LIBRO PRIMO

Nel quale si tratta della Communione della cohabitation Locale, che deve esser fra i professori della vita Monastica.

Cap.I.

Di quattro sorti di Communioni, che deveno esser in ogni Sacra Religione.

Multitudinis credentium erat cor unum, et anima una: nec quisquam eorum, quæ possidebat, aliquid suum esse dicebat: sed erant illis omnia communia. Neque enim quisquam egens erat inter illos. Quotquot enim possessores agrorum, aut domorum erant, vendentes afferebant pretia eorum, qua vendebant, et ponebant ante pedes Apostolorum. Dividebatur autem singulis, prout cuique opus erat. Così si legge ne gl’Atti de gl’Apostoli al capitolo quarto. Le quali parole vogliono dir così: Nella moltitudine de i fedeli era un cuore, et un’anima sola. Ne era alcuno, che dicesse esser sua cosa alcuna, che possedesse; ma tutte eran communi fra loro. Ne fra essi era, chi havesse bisogno alcuno. Perche tutti quelli, c'havevano campi, o case, le vendevano: et portando i danari, che ne trahevano, gli mettevano a i piedi de gl’Apostoli, et si distribuiva a tutti, come ricercava la necessità di ciascuno.

Volendo il beatissimo Padre nostro, et fondator della sacra nostra Religione, S.AGOSTINO, rinovar la vita Apostolica, fondo l'intention sua sopra l’allegate parole. Pero nel secondo sermone: De communi vita clericorum; per mostrare a i professori della sua Regola il fondamento dell’institutione di essa; fece legger questo passo de gl’Atti, da Lazaro Diacono, per esordio del suo ragionamento, et dapoi lo lesse egli medesimo, soggiungendo: Audistis, qua iam velimus: Orate: ut possimus. Cioè. Havete già inteso quello, che vogliamo: fate oratione, perche possiam farlo. Et senza dubbio, se consideraremo con diligenza l'intentione di sant’Agostino, così nella Regola, come ne gl’altri suoi sermoni, fatti intorno al commun viver de i chierici, et in altri suoi ragionamenti ammonitorij, trovaremo, ch’egl’ha fondata tutta la sua Religione sopra quella Communità, (o per dir meglio,) communion delle cose.

Questa adunque è di quattro sorti, la prima è communione di cohabitation locale, cioè, che più persone habitino insieme in un medesimo luoco: della quale è scritto nel salmo. Ecce quam bonum, et quam iucundum habitare fratres in unum : cioè. Ecco quanto è buona, et quanto gioconda cosa, ch’i fratelli habitino insieme. Et questa è accennata nelle parole sopradette. Nella moltitudine de i fedeli, etc. intendendosi di quelli, ch’eran congregati in un luoco per habitare insieme. Dove anco; quanto al senso litterale; si vede, che gl’Apostoli insieme con gl’altri fedeli, che son compresi in quelle parole, habitavano insieme nel cenacolo come si dirà più a basso. La seconda è communion d’union di spirito, quando alcuni; come, s’havessero un sol cuore, et una sola anima; sono d’un costume, et d’una medesima osservanza nella vita commune. De i quali il salmo in un’altro luoco, parlando di Dio, dice: Deus, qui inhabitare facit unius moris in domo. cioè. Dio, che fa habitare in una casa le persone d’un medesimo costume. Et questa communione è espressa con quelle parole. Era un cuore, et un’anima sola. La terza è communione di temporal possessione, quando l’huomo non possiede cosa alcuna de i beni temporali, come propria, ma mette ogni cosa in commune. Et questa è compresa in quelle parole. Perche tutti quelli, c’havevano campi, o case, le vendevano, et portando i danari, che ne trabevano, gli mettevano a i piedi de gl’Apostoli. La quarta è communione di proportional distributione, quando de i beni fatti communi, è dato ad ogn’uno proportionatamente quello, che gli bisogna. Et questa è descritta con quelle parole: Ne fra essi era, che havesse bisogno di cosa alcuna: et si distribuiva a tutti, come ricercava la necessità di ciascuno.

Et perche sopra queste quattro sorti di communioni fondo il Padre sant’Agostino la Regola sua; quattro cose parimente son quelle, ch’egli propone nel principio di essa, dicendo. HAEC SUNT, quæ, ut observetìs, præcipimus, in monasterio constituti. Primum, propter quod in unun estis congregati, ut unanimes habitetis in domo. cioè. Queste son le cose, che vi commandiamo, ch’osserviate voi, che state nel monasterio. La prima; per laqual vi sete congregati insieme; è, che viviate in concordia in una casa. Et questo, quanto alla prima communione. Et sit vobis anima una, et cor unum in Deo. cioè. Et habbiate una sola anima, et un sol cuore in Dio.Il che s’appartiene alla seconda. Et non dicatis aliquid proprium, sed sint vobis omnia communia. cioè. Ne diciate, che cosa alcuna sia vostra propria, ma teniate il tutto commune. Questo, quanto alla terza. Et distribuatur unicuique vestrum a Præposito vestro victus, et tegumentum, non æqualiter omnibus, quia non aqualiter valetis omnes: sed potius unicuique, proutcuique opus fuerit. cioè. Et sia distribuito a ciascun di voi dal vostro Preposito il vivere, e i vestimenti: non a tutti egualmente, perche non sete tutti d’egual dispositione, ma a ciascuno, secondo il suo bisogno. Et questo per quello che tocca alla quarta communione. Et per mostrar, che questa Regola sia conforme alla vita apostolica, soggiunge: Sic enim legitis in Actibus Apostolorum. cioè: Perche così leggete ne gl’Atti de gl’Apostoli. Finalmente tutti gli statuti dell’Ordine, che son compresi, così nella Regola, come nelle Constitutioni, si riducono a queste quattro communioni, et secondo queste la presente opera si dividerà in quattro libri, con quest’ordine che’l primo trattarà della prima: il secondo della seconda: il terzo della terza: e’l quarto della quarta.

Cap.II.

Della prima communione, ch’è la cohabitation Locale: Quand’havesse principio:

et come la vita cenobitica si cominciasse a mettere in uso.

Beneficentia, et communionis nolite oblivisci. cioè: Non vogliate scordarvi della beneficenza, et della communione, dice san Paolo nell’epistola a gl’Hebrei, al cap.I 3. nel qual luoco espone la Glosa, che questa communione, è una carità, che dispone altrui a communicar ogni sua cosa. Et se ben deve essere in tutti i fedeli essentialmente si ricerca nondimeno ne i Religiosi d’una istessa professione particolarmente. Pero trovandosene, (come s’è detto, di quattro sorti, verremo a trattar della prima. Si chiama adunque la prima communione, che si deve osservar nella sacra Religione: Cohabitation Locale, cioè, ch’alcune persone habitino insieme in una casa, o clausura, o monasterio. Questa sacra communione hebbe il suo principio nel Testamento vecchio sotto Samuele, ilqual fu il primo, ch’instituisse le congregationi di persone religiose, come dice il Maestro dell'Historie sopra quel luoco del primo de i Rè, al cap. X. Obvium habebis gregem Prophetarum; descendemtium de excelso, et ante eos psalterium, etc. Et si chiama quella schiera, Cuneus, che vuol dire, quasi Couneus. Et si dice, che spfetavano, cioè, che lodavano Iddio continuamente: O forse ancora, perche alcuni d’essi alcuna volta; (come dice l’allegato auttore;) predicevano le cose future. Et che questi profeti rappresentassero i religiosi, ne fa fede S.Gieronimo in una Epistola a Rustico monaco, dicendo: I figliuoli de i Profeti, che da noi son chiamati monaci, ne i tempi del Testamento vecchio si fabricavano alcune capanne appresso alle rive del fiume Giordano, et abandonate le turbe delle Città, vivevano di polenta, et d’herbe selvatiche. Instituì dapoi Christo medesimo il Collegio de gl’Apostoli, dando loro la regola evangelica, onde essi ritennero sempre dopo la sua resurrettione questa santissima Communione, et all’hora cominciorono ad habitar personalmente insieme, leggendosi ne gl’Atti loro, che gl’undici Apostoli dopo la resurrettion di Christo habitavano insieme in Gierusalem in un cenacolo, et perseverava tutti in oratione con MARIA madre di GIESU, et con quell’altre donne. Et così essi, come gl’altri discepoli, et le donne habitavano nella parte di Gierusalem, chiamata Mello: che è nel Monte Sion, dove fabrico David il suo palazzo: et ivi era il cenacolo habitato all’hora solamente da loro. Perche gl’altri discepoli, et le donne habitavano in diversi allogiamenti ivi d’intorno, come dice il Maestro dell’historie; et ivi apparve il Signore il giorno dell’Ascensione, et commise loro, ch’andassero sul monte Oliveto (come fecero,) et vedutolo ascendere al cielo, tornorono in Gierusalem nel medesimo cenacolo, dove stettero insieme fin’al giorno della Pentecoste, quando sopra cento venti di essi discese lo Spirito Santo. Da questa santa cohabitatione Apostolica adunque hebbe origine nel Testamento novo la disciplina cenobitica. Et questa Communione in processo di tempo venne germogliando, et crescendo in tre propagini. Percioche i dodici Apostoli furono i primi, che ricevessero nella Communione di questo lor religioso instituto gl’altri discepoli, et gl’altri fedeli, i quali desiderando di seguitargli, vendevano le proprie possessioni, et mettevano il prezzo a i piedi loro. Onde tenendosi ogni cosa commune, visse quella santissima Congregatione in somma perfettione, et in costantissimo fervore, come bene è scritto nelle Collationi de i Padri, cioè che tutta la Chiesa era in quel tempo così devota, ch’al presente saria difficil cosa trovar pochi ne i monasterij, che fossero di quella bontà. Et questa fu la prima propagine della predetta sacra communione apostolica: allaquale era simile quella, che fioriva in Alessandria sotto S.Marco evangelista, come narra Filone nell’Historia ecclesiastica; et Giovanni Cassiano nelle Institutioni de i Padri. Essendo poi cresciuta per la predicatione apostolica la moltitudine de i credenti, et concorrendo molti di diverse, et straniere nationi alla fede di Christo, gl’Apostoli in quei principij della fede niente più desideravan da loro, per l’invecchiata consuetudine della Gentilità, se non, che s’astenessero dal mangiar carni sacrificate a gl’Idoli, dalla fornicatione, da gl’animali soffocati, et dal sangue. Ma per questa libertà, che si dava a i Gentili, perche non erano ancora stabiliti nella profession Christiana, si comincio a corromper pian piano quella santità, ch’era nella chiesa di Gierusalem, et raffreddarsi il fervor della fede. Onde non solo le persone, che dalla Gentilità eran venute alla verità Christiana, ma anco i proprij capi, et rettori di detta Chiesa, lasciorono quella prima strettezza, giudicando esser loro lecito quello, ch’era conceduto a i Gentili: benche fosse fatto per supplire alla loro debolezza. Pero alcuni, ch’ancor ritenevano il fervore apostolico, ricordandosi di quella prima perfettione, si partivano dalle proprie città, et dalla compagnia de gl’altri, che dicevano non esser tenuti a far vita tanto austera, e si ritiravano ne i villaggi, ne i borghi, et e ne i luochi più secreti; ivi facendo con particolare, et privato esercitio quell’opere, che si ricordavano esser state instituite da gl’Apostoli. Et in questa maniera comincio a crescer la disciplina di quelli, che si separavano da gl’altri, per non infettarsi, vivendo con loro. Et questa fu la seconda propagine. Ne i tempi seguenti poi, crescendo a poco a poco il numero di questi, per il concorso, non sol de i nativi del paese, ma anco de i forastieri, (alcuni de i quali havevan moglie,) si veniva raffreddando lo zelo della santità apostolica, mentre essi stavano occupati nel governo delle loro famiglie, et nella cura delle mogli, et de i figliuoli. Et per cio gl’altri, contaminati per il loro esempio, parimente s’intepidivano. Onde alcuni d’essi; ne i quali ardeva tuttavia il fervore apostolico; astenendosi da i matrimonij, si separavano dal confortio de i proprii parenti, et fuggendo ogni mondana conversatione, s’eleggevano una singolare, et solitaria vita, habitando insieme lungi dalla moltitudine. Per il che da così fatta solitudine furon chiamati monaci, et cenobiti: perche vivevano in commune: et le lor celle, et habitationi si dimandoron cenobij. Et quella fu la terza propagine della Communione apostolica; la qual duro molt’anni, fin’al tempo di S.Paolo primo Eremita, et di sant’Antonio. Fra il monasterio, e’l cenobio è questa differenza, che’l monasterio è nome d’albergo, che non vuol significar altro, che luoco, o habitatione de i monaci, et si puo intender d’un sol monaco: ma non si puo dimandar cenobio, se non quello, dove molti habitano in una concorde, et unita communanza: come si vede chiaramente nelle Institutioni, et Collationi de i Padri.

Cap.III.

Di tre sorti di monaci, et d’una quarta aggiunta.

Per quello, che si trova nelle Institutioni de gl’antichi padri, tre sorti di monaci furono in Egitto; doi delle quali son’ottime, la terza è tepida, et deve esser affatto fuggita. La prima è di quelli, che si dimandano Cenobiti, i quali habitavano insieme in un’istesso luoco sotto’l governo de i più vecchi, et son detti Cenobiti, (come dice Papia,) da x o i n o V et b i o V , vocaboli Greci, che voglion dire il medesimo, che vita commune. Pero si chiamano Cenobiti quelli, che vivono in commune: Dell’origine de i quali ho parlato alquanto di sopra. Del progresso loro trattaro più a basso. La seconda sorte di monaci è di quelli, che si chiamano Eremiti, o Anacoreti, i quali sono usciti da i primi, quasi come fiori, o frutti d’una radice, et pianta fecondissima. Et di questa professione sappiamo essere stati auttori, et capi S.Paolo, et sant'Antonio. Quelli adunque, che seguitan questo modo di vivere, si chiamano eremiti, perche habitano ne gl’eremi. Sono anco detti Anacoreti, che vuol dire il medesimo: Perche la voce Greca, A n a c w r h s i V , significa l’istesso, che eremo. Onde Anacoreta vuol dire un’eremita libero, c’habita nella solitudine, secondo il detto Papia. Overo secondo Gio. Cass. son chiamati Anacoreti, cioè solitarij, conciosia che non contenti di quella vittoria, con la quale hanno conculcato, et superato l’occulte insidie diaboliche fra gl’huomini, desiderando anco di combatter co i demonij ad aperta guerra, et con palese conflitto, non temono di penetrare ne i più rimoti luochi de i grandissimi deserti, ad imitatione di san Gio. Battista, che spese tutti gl’anni suoi nell’eremo, d’Elia, et d’Eliseo, et di quegl’altri, de i quali fa mentione san Paolo, quando dice, circumierunt in melotis, et in pellibus caprinis, egentes, angustiati, afflicti, quibus dignus non erat mundus. In solitudinibus errantes, et in montibus, et in speluncis, et in cavernis terræ. cioè; Andorono vagabondi con vestimenti di pelli di pecora, et di capra, pieni di necessità, d’angustie, et d’afflittioni, de i quali non era degno il mondo. Erravano per le solitudini, dimorando ne i monti, nelle spelonche, et nelle caverne della terra: De i quali disse Gieremia: Sedebit solitarius, et tacebit, quia levavit se supra se. cioè. Sederà l’huomo solitario et tacerà, perc’ha alzato se sopra di se. La terza è una pessima,et esecrabil sorte di monaci, che si chiamano Sarabaiti, i quali imitando Anania, et Saffira, voglion più tosto fingere, che veramente accettare la perfettione evangelica. Questi contenti solamente d’esser riputati monaci, quanto al nome, ne curandosi di concorrer in effetto con loro all’opere, et a gl’eserciti monastici, predican la povertà a gl’altri, ma non voglion patir essi alcun disagio. In tutte l’opere, che fanno, voglion esser honorati, riveriti, et lodati, et havuti in veneratione dalle genti, come santi, si cuopron di fuori di vestimenti vili, ma portano di dentro sopra la carne la porpora. Dicon di dormir su la cenere, et non rifiutano i morbidi letti ne gl’alti palagi. Mostrano esteriormente una faccia angelica, ma è cosa certa, che di dentro hanno la forma lupina. Questi non voglion sottoporsi al governo de i vecchi, cercando principalmente di liberarsi dal giogo loro, per poter satiar le proprie voglie, per andare, et vagare a lor piacere, et haver libertà di far cio, che desiderano. Questi con grandissima sollecitudine attendono a ragunar molti denari, per spendergli largamente nella gola, o vero in qualche altro dishonesto piacere, o per conservargli per vitio d’avaritia. Questi finalmente habitavano in Egitto nelle tane delle pietre, andavan vestiti di pelli di porci, o di buoi, et cinti con corde di palme: Portavano le spine alle calcagna, et legate alla cintura, et uscendo delle caverne scalzi, et insanguinati, andavano in Gierusalem alla festa della Scenofegia; et entrando nel Sancta Sanctorum, dicevano publicamente d’osservar rigorosamente l’astinenza, et si strappavan la barba senza pietà in presenza de gl’huomini, et così divenuti famosi, et denarosi, tornavano alle lor solitudini, mangiando, et bevendo più, ch’io non potrei dire. Oltre alle tre sorti di monaci, c’habbiam detto, ve n’è una quarta, chiamata de i Girovagi, laqual dice S.Benedetto nella sua Regola, che è ancor peggior di quella de i Sarabaiti. Questi passano la lor vita in diverse provincie, alloggiando nell’altrui celle tre, et quattro giorni per una, et girando sempre, ne mai tengono stanza ferma; ma attendono a satisfare al ventre, et a i proprij appetiti. Son chiamati falsi monaci, et circoncellioni da sant’Agostino nell’espositione del Salmo: Ecce quam bonum, et quam iucundum. Come quelli, che vanno vagando da una cella all’altra. Ma queste doi ultime sorti di monaci stiano lontane da i confini della sacra nostra Religione, et sian da noi abbracciate con ogni affetto le prime doi, le quali debbiam vedere, che conformità, et proportione habbiano insieme.

 

Cap.IV.

Che la vita de gl’Anacoreti è più perfetta di quella de i Cenobiti.

Non è dubbio alcuno, che la vita de gl’Anacoreti è al colmo di perfettione più di quella de i Cenobiti: essendo necessario, che prima, ch’entrino nell’astratta vita anacoretica, habbian fatto qualche prova di se ne i conventi. Perche; (come riferisce Gio. Cassiano nella collatione dell'Abbate Piamone;) Anacoreti son quelli, che già instrutti, et esercitati ne i monasterij, et già fatti perfetti nella vita attiva, s’hanno eletto qualche luoco appartato nella solitudine: La perfettione, et fine de i quali è haver la mente astratta, et libera, da tutte le cose terrene: et così, quanto comporta la fragilità humana, viver sempre con Christo. Ma il fine de i Cenobiti è mortificare, et crocifigere tutti i proprij appetiti; et quanto alle necessità del corpo, non pensar nientre l’un giorno per l’altro. Et perche ogni cosa ha la perfettione dal suo fine, è manifesto esser più perfetto lo stato de gl’Anacoreti. Il che molto ben si conferma con l’esempio del nostro Signore, ilqual; (come si legge in S.Luca al terzo capo;) prima, che si ritirasse nel deserto, volse esser battizato da San Giovanni; per darci esempio, che quelli, che voglion passare alla vita dell’eremo, deveno esser prima esercitati nell’opere giuste, et virtuose, et pieni dello Spirito Santo, che si da nel battesimo. Pero dice l’Evangelista, che GIESU pieno di Spirito Santo, subito uscito dell’acqua, fu condotto dallo Spirito nel deserto. Onde si trahe questo documento, che niuno deve volar dal primo fervore della sua conversione, all’altezza della vita eremitica, ma prima esercitarsi ne i monasterij sotto il giogo monastico. Pero ben dice san Benedetto nella Regola, ch’i veri Anacoreti son quelli, che fatti esperti dalla vita de gl’altri, hanno imparato a combattere col diavolo più tosto per lunga prova fatta ne i monasterij, che per fervor di nuova conversione. Et uscendo bene ammaestrati dalla squadra, et militia di tanti fratelli, son così valorosi, che possono col divino aiuto, et senza conforto d’altri, condursi a singolar battaglia co i vitij della carne, et co i cattivi pensieri. Et di questo sant’Agostino nel libro, De moribus Ecclesiæ catholice, dice così: Son molti talmente accesi dell’amor di Dio, che vivendo in una somma continenza, et in un dispregio incredibile del mondo, sentono diletto anco nella solitudine. Ma che vedono, di gratia, quelli, che non posson lasciar d’amar l’huomo, ma posson lasciar di vederlo? Sia pur, che cosa si voglia, ella è certo più eccellente d’ogni cosa humana: poi che l’huomo contemplandola, puo viver senza l’huomo. Et poco più a basso dice. Non diro niente di quelli, c’ho nominati poco prima, i quali nascondendosi affatto dalla presenza di tutti gl’huomini, et contentandosi del solo pane; che per certi intervalli di tempi vien lor portato; et d’acqua, habitan paesi del tutto solitarij, godendosi di ragionar con Dio, alqual con le pure menti si sono accostatati. Per tanto anco san Gieronimo, scrivendo a Demetriade vergine, et a Rustico monaco; dissuade questo stato eremitico in quelli, che vi volano subito, ch’escono del secolo, senza essere stati prima molto ben ammaestrati ne i monasterij sotto l'obedienza di qualcheduno nell’opere virtuose. Ma par, ch’a questo s’opponga quello, che leggiamo di san Paolo primo Eremita, ilquale essendo così tenerello, ch’era giovanetto di sedici anni, penetro nell’intime parti dell’eremo, per fuggir la persecutione di quei tempi, senza esercitio monastico, dove poi divenne perfettissimo. Si risponde nondimeno, che quello avenne per particolar dispensatione della divina gratia, laqual supplì in lui quello, che gl’altri non acquistano, se non con lungo esercitio: Ne si deve tirare in consequenza: Perche il privilegio di pochi non fa legge. Et saria cosa communemente pericolosa a ciascuno, che volesse provar questo, per le gagliardissime tentationi, dalle quali questa sorte d’huomini suole esser combattuta. Et se ne ha l’esempio nell'istesso nostro Salvatore, ilqual non si legge, che fosse tentato, se non quando si trovo nel Deserto, ch’è amico della solitudine, et ove non è altro refugio, che quello di Dio. Et per cio del sopradetto san Paolo dice san Gieronimo, che non si potria saper, quant’egli fosse tentato da Satanasso: accennando, che patisse molto. Il serpente tentatore ama la solitudine, et pero è necessario, che la persona solitaria sia molto bene armata contra l'inimico.

Cap.V.

Che la vita de i Cenobiti è più sicura di quella de gl’Anacoreti.

Si vede nondimeno chiaramente per ragione, et per auttorità, che lo stato de i Cenobiti è più sicuro di quello de gl’Anacoreti: poi che l’huomo dalla conversatione de i buoni è molto aiutato a gl’esercitij virtuosi, secondo quelle parole del Salmo. Cum sancto sanctus eris. cioè. Col santo sarai santo. Et questa utilità che nasce dalla compagnia de i buoni, è specialmente di quattro sorti. La prima è la buona, et santa instruttione. Perche è facil cosa, ch’uno, che fa vita solitaria, pensando sopra qualche articolo della fede, o sopra la sacra scrittura, cada incautamente in qualche errore, non havendo chi l’instruisca, come si legge in san Paolo Semplice, discepolo di sant’Antonio. Ilqual trovandosi presente una volta, che’l suo maestro ragionava con alcuni frati di Christo, et de i Profeti, dimando, chi era stato prima, o Christo, o i Profeti. Et ben che tal semplicità non gli nocesse, poteva egli tuttavia dubitar nell’istesso modo, et forse errare in qualche articolo della fede, non havendo chi gl’insegnasse. Pero san Gieronimo, scrivendo a Rustico monaco, disse. Nella solitudine presto entra di nascosto la Superbia. Il monaco dorme, quando vuole, fa tutto quello, che vuole, senza timor, ne rispetto d’alcuno. Ma tu, che vivi nella communanza de gl’altri, non fai cio, che ti pare. Mangi quello, che t’è commandato, et tal volta ti trovi sottoposto a chi tu non vuoi.

La seconda utilità è, ch’i costumi, et gl’affetti sono drizzati, et regolati. Perche bene spesso si rasserenano i nocivi affetti, et si correggono i cattivi costumi co i buoni esempij, et con le correttioni de gl’altri. Essendo veramente molto difficil cosa all’huomo conoscere, et correggere i difetti proprij. Pero Isidoro nel libro, De summo bono, dice. Più facilmente sogliamo riprendere i peccati de gl’altri, che i nostri, perche spesso non riputiamo esser dannoso a noi quello, che giudichiamo molto cattivo in altri.

La terza utilità è, che le orationi sono esaudite, et s'impetra quello, che si desidera: Percioche l’huomo devoto ottien con molto maggior facilità quello, che desidera, stando in congregatione con gl’altri, che da se solo; come dice il Signore in S.Matteo al cap.18 con queste parole. Si duo ex vobis consenserint super terram, de omnire; quam petierint; fiet illis a Patre meo. cioè. Se doi di voi saranno d’accordo in terra, otterranno dal Padre mio ogni cosa, che gli dimandaranno. Et soggiunge. Ubi enim sunt duo, vel tres congregati in nomine meo, ibi sum in medio eorum. cioè: Perchè quando doi, o tre son congregati nel nome mio, io sono nel mezo di loro. Et se questo è vero in doi, o tre giusti; che siano uniti insieme; molto più si deve credere, che sia vero nella congregation di molti, nel mezo de i quali si trova Christo Signor nostro, per esaudir le preghiere loro, come dice san Leon Papa. E di cio ne habbiamo l’esempio in san Tomaso Apostolo, il qual non merito di vedere il Signore la prima volta, ch’esso apparve a i discepoli dopo la Resurrettione, perche non era in compagnia de gl’altri, si come essendovi la seconda volta, hebbe gratia non sol di vederlo, ma anco di toccarlo. Et qui ci viene insegnato, ch’è molto meglio recitar l’hore canoniche nel Coro con gl’altri frati, che dirle da se in cella, o ne i chiostri. Il che si vede anco per effetto naturale. Perche meglio ardono, et fanno maggior fuoco i carboni accesi, stando uniti insieme, che non fa un sol carbone, separato da gl’altri, per cio che mancando a poco, a poco, finalmente resta spento. Parimente, se saranno molti insieme a far oratione, s’accendono l’un per l'altro: e’l fervor di questo supplisce alla pigritia, et tepidezza di quello.

La quarta utilità è, che si sopportano le tentationi. Perche l’huomo, stando in compagnia de i buoni, con minor fatica farà resistenza a gl’insulti dell’iniquissimo tentatore, ch’essendo solo, pigliando l’huomo; (come habbiam detto di sopra con l’auttorità di san Benedetto;) grand’ardire, et forze per combattere, dalla presenza della fraterna squadra. Et Gio. Cass. nella Collatione dell’Abbate Sereno dice: che quando quei santi Padri cominciorono ad habitar nell’eremo, eran tanto aspramente molestati da i maligni spiriti, che non ardivano di star soli nelle celle, ma stavano otto, o diece insieme, i quali anco pativano tante persecutioni da i demonij, che la notte facevano le guardie a vicenda, standone una parte svegliata, et intenta a dir Salmi, et a far’orationi mentre l’altra dormiva, laqual destandosi faceva il medesimo, perche quelli, c’havevano vegghiato, potessero dormire. Et san Gieronimo, scrivendo a Rustico monaco, fa mentione d’un frate, che per l’industria del Prior del monasterio, et de i frati fu liberato da una grandissima tentatione, et a quel proposito dimandando dice. Se colui fosse stato solo, da chi saria stato aiutato a vincere? come se dicesse: da niuno, et così non harebbe vinto. Il che si conferma per un’altro simile esempio in un frate de i tempi nostri, ilqual era così fieramente perseguitato dal crudelissimo avversario, che dovunque si trovava solo, massime di notte, sentiva molta molestia, se ben con poca offesa del corpo; (di che non è da meravigliarsi, non potendo quel maligno spirito offender gl’huomini santi più di quello, che gl’è conceduto per divina permissione, com’è manifesto nel santo Giob:) Il demonio adunque, alcuna volta alzandolo di letto, lo portava sù qualche trave, o legno di quella casa, et hora lo pigliava insieme col letto, balzandolo in sù, et in giù. Alcuna fiata lo strascinava fuor del letto, et lo lasciava nel mezo del pavimento, ma, s’egli dormiva accompagnato con altri frati, lo spirito non ardiva di toccarlo, se ben mostrava con altri segni d’esser presente. Pero, quando voleva riposarsi la notte, pregava uno, o doi frati, che con licenza del Priore, dormissero seco nella sua cella. Per tanto è verissimo quello, che dice il Savio. Veh soli, quia cum ceciderit, non habet sublevantem se : cioè. Guai a chi è solo, perche cadendo non ha, chi l’aiuti a rilevarsi. Et altrove. Frater, qui adiunatur a fratre, quasi civitas firma. cioè: Il fratello, ch’è aiutato dal fratello, è come una ferma città. A confermatione di quanto habbiam detto quadra espressamente l'auttorità di Sant'Agostino, ch’è registrata di sotto nel capitolo Settimo. E manifesto adunque, che la vita cenobitica è più sicura, et più atta ad acquistar la perfettione, che quella de gl’Anacoreti, la qual si conviene a i più perfetti.

 

Cap.VI.

Che la professione dell’una, et dell’altra Vita; trovandosi in una medesima persona,

è perfettissima.

Perfettissima è senza dubbio la professione dell’una, et dell’altra sorte di Vita, quando si trovano essere insieme in una medesima persona. La onde Gio. Cassiano nella Collatione dell'Abbate Giovanni dice, che colui è veramente perfetto, che con pari magnanimità sopporta lo squallor della solitudine nell’eremo, et la fragilità de i fratelli nel convento. Ma; (com’egli dice nel medesimo luoco;) è cosa molto difficile, et in un certo modo impossibile, ch’una sola persona sia perfetta nell’una, et nell’altra professione. Et occorrendo, che se ne trovi alcuna, non se ne puo far regola universale, laqual non si fa per la consideratione delle cose, ch’accadono a pochi, ma per quelle, che communemente occorrono. Et pero, s’alcune di esse succedono rarissime volte, et trapassano la possibilità della commune virtù, si deveno separar da i precetti generali. Leggiamo nondimeno, che l’Abbate Moisè, et Pafnutio, e i doi Macarij possedettero intieramente l’uno, et l’altro modo di vivere, et furon tanto perfetti nell’una, et nell’altra delle dette professioni, che stando solitarij più di tutti gl’altri Eremiti, et pascendosi insatiabilmente del secreto della solitudine, con fuggir, quanto potevano, il consortio de gl’huomini, comportavano pero talmente la frequentia, et la fragilità di quelli, ch’andavano a trovargli, che concorrendovi una moltitudine innumerabile di frati, chi per visitargli, et chi per far qualche profitto nella vita spirituale, toleravano con molta patienza la continua inquietudine, che sentivano nel ricevergli tanto, che pareva, ch’essi non si fossero in tutta la lor vita impiegati, ne esercitati in altro, che in quelli officij, che communemente si costumano nell’accoglienze de i forastieri. Et perche non è indebolita la mano del Signore, egli, ch’è il dator di tutti i beni, et gli communica abondantemente a tutti, puo dar anco adesso a chi vuole la medesima, o simil gratia: Di che si parlarà più a basso nei capitoli XI. et XII. di questo istesso Libro.

Cap.VII.

Di qual sorte di monaci siano i frati dell'Ordine di Sant'Agostino: Dove si distingue; quanto a gl’Eremiti; fra Cenobiti, et Anacoreti, et si mostra, che Sant'Agostino fu Eremita Cenobita.

Essendo la principal nostra intentione in quest’opera di trattar della Religione di sant’Agostino, bisogna dechiarare in qual genere di monaci sia compreso l’Ordine prima da lui fondato. Et veramente non è da dubitare, (come anco si provarà,) che sant’Agostino fosse Cenobita, essendo vivuto in compagnia d’altri frati. Et s’in qualche luoco si trova, ch’egli istesso si chiami, o ch’altri l’habbia chiamato Eremita, credo, che bisogni distinguer, quanto a gl’Eremiti. Perche ve ne sono alcuni, che fanno vita solitaria, et questi son gl’Anacoreti: et altri sono, c’habitano ne gl’eremi separati dalla turba dei secolari, et vivono nel consortio de i frati, et son detti Cenobiti. Ci sono adunque gl’Eremiti Anacoreti; et gl’Eremiti Cenobiti. Hora, che sant’Agostino non fosse Anacoreta, ma Cenobita, si potrà con sufficienti testimonij provare, et far chiaro a tutti. Cominciando adunque dal principio della sua conversione, si legge, ch’egli, anco inanzi al battesimo; anzi quando non era totalmente convertito; delibero di far vita commune con diece compagni, come si vede nel Sesto libro delle sue Confessioni. Si legge anco, ch’egli si convertì intieramente per esortatione di san Simpliciano, et per gli esempij di diversi santi Padri Eremiti, come egli medesimo dice nell’Ottavo delle medesime Confessioni, et nel Sermone, De triplici genere Monachorum, che comincia: Sicut nobis per litteras declaravit sanctus pater Hieronymus, cioè, ch’inanzi, et dapoi il battesimo s’era accostato a san Simpliciano, et a i suoi frati: Che per poter ritirarsi per qualche giorno da i tumulti del secolo, et disporsi meglio al battesimo, ando in villa, prima che si battizasse, et meno seco Alipio con alcuni altri amici suoi, et la madre, che sempre lo seguitava, com’egli scrive nel Nono delle Confessioni: Ch’essendosi risoluto di ripatriare, torno in Africa con Alipio, con Evodio, et con dodici altri compagni, datigli da San Simpliciano, come egli afferma nel Sermone citato di sopra: Che tornato in Africa nella patria dopo la morte della madre; (come scrive Possidonio suo discepolo;) comincio a far vita Apostolica co i medesimi suoi compagni, et amici: Ch’essendo poi andato in Hippona, per visitar un suo amico, trovato un luogo separato dalle genti, et giudicatolo opportuno, vi fabrico un monasterio col favore, et aiuto di San Valerio; dove congregati da più parti altri frati, che vivevano per i boschi, comincio a viver con essi, secondo la forma della vita Apostolica, come egli istesso fa fede nell’allegato Sermone: dove anco dice, che fatto prete edifico un’altro monasterio nell’horto, nel qual similmente visse co i suoi frati: Dalle cose narrate adunque, et simili, (come saria, ch’egli passando per l’Italia visitasse gl’Eremiti di Toscana, come si dice, et si trattenesse alquanto con quelli di Centocelle;) si mostra apertamente, che sant’Agostino non fu Eremita Anacoreta, ma che, dovunque ando, fece profession di cenobita. Il che appare espressamente dalle parole sue nel Sermone, De Filio prodigo, fatto a i suoi frati nell’eremo appresso Hippona, nel principio del quale egli dice così. La pace sia con voi, (fratelli dilettissimi,) c’havete eletto con Maria la parte migliore, volendo sprezzare il mondo, et le sue pompe. Perche havete voluto odiar le cose terrene, havendo noi con più sano consiglio; havuto da i santi huomini, Ambrosio et Simpliciano; dato principio ad una più sicura vita ad imitation di san Paolo, ilqual fuggì il mondo, dubitando di non esser fatto prigione da lui. Ci troviamo finalmente nell’eremo, et gustiamo la giocondità della communione, et frattione d’un pane, gridando col Profeta: Ecco, quanto è buona, et quanto gioconda cosa, ch’i fratelli habitino insieme. Più sicura, et più dolce per certo è questa vita, nella quale l’uno esorta l’altro, et questo s’infiamma col buon’esempio di quello. O vita santa d’Eremiti: vita solitaria: vita de i perfetti: vita non humana, ma angelica. Questo dice sant’Agostino, connumerandosi in quel luoco espressamente fra gl’Eremiti cenobiti. Ne troviam tempo alcuno, nel quale egli possa haver tenuto vita Anacoretica, essendo particolarmente descritti tutti i tempi della vita sua. Perche; se si volesse dire, ch’egli nel tempo, che corse fra il battesimo, et la morte della madre, tenesse vita solitaria per tre anni, o almeno per due, come alcuni dicono; questo con verità non puo stare. Perche non v’entro pure un’anno di mezo, anzi a pena otto mesi, cominciando dalla Pasqua, fino alli XIII di Novembre, essendosi battizato d’età di XXXIII anni in torno alla Pasqua, cioè a XIII d’Aprile, et l’anno medesimo della vita sua, che finiva alli XIII di Novembre, gli morì la madre, come ho mostrato chiaramente altrove. Et in questo poco tempo di mezo non puote far vita Anacoretica. Prima, perche la madre, mentre visse, stette sempre seco; et poi, perche esso già haveva fatto scelta in Milano de i compagni, et de gl’amici, che voleva condurre in Africa, li quali non è verisimile, che fossero da lui abandonati: Oltra che si sa, ch’essi si trovorono in Ostia, quando gli morì la madre, et poi passorono seco in Africa, et anco, perch’egli spese la maggior parte di quel tempo in Roma nelle dispute, che fece contra i Manichei; dove, (come si vede nel primo libro delle sue Retrattationi,) Scrisse contro quella Setta i libri. De moribus Ecclesiæ catholicæ. De moribus Manichæorum. De quantitate animæ. et De libero arbitrio: Et questo non si poteva fare in poco tempo. Di maniera, ch’egli spese quell’anno, o lo spatio di quella parte d’anno; (come si legge nel libro Nono delle confessioni;) parte in Milano, frequentando le chiese, parte in viaggio, nel qual visito, passando, i frati di Toscana, et quelli di Centocelle; (perche, secondo questo computo, non puo esser, che si fermasse lungamente con loro;) et parte in Roma, dove stette sempre occupato ne i sopradetti esercitij; et ultimamente in Ostia, dove torno con la madre, et con gl’altri, ch’eran seco, et stette alquanti giorni, mettendosi all’ordine per la navigatione, che doveva fare, come egli scrive nel citato libro Nono delle confessioni. Di maniera, c’hebbe tanto, che fare in tutto quel tempo, che non puote attendere alla vita Anacretica. Ne si puo trovare, ch’egli in tempo alcuno della vita sua fosse in stato d’Anacoreta: se forse non si separo tal volta per poco tempo dal cofortio di quelli, co i quali teneva una medesima regola di vivere, per darsi allo studio, o alla contemplatione, come anco fece, essendo Vescovo. Per cio che allontanadosi a certi tempi da i tumulti del secolo, soleva ridursi nell’eremo co i suoi frati. E’ parimente verisimile, ch’egli in ogni stato si desse alcuna volta alla solitudine per poco tempo, per attender solamente al sevitio di Dio, o ver quand’era laico, ritirandosi alle possessioni, o dopo, che fu fatto prete, all’horto; et subito ritornasse a i suoi frati, senza i quali non voleva vivere in modo alcuno: Ma non se ne trova scritto niente di certo. Ch’egli desiderasse poi sempre la solitudine, anco da poi, che fu fatto Vescovo, si vede da queste sue parole del Decimo libro delle confessioni nel cap. ultimo: Spaventato da i miei peccati, et dal peso della miseria mia, havea pensato fra me stesso di fuggirmene alla solitudine; ma tu signore me lo vietasti, et mi confermasti, dicendomi. Percio Christo è morto per tutti: accio che anco quelli, che vivono, non vivano più a se stessi, ma a colui, ch’è morto per essi. Hora; se per la solitudine s’intende la vita Anacoretica; è cosa chiara, per quello, che s’è veduto di sopra, ch’egli ne haveva desiderio, ma non lo mando ad effetto, non potendo farlo, per giovare ad altri, come si vede in quel luoco. Ma se per la detta solitudine vogliamo intender l’eremo cenobitico, nel quale stato esso havea passato molto tempo; diremo, che anco, poi che fu Vescovo, hebbe molte volte voglia di tornarci con intention di starci perpetuamente, ma non glielo permise la conscienza, che lo rimordeva, essendo obligato alla cura del popolo, ch’egli teneva in governo. Et con questo sentimento s’accorda una Annotatione antica, posta nel margine dell’allegato libro delle Confessioni al predetto passo, laquale io ho veduta in un libro molto vecchio, che si crede essere stato d’Ugone: Et dice, che mentre sant’Agostino stava in pensiero di tornare alla solitudine, ne fu distolto, et rivocato dal Signore con quelle parole di san Paolo: Ideo pro omnibus mortuus est Christus, ut, et qui vivunt, iam non sibi vivant, sed ei, qui pro ipsis mortuus est. cioè: Pero è morto Christo per tutti, accio che anco quelli, che vivono, non vivano più a se medesimi, ma a colui, ch’è morto per essi. Nondimeno, se ben sant’Agostino non fu mai nello stato anacoretico; come ho mostrato; è tuttavia cosa chiara, esso haver fatto molte volte opere d’Anacoreta. Ma leggendosi, ch’egli per instituire il monasterio; c’haveva fondato nell’eremo appresso ad Hippona; ando cercando da ogni parte i monaci, c’habitavan nelle selve, (molti de i quali è verisimile, che fossero Anacoreti,) non senza causa si dubita quì, se a gl’Anacoreti sia lecito entrar ne i monasterij, et all’incontro, se i Cenobiti possano passar alla solitudine anacoretica.

Cap.VIII.

Che gl’Eremiti Cenobiti posson passare alla solitudine anacoretica.

Da i precedenti discorsi si puo concludere, ch’ogni Cenobita possa passare all’eremo, et pigliar lo stato anacoretico, pur che lo faccia con intention di far più ristretta, et miglior vita, et con licenza del suo superiore: essendosi provato a bastanza, che la profession de gl’Anacoreti è di più eminente perfettione. Il che si conferma con la legge scritta alla XIII. q. II. cap. Nullus monachus. Et alla XX. q. IV. cap. Monachum, et extra. de Regularibus. cap. Sane. Et anco fa a questo proposito il cap. Due. XIX. q. II. Et se ne hanno molti esempij dalle Vite de i Padri, et appresso, di quel molto santo Frate chiamato Giovanni Buono: veramente buono di nome, et d’opere, ilquale havendosi fabricata una casetta nella Diocese di Cesena appresso a Budri col consenso di quel Vescovo, et facendo quivi vita eremitica in strettissima penitenza, crebbe in tanta fama di santità per i luochi circonvicini, che tiro a se molte persone, fra le quali fu S.Francesco, che fondo poi l’Ordine de i Frati Minori. Et questi edificorono in quel luoco una chiesa ad honor della gloriosa Vergine, nella qual attesero a servir diligentemente al Signor delle Virtù. Facendosi poi tuttavia maggiore il numero, e’l merito de i convertiti, quella Religione si venne allargando, et ne furon fabricati de i monasterij in diverse parti del mondo: et si chiamavano gl’Eremiti di Frate Giovanni Buono, essendo egli stato il primo lor fondatore; et governando all’hora, come Prior Generale, quell’Ordine con paterna sollecitudine. Ma, perche quei primi non havevano alcuna Regola approvata, furono uniti dalla Sedia Apostolica; (come si dirà di sotto più distintamente;) all’Ordine de gl’Eremiti di S.Agostino. Et così quel sant’huomo, che prima era vivuto religiosamente senza Regola, militando poi sotto quella di S.Agostino, serviva a Dio con assidua, et maggior devotione. Ma finalmente; per poter più liberamente darsi all’oratione, et alla contemplatione, con licenza del Prior Generale, si ritiro in un luoco solitario vicino a Mantova, dove servendo devotissimamante a Dio tutto il restante della vita sua, morì santamente chiaro per molti miracoli. Et che questo buono, et santo Padre si fosse eletto un luoco solitario, per guadagnar un più perfetto stato, lo dimostro la vita, e’l fine, ch’egli fece. Ma chi per dapocaggine, o per impatienza più tosto, che per desiderio di maggiore perfettione, lasciando la congregatione, procurasse la solitudine; perche certamente non saria guidato dallo Spirito di Dio; non farebbe opera di profitto, ma di difetto. Di simili religiosi si parla nelle Collationi de i Padri in questa maniera. Sono alcuni, che si compiacciono d’una apparenza, et imagine d’Anacoreti, i quali con un certo breve fervore ne i principij della lor conversione par, che desiderin grandemente la perfettion Cenobitica, ma subito intepiditi, non si curando di resecare i primi costumi, et vitij, non voglion sopportar più lungamente il giogo dell’humiltà, et della patienza, et sdegnandosi di sottoporsi a i commandamenti de i maggiori; procurano celle appartate, mostrando molto desiderio di star solitarij, perche, non essendo provati da gl’altri, possano acquistar nome di patienti, di mansueti, et d’humili. Questi non passano dalla prima alla seconda sorte di monaci, ma si precipitan nella quarta pessima, et come ho detto, molto detestabile. Un frate chiese licenza molto instantemente al suo Prior Provinciale di poter ritirarsi in qualche luoco appartato per servire a Dio, ma esaminando il Provinciale questo suo motivo diligentemente, et considerando la passata vita di colui, ch’egli molto ben conosceva, (non essendo mai vivuto in niun convento senza riprensione,) conobbe, che quella dimanda non procedeva da instinto di Spirito divino, ma da desiderio di nociva quiete, et di vana libertà, poi che, chi non ha mai imparato a viver co i frati pacificamente nel convento, ne ad obedire a i consigli de i più vecchi procurando la solitudine par, che non habbia altra intentione, che di liberarsi con questo mezo dal giogo, et dalle fatiche delle osservanze, et dalle obedienze del monasterio, et stando; dove niuno lo possa riprendere; cerchi di viver totalmente a voglia sua. Per tanto gli nego discretamente quello, ch’esso indiscretamente gl’haveva dimandato. Perche, oltra ch’era officio del Prior Generale più tosto, che del Provinciale, concedergli si fatta licenza; se ben fosse stata ricercata con buona intentione; è anco contrario alle salutari institutioni dell’Ordine, che qual si voglia frate tenga vita solitaria fuor delle mura del monasterio, se pero altri non volesse farlo in una cella separata dentro al proprio convento se pura devotione, et per attendere alla divina contemplatione. Il che s’harebbe, non solo a tolerare, ma a lodare, quand’il luoco, et l’altre convenienti circostanze lo comportassero. Ho anco conosciuto de gl’altri frati, i quali si ridussero separatamente dalla Religione alla solitudine, non certamente, perche cercassero di far più austera, et miglior vita, ma perche fuggivano la disciplina dell’Ordine. Et questi con altri simili non è dubbio, che son di quelli della quarta sorte detestabile, della quale habbiamo ragionato di sopra.

Cap.IX.

Che gl’Anacoreti posson passare a i Cenobiti.

Se ben par cosa molto difficile, che gl’Anacoreti possano uscir della solitudine, et andar ad habitar ne i conventi: si prova nondimeno cio potersi far principalmente con l’esempio di sant’Agostino, ilquale, (come s’è toccato di sopra,) trasferì gl’Anacoreti dall’eremo al suo monasterio: oltra che nelle Collationi de i Padri s’ha l’esempio dell’Abbate Giovanni, ilquale da poi, ch’era stato con molta sua laude trent’anni nel cenobio, ando all’eremo, dove stette altri vent’anni, et di nuovo torno al monasterio. Di che meravigliandosi Gio. Cassiano, et Germano, gli dimandorono, perche, lasciata la più sublime vita, si fosse voluto di novo sottoporre al giogo del monasterio. A i quali esso rispose, che non essendo degno di tanta altezza, era voluto tornare alle scole de i giovani. Ma non accettando essi questa risposta, (perche sapevano, ch’era detta per humiltà,) soggiunse, che per la frequenza di quelli, che l’andavano a trovare, haveva voluto tornar più presto al monasterio, et ivi servire a Dio, senza haver altro pensiero, che stando nell’eremo, macchiarsi con la sollecitudine delle cose carnali. Et pero, che s’era risoluto di mandar più presto a perfetta esecutione, quant’havea proposto nella disciplina cenobitica, che seguitando l’altra profession più sublime, diventar pigro per la provision delle necessità corporali. Ma benche per questi, et simili esempij si provi la proposition nostra, non si risolve pero il dubbio; se sia, o non sia lecito a gl’Anacoreti uscir dell’eremo, et passar al cenobio, essendo riputata la vita ancoretica di molto più eminente perfettione, che la cenobitica. Allaqual difficoltà si risponde, ch’è d’altra consideratione rompere una professione fatta nelle mani del Prelato con voto solenne: et altro è lasciar una profession privata per qualche tempo, et con causa. Perche la prima obliga sempre, la seconda no: se non quanto piace et è utile ad altri, si come uno, che fa profession d’una facoltà, lascia d’esercitarla, quando vuole, come fece sant’Agostino, che dopo la sua conversione non volse più legger la Retorica, come egli medesimo dice nel libro Nono delle confessioni. Ne in questo proposito intendo io per profession privata il voto semplice, ilqual obliga sempre altrui inanzi a Dio, ma una certa spontanea professione, come s’è detto nel sopradetto esempio. Percioche i santi Padri non fecero professione alcuna in man d’altri superiori nell’eremo, ma andorono nelle solitudini per consiglio divino, et ivi, secondo la gratia, data di sopra a ciascuno, servirono a Dio. Et un simile stato di servitù si chiama in un certo modo professione, laquale i detti Padri potevan lasciare per giovar così a se medesimi, come ad altri, quando da Dio erano inspirati a farlo. La onde si legge, che sant’Antonio stette vent’anni solitario nel deserto, senza esser mai veduto da niuno, et poi visse co i frati nel monasterio. Et altrove, che san Gieronimo da principio imito con l’habito, et con la vita i perfettissimi monaci, et poi visse quattr’anni in quella grandissima solitudine, laquale abbrusciata dall’ardor del Sole, rende la stanza a i monaci molto horrida, et aspra, non havendo essi altra compagnia, che di scorpioni, et di fiere. Et di là ritorno alla città di Betelemme, dove, come prudente animale, si dedico al presepio del Signore, per starvi in perpetuo. Et questo fu nella congregatione, et cenobio de i monaci. San Benedetto ancora stette tre anni in una spelonca, servendo a Dio in solitudine, senza esser conosciuto da niuno, fuor che da Romano monaco, et poi passando al monasterio, divento padre di molti monaci. Et Frate Gio. Buono, del quale pur’hora parlavamo, visse prima nell’eremo, et poi fu Rettore, et fondatore di molti monasterij. Et benche l’Eremita Anacoreta sia tenuto essere in più stretto stato, che’l Cenobita, per la ragion detta di sopra, nondimeno, per un’altra ragione, questa vita è più stretta di quella. Perche il Cenobita ha rinontiato la propria volontà, et ha lasciato le sue facoltà, mettendo altri sopra di se: Il che non fa l’Anacoreta, che puo far testamento, et dispor de i suoi beni; come fece san Paolo primo eremita, che lascio per testamento il suo colobio ad Atanasio, Vescovo d’Alessandria; et la tonica a sant’Antonio, come si vede alla XIX q. III cap. Perlatum. §.econtra. Et XVI q. prima. cap. Qui vere. Sant’Antonio parimente lascio la melote, et un suo mantello vecchio al predetto Atanasio; et un’altra melote diede, o lascio a Serapione Vescovo; e’l cilicio a doi monaci, che dovevan sepelirlo, come si legge nella sua vita. Et, che’l Cenobita sia di maggior merito per l’obedienza, si dimostra per un’esempio, che si racconta nelle Vite de i Padri, et sarà registrato più a basso nel fine del terzo capitolo del libro seguente. Perche gl’obedienti posson dir veramente col salmo. Propter te mortificamur tota die. cioè: Per amor tuo siam mortificati tutto il giorno.

Cap.X.

Che gl’Anacoreti non deveno uscir della solitudine, per attender all’opere della vita attiva.

Si deve nondimeno intender, che l’Eremita Anacoreta possa lasciar la solitudine; come s’è detto; con questa distintione. Per cio che, è vero egli ha intention d’uscir dell’eremo, per attendere all’opere della vita attiva, o per attendere a quelle della contemplativa: (Per opere di vita attiva intendo hora quelle, che si fanno per necessità corporale, o propria, o del prossimo: Et per contemplative quelle, che si fanno per guadagno dell’anime, et per acquisto, et utilità spirituale: et son queste. Predicare, governare i frati, insegnare, et fare altri simili esercitij.) Dico adunque, che non si deve in modo alcuno lasciar la solitudine per l’opere della vita attiva, non essendo conveniente, che per queste s’interrompa la contemplatione. Di che ne habbiam l’esempio principalmente in Maria Maddalena, che sedendo a i piedi di Christo ad udir la dolcissima sua parola; (ch’era atto contemplativo;) non fu lasciata levar da lui per i servitij corporali, ben ch’egli ne fosse efficacemente ricercato dalla sorella. Et nelle Collationi de i Padri si legge, ch’essendo andato una notte un fratello carnale dell’Abbate Apollo a pregarlo piangendo, ch’uscisse un pochetto della cella ad aiutarlo a rihaver un suo bue, ch’era caduto in una palude, gli rispose: Perche non hai chiamato il nostro fratello minore, che t’era più vicino? a cui dicendo egli, che non poteva rivocarlo dalla sepoltura, essendo morto molto tempo prima: l’Abbate replico: Et non sai, ch’io ancora son morto a questo mondo vent’anni sono, et pur mi vuoi cavar dalla celeberrima sepoltura della mia cella, et avviluparmi nelle attioni di questa vita? Pero sappi, ch’io non ti posso dar consolatione alcuna. Et come sopportarebbe Christo, ch’io allentassi pur’un poco il fervor della incominciata mortificatione, se non volse concedere un brevissimo spatio di tempo a colui, che voleva andare a sepelire il padre: il che si poteva far più presto, et era officio più honesto, et più religioso, che questo? Un simile esempio habbiamo d’un frate nostro di questi tempi, veramente devoto, et ritirato dal commercio delle cose mondane: Percioche essendo venuto di paese lontano un suo fratello carnale; che molto tempo prima non l’haveva veduto; al convento, dov’egli stava, per visitarlo, et havendolo fatto avisato per il portinaio dell’arrivo suo, egli venendo, et trovando il fratello fuor della porta, ch’era serrata per il costume di quel paese; (dove i secolari non conosciuti, non sono introdotti ne i monasterij, ma stando di fuori trattano le lor facende col mezo de i portinari, se pero la qualità de i negotij non ricercasse, che fossero lasciati entrare;) non gl’aperse la porta, ma parlandogli dal finestrino, gli disse. Caro fratello donde vieni tu? et dicendogli esso, c’haveva fatto un lungo camino, per venir a vederlo, rispose: Ecco, che tu mi vedi: Stafano. Dio ci conceda gratia, che ci rivediamo nell’eterna felicità. Et detto questo, riserrata la finestrella, torno alle sue orationi: et colui piangendo si partì. Laqual cosa si potrebbe forse attribuire alla rusticità di quel frate, se non si sapesse la sua santa semplicità, et quanto austera, et astratta vita egli tenesse. Co i quali esempij s’insegna, che non si deveno tralasciar l’operationi anacoretiche, et contemplative per le occupationi de i negotij temporali: salvo sempre l’articolo d’estrema necessità.

Cap.XI.

Che a gl’Anacoreti è lecito uscir della solitudine, per esercitar l’opere della Vita contemplativa.

E’ ben lecito, et molto utile uscir dalla solitudine, per attendere all’opere della Vita contemplativa, come dimostra l’esempio del nostro Salvatore, ilquale essendo condotto nel Deserto prima, che cominciasse a predicare, diede principio alla predicatione, poi che ne fu uscito, andando molto spesso la notte nelle solitudini de i monti, dove stava solo in oratione, come dice S.Luca al cap. VI. Il che ci ammaestra, che quelli fanno perfettissima vita, c’hora sevono a Dio con la contemplatione nella solitudine, et hora escono a far guadagni dell’anime, et communicano a gl’altri quello, c’hanno acquistato contemplando. Così fece sant’Agostino padre nostro, ilqual, ben che fosse Vescovo, si nascondeva tal’hora fra i suoi frati nell’eremo per raccoglier se stesso nella contemplatione, et poi tornava al Vescovato per l’instruttione, et governo del suo popolo, et da nuovo, quando haveva commodità di tempo, si ritirava nell’eremo, come egli medesimo dice nel Sermone a i Preti d’Hippona, che comincia. In omnibus operibus vestris. Per il medesimo spirituale esercitio il detto Padre Agostino commise a i frati del suo secondo monasterio; ch’egli haveva edificato nell’horto; ch’attendessero nel convento ad orare, leggere, et meditar santamente, et predicando insegnassero ad altri quello, che con l’aiuto di Dio havessero imparato. Per questo la santa madre Chiesa, osservando il modo di questa prima institutione dell’Ordine di sant’Agostino, indrizzo i suoi frati Eremiti alle città, come si vedrà di sotto. Così ancora adesso si potrà andar continuamente alternando l’uno, et l’altro di questi esercitij nella Religione, s’ogni frate terrà nella sua cella vita eremitica, et con la santità, et dottrina si sforzarà operando, et insegnando di far parte ad altri di quello, che Dio si degnarà di donargli, quando starà orando, leggendo, meditando, o contemplando, a guisa della pietra angolare, ch’abbraccia l’una, et l’altra muraglia, et occorrendo, che sia riprovata dal mondo, sarà nondimeno conservata nel capo dell’angolo: perche così ha fatto il santissimo Padre nostro, ilquale è l’esempio, et la regola d’ogni nostra operatione. Egli; quando non era all’eremo co i suoi frati; ma risedeva nel monasterio del Vescovato; viveva in congregatione predicando al mondo, se ben non s’intrico mai col mondo, ma passava vita solitaria studiando, et meditando la legge del Signore il giorno, et la notte, come si vede chiaramente nell’Undecimo libro delle sue Confessioni, al capitolo secondo. Ma non si curano d’imitar questo santissimo Padre quei frati, che non vogliono orare in cella, ma stando tutto’l giorno otiosi, hanno piacer di scorrere, et vagar per i chiostri, et per le città, ne attendono punto ad esercitarsi nell’opere attive, o contemplative. Questi sono ammoniti dall’istesso Padre nostro in un Serm. con queste parole. O frate, che stai nell’eremo, fuggi l’otio, perche ne i servi di Dio niuna cosa è peggior di questa, che puoi far tu otioso, se non opere di carne? Non sarà mai cittadino del Cielo, chi amarà l’otio: pero desiderando di fuggirlo il padre de i Monaci, sant’Antonio, grido nell’eremo a Dio, et disse. O Samaritano Signor Dio mio: O vero custode dell’anime, et de i corpi, sveglia in me la tua gratia: infondi la misericordia nel tuo servo si, ch’egli essendo nell’eremo non stia otioso inanzi a te. Et sentì una voce, che gli disse: O Antonio hai desiderio di piacer’a Dio? Fa oratione: et quando non puoi orare, lavora di tua mano, et fa sempre qualche cosa. Non lasciar di far, quanto puoi dal canto tuo, che non ti mancarà poi l’aiuto di Dio. Di che trattaremo più a pieno nel capitolo XXVII del seguente libro.

Cap.XII.

Quando, et con quali circonstanze i frati debbano uscir di monasterio.

Et perche di sopra habbiam detto, che l’Ordine di sant’Agostino è del genere di quei monaci, che si chiamano Cenobiti, de i quali è proprio ritener la communione della personal cohabitatione; (perche, come il pesce fuor dell’acqua è morto, così il monaco Cenobita fuor del monasterio, et l’Anacoreta fuor della cella non son più vivi. come si legge nel Decreto alla XVI q. prima. cap: Placuit;) si puo ragionevolmente dubitare, s’un frate di questa sacra Religione possa star fuori del monasterio, senza contrafare all’institutione della sua Regola, et in che modo.

Si deve adunque sapere, che per conservar questa communione non è necessario, ch’i frati habitino sempre insieme corporalmente nel monasterio, potendo anco uscirne alcuni per utilità publica. Il che è manifesto: per cio che gl’Apostoli; sotto i quali ha havuto principio la vita cenobitica, come habbiam detto; et gl’altri discepoli, che seco si congiunsero in quel sacro collegio, non habitorono sempre insieme: anzi, come si legge ne gl’Atti loro, si sparsero per tutto il mondo, per predicar la parola di Dio; ne per questo si disfece la lor communanza, come mostraremo. Così nel proposito nostro si puo dire, che s’alcuni frati usciranno con ragionevol causa del monasterio, non per questo si deve tenere, che sian divisi dalla congregation monastica. Ma vi si ricercano quattro circonstanze.

La prima è, che l’animo stia sempre unito alla communanza ad imitation de i Santi Apostoli. Il collegio de i quali; bench’essi si dividessero andando per il mondo; rimase nondimeno sempre intiero, perche habitorono sempre insieme con l’animo, si come nelle leggi civili si dice, che’l possesso civile si mantiene con l’animo ancor che’l corpo sia separato dal luoco, di che esso pretende il possesso: Et gl’Apostoli non si separavano dall’unità della lor congregatione, ma in unità, o vero unitamente; quant’al fine; andavano raccogliendo, et cercavano d’unir quelli, ch’erano sparsi, et divisi, come canta la Sequentia: Così se qualche frate uscisse hora con causa leggitima, et per qualche tempo del monasterio, cio non saria contrario a questa santa Religione, quand’egli con l’intentione stesse sempre unito seco. Ma uscendone con animo di non tornarci, sarebbe senza dubbio Apostata, ancor che vi concorressero l’altre tre circostanze, che si diranno appresso. Per laqual cosa sant’Agostino determina nel Decreto dell’osservanza regolare, che sopravenendo qualche improvisa incursion d’heretici, o d’altri inimici, sì che i frati non potessero stare insieme, ma fossero sforzati a fuggire, poi che col favor di Dio sia cessato ogni pericolo, debbano intendere, dove sia il lor Prelato, et come figliuoli al padre, ritornar prestamente a lui, come quelli, ch’essendo uniti per divina carità, non si possono separar fra loro: et se sarà, chi ostinatamente sprezzi questa osservanza sia preso, et sottoposto alla disciplina del monasterio. Ecco come; secondo gl’ordini di sant’Agostino; l’animo de i frati deve esser sempre congiunto alla communanza, anco ne i tempi delle persecutioni.

La seconda circonstanza è, che si esca del monasterio con causa leggitima, perche la persona religiosa non deve uscire per ogni lieve occasione, ma o per trattar negotij del commune, come quando si manda il frate a i Termini, o per far la cerca, o per qualche altra commune utilità della casa: O per procurare il profitto delle anime, come quando s’esce fuora per predicare, o per ascoltar le confessioni, antiposto sempre nell’intention nostra il beneficio spirituale all’utilità temporale; essendo fondata la Religion nostra più tosto sù l’opere della Vita contemplativa, che sopra quelle dell’attiva. Quando adunque il frate Terminario è mandato alla cerca, deve haver per fine principale il giovamento dell’anime, predicando la parola di Dio, ascoltando le confessioni, et dando buon esempio di se nella vita sua, et poi in consequenza, et accessoriamente attendere a cercare, et consignar fedelmente le elemosine del convento, essendo degno l’operaio della sua mercede: Et così ci ha insegnato a far il Salvator nostro, dicendo. Primum quærite Regnum Dei, et hæc omnia adijcientur vobis. cioè. Cercate prima il Regno di Dio, et tutte queste altre cose vi si daranno appresso. Et disse.Vi si daranno : come cose accessorie, et non: principali. Nel qual proposito sant’Agostino nel libro, De Opere Monachorum, dice così. Bene havea detto il Signore. Non potete servire a Dio, et alle ricchezze. Ma chi predica l’Evangelio, per haver da mangiare, et da vestirsi, pensi di servir in un tempo istesso a Dio; perche predica la parola sua; et alla robba; perche predica per queste cose necessarie; il che dice il Signor non si poter fare. Et per cio, chi predica con quel fine, è convinto, che non serve a Dio, ma alle ricchezze, se ben Dio si serve dell’opera sua a giovamento d’altri in un modo, da colui non conosciuto. Che queste poi si possan procurare accessoriamente, lo mostra l’istesso Padre nostro, soggiungendo subito. Quello, che dice il Signore. Non siate solleciti intorno alla vita vostra di quel, c’habbiate a mangiare, ne quanto al corpo, di che siate per vestirvi; non è detto, perche queste cose non si debbano procurare, quanto basti, per vivere honestamente, ma accio che l’huomo non le miri per suo fine, ne faccia per esse quello, che è obligato a fare nella predicatione dell’Evangelio. Questo dice sant’Agostino. Per laqual cosa io non laudo, ch’alcuno esca del monasterio per propria commodità, o per utilità privata, se quel negotio non deve riuscire a beneficio commune, poi c’havendo ogn’uno; ch’è in questa sacra congregatione; rifiutato, et spezzato se stesso, et non potendo per cio dispor di robba, ne d’attione, ne d’opera alcuna, ne pur del proprio volere; non pretendere per certo causa leggitima d’uscir del monasterio colui, che non tira alla publica utilità della Religione, o del convento suo quel negotio, per ilqual egli vuole uscirne.

La terza circonstanza è, che se ne habbia licenza dal Superiore: Perche tanta forza si stima, c’habbia la licenza del Prelato, che gl’assenti per una certa legal fintione son riputati presenti; si come il Canonico, ch’è assente con licenza del suo Vescovo, par che risieda nella chiesa, come presente; et la continuatione del digiuno per fintion canonica, fa di doi giorni uno, congiungendogli insieme, come dice il cap. Litteras extra. De temporibus ordinandorum. Nel medesimo modo la licenza del Superiore congiunge il frate al monasterio, come membro unito al corpo, et debitamente sottoposto al suo capo. Onde, si come le membra s’uniscono al lor capo; come si vede da queste parole dell’Apostolo nell’Epistola a i Romani al Duodecimo cap. Multi unum corpus sumus in Christo. cioè. Benche siam molti, tutti siamo un corpo in Christo; così l’unità del Collegio si conserva nella debita coordinatione delle persone sotto il suo Prelato. Et si come un membro; essendo separato dal suo coordinatore; è riputato putrido, così il frate; uscendo del convento senza licenza del Superiore; sarà riputato separato, et Apostata, come dicono gli statuti dell’Ordine.

La quarta circonstanza è, ch’al frate, che deve uscir del monasterio, sia assignato un compagno dal suo Prelato, accioche essendo solo non sia tenuto separato dalla congregatione, et dal Collegio suo: poi che facendo doi una congregatione; come habbiamo, extra. De electione. cap. primo: et tre un collegio, come dice la I. Neratius. ff. De Verborum significatione; in ogni luoco, dove sarà il frate in compagnia d’un’altro con licenza del suo Prelato, sarà in una congregatione, et se sarà con doi altri, sarà in un collegio. Il che commanda sant’Agostino nella sua Regola, come quello, che non voleva, ch’i suoi frati fossero fuor di congregatione, ne di collegio, dicendo: NEC EANT ad balnea, sine quocunq; ire opus fuerit, minus quam duo, vel tres: Et ille, qui habet aliquo eundi necessitatem, cum quibus Præpositus iusserit, ire debebit. cioè. Ne vadano a i bagni, o dovunque occorrerà, meno di doi, o di tre, et chi haverà bisogno d’andare in qualche luoco, doverà andarci con quelli, che commandarà il Preposito. Delqual precetto una causa è manifesta da quello, che s’è detto: cioè, perche’l frate non sia mai trovato fuor di collegio, o di congregatione: Et un’altra s’argomenta da un’altro luoco dell’istessa Regola, cioè, perche l’uno habbia custodia dell’altro là dove essa dice. QUANDO ergo simul estis in ecclesia, et ubicunq; Fœminæ sunt, invicem vestram pudicitiam custodite: Deus enim, qui habitat in vobis, etiam isto modo custodiet vos ex vobis. cioè. Quando adunque sete insieme nella chiesa, o dovunque sian donne, guardate l’un per l’altro la vostra castità: Percioche Dio, c’habita in voi, vi guarderà anco in questo modo col mezo di voi istessi. Ci è anco una terza ragione; che se ben qualcheduno fosse tanto continente, et casto, che non havesse bisogno di guardia alcuna; deve nondimeno pigliare il compagno, per testimonio dell’honestà sua, come dice sant’Ambrosio della beata Vergine, la qual benche non havesse bisogno d’alcun custode della sua castità, nondimeno fu data per moglie a Giosefo, perch’egli fosse testimonio della sua pudica, et honesta vita. Così disse un frate giovane, et quasi fanciullo, che fu dato per compagno ad un’altro frate attempato, et molto honesto: Percioche essendo andato seco a casa d’un venerabil Prete, egli vedendo il fraticello di gentil presenza, motteggiando gli disse: Che sete venuto a far quì buon figliuolo? e’l garzone gli rispose da huomo, che c’era andato, per esser testimonio della bontà del suo compagno: Della qual risposta il Prete rimase molto satisfatto, et disse a quel Padre. Egl’ha molto ben parlato: Perche, se voi foste venuto quà senza compagno, non sareste stato tenuto per huomo da bene.

Cap.XIII.

Che sant’Agostino s’accosto alla vita commune della congregatione cenobitica.

Per mantenere adunque il padre sant’Agostino questa santa communanza della congregation cenobitica; (supposto quello, che s’è detto di sopra ne capitolo Settimo;) non volse; benche fosse già prete, et havesse cura d’anime; abandonar la compagnia de i suoi frati. Onde san Valerio, conosciuto questo suo desiderio, cioè, ch’egli non voleva viver senza di loro, et ch’essi havevano l’istesso fine, gli diede un’horto vicino alla città, perche fabricatosi un monasterio, vi potesse vivere, come haveva deliberato, et attendere insieme al governo del suo popolo. Essendo poi fatto Vescovo, procuro d’haverne seco alcuni, per mantener la vita cenobitica, almeno co i suoi Canonici nell’istesso Vescovato. Il che ci dimostra, quanto piacesse al santissimo Padre nostro la communanza cenobitica, non havendo voluto lasciarla in qualunque stato egli si fosse, come s’è veduto chiaramente nell’allegato cap. Settimo. Per il che anco essendo Vescovo non si vergognava di confessar, ch’era monaco. Onde nell’Homilia, o Sermone, De persecutione Christianorum, che comincia. Frequenter diximus, Fratres charissimi, dice in questo modo. Io, ch’oggi son monaco, come vedete: se rompero il mio proposito, havero negato Christo. Et più di sotto. Io certamente son monaco, et lasciai già d’esser secolare. Et più a basso. S’io vorro lasciar la vita monastica, et seguitar la secolare, non mi giudicarà Dio, come huomo secolare, ma come trasgressore. Et in un’altro Sermone fatto sopra quelle parole dell’Ecclesiastico. Beatus vir, qui post aurum non abijt, chiama se stesso Frate Agostino. Et nel libro suo intitolato Specchio, o ver Manuale, chiama gl’antichi Padri monaci, suoi padri spirituali con queste parole. Concedi gratia, Signore, a me huomo fragilissimo di poter imitare i vestigij de i beati monaci, padri miei. Il venerabil padre Maestro Guglielmo, da Cremona, Dottor famoso in Teologia, et già Prior General del nostro Ordine, imito l’esempio del glorioso padre nostro, sant’Agostino. Per cio che, havendo governato la Religione lodevolmente circa sedici anni, et essendo stato creato per divina providenza, et per elettione di Papa Clemente, Vescovo di Novara, non volse lasciar per la dignità episcopale, la communanza de i suoi frati: Pero ne teneva sempre dodici seco nel Vescovato: et provedeva loro abondantemente di vivere, et di vestimenti, et con essi cantava devotamente il divino Officio diurno, et notturno nella capella episcopale, levando ogni notte a Matutino, com’era solito a fare, quand’era nella Religione. Et benche fosse inalzato a tant’honore, nondimeno tratto sempre i suoi frati con quell’humiltà, et affettione, c’haveva fatto prima. Percioche oltra quelli, ch’ogni giorno mangiavano seco, voleva alla sua mensa tutti i frati forastieri, che capitavano in quelle parti: Et haveva commesso al Prior di quel luoco, che non lasciasse mangiar nel convento alcun frate hospite, ma gli mandasse tutti ad alloggiar seco. Sovveniva con molta pietà i poveri studenti, et gl’altri frati bisognosi. Faceva anco notabili spese nel monasterio di sant’Agostino di Pavia: Et a i Capitoli Generali; dove non poteva trovarsi presente; mandava larghe elemosine, mostrando con queste, et con molt’altre opere di carità, la sincerità, e’l zelo, c’haveva sempre havuto verso la santa Religione, madre sua, della cui communanza non volse esser fuori, benche fosse Vescovo: Volendo oltra di cio esser sepolto in Pavia dopo la morte nella chiesa di sant’Agostino, padre nostro, come fu fatto.

Cap.XIV.

Della dispersion de i Frati dopo la morte di sant’Agostino, et dell’union dell’Ordine.

Poi che Dio onnipotente hebbe chiamato sant’Agostino da questa valle di miserie alla gloria del Regno celeste, moltiplicando gl’insulti de i Vandali; la cui perfidia in successo di tempo andava continuamente crescendo; et essendosi profanati, abbrusciati, et distrutti dall’empietà de i Gentili i monasterij, et le chiese d’Africa, et cacciati, et mandati in esilio i religiosi, et ministri di esse; come si legge nell’Historie; i frati parimente, ch’erano stati allevati, et nutriti sotto sant’Agostino ne i monasterij, s’andorono spargendo in più parti. Alcuni de i quali passorono in Toscana, forse perche sant’Agostino, quand’andava da Milano in Africa, ne haveva tolti, et menati seco alcuni, passando da quella Provincia. Et benche forse niun d’essi vivesse a quel tempo, potevano pero i posteri haver havuto da loro qualche buona informatione della Toscana, et inteso, che v’eran frati del medesimo instituto, ch’erano stati ammaestrati dall’istesso sant’Agostino, et altre cose sì fatte. Onde alcuni d’essi v’andorono et si ritirorono, parte in celle solitarie, et parte in alcuni monasterij edificati ne gl’eremi, Servendo a Dio, come ogn’uno era inspirato. Et in questo modo quella santa Communione, che sant’Agostino haveva fondata, et sempre osservata, come s’è detto, non fu totalmente rotta, ne annichilata, ma si conservo in alcuni buoni Padri sin, che’l Signor si degno di riunir finalmente i dispersi, come haveva ragunato prima quei di Gierusalem. Erano passati molt’anni da quella prima dispersione sin’a i tempi d’Innocentio Terzo, che fu il primo Papa, c’habbia fatto qualche particolar beneficio a quest’Ordine; per quello, ch’io ho letto; se bene è verisimile, ch’inanzi a lui molt’altri Romani Pontefici non habbian mancato di favorirlo, quantunque per l’antichità de i tempi, et per la santa semplicità de i frati passati non se ne trovi cosa alcuna scritta: Percioche i santi Padri antichi non attendevano a conservare i Privilegij et le Gratie in scrittura, giudicando, che bastasse loro il semplice favor delle Sedia Apostolica, et de i suoi Prelati. Pero dicono, che san Francesco non procuro alcun Privilegio, o Bolla papale in scrittura di quella Gratia, ch’i frati Minori predicano essere in Assisi, contentandosi d’haverla havuta dalla viva voce di quel Papa. Et così stimo, c’habbian fatto i nostri Padri vecchi, i quali habitando ne gl’eremi, vivevano anco in maggior semplicità, che non ha fatto san Francesco. Come poi sian vivuti i detti frati nostri et quello, c’habbian fatto nell’intervallo di tanto tempo, ch’è scorso dalla dispersione Africana fin’all’età del predetto Papa Innocentio; non havendone trovato memoria in libri autentici; non mi son curato di scriverne cosa alcuna. Questo è ben certo, che quella santa propagine di sant’Agostino non s’estinse del tutto, ma si mantenne in alcuni buoni frati, che vissero in una perfetta semplicità sin, che si celebro sotto il detto Papa l’anno della Salute nostra M.CC.XII il Concilio Lateranense, inanzi alquale fu senza dubbio l’institution di quest’Ordine nostro, come dice espressamente il cap. Religionum. extra; De Religiosis domibus. Libro Sexto. In questo Concilio gl’Ordini de i Frati Predicatori, et de i Minori; ch’all’hora cominciavano a crescere; furono accettati sotto la protettione della Chiesa, ma non confermati, per la durezza di quel Papa, et essendosi trattato di tutte le Religioni, l’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino fu notato et registrato ne gl’Atti conciliari, ma pero senza alcuna solennità di confermatione, come si vede nel Registro de i Pontefici Romani. Questo Papa Innocentio adunque; per quello, c’ho potuto trovare; fu il primo, dal quale l’Ordine nostro havesse qualche Privilegio in scrittura, et fu quello, che confermo il luoco nostro di sant’Antonio d’Ardinghesca della Provincia di Siena; et io ho veduto la forma di quel Privilegio. Dopo lui Papa Honorio Terzo; che confermo gl’Ordini predetti de i Predicatori, et Minori; tolse anco sotto la protettion della Sedia Apostolica alcuni luochi dell’Ordine nostro. Ultimamente Papa Innocentio Quarto, huomo veramente di gran dottrina, et industria, che fu circa gl’anni di Christo M.CC.XL. considerando, ch’i detti Ordini de i Predicatori, et Minori crescevano notabilmente, producendo frutti salutari nella Chiesa di Dio, et ch’i Frati Eremiti di Sant’Agostino con la lor buona vita giovavano solamente a se stessi, comincio a trattar, ch’essrancora potessero fare il medesimo: Pero essendo in diverse parti del mondo, et principalmente in Toscana, altri diversi Eremiti; che vivevano differentemente sotto varij Titoli; gl’unì tutti a gl’Eremiti di sant’Agostino, riducendogli in un ovile sotto un Pastore, ch’era il Prior Generale, et commettendo, che tutti vivessero sotto la Regola di sant’Agostino, et usassero una medesima forma di professione, un’Habito, un Titolo, un’Officio, et le medesime Constitutioni, et concedette loro molti Privilegij, et Gratie, delle quali io ho veduto alcuni esemplari, et alcuni originali sotto Bolle pontificie. Et accioche l’Ordine andasse acquistando efficace accrescimento, diede loro un Cardinale per Protettore, et Proveditore, con intentione di provedergli per l’avenire paternamente d’un più largo stato, ma prevenuto dalla morte, non puote fornir quello, c’haveva nell’animo. Pero volendo sant’Agostino congregare i suoi frati dispersi, apparve grande di testa, et picciolo di membra in visione a Papa Alessandro Quarto, ch’era succeduto nel Ponteficato al detto Innocentio: Il quale, persuaso da quella visione; come da un’oracolo divino; diede fine all’union cominciata dal suo predecessore, et unì tutti i frati Eremiti di diversi Ordini: Alcuni de i quali si chiamavano di san Guglielmo, altri di Giovanni Buono, altri Fabali, altri di Bretine, et altri di nome dubbioso, et incerto, et con essi incorporo anco i frati della Penitenza di GIESU CHRISTO, che si dimandavano Sacciti, et gli ridusse effettualmente tutti con le persone, et co i luochi loro sotto l’Ordine de gl’Eremiti di sant’Agostino, dispensandogli, et assolvendogli dal legame delle diverse professioni, et osservanze, alle quali si potessero esser obligati ne i predetti, o in altri Ordini: commettendo ancora, et determinando, che fossero sforzati tutti insieme sotto pena di censura ecclesiastica a militar sotto l’obedienza d’un solo Prior Generale, secondo la Regola di sant’Agostino. Et perche questa santa Religione non mostrasse alcuna deformità, determino il Romano Pontefice circa l’Habito, Titolo, et Officio suo quello, che diremo più a basso al suo luoco. Et tutto cio, ch’io ho detto, si trova ne gl’antichi Privilegij dell’Ordine.

Cap. XV.

Del sacro Habito dell’Ordine.

Hora andaremo diligentemente cercando, che habito usasse sant’Agostino, e i suoi frati. Et certamente non si legge, che gl’Anacoreti da principio havessero habito alcuno determinato, perch’ogn’un d’essi portava quel vestimento, che poteva havere. S.Paolo primo Eremita haveva una tonica tessuta di foglie di palme, come le sporte, et un colobio: Sant’Antonio usava il cilicio di sotto, et di sopra una melote, o vestimento di pelli: Sant’Hilarione portava, come si legge, il corpo vestito solamente di sacco, et haveva un’habito pur di pelli, che gli fu donato da sant’Antonio, quando si partì da lui insieme con un mantello grosso, benche si legga, che fosse sepolto con la cocolla, con la tonica, et col pallio. De i monaci anco d’Egitto si trova, ch’usavano la melote, che secondo Papia, è una veste monacale, fatta della pelle d’un’animal, chiamato Melo, o Tasso, molt’aspra, che pendeva dal collo, et si cingeva sino a i lombi. Ma alcuna volta è presa per una pelle di capra, come si legge di san Mutio nella Prima Parte delle Vite de i Padri, ilqual diede ad un suo discepolo l’habito monastico, cioè la lebitona, la cocolla, et la melote, che come si dice in quel luoco, è una pelle di capra. Ma nella *III. Parte delle medesime Vite si trova, che quei Padri usavano nell’eremo le cocolle, gl’humerali, et le cinture, con che solevano cingersi. Di san Giov Battista, et d’Elia si legge parimente, ch’andavan vestiti di pelli di cameli, et cinti con una cintura di pelle. Si dice anco, che sant’Agostino; poi che fu battizato; fu vestito da sant’Ambrosio d’una cocolla negra con una cintura di sopra a differenza de i monaci, come dice l’istesso sant’Ambrosio nel libro, De baptismo sancti Augustini. Dicono pero alcuni, ch’egl’haveva havuto quell’habito da san Simpliciano, ch’è il medesimo. Perche puo esser, ch’egli havesse l’habito da lui, et volesse esserne vestito poi da sant’Ambrosio, perc’haveva l’auttorità episcopale, et specialmente, perche sant’Ambrosio amava san Simpliciano, come padre, come si legge nell’Ottavo libro delle Confessioni. E’ ben verisimile, che l’uno, et l’altro concorresse a quell’attione, non dicendo sant’Agostino d’essere stato vestito più dall’uno, che dall’altro. Ch’egli fosse poi vestito d’habito negro, et di cintura negra di pelle: che lo pigliasse subito, che fu battizato con l’auttorità di sant’Ambrosio: et che l’usassero i suoi frati nell’eremo, si vede espressamente nei suoi Sermoni. De filio prodigo. De cœna Domini. et in un’altro, fatto a i Preti d’Hippona, de i quali parlaremo nel fin del presente capitolo. Et molto ben si conveniva quest’habito a quei frati, come si vede per doi cause. Prima, perche egli è più conforme a quello, ch’usorono i Padri, e i Frati, che vissero nell’eremo, il qual’era; per quello, che si comprende dalle Vite loro; una cocolla, una cintura di pelle, cioè una correggia, et un’humerale, per il quale intendiamo lo scapolare, coprendo le spalle, o le scapule, et secondo questo l’habito del nostro Ordine è del tutto simile in sostanza all’habito di quei Padri, se ben forse, quanto alla forma, o figura, puo esser al quanto diverso, se guardiamo l’uso de i tempi moderni. Et qui è da notare, che l’habito, o la cocolla; che portano, così i nostri frati, come i Minori; è fatta a simiglianza della Croce di Christo, per amor del quale i frati imitandolo, lasciano il mondo, et mortificano la carne, per obedirlo, come dice l’Apostolo. Qui Christi sunt, carnem suam crufixerunt cum vitijs, et concupiscentijs suis. cioè. Quelli, che son di Christo, hanno crocifisso la carne co i vitij, et desiderij suoi, astenendosi sempre da essi. Per la Melote, ch’usavano i santi Padri; come ho detto; possiamo intender, che servano le toniche di pelli, se ben non son di quella propria materia, perche essendo quelle di cameli, o di tassi, non comportarebbe l’uso, che esse si potessero far dell’istessa materia in Italia, et in Africa, dove simili animali son rari, ma ben di pelli di capra, o di pecora, o d’altri animali, che si trovano communemente, et non sol i Monaci, ma anco i Canonici Regolari, et tutti i chierici portavano anticamente gl’habiti di pelli in luoco di toniche sotto la prima veste religiosa, che s’adopera ne gl’Officij divini, et per questa causa fu chiamata Superpellicio, perche si metteva sopra l’habito di pelli, il che s’usa tuttavia in alcune chiese * secolari. Et è verisimile, che sant’Agostino, e i suoi frati, et anco i chierici regolari usassero in quei tempi questi habiti di pelli, ma pero sotto la prima veste, che propriamente si coviene alla religione, et all’honestà clericale. Ma perche dopo la morte sua, spargendosi i suoi frati, chi in una parte, et chi nell’altra; come s’è detto nel capitolo precedente; venne pian piano crescendo qualche differenza dell’habito, nell’Officio divino, et nell’altre osservanze fin, che l’Ordine fu raccolto, et riunito; et quei semplici frati dubitavano, qual fosse il lor vero habito; la Sedia Apostolica, riguardando alla prima origine dell’Ordine, delibero di dargli l’habito di prima, o per parlar più veramente; dechiaro quello, che intorno ad esso sant’Agostino haveva determinato molto prima: volendo, che l’habito esterior de i Frati Eremiti di sant’Agostino fosse la cocolla negra, et non d’altro colore, con maniche ben lunghe, et cinta con una correggia larga, restando il vestimento di sotto, secondo il decreto delle Constitutioni dell’Ordine, ma pero con l’auttorità della sedia Apostolica, come diremo più a basso nel cap. Quartodecimo del libro seguente: Percioche in luoco de gl’Humerali, o Colobij usano gli sacapolari, et per le toniche di pelli, quelle di lana, secondo la qualità de i tempi, et de i paesi, continuando pero nelle stagioni fredde l’uso delle pelli. Ne è dubbio alcuno, ch’è lecito, e’l più delle volte utile, accommodare i vestimenti attuali alla varietà de i tempi, et de i luochi, come dice anco Giov. Cassiano nel Primo libro delle Institutioni de i Padri con queste parole. Debbiam tener solamente quelle usanze, che sono accommodate a i siti de i luochi, et all’uso delle Provincie: Perche per l’asprezza del verno non ci posson bastar le calze, ne i colobij, ne una sola tonica, et portandosi la semplice cocolla, o la melote, si moverebbe a riso, chi la vedesse più tosto, ch’ad edificatione. Per un’altra causa ancora si mostra quest’habito convenirsi propriamente a i Frati Eremiti, se consideraremo, ch’esso significa il compito dispregio del mondo, et la mortification dell’huomo esteriore, che particolarmente si conviene a gl’Eremiti. Percioche il color negro, che non sia mescolato con altro colore; dimostra il perfetto dispregio d’ogni ornamento, et d’ogni pompa mondana: Pero, quand’uno si veste la prima volta di quest’habito, per rappresentar cio, si canta quel Responsorio. Regnum mundi, et omnem ornatum contempli, etc. cioè. Ho sprezzato il Regno del mondo, et ogni ornamento. Overo secondo sant’Anselmo nel libro delle Similitudini, la negrezza dell’habito significa, che’l monaco; benche sia perfetto; deve riputarsi un vil peccatore. La correggia poi, che si da in luoco della cintura di pelli usata già da Elia, et da san Giov.Battista, et è del cuoio d’animali morti, significa, secondo Giov. Cassiano nel luoco allegato, la mortification de i moti bestiali, principalmente in quelle membra, dove stanno i semi della lusuria. Pero dice l’Evangelio. Sint lumbi vestri præcincti. cioè. Sian ben cinti i vostri lombi: di maniera, ch’a qualunque porta quest’habito si puo propriamente accommodar quello, che dice Giob al cap. Quinto. Bestiæ terræ erunt tibi pacificæ. cioè. Le bestie della terra staranno teco in pace: dove per le bestie della terra s’intendono i moti bestiali, et gl’affetti irrationali, da i quali gl’huomini terreni son disturbati, et co i quali i discepoli dell’Ordine di sant’Agostino deveno haver pace. Pero seguita Giob, et dice. Et scies, quod pacem habeat tabernaculum tunm. cioè. Et saprai, che sarà in pace il tuo tabernacolo. Et sant’Anselmo nel luoco allegato dice così. E officio del monaco ammazzar la gagliardezza del Leone, et dell’Orso, la crudeltà del Cinghiale, la rapacità del Lupo, la fierezza del Toro, l’astutia della Volpe, l’immonditia del Caprone, la sonnolenza della Grù, la lusuria del Cavallo, et del Mulo, la pigritia dell’Asino, et tutti gl’altri vitij bestiali, et all’hora haverà pace in se stesso. Ma prima, che l’huomo vinca il senso, et habbia questa pace, è necessario, che faccia una gran battaglia, poi che l’habito non fa santo l’huomo, ma si ben la vita conforme all’habito, e’l cingersi i lombi, et vestirsi di pelli morte non mortifica le membra, ma figura la mortificatione. Bisogna adunque; come dice Giov. Cassiano nell’istesso luoco; che’l monaco, come soldato di Christo che deve star sempre apparecchiato per combattere, vada continuamente cinto, et spedito: et da l’esempio d’Elia, di san Giov.Battista, di S.Pietro, et di S.Paolo. Ne senza causa disse l’Angelo a S.Pietro. Præcingere. Cingiti. Et Agabo Profeta, legatesi le mani, e i piedi con la cintura di san Paolo, disse. Virum, cuius est zona hæc, fic alligabunt Iudæi, etc. cioè. I Giudei così legaranno quell’huomo, di cui è questa cintura. Da che si comprende, ch’essi solevano usar le cinture. Un’altro significato da il Cassiano alla cintura, cioè, che’l monaco sia sempre apparecchiato, et pronto a i servitij del monasterio. La figura della cocolla, che si spande con le maniche stese a guisa di Croce, rappresenta, (secondo il detto sant’Anselmo,) la continua memoria della passion di Christo, et ch’è necessario, che’l monaco sia crocifisso al mondo, et a i suoi appetiti, et dica con san Paolo. Christo confixus sum Cruci. cioè. Io son confitto sù la Croce con Christo. La molta larghezza dell’habito significa l’abondanza della carità: Et la lunghezza, che comincia dalla testa, et va sin’a i piedi, disegna; secondo l’istesso Anselmo, la longanimità, et perseveranza del buon proposito, che deve cominciar dal principio della conversione, et prolungarsi sin’al fin della vita. Il cappuccio poi; che copre la testa, et è aperto alla faccia, descendendo per la schiena; figura quasi uno scudo, et significa la carità, che copre la mente, che è capo dell’anima, et la difende dal freddo de i peccati, et da gl’insulti delle tentationi. Questo deve esser largo di sopra, per denotare il perfetto amore, et di sotto stretto, et raccolto per dimostrar, che si deveno usare, et goder le cose terrene ristrettamente, et parcamente. E anco figurato a guisa di scudo, perche la carità difende sì fatti huomini dalle saette delle diaboliche tentationi: Si porta dopo le spalle ad imitation di chi fugge, perche si sappia, che tutta la nostra battaglia contra gl’incentivi carnali consiste più nel fuggir le occasioni de gl’assalti, che nel mettersi alla difesa, essendo più sicura la vittoria con la fuga, che con opporsi, anco con animo di resistere, come diremo più a pieno di sotto nel XXX Capitolo del libro seguente, alla Decima Cautela. Lo scapolare, o superhumerale, o colobio; ch’in questo proposito significano una medesima cosa; (poi che’l colobio; come dice Papia; non è altro, ch’una veste senza maniche, ch’era uso appresso a gl’antichi;) mostra la forte toleranza delle passioni, quasi che voglia dechiarar, che debbiam portar continuamente sù le spalle nostre la Croce, per superare i vitij: In segno di che i Rè s’ungono sù le spalle, et quelli, c’hanno a portar qualche grave soma, si mettono sù le spalle qualche cuscinetto, per portar il peso più facilmente. Per tanto i tre predetti vestimenti, che fanno l’habito monastico intiero, si mettono insieme nelle Vite de i Padri, come di sopra. Et dicevano essi, che la cocolla era segno d’innocenza. Il superhumerale, che copre le spalle, et la coppa, significava la Croce, et la cintura mostrava la fortezza. Et queste lor significationi si possono accordar con quelle, c’ho predetto. Percioche la carità guarda l’huomo dal peccato, et percio conserva l’innocenza, et copre la moltitudine de i peccati, come si legge nell’Epistola di San Giacomo onde viene a restituir l’innocenza. La fortezza ancora; ch’è figurata per la cintura; è necessaria al soldato di Christo per contrastar co i vitij et mortificare i moti bestiali, et quanto allo scapolare, le applicationi non son punto differenti, per quello, che s’è detto. Et perche non è conveniente, ch’alcun Religioso si trovi mai senza la memoria delle tre predette significationi, deve ogn’uno, anco dormendo, portar continuamente intorno al corpo suo queste tre insegne della sua Religione, le quali sono. La Cocolla, l’Humerale, et la Cintura. Per la cocolla s’intende al presente la cappa, o lo scapolare, o il capuccio picciolo, come interpretano le Constitutioni dell’Ordine: Et par, che sia tolto da i Padri d’Egitto, che come dice Gio. Cassiano, portavano perpetuamente il giorno, et la notte le cocolle, che coprivano solamente la testa per dimostrar l’innocenza puerile. In luoco de gl’humerali, o colobij, usiamo di notte le toniche di sotto, chiamate nelle Constitutioni vesti più corte, et ci è commandato che le portiamo sotto un’altra tonica continuamente. Che’l Religioso non debba star senza la cintura, anco dormendo, si vede chiaramente dalle citate parole di Giov. Cassiano. Et benche le nostre Constitutioni non ne facciano special mentione, nondimeno lo suppongono, essendo la Cintura di sostanza del nostro Ordine, come s’è mostrato. Et fa a questo proposito quello, che si legge, et nota nel cap. Sanctimonialis XXIV. Distinct. et nel cap. Vidua. XX q. I. Onde nella Regola, che porto l’Angelo a San Pacomio, si esprime, ch’i frati dovessero cingersi i lombi la notte. E adunque manifesto, come quest’habito si convenga totalmente a i Frati Eremiti. La corona poi, et tonsura de i capelli dimostra; secondo sant’Anselmo; che’l monaco è Sacerdote, et Rè, perche i sacerdoti si coprivano la testa con la mitra, et al monaco a loro imitatione si rade il capo. I Rè usano la corona, et a simiglianza loro al monaco si tagliano i capelli. Per il che egli fa l’officio di Sacerdote, et di Rè. Si come nel tempo della Legge antica era officio del Sacerdote ammazzar diversi animali, così il monaco deve ammazzar la carne sua a i vitij bestiali, come s’è detto più avanti. Il proprio officio del Rè è governare il Regno, cacciar gl’inimici, proveder che gl’huomini scelerati non facciano ingiuria a i giusti, esaltare i buoni, et distruggere i cattivi. E parimente officio del monaco governare il Regno della propria mente: cacciar totalmente i vitij del corpo, et dell’anima, et proveder, che’l cattivo appetito non resista al buono, ma che quello stia sempre sottoposto a questo sì, ch’egli non porti nell’habito esteriore cosa, che non corrisponda convenevolmente alla professione interiore. Questo dice sant’Anselmo nel luoco citato. I predetti significati dell’Habito dell’Ordine de gl’Eremiti; quant’al colore, quant’alla cintura, figura, et tonsura, et quant’all’altre circonstanze; sono espressamente spiegati da sant’Agostino nel Sermone. De filio prodigo, che comincia. Pax vobis fratres dilectissimi. dove egli dice così. Considerate fratelli quello, che vuol significar la veste negra, la cintura di pelle, et la corona del capo. Percioche la veste negra; ch’è vile; ci avisa, che debbiamo sprezzare il mondo, et ricordarsi della morte. La cintura di pelle dechiara, che si deveno affrenar le concupiscenze carnali. I capelli rasi sù la cima del capo significano essersi levata della mente nostra le superfluità delle colpe, che sono i pensieri terreni, come mi rispose il padre sant’Ambrosio una volta, ch’io gliene dimandai, quando mi battizo il trentesimo anno dell’età mia. Pensate adunque fratelli, quando meritarebbe d’esser ripreso, chi sotto quest’habito nascondesse la superbia, o la lusuria. Per tanto l’humiltà è sommamente necessaria a noi, che viviamo nell’eremo, la quale è figurata per la veste; la castità, che è significata per il cinger de i lombi; et l’obedienza, che s’intende per la suggettione. Portiamo anco i bastoni, che significan la disciplina, sotto la quale debbiamo star sempre apparecchiati. Et nel sermone, De cœna Domini, che comincia. Audivimus fratres charissimi; dice in questo modo. Noi; che siam veduti a portar nell’habito del corpo nostro la figura della Croce, et habbiam nome di Religiosi, portando la veste negra dell’humiltà, cinta con una correggia di cuoio, habbiamo a guardarci di non rassomigliarsi alle sepolture imbiancate, che di fuori son belle, et bianche, ma di dentro son piene di fetore, et d’ossa di morti. Et poco più oltra. La vita cattiva finalmente è più pericolosa a noi, che portiamo il nome, et l’habito della santa Religione, ch’a quelli, che stanno al secolo. Parlando anco a i Preti d’Hippona de i medesimi suoi frati in un Sermone, che comincia. In omibus operibus vestris : dice queste parole. Dio volesse, che foste simili a loro. Voi andate vestiti di pelli di conigli, et d’altri varij animali, et essi si vestono di color molto negro, et aspro, simile a quello della pecora. Voi con le cinture militari desiderate di mostrarvi al mondo, et essi si cingono le reni con correggie di cameli, come faceva Elia, et san Giov. Battista. Nell’istesso proposito parlaremo più a basso nel libro Quarto, al cap XIII. Ma si deve avvertire, che quello, ch’egli dice de i bastoni, si deve intender, secondo l’uso antico. Pero anco san Gregorio Papa determino, ch’i frati portassero in mano i bastoni di cinque palmi. Il che fu poi rivocato da Papa Alessandro Quarto, come cosa sconvenevole a quei tempi. Possono tuttavia i frati portare i bastoni in viaggio, se vogliono. Dell’habito, et vestimenti monastici trovarai molte cose più di sotto nel penultimo Capitolo del Quarto libro.

Cap.XVI.

Dell’entrata de i Frati nelle città.

Et acciò che i Frati di questa santa Religione così uniti, et congregati potessero far frutto nella Chiesa di Dio a simiglianza de i Frati Predicatori, et de i Minori, et come solevano far in Africa inanzi alla lor dispersione in vita di sant’Agostino, predicando al popolo, et ascoltando le confessioni; (come si vede in un suo Sermone, che comincia. Ut bene nostris fratres; ) volse il predetto Papa Alessandro Quarto, ch’essi andassero ad habitar nelle città, et vi tenessero particolari monasterij, per poter giovare al popolo di Dio con la parola, insegnando, predicando, dando esempij di santa vita, et ascoltando le confessioni. Intorno a che rendendosi difficili alcuni di loro; perche volevano più tosto servire a Dio, (come erano avezzi nell’Eremo, et nelle solitudini,) che vivendo fra secolari, esporsi al pericolo d’infettarsi nel mondo; il Papa sopranominato, volendo favorir la lor devotione, et insieme trarne salutifera utilità per i popoli, determino, ch’i luochi dell’Eremo si ritenessero, et che qualunque fosse inclinato alla vita eremitica, potesse fermarvisi, secondo la sua devotione, et come disponessero i suoi Superiori, et che quelli; che fossero atti a far frutto fra i fedeli; dovessero habitar nelle città, predicare al popolo, et ascoltar le confessioni di quelli, che si volessero confessare a loro, et in questa maniera recar beneficio, et giovamento alla Chiesa di Dio. Et confermo il Papa l’Ordine in questo stato, et lo fece esento, ricevendo le persone, e i luochi fuor sotto la protettione della Sedia Apostolica, et concedendogli molti Privilegij, et molte Gratie opportune allo stato predetto, et gli confermo per suo Protettore Ricardo, Diacono Cardinal di san’Angelo, c’haveva prima havuto questo carico da Papa Innocentio, suo predecessore. L’esentione fu poi ampliata da Papa Bonifacio Ottavo, et fatta molto maggiore, et più larga da Papa Clemente Sesto. Ne per certo è di poca laude alla Religion nostra, ch’i suoi frati fossero indrizzati da gl’Eremi alle Città, perche non solamente non s’ha a credere, ch’essi habbian percio declinato dallo stato delle prima lor perfettione, ma che l’habbian più tosto molto più accresciuto, non vivendo sol a se stessi, ma giovando anco alla Chiesa di Dio, come s’è deto di sopra nel capitolo Undicesimo. La perfettion de i quali si conosce in questo, ch’essi per ordine, et disposition della Chiesa Romana son fatti degni di far l’officio, che tocca a i Prelati, ilquale è. Purgate, illuminare, et far perfetto altrui. Il predetto stato dell’Ordine a guisa di pietra angolare abbraccia, quanto puo, l’uno, et l’altro modo di vivere, et è quasi conforme a quello, che tenevavo i frati di Centocelle nel paese di Roma, dove dicono, ch’è ancora in piedi un monasterio de i più antichi, che siano in Italia, nel quale è fama che fossero due forme di vita, che durorono fin’a i tempi di Papa Gregorio Quarto. Conciosia che molti habitavano in un luoco commune, simile ad un monasterio, et altri stavano in celle separate in quei contorni, et si ritrovavano insieme ad alcuni giorni determinati in un luoco commune, per celebrare, et ricevere i Sacramenti, et poi si ritiravano nelle lor celle, portando seco pane, et sale. Ne habitavano in commune, se non huomini provati in altri monasterij, et v’andavano per passar poi alla vita solitaria.

Cap.XVII.

Del Titolo dell’Ordine.

Il Titolo veramente; che la Chiesa Romana ha appropriato, autenticato, et confermato al nostro Ordine; è questo. L’ORDINE DE I FRATI EREMITI DI SANT’AGOSTINO. Questo Titolo impose sant’Agostino a i frati nostri, chiamandogli suoi Frati Eremiti, come si legge nel citato Sermone a i Preti d’Hippona, che comincia. In omnibus operibus vestris. Et gl’intitolò così, per distinguergli da gl’altri suoi frati del Vescovato. Et percio si chiamano hora i Frati Eremiti di sant’Agostino. Della convenevolezza del qual Titolo si deve sapere, ch’esso è talmente proprio a quest’Ordine, che non si conviene ad alcun’altro. Perche molti Religiosi d’altri Ordini si scrivono dell’Ordine di sant’Agostino, come fanno tutti quelli, c’hanno la Regola, i quali sono. I Canonici Regolari, i Premostratensi, i Vittorini, *i Norbentini, i Predicatori, i Servi di S.Maria, et molt’altri, da i quali tutti ci distingue questa parola, Eremiti, posta nel Titolo. Possono essere anco molti Religiosi, che tengono vita eremitica, et si scrivono Eremiti. Ma queste parole di sant’Agostino, che si mettono nel nostro Titolo, ci separan da loro, conciosia che tutti gl’Ordini; de i quali habbiam parlato di sopra, et c’hoggi sono uniti a questo; già si chiamavano, et scrivevano Eremiti: Ma i frati di quest’Ordine solamente; a i quali gl’altri sono uniti; si chiamavano di sant’Agostino. Et essendo essi della felice propagine della sua santa fondatione, meritamente si ritengono la prerogativa di questi Titolo più di tutti gl’altri, c’hanno la Regola sua; come mostrano anco le leggi communi. Dove se avvertiremo con diligenza, si trovarà particolarmente, ch’in niun Titolo di qual si sia altro Ordine si metton queste parole: sant’Agostino: ilche si puo anco provar per Induttione: Perche, quando nelle leggi communi si fa mentione de i Canonici Regolari, de i frati Predicatori, o di qual si voglia altra Religione, che tenga questa Regola, in niun lor Titolo si dice: sant’Agostino. De i Canonici Regolari si parla nella XIX q. III. cap. Mandamus. extra. De Postulando. cap. Ex parte. De ætate, et qualitate ordinandorum. cap. Intelleximus. et De Præbendis, et dignitatibus. cap. Avaritiæ; et in simili altri luochi. De i frati Predicatori si fa mentione nel cap. Cum in veteri. extra. De electione. nel cap. Nimis prava. De Excessibus Prælatorum, et nel cap. Religionum. De religiosis domibus. libro VI. Ne i quali tutti, et simili luochi delle leggi; benche i predetti sian chiamati Canonici Regolari, et frati Predicatori; non hanno percio nel lor Titolo queste parole: di sant’Agostino, sì, che sian chiamati Canonici Regolari di sant’Agostino, o frati Predicatori di sant’Agostino, perche questo veramente non si scrive di niun di loro. Ma ogni volta, che nelle Leggi Canoniche si fa mention del nostro Ordine, sempre s’esprime nel Titolo: Di sant’Agostino, come si ha nel cap. Quorundam, extra. De electione et nel citato ca. Religionum. De religios. domib. lib.VI. et in altri luochi simili, dove non è scritto semplicemente: Ordine de gl’Eremiti, ma così. ORDINE DE I FRATI EREMITI DI SANT’AGOSTINO. Ilqual Titolo non si trova, che sia stato applicato ad alcun’altro Ordine. Et si deve avvertire, che quelle parole: Dell’Ordine, inserite in questo Titolo, non si deveno unire immediatamente con queste: Di sant’Agostino, ma con quest’altre: De gl’eremiti, perche quello che si dice: Dell’Ordine di sant’Agostino, si conviene anco ad altri Ordini. Pero si vede, che scrivono male, et impropriamente alcuni in questo modo. Frate tale de i Frati Eremiti dell’Ordine di sant’Agostino. dovendosi scriver così. Frate tale dell’Ordine de i Frati Eremiti di sant’Agostino. Di quà si comprende ancora, quanto errino quei frati, che si vergognano di quella parola posta nel Titolo: De gl’Eremiti, et si scrivon semplicemente: Dell’Ordine di sant’Agostino: levandone: De gl’Eremiti: E io ho veduto a Parigi, ch’alcuni frati havevano avvertito il Bidello, che quando gli publicava nelle Scole, dovesse tacer quelle parole: De gl’Eremiti: et certamente simili huomini si vergognano della generosa radice della lor propagine, che non ha nome alcuno di vergogna, ma sì ben di laude, et d’honore. Deve quest’Ordine degnamente, et convenientemente godere del Titolo di sant’Agostino, così per rispetto della sua prima fondatione; havendo havuto principio da lui; come anco per la regolare institutione, essedo stato dotato da lui, quand’esso gli diede la sua Regola, et anco per l’applicatione della Sedia Apostolica, della qual questo Titolo gli fu particolarmente applicato, appropriato, et confermato: Et finalmente per la possession corporale, possedendo esso, per singolar privilegio il santissimo corpo di SANT’AGOSTINO. Per tanto, poi che queste quattro conditioni non si convengono ad alcun’altro Ordine, resta giustamente al nostro la prerogativa del predetto Titolo. Le tre si son trattate di sopra: Seguita hora la quarta.

Cap.XVIII.

Della riunion del capo alle membra, quando ci fu donato il corpo di SANT’AGOSTINO,

e’l luoco in Pavia.

Et perche non bastarebbe; che le membra fossero unite insieme, se non si congiungessero anco al lor capo; considerando questo la Sedia Apostolica, volse ultimamente unir; come s’è veduto; le membra di questa santa Religione, ch’eran da principio separate, et poi riunirle al lor sacratissimo capo anco corporalmente, si come erano unite con l’animo: Percioche crescendo la perfidia de i Vandali, et essendo presa, et distrutta la Città d’Hippona, profanati i luochi sacri da gl’Idolatri, (et specialmente quello, dove il corpo di SANT’AGOSTINO s’era riposato sessanta doi anni,) confinati in Sardigna duecento venti Vescovi Africani, et dispersi i Sacerdoti, e i Religiosi, si fece tanto con l’arte, et con l’ingegno de i fedeli, che col favor dell’aiuto divino il corpo del gloriosissimo Dottore AGOSTINO fu trasferito in Sardigna, quando vi si ridussero i detti Vescovi, essendo già dispersi i suoi frati: et essendovi stato con molta veneratione, et honore ducento venti tre anni; poi che fu messa a sacco l’Isola da i Saracini, per industria, et devotione dell’inclito Rè Luiprando, ne fu levato, et portato a Pavia: dove dopo quasi seicent’anni le membra; che sono i frati del nostro Ordine; si riunirono al capo loro, et la riunione si fece in questo modo.

Essendo Prior General dell’Ordine il venerabil Padre, Maestro Guglielmo da Cremona, eccellente Dottore in Teologia, del quale ho fatto mentione poco più di sopra; egli; come prudente, provido, et molto fedele amico del suo Ordine; mosso da Spirito divino, comincio il prim’anno del suo Officio a pensar fra se, se fosse possibile, che’l corpo del padre sant’Agostino; ch’era stato tanto tempo separato, et lontano da i suoi figliuoli; fosse in qualche modo donato, o più tosto restitutito all’Ordine nostro. Ma parendo questo a molti, non sol difficile, ma impossibile, egli nondimeno confortato dall’Oracolo divino, comincio a trattar questo negotio appresso alla Sedia Apostolica con molta speranza: Et non ci essendo modo alcuno, ne con favori, ne con premij, ne con la propria forza dell’auttorità Apostolica, che quel corpo sacratissimo si potesse levar di quel luoco, et trasferirsi altrove, Il Generale fatta una savia risolutione, fece formar la sua supplica talmente, che non paresse, ch’egli dimandasse, ch’l corpo di sant’Agostino s’havesse a movere di quel luoco, et donare all’Ordine si potesse congiungere al padre, et capo suo nel medesimo luoco, dove egli si riposava. Essendo adunque stato proposto questo negotio nel Consistorio inanzi al santissimo padre, Papa Giovanni XXII, et a tutto’l Collegio de i Cardinali, et trattandosi fra essi di cio, si vide chiaramente, che quest’Ordine haveva havuto origine da sant’Agostino, et che i frati nostri son veri figliuoli di quel padre. Onde il Papa, facendosi questi discorsi, per volontà di colui, che spira dove vuole, abbraccio il negotio con tanto fervore, che pareva più tosto avvocato, et protettor, che giudice. Per ilche proponendo diversi partiti sopra di cio esso, e i Cardinali, fu finalmente conclusa favoritamente la gratia, che si dimandava, et così egli col consiglio loro ordino, et delibero in Consistorio publico, ch’i Frati Eremiti di sant’Agostino dovessero fabricarsi un luoco claustrale con le stanze necessarie per lor convento appresso alla chiesa, et al monasterio di S.Pietro in Ciel d’oro di Pavia, dove sta solennemente sepolto il sacro corpo del gloriosissimo Dottor, SANT’AGOSTINO, et ivi habitare talmente, che la medesima chiesa fosse commune, non meno a i detti Frati Eremiti, ch’a i Canonici Regolari nella celebratione de i divini Officij. Sopra il qual ordine, et Decreto il medesimo Papa concedette alla Religion nostra un molto favorito, et solenne Privilegio, dove fra l’altre cose, dice così. GIUDICHIAMO esser degna, et convenevol cosa, che dove si dice esser sepolto, et riposarsi il corpo d’un tanto Dottore, et Prelato; oltra quell’honore, et laude, che gl’è resa dalla Chiesa universale; esso sia specialmente, et con particolar riverenza honorato da voi, et da i frati del vostro Ordine, che vivete, et militate sotto la Regola, et santa osservanza del medesimo padre, occupandovi nelle divine lodi, attendendo all’oratione, essendo intenti all’esortatione, sudando nelli studij, et vigilando con molta sollecitudine per la salute dell’anime, di maniera; che unite con l’auttorità della Sedia Apostolica le membra al lor capo, i figliuoli al Padre, i discepoli al Maestro, i soldati al Capitano; possiate giubilare, et render gratie a Dio di vivo cuore in quel luoco, dove sapete esser sepolte le reliquie del Maestro, Padre, et Capitano vostro.

Spedita finalmente la donatione dalla Sedia Apostolica, restava ancora la difficoltà del possesso, perche la Gratia havesse l’intiero effetto suo: Et veramente, benche nel principio si trovasse qualche poco di resistenza, nondimeno con l’aiuto di Giovanni, Rè di Boemia; ch’in quei tempi era Signor di Pavia; i frati hebbero poi questo ancora pacificamente. Ne è meraviglia, se tanto nell’impetrar la donatione, quanto nell’ottenere il possesso, fosse gran difficoltà, parendo cio alla prima vista fatto contra l’ordinario stile delle Leggi, et della ragione: ne si saria potuto fare in modo alcuno, se così non havesse deliberato, che si facesse colui, che con la sua immutabil sapienza dispone tutte le cose con possanza, et con dolcezza, et per tutto ha infuso una certa naturale inclinatione, che ogni cosa torni facilmente a i suoi principij, ilche fa bene appresso a gl’huomini è molte volte difficile, a lui è nondimeno facile. La onde havendo havuto questo glorioso padre Agostino, mentre visse; in qualunque stato si trovasse; una singolare inclinatione a questi suoi figliuoli, come habbiam veduto, et havendo i suoi frati portato sin dal principio un filiale affetto a lui, come a vero padre loro; si venne a sperar, che fosse possibile quello, che per dir così, era d’insperata possibilità, cioè, che’l padre, e i figliuoli tornassero a riunirsi corporalmente insieme, come erano stati per il passato, per dover parimente sotto la scorta sua goder seco la communanza de i cittadini del Cielo per gratia della divina liberalità. Puo esser anco, che rendesse più facile questo negotio l’aiuto delle leggi, che favoriscono gli spogliati, perche i frati gridavano, c’havevan posseduto quel corpo degno d’esser nominato con ogni riverenza, et che per la persecution de i pagani ne erano stati spogliati, et messi in fuga, et che tutte le leggi gridano, che gli spogliati deveno esser prima rimessi nell’antico possesso loro: Et benche tutto quello, che s’adduceva in favor di questo negotio, non si potesse forse provare a pieno per l’antichità del tempo, introduceva nondimeno qualche verisimil presontione, per la quale la Sedia Apostolica puote muoversi a consentirvi non senza ragione. Questa tanto desiderata riunione, prima che succedesse, fu rivelata ad un frate di qualche nome nell’Ordine nostro in questa maniera. Gli pareva d’esser con molti frati, et con le miglior persone della Religione in una certa chiesa, che non era del detto Ordine, nella quale era una sepoltura alta d’un santo, et gran Vescovo, come mostrava la figura dell’imagine, che v’era scolpita sopra, et non era tenuta, come si conveniva da i ministri di quella chiesa, perche v’erano stati gettati sopra senza riverenza banchi, et candelieri vecchi; et molt’altre cose sì fatte. Pero stando i frati nella chiesa, et mirando la sepoltura, ecco che vedevano alzarsi l’imagine del Vescovo, et con disdegno gettar via quelle bagaglie, et da poi rizzarsi egli proprio, et uscir fuor della sepoltura vestito pontificalmente, et stando in piedi inanzi all’altare invitare i frati a cantare; cominciando così. Venite, venite, venite figliuoli: uditemi, et io v’insegnaro il timor di Dio. Et cantava queste parole, alzando sempre più la voce, come sogliono fare i Vescovi, quando son consacrati. Dapoi finite quelle parole si pose a sedere, et fattili parimente seder inanzi tutti i frati per ordine, fece loro una dolce esortatione, come fa il padre a i figliuoli: et all’hora il frate; che vedeva questo; intese in spirito, che quello era sant’Agostino, il qual volendo mostrare a i suoi frati l’amor suo singolare verso di loro, teneva in mano un bicchier di vetro mondo, et pieno d’una molto chiara, et bella bevanda, et poi che ne hebbe bevuto egli, ne diede a bere a tutti gl’altri per ordine di sua mano, intonando dolcemente, et cantando. Aqua Sapientiæ potavit eos. cioè. Ha dato loro a bere dell’acqua della Sapienza, et giunto al detto frate volse, ch’egli ancora bevesse, et era la bevanda, c’ho detto, così nobile, et dolce, c’haveva un’inusitato sapore, et pareva un vin clareto vecchio, di maniera ch’egli ne rimase tutto confortato. Poi c’hebbero bevuto tutti, il Vescovo gli benedisse, et comincio ad aviarsi verso la sua sepoltura, ma i frati piangevano, rammaricandosi della sua partenza. Et egli consolandogli paternamente diceva. Non piangete fratelli. Ecco ch’io son con voi sino al fin del secolo: Et incontinente il frate si destò, et si trovò la bocca, la lingua, e’l palato molto indolcito da quella bevanda. Onde pieno di stupore, et d’allegrezza ne diede gratie a Dio con speranza, che quella visione non dovesse esser vana, ma che predicesse qualche bene all’Ordine, come avenne in effetto non molto tempo dapoi: Percioche di là circa a doi mesi furon portate lettere dalla Corte di Roma con aviso certissimo, che’l corpo del santissimo Padre nostro AGOSTINO era stato restituito all’Ordine nostro. Di tutto sia ringratiato Iddio.

Le parole infrascritte in tutti gl’esemplari se-

guitan subito dopo l’Historia della sopra-

detta Visione, et se ben non è veri-

simile, che sian dell’auttore;

nondimeno habbiam vo-

luto lasciarcele

per tut-

ti quei rispetti; che si posson considerare.

Qui si deve tener per certo, ch’un frate del nostro Ordine, cioè de i Frati Eremiti di sant’Agostino, desiderando molto di saper il nome di colui, al quale Iddio haveva mostrato la Visione raccontata di sopra, scrisse al de-no di somma riverenza, et devotissimo Padre lettor GIORDANO, auttor di questo libro, che volesse degnarsi di scoprirgli quel frate, che l’haveva havuta, alquale egli fra l’altre cose, rispose così. A che effetto dimandate voi, che vi sia scritto il nome del frate, c’hebbe la Visione, della qual si parla nel Primo libro del Viver de i Frati, al Cap. XVIII.? non so, che altro dirvene, se non, ch’egli è un peccatore, et che percio preghiate la misericordia di Dio per lui. Di questo siate sicuro, che la Vision fu certissima, come è scritta in quel luoco. Da che si vede manifestamente, che questa così mirabile, et così favorita Visione fu scoperta a lui proprio, se ben egli per humiltà, et per fuggir la vanagloria, non volse far sapere il suo nome.

Cap.XIX.

Che la sacrosanta madre Chiesa Romana ha particolarmente instituito,

et accresciuto quest’Ordine.

Raccogliamo hora le Gratie, che la santa Romana Chiesa ha fatto a quest’Ordine, et trovaremo, ch’essa lo ha veramente, et indubitatamente instituito. Et questa è una singolar prerogativa di questa Religione, che non si trovarà esser d’alcun’altra. Ma vediam prima quello, c’ha fatto già sant’Agostino in beneficio de i frati, che stavano nell’Eremo et de i Padri nostri. Egli, essendo essi sparsi in ogni parte per le solitudini, gli raguno, et visse con loro, come ho mostrato disopra nel Cap.VII. Diede loro il modo, et la regola del vivere, come si dirà nel XIV. del libro seguente. Diede lor l’Habito, come s’è veduto nel XV. Impose loro il Titolo, come s’è detto nel XVII. Diede lor l’Officio divino, come trovaremo nel XV. del libro seguente. Gli deputo a gl’officij della predicatione, et della confessione, come s’è trattato nel XVI. Le quali attioni tutte comprendono l’intiera fondation d’un’Ordine. Et qual’altro fondatore ha fatto in cio più di lui? Egli manco solamente in questo, che non impetro dalla Sedia Apostolica, vivendo, la confermation di questo suo Ordine, contentandosi dell’auttorità ordinaria, c’hanno i Vescovi nelle lor Diocesi. Ma non debbiam meravigliarsene, perche in quei tempi non era ancora in uso, che la Sedia Apostolica s’occupasse in sì fatte cose. Ne ci era ancora prohibitione, o rescritto alcuno intorno alla fondation de gl’Ordini, ma ogn’uno serviva a Dio, come voleva, et specialmente, perche non era stato ancora approvato solennemente dalla Chiesa alcun’Ordine regolare inanzi a i tempi di sant’Agostino, come diro di sotto nel cap. Terzo del Terzo libro. Onde san Paolo primo Eremita, sant’Antonio, sant’Hilarione, et gl’altri Padri; de i quali si fa mentione nelle Vite, et Collationi loro; servivano a Dio, com’eran da lui inspirati, et ogn’un d’essi insegnava a i suoi discepoli il modo di vivere: Ma Pero non fu niuno di loro, che mettesse fuori alcuna Regola approvata dalla Sedia Apostolica. Ne penso sant’Agostino alle cautele de i tempi moderni. Ultimamente, quando piacque a Dio di riunire i suoi frati dispersi; (di che s’è ragionato nel Cap. XIV) chiedendosi la confermation dell’Ordine a simiglianza de gl’altri, che s’erano instituiti con le cautele moderne, ne essendo ben certa la Sedia Apostolica per la lunghezza di così antico tempo, che sant’Agostino havesse fatto in beneficio del suo Ordine, quant’habbiam detto ricercarsi all’institutione delle Religioni, anzi essendosi in un certo modo dimenticato cio nel corso di tante generationi, et tempi; ancor che paresse verisimile; la santa madre Chiesa con l’auttorità Apostolica da se stessa, quasi da novo, et senza altro mezo; rifece fondo, et autentico tutto quello, che sant’Agostino haveva già fatto per il suo Ordine: Percioche raguno i frati dispersi, quando fece l’union dell’Ordine narrata di sopra nel cap XIV. Diede loro la Regola, et delibero del modo di far professione, autenticando le Constitutioni, come si vede nel medesimo luoco, et nel cap. XIV. del libro seguente. Diede loro un’Habito speciale, come ho mostrato di sopra nel XV. Impose loro il Titolo, come s’è trattato nel XVII. Assegno lor l’Officio divino nel modo, c’ho narrato nel XIV. et come diro nel XV. del libro seguente. Et ultimamente gl’ha deputati a gl’officij della predicatione, et della confessione, di che s’è parlato nel XVI. Et oltra tutto quello, che s’è detto, la medesima santa madre Chiesa; per mostrar chiaramente, et in effetto questo essere il vero Ordine di sant’Agostino; come quello, ch’è stato fondato da lui; e i suoi frati esser vere membra, et veri figliuoli del medesimo padre; l’ha voluto ricongiungere, et riunire a lui, come a vero padre, et capo suo, come ho mostrato nel cap. XVIII. et l’ha confermato, et stabilito, adottando quei frati per suoi figliuoli speciali, et facendogli esenti, et liberi da ogn’altra potestà, et giuriditione, come ho detto nel cap. XVI. Et qual’altro fondator d’un’Ordine havrebbe potuto far più di questo, se non la Chiesa Romana? Anzi chi havrebbe potuto farlo altri, che essa? Niuno per certo: Essendo quella, che sola sparge la rugiada della gratia: versa la pioggia serotina: influisce, et communica la vita a tutti quelli, che vivono spiritualmente, come fa il capo alle membra, il lume al raggio, l’arbore al ramo, e’l fonte al rio: Essa è quella, ch’in tutte le sue attioni è guidata dallo Spirito Santo, et come casta, et immacolata sposa di Christo, non puo commettere adulterio, come dice san Cipriano, Vescovo, et martire glorioso, et Dottore, le parole del quale son registrate nel cap. Loquitur Dominus. XXIV q. I. Anzi io giudico, che sia di maggiore auttorità, che la santa madre Chiesa habbia da se stessa, quasi da i fondamenti instituito quest’Ordine, che se qual si voglia huomo santo l’havesse fatto, non essendo chi dubiti, ch’essa è governata dallo Spirito Santo, com’ho predetto; et che tutto quello; che da essa è ordinato, et deliberato, è fatto, et prodotto da lui, come si vede nel cap. Violatores. XXV q. I. et q. II. cap. Igitur. et ne i cap. Si quis Draconus, et Si ille. L. Distinctione, et cap. Sic omnes. XIX. Distinct. Si puo adunque chiamar questa sacra communion di Religione quella Città; cioè union di cittadini; della qual dice il Salmo. Gloriosa dicta sunt de te Civitas Dei. cioè. Gloriose cose si son dette di te, o Città di Dio. Gloriose dico, quanto alla propagine, ch’è venuta dal padre sant’Agostino, ma più gloriose, quanto alla fondatione, ch’essa ha havuto dalla santa Chiesa Romana.

Cap. XX.

Quanto sia pericolosa cosa a i Frati uscir di questa santa communanza.

Con quanto pericolo escano i Religiosi di questa communanza, si vede chiaramente dalle molte maledittioni statuite dalle leggi communi contra di loro, et da quelle, alle quali essi sono specialmente condannati dalle Constitutioni dell’Ordine. Prima, perche commettono un peccato maggior di quello de’gli altri, essendo meglio non conoscer la strada di Dio, che tornare adietro, poi ch’essa s’è conosciuta, come si legge nel cap. Quidam. extra. De Apostatis. Per una seconda causa, restando gl’Apostati scommunicati, tanto da i Canoni; se lascian l’habito; quanto dall’Ordine, benche lo ritengano. Per la terza, perche diventano infami, almen quanto all’infamia canonica, come dice il cap. Illi, qui. VI q. I. Per la quarta, perche sono inhabili a gl’officij, et a gl’honori ecclesiastici. Per la quinta, perche sono incapaci del Regno del Cielo, secondo il detto Evangelico. Nemo mittens manum ad aratrum, et respiciens retro, aptus est Regno Dei. cioè. Niuno, che mette la mano all’aratro, et guarda indietro, è capace del Regno di Dio. Nel qual proposito raccontaro un caso d’un frate, nato di nobil famiglia al secolo; ilqual insuperbitosi per la potenza de gl’amici, et sprezzata l’obedienza dell’Ordine; tolse in sua compagnia un’altro frate, non manco pazzo di lui, et uscendo del convento, senza licenza d’alcun Superiore, non sol ando sfacciatamente vagando per quei paesi con l’habito della Religione indosso, ma ragunandosi; come si fa ordinariamente; molti frati ad un Capitolo Provinciale; egli, e’l compagno andoron là, dove si faceva il Capitolo con molti potenti secolari, perche non fosse chi havesse ardimento pur di dir loro una parola, et entrando arrogantemente nel Diffinitorio, dissero molte insolenti, et ingiuriose parole, et quanto più erano esortati da quei Padri all’obedienza, et all’humiltà, tanto meno si guardorono di sparlare, et mordergli superbamente. Dapoi partendosi con quell’animo ribello, fecero molti scandali, et danni alla Religione. Ma prima, che passasse un’anno, andando essi una volta per quelle campagne, il frate nobile si sentì toccar da un grande spirito di compuntione, et da tanta contritione, che gli cominciorono a tremar quasi tutte le membra, di che avedutosi il compagno, gli dimando, che male havesse: a cui egli sospirando rispose. O quando lungamente noi infelici siamo andati errando. Vieni, se vuoi, perch’io, quant’a me; da quest’hora mi risolvo di giro a cercar la gratia dell’Ordine. Ma replicando quell’altro, ch’in modo alcuno non voleva mettersi in prigione, laquale era certo, tornando, di non poter fuggire, et affermando il primo, ch’era apparecchiato d’entrar non sol in prigione, ma anco di morire per salvarsi l’anima; l’altro gettato via l’habito si partì: Onde il frate nobile, ritenuto il suo intorno, et copertolo d’altri vestimenti, per non esser veduto a caminar solo in habito religioso; per una lunga, et faticosa strada si mise a cercare il Provinciale, et finalmente trovo me, c’haveva all’hora; benche indegnamente; quell’officio, et quando mi fu inanzi, mi si getto a i piedi. Io da principio non conoscendolo, perc’haveva mutato habito, et effigie, gli dissi. Chi sei tu? Che dimandi? Io, (disse,) sono il tal peccatore, che voi molto ben conoscete, et dimando la misericordia di Dio, et la vostra. Et che misericordia, (risposi io,) potro farti, havendo tu così gravemente offeso la santa Religione, madre tua? Dimando questa sola misericordia, (replico egli,) che non sia negato a me infelice un luoco di penitenza da poter purgare i miei peccati. All’hora lo feci rizzare, et gli dimandai dov’era il compagno, et che cosa haveva fatto dell’habito dell’Ordine. Ecco, (disse,) l’habito, ch’io non ho mai lasciato, ma il mio compagno non ha voluto venir meco: Et mi narro come nel viaggio per volontà di Dio havesse sentito compuntione de i suoi errori, et come il compagno si separasse da lui. Pero io gli dissi. Sappi, che tu hai meritato la carcere, ne in cio potrai haver da me gratia alcuna. S’io havessi havuto paura della carcere, (rispose egli,) non sarei venuto a trovarvi: Ond’io volendo provarlo, s’haveva animo di perseverare, fatto segno lo feci condurre in un luoco appartato ad aspettar la risposta, et trovatolo molto costante, il dì seguente l’assolsi, et mandai ad un convento assai lontano con una lettera aperta al Priore di quel luoco, nella quale gli commetteva, che subito giunto lo facesse metter in prigione. Ma egli andando allegramente al convento assegnatogli, entro spontaneamente nella carcere, et sopporto patientemente sin’al fin del termine la pena statuita dall’Ordine. Ecco che costui; quntunque da principio si partisse dalla sacra Religione col compagno, et ritenesse sempre l’habito, et caminasse con esso; si separo nondimeno dalla communanza dell’Ordine, partendosi senza licenza de i suoi Superiori, et con animo contrario, et cattivo. Ne puote aiutarlo a coprir l’Apostata il portamento dell’habito, ch’egli affermava di non haver mai lasciato: Perche l’habito non fa il monaco, ma la professione, et osservanza regolare, come dice il cap. Porrectum. extra. De Regularibus. Et benche l’habito potesse haverlo difeso dalla sentenza del Canone, non harebbe pero potuto difenderlo da quella dell’Ordine, o del suo Prelato. Percio ho fatto mentione di questo solo frate, per essersi così all’improvisa, et così mirabilmente pentito dell’error suo, et convertito: et perche subito deposta la quasi lupina rabbia, come humil pecorella s’offerse volontieri alla morte.

Cap.XXI.

Quali statuti della Regola, et delle Constitutioni dell’Ordine si riducano a questa prima Communione.

A questa Communione si riducono tutti gli statuti dell’Ordine, che parlano di quelli, che vi si ricevono, et del modo di ricevergli, et ammaestrargli, com’è quello, che si legge nel Decreto dell’osservanza regolare. Antequam quis statuat esse in monasterio, probet propositum fratrum, atque exemplum, et ipse probetur in omni conversatione ab illo, qui prior est; et cœteris consentientibus. cioè. Ogn’uno prima, che si risolva d’entrar nel monasterio, faccia prova dell’intentione, et della vita de i frati, et sia parimente provata diligentemente la vita, e i costumi suoi dal Priore, et da gl’altri, che consentono ad accettarlo. Et queste parole del Sermone. De margaritis regularis institutionis. Quand’alcun desidera di venir dal secolo alla nostra Congregatione, inanzi ad ogn’altra cosa si faccia esperienza di lui, per veder, se quella è volontà, che venga da Dio: non dovendo esser violenta; non sforzata da altri; non mobile, ma perpetua, virile, costante, piena d’ogni spirito di carità, et perfetta: et all’hora gli sia proposto in qual modo deve rinontiar la propria volontà. Et quell’altre, che si leggon nel principio della Regola. PRIMUM; propter quod in unum estis congregati; ut unanimes habitetis in domo. cioè. La prima; per laqual vi sete congregati insieme; è che viviate in concordia in una casa. Et quello, che si dice ne i capitoli XVI. XVII. et XVIII. delle Constitutioni. Et oltra di cio tutti gli Statuti, che parlano del non uscire, et del modo d’uscire, et caminar fuor del convento, come dice la Regola. QUANDO proceditis, simul ambulate: cùm veneritis, quo itis, simul state: In incessu, statu, habitu, et in omnibus motibus vestris nihil fiat, quod cuiusquam offendat aspectum, sed, quod vestram deceat sanctitatem. cioè. Quand’uscite fuori, caminate insieme: come sarete giunti al luoco, dove andavate, state insieme: Nell’andar, nello stare, nell’habito, et in tutti gl’altri moti vostri non si faccia cosa, ch’offenda, chi vi vederà, ma che si convenga alla santità vostra. Et altrove. NEC EANT ad balnea; fine quocunque ire necesse fuerit; minus, quam duo, vel tres, et ille, qui habet aliquo eundi necessitatem, cum quibus Præpositus iusserit, ire debebit. cioè. Ne vadano a i bagni, o dovunque occorrerà; meno di doi, o di tre, et chi haverà bisogno d’andare in qualche luoco, doverà andarci con quelli, che commandarà il Preposito. Et quello, che si dice nell’altra Regola. Si opera monasterij mittantur fratres vendere, solicitem caveant, ne quid faciant contra præceptum. Si aliquid emant ad necessitatem monasterij, solicitem, et fideliter; ut servi Dei, agant. cioè. Se i frati saranno mandati a vendere i lavori del monasterio, si guardino diligentemente di non contrafare a quello, che vien loro commandato. Havendo a comprar qualche cosa per il monasterio, lo facciano sollecitamente, et fedelmente, come si conviene a i servi di Dio. Et nelle Constitutioni al cap. XIX. et XX. Et gli Statuti, che trattano de gl’Apostati, et di quelli, ch’escono della Religione, come è quello nel Decreto dell’osservanza regolare. Sed si contigerit, ut aliquis ex qualibet causa necessitatis, a monasterio fuerit abstactus, ne vel mente concipiat secum aliquid ferre de ijs omnibus, quæ in monasterio fuerunt, sine ea; quæ secum aliquado attulerat; sine ea, quæ cum fratribus acquisierat. cioè. Ma occorrendo, che qualcheduno per causa necessaria si separi dal monasterio, non si lasci entrar pur nel pensiero di portar seco alcuna cosa di quelle, ch’eran nel monasterio, o siano state portate, o acquistate da lui con gl’altri frati. Et più oltra. Quicunque provocatus ab aliquo de monasterio voluerit abscendere, aut redarguat provocantem, aut antem indicet Præposito. cioè. Chi sarà provocato da altri, et vorrà uscir del monasterio, o riprenda il provocante, o lo faccia prima sapere al Preposito. Et quello, che si soggiunge. Si incursio repentina supervenerit* ab Hæreticis, aut hostilitas, etc. cioè. Se occorrerà qualche subita incursione d’Heretici, o qualche guerra, etc. di che s’è parlato di sopra nel capitolo XII et se ne tratta nel XVI delle Constitutioni. Et quelli Statuti, che parlano de gl’incorriggibili, et di quelli, che si deveno cacciar dalla compagnia de i frati, come quello della Regola, che tratta del castigo emendatorio, dicendo. DEBET emendatoriam subire vindictam, quam, si ferre recusaverit, etiam, si ipse non abscesserit, de vestra societate proijciatur. Non enim, et hoc fit crudeliter, sed misericorditer, ne contagione pestifera plurimos perdat. cioè. Deve sottoporsi al castigo, che gli si da per emendarlo, et s’egli non volesse farlo, sia cacciato fuor della nostra compagnia ancor, che non se ne partisse da se. Ne questo ancora sarà atto di crudeltà, ma di pietà, accio che colui con la pestifera sua conversatione non ne ammazzi molt’altri. Della medesima materia si parla nel capitolo cinquantesimo delle Constitutioni.

Il fine del primo libro.