice. OCULI VESTRI; et si iaciantur in aliquam fœmina rum; sigatur in nullam: neque enim; quando proceditis; fœminas videre prohibemini, sed appetere, vel ab ipsis appeti velle, criminosum est: nec solo tacito affectu, sed affectu, et aspectu quoque appetitur, et appetit concupiscentia fœminarum. Nec dicatis vos habere animos pudicos, si habeatis oculos impudicos, quia impudicus oculus impudici cordis est nuntius: Et cum se invicem sibimet; etiam tacente lingua; conspectu mutuo corda nuntiant impudica, et secundum concupiscentiam carnis alterutro delectantur ardore; etiam intactis ab immunda violatione corporibus; fugit castitas ipsa de moribus. Nec putare debet, qui fœminam figit oculum, et illius in se ipsum diligit fixum, ab alijs se non videri, cùm hoc facit: videtur omnino, et à quibus se videri non arbitratur. Sed et si lateat, et à nemine hominum videatur, quid faciet de illo desuper inspectore, quem nihil latère potest? An ideo putandus est non videre, quia tanto videt sapientus, quanto patientius? Illi ergo vir sanctus timeat displicere, ne velit fœminæ malè placere. Illum cogitet omnia videre, ne velit fœmina malè videre. Illius namque in hac causa commendatus est timor, ubi scriptum est. Abominatio est Domino defigens oculum. Quando ergo simul estis in ecclesia; et ubicunque fœminæ sunt; invicem vestram pudicitiam custodite: Deus enim, qui habitat in vobis, etiam isto modo custodiet vos ex vobis. cioè. Non fermate gl’occhi in niuna donna, ancorche ne guardiate qualcheduna: Ne percio vi si vieta, che guardiate le donne, quand’uscite fuori; ma desiderarle, o voler esser desiderato da esse, fa altrui colpevole, perche non è desiderata, ne desidera la concupiscenza delle donne solamente col tacito affetto dell’animo, ma con l’affetto, e con gli sguardi. Ne dite d’haver gl’animi casti, se havete gl’occhi lascivi, perche l’occhio lascivo è messaggiero del lascivo cuore: Et quando i cuori lascivi s’avisano l’un l’altro con scambievoli sguardi, anco senza parlare, et si compiacciono del commune ardore; secondo il desiderio carnale; i costumi si fanno dishonesti, benche i corpi non si congiungano insieme dishonestamente. Ne deve pensar; chi ferma gl’occhi in qualche donna, et ha caro d’esser mirato da essa attentamente; di non esser veduto da gl’altri, quando fa questo: Percioche è veduto senza dubbio, et da quelli appunto, da i quali non giudica d’esser veduto. Ma supponiamo, che cio non si sappia, et che huomo alcuno non lo veda; come si nasconderà egli da colui, che stando di sopra, vede, et fa ogni cosa? Si deve forse creder, ch’egli non veda, perche vede con tanta maggior patienza, quant’è maggior la sua sapienza? L’huomo santo adunque tema di dispiacere à lui, per non voler piacere ad una donna con peccato: Pensi, ch’egli veda il tutto, per non voler veder una donna con peccato. Percioche il timor di colui è in cio particolarmente lodato; dove dice la Scrittura. E un’abominatione inanzi à Dio, chi ferma l’occhio. Pero, quando sete nella chiesa; o dovunque sian donne; guardate l’un per l’altro la castità vostra: Perche Dio, c’habita in voi, anco in questo modo vi custodirà l’un per l’altro. Dov’egli ci da il precetto della castità, supponendo il precetto Divino. Non mœchaberis. Non commetter adulterio, per il quale egli dice esser prohibito, ogni illecito uso delle membra genitali, essendo tutti gl’huomini obligati ad osservarlo, altramente saria stato superfluo farne mention nella Regola, onda supposta la prohibitione dell’atto vitioso, prohibisce la causa, et l’opportunità del vitio, dicendo. Non fermate gl’occhi, etc. Percioche, se la concupiscenza nasce; (come dice Ugone in quel luoco;) dagli sguardi illeciti, onde vien violata l’integrità della mente, è necessario, che’l servo di Dio affreni gl’occhi, per non offenderlo con la concupiscenza, et immonditia del cuore, et per non traboccare, offendendolo, nel precipitio, dicendo il Signor dell’Evangelio. Qui viderit mulierem ad concupiscendum eam, iam mœchatus est eam in corde suo. cioè. Chi mirarà una donna con desiderio dishonesto, già nel cuor suo ha commesso seco adulterio. Dove l’Evangelio supplisce esplicitamente à quello, che conteneva la legge implicitamente, dicendosi in san Matteo al quinto capitolo. Audis, quia dictum est antiquis: Non mœchaberis. Ego autem dico vobis: Qui viderit mulierem. etc. cioè. Havete inteso che fu detto à gl’antichi: Non commettere adulterio. Et io vi dico. Chi guardarà una donna, etc. Nel qual luoco dice san Gieronimo. Chi guardarà una donna con desiderio lascivo, cioè: se la mirarà talmente, che la desideri lusuriosamente, et si disponga à peccar seco, ha senza dubbio commesso adulterio nel cuor suo, non mancandogli altro, che’l luoco, et la commodità. Ma altramente sarebbe, se la guardasse senza desiderarla. Pero aggiunge sant’Agostino. NEQUE videre fœminas prohibemini, sed appetere, aut ab ipsis appeti velle, criminosum est. cioè. Ne vi si vieta, che guardiate le donne, ma desiderarle, o voler esser desiderato da esse, fa altrui colpevole. Non è adunque vietato, che si guardino le donne, ma sì bene, che vi si fermino gli sguardi, che rare volte accade senza desiderio dishonesto, onde dice san Gio. Grisostomo. Se tu vorrai affissar continuamente gl’occhi nelle belle faccie, restarai prigione senza fallo, se ben potrai guardartene due, o tre volte, perche tu non sei fuor della conditione humana. Et se ben altri nell’hora, che le vede, starà continente, nondimeno l’imagine di quella bellezza; (dice san Gregorio;) legata una volta al cuore per gl’occhi, à pena, che si potrà sciorre con la forza d’una gran battaglia, et come discorre il predetto Grisostomo. Quando si vede una donna, et s’accende la fiamma del desiderio, et dapoi l’huomo forma nell’idea propria alcuni pensieri di brutte operationi molte volte si viene all’atto. Percio disse colui ne i Treni al terzo cap. Oculus meus deprædatus est animam meam. cioè. Il mio occhio m’ha rubato l’anima. Et Democrito; (come recita Tertulliano;) si trasse gl’occhi, perche non poteva veder le donne, che non le desiderasse. Si narra nelle Vite de i Padri, c’havendo sant’Antonio dimandato à Didimo, huomo dottissimo, et cieco, se sentiva dispiacer d’esser privo de gl’occhi carnali, et havendogli esso risposto, che sì; gli disse. Mi meraviglio, ch’un’huomo prudente s’attristi della perdita di quella cosa, c’hanno anco le formiche, le mosche, e le pulci, et non si rallegri più tosto di posseder quella, c’hanno meritato d’haver solamente gl’Apostoli, et gl’altri Santi, essendo di maggior importanza veder con lo spirito, che con la carne, et posseder più tosto quegl’occhi, ne i quali non puo entrar festuca alcuna di peccato, che quelli, che col solo sguardo possono col mezo della concupiscenza mandar l’huomo à morir nel fuoco infernale. Si legge, c’havendo Pietro Abbate di Chiaravalle perduto un’occhio per una grande infermità, soleva dir dapoi scherzando, che s’era liberato da un’inimico, et c’haveva maggior paura di quello, che gl’era restato, che di quello, c’haveva perduto. Sapendo adunque il padre nostro sant’Agostino, come dice Ugone, che l’animo interiore è corrotto dalla vita esteriore, ci vieta, che guardiamo fissamente quelle cose, che non si deveno desiderare. Se n’ha l’esempio nel santissimo David, il quale perche non solamente indrizzo, ma fermo gl’occhi in una donna, vinto da illecito appetito, commise l’adulterio, et l’homicidio. Pero; se un’huomo così grande cadde nel peccato per la negligenza de gl’occhi; noi, che siamo tanto lontani dalla santità sua, che debbiam presumer di noi, poiche la concupiscenza, ch’è inserita naturalmente nella carne nostra, è molto facilmente incitata contra lo spirito da gl’occhi, et da i pensieri nostri, et anco dalle suggestioni de i cattivi Angeli? Et se dalla mente non è difesa con l’aiuto della gratia divina gagliardamente, viene atterrata, et superata dall’impeto della carne. A questa difesa, o battaglia ci esorta il Signor nell’Evang. di S.Matt. al c.19. dove, poi c’ha detto. Sunt Eunuchi, qui seipsos castraverunt propter Regnum Cœlorum. cioè. Si trovano Eunuchi, c’hanno castrato se medesimi per acquistare il Regno de i Cieli; soggiunge subito. Qui potest capere, capiat. cioè. Chi lo puo far, lo faccia. Nel qual luoco dice san Gieronimo. Questa è la voce del Signore, ch’esorta, et sveglia i suoi soldati al premio della castità, quasi che dica. Chi puo combatter, combatta, vinca, et trionfi. Ne è esento alcuno, secondo la legge commune, da questa battaglia, com’egli dice, scrivendo ad Eustochio con queste parole; che son registrate nella 32. quest. 5. Se Paolo Apostolo, Vaso d’elettione, et chiamato separatamente à predicar l’Evangelio di Christo, quantunque castighi il suo corpo per gli stimoli carnali, et per gl’incentivi de i vitij, riducendolo in servitù, per non esser trovato reprobo, mentre predica à gl’altri, vede una legge nelle sue membra, che resiste alla legge della mente sua, et lo fa prigion nella legge del peccato: Se dopo la nudità, i digiuni, la fame, la carcere, i flagelli, et i supplicij grida: O me infelice huomo, chi mi liberarà dal corpo di questa morte? Pensi tu di dover esser sicuro? Guardati ti prego, che Iddio non dica una volta di te. La vergine d’Israele è caduta, ne è chi la sollevi. Questo dice san Gieronimo.

Cap.XXIX.

Dell’utilità, che si trahe dalla battaglia della carne con lo spirito.

Si deve nondimeno sapere, che questa battaglia, della carne, con spirito, di cui dice l’Apostolo. Caro concupiscit adversus spiritum, et spiritus adversus carnem. cioè. La carne desidera contra lo spirito, et lo spirito contra la carne; è inserita in noi à beneficio nostro per otto utilità, che ce ne vengono.

La prima delle quali, secondo Gio. Cassiano, è, che questo stimolo accusa prestamente le negligenze nostre, et à guisa d’un diligentissimo pedagogo, non ci lascia prender camino diverso dalla regola della disciplina, et quando la sicurezza nostra eccede un poco la misura della necessità, subito co i flagelli de gl’incentivi ci stimola, et riprende, richiamandoci alla convenevol continenza, percioche saremmo pigri senza rimedio, se non havessimo un giudice residente nel corpo nostro, et nelle conscienze nostre, et da l’esempio ne gl’Eunuchi, che son pigri ne i desiderij della virtù principalmente, perche non si sentono essere in pericolo alcuno di corromper la castità. Si parla nelle Vite de i Padri, d’un frate, ch’essendo combattuto dallo spirito della fornicatione, s’opponeva valorosamente, con l’aiuto della divina gratia à i pessimi, et immondi pensieri del proprio cuore, affliggendosi grandemente con digiuni, con orationi, et con opere manuali, il che considerando l’Abbate suo gli disse una volta. Figliuolo, se tu vuoi io pregaro Dio che ti liberi da queste tentationi. A cui esso rispose. Padre. Io vedo, che se ben m’affatico, ne sento nondimeno molto guadagno, perche con l’occasion di questa battaglia digiuno, et tolero le vigilie, et l’orationi, che non farei. Non dimeno vi prego, che m’impetriate dalla misericordia sua tanta forza, ch’io possa portar queste fatiche, et combatter leggitimamente. Hora conosco figliuol mio; (replico il vecchio;) che tu intendi questo fedelmente credendo, che la guerra spirituale ti sia di giovamento col mezo della penitenza per la salvezza dell’anima tua, dicendo l’Apostolo. Bonum certamen certavi, etc. Io ho combattuto in una buona battaglia.

La seconda utilità è, (come dice il medesimo Cassiano,) che ne viene affrenata la superbia nostra, perche quando l’huomo non ha sentito per un lungo tempo gl’assalti del gl’incentivi carnali, et per questo, et per gl’altri acquisti spirituali s’inalza; all’hora la carne affliggendolo con le sue fiamme lo humilia, come avenne à l’Apostolo, à cui fu dato uno stimolo di carne, il quale è un instrumento di Satanasso, che lo tormentasse, accioche la grandezza delle rivelationi non lo facesse superbo. Io ho conosciuto un frate, ch’era stato molt’anni in tanta pace con le passioni della carne, ch’à pena credeva quello, che sentiva à dir da gl’altri del gagliardo incendio di questa passione, et haveva poca compassione à quelli, che cadevano, anzi alcuna volta si gloriava, che non harebbe saputo, se ci fosse alcun Demonio, se cio non si fosse dovuto credere per auttorità della Scrittura sacra; per il che permise Iddio, che costui sentisse una così gran tentatione, ch’à pena poteva mangiare, et dormire per la molestia de i pensieri, et dello stimolo carnale, et stette in questa tribolatione più d’un’anno continuo: Ma dapoi humiliatosi inanzi à Dio, et avedutosi della passata alterezza, provo esser vero quello, che dice sant’Agostino. Chi ardirà d’attribuir la castità al proprio valore? Et imparo con l’esperienza in se stesso, ch’un così grand’ardor di tentatione non si causarebbe nell’huomo da i soli incentivi della carne, se non fosse acceso, et nutrito da gli stimoli, et fomenti diabolici: Pero finalmente fattosi humile nel cuor suo, ne rimase con l’aiuto della gratia divina liberato. Dice à questo proposito san Gregorio. Quando la mente è toccata da alterezza di continenza, il più delle volte Iddio onnipotente, che doma la superbia, lascia cadere altrui nell’immonditia dell’atto, poi che non val nulla la castità del corpo, se non è approvata dall’humiltà della mente. Et sant’Agostino. Io ardisco di dire, ch’à i superbi continenti è utile il peccato, accioche si facciano humili in quella cosa particolarmente, della qual più s’insuperbiscono.

La terza utilità è, che ci fa riconoscer la nostra fragilità, accioche non presumiamo d’attribuire alle forze nostre la castità, et sarebbe quasi d’un’istesso valore, con la precedente, se non, che quella si considera, quanto alla superbia della mente, et questa, quanto alla fragilità della natura nostra, quando non è aiutata dalla gratia di Dio, dicendo così Gio. Cassiano nelle Collationi de i Padri. Sono alcuni, che subito, c’hanno acquistato qualche particella di castità, presi da una certa sottile, et occulta superbia, si compiacciono di se medesimi nel secreto delle lor conscienze, credendo d’haverla acquistata con la forza della propria diligenza, onde è necessario, che privi al quanto del celeste soccorso, restino tanto oppressi dalle passioni, già estinte per virtù divina, che conoscano per esperienza non poter ottener con le lor forze, ne con la propria industria il ben della castità. Pero si legge, che l’Abbate Pacomio patì per dodici anni continui la tentation della carne, che nol lascio mai, benche quaranta n’havesse passati in una cella dell’Eremo. Per il che pensando d’esser abandonato dall’aiuto divino, delibero di morir, più tosto che consentire ad alcun dishonesto piacere. Pertanto uscito di cella, si pose sù l’entrata d’una spelonca disteso in terra nudo, dove stava una fiera, accioche essa tornando l’havesse dovuto devorare, ma la bestia venuta, lo lecco tutto da capo à piedi, per il qual atto pensando egli, che Dio gl’havesse havuto compassione, torno alla sua cella, ma poco dapoi il Demonio trasformatosi in una fanciulla, ch’egli soleva vedere alcuna volta, et postotegli à seder sù le ginocchia, lo commosse tanto, che gli pareva d’haver seco commercio carnale, di che adiratosi il servo di Dio, la percosse con la man destra, et essa subito disparve, ma per doi anni intieri non puote sopportar il puzzor di quella mano, con che l’haveva battuta. Per la qual cosa andando tutto affannato per il deserto, trovato, et preso un picciol aspide, si mise à stringerlo, et irritarlo, accostandoselo alle parti vergognose, per morir da i suoi morsi, ma non volendo il serpe morderlo, sentì descendere una voce, et dire. Va Pacomio, et rimanti di seguitare il senso tuo, havendo permesso Iddio, che tu sia stato tentato, perche riconoscesti la tua fragilità, et ricorresti all’aiuto di Dio. Così tornato alla cella vi stette da quel tempo inanzi con fiducia.

La quarta utilità è, che siamo invitati all’esercitio delle virtù, facendosi perfetta ogni virtù nell’infermità, (come dice l’Apostolo,) et se non fosse la tribolatione, dove saria la patienza? Se non fosse il timore, dove saria la fortezza? Se non fosse l’ira, dove saria la mansuetudine? Se non fosse il diletto de i cibi, dove saria la temperanza? l’istesso si puo dir nel proposito nostro, se non fosse la passione de gli stimoli carnali, dove saria la castità? Et così si puo argomentare di tutte le virtù morali, che s’esercitano intorno alle passioni. Per il che non è castità nelle pietre, o ne gl’Angeli, o ne gl’Eunuchi, et secondo questa consideratione quanto è più efficace la passione, tanto è maggiore, et più eminente la virtù, et di qua viene, ch’alcuni santi Padri, che si confidavano nella gratia divina, spontaneamente procuravano le tentationi, per far la propria virtù più perfetta con la battaglia: Ma gl’imperfetti non deveno esporsi à così fatto pericolo: onde si legge nelle Vite de i Padri, che l’Abbate Goisefo, dimandato all’Abbate Pastore, come havesse à fare, quando gli s’accostavano alcune tentationi, et se doveva far loro resistenza, o lasciarle entrare, gli rispose. Lasciale entrare, et combatti con esse. Havendogli poi fatto un’altro monaco la medesima dimanda, cioè, se doveva opporsi alle tentationi, o riceverle, gli disse, che non le ricevesse in modo alcuno, ma subito le separasse da se, onde havendo inteso l’Abbate Pastore, che egli haveva dato à quel monaco una risposta diversa da quella, c’haveva havuto esso; torno à dimandargli la causa di questa diversità. A cui rispose il vecchio. Io ho detto à te, come dico anco à me medesimo: se le tentationi entraranno in te, et ricevendole darai lor luoco, ne diverrai migliore, ma alcuni, à i quali non è utile, che pur s’accostino le passioni, deveno troncarle subito.

La quinta utilità è, che lo stimolo carnale ci punisce de i peccati, et delle negligenze nostre, essendoci dato molte volte, come un flagello della vendetta divina per castigo delle colpe nostre, percioche, si come fu dato à i primi padri nostri, et communemente à noi per vendetta della colpa originale, così adesso è esercitato in noi in pena di qualche peccato attuale, come dice l’Apostolo, Qui, cum cognovissent Deum, non sicut Deum glorificaverunt, aut gratias egerunt. cioè. Li quali havendo conosciuto Iddio, non lo glorificorono, o ringratiorono come Iddio, soggiungendo. Propterea tradidit illos Deus in passiones ignominiæ. cioè Pertanto Iddio gli diede in potestà di passioni vituperose. Di che ne hai un’esempio nel cap. quarto del presente libro, et anco nelle spesso citate Vite de i Padri. Ne solamente ci punisce questo stimolo, castigandoci de i peccati nostri, ma anco ci purga con la pena, perche l’huomo si purga nel camino della tentatione, come l’oro nella fornace.

La sesta utilità è, che s’accendiamo al desiderio della patria, onde l’Apostolo, agitato dalle molestie carnali, disse. Infelix ego homo, quis me liberabit de corpore mortis huius? cioè. O me huomo infelice, chi mi liberarà dal corpo di questa morte? Intorno à che san Gregorio sopra Ezechiele dice così. Iddio mescola i flagelli, co i doni suoi, accioche ci sia amaro tutto quello, che ci diletta nel mondo. Nasce il detto incendio nell’anima, et sempre ci sollecita, et risveglia il desiderio del Cielo, et in un certo modo, ci morde con diletto, ci cruccia con dolcezza, et ci attrista con allegrezza.

La settima utilità è, ch’i buoni combattitori son promossi à maggior gloria. Di che habbiamo l’esempio in un frate, ch’essendo fieramente combattuto dallo spirito della fornicatione, ando à trovare un santo padre, et si dolse seco della battaglia, che sentiva. Il padre lo consolo con ragionamenti spirituali, ma egli ritornato in cella, sentendo la medesima tentatione, ando à trovarlo per questa causa sino à tre volte, et nondimeno, quantunque ne fosse confortato con buone parole, non se ne sentì punto alleggerito. Finalmente il vecchio gli fece buon’animo, et l’esorto à scoprirgli i suoi pensieri, et facendolo esso; gli disse. Portati valorosamente, figliuol mio, et aspetta il Signore, che ti mandarà il soccorso dal Cielo, perche quanto è più difficil la pugna, tanto più gloriosa sarà la corona. Considera, ch’egli aspetta fin della tua battaglia, et mentre tu combatti col Demonio, t’apparecchia un’eterna corona, essendo necessario, che noi entriamo col mezo di molte tribolationi nel Regno del Cielo. Delle quali parole il frate resto consolato nel Signore. Un padre era stato tentato gagliardamente per diece anni continui da cattivi pensieri, di maniera che quasi disperato diceva. Io ho perduto l’anima, pero voglio tornare al secolo, et aviandosi per tornare, sentì una voce, che diceva. I diece anni, che tu hai combattuto saranno le tue corone. Pero torna al tuo luoco, et io ti liberaro da tutti i cattivi pensieri: Et così voltati subito i passi, persevero nella vita di prima. Non debbiamo adunque disperarci, benche siam tentati da i cattivi pensieri, che doveranno più tosto procurarci le corone, se trapassandogli ce ne serviremo à beneficio nostro.

L’ottava utilità è, che diventiam cauti nel custodir le virtù à somiglianza di colui, ch’accorgendosi de i ladri, guarda con maggior vigilanza il suo Tesoro, per non perderlo. Sapendo adunque il Demonio, che dalla virtù di questa battaglia nascon tante utilità, fortifica la parte della carne, dandole il maggior aiuto, che puo con l’astutie sue, et con cattive persuasioni contra lo spirito, per atterrarlo. Et quanto più l’huomo è spirituale, cioè, quanto più vive secondo lo spirito, tanto l’inimico più gargliardamente adopera l’arme contra di lui, et di qua viene, che’l Diavolo infesta i religiosi più de gl’altri, et più si rallegra della vittoria, c’ha di qualche persona religiosa, che di molt’altri. Troviamo nelle Vite de i Padri a questo proposito, che’un figliuolo d’un sacerdote de gl’Idoli, havendo seguitato il padre di nascosto sin’al tempio, vide Satanasso, et l’esercito suo, che gli stava inanzi, et che dimandando conto à i demonij di quello, ch’ogn’uno haveva fatto, un d’essi gli rispose. Io in trenta giorni ho suscitato alcune guerre, ma egli lo fece battere. Un’altro disse. Io in venti giorni ho affondato alquante navi, et fu battuto come il primo. Ad un’altro, che si vantava d’haver messo una città in discordia in diece giorni, et fatto ammazzar lo sposo, et la sposa nelle nozze, furon date similmente molte battiture. Ultimamente un d’essi, rizzatosi disse, che dopo essere stato in un deserto quarant’anni à combatter un monaco, l’haveva finalmente condotto alla fornicatione, quella propria notte, il che intendendo il Principe de i demonij, levatosi in piedi, lo bascio, et gli pose in capo una corona, c’haveva, fattoselo sedere à canto, disse. Hai fatto una gran cosa. Il che vedendo quel giovane, disse fra se. Grande è l’ordine de i monaci: Et uscito del tempio ando à farsi monaco. Narra anco san Gregorio ne i Dialoghi, ch’essendo stato combattuto, et tentato un santo Vescovo molt’anni dal Demonio per una donna di santa vita, c’habitava in casa sua, et havendole finalmente dato una percossa sopra una spalla, cio fu fatto saper nella congregation de i demonij in presenza d’un Giudeo, che glielo rivelo, perche ne facesse penitenza. Guardisi adunque ogni religiosa persona da così scelerato avversario. Si deve nondimeno sapere, che se ben la tentation della carne dà altrui tanta molestia, è tuttavia più tolerabile, che non sono alcune altre, et poi che non si puo viver nel presente secolo senza tentationi; (essendo la vita dell’huomo una militia in terra;) quella della carne è men nociva, che quella d’alcuni altri vitij, pur che si resista prudentemente. Narra Cesario, ch’essendo fieramente molestata dallo stimolo carnale una vergine religiosa, claustrale, haveva pregato Dio con molte lagrime, che la liberasse da quella tentatione, et fu esaudita: ma subito ne sentì un’altra più pericolosa, perche comincio à dubitar di Dio, et della Fede Christiana: là onde piangendo con maggior instanza, che prima, torno à pregarlo, che da quella ancora la volesse liberare. Ma l’Angelo le apparve, et disse. Pensi tu di viver senza tentatione? E necessario, che tu senta, o l’una, o l’altra. Adunque, rispose la vergine, io eleggo la prima, che quantunque sia immonda, è pero humana, sì come quest’altra è tutta diabolica. Fu adunque lasciata dallo spirito della bestemmia, et ritentata da gl’stimoli della carne.

 

Cap. XXX.

Delle cautele, et rimedij, che si ricercano, per guardar la castità.

Di molte cautele hanno bisogno i Religiosi per conservar la castità immacolata.

La prima delle quali è, custodir gl’occhi, et non affissargli in donna alcuna, come s’è detto, secondo la dottrina di sant’Agostino nel cap. 28. del presente libro, dove si sono anco posti alcuni esempij oltra quello c’habbiamo di Giob, il quale disse. Pepigi fœdus cum oculis meis, ut nec cogitarem quidem de virgine. cioè Ho fatto un patto con gl’occhi miei di non haver pure à pensare ad alcuna vergine. Nel qual luoco dice san Gregorio. Per tener la mente monda dal pensier de i lascivi piaceri, bisogna abbassar gl’occhi, come quelli, che tirano quasi per forza altrui à peccare. Si fa mentione nelle Vite de i Padri, d’un padre, che non voleva mai veder donna alcuna, et essendo ricercato della causa, rispondeva, ch’i pensieri son, come i pittori, che non hanno quiete per la memoria delle cose, c’hanno veduto. Così l’Abbate Teodoro non si curo di veder la madre, ne la sorella propria, ch’erano andate à vederlo, et mando loro à dire, che non si turbassero, se nol vedevano, ma pensassero più tosto alla vanità di questo mondo. L’istesso fece una santa monaca, che non volse vedere un suo fratello monaco, ch’ando à visitarla, ma gli disse, che se n’andasse con queste parole. Vattene fratello mio, et prega Dio per me, che col favor della sua gratia ti vedero nel Regno del Signor nostro GIESU Christo. Et un’altro non volse abboccarsi con la propria sorella, se non con gl’occhi chiusi. Disse anco una Abbadessa ad un monaco, che s’era tolto di strada per dar luoco ad alcune serve di Dio. Se tu fosti un perfetto monaco, non ci haveresti guardato tanto, c’havesti potuto conoscere, ch’eravamo donne.

La seconda cautela è, fuggir la conversatione delle donne. Pero dice san Gieronimo à Nepotiano. Non entri donna alcuna mai, o rare volte nel tuo picciolo albergo. Et seguita. Ne stia teco sotto il medesimo tetto, ne ti confidar nella passata castità, perche non sei più santo di David, ne più savio di Salamone, ne più forte di Sansone, i quali con tutto cio per le donne caddero nel peccato. Et scrivendo ad Oceano, dice. Nociva cosa è la donna. Quando la paglia s’approssima al fuoco, l’accende, et la conscienza vien riscaldata dall’ardente fuoco della donna. Potrà forse alcuno tenere il fuoco in seno sì, che i vestimenti non se gl’abbruscino? Credimi, che non puo habitar con tutto il cuore in Dio colui, che s’accosta, et si congiunge con le donne. Di quà nasce, ch’i santi Padri fuggivano i confortij delle donne, et con ragione, et percio sant’Agostino non volse pur habitar con la propria sorella, dicendo. Quelle, che son con mia sorella, non mi son sorelle. Et un’altro santo padre disse ad un suo discepolo. Andiamo in qualche luoco, dove non sian donne. Parla anco san Gregorio nel quarto libro de i Dialoghi d’un prete, che morendo diceva ad una donna ch’era già stata sua moglie. Scostati donna, ch’è ancor vivo un poco di fuoco, levagli la paglia da canto. Se adunque i santi padri; ch’erano cotanto afflitti, et estenuati da i digiuni, abhorrivano i confortij delle donne, quanto più deveno farlo i Religiosi de i tempi nostri? Si dice, che’l beato Nicola da Tolentino, sin quand’era fanciullo al secolo, fuggiva, non sol i piaceri delle donne, ma anco la loro conversatione, et poi che fu entrato nell’Ordine, si conservo tanto casto, che si crede, c’habbia conservato l’innocenza della purità verginale, et per segno di cio merito di veder con gl’occhi corporali Christo nell’Hostia, com’egli medesimo manifesto humilmente ad un frate, che lo serviva con gran devotione in una sua infermità, con cio sia che parlando insieme della semplicità de i fanciulli, quel sant’huomo gli disse. Questa, figliuol mio, si perde, quando si, giunge à maggior età: Percioche io peccator, che vedete, quando mi godeva in quegl’anni teneri di così fatta simplicità, essendo nella chiesa, vidi chiaramente con questi occhi; (mentre il Sacerdote alzava il corpo del Signore;) un fanciullo di nobilissimo aspetto, che portava in dosso un vestimento d’oro, haveva la faccia piena di splendore, et gli sguardi sereni, et faceva gran festa, dicendo. Gl’innocenti, e i giusti si son congiunti meco. Deveno ancora quelli, ch’amano la castità, non sol fuggir la presenza delle donne col corpo, ma schifarla anco con l’intentione, non pensandoci, ne parlandone mai vanamente. Il beato Arsenio, essendo pregato da una nobil donna à ricordarsi di lei nelle sue orationi, le rispose. Io prego Dio, che mi dia gratia, ch’io non mi ricordi mai di te. Et quando non si puo fuggir la lor presenza, o non si puo far di manco di vederle, s’avvertisca almeno di non toccarle, perche la carne della donna è un fuoco, come disse colui, che portando la madre oltra un fiume non volse toccarle la mano con le man nude, benche fosse vecchia, ma se l’involse nel mantello, perche non gli venisse alla memoria qualch’altra donna. Si legge parimente, che san Leone Papa, essendogli basciata la mano da una matrona, fu assaltato da una così fiera tentation di carne, che fu sforzato à tagliarsela, benche poi ad intercession della beata VERGINE la ricuperasse, come narra l’historia sua. A questo proposito serve l’esempio d’un frate di molta consideratione, c’ho conosciut’io, percioche essendo chiamato alla visita d’una donna inferma, s’accese di tanta concupiscenza, toccandole il polso, che da poi le fu sempre inclinato, non sol ne i pensieri impudichi, ma anco ne gl’atti esteriori poco honesti, come quello, che vi si lasciava trasportar senza ritegno, et senza freno di disciplina alcuna, et se ben per l’adietro era stato huomo di casta, et innocente vita, nondimeno da quel tempo inanzi non lascio mai colei sino alla morte. All’incontro Frate Hermanno de Allis, Bacciliero in Teologia, fu tanto continente, che quantunque havesse molta cognition di medicina, non volse pero, benche molto pregato, toccar mai il polso à donna alcuna. Un simile esempio si ha di Frate Agostino Vicentino, già lettore in Padova, et huomo degno d’ogni veneratione, come ho inteso da i nostri Padri vecchi, il quale, mentr’era Lettore in Ratisbona, andando una volta con alcuni frati à visitare una santa matrona, ch’era inferma à morte, non volse toccarle il braccio nudo, ch’ella gli porgeva, perche come persona esperta di medicina, le sentisse il polso, ma messa la manica della cappa fra la mano, e’l braccio, lo tocco poi, onde un dì quei frati quasi in colera gli disse. Non perderete già la verginità, se toccarete il braccio di questa vecchia con la man nuda. Ho udito à lodar questo venerabil padre di molte buone opere, et specialmente di continuo studio. Non si trovava mai, o rare volte in ragionamenti otiosi: Diceva quasi ogni dì la messa, recitava l’Hore, et l’orationi sue devotamente, portava molta affettione alla disciplina monastica, et alla Religione, et era tutto casto, di maniera che si crede, che sia morto vergine. Di cio si parla anco nel capitolo seguente.

La terza cautela è, macerar la carne con digiuni, et con sottrarle il nutrimento, come commanda il Padre nostro nella Regola, quando dice. CARNEM vestram domate ieiunijs, et abstinentia escæ, et potus, quantum valetudo permittit. cioè. Domate la carne vostra co i digiuni, et con l’astinenza del mangiare, e del bevere, quanto comporta la sanità. Et dice particolarmente, Domate, perche; (come dice san Gieronimo;) niuna cosa infiamma i corpi, o commuove le membra genitali più del cibo indigesto, facendo tosto il ventre, che bolle per il vino ricevuto, la schiuma della libidine. Pero i santi Padri osservavano strettissimi digiuni, et facevano una meravigliosa astinenza, di maniera che, (com’egli afferma,) i monaci ammalati usavano l’acqua fredda, et mangiar alcun cibo cotto era riputato peccato di lusuria, di che se n’hanno molti esempij nelle Vite loro, dove si legge particolarmente, ch’essendo sant’Hilarione ancor giovanetto era combattuto da cattivi pensieri, et incitato da gli stimoli carnali à quel piacer, ch’egli non haveva ancor provato, per il che adirandosi seco medesimo si pistava il petto co i pugni, quasi c’havesse potuto cacciarne i pensieri con le percosse delle mani, et diceva. Io ti trattaro di modo, o asinello, che non tirarai de i calci, non ti pascero d’orzo, ma di paglia, t’affliggero con la fame, et con la sete, et co i pensieri faticosi, et ti domaro per caldi, et per freddi, talmente che ti bisognarà pensar più tosto al cibo, che alle lascivie. Così benche fosse condotto ad estrema debolezza, lo sostentava la vita di succo d’herbe, et d’alcuni pochi fichi, pigliando il cibo ogni tre, et quattro giorni, et orava, et salmeggiava spesso, zappando la terra, et tessendo le sporte, per raddoppiar la fatica del digiuno con la fatica del lavoro. Il beato Nicola da Tolentino fu parimente huomo tanto austero, et di sì grand’astinenza, ch’in trenta anni non mangio mai carne, ne ova, ne pesce, ne altra vivanda grassa, ne latticinij, ne frutti. Sotto questa cautela si comprendono anco le vigilie, le quali affliggono grandemente il corpo: Lamentandosi un monaco con un padre della molestia, che gli davano i cattivi pensieri, esso gli rispose. Non ho sentito mai sì fatta battaglia. Della qual risposta colui scandalizandosi, come di cosa superiore all’humana conditione, il padre si dechiaro in questo modo. Poi ch’io son monaco, non mi son satiato mai di pane, ne d’acqua, ne di sonno, et percio non ho havuto nel pensier la battaglia, che tu m’hai detto.

La quarta cautela è, castigare il corpo, non sol con le vigilie, et co i digiuni, ma anco con le battiture, et con l’offesa della propria persona, et specialmente con l’asprezza de i vestimenti, con la durezza del letto, con le piaghe, et con simili discipline. Così fece san Paolo Apostolo, il qual sentendo gli stimoli della carne, disse nella prima Epistola à i Corintij al nono cap. Castigo corpus meum, et in servitutem redigo. cioè. Io castigo il corpo mio, et lo riduco in servitù. San Gieronimo ancora fu molto molestato dalle passioni carnali, pero in una sua Epistola ad Eustochio, dice così. O quante volte, stando io nell’Eremo, et in quella gran solitudine, ch’essendo abbrusciata dall’ardor del Sole, rende l’habitatione horribile à i monaci: pensava d’essere nelle delitie di Roma, et bench’io fossi compagno solamente di scorpioni, et di fiere, spesso mi trovava fra i cori delle fanciulle: La mia faccia era pallida da i digiuni, et la mente ardeva di desiderij in un corpo freddo, et in un’huomo già morto nella propria carne bollivano gl’incendij delle libidini. Ma come quel sant’huomo macerasse, et castigasse il corpo suo, quanto alle due precedenti cautele, lo descrisse sant’Agostino in una sua Epistola à Cirillo, dicendo. Non gusto mai, ne vino, ne altra simil vivanda, s’astenne dalla carne, et dal pesce tanto, ch’à pena voleva nominargli. Non mangio alcun cibo cotto, fuor che due volte nell’ultima sua infermità: Macerava con un sacco di cilicio la carne, che pareva d’un’Etiope, et di fuori portava panni vilissimi. Non hebbe altro letto, che la terra: Non mangiava mai più ch’una volta il giorno, o frutti, o foglie, o radici d’herbe: Soleva battersi le carni aspramente tre volte il giorno, talmente che gliene correvano per la persona i rivoli di sangue. Il medesimo faceva san Benedetto, il qual ricordandosi d’una donna, c’haveva veduta altre volte, et ardendo percio tutto per instigation diabolica di fuoco di tentatione; si lancio nudo nell’ortiche, et nelle spine, et nell’herbe pungenti, et vi si volto tanto per entro, che quando n’uscì era tutto impiagato, et in questo modo con le piaghe della carne, risano la ferita della mente, mutando il piacere in dolore, et ardendo ben di fuori estinte quello, ch’ardeva dishonestamente di dentro, come dice san Gregorio nel secondo libro de i Dialoghi. Si dice anco, che san Nicola da Tolentino soggiogava il proprio corpo con crudeli battiture, et con altri flagelli, si contentava della sola paglia per quelle poche hore della notte, che dormiva: s’affliggeva le carni con una catenella di ferro: portava toniche aspre, et rappezzate, et havendo in odio le delitie corporali, fuggiva i morbidi vestimenti. Si dice parimente, che Frate Hertinodo Goto sentiva grandissimi assalti di libidine, onde molti, che stavano ad ascoltarlo di nascosto, udivano, ch’egli orando diceva. Io non consento: Io non consento: Io non consento. Et per mortificar l’ostinata tentation della carne, si macerava tanto con spessi digiuni, con vigilie, et con discipline, che si crede, che si sia conservato vergine. Troviamo nelle Vite de i Padri, ch’essendo tentato un’huomo solitario dal demonio à peccar carnalmente con una donna, che quella notte albergava seco, accesa la lucerna pose un dito nel fuoco, et per l’immoderata fiamma della concupiscenza carnale, non sentiva quell’ardore, tanto che facendo à quel modo, hor con un dito, et hor con un’altro sino alla mattina, s’abbruscio tutte le dita, et così sì preservo mondo da quel peccato. Ho conosciuto un frate, il quale essendo una volta provocato dalla carne à consentire ad una fanciulla, che l’incitava à solazzarsi seco, si ritiro da una parte, et acceso il fuoco col focile, si mise sopra il membro genitale una pezza ardente con intention d’ammorzar il fuoco, come fece: percioche l’ardor di quella piaga, l’offese di modo, che ne sentì dolor per molti giorni. Un’altro mi disse, che patendo una volta un lusurioso incendio, et volendo raffrenar la concupiscenza col dolore, prese un coltello, et si taglio da se la cima del preputio, come fanno gl’Hebrei, per la qual cosa sentì di quella ferita così fatta pena, che quello stimolo gli s’acqueto per molti giorni. Io pero non lodo questo rimedio, anzi ne ripresi quel frate assai, ben ch’io lodi quel suo zelo di castità. Un’altro modo più lodevole, et più tolerabile, si trova per reprimer l’ardor della libidine col castigo del corpo, et è questo, che l’huomo nell’hora della tentatione si batta fortemente con aspre bacchette, overo con una disciplina pungente, percotendosi i lombi, et le reni, et le parti circonstanti, come farebbe uno, che battesse aspramente un servo disobediente, percioche il sensibil dolor delle piaghe discaccia, o almeno scema l’ardor di quelle lusuriose provocationi, come s’è detto, il qual rimedio ho imparato da uno, che ne ha fatta la prova, et poi ragionando meco famigliarmente m’ha raccontato questo caso, che gl’occorse, cioè; ch’essendo una notte nel letto, fu così fieramente assalito da un nembo di pensieri, et di concupiscenza carnale, che non poteva dormire, per il che levatosi al fine, et messosi in oratione, ricorse à questo rimedio, et si battè crudelmente con due verghe intorno alle parti sopradette, et acquetato l’ardore, et rimessosi nel letto, subito s’addormento, et vide in sogno un demonio in forma d’Etiope, che pasceva una botta, et ambidoi gl’erano molto molesti, ma egli si difendeva con una bacchetta dall’uno, et dall’altra: Indi à poco il demonio fingendo di fuggire, volto le spalle, ne gli diede altra noia, ma pero la botta non l’abandono. Costui considerando, c’haveva havuta vittoria del demonio, et che gli restava à combatter ancora con quell’animale, si mise à tirargli de i sassi, ma non la tocco. Al fine, vedendosi appresso una gran pietra quadra, la alzo da terra, et gettatagliela adosso la schiaccio, et all’hora il demonio fuggì via: Et subito colui, che mi riferì questo, comprese quello, che significava quella visione, cioè, che per l’Etiope si doveva intendere il demonio, et per la botta la carne, concorrendo ambidoi ordinariamente à simil battaglia, percioche il demonio tentando sumministra materia di fuori, et la concupiscenza carnale dispone di dentro, et questa è in un certo modo la madre, la qual concepisce, et partorisce il peccato del demonio, ch’è il padre, come dice san Giacomo nell’Epistola sua, al primo cap. Concupiscentia, cum conceperit parit peccatum. cioè. Quando la concupiscenza ha conceputo, partorisce il peccato. Et l’uno, et l’altro di questi inimici si discaccia al quanto con una certa verga di disciplina, ma finalmente s’atterra con la virtù della pietra quadra, et angolare, ch’è CHRISTO. Per il che beato è colui, che sbatte alla pietra i suoi bambini, cioè i principij de i suoi cattivi pensieri: Ne questo fu un sogno vano, ma una dimostratione del favor divino, havendo egli conosciuto per esperienza, che le forze di questa tentatione s’addormentorono in lui non sol per quella fiata, ma anco per qualche tempo da poi.

La quinta cautela è, tuffarsi nell’acqua fredda, come faceva san Benedetto, il qual se tal’hora fermava gl’occhi in qualche donna immantinente vergognandosi di se stesso, et come se volesse crudelmente vendicarsene, si lasciava in uno stagno d’acqua molto fredda, et vi stava tanto, che perduto, si puo dire, il sangue, cacciava con la gratia di Dio il calor della concupiscenza carnale. Riferisce anco Cesario, ch’essendo una nobil matrona sola in un castello fu assaltata in un così gagliardo, et così improviso ardor di lusuria, che impatiente dell’amoroso fuoco, ando à pregare il portinaio del castello, che giacesse seco, ma non volendo il buon’huomo compiacerla, essa uscitane, corse per divina inspiratione ad un fiume, che gli passava di sotto, et tuffatasi in quell’acque fredde, vi stette tanto, che spense quel lascivo appetito, et tornata ringratio il portinaio della repulsa, ch’egli le haveva data, soggiungendo, che se all’hora le havesse donato mille marche d’oro, non haverebbe fatto quello, c’haveva voluto far poco prima.

La sesta cautela è, far oratione, cioè, mettersi ad orare nell’hora della tentatione, et procurar con caldi preghi l’aiuto celeste. Dal qual rimedio si son communemente serviti i santi Padri, nelle Vite de i quali si trova, che l’Abbate Giovanni soleva dire. Il monaco deve far, come colui, c’ha dalla parte sinistra il fuoco, et dalla destra l’acqua, et ogni volta, che’l fuoco s’accende, l’ammorza con l’acqua, così è necessario, ch’egli faccia ogn’hora: Qualunque volta l’inimico accende in lui i cattivi pensieri, deve sparger lor sopra l’acqua dell’oratione, et spegnerli. Diceva il beato Pacomio à i suoi frati. Dio m’è testimonio, ch’io molte volte ho udito à parlar i demonij fra se di diverse, et varie arti, ch’usano contra i servi di Dio, et specialmente contra i monaci; et dire alcun d’essi. Io combatto con un costantissimo huomo, il quale ogni volta, ch’io gli metto nel cuore qualche malvagio pensiero, subito si leva, et gettandosi à terra, si mette in oratione, dimandando con sospiri il favor dell’aiuto divino. Per il che, quand’egli si parte dall’oratione, io esco fuori molto confuso. Et un’altro diceva: Quand’io mi metto à tentar alcuno con diligenza, lo faccio consentire, ricevere, et esequire quei pensieri, ch’io gli metto nella mente, et lo faccio turbare, dormire, et esser pigro nell’oratione. Pertanto è necessario, fratelli miei carissimi, (diceva quel padre,) che stiate sempre in oratione per custodire il senso, et l’anima vostra, chiamando in aiuto il nome del nostro Signor GIESU Christo, perche, come si l’herbe hanno forza di cacciar gl’animali venenosi, così l’oratione, e’l digiuno discacciano i cattivi pensieri. Un’esempio se ne ha in una vergine religiosa claustrale, la quale essendo grandemente combattuta per opera di Satanasso da gli stimoli carnali, ricorreva all’oratione, et pregava Iddio con molte lagrime, che la liberasse da simil tentatione; onde apparendole l’Angelo, mentre essa orava, le disse. Vuoi tu esser liberata da questa battaglia? Et rispondendo essa. Voglio Signore, voglio: l’Angelo replico. Ogni volta, che la tentatione t’assalirà, recita quel verso del Salmo. Confige timore tuo carnes meas, à iudicijs enim tuis timui. cioè. Trafigi col tuo timor le mie carni, perche io ho havuto paura de i tuoi giudicij. Così fece la detta vergine, et rimase libera da quella tentatione.

La settima cautela è, leggere i libri sacri, perche (come dice sant’Agostino in un Sermone,) l’huomo leggendo assiduamente si rimove dal peccato, dicendo il Salmo. In corde meo abscondi eloquia tua, ne peccem tibi. cioè. Ho nascosto le tue parole nel mio cuore, per non t’offendere. Et di cio ho parlato di sopra nel cap. 22 di questo libro intorno al principio: Perche il Demonio ha grandissimo timor della sacra Scrittura, come s’è detto nel cap.16. di questo libro. Pero l’istesso Salvator nostro, essendo tentato da lui, si difese con questo scudo, et rispose alla prima tentatione. Scriptum est. Non in solo pane vivit huomo. cioè. Egliè scritto. Non vive l’huomo solamente di pane. Alla seconda. Scriptum est. Non tentabis Dominum Deum tuum. cioè. Egliè scritto. Non tentare il Signore Iddio tuo. Alla terza. Scriptum est. Dominum Deum tuum adorabis, et illi soli servies. cioè. Egliè scritto. Adorarai il Signore Iddio tuo et à lui solo servirai. Et all’hora il diavolo lo lascio. Ecco, come il Signore, allegando il testo della Scrittura sacra contra tutte le tentationi, trionfo di lui, et questo medesimo debbiam far noi. Onde sant’Agostino nell’Homil. 2. sopra l’Epist. Canonica di S.Gio. dice così. Il Signor fu tentato dal demonio, et insegno al suo soldato à combatter con quell’arme, con le quali egli haveva ributtato il tentatore. Considera quello, ch’esso gli rispose, et quando haverai una così fatta tentatione, dirai tu ancora à quel modo. Che disse, quando fu tantato di gola? Non vive l’huomo solamente di pane, ma d’ogni parola di Dio. Che rispose, quando fu tentato della curiosità del miracolo? Egliè scritto. Non tentarai il Signor Iddio tuo. Et quando fu tentato d’avaritia, ch’è una servitù de gl’Idoli, che fu quello, ch’egli rispose al diavolo altro, che un documento à te di quello, che dei rispondere? Egliè scritto. Adorarai il Signor Iddio tuo, et à lui solo servirai. Tu ancora, quando sei tentato di lusuria, difenditi contra il tentatore con questa parola della sacra Scrittura, dicendo. Egliè scritto. Non commetter adulterio, over con quell’altra. Fuggite la fornicatione, o con qualch’altra sentenza, che ti ritiri dall’amor carnale, et ti ecciti all’amor divino, come quella di san Giovanni nel secondo cap. della prima Epistola. Non vogliate amare il mondo, ne le cose, che sono nel mondo. Sopra le qual parole dice il detto santo Dottore nell’Homil. citata di sopra. Conservate fratelli l’amor di Dio, perche ogn’uno è tale, quale è la cosa, ch’egli ama. Tu ami la terra, sei di terra. Ami Dio. Che diro? che tu sei un Dio? Non ardisco di dirlo da me: Udiamo le Scritture. Io ho detto, che voi sete Iddij, et figliuoli dell’Altissimo. Non vogliate amare il mondo, ne le cose che son nel mondo, perche il mondo, e i suoi desiderij hanno fine. Tenendo questo amore non haverete alcun appetito. Non vi sottometterà niuna concupiscenza di carne, ne d’occhi, ne altra ambition secolare, et farete un letto alla carità, che viene, accioche amiate Iddio. Così dice sant’Agostino. La predetta sentenza della Scrittura convertì san Nicola da Tolentino dal secolo alla Religione, di che trattaremo più à basso nel secondo cap. del libro seguente.

L’ottava cautela è, lavorar con le proprie mani, per la qual cosa disse l’Abbate Giovanni; (come si legge nelle Vite de i Padri;) che’l monaco deve far, come colui, che siede sotto un’arbore alto, et vedendosi venire incontra diverse fiere, et serpenti, ne potendo difendersi da loro, salisce sù l’arbore per salvarsi: così il monaco, essendo otioso nella cella sua, et vedendosi venire incontra i cattivi pensieri, mandati dall’inimico, ricorra col mezo dell’opera manuale al Signore, et si salvarà. Ne per altro lavoravano i santi Padri, se non per schifar gl’insulti de i mali pensieri, e i lacci diabolici, di che habbiam ragionato nel cap. 24. del presente libro. Pero diceva san Gieronimo à Rustico monaco. Fa qualche lavoro, accioche il diavolo ti trovi sempre occupato. Et poi ch’a numerato diversi esercitij, dove debba impiegarsi, passando dall’uno nell’altro, soggiunge. Mentre starai occupato in si fatti negotij, non haverai tempo di pensare à cosa alcuna. L’istesso scrive à Demetriade: et ne habbiam parlato noi di sopra nel cap. 26. et 27. di questo medesimo libro. Un’Eremita, che sapeva fare i vasi di terra, essendo molto infestato da i pensieri carnali, fece due figure di donna, fingendo che l’una fosse la moglie, et l’altra una figliuola sua, poi disse à i suoi pensieri. Ecco, che tu hai la moglie, et una figliuola, pero ti bisogna lavorar molto bene per poter pascere, et vestir te, et loro; et così moltiplicando le fatiche, affliggeva tanto il proprio corpo, che col soccorso della gratia divina rimase libero da quella battaglia. Così fece sant’Arsenio, il quale, oltra ch’attese sempre al lavoro manuale, mentre visse, soleva anco tenere un panno nel fseno per asciugar le lagrime, che gli cadevano continuamente da gl’occhi, per il desiderio della patria celeste: et in questo modo supero ogni tentatione.

La nona cautela è, la buona meditatione, onde dice Gio. Cassiano. Cominciamo ad amare i buoni pensieri, et subito si degnarà il Signore di liberarci da i cattivi. Il che si fà in molti modi. Il primo de i quali è ricordarsi della morte, secondo quel detto. Memorare novissima tua, et in æternum non peccabis. cioè. Ricordati del tuo fine, et non peccarai giamai. Et san Bernardo insegna nello specchio suo, che l’huomo si corchi sù quella pietra, dove si lavano i morti, o nel cataletto, per cacciar la tentation della carne con l’horror della morte. Il secondo modo è pensare al giudicio divino, et alle pene infernali, che si meritano per i peccati, per affrenar almeno la concupiscenza con questo timore. Un frate ardendo di lusuria, diceva. Un peccato tale è punito con tormenti infernali: prova adunque, se tu potrai patire il fuoco eterno, et dicendo questo metteva un dito nel fuoco. Il terzo modo è, pensare al premio di quelli, che combattono leggitimamente, per la qual cosa dice sant’Agostino ne i Soliloquij. Quanto cresce la speranza di veder quella bellezza, ch’io ardentemente desidero, tanto ad essa si rivolge più tutto l’amore, et piacer mio. Il quarto modo è ricordarsi della bassezza del peccato, et della nobiltà dell’anima, considerando quanto sia brutta cosa macchiarla di tanta viltà, il che conoscendo Seneca, benche fosse pagano, soleva dire. S’io fossi certo, ch’i Dei dovessero perdonarmi, et che gl’huomini non fosser per saperlo, non mi degnarei percio di peccare per la bruttezza del peccato. Il quinto modo è meditar la passion di Christo, di che ne habbiam l’esempio figurale ne i figliuoli d’Israele, i quali mentre guardavano il serpente di bronzo sospeso sopra quel legno, guarivano da i morsi de i serpenti: Così debbiam mirar noi Christo crocifisso con gl’occhi del cuore, per guarir da i morsi delle tentationi. Pero la Glosa sopra quelle parole di S.Paolo nell’Epistola à i Galati, al quinto cap. Qui Christi sunt, carnem suam crucifixerunt cum vitijs, et concupiscentijs suis; dice così. Si conviene alla nostra devotione, che noi, che celebriamo, et meditiamo la passion del nostro Signor crocifisso, ci facciamo la croce per affrenar i piaceri carnali. Percioche non è cosa, che spaventi il diavolo, come fanno l’arme della passion di Christo, dalle quali egliè stato vinto. Et altrove, esponendo quel luoco di san Paolo nell’Epistola à i Romani. Non ergo regnet peccatum in vestro mortali corpore, etc. dice in questo modo. Tanta è la forza della croce di Christo, che qualunque se la mette inanzi à gl’occhi, et la tiene impressa nella mente, sì che l’occhio interiore riguardi attentamente nella morte di Christo, non puo esser superato da concupiscenza, ne da libidine, ne da furore, ne da invidia alcuna, perche subito tutto l’esercito de i peccati, et della carne si mette in fuga. Di questa havendo fatto esperienza sant’Agostino, dice così nel libro. De contemplatione Domini nostri IESU Christi. Quando qualche brutto pensiero mi da molestia, ricorro alle piaghe di Christo. Quando la carne m’atterra, io mi rilievo con la memoria delle piaghe del Signor nostro. Quando il Diavolo m’apparecchia insidie, fuggo nelle viscere del Signor mio, et colui si parte. Se qualche ardor libidinoso mi commuove le membra, rimane estinto, quando io mi ricordo del figliuol di Dio. Mi disse una volta un frate giovane, ch’ogni volta, che era molestato da gli stimoli carnali, o di giorno, o di notte, usava il rimedio, c’habbiamo insegnato in questa cautela, percioche si levava, et andava in chiesa, et mettendosi à mirare attentamente l’imagine del Crocifisso, ne sentiva giovamento. Il sesto modo è, considerare affettuosamente, ch’Iddio è il caro sposo dell’anima, risolvendosi di non offenderlo per tutti i piaceri del mondo, etiandio con un minimo pensiero, et questo fanno i perfetti, i quali si ritirano dal male solamente per amor di Dio, onde san Gieronimo, scrivendo à Rustico monaco, dice così. I Filosofi del secolo soglion cacciar l’amor vecchio col novo, come si caccia un chiodo con un’altro, et come fecero i sette Principi della Persia con Assuero lor Rè, per affrenar l’amor, ch’egli portava alla Regina Vastì con l’amor dell’altre fanciulle. Essi medicorono il vitio col vitio, e’l peccato col peccato, ma noi superiamo i vitij con l’amor della virtù, poi che l’amor della carne è superato dall’amor dello spirito, et un desiderio è estinto dall’altro. Si raffredda adunque l’amor carnale con l’elevation della mente à Dio, et alle cose celesti, et col gusto della divina dolcezza, percioche (come dice san Gregorio;) gustato lo spirito, ogni carne resta senza sapore. Insegna anco san Bernardo, che si deveno far sette meditationi, dicendo. Sette cose si convengono all’huomo, et s’egli le considerasse, non peccarebbe giamai, et son queste. La materia vile: L’operation dishonesta: Il fin lagrimoso: Lo stato instabile: La morte piena di tristitia: La dissolution miserabile: Et la dannation detestabile. Le quali tutte son comprese nel discorso fatto di sopra.

La decima cautela è, fuggir l’occasion della persona, del luoco, et del tempo, et questo è il sesto rimedio, che ricorda san Gio. Grisostomo sopra san Matteo, con queste parole. Sei son le cose, che conservano la castità immacolata, et son queste. La sobrietà: l’operatione: il vestimento aspro: l’affrenare i sensi: il parlar rare volte, et honestamente; et fuggir l’occasion della persona, del luoco, et del tempo. Delle prime cinque s’è parlato à bastanza di sopra, et questa è molto necessaria à chi vuol conservar la castità, perche come si dice in Proverbio; la commodità insegna à rubare, et questa si deve fuggire, perche ne gl’altri vitij possiam vincere il diavolo, facendogli resistenza, come ricorda san Giacomo, dicendo. Resistite diabolo, et fugiet à vobis. cioè. Fate resistenza al diavolo, et egli fuggirà da voi; ma non potremo vincer la lusuria, se non fuggendo, et pero dice san Paolo nella prima Epistola à i Corintij, al sesto cap. Fugite fornicationem. Et questo medesimo voglion dir quei versi. Cedendo, ceder Venere farai:

Maggior, seco pugnando, offesa havrai:

Così in un modo di battaglia strano

Tiensi perdendo la vittoria in mano.

Questo conoscendo il santo Giosefo, quando fu lusinghevolmente invitato dalla padrona sua, et tirato per la falda della veste à giacer seco, lasciatole il mantello in mano, fuggì via, come si legge al 39. capit. del Genesi. Fuggì parimente Helia Profeta dalla presenza di Iezabel, come si vede nel terzo libro de i Rè, al cap.19. Pertanto dice il Filosofo nel secondo dell’Etica, che l’huomo deve governarsi intorno à gl’obietti concupiscibili de i piaceri carnali, come facevano i Senatori Troiani, quando Helena era à Troia, et con la sua incomparabil bellezza allettava gl’huomini; percioche ordinorono, ch’un trombetta le caminasse inanzi, et gridasse per le strade, dove essa passava. Fuggite, fuggite. Helena viene. Guardisi per tanto ogn’huomo religioso di non trovarsi solo con una donna sola, pigliandone l’esempio da sant’Agostino, che non voeva parlar mai solo con donna alcuna, ben c’havesse à trattar seco qual si fosse negotio secreto, et se alcuna per sorte lo pregava, che si degnasse d’ascoltarla, non consentiva mai ad alcun colloquio, fuor ch’in presenza de i frati, o de i chierici, il che egli ci insegna à far anco nella sua Regola, dicendo. UBICUNQUE fœmina fuerint, invicem vestram pudicitiam custodite. cioè. Dovunque sian donne, guardate l’un per l’altro la castità vostra. Perche aviene dell’huomo, che si trova solo con una donna sola, come del ladro, à cui sia stato scoperto qualche tesoro. Per questo san Bernardo sentendosi una notte coricare appresso un donna, ch’era accesa di dishonesto desiderio di lui, grido, I ladri. I ladri. Alla qual voce la donna fuggì, et si levo la famiglia, et fu cercato de i ladri co i lumi accesi, ma non trovandosi alcuno, et tornato ogn’uno à dormire, la donna rilevatasi, gli si ando à rimettere à canto. Ma gridando egli pure un’altra volta. I ladri. I ladri; si fece nuova diligenza per trovar il ladro, se bene indarno, et così la donna cacciata tre volte à pena, che per paura si rimase al fine di dargli più molestia. Dimandando poi à san Bernardo il dì seguente i suoi compagni, come si fosse sognato tante volte i ladri, rispose. I ladri per certo questa notte m’havevano insidiato, perche la padrona dell’hosteria si è molto adoperata per rubarmi l’irrecuperabil tesoro della castità. Io conosceva un frate molto religioso, il qual non voleva mai fermarsi à ragionar con donna alcuna avanti alla porta del chiostro, ne altrove, fuor che nel Confessionale, et non ci essendo persone secolari, procurava sempre, che ci fosse presente qualch’altro frate, et benche non gli bisognasse tener quest’ordine per custodir la castità, voleva pero farlo per dar ad altri esempio d’honestà, come ho detto di sopra nel cap.12. del libro precedente, verso il fine. Questo medesimo faceva Frate Gregorio da Rimini, Maestro in Teologia con la propria sorella, et con l’altre donne, con le quali non voleva parlare mai sù la porta del convento, ne pur della chiesa senza la presenza almeno d’un compagno.

L’undecima cautela è, applicare il cuore ad altri pensieri, cioè, trovar qualche occupatione, nella quale il cuor si trattenga, o meditando fra se, o ragionando con altri, o impiegarsi in qualche esercitio esteriore, come sarebbe attendere à qualch’edificio, overo ad alcun’altro negotio temporale, o spirituale. Giovarebbe anco non poco, occupar la mente nel pensiero delle proprie avversità, et che cio fosse artificiosamente procurato da altri. Un’esempio se ne ha nelle Vite de i Padri in un giovane, il quale, benche fosse castissimo, et durasse grandissima fatica, non poteva spegner la fiamma della concupiscenza carnale, della qual tentatione essendo avisato il Superiore del suo monasterio, lo preservo dal peccato con quest’artificio. Impose ad un grave, et rigoroso padre, che lo riprendesse, et ingiuriasse, et poi andasse primo ad accusarlo, il che facendo egli, e parlando i testimonij in favor suo; (se ben l’haveva oltraggiato;) il giovane si doleva con lagrime, ch’era abandonato da ogni aiuto contra la bugia. Ogni dì sospirava, ogni dì piangeva, et così scorse un’anno intiero, dopo il quale, essendo dimandato dal Superiore, s’era ancor molestato da i pensieri di prima, rispose. Io non posso viver, Padre, et debbo voler fornicare?

La duodecima cautela è, scoprir puramente nella confessione quei pensieri, da i quali altri è combattuto. Pero nelle Collationi de i Padri son consigliati i frati più giovani à manifestare intieramente i lor pensieri, et per questo un santo padre, ricordato nelle Vite loro, diceva ad un frate, ch’era tentato da pessimi pensieri. Stà di buon animo, figliuolo, ne voler nascondere i tuoi pensieri, se vuoi, che l’immondo spirito si parta da te, non essendo cosa, che tanto atterri la virtù de i demonij, quanto rivelare à i santi padri i secreti de i brutti pensieri: Nel qual proposito habbiam raccontato un’esempio nel precedente cap. parlando della settima utilità, et ne parlaremo di sotto nel quarto libro, al cap. settimo.

La terzadecima cautela è, castrare il cuore, cioè, tagliar col coltello di tutto il suo potere il capo à i pessimi pensieri, onde troviamo nelle medesime Vite, che sant’Apollonio insegnava ogni giorno à i frati, come havessero à superar l’insidie diaboliche, che svegliano nell’huomo i cattivi pensieri, subito che si scoprivano, dicendo. Se si schiacciarà la testa del drago, il rimanente del corpo restarà morto. Et Dio ci commanda, che poniam cura alla testa del serpente, perche non habbiamo à dar luoco alcuno nel cuor nostro à i cattivi, et brutti pensieri subito, che son nati, et se ci è vietato ricevergli nel principio del lor nascimento, molto meno debbiam consentire, che le loro imaginationi s’allarghino ne i sensi nostri et quantunque non possiam fuggirgli tutti insieme, possiam ben affrenargli ad uno, ad uno con l’imperio della ragione, la quale à libertà di considerar la cosa pensata, o come dilettevole, o come abhominevole, et esecrabile, et si come un cibo si puo considerare, o come dilettevole, o come mortifero, così l’atto carnale si puo considerare, o come dilettevole al corpo, o come dannoso all’anima. Pero, quando, o diletto, o imagination d’alcuna donna ti sopragiunge, è in poter della tua ragione considerar colei, o come bella, et dilettevole, et atta all’uso de i piaceri carnali, o come un sacco di sterco, et rete del diavolo, et come un pestifero veneno dell’anima, et in questo modo l’huomo, o dà luoco à questo pensiero, compiacendosene, o l’abhorrisce, odiandolo. Così adunque puo raffrenare ogn’uno i suoi pensieri, se non tutti insieme, almeno ciascuno separatamente, come ho predetto. Questo volse dire un padre, di cui si parla nelle Vite predette, quando essendo ricercato da un monaco, come dovesse governarsi nella guerra, che gl’era stata da molti pensieri, gli rispose, che non s’opponesse à tutti ad un tratto, ma ad un solo per volta, perche tutti i pensieri dei monaci hanno un sol capo, il qual, poi ch’è conosciuto di che sorte sia, si deve far, quanto si puo per vincerlo, perche troncato quello, gl’altri s’humiliano, ma se l’huomo ne piglia diletto, lo spirito della fornicatione non puo partirsi da lui. Recitaro quello, che nelle dette Vite si legge d’un altro monaco, ch’essendo molto infestato da pensieri dishonesti, ando à trovar un santo padre, et lo prego, ch’essendo gagliardamente combattuto dallo stimolo della fornicatione, volesse pregar Dio caldamente per lui. Il padre fece con molto affetto, quanto colui desiderava, ma egli non se ne sentendo punto sollevato, lo torno à pregar, che volesse replicar le orationi col maggior fervore, che potesse, et esso gliene compiacque, ma continuando pure il frate à fargli la medesima instanza, ne sentiva gran dispiacere, meravigliandosi assai di non esser esaudito. Et ecco, che quella medesima notte gli fu rivelata dal Signore la negligenza di colui, et mostrato, ch’egli nel cuor suo si compiaceva de i diletti carnali in questo modo. Pareva che’l frate fosse à sedere, et lo spirito della fornicatione sotto diverse forme di donne gli scherzasse avanti, et che esso ne prendesse piacere, et pareva, che l’Angelo di Dio vi si trovasse presente, et si degnasse grandemente seco, perche non si rizzava, et gettava à terra à fare oratione, ma che più tosto godeva di quei pensieri. Per tanto il padre gli disse poi. La colpa è tua, fratello, se lo spirito della fornicatione non ti puo lasciare, solazzandoti, come fai, nelle brutte imaginationi, ne basta, ch’altri ti procurino aiuto con l’oratione, se tu ancora non t’affatichi per te stesso con digiuni, con orationi, et con molte vigilie, et non preghi Iddio con sospiri, che ti dia forza di resistere à gl’immondi pensieri, poi che anco i medici corporali; benche usino somma diligenza nell’arte loro, se l’infermo non si guarda dalle cose nocive; non gli fanno con la cura, et sollecitudine, che usano, punto di giovamento: il medesimo aviene nelle infermità dell’anima, perche se bene i santi padri, che sono i medici spirituali, dimandano perseverantemente, et con tutto il cuore misericordia à Christo per quelli, ch’aspettano aiuto per mezo delle loro orationi, se pero essi ancora non frequentano con ogni affetto, così le orationi, come l’altre opere spirituali, che piacciano à Dio, ma son negligenti, et licentiosi, ne pensano alla salute dell’anima; non ricevon punto di soccorso dalle preghiere de i Santi. Per queste parole il frate rimase compunto nel cuore del passato, et da indi inanzi si servì del consiglio di quel padre, et di questa maniera caccio lo spirito di quell’immonda passione. Ne creda il frate, che sia di poca importanza macchiarsi di brutti pensieri, poi che; (come si legge nelle Institutioni de i Padri;) S.Basilio, Vescovo di Cesarea soleva dir, che non sapeva, che cosa fosse la donna, et non era vergine; intendo, che la castità del corpo consiste, non tanto nell’astinenza carnale, quanto nell’integrità del cuore, che conserva veramente l’innocenza del corpo perpetuamente immacolata. Per tanto debbiam ricordarsi continuamente di quel precetto. Omni custodia serva cor tuum. cioè. Custodisci con ogni diligenza il tuo cuore, dicendo sant’Agostino in un Sermone, che bisogna, che tutti i nostri pensieri immondi, tristi, et brutti, c’hanno oscurato la purità dell’imagine di Dio, siam consumati nel fuoco del Purgatorio, se non son purgati di quà col mezo della penitenza. Io conobbi già un frate di singolar vita, et di grand’auttorità nell’Ordine nostro, il quale apparve un’anno dopo la morte ad una persona devota, et le disse, che sin’à quel tempo era stato in atrocissimi tormenti, ma che all’hora per misericordia di Dio ne era stato liberato, et fatto degno del confortio della famiglia celeste. Si meraviglio molto colui, ch’una persona stimata da gl’huomini così santa, havesse patito così crudel, et così lunga pena, onde dimandandogli per qual peccato era stato cotanto crucciato, esso gli rispose. Questo m’è avenuto, perche io soleva tenere spesso applicato il cuore à i malvagi pensieri, ne di quà ne haveva fatta penitenza alcuna, benche Iddio per sua gratia m’habbia guardato da i brutti effetti. Si deve adunque castrare il cuore, non la carne, onde san Gio. Grisostomo sopra quelle parole di san Matteo, al cap.19. Sunt Eunuchi, qui seipsos castraverunt propter Regnum Cœlorum. Lascio scritto così. Non dice, che s’habbiano à tagliar le membra, ma che s’ammazzino i cattivi pensieri, sottoponendosi alla maledittione, chi offende se stesso à questo fine, et questa è una tentation diabolica, ne in questi tali diviene la concupiscenza più piacevole, anzi si fà più molesta, derivandosi lo sperma nostro da altri fonti, et principalmente dal proposito impudico, et dalla mente negligente, la qual se sarà sobria, non riceverà danno alcuno da i moti naturali, ne il privarsi delle membra atterra le tentationi, o porta altrui tranquillità, come fà il freno de i pensieri. Per tanto non è lecito tagliarsi membro alcuno per zelo di castità. Nelle Vite de i Padri si legge questo caso, ch’essendosi fatti religiosi doi secolari, et havendo un zelo Evangelico; (se ben non secondo la vera intelligenza;) castrorono se stessi corporalmente, per il desiderio del Regno del Cielo. Il che intendendo il loro Arcivescovo gli scommunico, ma essi credendo d’haver fatto bene, et d’esser stati scommunicati à torto, andorono à lamentarsi di lui, et di così fatta ingiustitia all’Arcivescovo di Gierusalem, il quale udito il caso, fece il medesimo: onde andorono à quel d’Antiochia, et furono similmente scommunicati: per il che dissero l’uno all’altro. Ricorriamo al Patriarca di Roma, et trovaremo quella giustitia, che non ci hanno voluto far quest’altri, et così presentandosi al Papa, gli narrorono ogni cosa, et tutto quello, c’havevano fatto gl’Arcivescovi contra di loro, dicendo, che percio eran ricorsi à lui, come à capo universale. Ma il Papa gli scommunico ancor esso, onde dissero insieme. Questi Vescovi si portano rispetto, et s’accordano fra loro, perche si ragunano ne i Concilij. Pero andiamo à trovar Epifanio Vescovo di Cipro, il quale oltra, ch’è huomo santo, et caro à Dio, ha anco spirito profetico, ne è partiale ad alcuno. Essendo adunque andati, quando furon vicini alla città, dove stava quell’huomo di Dio; egli, al quale era stata rivelata la causa della lor venuta, mando ad incontrargli, et dire, che non entrassero nella città: Et all’hora essi riconosciutosi dell’error passato, dissero. Noi certamente siam colpevoli, ne possiamo giustificarci da noi medesimi, et benche gl’altri ci havessero scommunicati ingiustamente, non l’harebbe mai fatto questo Profeta. Ecco, che Dio gl’ha dato aviso di noi. Et accusorono aspramente se stessi del peccato commesso. Per la qual cosa il Signore, à cui è aperto il cuor di tutti, vedendo, che essi conoscevano il lor fallo, lo scoperse al Vescovo Epifanio, il quale gli fece spontaneamente introdurre, et gli conforto, et ricevette alla communion de i fedeli, scrivendo all’Arcivescovo d’Alessandria, ch’accettasse quei suoi figliuoli, perche s’eran veramente pentiti. Ho conosciuto doi frati, che si castrorono per zelo di castità, persuadendosi di far servitio à Dio, benche l’offendessero; non dovendosi procurar la castità col ferro, ma con la Religione, come si ha nel cap. Tunc salvabitur. 33.q.5. et chi ardisce di castrarsi, pecca in quattro modi, secondo l’Ostiense. Pecca prima, perche fa violenza alla robba d’altri, et per consequenza commette furto, non essendo huomo alcuno signor delle proprie membra, come dice la legge, Liber homo. ff. ad legem Aquiliam. Nel secondo modo, perche è riputato homicida per il peccato, et per il pericolo dell’homicidio, che ne puo seguire. Nel terzo, perche si fa inimico della condition di Dio, come si legge nel cap. Si quis abscidit. 55. Distinct. Nel quarto, perche si presume, che qualunque s’assicura d’incrudelire in se stesso, usarebbe ogni sorte di tirannide contra altrui, secondo quel detto.

Chi è crudele in se stesso, et rigoroso,

Come puo teco, o meco esser pietoso?

Et pero non s’hanno à promuovere à gli Ordini sacri, et se son promossi, se ne deveno rimuovere, come vuole il cap. Significavit. extr. De corpore vitiatis. Et se s’allegasse in contrario l’esempio di san Marco, e d’Origene, si deve risponder, che questi, et così fatti accidenti occorsi per instinto dello Spirito Santo, non fanno consequenza, che questo possa farsi lecitamente, come dice il cap. Quæ à iure. extra De Reg. iuris. libro Sexto.

La quartadecima cautela è, considerar la presenza de gl’Angeli, cioè, pensar, ch’essi accompagnano sempre l’huomo, et l’aiutano ne i conflitti carnali, pur ch’egli ancora si sforzi di combatter valorosamente dalla parte sua: Per tanto deve vergognarsi di consentire in presenza de i santi Angeli all’immonditia de i brutti pensieri, et macchiandosene il cuore, offendere in questo modo i sui difensori. Per le quali circonstanze, (quando esse sian bene esaminate,) non poco si ritirarà l’huomo dalle cattive imaginationi, anzi incitarà molto più gl’Angeli all’aiuto suo, come si legge nel nostro Salvatore, il quale essendo tentato dal diavolo, et havendolo totalmente superato, et cacciato con quelle parole. Vade retro Satana; fu non solamente lasciato da lui, ma trovo pronto il ministerio de gl’Angeli. Il beato Abbate Moisè, (come fanno fede le Vite de i Padri,) fu una volta tanto combattuto dallo spirito della fornicatione, che non potendo stare in cella, ando à trovar l’Abbate Isidoro, et conferì seco la violenza di quella tentatione, et benche ne fosse consolato con parole della sacra Scrittura, non s’assicurava pero di ritornarsene, onde l’Abbate Isidoro, condottolo in un luoco superiore alla sua cella; gli disse, che guardasse verso Occidente, et guardandoci esso, vide una moltitudine di demonij apparecchiati alla battaglia, che s’affrettavano di combattere. Gli disse poi, che si voltasse ad Oriente, et mirando l’Abbate Moisè verso quella parte, vide una innumerabile, et meravigliosa squadra d’Angeli, et un glorioso esercito di Virtù Celesti, et più risplendente, che’l lume del Sole: et all’hora gli disse Isidoro. Quelli, che tu vedesti verso occidente fanno guerra à te, et à gl’huomini santi: Gl’altri, che stavano dalla parte contraria, son mandati dal Signore in soccorso loro. Sappia adunque che questi combattono dalla parte nostra. Et così l’Abbate Moisè confortato torno alla sua cella, rendendone gratie à Dio.

La quintadecima cautela è, haver particolar devotione à qualche santo, nel qual proposito racconta san Cirillo in un’Epistola scritta à sant’Agostino, ch’un monaco giovane, et bello, tenendo diligentissima cura della propria verginità, et essendo devotissimo à san Gieronimo, si raccomandava caldamente alla custodia, et intercession sua, onde essendo provocato dall’antico avversario con diverse tentationi, lo faceva sempre partir confuso: Ma avenne, che stando una volta il padre infermo à morte, desiderava sommamente di vedere il figliuolo, il qual voleva più tosto esser desiderato indarno, ch’uscir del monasterio, nondimeno vinto da i preghi de i proprij frati del suo convento, ando à casa del padre, et visitatolo vi stette tre giorni molto mal volontieri, come quello, che non pensava ad altro, che à tornare al suo monasterio. Da poi facendo insieme con una sua bellissima sorella le fregagioni alle gambe del padre, et toccandole à caso una mano, si sentì per instigation diabolica punto il cuor da così fiero stimolo di lusuria, che se non fosse stato per vergogna, non si saria guardato di commetter seco l’horrendo peccato dell’incesto, et dapoi ardendo tutto di carnal concupiscenza, la mirava con un occhio libidinoso, di maniera che non curandosi di tornare la monasterio, continuo tre mesi in questo modo. Intanto, cominciando il padre à risanarsi, furon mandati doi frati del suo monasterio per rimenarlo à casa, ma egli, che poco volontieri ne era uscito, vi ritorno con maggior dispiacere, benche nel cuore non si partisse mai dalla sorella. Pero pensando la notte, e’l giorno come poter tornare à rivederla, il diavolo gli mise al fine questo consiglio nel cuore, cioè, ch’entrasse travestito di notte in casa del padre secretamente, et stesse nascosto sotto il letto della sorella, sin ch’essa s’addormentasse, et poi le si coricasse à lato, et satiasse seco le voglie sue. Accetto il monaco il partito, et la notte seguente ando pian piano con le chiavi verso l’uscita del convento, et benche fosse vicino alla porta, poi c’hebbe girato, et cercato quasi tutta la notte, non puote mai trovarla. Là onde tutto attonito ritornando, si trattenne in cella, pensando, come havesse potuto far la seguente notte quello, che non haveva potuto far all’hora: Et così venuto l’altra notte tenne per uscir fuori il medesimo modo, ma non seppe trovar mai la porta, et così gl’avenne ogni notte per un mese continuo. Teneva questo monaco in cella dipinta in una tavola l’imagine del glorioso san Gieronimo, alla qual faceva riverenza, et si raccommandava ogni giorno. Passato adunque il mese, san Gieronimo apparve ad un santo monaco di quel monasterio, et gli rivelo tutto quello, che colui faceva, commettendogli, che gli dicesse, ch’era stato custodito sin’à quell’hora da lui, per esser suo devoto, et che se non s’emendava subito, saria stato abandonato per l’avenire. Il buon padre scoperse la visione al monaco la mattina seguente: ma egli comincio à giurare, et scongiurare, che non sapeva cio, ch’egli dicesse, affermando, che s’era sognato si fatte novelle, per c’haveva poco cervello, et dall’altro canto vedendo, che san Gieronimo gl’haveva interrotto il corso de i suoi disegni, lascio di fargli la solita riverenza, pero tentata la porta del monasterio la notte seguente, l’aperse facilmente, et trasferitosi alla casa del padre, si nascose sotto il letto della sorella sino à tanto, che gli parve di sentirla dormire: Dapoi trattisi i panni, et entrato nel letto, le si pose à canto dalla parte destra. La fanciulla, (che non haveva ancor ben preso il sonno;) si risentì, et accorgendosi d’haver un huomo appresso tutta spaventata si mise à gridar, quanto puote, di maniera che correndovi tutta la famiglia, trovorono il monaco nel letto. Restorono il padre, et la madre molto meravigliati, anzi stupefatti di così gran caso, et tutti gl’altri se ne dolsero: Et dimandando il padre al figliuolo, perche si fosse messo à così gran rischio, egli secretamente gli confesso la colpa sua. Permise san Gieronimo, che costui facesse esperienza della sua pazzia, accioche per l’avenire fosse più humile, et sapesse meglio guardarsi, et difendersi nel conflitto carnale, et accioche ognuno dall’esempio suo imparasse à non si fidar, ne sperar nella propria santità. Vedendosi adunque il monaco così vituperato, et schernito dal Demonio, et sottoposto à tanta miseria, riconosciuto l’error suo con l’aiuto di san Gieronimo, di cui era stato devoto, ritorno in se stesso, et uscito di casa del padre con lagrime, et con dolore, ricorse prestamente al fonte della penitenza, affliggendosi nel suo monasterio con grandissima astinenza, et asprezza di vita per doi anni continui, et poco da poi si partì felicemente di questo mondo.

Un’altro esempio habbiam da san Cirillo nella medesima Epistola à questo proposito d’una monaca bellisima, et molto giovane d’anni, ma canuta di senno, et devotissima à san Gieronimo, la cui effige essa teneva dipinta nella sua cella. A costei portando invidia l’antico serpente desto nell’animo d’un nobilissimo giovane un dishonesto, et così gagliardo desiderio di lei, che non poteva pensare il giorno, et la notte ad altro, ch’al modo di possederla. Ma non sapendo giungere al fin de i suoi disegni con industria humana, dopo molte esperienze, conferì l’amor suo con un mago, promettendogli molti denari, se conduceva il suo desiderio ad effetto. Per tanto l’indovino chiamato un demonio, lo mando in fretta circa la meza notte à trovar la monaca, ma bench’esso andasse insino alla sua cella, non puote mai entrarvi per la paura, che gli metteva l’imagine di san Gieronimo, et così senza far nulla ritorno à chi ve l’haveva mandato, il quale ridendosene, chiamo un’altro demonio peggiore, et lo mando à fornire il negotio. Il secondo non sol trovo impedimento, come il primo, ma fu sforzato oltra di cio à gridare ad alta voce, et dire. Se tu, o Geronimo, mi lasci partir di quà, non ci tornaro mai più: A questo grido rimase stupefatta la monaca, che stava nella sua celletta in oratione; et tutte l’altre, che s’eran già destate, et tremavano di spavento; non cessando tuttavia il demonio di gridare; concorsero tremando, et facendosi il segno della Croce, verso quella parte, et conoscendo, che quello era un maligno spirito, lo scongiurorono à dir per qual causa era andato in quel monasterio, et esso racconto loro per ordine tutto il successo, et disse, che san Gieronimo l’haveva legato con catene di fuoco, pregandole, che con le loro orationi gl’impetrasse gratia di potersi partire. Di che le monache resero gratie à Dio, et à quel Santo, pregandolo humilmente à cacciar del loro monasterio quel demonio, sì che non potesse tornarci mai più. A pena hebbero fornito di far oratione, che lo spirito si partì stridendo horribilmente, et tornato al mago, lo battè crudelmente, il qual vedendo per esperienza, quanto poteva san Gieronimo, ricorse al suo patrocinio, et fece penitenza, e’l giovane trovandosi ingannato delle sue nefandissime speranze, spinto da furore amoroso, et disperato, s’impicco da se stesso. Un Vescovo ragionando una volta meco famigliarmente, mi disse, ch’essendo ne gl’ordini minori teneva particolar devotione ad un Santo, et soleva portar sempre adosso alcune sue reliquie, et ch’un giorno, havendo mandato la famiglia fuor di casa, et essendo restato solo forse per studiare, sentì à picchiar fortemente alla porta, pero credendo, che fosse qualcheduno della famiglia, ando à veder chi era, et trovo, ch’era una bella donna, che disse di volergli parlare, et così fattala entrare, et postisi à sedere ambidoi, egli tentato da desiderio lussurioso, la ricerco di peccato, la quale acconsentiva, et esso già si coricava per venire all’atto carnale, ma ricordandosi di quelle reliquie, si ritenne alquanto per riverenza, et voleva riporle al trove fuor della camera, dove s’haveva à peccare: Ma mentre si tratteneva nel disfare i nodi, et scior le legature della borsa per metterla in luoco appartato, ecco, che sentì picchiare alla porta, et molto à tempo. Per tanto rimesse le reliquie al suo luoco, penso d’andare à licentiar colui, che picchiava, et tornare à satiar con colei commodamente le voglie sue, ma quando aperse l’uscio, vide, ch’era un Signore, suo grande amico che per sorte andava à visitarlo, et vedendolo tutto infiammato nel viso, et ne gl’occhi, gli disse. Certamente, che voi mostrate d’haver fatto qualche male. Et non volendo quell’altro nasconder niente all’amico, gli scoperse tutto il fatto, et che stava in punto per peccar con quella donna, et l’harebbe fatto, se non fosse stato occupato intorno à quelle reliquie. Onde quel Signore, come persona prudente, replico. Buon protettor veramente v’è stato il Santo, di cui sete devoto, poi che le sue reliquie v’hanno preservato dal peccato. Pero lasciate andar costei, et pigliamoci qualch’altro solazzo, et così fecero. Et l’amico mio tenne da indi inanzi in maggior veneratione quelle reliquie, et per i meriti di quel Santo non molto da poi fu promosso al Vescovato d’una celebre chiesa.

La sestadecima cautela; senza la qual tutte l’altre son vane; è, conservarsi nella gratia di Dio. Di questa si valse san Paolo Apostolo poi c’hebbe provato la debolezza dell’altre, di maniera che dimandando à Dio, che lo liberasse dallo stimolo carnale, hebbe questa risposta. Sufficit tibi gratia mea. Ti basta la mia gratia: Et beato è, chi la possiede, perche non solamente non sentirà nocumento alcuno da sì fatto stimolo, ma ne aspettarà la corona, dicendo san Gieronimo, che colui si puo chiamar beato, ch’ammazza i pensieri, subito che comincia à pensare, et gli sbatte alla pietra, et la pietra è CHRISTO. Da questa pietra nasce per beneficio nostro l’acqua della predetta gratia, di che ho trattato nella cautela quarta, verso il fine. E necessaria à tutti la cautela, di che parliamo, pero sant’Agostino nel libro secondo delle Confessioni, dice. Chi è colui, che conoscendo la sua debolezza, ardisca d’attribuire al proprio valore la castità, et innocenza sua? E’l Savio. Scivi, quoniam aliter non possem esse continens, nisi Deus det. cioè. Ho saputo, che non havrei potuto esser continente, se non m’era conceduto da Dio. Questo considerando il medesimo Padre nostro, diceva nel decimo libro delle Confessioni. Signore, poi che tu mi commandi la continenza, dammi gratia, ch’io faccia quello, che mi commandi, et commandami quello, che ti piace. Soleva il beato Agostino da Terano dimandar sempre la protettione della gratia divina, pero, se ben si trovava nel mezo de i negotij mondani; (dependendo da lui tutto quello, che si faceva nella Corte del Rè Manfredo;) nondimeno col favor della predetta gratia, si conservo sempre mondo da quei vitij, ne i quali sogliono avilupparsi così fatti ministri, havendo fatto special deliberatione di mantener perpetua verginità, et osservatolo sin’alla morte, per quello, che si comprende da alcune parole, ch’egli disse, non per vanagloria, ma per carità; (come anco san Paolo Apostolo alcuna fiata per l’amore, che portava al prossimo, lodava se stesso;) percioche essendo una volta gravemente ammalato, et partendosi per sorte un frate chiamato Uguccione, che si trovava al suo governo, disse ad alcuni altri frati, che eran presenti. Io amo costui, come farei un figliuolo; (se ben non ho mai fatto quell’atto, che si ricerca per haver figliuoli;) et egli sempre mi lascia: et detto questo tacque subito, quasi che si pentisse d’haverlo detto: Da che si puo credere, ch’egli si conservasse nel proposito della verginità, non sol nella Religione, ma anco al secolo, et volse Iddio, che questa parola gl’uscisse di bocca propria, perche si sapesse qual’huomo, di quanta importanza era colui, la cui vita doveva servir per esempio ad altri. Era tale questo santo padre, che se ben tutte le cause, che si dovevano trattar nella Corte del predetto Rè, passavano per le sue mani, fu nondimeno talmente preservato dalla gratia divina; (perche non si imbrattasse di sangue humano colui, che doveva edificar la casa di Dio, et esser pastore, et padre del nostro Ordine;) che si ritiro da quei giudicij, et consigli di quelle cause, dove si trattava di sparger sangue: Si guardo anco da alcuni doni illeciti, che soglion corrompere i giudici, et quelli, che maneggiano le cause, di maniera che non pareva giudice, ma padre. Abhorriva sommamente i giuramenti, le parole doppie, et l’estorsioni, che si fanno spesso nelle Corti, et era così difeso dalla gratia divina contra quei vitij, che conducono altrui alla morte, che già riluceva in lui qualche segno di quello, che Dio haveva ordinato. Desidera finalmente sant’Agostino padre nostro, ch’usiamo questa cautela della gratia divina per custodia della castità, dicendo. DEUS, qui habitat in vobis, etiam isto modo custodiet vos ex vobis. cioè. Iddio, c’habita in voi, anco in cotesta maniera vi custodirà l’un per l’altro. Perche, (dice Ugone in quel luoco;) non basta la nostra custodia, se non ci è anco quella di Dio, pero è scritto. Indarno vigila, chi guarda la città, se’l Signor non la guarda egli. Non è huomo, che possa custodir la pudicitia in se stesso, o in altri, se non con l’aiuto di Dio: Ma se esso habitarà in noi, potremo custodirla col mezo di lui, il qual vive, et regna Iddio per tutti secoli de i secoli. Amen.

Sforziamoci per tanto di viver talmente, ch’egli si degni d’habitare in noi, et noi possiamo habitare in lui et esser casti col favor suo. Percioche all’hora, habitando egli in noi, custodirà noi, e i fratelli nostri per noi, accioche possiamo far col divino aiuto quello, ch’è commandato, cioè, custodir l’un per l’altro la pudicitia nostra.

La decimasettima cautela oltra le predette, è osservare alcune regole particolari, per estinguer l’appetito carnale, le quali sono ad arbitrio della conscienza, et particolarmente imaginarsi il fetor della donna, poiche sarà morta, come si legge di colui, ch’essendo molestato da pensieri lusuriosi, et intendendo, che quella donna, ch’egli amava, era morta, tolse un pezzo del suo cadavero, et quand’era assalito da quella tentatione, s’accostava al naso quella cosa puzzolente, et guardandola, diceva. Ecco, che tu hai quello, che desideravi. Satiati hora; et ne resto satollo in effetto; et s’alcuno non potrà tolerar naturalmente quel fetore, non si schifi pero di rappresentarselo nella mente, considerando col pensiero quella persona, per la qual vien tentato, dover morire, et diventar tosto un puzzolente cadavero, anzi chi andasse rivolgendo ben per l’animo il fetore, et l’immonditia della donna, che vive, le portarebbe tant’odio, che non sol non desiderarebbe d’haver seco alcun lascivo commercio, ma gli parrebbe horribil cosa pure à pensarci. Non voglio lasciar di dir quello, che usavano gl’antichi Padri, quando si ragunavano in chiesa. S’apparecchiava un catino con acqua, et tutti i frati vi si lavavano le mani, poi c’havevan fatto oratione per quelli, ch’eran molestati dalle tentationi, et quand’alcuno era tentato, bagnandosi con quell’acqua, rimaneva mondo. Ma perche alcune delle dette cautele son corporali, et alcune spirituali, io do il primo luoco alle seconde, più tosto ch’all’altre, perche, come dice l’Apostolo nella seconda Epistola à i Corintij; al cap. decimo; Arma militiæ nostræ non carnalia sunt, sed potentia Deo ad desctructionem munitionum, consilia destruentes, et omnem altitudinem extollentem se adversus scientiam Dei. cioè. L’arme della nostra militia non son carnali, ma potenti per virtù di Dio à ruinar le machine del mondo, distruggendo noi con esse i consigli, et ogni altezza, che s’inalza contra la scienza di Dio.

Cap.XXXI.

Della consumatione della vera, et perfetta castità.

Ma se ben paresse ad alcuno, che’l fuoco della concupiscenza carnale non si potesse estinguere, secondo la legge commune, non si deve pero dubitar; (secondo la dottrina dell’Abbate Cheremone, registrata da Gio. Cassiano nelle Collationi de i Padri;) che tanto possiam mondar le membra nostre dal contagio della fornicatione, et dell’immonditia, quanto si puo separar dal cuor nostro l’avaritia, pero, si come vediamo; ch’alcuni santi huomini hanno cacciato l’avaritia de i lor cuori, sprezzando per amor di Christo tutto quello, che possedevano, così debbiam credere, che l’appetito di fornicatione si possa parimente estirpare dalle membra nostre con l’auttorità anco dell’Apostolo, il qual disse. Mortificate membra vestra, quæ sunt super terram, fornicationem, immunditiam, etc. cioè. Mortificate le membra vostre, che son sopra la terra, cioè, la fornicatione, l’immonditia, etc. Et soggiunge. L’avaritia. Pero l’ardor della fornicatione si puo estinguere, come si puo anco l’avaritia determinando l’Apostolo, che l’una, et l’altra si possano egualmente mortificare. Et son molti i gradi, per i quali s’ascende all’inviolabil purità della mente, lasciando da parte i mezi, co i quali cresce à poco, à poco con utilità quotidiana la perfettion della castità, non potendo pur giungervi la vista dell’intelletto nostro, ne l’industria della lingua nostra. Il primo grado è, che’l monaco, mentre vigila non sia atterrato nella battaglia carnale. Il secondo, che non si fermi con la mente ne i pensieri lussuriosi. Il terzo, che per guardar qual si voglia donna, non si muova punto à desiderarla. Il quarto, ch’anco vigilando non senta qual si voglia semplice moto di carne. Il quinto, ch’occorrendogli, o per occasion di ragionamento, o per necessità di lettione trattar della generation dell’huomo, non si lasci occupar la mente da alcuno, benche sottilissimo affetto di piacere, ma la contempli con una pura, et tranquilla consideration di cuore, come una semplice operatione, et come un ministerio dato necessariamente alle creature terrene, ne concepisca nominandola, altro pensiero, che se discorresse d’alcun lavoro di terra, o di qualche altra arte. Il sesto grado è, che’l monaco anco dormendo non sia ingannato da lascive apparitioni di donne, percioche se ben non si crede, che questa illusione oblighi altrui ad alcun peccato, è pero indicio di concupiscenza ancora occulta nelle midolle. Et così finalmente si giungerà à quella purità del beato Sereno, et d’alcuni altri pochi huomini simili à lui, la qual percio ho separata da i predetti sei gradi di castità, perche rarissimi son quelli, che non sol la possedano, ma pur la credano, et perche quello, che per liberalità della divina gratia, fu particolarmente donato al beato Sereno, non si puo proporre per forma di precetto universale, cioè, che la mente nostra acquisti un così puro stato di castità, ch’oltra la mortificatione del natural movimento della carne, non patisca alcuna effusione di quell’immondo liquore. Et qualunque con una ferma perseveranza diventarà così casto, che possa resister con la mente alle tentationi de gl’affetti carnali, giungerà senza dubbio à tanta perfettione, che tal si trovarà la notte, quale il giorno, tal nel letto, qual nell’oratione, et tal solo, qual circondato da molti, et finalmente non vorrà veder mai nell’intrinseco se stesso tale, qual potesse vergognarsi d’esser veduto da gl’huomini, ne comportarà, che l’occhio inevitabile d’Iddio scopra in lui cosa, ch’egli volesse, che fosse celata à gl’occhi humani; per il che, quando cominciarà à sentir frequente diletto del soavissimo lume della castità, potrà dir col Profeta. Nox illuminatio mea in delitijs meis. cioè. La notte sarà il mio lume, nelle mie delitie; perche, com’egli soggiunge, tu possedisti renes meos. Tu hai posseduto le mie reni: come se dicesse: Io non ho meritato con l’industria, et virtù mia questa purità, ma tu hai mortificato il naturale ardore della mia libidinosa volontà, posto nelle reni mie: Et così è per certo, poi che la sola liberalità della divina gratia puo conceder la predetta purità, ne bastano in modo alcuno, per acquistarla, gl’esercitij di digiuni, di vigilie, d’orationi, ne dell’altre cautele, narrate nel cap. precedente, se non per humiliare, et dispor l’huomo ad ottener questa gratia. Narra Valerio Massimo nel libro quarto, al cap. terzo, che Senocrate Filosofo s’astenne da una donna, che dormì una notte à canto, et haveva promesso di condurlo à i suoi piaceri, ma essendo schernita, perche non haveva potuto indurvelo con le sue lusinghe, rispose, che’l patto della vittoria si doveva intender d’un’huomo, non d’una statua, percioche haveva messo un certo pegno con alcuni, che l’harebbe tirato à solazzarsi seco, et perche colui parve in quella occasione quasi insensibile, non movendosi, ne mostrando alcun sì fatto appetito, disse, ch’era una statua. Di questo, et d’alcuni altri Filosofi dimandava Germano all’Abbate Cheremone, come poteva essere, che non havendo essi alcuna cognition di Dio, ne della gratia divina, havessero posseduto la purità della castità, à cui rispose il santo padre così. Non si deve credere in modo alcuno, che quei Filosofi possedessero la vera castità, com’è quella, che si ricerca in noi, perche ne hebbero solamente una picciola portione, cioè, astinenza della carne, che consiste nell’affrenar l’appetito dell’atto carnale, ma quanto all’interna et perpetua purità della mente, et del corpo, non sol non l’acquistorono in effetto, ma non poteron pur comprenderla col pensiero. Il che non si vergogno di confessar di se stesso il famosissimo Socrate, quando dicendogli un savio Fisionomo, che lo miro. Ecco gl’occhi d’un corruttor de’fanciulli, et movendoglisi contra con molto sdegno isuoi discepoli, per vendicar l’ingiuria fatta al lor maestro, egli con queste parole ritenne il loro impeto. Acquetatevi compagni, perche questo è vero, ma io me ne astengo, essendo raffrenato l’huomo dalla ragione, perche non si mescoli co i desiderij carnali, poiche nel mondo si trova qualche altra più nobil concupiscenza. Là onde si prova chiaramente, che quei Filosofi per obedire alla ragione, s’astenevano solamente da quella dishonesta commistione esteriore, ma non pero escludevano da i proprij cuori il desiderio, e’l piacer di così fatta passione. Pero è cosa certa non potersi posseder la nostra circoncisione spirituale senza il dono della gratia divina, et cio esser conceduto à quelli solamente, che servono à Dio con intiera contrition di spirito. Dalle cose dette conclude il santo Cheremone, che la consumation della vera, perfetta, et purissima castità, consiste in questo, che’l monaco, mentre vigila, non sia preso da qual si sia libidinoso diletto, ne ingannato, etiando dormendo; da alcuna illusion di sogni, ma che destandosi in lui qualche moto carnale per semplice inavvertenza dell’addormentata mente, si come sarà stato eccitato senza alcuna provocation di piacere, così anco s’acqueti senza alcun’incitamento di carne. Pero il Profeta con gl’altri suoi simili, conosciuta questa, più tosto celeste, et angelica, c’humana purità, la contemplo con molto stupore, invitando ogn’uno à considerarla con queste parole. Venite, et videte opera Domini, quæ posuit prodigia super terram, auferens bella usque ad fines terræ. cioè. Venite, et mirate l’opere del Signore, le quali egl’ha posto, come prodigij in terra, acquetando le guerre sino à gl’ultimi termini della terra. Et chi sarà colui, che non si meravigli delle operationi di Dio, sentendo spento entro di se quel fuoco di libidine, c’haveva giudicato esser naturale, et quasi inestinguibile, talmente che non viene stimolato da qual si sia moto di carne? Acquetate poi per man di Dio le guerre della nostra carnal concupiscenza, rimarrà spezzato l’arco, che ci aventa ardenti saette incontra, et rotte l’arme, con le quali il diavolo ci combatte continuamente. Et all’hora possederemo la terra nostra quietamente, et goderemo una piena, et sicura pace. Et perche non s’applica ogn’uno allo stato del celibato, pero parlandone il Signore nell’Evangelio, dice. Sunt Eunuchi, qui seipsos castraverunt, propter Regnum Cœlorum: Qui potest capere, capiat. cioè. Si trovano Eunuchi, che si son castrati da se stessi, per acquistar il Regno Celeste: Chi lo puo far, lo faccia. Si trovan pochi, che lo conoscano, et più pochi quelli, che lo provano. Per tanto dice Gio. Cassiano nel luoco di sopra allegato, recitando le parole di san Cheremone intorno alla perfettion della castità. Niuno potrà far certo et risoluto giudicio, se sia possibile, o impossibile accettare, et lodar questo, se indrizzato dalla parola del Signore non giungerà col mezo d’una lunga esperienza, et della purità del cuore à i confini della carne, et dello spirito, di che parla l’Apostolo dicendo. E’ viva la parola di Dio, et efficace, et penetra più d’ogni coltello ancipite, et giunge sino alla division dell’anima, et dello spirito, et delle congiunture, et delle midolle, et giudica i pensieri, et l’intentioni del cuore. Et poco più oltra dice. Finalmente, se sarà alcuno, che voglia contradire à questo, che noi affermiamo, lo prego, che non disputi con noi determinatamente, se prima non haverà appreso le regole di questa disciplina, percioche, quando le haverà osservate per pochi mesi con quei modi, che gli sono insegnati, potrà senza dubbio approvar con sicuro giudicio quello, che s’è detto di sopra. Altramente è vana la fatica di chi disputa di qual si voglia arte, et disciplina, et non ha prima fatto esperienza con sommo studio, et virtù di tutte quelle cose, che s’appartengono alla perfettion di quella: Come se per esempio io affermassi potersi cavar dal formento un liquore simile al mele, et anco oglio delicatissimo, come si fa da i semi del rafano, et del lino, et lo dicessi alla presenza di persona, che non havesse questa cognitione, non si riderebbe egli di me, come d’un’auttore d’una manifesta bugia, gridando questa esser cosa contraria alla natura? Et s’io glielo provassi con molti testimonij, che facessero fede d’haverlo veduto, assaggiato, et fatto, et gli dechiarassi in qual modo, et con qual’ordine quelle specie si trasformano, o nella grassezza dell’oglio, o nella dolcezza del mele, et colui stando pur ostinato nella sciocchissima sua persuasione, negasse poter uscir da quei semi cosa alcuna, o dolce, o grassa, non si doverebbe egli riprender l’irrationale, et pertinace sua opinion più tosto, che ridersi della verità delle mie parole, confermata dalla gravità di molti, et fedeli testimonij, da chiarissimi documenti, et quello, che più importa, dall’auttorità dell’istessa esperienza? Questo dice l’Abbate Cheremone. Pertanto deve guardarsi ciascuno di non presumer vanamente d’esser giunto al perfetto grado della castità, benche sia santo, et commandi à i demonij, perche si legge, che’l beato Pafnutio; c’haveva tenuto lungo tempo una vita così casta, che credeva d’esser affatto libero dalla concupiscenza carnale, et poter superar le infestationi diaboliche; apparecchiando una volta da mangiare ad alcuni frati forestieri, che gl’eran sopragiunti, et cocendosi alquanto una mano, si turbo, che dandogli obedienza i demonij, la fiamma havesse havuto forza d’offenderlo, pero essendosi addormentato dopo quel dispiacere, gl’apparve l’Angelo, et gli disse. Perche t’attristi tu, o Pafnutio? Forse, perche’l fuoco terreno non sia ancor placato teco, non havendo tu ancora acquetati i moti de i piaceri carnali? Hor va, et mettiti à canto ad una bellissima vergine nuda, et se tenendola in tuo potere, ti conservarai costante, et quieto, potrai ancor sofferir l’ardor di questo fuoco. Par nondimeno, che’l Profeta David possedesse questo stato di perfetta castità, essendo scritto nel libro terzo de i Rè, al cap. primo, ch’Abisag Sunamite fanciulla bellissima dormiva nelle braccia del Rè, et ch’egli non la conobbe carnalmente, il che non si deve attribuire al difetto dell’età, ma alla perfettion della sua virtù, perche quantunque i vecchi siano impotenti nell’officio carnale, non son percio privi di concupiscenza. Pero diceva il prete citato nel cap. precedente. Ancor vive un poco di fuoco. Et io vidij far una simil risposta da un frate vecchio, ch’essendo dimandato da alcuni giovani, se sentiva ancora gli stimoli della carne, disse. Io son ancor huomo. Il difetto adunque dell’età non esclude la concupiscenza carnale, anzi molte fiate con l’impotenza de gl’anni cresce il desiderio del cuore, et io ho inteso à dir da un’altro frate di vita santissima, et vecchio di novant’anni, ch’in quella età decrepita sentiva molto più gagliardi assalti da gl’appetiti carnali, che non haveva fatto in gioventù, di maniera che si vedeva spesso comparire inanzi il diavolo in forma visibile d’una bella donna, et si lamentava, ch’era fieramente combattuto da simili tentationi. Percio; (dice san Gio. Grisostomo;) la concupiscenza della carne atterra la pueritia, distrugge la gioventù, alletta, et inquieta la decrepità: Et perche l’antico avversario suol tentare il più delle volte gl’huomini di peccati tanto maggiori, quanto più gli vede approssimare al fin della vita, di quà nasce, ch’i vecchi son tanto molestati, come dice san Gregorio, nel 32. cap. de i Morali. Non si deve per tanto credere, ch’un Profeta così grande, et un’huomo di tanta perfettione; come fu il santo David; s’esponesse al pericolo dell’immonda concupiscenza, tenendosi à canto quella bellissima fanciulla nuda, se per dono d’Iddio non havesse posseduto la virtù d’una consumata castità, et d’una vera continenza, et questo par ch’accenni la glosa di san Gieronimo nel predetto luoco, dove dice. Quale è questa Sunamite moglie, et vergine, tanto fervente, che riscaldo un’huomo freddo, et così santa, et casta, che non provoco à lusuria un’huomo caldo? Serve à questo proposito il discorso di Origene nel libro quarto, sopra quelle parole di san Paolo nell’epistola à i Romani, al cap. quarto, cioè, ch’Abraam non era privo di fede nella promessa fatta di Isaac, ne considero il proprio corpo già morto, havendo quasi cent’anni, et l’impotenza della vulva di Sara: et le sue parole son queste. Diciamo, ch’Abraam non sia morto, quanto all’impotenza dell’età, ma quanto à quella virtù, di cui dice l’Apostolo. Mortificate le membra vostre, che son sopra la terra. In lui adunque fu questa mortification di membra. Egli non era incitato dalla lusuria, non era abbrusciato dalla libidine. Il medesimo si puo dir di Sara, pero è scritto, che mancorono à Sara le purgationi muliebri, perche in essa non era lascivia femminile, ne dissolutione alcuna d’incontinenza, ne essa, e’l marito si davano in preda à gl’atti libidinosi, ma miravano solamente alla promessa di Dio intorno alla posterità. L’istesso accenna sant’Agostino nel libro, De bono coniugali; là, dove dice. Non è differente il merito del celibato di Giovanni dal matrimonio d’Abraam, etc., come diro nel cap. settimo del libro seguente. Altretanto possiam dir di David, il quale, ancor che fosse molto vecchio, harebbe potuto congiungersi carnalmente con Abisag, ma se ne astenne per la virtù della predetta mortificatione. Pero, quando si dice, che’l Rè non hebbe seco commercio carnale, si deve intender, non solamente, quanto all’atto della carne, ma anco, quanto al desiderio del piacer carnale, di maniera ch’egli ancora poteva dir con ragione quelle parole del Salmo. Venite, et mirate l’opere del Signore, etc. Questo medesimo stato di perfetta continenza par, ch’in un certo modo fosse anco posseduto da san Bernardo, poi che sentendosi appresso, (come si legge,) una giovanetta nuda, che per instigation diabolica gl’era entrata in letto una notte, ch’egli dormiva, le cedette quietamente, et con silentio quella parte di letto, ch’essa s’haveva occupato, et voltatosi dall’altro canto s’addormento, onde poi che quella meschina hebbe indugiato, et aspettato alquanto, et voluto anco tentarlo, toccandolo, al fine trovatolo immobile, benche fosse dishonestissima, tutta spaventata, et piena di meraviglia, si levo, et fuggì via. A così fatta perfettion di castità si puo dir, che giungesse parimente quel santissimo monaco, del qual si fa mentione nelle Vite de i Padri, ch’essendo molto afflitto da una gravissima infermità, fu portato dal monasterio alla celletta d’una vergine serva di Dio, perchè fosse meglio governato, che non era da i frati, la qual ricevutolo con ogni riverenza, lo serviva per l’amor di Dio: Ma havendo perseverato più di tre anni in quell’officio, si comincio à sospettare, che non havessero insieme qualche prattica carnale, havendo esso habitato solo con essa sola tanto tempo, il che essendogli riferito, faceva oratione à Dio per essa, accio che fosse remunerata della tanta diligenza, c’haveva usata verso di lui, et finalmente trovandosi in transito di morte et essendo visitato da molti padri, et frati del suo monasterio, disse loro così. Io vi prego, honorandi padri, et fratelli, che vogliate piantare il mio bastone sopra la mia sepoltura, quand’io saro morto, accioche, s’egli metterà le radici, et produrrà frutto, possiate esser certi, che la carne mia non s’è macchiata con quella serva di Dio, che m’ha governato, et s’egli non mandarà fuori le frondi, crediate, ch’io ho peccato con essa. I padri adunque, subito ch’egli fu morto piantorono il bastone sopra la sepoltura, com’esso gl’haveva pregati, et quello subito fiorì, et col tempo fece frutto: Di che tutti restorono stupefatti, dandone la gloria à Dio. Et san Giero. scrive d’haver veduto quell’arboscello.

Cap.XXXII.

Quali statuti della Regola, et delle Constitutioni dell’Ordine si riducano à questa seconda Communione.

Habbiam mostrato ne i Capitoli di questo secondo libro, come ciascun d’essi sia fondato, et applicato sopra determinati, et particolari luochi della Regola. Hora vederemo quali siano i luochi delle Constitutioni, che si possano accommodare à i Capitoli del predetto libro, et in qual modo. Et così potremo anco conoscere quali Capitoli di esse si riferiscano à i luochi della Regola. Al primo Capitolo adunque del presente libro, et al luoco della Regola citato in esso, si riferisce il Proemio delle Constitutioni. Sotto i Capitoli II. III. et IV. si riducono le cose contenute ne i Capitoli delle Constitutioni III. IV. VII. XXX. XXXI. XXXII. XXXIII. XXXIV. XXXV. XXXVI. XXXVII. XXXVIII. XXXIX. XL. et XLI. A i Capitoli V. VI. VII. VIII. et IX. si riduce una parte del Capitolo XLIII. delle Constitutioni, et i Capitoli XLIV. et XLVIII. Al decimo Capitolo s’appartengono le cose contenute nelle Constitutioni à i Capitoli III. IV. XXXIV. et XXXV. All’undecimo, et duodecimo, il terzodecimo delle Constitutioni. Al XIII. s’appartengono le cose contenute nel Capitolo XIV. delle Constitutioni. Al XIV. s’appartiene il Proemio, e’l XVIII. Capitolo delle Constitutioni. Nelli XV. XVI. XVII. XVIII. XIX. XX. et XXI. hanno luoco i Capitoli delle Constitutioni I. II. VI. VIII. et X. Nelli Capitoli XXII. et XXIII. hanno luoco i Capitoli delle Constitutioni XXXVI. et XXXVII. Nelli XXIV. XXV. XXVI. et XXVII. ha luoco una parte del Capitolo secondo delle Constitutioni verso il fine, et tutto il Capitolo XXIX. A i Capitoli XXVIII. XXIX. XXX. et XXXI. s’appartengono i Capitoli delle Constitutioni IX. et XII. et una parte del Capitolo XLIII.

Fine del secondo libro.