Tomo V
Anni
di Christo 1310 - della Religione 924
1 – [V,
p. 301]
Habbiamo in quest’anno del 1310 la funesta entrata d’Enrico VII Imperatore in
Italia; io dissi funesta, perché veramente egli con la venuta sua funestò quasi
tutto lo stato universale delle Città d’Italia, e specialmente nelle parti di
Lombardia, e di Toscana, e ben fu presagita la di lui infausta venuta da una
fiamma di fuoco Meterologica, che nell’anno antecedente si vidde volare per
aria dalla parte Aquillonare verso la Meridionale, come scrive Gio. Villani nel
lib. 8 cap. 109, a car 325.
2 – Ma se infausta fu la venuta di questo Principe in
Italia, fu ben felice, e fortunata la vittoria, che ottennero de’ Saracini, i
valorosi Cavalieri Hospitatalarj, li quali appunto con gran coraggio combattendo
con quelli, li scacciarono dalla famosa Città, et Isola di Rodi; dalla quale
poi cominciaronsi a denominare per l’avenire i Cavalieri di Rodi, e la
mantenero poi con invitto valore contro le forze de’ medesimi Saracini, e
Turchi, per lo spatio di ben 212 anni.
3 – Furono in quest’anno chiamati dal grand’Iddio, per
mezzo d’una beata morte, al godimento dell’eterne delitie di Paradiso, due gran
Servi di Dio di nostra Santa Religione, cioè, il Beato Agostino Novello, e la
Beata Christiana del Castello di S. Croce di Vald’Arno di sotto della Diocesi
di Lucca, ma del Dominio Fiorentino. Ma perché il B. Agostino morì a 4 di
Maggio, e la Beata Christiana alli 4 di Gennaio, tesseremo dunque in primo
luogo la Vita di questa Santa vergine, e poi appresso quella del B. Agostino.
4 – Nacque dunque questa gran Serva di Dio nel
sopramentovato Castello l’anno di nostra salute 1240 allo srivere del nostro
Errera; li suoi Parenti furono di bassa Stirpe, ma però buoni Christiani; nel
Battesimo li fu imposto il nome di Oringa, che in linguaggio Greco significa lo
stesso, che Valle illustre, e sublime; e ben diede poi ella a dividere con la
sua santa vita, che se bene ella haveva havuto principio nella bassa Valle de’
suoi humili natali, fu poi ella sublimata dalle sue eroiche virtù alle più
eminenti altezze del Paradiso. Da fanciulla cominciò di tal sorte a dedicarsi
tutta al divino, e santo servitio, che quasi del continuo occupavasi nella
contemplatione delle celesti cose, e specialmente meditava la Passione dolorosa
del suo Signore, passando in questa guisa quella tenera età orando, e
digiunando quasi del continuo, e molte altre asprezze facendo, che ben davano a
dividere a chiunque osservava attentamente il suo modo di vivere, dover ella
riuscire una gran Santa. Fu poi così pura, e casta in quella sua fanciullesca
età, che anche prima, che imparasse a conoscere l’humana malitia, e
specialmente l’impurità, di tal sorte, l’abborriva, che se tal’hora
havesse per accidente udita qualche
parola meno che honesta, li si rivoltava lo stomaco a segno, che gli eccitava
il vomito, e ben spesso li cagionava la febre.
5 – Fatta più grande, fu da’ suoi fratelli destinata a
condurre i Bovi al pascolo, et haver cura di quelli; e se bene essa più che di
buona voglia impiegavasi in quel basso ufficio, nulladimeno, benchè fosse alla
campagna, attendeva con tutto lo spirito, come fosse stata in un Monistero, [V, p. 302]
alle sue consuete fervorose orationi, et altissime contemplationi, e per poter
ciò fare con maggior quiete, comandava a’ Bovi, che non uscissero da quel
ristretto, che ella prefisso gli haveva, e non andassero in verun conto a
danneggiare i Campi altrui, et essi prontamente l’ubbidivano.
6 - Giunta poscia all’età nubile, come era di molta
bellezza dotata, così da molti suoi pari fu richiesta per isposa a’ Fratelli,
li quali havendo finalmente risoluto di maritarla con uno di quelli, gli ne
fecero motto, ma essa, che già si era
sposata con Giesù Christo, procurò con varie scuse, di scansare il mondano
accoppiamento; laonde li fratelli molte volte con molta asprezza la sgridarono, aggiungendovi anche tal’hora
qualche percossa; ma ella per amore del suo Celeste Sposo, il tutto con
incredibile patienza tolerava. Ma essendosi finalmente accorta, che in ogni
modo li sudetti Fratelli volevano, che ella prendesse quello Sposo, che
destinato gli havevano, prese risolutione di fuggirsene dalla paterna Casa,
dandosi fermamente a credere, che il suo Divino Amante l’haverebbe in ogni
luogo difesa da ogni male. Così dunque postasi in camino, giunse al Fiume
Gusciana, che era pieno di acqua, ma essa nulla temendo, fattosi il segno della
S. Croce, lo vallicò prestamente senza punto bagnarsi, il che altre volte
ancora fatto haveva, come notano il Razzi, et il Curtio; ma essendo poi passata
più avanti, e giunta verso la sera ad un nobile Ospitale, che d’Altopasso si
chiama, ecco, che vede venire contro di se un teribile Cavalliere sopra di un
feroce Cavallo, il quale con la lancia alla mano mostrava di volerla sforzare a
far ritorno a Casa (era questi Satanasso) ma ecco, che mentre la buona Oringa
stava in questo travaglioso cimento, vidde venire da un altro lato due
cavalieri di venerabile aspetto vestiti con bianche sopravesti, li quali
scacciarono ben tosto l’infernale Nemico; laonde essa vedendosi libera da quel
travaglio uscita fuori di strada andò a prendere riposo in un’ameno, e fiorito
Prato, poco tratto dalla strada lontano; et ecco, che mentre stava in questa
guisa sedendo, venne un Lepre, e come fosse stato un’amorevole Cagnolino,
cominciò a vezzeggiarla, e con essa lei stette così facendo tutto il rimanente
della notte; la mattina poi di buon’hora volendo proseguire Oringa il suo
viaggio alla volta di Lucca, né sapendo più rintracciare la strada, li fù ben
tosto da quella cortese bestiola
mostrata, dileguandosi poi, tantosto, che l’hebbe ritrovata, dagli occhi suoi.
7 - Giunta finalmente in quella
nobile Città, volle Iddio, che subito ritrovasse un Cittadino honorato, e da
bene, il quale la prese per Serva nella sua Casa, a cui da principio
apertamente disse, che niun stipendio da esso pretendeva, ma solo si contentava
del semplice vitto, e vestito da poverella sua pari. In questa Casa stette per
alcun tratto di tempo, e visse in quella con tanta austerezza di vita, e con
tali digiuni, et astinenze, che faceva inhoridire il Padrone, e tutti di Casa,
attesochè stava li giorni intieri, che non gustava cibo di sorte alcuna, e se
pure tal’hora verso la sera era forzata da’ Padroni a mangiare qualche cosa,
questa era in così poca quantità, che non giungeva alla grandezza di un pomo
ordinario. Si disciplinava giornalmente, dormiva su la nuda terra, se ben per
poco spatio di tempo, perochè la maggior parte della notte consumava nella
santa oratione, e nella pia meditatione della Passione di Christo, e degli
altri altri più sublimi Misteri della nostra Santa Fede; e se bene il Demonio
più volte con horribili apparitioni tentò di frastornarla da quel santo
esercitio, nulla mai operò; anzi che una volta essendoli apparito in forma d’un
Mostro incredibilmente terribile e formidabile, con una vasta bocca aperta, [V, p. 303]
quasi che con quella minacciasse di volerla divorare, ella non così tosto hebbe
ricorso all’Arcangelo S. Michele suo gran Protettore, quando subito comparendo,
scacciò l’infame Mostro dell’Inferno, e riempì di celeste consolatione la sua
divota Oringa. Occorse anche più volte in questa Casa, che essendo venuti a
favellare con essa Huomini dottissimi, et havendoli fatte molte interrogationi
sottili, li diede ella sempre risposte così saggie e profonde, che stimarono
certamente que’ valent’huomini haver ella ricevuta la Scienza infusa da Dio.
8 - Ma ecco, che mentre una
volta ella stava orando, li fece intendere Iddio, che dovesse mutar paese, per
la qual cosa havendo essa con molta humiltà palesato il Divino Volere al suo
Padrone, questi stringendosi nelle spalle, con le lagrime su gli occhi, li
diede la bramata licenza. Volle fra tanto Iddio, che la sua Serva Oringa
partendosi da questa Casa, ritrovasse una buona occasione d’incamminarsi
altrove; e fu di avenirsi in alcune buone Donne, le quali in habito di
pellegrine se n’andavano alla volta di Puglia per visitare la sagra Grotta
dedicata al nome del suo glorioso Protettore S. Michele nel Monte Gargano;
fortuna per lei molto singolare, che però havendo pregate le sudette Donne a
volerla ammettere nella loro compagnia, ne fu subito compiacciuta; hor mentre
dunque caminano di buon passo verso il detto Monte, ecco che un tal giorno
verso la sera avenutesi in certi huomini, li chiesero qual fosse la buona
strada, che conduceva al più vicino alloggio, quegli che erano huomini di male
affare, gl’insegnarono una strada, che conduceva in un folto Bosco, dissegnando
poi i malvaggi, giunte che fossero in quello, di assalirle, e di privarle della
robba, e della pudicitia; hor mentre le semplici Donne si avicinano al Bosco,
ecco che di repente gli apparisce l’Arcangelo S. Michele vestito con una Dalmatica
da Diacono, e li dice, Figlie, voi sete state ingannate da que’ malvaggi, li
quali dissegnavano di assassinarvi nella robba e nell’honore; ma non temete
punto, perché io vi difenderò, e vi accompagnerò fin su la buona strada, et ad
un buono alloggiamento, e così precedendo esso, lo seguirono le buone Donne, e
prima di giungere alla strada maestra arrivarono ad un limpido Fonte, ove
fattele fermare li pose davanti un bellissimo Vaso ripieno di pretiosissimi
Cibi, volle con quelli si ristorassero; erano que’ Cibi di tal conditione, che
mentre li mangiavano, pareva loro, che havessero il sapore di tutto ciò, che
sapevano esse bramare. Havendole poi condotte ad una Torre, che era su la
publica strada, ove parimente trovarono un commodo, e sicuro alloggiamento,
dagli occhi loro finalmente disparve, lasciandole ripiene di celeste
consolatione; e non fu questa l’ultima volta, che gli apparve in quel beato
camino l’Arcangelo Michele, ma molte, e molt’altre volte, prima di giungere al
sagro Monte, fu favorita la Santa con la sua gloriosa presenza.
9 - Essendo finalmente arrivate
le divote Pellegrine all’Antro Celeste del suo gran Protettore S. Michele, et
havendo per alcuni giorni a tutta voglia loro pienamente sodisfatto alla loro
fervorosa divotione, diedero alla perfine volta verso l’Alma Città di Roma, per
visitare li famosi Santuarj, che si conservano nelle sagrosante Basiliche di
quella gran Metropoli dell’Universo. Colà dunque arrivate cominciarono a
visitare le sudette Chiese con gran consolatione, e contento delle loro Anime
innocenti, e specialmente la buona Oringa in ciascheduna di quelle Sante
Basiliche, godeva favori celesti, che si rendono inesplicabili per infino a gli
Angeli istessi; il che vedendo il Demonio, non si può credere di quanta invidia
schiattasse, che però nella Basilica di S. Pietro si studiò d’inquietarla, e
molestarla con varj spettri, et horrende larve, che a tale effetto assunse, [V, p. 304]
ma vani riuscirono tutti que’ suoi diabolici tentativi, perché la buona Vergine
Oringa, che molto bene li conosceva, non ne fece alcun caso.
10 - Allettata fra tanto la Santa
Vergine Oringa da quelle santi divotioni di Roma, e desiderando perciò di
restare per qualche tempo in quella Santa Città, abboccatasi per sua buona
sorte con un Venerabile Religioso dell’Ordine de’ Minori, per nome F. Monaldo,
li palesò ella il suo divoto pensiero; per la qual cosa l’accommodò egli ben
tosto in casa d’una nobilissima Romana chiamata Margherita, la quale era
vedova, e bramava per appunto di havere in sua compagnia una Donna divota, e
spirituale, come appunto era la nostra Oringa. La prese dunque subito di buona
voglia, e fattala vestire, benchè contro sua voglia, di honorevoli vesti, quali
si dovevano alla conditione della sua casa, non passarono molti giorni, che la
buona Oringa, vedendo una Poverella mezza spogliata, la rivestì con le sue
Vesti, tornando a vestirsi con le sue già deposte.
11 - In tanto havendo la di lei
Padrona molto ben considerata la santa vita di Oringa, e le di lei
austerrissime penitenze, le si affettionò di tal sorte, che non solo non
comportava di essere servita da quella, ma più tosto essa voleva servir lei.
Laonde, essendosi ben presto sparsa la fama della di lei santità per tutta
quella gran Città, cominciarono le divote persone a chiamarla, non più col nome
di Oringa, ma di Christiana. In questo mentre desiderose ambedue di passare in
Assisi a visitare le Ven. reliquie del Serafico P. S. Francesco, verso quella
volta s’iviarono; e colà giunte, mentre stavano divotamente orando all’Altare
del Santo, fu tostamente Christiana rapita in Estasi, nel quale parevali di
essere portata nella sua Patria, ove vidde una picciola Casa fondata in un sito
vile, et abietto, e parevali in oltre di vedere in essa Casa alcune Religiose,
le quali erano da essa governate, e rette; il che poi puntualmente si averò,
quando ben presto ritornata alla Patria, li fu da’ suoi Compatriotti fondato
nello stesso luogo, che veduto haveva nel detto Estasi, un picciolo Monistero,
di cui essa fu la prima Superiora.
12 - Tornata ne’ suoi sensi, e
considerando la detta Visione molto attentamente, portò il caso, che essendo
andata a visitare un suo Paesano, che era Giudice in un Luogo ivi vicino (come
dice il Razzi, o pure nella stessa Città d’Assisi, come scrive il nostro Curtio,
il che io stimo più certo) li palesò ella con semplicità di cuore la narrata
Visione; ma esso, che tutto era di carne, poco caso facendo di questi
spirituali racconti, et essendosi molto compiaciuto della vaga bellezza di
Christiana, con audacia infernale, non si arrossì di palesarsi l’impurità delle
brame libidinose, che verso di lei haveva; per la qual cosa, stomacata la
Santa, oltre ogni credere, doppo haverlo con efficaci parole ripreso e
corretto, tostamente dagli occhi suoi libidinosi involossi. Ma esso non perciò
si ristette dall’abbominevole impresa, anzi che riccorrendo a gl’Incanti,
procurò col mezzo de’ Demonj di conseguire il suo diabolico intento; ma
ricusarono li Demonj istessi di voler ciò fare, confessando apertamente di non
havere alcuna potestà sopra di quella Beata Verginella, attesochè stava alla di
lei custodia e guardia quell’Angelo medesimo, che già custodì ne’ Secoli andati
la Santa Vergine Cecilia; laonde restò quell’impuro totalmente deluso dalle sue
empie speranze, et essa consolata.
13 – Fra tanto il suo Celeste sposo, che dall’alto Cielo
era stato spettatore di questa horribile battaglia, e della vittoria gloriosa,
che riportata ne haveva la sua diletta Sposa Christiana, volendola perciò
premiare, la rapì con un’Estasi dolcissimo al Parsdiso, ove posta da gli Angeli
nel cospetto dell’Altissimo Redentore, lo vidde così maestoso, e risplendente, [V, p. 305] che la di lui faccia infinitamente
superava i splendori del Sole, et appresso di lui stava a sedere nella destra
parte la Beatissima Vergine vestita di una veste candissima così vaga, e così
bella anch’ella, che vinceva di molto la bellezza di tutti gli Angeli unita
insieme. Vidde poi nello stesso tempo tutti i Chori degli Angeli, e tutte le
Schiere de’ Santi, che ad una ad una vennero ad adorare la gran Madre di Dio,
facendo gran festa, et allegrezza con essa lei; poscia girando per l’amene
contrade di quella Patria gloriosa, tornarono più, e più volte a fare la
medesima adoratione accompagnata dagl’istessi canti, et allegrezze di prima; il
che havendo pur anche fatto la gloriosa Christiana, alla perfine le disse il
suo Divino Amante: Non ti maravigliare Figliuola, se tu vedi l’Angeliche
Gerarchie far tanta festa, et allegrezza, et honorare con tante adorationi la
mia gran Madre Maria, e se anche la vedi di quella bianca Veste vestita;
imperciochè tu devi sapere, che hoggi appunto si celebra in Paradiso la di lei
Immacolata Concettione; et io hora ti dico, che nel punto della tua morte
verrai a godere per tutta l’eternità questa beata Gloria, che hora di passaggio
vagheggi.
14 - Hor mentre Santa Verginella stava con Bocca aperta
aperta per rendere le dovute gratie al suo benegnissimo Signore, che così
altamente favorita l’haveva, si vidde all’improviso posta in ginocchioni, ove
prima stava orando, non senza gran dolore, et afflittione dell’Anima sua, per
vedersi in un momento priva di quell’immenso gaudio, che pur poco dianzi haveva
nel Paradiso goduto. Tre gran segni però della Celeste Gloria portò seco in
terra la felice Christiana, cioè, una pretiosissima fragranza nelle nari, di
que’ fiori eterni de beati Giardini del Cielo, quale poi per longo tempo portò;
e nell’orecchie ritenne per nove mesi continui gli armonici suoni, e canti degli Angeli, e de’ Santi,
che parevali di sentirli continuamente, tutto che fosse in terra; e per terzo,
li rimase nel corpo un’agilità così grande, che parevali di essere fuori del
Corpo, laonde ben’è sovente toccavasi la carne per chiarirsi di questa verità.
Memore poi di questa Celeste Visione, quando nella sua Patria si fece nostra
Religiosa Agostiniana, volle dedicare il suo Monistero alla gran Madre di Dio,
sotto il titolo di S. Maria Novella, ordinando prima di ogni altra cosa, che
ogn’anno si dovesse celebrare con solenne pompa la Festa dell’Immacolata
Concettione di Maria sempre Vergine.
15 – Havendo già terminate le loro divotioni le due sante
Pellegrine Christiana e Margherita, ne’ Santuarj di Assisi, e stando già nella
Chiesa, ove gisce il Beato Corpo del Serafico Padre S. Francesco per prendere
da esso l’ultimo congedo; accade ivi un caso molto notabile, e fu, che essendo
entrati in quel punto a refugio due Banditi, questi subito si posero a dormire,
ma stando un Sacerdote per alzare l’Ostia consagrata, Christiana svegliò que’
due facinorosi, e gli esortò ad adorare con riverenza il loro Sovrano Creatore,
che stava nascosto sotto quegli accidenti di Pane; ubbidì subito uno di loro,
ma l’altro niun caso facendo del caritativo avertimento della Santa Vergine,
non si volle scomodare. Ma ecco, che per divino volere, havendo il Podestà
havuto notitia di costoro, mandò tostamente una buona masnada de’ suoi
Satelliti, e li fece far prigioni, con pensiero di condannarli alla morte, come
meritavano. Christiana intanto, mossa a pietà di quel misero, che si era
dimostrato riverente all’Ostia sagrosanta, caldamente pregò il suo Signore ad
havere pietà di quell’infelice, et ecco, che incontanente quel buon’huomo,
avalorato dal divino agiuto, per i meriti di Christiana, facendo forza a
Satelliti, con lasciare il Mantello, libero dalle mani loro fuggì, [V, p. 306]
e passato velocemente nel Mosistero di S. Francesco, fecesi Religioso
dell’Ordine suo, visse, e morì con grand’esempio di buon Religioso; l’altro,
che così irriverente erasi dimostrato, lasciò miseramente il capo sotto d’una
mannaia.
16 – Prima però, che facessero le buone Serve di Dio
ritorno a Roma determinarono di portarsi a Castel Fiorentino per honorare, et
adorare insieme le Venerande Reliquie della B. Verdiana (quale noi sotto l’anno
di Christo 1242 con probabili fondamenti stimassimo essere stata Religiosa del
nostro sagro Istituto) il che havendo posto in esecutione, et havendo
sodisfatto alla loro divotione, accade, che Margherita intendesse, che il
Castello di S. Croce, ove era nata Christiana, non era molto d’indi lontano, li
venne per tanto ardentissima voglia di passare a vedere quel felice luogo, che
haveva prodotta per il Cielo una Vergine così Santa, come era Christiana, e se
bene la buona Serva di Dio fece quanto puotè, e quanto seppe per frastornarla
da simile deliberatione, nulladimeno, come vedesse la Vener. Vedova costante
nel suo pensiero, si arrese, e così verso quella volta s’incaminarono, ove
giunte fermaronsi per alcuni giorni; doppo de’ quali volendo partire di ritorno
a Roma, nell’atto del partirsi, si sentirono fermare le piante di tal sorte sul
terreno, che come fossero state in quello inchiodate, non puotero movere un
solo passo, il che più volte occorse, mentre persistettero in quel pensiero; ma
se poi volevano moversi per il detto Castello con altra intentione, lo facevano
con ogni facilità. Per la qual cosa intendendo molto bene Christiana, che il
Signor Dio, non voleva, che ella più da quel luogo si partisse, si arrese di
buona voglia al beneplacito divino, restando nella sua Patria, e la divota
Vedova Margherita, fece ritorno alla nobilissima Città di Roma.
17 - Essendo dunque
rimasta, per divino volere la Santa Vergine Christiana nella sua Patria
di Santa Croce di Vald’Arno, si risolse di fondare un Monistero in quel sito,
che altre volte gli era stato in visione mostrato da Dio; et in effetto havendo
richiesto quel sito al Magistrato del detto Castello, et ottenutolo, diede
principio al sudetto Convento; e non valsero punto le autorevoli, e gagliarde
oppositioni, e contrasti, che li fecero, il Curato di S. Vito, sotto della cui
Parocchia si fondava il Convento, et il Vescovo di Lucca, nella cui Diocesi era
il Castello di Santa Croce; imperochè questo si ristette dalla sua oppositione,
atterrito dalle minacce, che li fece la Madre di Dio, a cui dovevasi consagrare
quel nuovo Monistero, essendoli apparita ben tre volte a tale effetto. L’altro
poi, cioè il Paroco, che si dimostrava implacabile nemico della S. Vergine, e
del suo Monistero, si rese per le calde preghiera offerte a Dio, et alla B.
Vergine della Serva di Dio, e dalle sue Suore, di tal sorte placato, che di
nemico, divenne Protettore, non solo della detta Fondatione, ma anche del
Convento fin ch’ei visse. Havendolo dunque ridotto, con l’agiuto de’ buoni
Fedeli, così della sua Patria, come d’altri luoghi circonvicini, a sufficiente
perfettione, vi entrò ella in compagnia d’alcune altre divote Vergini,
prendendo nello stesso tempo l’Habito e la Regola del P. S. Agostino; e se
bene, come Fondatrice del detto Luogo doveva essere Superiora dell’altre,
nulladimeno non volle accettare tal carica, ma sempre volle essere suddita; gli
è ben vero però, che se bene non era Superiora, le Religiose la riverivano, et
osservavano come tale, et in essa lei, come in un vivo specchio di tutte le
virtù, stavano del continuo rimirando.
18 - Et havevano ben ragione di così fare, imperciochè
erano così eroiche le virtù di questa beata Verginella, che chi le contemplava
non poteva di meno di non imitarle; [V, p. 307] attesochè l’humiltà, che è il
fondamento di tutte l’altre, era in essa lei così profonda, che si sottoponeva,
per cosi dire, sotto i piedi delle minime Giovinette del Monistero; e se per
avventura alcuna ne havesse offesa, benchè di leggieri, li chiedeva genuflessa
con tanta sommissione perdono, che ne rimanevano tutte altretanto amirate,
quanto edificate, imparando anch’esse da così buona Maestra, a sottoporsi
humilmente all’altre Compagne in ogni occasione.
19 - Fu la B. Christiana poi così
dedita all’oratione, che quasi mai da quella desisteva, e così fissamente in
quella s’internava, e per mezzo di quella al benedetto Iddio di si fatta
maniera si univa, che ben’è sovente rapita in Estasi, si vedeva per alcuni
giorni, senza mangiare, né bere; ne’ quali altissimi Ratti, gran cose vedeva, e
molte ancora, che dovevano succedere conosceva, e prevedeva, quali poi altresì
predicava, quando la necessità lo richiedeva. Fu grand’amatrice della religiosa
povertà, della quale non meno si pregiava di quello faccino i Ricchi avari de’
loro copiosi tesori. E se ben’era il suo Monistero in sommo grado povero, non
li mancò però mai il necessario sostentamento, imperciochè Iddio, singolare
amatore della povertà, operava Miracoli stupendi a pro delle sue povere Spose;
laonde riferiscono gli Autori della sua Vita, che un Fiasco di Vino, che solo
haveva una volta il detto Monitero, bastò per molti giorni, non solo per il
bisogno delle Monache, ma etiamdio per quello de’ Poveri, che venivano a
chiedere la limosina, verso de’ quali era la B. Christiana così pietosa, che li
dava quanto poteva, et haveva; onde una volta ad un Povero, che era molto
bisognoso, diede la propria Tonaca, et un Fiorino, che solo haveva in quel
punto, nulla pensando alla necessità del Monistero, e sua, contentandosi ella
di vestirsi fra tanto d’altri panni assai poveri e vili.
20 - E perché poco dianzi
habbiamo motivato, che nell’Estasi suoi maravigliosi ella vedeva molte cose a
venire, fa di mestieri, che quivi aggiungiamo, che ella ottenne da Dio lo
Spirito di Profetia; attesochè molte cose predisse, che poi puntualmente
successero. E specialmente si racconta dagli Autori, che sentendo una volta i
pianti, et i vagiti d’un Fanciullo giacente in una culla, disse sospirando, ha
ben ragione quel fanciullo di piangere la sua mala vita futura, per la quale
ancora si ridurrà a morire di morte infame sopra d’un patibolo, il che poi per
appunto successe. Et un’altra volta vedendo, che i suoi Compatriotti si
armavano per andare a combattere contro le genti d’un altro Castello chiamato Fucieco,
tutta infiammata di ardente carità, cominciò ad esortarli alla pace, pregandoli
con le lagrime su gli occhi a deporre l’armi, et a desistere da così
precipitosa impresa; attesochè li faceva intendere da parte di Dio, che se
fossero andati sarebbero stati rotti dagli Aversarj, e molti di loro sarebbero
rimasti morti nel Campo, et altri fatti prigioni, il che poi pur troppo avenne,
non havendo essi volsuto accettare il santo consiglio della Serva di Dio; e
nota il Razzi, che a colui, che fu cagione di non accettare il detto consiglio,
li fu da’ nemici cavata la lingua per il collo.
21 - Predisse altresì la
reconciliatione di due Famiglie primarie della sua Terra, le quali, per longo
tempo erano state fra di loro nemicissime. Ad un Cittadino Luchese predisse,
che fra poco gli haveva da nascere una Figli, la quale haveva da prendere
l’Habito Religioso nel suo Monistero, il che poi puntualmente seguì, come
predetto haveva. Predisse ancora un’altra volta al Capellano del Monistero, che
haveva da venire ben presto un Giovine per nome Tomasino, il quale si sarebbe
fatto Sacerdote, e sarebbe stato anch’egli Capellano di quel suo Monistero,
tutto che all’hora havesse ogni altro pensiero, [V, p. 308] il che poi ben
presto riuscì verissimo. Essendo ancora una tal volta arrivati al Castello di
S. Croce alcuni Religiosi Francescani, come scrive il nostro Curtio, o pure
Domenicani, come vuole il Razzi, li quali con autorità Apostolica andavano in
Tartaria, per predicare il Vangelo a quelle barbare Genti, andarono a visitare
la Santa Vergine Christiana, con la quale parlando di questa loro importante
Missione, e come havevano per tale effetto impetrati Privilegi amplissimi dal
Sommo Pontefice, quali volendo in quel punto mostrare alla Santa, e non
trovandoli ove riposti gli havevano, rimasero incredibilmente afflitti, e
sconsolati; ma la buona Christiana li consolò con dirli, che stassero di buon
cuore, perché haverebbero ritrovati li perduti Privilegi; e così fu, attesochè
havendo essa fatta oratione a Dio tutta la notte, la mattina fattili chiamare,
li disse, che li loro Privilegi erano ritrovati, imperciochè stavano sotto un
Ginepro poco fuori del Castello, che però gli andassero a prendere. Essi dunque
lieti, al detto luogo si portarono, e trovarono i Privilegi asciutti, tuttochè
nell’antecedente notte fosse caduta dal Cielo una brina molto grande. Ad uno
poi di loro, che F. Giacomo chiamavasi, e mostrava maggiore ardenza degli altri
nel proseguire quella difficile Missione, predisse, che egli non haveva da
perseverare nel detto pensiero, il che poi puntualmente seguì con gran stupore
degli altri.
22 - Predisse finalmente il
giorno e l’hora precisa della sua beata morte, la quale appunto, doppo il corso
di 70 anni di santissima vita successe, non nel giorno decimo di Gennaio, come
scrive il Razzi, a cui si sottoscrive altresì il Bollando, ma ben sì alli 4 del
detto Mese, come vuole il Curtio, l’Errera, et il Martini naturale del detto
luogo di S. Croce, et Religioso del nostro Istituto; nel qual giorno appunto
celebrano le Monache di quel Monistero la sua Festa solenne. E già, che siamo
entrati a favellare della beata Morte di questa Santa Vergine, ci giova di
quivi raccontare un stupendo, ed insigne Miracolo, che fece Iddio per i suoi
meriti, mentre essa stava inferma di quella gravissima infirmità di Paralisia,
che la tenne tre anni continui, quasi che seppellita nel suo povero
leticciuolo, e della quale finalmente morì; e fu, che havendo le Monache nella
notte precedente alla solennissima Festa della Santissima Assontione di Maria
sempre Vergine, consumata la maggior parte di quella nell’adobbare, e adornare
la Chiesa, la quale appunto era consagrata alla gran Madre di Dio, quando poi
fu giunto il tempo di recitare il Matutino, furono soprafatte da un sonno così
grave, che non fu possibile, che potessero adempire in quel punto il consueto,
e necessario obligo loro, la qual cosa havendo intesa la B. Christiana, tutto
che così inferma, si alzò di letto, e consolando le afflitte Suore, le disse,
che suonassero pure il Matutino, che se bene all’hora già stava su l’Orizonte
l’Aurora, non sarebbe però apparito il Sole, prima che esse havessero terminato
il loro Divino Officio, e così fu per appunto, attesochè cantarono le Monache
con la dovuta solennità il detto Matutino, e non mai comparve il Sole, se non
doppo il fine di quello, tardando in questa guisa più d’un’hora ad illuminare
il Mondo; e così, per i meriti di Christiana, rinovò il Signor Dio quel
prodigioso Miracolo, che già fece ne’ Secoli più vecchi per amore di Giosuè.
23 - Chi potrebbe hora descrivere
la maravigliosa patienza con la quale tolerò questa gran Serva di Dio, per lo
spatio di tre anni continui quell’infestissimo morbo della Paralesia? Basta
dire, che stava in quel letto con tanta quiete d’animo, e con tanta allegrezza
di spirito, come se havesse goduta un’intiera e perfetta sanità, tanto era ella
rassegnata nel divino Volere; e se le Religiose tal’hora per compassione la
consolavano,
[V, p. 309] ella mostrava d’haver quasi dispiacere di tal
consolatione, quasi volesse dirli; e che pensate? Che io forse mi attristi per
il favore, che il mio Signore mi fa? E che altro stimate voi, che sia questa,
che voi chiamate infirmità? Ah che altro non è, fuori che una gratia
singolarissima, che mi fa il mio Celeste Sposo, con farmi partecipe del Calice
della sua Santa Passione. E qual maggior favore può desiderare dal celeste
Amatore l’Anima fedele, quanto che l’essere ammessa alla participatione della
sua santa e dolorosa Passione? Et in conformità di ciò, quando tal’hora il male
maggiormente l’astringeva, ella si vedeva tutta lieta, et allegra nel
sembiante, e tutta trasformata nel suo Divino Sposo; la qual cosa, come
riempiva di stupore, e di maraviglia le Religiose, così faceva, che
s’innamorassero maggiormente di Dio, e che altresì tolerassero con patienza le
infirmità, ed i travagli, che Iddio per loro bene, li mandava.
24 - In contracambio poi di così alta sofferenza, non
mancò il Signor Dio in quella lunga infirmità di farli provare singolarissime
gratie e favori; fra quali uno fu che essendo essa desiderosa anche nell’ultimo
di sua vita d’essere presente al santo sagrificio della Messa insieme con
l’altre Monache, e vedendo la Superiora, che grandemente pativa, et era di
grand’aggravio alla Communità, perché bisognava portarla su le spalle, e
assisterle con gran cura acciò non cadesse per terra, li comandò, che dovesse
restare nel suo letticciuolo, il che volendo essa puntualmente eseguire, come
quella che era sempre stata il tipo dell’obedienza, tutto che li dispiacesse in
estremo di restar priva della gloriosa presenza del suo Sacramentato Giesù; ma
non restò la di lei pronta obedienza senza il dovuto premio; imperciochè la
dove nella Chiesa vedeva il suo Signore coperto con gli accidenti di Pane,
all’incontro nel suo povero letto cominciò a vederlo per l’avvenire totalmente
svelato, con incredibile contento dell’Anima sua.
25 - Conoscendo poi finalmente,
che già si avicinava l’hora del suo beato passaggio, fece chiamare la Superiora
con tutte le altre Monache, e doppo haver chiesto, così a quella, come a
queste, humilmente perdono, per quelle offese, che potesse haver fatte a
qualcheduna di loro, le diede poi molti santi documenti per meglio regolare le
loro religiose attioni, e per giungere più facilmente all’alta cima della santa
perfettione; e specialmente con grand’efficacia le disse, che procurassero con
tutta diligenza di osservare li tre santi Voti, che promessi havevano a Dio
benedetto, et alla Santa Religione, dell’Ubbidienza, della Castità e della
Povertà, e sopra il tutto con gran sentimento l’esortò a dover sempre
abbracciare la santa Humiltà, la quale è il vero e sicuro fondamento di tutte
le più eroiche virtù; concludendo in fine, che volontieri sopportassero le
tribulationi, le infirmità, le calamità, le miserie, e tutte le penalità di
questa vita infelice, e per conformarsi in qualche parte al Nostro Signor Giesù
Christo, che tanto sofferse, e patì per redimere l’Anime nostre dalla
schiavitudine di Satanasso; terminando poi il suo celeste discorso con ricordarli,
che dovessero sempre conservare intatto il loro amore verso Dio e verso il
Prossimo, già che sopra questi due poli si raggira tutta quant’è la perfetta
Osservanza della Divina Legge. Ciò appena hebbe finito di dire, quando le
Monache, che ivi genuflesse intorno al letticciuolo si stavano, proruppero in
un pianto così doloroso, che haverebbe destata la pietà ne’ cuori istessi delle
Tigri crudeli, il quale tanto maggiore si fece, quanto che si accorsero, che di
già l’Anima Santa della Serva di Dio, libera, e sciolta da i legami del Corpo,
se n’era volata alla Celeste Beatitudine.
26 - E’ fama poi autenticata dalle penne d’alcuni
Scrittori, come testifica il Curtio, [V, p. 310] che prima di morire questa Beata
Serva di Dio, gli apparisse il nostro P. S. Agostino, come che volesse
accompagnare questa sua Santa Figlia al Paradiso; et ella parimente, allo
scrivere, così del detto Curtio, come del Razzi, subito morta apparve ad una
Dama Pisana, sua divota per nome Fregia, accompagnata da gran numero d’Angeli,
mentre quella stava nella parte superiore di sua Casa divotamente orando, e li
disse, rallegrati meco amica Fregia, posciache hora io sono portata dagli Angeli in Paradiso.
27 - Ma andiamo hora a considerare l’alte Maraviglie, et
i stupendi Miracoli, che operò il Signor Dio per honore di questa sua Beata
Sposa, doppo la di lei santa morte. Primieramente dunque raccontano gli Autori
sudetti, che il di lei Corpo Venerabile restò bello e vago, come se fosse stato
vivo, et il di lei sembiante, tutto che fosse d’una donna di 70 anni, rimase
venusto e specioso, come se fosse stato una giovine di 30 anni. Ma ciò, che
recò maggiore stupore, e maraviglia a Circostanti fu, che essendo concorsa una
Turba innumerabile nella Chiesa ove stava esposto il di lei Santo Cadavere,
occorse, che in quella gran folla di gente vi si trovasse ancora una Donna di
mala fama, la quale essendosi avicinata al Feretro per vedere la Beata, ella
che era sempre stata il tipo della purità, abbominando d’essere veduta da una
Donna impura, con la destra mano si coperse il volto col velo. E ciò, che fece
maggiormente stupire, e maravigliare quella divota gente fu, che mentre si
celebravano i Funerali, furono vedute calare dal Cielo dieci Monache di santa
vita, le quali erano già morte alcun tempo prima, et assistere alla divota
funtione, cinque di qua, e cinque di là dal sopradetto Feretro; che però le
Immagini di questa Beata ordinariamente la rappresentano morta in un Feretro
con le sudette Religiose all’intorno, e con molti Languenti, che ricevono la
sanità per la di lei efficace intercessione.
28 - Molti altri Miracoli potressimo quivi soggiungere,
operati da Iddio per i meriti della B. Christiana doppo la di lei morte; ma
solamente alcuni pochi ci giova di produrre per consolatione de’ suoi divoti.
Uno fu, che molti nel tempo della sua morte, li quali prima erano stati
implacabili nemici, per la di lei intercessione, come fu certamente stimato da
tutti, miracolosamente si rapacificarono. Un Capellano, che serviva il
Monistero della Beata, che chiamavasi Tomaso, havendo patito per qualche tempo
un’attroce dolore di capo, che fieramente lo tormentava, non così tosto hebbe
implorato l’agiuto della Santa, quando subito restò sano. Un altro del Contado
di Firenze, che era stato cieco per lo spatio di 14 anni, essendosi racomandato
di buon cuore alla B. Christiana, ricuperò miracolosamente la vista. Essendo
finalmente caduto un Fanciullo di S. Miniato in una profonda fossa d’acqua, e
restatovi sommerso un giorno, et una notte intiera, havendolo d’indi cavato i
Genitori lo raccomandarono con gran fede alla S. Vergine sudetta, e subito per
i suoi meriti tornò il Fanciullo da morte a vita.
29 - F. Honorio Martini, nativo
del detto Castello di S. Croce di Vald’Arno di sotto, nella Vita, che scrisse
di questa gloriosa Beata, raconta molti altri Miracoli e Prodigj. Aggiunge il
P. Errera nel Tomo primo dell’Alfabeto Agostiniano a carte 135 e 136 che nel
giorno della sua festa le Monache del suo Convento di S. Maria Novella recitano
l’Officio della detta Santa Vergine, e ciò per Concessione di Sisto V.
Vita,
Morte e Miracoli del B. Agostino Novello.
30 - [V, p. 311] Se bene negli anni scorsi habbiamo registrate le
più principali Attioni e Virtù di questo gran Servo di Dio nulladimeno essendo
egli santamente morto in quest’anno nel fortunato Convento di S. Leonardo,
quattro sole miglia fuori della nobilissima Città di Siena, fa però di
mestieri, che quivi raccogliendole in un Compendio, le replichiamo, con quelle,
che di più habbiamo lette, così negli antichi, come ne’ moderni Scrittori
dell’Ordine, et anche in altri Autori stranieri. Primieramente dunque gli è
necessario di avertire i Lettori, che se bene gli è certissimo, che questo
Beato Religioso nacque nel nobilissimo Regno della ferace Sicilia, fino al giorno
d’hoggi però non s’è potuto, con certezza, verificare qual fosse la di lui
Patria felice; attesochè quantunque il B. Giordano di Sassonia, che è il più
antico Scrittore della di lui Vita, dica, che fu da Terano, nulladimeno passa
gran controversia fra due gravi Autori moderni, uno, cioè di Palermo, e l’altro
di Termini, ambe Città del Regno di Sicilia, pretendendo ciascheduno di loro di
farlo suo Cittadino; imperochè l’Autore di Termini dice, che se bene il B.
Giordano nostro scrive, che il B. Agostino fu da Terano, fu male informato, o
pure come Tedesco ch’egli era, corruppe il nome della Città, e perciò in vece
di scrivere De Termino, scrisse de Terano. All’incontro lo Scrittore di
Palermo dice, che nacque nella detta Città di Palermo della nobilissima, et
antichissima Casa Termini, la quale pur anche fin al giorno d’hoggi conserva
più che mai la sua antica nobiltà e ricchezza. Chi poi di questi due Autori
habbia maggior ragione, io per me risolutamente dico, che più mi quadrano gli
efficaci Argomenti, che produce l’Autore Palermitano, che è il Dottore D.
Vincenzo Auria in una sua eruditissima Apologia, che scrisse contro un’Autore
Messinese, il quale in un suo Libretto haveva presa a difendere la causa e le
ragioni de’ Terminesi; la quale Opera poi, tosto che fu divolgata, fu poibita
dal supremo Tribunale della Santa Inquisitione di quel Regno, come scandalosa,
e ripiena di cose, che offendevano grandemente le pie orecchie de’ buoni
Christiani; et una copia di quest’Apologia manoscritta conservo appresso di me.
In questa poi, il sopracitato Autore D. Vincenzo dimostra con chiara evidenza,
e con l’autorità di molti gravi Scrittori, e specialmente d’un certo Bernardo
Riera Trapanese, il quale anticamente scrisse la Vita del nostro B. Agostino,
la quale manoscritta si conserva con altre sue Opere nella Libraria del
Collegio de PP. della Compagnia di Giesù si Palermo; e questa fu data alle
Stampe dal sudetto Dottore Vincenzo nell’Anno del Signore 1664 con una fede
autentica di quattro Padri di quel Collegio, che contestano essersi cavata la
copia di quella Vita dall’originale di quella, che scrisse il mentovato
Bernardo Riera. In questa Vita poi il detto Riera dice, che il nostro B.
Agostino chiamossi prima nel Secolo Matteo de
Termis.
31 - Prosiegue poi a dimostrare
D. Vincenzo, che questo nome de Termis
non significa la Patria, ma la Famiglia, che hoggidì, con Vocabolo corrotto,
chiamasi de Termini. Autentica poi
questo suo detto, con certi versi antichi, che intagliati in marmo si leggono
sopra la Porta della Chiesa delle Monache di S. Chiara di Palermo, ove prima
era il Palazzo in cui habitava la detta Famiglia de Termis; e vi habitò specialmente il nostro Agostino quando era
nel Secolo, et esercitava il nobile ufficio di gran Giustitiere del Regno di
Sicilia [V,
p. 312] al tempo, che regnava il Re Manfredo. Soggiunge di
vantaggio, che la detta Famiglia de
Termis, o di Termes, non
fu originaria di quel regno, ma era passata di Cattalogna in Palermo alcuni
anni prima della nascita del B. Agostino, cioè nel 1209 come scrivono alcuni
gravi Autori Cattalani et Aragonesi, quali cita, concludendo con l’autorità
d’alcuni Autori Francesi, che la detta Casa traesse la sua origine primiera da
un nobile Castello della Provincia di Narbona. Et a queste sue ragioni tanto più
di buona voglia mi sottoscrivo, quanto che vedo, che Giacomo Cascia Autore
Terminese, nella Vita, che stampò anch’egli di questo nostro Beato, dice di non
sapere di qual famiglia egli fosse, con tutto che asserisca essere stato da
Termini, benchè ciò non provi con alcuna soda ragione; anzi che pare che esso
medesimo inclini a credere, o almeno dia a noi occasione di stimare, che esso
ce lo insinuasse per Palermitano, mentre dice, che fu parente di Matteo Conte
di Calfurno, il quale poi a sue spese edificò nel Palazzo del nostro Matteo
(che poi fu il B. Agostino, hereditato da esso) il sopramentovato Monistero di
Santa Chiara. Io non distendo quivi le sudette sue ragioni accennate, et altre
molte, come né meno gli autori, che cita per autentica di quelle, si perché
voglio isfuggire la prolissità, e si anche perché totalmente mi rimetto alla
sudetta Apologia del mentovato Auria, quale già mi persuado haverla egli
publicata per mezzo delle Stampe.
32 - Lasciando dunque da parte
coteste controversie, a noi basta il dire, che fu Siciliano; che poi anche egli
nascesse di famiglia nobile e ricca, ce lo persuade il vederlo venire da
giovinetto a studiare in questa nostra famosissima Università di Bologna. Paese
cotanto lontano dalla Sicilia. Quivi dunque havendo per alcuni anni studiato,
divenne cosi dotto e sapiente, che è tradittione, che di Scolare divenisse
nella medesima Università Maestro e Dottore, leggendo in quella la Legge
Canonica e Civile.
33 - Essendo poi arrivata la fama
della sua gran Dottrina, e Sapere, all’orecchie di Manfredo, bastardo del già
morto Imperatore Federico Secondo, il quale con titolo di Re esercitava la
tirannide ne’ felici Regni dell’una e della’altra Sicilia, l’invitò a
passarsene alla di lui Corte, per doverlo servire in qualità di Consigliere, et
anche di Segretario di Stato, come scrivono alcuni; al quale invito havendo
rgli prestato volontieri l’orecchio, et essendosi perciò colà portato con tutta
celerità, esercitò poi per alcuni anni, quelle Cariche nobilissime con gran
sodisfattione di Manfredo, e con sua somma lode.
34 - Ma essendo poi venuto a
generale Battaglia ne’ contorni di Benevento il suo Signore Manfredo con Carlo
d’Angiò, e rimasto non solo perditore, ma anche ucciso insieme con la maggior
parte dell’Esercito dal Vittorioso Carlo, restò altresì ferito a morte il
nostro Agostino, il quale però in quel tempo chiamavasi Matteo, volle la sua
buona sorte, anzi pure il suo amoroso Dio, che egli accortamente se ne uscisse
da quella sanguinosa mischia, e fattosi curare in luogo segreto, se ne passasse
poi incognito, e travestito nella Sicilia, ove alcun tempo doppo, essendosi
gravemente infermato nella Città di Palermo, fece voto, se guariva, di farsi
Religioso, et havendo ottenuto l’intento, tutto che fosse sua intentione di farsi
Domenicano, e ben per tre volte tentasse il trattato, nulladimeno così volendo
Iddio, fecesi miracolosamente Agostiniano, come ampiamente scrivessimo sotto
l’anno del 1266 alli numeri 2, 3 e 4.
35 - E quantunque si facesse
Laico per humiltà, nulladimeno, come si vedesse in quella sua Provincia
honorare più di quello, che alla sua conditione laicale conveniva, et havendo
altresì inteso commendare molti Monisteri solitarj della Toscana, [V, p. 313]
bramoso di scansare l’honore, che li veniva fatto nella sua Patria, con buona
gratia de’ Superiori, nella sudetta Toscana se ne passò, ove per alcun tempo,
non conosciuto, attese con indicibile contento dell’Anima sua ad esercitarsi
negli ati più vili, e bassi de’ Monisteri, ove stette di stanza, fin tanto, che
essendo stato conosciuto per quel gran Letterato, ch’egli era, da un Giudice di
Siena, che era stato suo condisciepolo di bologna, per cagion d’una dotta
Scrittura, che fatta haveva in difesa d’una Causa grave del Monistero, in cui
stava di stanza, fu poi necessitato a passare dallo stato di Laico a quello di
Sacerdote dal Generale di quel tempo, che era il B. Clemente da Osimo, il quale
di vantaggio lo prese per suo Compagno, e li servì poi molto col suo saggio
consiglio nel governo della Religione.
36 - Havendo poi il Sommo
Pontefice Nicola IV richiesto al sudetto Generale un Religioso habile ad essere
suo Confessore, non seppe quel buon Prelato ritrovare soggetto più atto per un
così alto et importante affare, quanto il nostro B. Agostino. E se bene Angelo Rocca
nella sua Cronistoria de’ Sagristi Apostolici, porta per opinione, che egli
fosse non solo Confessore del Papa sudetto, ma di vantaggio ancora il primo
Sagrista, che dasse la religione al Ponteficale Palazzo, nulladimeno ciò da più
saggi Scrittori stimasi falso; attesochè in verità il primo, che fosse eletto a
così nobile impiego, fu Maestro F. Giovanni da Limoges, il quale appunto fu
assunto a quel degno ufficio da Papa Giovanni XXII nell’anno del Signore 1316
come in quel tempo, a Dio piacendo, vedremo.
37 - Havendo poi servito nel sudetto ufficio lo spatio di
10 anni, volle Iddio, che essendo egli passato insieme con gli altri Padri più
gravi dell’Ordine nella Città di Milano, al Capitolo Generale nell’anno di
Christo 1298, fosse contro sua voglia eletto Generale in luogo del Venerabile
Servo di Dio F. Simone da Pistoia. Ma sospirando egli mai sempre, e bramando
con ardentissima ansietà di far ritorno a’ Beati Eremi della Toscana, pensò di
celebrare il Capitolo Generale un’anno prima del tempo prescritto da’ Statuti
dell’Ordine, e come pensato haveva, così per appunto fece; imperciochè havendo
chiamati i Padri dell’Ordine a Capitolo in Napoli l’anno di nostra salute 1300
volle, che venissero all’elettione d’un nuovo Generale, non ostante, che tutti di
commune accordo l’acclamassero di nuovo per loro Superiore. Così dunque essendo
stato egli costante nella sua rinuntia, fu eletto Generale il Lettore F.
Francesco da Monte Rubiano, tutto lieto, e contento se ne passò di stanza nel
divoto Convento sopramentovato di S. Leonardo vicino a Siena, ove poi visse con
grand’esempio di santità fino alla morte, che fu per appunto per lo spatio di
10 anni intieri; nel qual tempo istituì l’Ordine dell’Ospitale di S. Maria
della Scala di Siena, tanto insigne, e famoso, che fu poi subito confirmato dal
Papa Bonifacio VIII.
38 – Ma tempo è hormai, che diciamo alcuna cosa delle
Virtù più rare nelle quali si esercitò mai sempre per tutto il tempo, non solo,
che stette nella Religione, ma etiamdio in quello, che stette nel Secolo;
attesochè scrivono gli Autori della sua Vita, quali più a basso produrremo, che
mentre era Secolare, egli fu grand’amatore dell’honestà, a segno tale, che
vergine si conservò in quello stato tanto pericoloso, e molto più dopoi, che
egli fu entrato nella Religione. E questa verità permise Iddio, che gli uscisse
una volta di bocca, mentre stava parlando di cose spirituali a’ Religiosi del
sudetto Convento di S. Leonardo, essendo però come rapito in un’estasi dolce; e
ciò permise Iddio, che uscisse di bocca a quel Santo Vecchio, sì per esempio di
que’ buoni Religiosi, [V, p. 314] come molto più affinchè si sapesse
quanto fosse grande la di lui santità. Mentre pure stette nel Secolo, e
specialmente nella Corte del Re Manfredo, fu gran’amatore della Giustitia e
dell’Equità, né mai alcuna cosa fece, che tornasse a danno d’alcuno, che però
mai si volle ritrovare in que’ Congressi, o Giunte, nelle quali si trattava di
spargere il sangue humano.
39 - Nella Religione poi fu
oltremodo rigido et austero nelle sue penitenze, perochè egli portava un’aspro
Cilicio sopra la nuda carne, del quale hoggidì molto si approfittano que’
poveri, che sono invasati dal Demonio con aplicarglielo al petto, et alle
spalle; giovando altresì molto il di lui tocco a coloro, che sono travagliati
dalle tentationi della carne; il suo cibo era poco e rozzo, attesochè non
mangiava fuori che una sol volta il giorno. Fu molto dedito alla santa
Oratione, nella quale passava la maggior parte del giorno, e della notte. La
sua Carità poi verso Iddio e verso il Prossimo fu incomparabile. Dell’Humiltà
non occorre di più favellarne, perochè
basta accennare ciò che habbiamo detto nel principio, cioè, che essendo egli un
Letterato così grande et insigne, nulladimeno per santa humiltà prese l’Habito
di Converso, e godè per lungo tempo di esercitarsi ne’ più bassi, e ne’ più
vili servigi de’ Monisteri, che sono proprj dell’humile conditione di simili
Religiosi.
40 - Fu parimente oltremodo
zelante dell’osservanza Regolare, e ben lo dimostrò nel Capitolo Generale di
Napoli, più sopra mentovato nel caso, che passò fra esso, et il B. Giacomo da
Viterbo, quale distesamente narrassimo sotto l’anno del 1300 a cui rimettiamo i
Lettori. La di lui ritiratezza, il raro silentio, la maravigliosa patienza, et
insomma tutte l’altre virtù, che rendono cospicuo, et illustre anche negli
occhi di Dio il più osservante Religioso, si ritrovarono mai sempre nell’anima
grande di questo gran Servo di Dio in grado eminente et eroico. Io non parlo
poi della divotione grande, ch’egli hebbe mai sempre alla Passione di N. S.
quale, quasi del continuo meditava; come al Santissimo Sacramento, quale con
profondissima riverenza adorava, e della gran tenerezza, con la quale riveriva,
honorava e serviva la gran Madre di Dio, della quale fu sempre sviscerato
amante, perché sarebbe un non volere mai finire e terminare la di lui vita;
concluderò ben sì, che si avanzò di tal sorte nel beato camino della santa
perfettione Religiosa, che essendo finalmente in in quest’anno venuto a morte,
la quale fu esemplarissima, e poco dianzi gli era stata da un Angelo rivelata,
che però appunto si suol dipingere con un’Angelo, che li parla all’orecchio, si
compiacque per tanto Iddio di palesare la di lui rara santità con molti
Miracoli, fra quali, i più segnalati furono, due Morti rissuscitati, e la
liberatione d’un povero Contadino da un’horribile Serpente, il quale mentre
dormiva a bocca aperta in campagna, gli era entrato nel Corpo.
41 – Essendo arrivata la nuova della morte beata nella
vicina Città di Siena, quasi tutto quel Popolo si portò veloce al Monistero di
S. Leonardo per visitare e riverire il benedetto Corpo di quel Santo Religioso,
quale certamente stimavano essere a diritura volato al Cielo; e non mancò il
Signor Dio di far provare in tale occasione i soliti effetti della sua infinita
Misericordia a molti poveri languenti, e bisognosi, li quali implorarono
l’efficace intercessione, e patrocinio del B. Agostino.
42 - Laonde havendo inteso il
Vescovo di Siena tante maraviglie operate da Sua Divina Maestà per i meriti del
Suo Servo fedele, non volle in verun conto, che il di lui Santo Cadavere fosse
seppellito in quel luogo deserto, ma comandò, che fosse portato a Siena, e
posto nella Chiesa nostra di S. Agostino [V, p. 315] in una Tomba di marmo posta sopra
di un’Altare, nel quale sta esposta la di lui Immagine Veneranda alla publica
adoratione de’ Fedeli, all’intorno della quale effigiati si vedono alcuni
Miracoli da esso operati, e specialmente li tre di sopra mentovati. Ogn’anno
poi nel primo, e secondo giorno di Pentecoste si celebra con solenne pompa la
di lui Festa; attesochè, doppo il Vespro del giorno primo sudetto di Pentecoste
vanno li Padri del Monistero processionalmente all’Altare del Beato, ove giunti
cantano l’Hinno: iste Confessor, etc.
con il versetto: Ora pro nobis B.
Augustine, etc. con l’Antifona: Similabo
eum, etc., e poi appresso l’Eddomadario dice la seguente Oratione: Oremus. Creator omnium, et distributor
Omnipotens, et misericors Deus, qui B. Augustinum novum Confessorem tuum Eremiticam
vitam ducere, et Miraculis coruscare fecisti, tribue quaesumus, nobis famulis
tuis, sic eius vitam imitari, et mores, ut cum eo consortes simus gloriae
Beatorum. Per Dominum nostrum, etc. E quest’annua Festa si fa con gran
concorso di Popolo.
43 - E qui finalmente mi giova di
soggiungere, che mentre il B. Agostino stava vicino a morte, furono spediti dal
Superiore del Convento due Religiosi ad un altro gran Servo di Dio, che faceva
aspra penitenza in un’Eremo divoto, che chiamavasi di Camerata, il di cui nome
era il B. Pietro Fiorentino, detto il Piangente, Religioso anch’egli del nostro
sagro Istituto, e grande amico del B. Agostino, acciò venisse ad assistere alla
di lui morte; ma quando furono vicini al sudetto Romitorio di Camerata li venne
incontro il B. Pietro, e li disse: non occorre, o Padri, che io me ne venga con
essi voi a Siena, impercioche, già l’Anima felice del nostro B. Padre Agostino,
se n’è volata al Cielo, et io nell’istesso punto l’ho raccomandata al Signore,
dando in questa guisa a divedere, che dal Signor Iddio gli era stata rivelata
l’hora della morte del sudetto Beato, la quale era successa in quel punto
istesso, che egli venne incontro alli due Frati mentovati, come poi tornati a
Siena conobbero.
44 - Trattano poi di questo Beato,
e scrivono la di lui Vita molti Autori così di nostra Religione, come anche
d’altra Professione, ed Istituito. Li nostri sono: il B. Enrico d’Urimaria, il
B. Giordano di Sassonia, Ambrogio Coriolano, il Card. Egidio da Viterbo, il
Card. Girolamo Seriprando, Gioseffo Panfilo Vescovo di Segni, Andrea Gelsomini
Vescovo di Ascoli in Puglia, Nicola Crusenio, Alfonso d’Orosco, Tomaso Errera,
Sebastiano Portiglio, et altri. Degli Esteri poi Abraamo Bzovio Domenicano,
Giacomo Locasio Termitano, Ottavio Gaetani da Siragusa Giesuita, et altri
ancora.
45 - Erano di già passati cinque
Anni, e più, da che il nostro gran Santo da Tolentino se n’era da questa bassa
valle del mondo volato alle sublimi altezze della Celeste Gierusalemme; e se
bene il Gran Monarca Iddio, per i meriti del gran Servo, e per la di lui
efficacissima intercessione haveva sempre operati grandi e stupendi Miracoli a
beneficio de’ suoi Divoti, li quali nelle loro necessità eransi raccomandati
alla di lui potentissima protettione; non si legge però, che mai tanti in un
sol punto ne operasse, quanto fece nella solennissima notte della Festa di
tutti i Santi di quest’anno del Signore 1310 attesochè riferiscono tutti gli
Autori della Vita del Santo, e ciò chiaramente costa nel Processo solenne della
sua Canonizzatione, che essendo venuta una gran Turba di Languenti, et oppressi
da varj languori, nella Chiesa, ove giace il di lui Santo Corpo, per ivi
vegliare, a fine d’ottenere la perduta
sanità, per i meriti del Santo; ecco, che di repente, quaratacinque
d’essi si conobbero, e si videro miracolosamente sani; laonde giubilando per
allegrezza, resero ad alta voce le dovute gratie al Grande Iddio, [V, p. 316]
e poscia al glorioso S. Nicola, e nello stesso tempo le Campane della sudetta
Chiesa cominciarono a suonare da per se stesse, che però tutta la Città vi
concorse, ringratiando ciascheduno il benignissimo Iddio, che così mirabile
s’era fatto conoscere in quella notte, con tanti Miracoli, per Gloria del suo
gran Servo Nicola.
46 - Soggiungono di vantaggio gli Autori sudetti, che in
questa gran commotione della Città, per tanti Miracoli, una Donna poco divota,
e meno credula si mostrò alle maraviglie, che gli erano raccontate da coloro,
che vedute le havevano; anzi che mormorando diceva, che erano inventioni di
Religiosi per far correre il Popolo alla loro Chiesa; ma non istette guari a
pagare la pena della sua infedeltà, e poca carità, attesochè vide subito un suo
picciolo Figliuolo restar privo della vista; per la qual cosa pentita la Donna
del suo grave fallo, e tutta compunta prese il Figlio fra le braccia, e volando
veloce alla Chiesa, chiedè con grande humiltà perdono a Dio, et al Santo, con
supplicarlo, con gran copia di lagrime, ad impetrare da Dio la perduta vista al
suo Figlio, il che subito ottenne; gli è ben vero però, che nel Processo
sopramentovato apparisse essere avvenuto questo miracoloso successo nel tempo
della morte del Santo.
47 - Morì parimente in quest’anno con fama di gran Servo
di Dio, nel nostro Monistero di S. Agostino di Valenza in Ispagna, il Ven. P.
F. Francesco Salelles, il quale, come scrive l’Errera nel Tomo primo del suo
Alfabeto a car. 247 era stato fondatore dello stesso Convento; e ciò si cava
con evidenza dall’Epitaffio, che fino al giorno d’hoggi intagliato si legge sopra
del suo Sepolcro, del seguente tenore: Hic
iacet Religiosus, ac devotus vir Frater Franciscus de Salelles, Fundator ac
aedificator huius Monasterij, qui obijt quarto nonas Maij Anno Domini MCCCX
cuius Anima requiescat in pace.
48 - Da questo Epitaffio poi, come con evidenza si
deduce, che questo F. Francesco fu veramente Fondatore del mentovato Monistero;
così poi anche dallo stesso si cava, che morisse in età molto decrepita;
attesochè, se egli è vero, come scrive lo stesso Errera, che il detto Monistero
fosse fondato circa l’anno 1250 o pure, come io più certo stimo nel 1239, come
pur anche vuole il medesimo Errera, quindi perciò ne siegue, che il P. F.
Francesco Salelles morisse 70 anni doppo, che fondato haveva il detto
Monistero, o 60 per lo meno, se veramente lo fondò nel 1250, se bene io mi
persuado, che nel 1239 da qualchedun’altro si prendesse il possesso del sito
donato dal Re di Giacomo Primo, e che poi verso il 1250 proseguisse la
Fondatione il detto F. Francesco, e per tal causa poi venghi chiamato Fondatore
di quello. Soggiunge il Padre Errera, che questo buon Religioso illustrò
grandemente la Provincia di Aragona, quale stima il medesimo Autore essere
stata fondata da F. Guglielmo Salelles, qual pensa, che fosse Cugino, o Parente
consanguineo del P. F. Francesco.
49 - Quantunque l’Ordine nostro
doppo essere passato dallo stato Monastico et Eremitico, a quello di
Mendicante, o per meglio dire, havendo l’uno con l’altro congiunto et unito,
fosse stato più volte da molti Sommi Pontefici esentato dalla Giuridittione de’
Vescovi, e de’ Parochi, e posto immediatamente sotto sovrana Protettione, e
Dominio della S. Sede, e specialmente da Alessandro IV, da Urbano IV, da
Clemente IV, da Gregorio X, da Honorio IV, da Nicola IV, da Celestino V, e con
maggior solennità degli altri ultimamente da Bonifacio VIII nulladimeno, come
tutto ciò non ostante, li sudetti Prelati della Chiesa, et anche i Parochi non
cessassero d’infestare l’Ordine nostro, e di procurare d’impedirli il libero
Possesso, et uso de’ loro Privilegi ottenuti dalla S. Sede, [V, p. 317]
fu perciò necessitato il Generale dell’Ordine d’implorare la buona Giustitia
del Sommo Pontefice Clemente V il quale ben tosto inherendo specialmente alla
Bolla di Bonifacio VIII ne spedì una sua, nella quale, con forme molto precise,
et espressive, tornò ad esimere lo stesso Ordine nostro alla maniera, che
havevano fatto gli altri Pontefici, e particolarmente Bonifacio predetto dalla
totale Giuridittione de’ sudetti Vescovi, e Parochi, ponendolo di nuovo immedidiatamente
sotto la Giuriditione, Dominio, e Protettione del Romano Pontefice. Fu data
questa Bolla in Avignone sotto il giorno 19 di Luglio in quest’anno del Signore
1310 quale conservasi in Vienna nella Biblioteca di Sua Maestà Cesarea.
50 - Ritroviamo altresì, che in
quest’anno medesimo il Re D. Ferdinando IV di Castiglia, gran Benefattore
dell’Ordine nostro in Ispagna, con un suo Privilegio, concesse a’ nostri Padri
del Convento di Cordova, mentre ancora stava nel Campo della Verità, una parte
dell’acqua del canale di Rizasa, la quale era molto necessaria al sudetto
Monistero. Fu poi dato questo Privilegio nella Città di Siviglia a’ 15 di
Giugno; la copia poi del sudetto Privilegio tradotto nel nostro Idioma, è la
seguente:
51 - Sappino tutti quanti quelli,
che vedrano questa Carta, come Noi Don Ferdinando Re di Castiglia, di Toledo,
di Leone, di Gallizia, di Siviglia, di Cordova, di Murcia, di Iaen,
dell’Algarve, e Signore di Molina, per far bene, e gratia al Convento de’ Frati
di S. Agostino di Cordova, e acciò siano più abbondanti delle cose, che
haverano di bisogno, habbiamo stimato bene di darli dell’acqua del Canale, che
attraversa la la strada, che va alla Rizasa sopra l’Orto del Foyo, e che va
all’Orto, che chiamano della Regina, e a quello di Calatrava, per il suo
Monistero, e che sia il canale largo quanto un denaro della moneta, che io feci
battere, che fanno dieci denari di Maravedis, e che la conduchino al suo
Monistero, e che l’habbino per sempre in perpetuo nel detto Convento senza
alcun ostacolo. Laonde io comando, e difendo, che niuno habbia ardire di
contrariarli questa gratia, che io li faccio, in verun tempo, et in niuna
Maniera. E se alcuno glie la volesse contrariare, o impedire, incorrerà nel mio
sdegno, e pagarà mille Maravedis della moneta nuova, e al Monistero tutto il
danno, e lo scapito, che d’indi havesse ricevuto, per il doppio. E sopra di
questo comando a Governatori nostri, et altri Ministri di Cordova, che hora
sono, et a quelli, che veranno per l’havenire, che faccino osservare, e
mantenere questa gratia al detto Convento, che io li faccio. E se alcuno non
glie la volesse passare, quello pagarano per la detta pena, lo faccino
conservare, per fare ciò, che io li comandarò; e faccino rifare a’ Frati del
detto Convento tutto il danno, et il discapito, che ricevessero, per il doppio,
etc. e di tutto ciò ho comandato, che li si facci questa Carta, o Privilegio
sigillato col mio Sigillo di piombo. Dato in Siviglia a’ 15 di Giugno nell’Era
1348 cioè di Christo 1310. Questo privilegio si conserva nell’Archivio dello
stesso Convento di Cordova, quale trascrisse, e stampò il P. Errera nel suo
Libro, che fece nell’Historia del Famoso Convento di S. Agostino di Salamanca a
carte 81.
52 - Carlo altresì Re d’Ungheria concesse in quest’anno
medesimo al Convento de’ nostri PP. Deesuvar dedicato alla B. Vergine, che per
ogni Carlo di Sale, glie ne fossero date due misure. Questa Gratia poi, o
Privilegio glie lo concesse mentre stava in una certa Villa, chiamata di S.
Michele vicino alla Città di Turda. Così riferisce l’Errera nel Tomo I a car.
203.
53 - Passando in questo tempo grandissime controversie nell’Ordine
Francescano fra alcuni Religiosi, [V, p. 318] li quali erano divisi in due
parti, delle quali una si chiamava delli Spirituali, e l’altra di quelli della
Communità; e non potendoli accordare li Superiori maggiori del detto Ordine, fu
portata perciò la causa nella Corte Romana, affinchè la Santità del Pontefice,
con la sua sovrana autorità, si degnasse di decidere le loro diferenze; per il
che fare deputò il Pontefice alcuni gravissimi Dottori, affinchè studiassero il
punto principale della detta controversia, per riferirlo alla Santità Sua, e
fra questi uno ve ne fu di nostra Agostiniana Religione per nome Egidio. Così
per appunto riferisce il Vadingo nel Tomo 3 de’ suoi Annali de’ Minori sotto il
numero 2 di quest’anno medesimo 1310 e nel margine nota, che questo forse fu
Egidio Romano; ma il P. Errera sodamente prova, non potere essere stato esso in
verun conto, per due ragioni; prima, perché essendo egli in questo tempo
Arcivescovo di Bourges, non si fa alcuna mentione della detta Dignità dal Papa
nella Bolla dell’accennata Deputatione; secondo poi, perché nella medesima
Bolla viene il detto Egidio posposto a F. Guglielmo di Godivo Maestro del Sagro
Palazzo, il che non haverebbe fatto il Papa, se fosse stato questo Egidio il
Romano. Chi poi fosse quest’Egidio non lo potiamo togliere ad indovinare,
perché né il Vadingo, né l’Errera, nulla soggiungono di vantaggio; vedasi
l’Errera a car. 53 nel primo Tomo del suo Alfabeto.
54 – In quest’anno istesso ritrovandosi di passaggio
nella Città di Forlì il nostro F. Giacomo da Bologna, quale già dicessimo
nell’anno scorso essere stato creato Vescovo di Pavida in Tracia
dall’Arcivescovo di Andrinopoli, et alloggiando, come certamente mi persuado,
nel Monistero nostro di S. Agostino, fu pregato dalla Vener. Confraternità del
Santo Martire di Christo S. Sigismondo Re di Borgogna (che fu già gran
benefattore del nostro insigne Monistero di S. Mauritio, o vogliam dire
d’Agauna nella Vallesia) a volere concedere qualche Indulgenza alla detta
Società, la quale era stata fondata nella nostra Chiesa in tempo a noi
incognito, con occasione di conservarsi nella medesima, le Venerande Reliquie
del Santo Martire sudetto; egli molto volontieri li concesse tutta quella
Indulgenza, che poteva, cioè di 40 giorni, così a quelli, che entravano in
essa, e per quella si affaticavano, e facevano qualche opera buona a prò della
detta Cofraternità, come anche a chi la visitava, e faceva qualche offerta, et
a chi faceva predicare nella Chiesa, et ascoltava altresì la detta Predica. Il
Diploma poi in cui si contengono le dette Indulgenze, fu dato nel Monistero
sopramentovato dell’Ordine nostro nella sudetta Città di Forlì alli 9 di Marzo
di quest’anno 1310, il di cui tenore è questo che siegue:
F. Iacobus
miseratione Divina Episcopus Pavidanus.
55 - Dilectis in
Christo
Dominis, et Dominabus Societatis Beati Sigismundi Regis, et Martiris Civitatis
Forlivij, et Dioecesis salutem, et sinceram in Domino Charitatem.
Misericordiarum bendicimus Patrem, et consolationis mirifice datorem, qui suam
Ecclesiam semper multiplicat, et in vineam suam operarios usque ad horam
novissimam non definit evocare. Verum quia humanum Genus quanto fragilius est,
tanto maiori indiget auxilio, et favore, et nos humilibus Servis Christi
impartiri grate charitatis solatium teneamur, ut eorum crescat devotio, et ut
levius assumptum onus cum gratiarum actione suportent, et ut cultus Divini
Numinis augeatur; de Omnipotentis Dei, et Beatae Mariae Virginis Matris eius
Patronae nostrae … (sic!) et precibus
confidentes, Omnibus, et singulis, qui dictam Societatem intraverint, ac vobis,
et ipsis quoties [V, p. 319] publice, ac privatim pro honore dictae
Societatis conveneritis, et ad honorem dicti Patris nostri Beati Sigismundi, et
ad Ecclesiam accesseritis, seu oblationem pro utilitate, seu honore vestrae
Societatis feceritis, et praedicari pro dicta Societate feceritis, vel dictam
Praedicationem audieritis, quadraginta dies de iniunctis poenitentijs
misericorditer in Domino relaxamus. Quicumque etiam pro honore, et utilitate,
et augmento dictae Societatis fideliter laboraverint, omnibus sic fideliter
laborantibus, et suadentibus alijs, ut dictam intrent Societatem, quadraginta
dies de iniuncta sibi poenitentia in Domino misericorditer relaxamus. In cuius
rei testimonium praesentes literas fecimus Sigilli nostri munimine roborari.
Datum Forlivij in Capitulo Fratrum Heremitarum S. Augustini die nona Martij
Pontificatus Domini Papae Clementis V, Indictione 10 sub Anno Domini 1310.
56 - Fioriva in questo tempo nel Convento di Gante in
Fiandra un’insigne Letterato, figlio del Convento nostro di quella famosa
Città, il quale in quest’anno appunto terminò di scrivere un ben grande e dotto
Volume di sottili questioni sopra l’Etica di Aristotile, quale dedicò ad
Anibaldo Canonico della Chiesa Cattedrale di Araffo; era questo Volume già di
questa nostra Libraria di S. Giacomo di Bologna, et hora da molti anni in qua,
non so per qual disgratia, si ritrova trasferito nella Libraria privata degli
Eredi del già Sig. Gio. Francesco Negri bellissimo ingegno di questa nostra
Patria, il quale morì l’anno 1660 havendo già all’ordine per le Stampe dieci
Volumi degli Annali di Bologna.
57 - F. Giovanni anch’egli, che fu già principale
promotore della Fondatione del Convento di Ascelet nella medesima Provincia di
Fiandra, poco lungi dalla Città di Liegi, di cui a bastanza scrivessimo sotto
l’anno del Signore 1296. Fu in quest’anno eletto da’ Conti di Loffen, et
Ascelet per loro Confessore. Fu questo un Religioso molto Letterato, e di gran
virtù come testificano il Crusenio, e l’Errera.
58 - Rese parimente molto illustre la sua nobilissima
Provincia d’Inghilterra il famoso Dottore F. Giovanni Vuilton con la sua rara,
e singolare Dottrina, con la quale, così nella famosa Università di Parigi,
come in quella d’Ossonio, fecesi conoscere per uno de’ primi Letterati della
sua età; di esso più volte ne fa honorata memoria, e cita le di lui dotte
Sentenze Giovanni Bacconio insigne Teologo Carmelita nel primo, e secondo
Libro, che scrisse sopra il Maestro
delle Sentenze. Terminò poi questo celebre Maestro la sua ben spesa vita in
quest’anno del 1310 con raro esempio di perfetto Religioso. Vedasi il Pitseo e
l’Errera, quegli ne’ suoi Scrittori dell’Inghilterra, e questi nel Tomo primo
dell’Alfabeto Agostiniano a car. 462.
59 - Porta opinione Tomaso Errera nel Tomo 2 del suo
Alfabeto Agostiniano a car. 558 che intorno a questo tempo medesimo fosse
fondato nella Città Reggia di Valenza un Monistero di Monache nostre col titolo
della Corona di Giesù, quale poi in progresso di tempo a noi incognito, fu da
esse abbandonato per fondarne un altro più comodo nella stessa Città, quale
stima il detto Autore, che fosse per aventura quello di Santa Speranza, che
allo scrivere dello stesso, si fondò l’anno 1541. Il vecchio poi della Corona
di Giesù, hoggidì è posseduto dall’Ordine Serafico. Vedasi l’Errera ne’ luoghi
citati, e Francesco Gonzaga Vescovo di Mantova già Generale de’ Minori
Osservanti nella terza parte della sua Historia Serafica a carte 1093.
60 - Credesi altresì, e lo scrive il nostro Campo nella
sua Historia Agostiniana a car. 232 che intorno a questo medesimo tempo fosse
istituito nelle parti di Fiandra un’Ordine di pie e divote religiose, le quali
chiamaronsi,
[V, p. 320] le Agonizanti sotto la nostra Regola, e queste havevano
per istituto di assistere a’ poveri Agonizanti. Di quest’Ordine ne scrissero
ancora nelle loro Historie il Romano et il Crusenio, li quali però non dicono
da chi fossero istituite, ma ben si dicono, che vestivano di nero alla maniera
de’ Frati dell’Ordine di S. Alessio; e con questo terminaremo il presente Anno
1310.