Tomo V
Anni
di Cristo 1318 - della Religione 932
1 – [V,
p. 362] Non
habbiamo in quest’anno cosa di molto rilievo da potersi notare intorno alle
cose spettanti alle Storie Generali della Chiesa, e del Secolo, salvo solo, che
regnando in questo tempo un Pontefice dottissimo, permise anche Iddio, che
fiorissero nello stesso tempo in tutti quattro gli Ordini Mendicanti Huomini
Letteratissimi, li quali illustrarono grandemente le loro Religioni, e
specialmente famosi si resero nell’Ordine Domenicano, Durando, Pietro di Palude
et Erveo Teologi insigni. E nell’Ordine Francescano, Guglielmo Ocham et
Aureolo. Nell’Ordine del Carmine, Guido. Nell’Ordine nostro poi, molti
fiorirono in questo tempo, fra quali li più cospicui furono Enrico d’Urimaria,
Giordano di Sassonia, Tomaso d’Argentina e Gregorio da Rimini, de’ quali ne’
suoi luoghi e tempi, a Dio piacendo, ampiamente scriveremo.
2 – Nell’anno scorso lasciassimo scritto, che il Sommo
Pontefice Giovanni XXII deputò con sua Bolla espressa li Vescovi di Perugia e
di Orvieto insieme col Rettore del Ducato di Spoleto, ad effetto di formare il
Processo della Vita, Virtù e Miracoli della B. Chiara nostra di Montefalco, ma
perché le spese, che si dovevano fare in così grave funtione erano molto gravi,
et il Monistero di S. Croce della detta Terra era molto povero, fecero per
tanto le Monache di quello supplicare il Sommo Pontefice sudetto a volere
restar servito di moderare, con la sua sovrana autorità, le dette spese, e
spetialmente le cotidiane provisioni, che si dovevano dare alli tre mentovati
Prelati, che havevano da formare il sudetto Processo, come quelle, che erano
anche le più gravi. Il buon Pontefice dunque, mosso a pietà di quelle Serve di
Dio, spedì un’altra Bolla alli sudetti Vescovi, e Rettore del Ducato di Spoleto,
nella quale li comandò, che per la loro giornale provisione, si contentassero
di ricevere dall’accennato Convento di S. Croce, due soli Fiorini per
ciascheduno. La Bolla fu data in Avignone nell’anno secondo del suo
Pontificato, a 22 di Marzo, e la produce l’Errera nel Clipeo della Risposta
Pacifica a carte 286, et è del seguente tenore:
Ioannis Episcopus Servus
Servorum Dei.
3 - Venerabilibus Fratribus Perusuno et
Ubevetano Episcopis, ac dilecto filio Magistro Reginaldo de S. Arthemia
Canonico Petragoricensi Capellano nostro, nostrisque Palatij Auditori Causarum,
Ducatus Spoletani Rectori, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Dudum Vobis,
de quorum discretione plenam in Domino fiduciam obtinemus, per alias nostras
certi tenoris litteras dedimus in mandatis, ut vos, aut duo vestrum de Vita,
conversatione, ac Miraculis recolendae memoriae Clarae Monasterij S. Crucis de
Montefalco Ordinis S. Augustini Spoletanae Dioecesis Abbatissae, caeterisquae
circunstantijs huiusmodi negotium contingentibus in loco, seu locis ubi
expedire videritis inquireretis diligentius veritatem, et quae super praemissa
inveneritis, fideliter in scriptis redacta, sub testimonio sigillorum
vestrorum, per viros idoneos curaretis ad Sedem Apostolicam destinare. Quare
Nos volentes de expensis pro vestris personis, et vestionibus, quas vobiscum in
huiusmodi inquisitione habebitis providere, et ad statum dicti Monaterij, quod
ut audivimus, facultatibus non abundat, considerationem habentes, auctoritate
Apostolica, et de Fratrum nostrorum consilio tenore praesentium ordinamus et
volumus, ut Vestrum quilibet pro tempore duntaxat, quo praedictae inquisitioni
vacabitis duos [V,
p. 363] Florenos aureos diebus
singulis a dilectis in Christo filiabus Abbatissa, et Conventu Monasterij
memorati recipiatis tantumodo pro expensis, et huiusmodi nostra taxatione
contenti, nihil plus ab eis quomodolibet exigatis. Datum Avenione II Kalen.
Apilis Pontificatus nostri Anno
secundo.
4 – Essendo già terminato il secondo triennio
del Generalato dell’insigne Maestro F. Alessandro da S. Elpidio, si celebrò per
tanto il Capitolo Henerale nel nobile Monistero di S. Giovanni Evangelista
nella Città di Rimini in questa nostra Provincia di Romagna. E se bene il
sudetto P. Generale haverebbe volontieri deposto il gravissimo incarco di così
importante Dignità, nulladimeno i Padri principali dell’Ordine, che havevano
voto nel Capitolo, considerando l’ottimo governo, che il detto P. Generale
haveva fatto ne’ sei anni trascorsi, non vollero venire all’elettione d’un nuovo
Superiore, ma tutti d’accordo, con allegrezza grande si compiacquero di
confirmare per un altro triennio il medesimo Alessandro.
5 – In questo Capitolo poi
doppo la conferma sudetta, si fecero varj Decreti per il buon governo della
Religione, così nel temporale, come nello spirituale; fra quali, uno ne fecero
spettante all’Officio Divino, che si recita in Choro, il quale, a prima faccia
sembrarà ad alcuno molto stravagante; e fu, che nel fine di qual si voglia
delle sette Hore Canoniche, si dovesse recitare la Salve Regina; la
quale poi in progresso di tempo si tralasciò dalla Religione, per conformarsi
al Rito commune della Santa Romana Chiesa.
6 – E perché in questi tempi
gli affari de’ Studj si trattavano con diligenza e premura, furono perciò
eletti da’ Padri del Deffinitorio Generale, molti Soggetti di prima Classe,
acciò dovessero essere Esaminatori de’ Studenti di qual si voglia natione
dell’Ordine. E primieramente per i Studenti delle Provincie d’Italia furono
destinati Esaminatori due gravissimi Teologici, uno Italiano, e l’altro
Francese. L’Italiano fu il Ven. Servo di Dio Maestro Prospero da Reggio di
questa nostra Provincia di Romagna per il primo anno di questo terzo Triennio;
e per il terzo anno, Maestro Guglielmo da Tolosa; del secondo anno, niuno se ne
assegna nel Decreto, il quale è questo: Studentium in aliquo Studio de
Italia pro praesenti anno, sit Examinator Ven. Magister F. Prosper de Regio;
tertio anno Ven. Magister Guillelmus de Tolosa.
7 – Il B. Giordano di Sassonia,
il quale si ritrovava presente in questo capitolo Generale, essendo giovine,
parlando delle qualità del sopramentovato Maestro F. Prospero da Reggio nel
libro 2 delle Vite de’ Frati al cap. 6 dice, che fu un Religioso molto dotto, e
di santa vita, e fra l’altre sue virtù, magnifica molto la di lui humiltà e
mansuetudine, dicendo, che se tal volta havesse detta qualche parola aspra ad
alcun Religioso, etiandio d’infima conditione, prima di andare a dormire,
voleva riconcigliarsi con quello, con chiederli anche perdono, benchè havesse
havuta ragione; e lo stesso Giordano dice, che ciò successe alcune volte a lui
medesimo, mentre fu Studente in questo Convento di S. Giacomo di Bologna, sotto
la di lui disciplina. Diamo le parole dello stesso Giordano: Item exemplum
experimentaliter cognovi de Venerabili Viro in Ordine scilicet Magistro
Prospero de Regio, Sacrae Teologiae professore, cuius Studens fui olim
Bononiae. Ipse enim hanc virtutem habuit, quod si aliquando verbum durum
dixisset alicui Fratri quantumcumque parvo, ipse semper antequam dormiret,
mittebat pro Fratre illo, et sibi humiliter petebat indulgeri. Quam etiam
humilitatem mihi indigno saepe exhibuit. Quando poi morisse questo Servo di
Dio non v’è chi lo riferisca de’ nostri Autori, che però ne habbiamo qui fatta
questa Memoria.
8 – [V,
p. 364] Quando
poi a quel P. Maestro Guglielmo da Tolosa, il quale fu eletto, insieme col Ven.
F. Prospero Esaminatore de’ Studenti d’Italia, vi sono alcuni Autori, che
pensano essere stato questi il B. Guglielmo da Tolosa, la di cui Santità e
Dottrina viene molto celebrata da Nicolò Beltrando nel suo Libro, che scrisse De
Gestis Tolosanorum; e dal P. Maestro F. Simpliciano di S. Martino
Cattedratico di Tolosa nel suo Santorale Agostiniano a car. 368 ove dice, che
morì in giorno di Venerdì a 18 di Maggio l’anno di Christo 1369 dal che
conclude il P. Errera, che Guglielmo, di cui hora trattiamo, non fu quello, che
gode il titolo di Beato; attesochè non ha del verisimile, che questo Guglielmo,
che era già Maestro nell’Ordine, quando fu eletto Esaminatore de’ Studenti
d’Italia in quest’anno del 1318 potesse prolongare la vita fino all’anno 1369,
resta dunque che diciamo, che egli fu un’Huomo dotto, e scientiato molto,
mentre un Capitolo Generale lo stimò degno d’essere costituito Esaminatore de’
Studenti d’Italia, essendo egli di diversa natione.
9 – Ma passiamo a rintracciare
gli altri Soggetti, che furono eletti per Esaminatori dell’altre Provincie, e
Regni della Religione. Due altri dunque furono li Maestri, che elesse il
sudetto Capitolo Generale, acciò dovessero esaminare que’ Giovani, che dovevano
essere promossi allo stato di studenti, così nelle Provincie dell’Alemagna,
come in quella d’Ungheria. Per le Provincie d’Alemagna fu destinato Esaminatore
Maestro Enrico di Urimaria, che non solo per la sublimità del suo sapere, ma
molto più per la sua Santità si rese famoso, et illustre in tutta la Religione,
che però fin dal tempo della sua santa Morte ha sempre goduto, e pur tut’hora
gode il titolo di Beato; di cui habbiamo noi nel suo tempo e luogo ben a lungo
da descrivere la sua Vita, e Virtù. L’altro poi che fu destinato Esaminatore de
Studenti, da promoversi nella Provincia d’Ugheria, fu Maestro F. Gabrielle da
Lucca, il quale si rese cospicuo negli occhi di tutta la Religione, se non per
altro, recisamente per questo, perché fu stimato degno da un Capitolo Generale
d’essere eletto per una Carica così grave, et importante in compagnia d’Huomini
così eminenti, come furono in vero quelli, che più sopra habbiamo nominati.
Vedasi il Romano, l’Orosco, il Panfilo, l’Errera, et altri dell’Ordine.
10 – Il sopramentovato B.
Giordano di Sassonia, il quale, come habbiamo riferito più sopra, si ritrovò
presente nel sudetto Capitolo Generale di Rimini, racconta di vantaggio, che
nel detto Capitolo furono rapresentate davanti il P. Generale, et i Padri tutti
del Diffinitorio alcune calunniose querele contro il Vener. Servo di Dio il B.
Simone da Todi, il quale era absente, da certi suoi Emoli; e non vi essendo
alcuno, che in sua difesa parlasse, patì perciò quel Santo Religioso alcuni
aggravi e travagli, ma egli che tutto era conformato col divino Volere, ogni
cosa con ammirabile patienza sofferse per il suo Buon Giesù, che tante pene e
tormenti pati per esso lui, anzi pure per tutto il Genere humano; ma alla
maniera de’ anti Apostoli godeva di patire contumelie e dishonori per amore
dello stesso Redentore, che tanti anch’egli ne tollerò nel tempo della sua
attrocissima Passione.
11 – Ritroviamo parimente, che
in quest’anno alli 22 di Marzo la Communità di Siena, fece un pietoso Decreto a
beneficio del picciolo Convento di Montecchio, tre sole miglia distante dalla
detta Città; il contenuto poi di questo benefico Decreto fu, che ogni anno in
perpetuo si dovessero sborsare del publico Errario al detto Monistero, dieci
lire della moneta corrente. Et in effetto il detto annuo Censo, li fu
puntualmente pagato per lo [V, p. 365] spatio
di 32 anni, ma poi stette il Convento sudetto 84 anni senza più potere
riscuotere un quattrino, o fosse ciò per la negligenza degli Ufficiali del
Convento, o pure (et ha più del verisimile) per la malignità de’ Ministri del
Publico; hor basta, communque fosse all’hora, gli è certo, che in altro tempo
poi si venne ad un’honesto accordo, del quale, a Dio piacendo, daremo nel suo
tempo piena contezza. Vedasi l’Errera nel Tomo 2 del suo Alfabeto a carte 119.
12 – Successe in quest’anno un
gran Miracolo operato da Dio, per i meriti grandi del glorioso S. Nicola da
Tolentino, nella Città di Fermo (come chiaramente costa nel Processo della Canonizatione
di detto Santo) e fu la Risurrettione maravigliosa d’una Giovinetta: il caso
poi nella seguente guisa passò. Essendosi gravissimamente infermata una
Giovine, per nome Filippina, figlia di Barache da Fermo, fu subito dalla di lei
Madre caldamente raccomandata a S. Nicola, facendo ancora un certo suo Voto; ma
ecco, che aggravandosi maggiormente la febre, la povera Figliuola nella
seguente notte se né morì, con tanto dolore e pianto della povera Madre, che
non si puole con humana lingua ridire; ben’è vero che nulla d’animo perdendosi,
tornò di nuovo a raccomandarsi con gran fede al Santo. Et ecco, che mentre
l’afflitta Donna, stanca per tanto piangere se ne stava nel letto riposando,
gli apparve il Santo, il quale confortandola, le disse: Buona Donna non
piangere, perché la tua Figlia non è morta, ma viva. Svegliatasi indi a poco la
Donna, balzò di letto, e ratta si portò ove giaceva la Figlia, ma trovatala
morta, come prima, rinovò con gran dolore il tralasciato pianto. Ma quando poi
vennero i Sacerdoti, fra quali vi erano cinque Frati nostri, per accompagnare
il Cadavere della Figlia sudetta alla Chiesa, e che di fatto la vide portare
fuori della Casa, all’hora, come forsenata, dando affatto nelle smanie, con
lingua disperata, e sagrilega disse: Ah S. Nicola traditore, tu m’hai
ingannata, imperciochè questa notte m’hai detto, che mia Figlia non era morta,
ma viva, hor ecco, che io la vedo portar morta alla Sepoltura, e mai più non
spero di poterla vedere. Hor mentre tali sciocchezze diceva la disperata Donna,
ecco, che di repente la morta Figlia rissuscitando, si alzò a sedere su la
Barra, e sgridando la Madre, disse: Tacete, o mia Madre, perché non sono
altrimente morta, ma viva. Et in questo, posato in terra il Feretro, viva e
sana se né tornò la buona Filippina, nella sua Casa, dando gloria insieme, con
la pentita Madre, al grande Iddio, et al suo glorioso Servo S. Nicola. Visse
poi questa Giovinetta longo tempo. Prese Marito e partorì molti figlioliuoli.
Tanto per appunto si legge nel sopracitato Processo della Canonizattione di S.
Nicola, e lo stesso riferiscono gli Autori più classici della Vita del Santo,
benchè non assegnino l’anno preciso, in cui successe un così stupendo Miracolo.
13 – Con tale occasione mi torna
quivi in acconcio di riferire un altro Miracolo fors’anche più maraviglioso di
questo, il quale viene riferito da F. Antonio Dulciati da Firenze, Religioso
non meno cospicuo per la Santità, che per la Dottrina. Questi dunque nella
Vita, che scrisse di questo Santo, qual’anche diede alle Stampe in Firenze
nell’anno di Christo 1515 dice, che nella Città di Granoble in Francia, vi fu
già un Gentilhuomo molto timorato di Dio, il quale tutto che fosse accasato di
molti anni con una Gentildonna sua pari, nulladimeno mai haveva potuto havere di
quella alcun figlio, o figlia, del che ne sentiva molto ramarico. Hor mentre un
giorno dolevasi costui con un Religioso Agostiniano suo amico, questi, com’era
molto divoto di S. Nicola, esortò il Gentilhuomo a raccomandarsi al detto
Santo, [V,
p. 366] con far anche qualche
voto, perché si rendeva egli sicuro, che sarebbe rimasto consolato. Accettò il
Gentilhuomo il buon consiglio del Religioso, e con Voto giurato promise a S.
Nicola, che se gl’impetrava da Dio un figlio maschio, gli haverebbe imposto il nome
di Nicola, haverebbe solennizata la di lui Festa, et haverebbe nel detto giorno
dato da mangiare nelle sua Casa a molti Poveri. Fatto questo Voto, subito il
Santo gli ottenne da Dio quanto bramava, perochè la sudetta Gentildonna subito
concepì, et a suo tempo partorì un bellissimo Figlio, a cui il Padre nel
Battesimo, conforme la promessa, gl’impose il nome di Nicola. Crebbe fra tanto
il Figlio fino all’età di due anni compiti, et il Padre ogni anno nella Festa
del Santo puntualmente osservò quanto promesso gli haveva. Portò finalmente il
caso, che essendo il Fanciullo nella sudetta età di due anni, nel giorno
appunto Festivo del Santo, mentre il Padre se n’era andato alla nostra Chiesa
con tutta la Famiglia civile, per ascoltare la Messa, et i Divini Officij, et
il resto della Famiglia attendeva in Casa a preparare il Convito, che si doveva
fare a molti Parenti del Padrone, come ad un buon numero di Poveri; ecco, che
il sudetto Fanciullo essendo stato lasciato da quella Fante, che n’haveva cura,
libero per la Casa, non so, se per gran disgratia, o per invidia del Demonio,
essendosi accostato ad un gran fuoco, ov’era un gran Caldaio, cadde miseramente
dentro di quello, non essendosi di ciò aveduto alcuno. Essendo poi tornati a
Casa i Padroni, né si vedendo il picciolo Nicola in alcun luogo della Casa,
rimasero oltremodo storditi. Ma volendo il Cuoco cavare la Carne dall’accennato
Caldaio, ecco, che cavo, insieme quella, l’innocente Fanciullo cotto e
disfsatto. Quali restassero a così horribile spettacolo il di lui Padre e
Madre, non è di questa penna il descriverlo; basta dire, che la Madre si diede
in cotal guisa in preda alla disperatione, che se non fosse stata tenuta da’
Parenti, si sarebbe gettata da una finestra a basso. Il Padre fu più prudente,
imperciochè, se bene si sentiva scoppiare il cuore, per così accerbo caso,
nulladimeno stupido taceva, e solo rendeva gratie a Dio d’ogni cosa. Fra tanto,
ritiratosi nella sua Camera, s’inginocchiò davanti un’Immagine di S. Nicola, e
li disse: Ah S. Nicola, quanto sarebbe stato meglio, che voi non mi haveste
impetrato da Dio questo Figlio, mentre haveva da fare un fine così infelice;
son ben certo però, che voi siete così potente appresso il Signor Dio, che
potete se volete far ritornare in vita il mio diletto Figlio. Hor mentre, il
buon Gentilhuomo, con gran fede, stava così parlando a S. Nicola, è bussato
alla Porta; si affaccia un Servo, e vede, che è un Frate Agostiniano, il quale
dice di voler parlare al Padrone; a cui risponde il Servo, che il Padrone è impedito,
e non da audienza a veruno. Torna a bussare il Religioso, e fa di nuovo istanza
di voler parlare al Gentilhuomo di cosa molto importante; il che essendoli
riferito, ordina che subito sia introdotto. Giunge il Religioso nella Sala, e
vedendo non solo il Padrone, ma tutta la Famiglia, et anche i Convitati ripieni
di mestitia e di dolore, ne chiede la cagione, la quale essendoli stata ben’a
minuto narrata, con allegro sembiante, rivolto al Gentilhuomo, disse: Non
diffidate punto della Divina Misericordia, e vedrete maraviglie. Poscia fatti
portare i pezzi del morto Fanciullo sopra d’una Mensa, andò egli accommodando
ne’ loro luoghi i pezzi di quel picciolo Cadavere; indi a Circostanti rivolto
disse: Inginocchiamoci, e facciamo Oratione a Dio; il che fatto, s’alza in
piedi il Servo di Dio, e dando la Benedittione all’estinto Fanciullo, li
comandò, che nel nome di Dio tornasse in vita; laonde quegli subito vivo,
bello, et allegro [V, p. 367] si
alzò in piedi, et il Religioso al Padre et alla Madre, come a tutti i
circostanti rivolto, disse: rendete gratie a Dio, e lodate la sua divina Bontà;
e ciò detto subito disparve; lande tutti conobbero, che quello era stato il
glorioso Padre S. Nicola; che però ripieni d’incoparabile allegrezza resero le
dovute gratie a Dio et al loro Santo Avocato Nicola.
14 – A questi due famosi e
stupendi Miracoli, un altro mi giova di aggiungere, quale riferisce lo stesso
P. Dulciati, essere accaduto nel suo tempo nella nobil Terra d’Empoli, dieci
miglia distante da Firenze, il quale non è punto inferiore alli due già
narrati. Dice dunque, che essendo insorta nella detta Terra, anzi pure quasi in
tutta la Toscana una gran Carestia, si ritrovò nel detto luogo una Donna Vedova
e Giovane di qualche bellezza, la quale haveva tre Figli piccioli, et era molto
povera, onde non sapeva come fare per sostentare se stessa, et i suoi
Figliolini in tempo di tanta Carestia; non si disperava però, anzi con gran
fede raccomandavasi continuamente a Dio benedetto, et al glorioso S. Nicola, di
cui era grandemente divota. Un Huomo ricco fra tanto di quella Terra, sapendo
molto bene il gran bisogno in cui si ritrovava quella povera Vedova, hebbe
ardire d’offerirli il necessario soccorso, così per essa, come per i suoi
Figli, pur che ella si compiacesse di amarlo, e di sodisfare alle di lui impure
voglie. Sprezzò la Donna, che era molto timorata di Dio, l’infame offerta di
quel mal’Huomo, protestandosi, che più tosto voleva morire di fame con i suoi
Figli, che già mai offendere la divina Bontà. Intanto la Carestia non cessava,
e la fame cresceva, a segno, che la povera Vedova vide morire uno de Figli su
gli occhi suoi; per la qual cosa, stordita, non sapeva hoggimai più che partito
si prendere, e molto temeva, che l’estrema necessità non la sforzasse a far quello,
che tanto abborriva; laonde, vedendo morto quel Figlio, e scorgendo, che gli
altri due, poco più potevano stare anch’essi a terminare le vite loro, tutta
ripiena di vera fede, si prostrò davanti un’Immagine di S. Nicola, e con un
diluvio di lagrime, li raccomandò, come sempre faceva, la sua incredibile
necessità, e specialmente, che la proteggesse di sorte, che non havesse mai ad
offendere Iddio, né la sua purità. Mentre stava così fervorosamente orando,
ecco, che sente picchiare alla Porta della sua Casa, e dandosi a credere, che
fosse l’Insidiatore della sua pudicitia, stava fra le dua, se aprire li
dovesse, o no; vero è, che considerando l’estremo suo bisogno, e de’ suoi
Figli, si sentiva molto tentata ad acconsentirli per non morire, benchè ella
mai prestasse, anzi mai ammettesse un così laido consenso; non fidandosi però
di se stessa, e volendo pur vedere chi bussava, tornandosi a raccomandare a S.
Nicola, prese la di lui Immagine, e postosela sul petto, come uno scudo, tutta
ripiena di santo coraggio, alla Porta s’incaminò; et havendola aperta, trovò,
che chi bussato haveva, era un Religioso di S. Agostino, il quale subito disse
alla Donna: Figliuola, io ho saputo il gran bisogno nel quale vi ritrovate
insieme con i vostri Figli, che però vi ho portato un poco di soccorso; et in
questo dandoli una Sacchetta ripiena di Pane, li disse: Prendete questa
Sacchetta, e cibatevi con i vostri Figli del Pane che vi sta dentro, e non
habbiate timore, perché Iddio benedetto non vi lasciarà mancare alcuna cosa. La
Donna dunque tutta lieta, prese la Sacchetta, l’attaccò dietro la Porta; poscia
rivolta per ringratiare il Religioso, più non lo vide; laonde conobbe
chiaramente, che il Religioso, che soccorsa l’haveva in tempo di tanta sua
necessità, era stato il suo gran Protettore S. Nicola. Ma non finiscono qui l’alte
maraviglie divine, ma maggiormente si avanzano; imperciochè siegue a narrare [V, p. 368] il citato Autore, che essendo entrata la buona
Vedova in Casa, diede subito da mangiare alli due affammati Figliuolini, e
mangiò ancor essa; poscia, ispirata da Dio, prese un pezzo di quel Pane, e
l’accostò alla bocca dell’altro Figlio, il quale giaceva morto sul letto; et
ecco (oh Miracolo veramente stupendo) che al tocco di quel prodigioso Pane,
tornò in vita il Fanciullo, e cominciò con grande avidità a mangiare insieme
con gli altri suoi Fratelli; rendendo fra tanto la divota Donna, così a Dio,
come a S. Nicola, le dovute gratie. Havendo poi indi a poco cavato tutto il
Pane della Sacchetta, trovò altresì nel fondo di quella una buona somma di
danari, li quali bastarono poi per provedere a’ bisogni della sua Casa, per
tutto il tempo, che durò quell’horribile Carestia. Molti altri Casi simili
maravigliosi potrei quivi riferire, quali mi riserbo di narrare ne’ tempi
precisi, ne’ quali avennero.
15 - Ci ricordiamo in fine di haver lasciato scritto
sotto l’anno di Christo 1201, nel Tomo 4 di questi nostri Secoli Agostiniani al
num. 15, che in quel tempo hebbe principio l’Ordine de’ Cavalieri di S. Giorgio
d’Alfama, il quale poi indi a pochi anni, prima del gran Concilio Lateranense,
fu dal Pontefice Innocenzo III sotto la Regola del nostro P. S. Agostino
confirmato; sotto della quale, havendo generosamente militato ben 117 anni,
cioè, fino a questo presente del 1318, prese poi in questo tempo (qual se ne
fosse la cagione) risolutione, e lo mandò ad effetto, di unirsi ad un altro
Ordine Cavalleresco, chiamato di Montesia, il quale, come militava sotto la
Regola del P. S. Benedetto, e li Statuti Cisterciensi, cosi fu necessario, che
il mentovato Ordine d’Alfama lasciasse l’antica Regola Agostiniana, e si
sottoponesse a quella, che osservava l’Ordine di Montesia. Vedasi Agostino
Barbosa nelle sue Apostoliche Decisioni alla Colletanea 310, et il nostro Padre
Errera nella sua Risposta Pacifica a carte 243.