Tomo V

Anni di Christo 1308 - della Religione 922

1 [V, p. 274] Habbiamo nel bel principio di quest’anno un Caso attrocissimo successo nella Germania, con la morte violenta dell’Imperatore Alberto, la quale, tanto più aspra, e dura li parve, quanto che li venne cagionata da un suo stretto Parente; fu poi egli cotesto Giovanni d’Austria, duca di Svevia, che fu figlio di Ridolfo fratello del sudetto Alberto, e di Agnese sorella di Venceslao Re di Boemia. La causa poi, che mosse questo Principe giovane mal consigliato a commettere un così horribile Patricidio, fu, perché essendo stato da fanciullo sotto la tutela del Zio, quando poi ne fu uscito fuori, non potè mai ottenere da esso il suo Ducato di Svevia, per quante richieste, et istanze glie ne facesse più volte, così da per se stesso, come per mezzo d’altri Principi; per la qual cosa arrabbiato e disperato insieme, deliberò di levarli la vita; et in effetto, essendo uscito alla Campagna nel primo giorno di Maggio di quest’anno in compagnia del sudetto Imperatore, con tre altri cavalieri soli, che erano suoi complici, nel passare un fiume, di repente assalendolo tutti quattro, con molte ferite, li levarono empiamente la vita; doppo del quale horribile assassinio, non si vedendo sicuri in alcun luogo della Germania, se ne fuggirono fuori di quella in varie parti. Quello, che poi successe del misero Giovanni [V, p. 275] lo diremo sotto l’anno del 1311 in tanto fu sostituito in luogo del morto Alberto Enrico Conte di Lucemburgo, Cuspiniano, Nauclero, Bzovio, Rainaldi, et altri.

2 Essendo morto nell’anno scorso come scrivessimo, nella Città di Gante in Fiandra nel giorno Santissimo di Natale, il nostro generale F. Francesco da Monte Rubiano, si celebrò per tanto in quest’anno il capitolo Generale nel Monistero di Santa Tecla di Genova (chiamasi hoggidì communemente di S. Agostino) e da’ Padri capitolari, fu di commune consenso eletto per nuovo Generale di tutto l’Ordine Maestro F. Giacomo da Orto (picciolo Convento nella Provincia Romana) Dottore Parigino, di gran bontà e dottrina, il qual resse l’Ordine quattr’anni con grand’integrità e giustitia. Habbiamo la copia di un Diploma gratioso fatto da questo Generale, doppo la di lui elettione, mentre ancor stava in Genova, a favore della Confraternità di S. Sigismondo Re di Borgogna (che fu gran Benefattore dell’Ordine nostro nella Francia) erretta prima di questo tempo nella nostra Chiesa di Forlì, ove giace il sagro Corpo del mentovato Re S. Sigismondo. Contiene poi questo Diploma le solite gratie, che si sogliono concedere da’ PP. Generali nostri a famigliari dell’Ordine, cioè la participatione di tutti i beni spirituali, che si fanno in tutto l’Ordine Agostiniano; eccone l’esemplare:

3 Charissimis sibi in Christo, ac devotis utriusque sexus Confratribus de Congregatione Sancti Sigismundi Martiris Civitatis Forlivij. Frater Iacobus Prior Generalis Fratrum Eremitarum Ordinis S. Augustini licet immeritus salutem in eo, qui est omnium salus. Exigente vestrae devotionis affectu, quem ad Ordinem nostrum gratiosis affectibus ostenditis, et hactenus ostendistis, ut veridica Fratrum nostri Ordinis relatione didicimus, devotionis vestrae gratiosa vicissitudine, quantum cum Deo possum decrevi respondere. Idcirco vos universos, et singulos, qui in dicta Congregatione sunt, et intrabunt imposterum, omnium Missarum, Orationum, Praedicationum, Ieiuniorum, Vigiliarum, Abstinentiarum, caeterorumque bonorum, quae per Fratres totius nostri Ordinis operari contigerit, in Charitate Dei, tenore praesentium, vos participes facio, et Consortes; addentes insuper de gratia speciali, ut cum obitus alicuius vestri fuerit in nostro Generali Capitulo nunciatus id pro vobis devote fiet, quod pro nostris defunctis Fratribus in communi fieri consuevit. In cuius rei testimonium sigillum mei officij duxi praesentibus apponendum. Datum Ianuae in nostro generali Capitulo, anno Domini 1308 quinto Kalend. Septembris.

4 In quest’anno medesimo Papa Clemente V allo scrivere del nostro Milensio, e dell’Errera ne’ loro Alfabeti, confermò la Donatione, che fatta havevano al Convento nostro di Bada nella Provincia all’hora di Baviera, et hora d’Austria, di una Chiesa dedicata alla B. Vergine, la quale era situata sopra i famosi Bagni della sudetta Città di Bada fin dall’anno 1297 Enrico de Potendof, e Cunegonda sua Moglie; se bene la detta Donatione era stata confirmata pure da Bernardo Vescovo di Patavia; attesochè vi si richiedeva ancora quella del Sommo Pontefice per il Decreto fatto da Bonifacio VIII che niuna Religione massime Mendicante, potesse prendere il possesso di alcuna Chiesa o Convento, senza l’espressa licenza della S. Sede.

5 Successe altresì in questo medesimo anno la pretiosissima morte di due insigni Beati del nostro sagratissimo Ordine, cioè, del B. Giacomo da Viterbo Arcivescovo di Napoli, e della Gloriosa, e non mai a bastanza celebrata Serafina Agostiniana, la Beata Chiara da Montefalco, [V, p. 276] quegli morto sul principio dell’anno, e questa a’ 18 d’Agosto; per seguire dunque l’ordine del tempo, daremo in primo luogo un brieve saggio della Vita Santa del primo, e poi appresso tesseremo, col divino agiuto, la Vita mirabile della seconda.

Vita Santa del Vener. Servo di Dio il Beato Giacomo da Viterbo Arcivescovo di Napoli,

e gran Dottore Agostiniano.

6 Quantunque sappiamo di certo, che questo buon Servo di Dio nacque nella famosa e nobile Citta di Viterbo, degna Metropoli della Provincia del Patrimonio di S. Pietro, tutta volta, non sappiamo poi, per la poca diligenza de’ nostri antichi Padri, né quali fossero li di lui Genitori, né l’anno preciso in cui egli nacque, né altra cosa della sua pueritia; potiamo però credere, che li Genitori fossero buoni Christiani, e che però l’educassero non meno con l’esempio, che con le parole, nel santo timor di Dio, e nella puntuale osservanza della sua divina Legge; già che gli è certo, che nel primo fiore della sua adolescenza, appena si sentì chiamare dalla divina Voce al sicurissimo stato Religioso, quando subito, senza alcuna dimora, si portò al Monistero nostro intitolato col nome ineffabile della Santissima Trinità, e chiesto l’Habito con grand’humiltà al Superiore di quello, fu ben tosto accettato, e di quello vestito dal medesimo Superiore.

7 Finito l’anno del Noviziato, fece la sua solenne Professione con incredibile contento dell’Anima sua; e poco appresso, come la Religione lo conoscesse di un grand’ingegno provisto, l’applicò per tanto allo studio delle Scienze, così humane, come sagre, prima in uno delli Studj Provinciali di sua Romana Provincia, nel quale, havendo già fatto il corso quinquennale dell’Arti e de’ primi rudimenti della Teologia, fu poi mandato a studiare il rimanente di quella divina Scienza, nella famosa Università di Parigi, ove fu per molto tempo condiscepolo prima, e poi appresso concorrente nella Lettura di quella sagra Facoltà col grand’Egidio Colonna, et anche con altri insigni Dottori dell’Ordine; e si come, mentre fu Secolare non si lasciò già mai avvanzare da alcuno suo compagno; così poi divenuto Maestro, e Dottore, giunse a così alto Grado di perfettione in tutte le scienze, che si acquistò il nome insigne di Dottore Speculativo.

8 E se bene egli fu, come poco dianzi io diceva, condiscepolo del B. Egidio Colonna, non so però se egli fosse discepolo, come quello, del gran Tomaso d’Aquino; io dico questo, perché io so, che quando in Parigi, doppo la morte di quel Santo dottore, si cominciarono a ventillare le sentenze, et opinioni della sua Angelica Somma; e fu permesso a ciaschedun Dottore di poter liberamente scrivere il suo sentimento, il nostro Giacomo con Enrico Gandavense, fu uno de’ primi a scrivere, et a censurare molte Sentenze del sudetto Santo Dottore; il che però non fece per alcun livore od invidia, che portasse a quel gran Soggetto, ma per rintracciare puramente la chiara e sincera verità, perochè per altro era stato sempre egli, et era più che mai ammiratore della sublime e celeste Dottrina di quel gran Santo.

9 – E che ciò sia più che vero, si può comprovare col Testimonio di un soggetto molto qualificato, e di ogni eccettione maggiore; è egli poi questo, Bartolomeo da Capua Soggetto celeberrimo in tutte le virtù, che fioriva appunto in questo tempo del B. Giacomo; hor questi dunque essendo stato [V, p. 277] esaminato nella Causa della Canonizzatione del sopradetto S. Tomaso di Aquino, fra l’altre cose, che depose nel suo esame (che disteso si legge nel Processo formato per la detta Canonizzatione, quale si conserva nella Biblioteca Vaticana) una fu questa di havere inteso dire da F. Giacomo da Viterbo dell’Ordine di S. Agostino all’hora Arcivescovo di Napoli, che egli credeva nella Fede, e nello Spirito Santo, che il nostro Salvatore vero Dottore della Verità, havesse mandati, per illuminare il Mondo, tre grand’huomini in diversi tempi, cioè S. Paolo, S. Agostino e S. Tomaso d’Aquino, a cui non credeva, che fino al fin del Mondo, fosse per succedere un altro simile; e depose di vantaggio, che quando il sudetto F. Giacomo andò la prima volta a Napoli (che fu forse con l’occasione del Capitolo Generale, che si celebrò in quella gran Metropoli l’anno del Signore 1300) volle di primo tratto andare a vedere la stanza ove habitato haveva quel Santo Dottore, come altresì vidde, e toccò, con molta riverenza, la Scutella, ove quegli soleva bere, e dice di più il detto Bartolomeo, che entrato nella stanza sudetta, subito s’inginocchiò, e disse con molta riverenza: io sono venuto ad adorare questo luogo, che calcarono i piedi suoi.

10 – Tutto questo racconto l’habbiamo cavato di peso dal Libro più sopra da noi mentovato, che stampò Bartolomeo Chioccarelli, de Episcopis, et Archiepiscopis Neapolitanis, in Iacobo Viterbiensi a carte 190, ove parlando della stima grande, che faceva il B. Giacomo della Santità e Dottrina di S. Tommaso, dice le seguenti parole: Comperimus enim in processu instructo ab Apostolica Sede pro Canonizatione ipsius S. Thomae, qui servatur in Vaticana Biblioteca, inter alios Testes productos, fuisse Bartholomaeum de Capua virum celeberrimum, qui inter caetera deponit, se audivisse a Fratre Iacobo de Viterbio Ordinis S. Augustini Archiepiscopo Neapolitano, quod ipse credebat in Fide, et Spiritu Sancto, quod Salvator noster Doctor Veritatis, pro illuminatione Orbis et Universalis Ecclesiae, misisset Paulum Apostolum, et postea Augustinum, et novissimo tempore Fratrem Thomam, cui usque infinem saeculi non credebat alium  successurum. Cumque idem frater Iacobus primo Neapolim venisset, voluit duci ad Cameram Fratris Thomae, et ostendi sibi Locum ubi fuerat repertus Discus eius, sive Scutella, et genuflexus dixit: Veni adorare, ubi steterunt pedes eius.

11 – Hor come dunque questo gran Servo di Dio, fa oltre modo dottissimo, così compose varie e diverse Opere insigni, tanto Scolastiche, quanto Morali, li di cui Esemplari, come tanti pretiosi Tesori, si conservano in varie Biblioteche dell’Ordine, massime nella nostra Italia, come in quella di S. Giovanni a Carbonara di Napoli, nell’Angelica di Roma, nella nostra di Bologna, in quelle di Padova e di Milano; e specialmente poi in quella di Viterbo sua Patria, vi si conservano quasi tutte, e sono per appunto quelle, che haveva raccolte con molta fatica, e spesa da varie parti, per darle alla Stampe, il dottissimo P. Maestro Mauritio Tertij da Parma, se ben poi colto prima del tempo, che forse prefisso si haveva nella mente, dalla morte, non puote poi effettuare il suo magnanimo e religioso pensiero. Di queste poi ci riserbiamo di registrarne il Cattalogo nel fine di questa compendiosa Vita; perochè hora vogliamo fare passaggio alla succinta narratione delle sue sante virtù delle quali hebbe l’Anima ripiena

12 E perché studiamo quanto maggiormente potiamo la brevità, per fare tanto più campeggiare le innumerabili virtù di questo gran Prelato in poco spatio, basterà, che diciamo, che egli fu in sommo grado humilissimo, imperciochè così dicendo, verremo a conchiudere, che egli hebbe il possesso di [V, p. 278] tutte le più eroiche virtù, che rendono chiaro et illustre nel cospetto degli huomini e di Dio, ogni maggior Santo del Paradiso. Che egli poi fosse oltre modo humile, lo diede ben chiaramente a divedere nel Capitolo Generale celebrato in Napoli l’anno del Signore 1300 quando nel pieno Congresso di molte centinaia di Religiosi, come in quel tempo notassimo, sentendosi con un publico rimprovero mortificare dal Generale dell’Ordine, che era appunto il B. Agostino Novello, per colpa non solo da esso non commessa, ma ne meno sognata, si levò da sedere, e prostratosi a’ piedi del Superiore con molta humiltà, si rese in colpa di quel mancamento, che fatto non haveva, accennando però rettitudine della sua intentione nel far ciò, che se gl’imputava a colpa, adimandando perdono, con mostrarsi pronto a fare la Penitenza del fallo non commesso. Humiltà, che fece restare attoniti tutti que’ Padri, perochè egli era uno de’ più insigni Soggetti, che fossero in quella religiosa Radunanza.

13 Hor se fu poi così humile, dunque hebbe tutte l’altre virtù, imperochè, chi è humile, et anche patiente, mansueto e modesto; chi è humile, è anche obediente, e come tale volontieri osserva tutti i precetti della divina Legge non solo, ma anche gli Evangelici consigli, ne’ quali consiste tutta quant’è la religiosa Perfettione. Ecco dunque, come resta sodamente provata la nostra propositione, cioè che essendo stato il B. Giacomo nostro in sommo grado humile, fu altresì in conseguenza celebre, et illustre in tutte l’altre virtù, essendo la santa Humiltà il sodissimo fondamento di tutte le sudette virtù.

14 E perché, come disse il Salvatore in S. Luca al cap. 14: Chi giunge a questa altissima perfettione di humiliarsi, viene ben tosto poi dal benedetto Iddio esaltato, et inalzato a grandi honori; ecco appunto, che il B. Giacomo, poco tempo doppo, havendo dato un così alto saggio della sua profondissima humiltà nel sudetto Capitolo, fu per divina permissione inalzato dal Sommo Pontefice Bonifacio VIII al nobilissimo Trono Archiepiscopale di Benevento, con gran sentimento dell’humillissima Anima sua; e poi anche un anno doppo all’altro più nobile di Napoli, così havendolo procurato con molta istanza il buon Re Carlo II, il quale nel mentovato capitolo Generale erasi incredibilmente affetionato alla di lui incomparabile Dottrina e Santità; e ben diede poi maggiormente a divedere quanto di tutto cuore l’amasse doppo che egli hebbe preso il possesso qi quella sua nobilissima Metropoli; attesochè non chiese mai gratia alcuna, che subito non glie la concedesse, come habbiamo in parte dimostrato negli anni scorsi; e fu così puntuale il Re, che riferisce il Chioccarelli nel luogo citato più sopra; che essendo stato condannato a morte l’anno 1306 un Cavaliere di gran portata, che era Barone della nobilissima Terra di Candela nella Provincia di Capitanata, per haver fatto uccidere un altro nobilissimo Cavaliere, con tutto ciò, che la maggior parte de’ Principi del Regno supplicasse il Re a commutare la pena della morte in altra pena più mite, mai fu possibile, che arrendere si volesse alle loro preghiere; ma non così tosto comparve alla di lui reale presenza il Santo Arcivescovo, per supplicarlo della medesima gratia, quando subito il Re placossi, et in gratia del buon Giacomo, si compiacque di commutare la pena della morte in quella dell’esiglio di cinque anni nel Regno di Cipro, con altre pene pecunarie, quali a minuto raccota il sudetto Chioccarelli, e poi soggiunge di havere il tutto cavato da’ Regi Registri.

15 Havendo dunque governata per lo spatio di quasi cinque anni il glorioso Giacomo, con gran rettitudine e Santità la sua nobilissima Chiesa, alla perfine, [V, p. 279] ricchissimo di meriti, e di virtù, fu dal Signore Dio chiamato nel principio di quest’anno del 1308 (come certamente stimano l’Ughelli nel Tomo sesto della sua Italia Sagra, e l’Errera nel suo Alfabeto) in Paradiso a ricevere il premio dell’Eterna Gloria; non si sa però né il giorno, né il Mese preciso in cui quell’Anima benedetta fece il suo glorioso passaggio al cielo. Certo è però, che ciò fu prima del giorno sesto di Marzo, in cui già erali successo, con Apostolica autorità di papa Clemente V, Umberto di Monteaureo Borgognone famigliare del Re Carlo. Ha poi egli sempre goduto questo Santo Prelato nella Religione fin dal tempo della sua beata Morte, il glorioso titolo di Beato, e con nome tale viene chiamato da tutti li nostri Autori, et anche dagli Esteri, che di lui parlano. Diamo hora il Cattalogo promesso delle sue Opere insigni.

16 Primieramente dunque egli compose due Libri De Regimine Christianitatis, diretti e dedicati al Sommo Pontefice Clemente V, il quale si conservano nella Libreria Vaticana. Quattro Libri sopra il Maestro delle Sentenze. Un Libro di varj Sermoni, il quale si conserva nella Biblioteca de’ Canonici di S. Pietro di Roma. Un altro Libro di dottissime quistioni de Divinis Praedicamentis. Un altro Libro, che contiene quattro Quolibeti disputati in Parigi, quali si conservano nelle nostre Librarie di Roma e di Milano. Questo è il Cattalogo, che registra nella sua brieve Cronica Gioseffo Panfilo nostro, nel fine del quale aggiunge in generale, che il B. Giacomo compose molti altri Libri, li quali doppo la di lui morte furono usurpati da varj Soggetti, che poi li divulgarono sotto i loro proprj nomi. Aggiunge pure a mentovati, il Chioccarelli, altri Libri de’ quali non hebbe notitia il Panfilo, e questi sono: un Libro, il cui titolo fu questo: Divisio super eosdem libros quatuor sententiarum. Un altro libro chiamato Summa Summae. Un altro pure, che contiene varie quistioni de Angelis. Un celeberrimo Opuscolo de Coelorum Animatione, il quale (dice il Chioccarelli) viene citato dallo stesso Giacomo nel lib. 3 de Quolibeti quist. 24. Un altro Libro sopra l’Epistole di S. Paolo. Et un altro nel quale produce infinite Sentenze de’ Santi Padri, per dichiaratione delle medesime Epistole; e di questo una copia se ne conserva nella nostra Libraria di Bologna. Due altri trattati sopra l’Evangelio di S. Matteo, e di S. Luca. Un altro Opuscolo intitolato Summa de Articulis Fidei. Un altro Libretto, nel quale vi si contiene una gravissima disputa de Mundi Aeternitate secundum Fidem Catholicam. Tre altri Volumi sopra la Fisica, e Metafisica, et altre Opere di Aristotele. Un altro il cui titolo è questo: Notabilia in sententias. Un altro intitolato Concordiantiae Psalmorum David, e questo lo dedicò a Carlo II Re di Napoli suo gran Mecenate. Dice altresì il Choccarelli, che egli fece la Tavola a tutte l’Opere di S. Tomaso d’Aquino, quale poi da un altro Autore fu data in luce sotto il suo proprio nome. Aggiunge di vantaggio il mentovato Chioccarelli, che il B. Giacomo ridusse in più brieve forma il Tomo primo del grand’Egidio Colonna sopra il Maestro delle Sentenze. Soggiungo io finalmente, che in questa nostra Libraria di S. Giacomo di Bologna vi è un Trattato nobile dello stesso Beato de Spiritu Sancto, diviso in 50 quistioni.

17 - [V, p. 280] Trattano poi di questo gran Servo di Dio tutti li nostri Autori più classici, e specialmente il B. Erico di Urimaria, il B. Giordano di Sassonia, Ambrogio Coriolano, Giacomo Filippo da Bergamo, il Cardinale Girolamo Seripando, Egidio da Viterbo pur Cardinale, Gioseffo Panfilio, il Ven. F. Alfonso d’Orosco, Girolamo Romano, Nicola Crusenio, Tomaso Errera, et altri. Degli Esteri poi Giovanni Tritemio, Antonio Possevini, Abraamo Bzovio, Bartolomeo Chioccarelli, et altri passim. E quivi per chiusa della Vita di questo beato Dottore, et insigne Prelato, voglio produrre un bellissimo Epigramma fatto in lode sua dal P. Maestro Niceforo Sebasti Melisseno d’origine Greco figlio del Real Convento di Sant’Agostino maggiore di Napoli, nostro antico e caro Amico: Diceris Antistes, magnus speculator in Aulis, / Divina haec merito nomina scripta docent. / Lucta erit hinc ingens, magnum certamen, an isti ab / Infula, an a Libris gloria tanta Venit? / Sed componamus; dum libros Patria laudat, / Virtutes celebrat Parthenope alma tuas.

 

Compendio succinto della Vita meravigliosa, e tutta Celeste, della

Serafica Vergine, e Sposa diletta di Christo la B. Chiara da Montefalco.

18 Correva l’anno della nostra Redentione 1268 in cui era già vicino a terminare il corso di sua vita mortale il Santissimo Pontefice Clemente IV e Generale dell’Ordine nostro il Reverendissimo F. Guido dalla Staggia, quando nella Terra, non ignobile di Montefalco, situata sopra d’un Colle ameno, dalla cui cima si vagheggia, tutta quant’è, la fertilissima Valle Spoletana, nacque la gloriosa verginella Chiara; li suoi Genitori furono Damiano e Giacoma ambi di honorata Famiglia, e molto timorati di Dio. Appena era ella giunta questa celeste Bambina alla tenera età di quattr’anni, nella quale i Fanciulli a fatica fanno l’Oratione Domenicale, quando ella, come fosse stata per lungo tempo esercitata nella santa oratione, a quella di tal sorte cominciò ad applicarsi, che pareva, che altro fare non sapesse, o potesse, che orare; attesochè ogni qual volta che poteva, s’ivolava a gli occhi della Madre, e degli altri di casa, et in qualche luogo ritirato si nascondeva per orare. Altre volte ancora, che non poteva, così commodamente nella Casa orare, tacitamente di quella usciva, e se ne andava in una picciola Chiesa a S. Gio. Battista dedicata, et ivi, con gran quiete, e contento dell’Anima sua, attendeva all’amato esercitio delle sue divote orationi. In questa Chiesa poi, pochi anni doppo, cioè nell’anno 1279 fondò l’Agostiniana Religione un Monistero, il quale, pur anche fin’al giorno d’hoggi si conserva; laonde permise forse Iddio, che la santa verginella Chiara si ritirasse in quel luogo a fare le sue divotioni, perché l’haveva già destinata fino ab eterno, a dovere honorare, con la sua smisurata Santità, la Religione del nostro gran P. S. Agostino, di cui appunto, pochi anni doppo, insieme con la sorella Giovanna, e con altre divote Verginelle, prese l’Habito Santo.

19 Ma perché il Demonio, che forse da questi principj così santi, congetturò la futura Santità della B. Verginella Chiara, [V, p. 281] si accinse per tanto ad assalirla con varie tentazioni, ed anche bene, e spesso, con formare gridi e urli di varie Bestie, e con farli vedere spaventose Larve, per distornarla dal suo santo esercitio; ma ella nulla temendo somiglianti Spauraci, più che mai attenta e fissa nella sua oratione si stava, e per rendersi anche più forte e più gagliarda a gli assalti di quel fiero Mostro, istruita, come certamente credere si deve, dal suo Celeste Sposo, cominciò ad accoppiare all’Oratione il Digiuno; laonde, non si può credere quanto si arrabbiasse l’Inimico infernale in vedersi, così vergognosamente vincere, e superare da una sì tenera Fanciulla.

20 Erasi alcun tempo avanti ritirata una Sorella di Chiara, che Giovanna  chiamavasi, et era di molto maggior età di lei, in un Reclusorio con altre Giovinette a servire, così segregate dal Secolo, con vita più quieta e più raccolta, a Dio benedetto, con pensiero stabile e fermo di non voler sposarsi con altro Sposo, che con esso. Chiara in tanto, che di già era giunta all’età di sei anni, come sovente andasse al detto Reclusorio per visitare la Sorella, che di quello era Rettora, vedendo la santa vita, che menavano quelle buone Serve del Signore in quel beato Ritiro, si accese anch’ella di tanto desiderio di entrare nel medesimo luogo, che sempre stava pensando giorno e notte, al modo, che tener poteva per conseguire il suo bramato intento; e finalmente havendo più volte pregato, così il Padre e la Madre, come la sorella Giovanna, di essere colà dentro anch’essa, con l’altre ricevuta, et ammessa, come che si rendessero un poco difficili a darli questa licenza, a cagione della sua troppo in vero tenera età; tutta volta, perseverando ella nelle sue reiterate istanze e preghiere accompagnate sempre da gran copia di lagrime innocenti, alla perfine fu con gran contento della purissima Anima sua accettata e ricevuta dalla buona Sorella nel sospirato Reclusorio; il che fu fatto in tempo, che ritrovavasi ivi presente Tomaso Vescovo di Spoleto, il quale nel suo ingresso le diede la sua Episcopale Benedittione.

21 Entrata dunque nel Reclusorio sudetto, non solamente continuò le sue solite orationi e digiuni, con l’altre sue consuete divotioni, ma di vantaggio le raddoppiò, a segno tale, che se la Sorella, come Superiora, non gli havesse assegnato il tempo, e la misura a ciascheduno de’ sudetti esercitj spirituali, altro non haverebbe ella mai fatto, che orare, digiunare, disciplinarsi, e mortificare in mille guise il suo non meno innocente, che tenero Corpicciolo. La Sorella dunque vedendo, che Chiara era cotanto applicata alla santa oratione, gli assegnò per tanto un luogo assai rimoto, e ritirato, ove a sua voglia potesse orare, e far altri esercitij di mortificatione; laonde occorse molte volte, che non volendo ella partirsi dal predetto luogo, ove orava senza la licenza della Superiora, e trovandosi questa bene, e sovente nel tempo di chiamarla, occupata negli affari della Casa, o pure intenta anch’essa all’oratione medesima, passava molto tempo, ed ella con gran gusto dello spirito stava ivi perseverando molte hore nella sua longhissima oratione, dalla quale non si partiva fin che chiamata non era.

22 Ma, che diremo del rigoroso Silentio, che ella osservava con tanto rigore, che se l’havesse per avventura rotto in qualche parte ben picciola, subito ne faceva asprissima penitenza col tenere i piedi ignudi in un Cattino pieno di acqua gelata fin tanto, che havesse finito cento volte di recitare il Pater noster. Era poi così guardinga, et occulata nel custodire la santa purità Virginale, che o non mai, o di rado si accostava al Parlatorio, non dirò a favellare con Huomini, o Donne straniere, ma né meno con il proprio Fratello, [V, p. 282] e quasi stette per dire, con l’istessa Madre; e se pure per obbedienza era necessitata a parlare co’ Parenti, o nascondeva il volto doppo il muro, o pure copriva la finestra con un panno, dicendo, che per parlare non era necessario il mostrare la faccia. Era in somma così ubbidiente, così humile, così caritativa, e così santa in tutte le sue attioni, che come serviva d’un perfetto esemplare all’altre sue Compagne, così faceva inarcare le ciglia per lo stupore per infino a gli Angeli istessi del Paradiso.

23 Havendo poi, sei anni doppo, la B. Giovanna sorella della B. Chiara, per la Celeste Visione d’una risplendente Croce, che da Dio li fu mostrata sopra un picciolo Colle detto di S. Catterina del Bottaccio, presa risolutione, così ispirata da Dio, di fondare in quel luogo un Monistero, e farsi vera Religiosa con le sue Compagne in una Religione approvata a beneplacito del vescovo Diocesano, che all’hora era Gerardo. Colà per tanto passata fece gettare le fondamenta del detto Monistero, e perché in quel primo tempo, non essendo finita la fabrica, stavano molto scommode, e disagiate le Suore, massime nel tempo del Verno, la B. Chiara, che era tutta impastata d’Angelica carità, niuna cura di se stessa havendo, solo si rammaricava del patimento, che facevano le Sorelle, che però levandosi il Manto, andava con quello, hora una et hora un’altra di quelle coprendo schermendole in questa guisa meglio, che poteva, da’ rigori della stagione.

24 Essendo poi terminata l’humile fabrica del Monistero, e venuto il Vescovo sopradetto per darli l’Habito e la Regola, che già prima con istanza grande gli havevano chiesta, pensò egli come, che discretissimo era, di darli l’habito e la regola del nostro Padre S. Agostino, come già dimostrassimo nel suo luogo, cioè sotto l’anno 1290 ove anche producessimo il Diploma del medesimo Prelato in cui registrata si legge tutta questa Religiosa funtione. Chi potrebbe hora con bastevole energia, riferire l’allegrezza, et il giubilo incomparabile, che provarono quelle benedette Verginelle, quando si viddero vestite con l’habito santo della Religione Agostiniana, e massime le due Beate Sorelle, Giovanna e Chiara; la quale allegrezza poi crebbe in immenso, quando fecero la solenne Professione, vedendosi all’hora vere Spose di Giesù Christo. Governava intanto quella santa Casa, non più in qualità di Rettrice, ma di Abbadessa, la B. Giovanna, alla quale se ben tutte ubbidivano, e portavano riverenza, e rispetto, come a loro vera Madre spirituale, niuna però arrivava al segno di Chiara, la quale tuttochè li fosse sorella, nulladimeno la riveriva, l’ubbidiva, e la serviva, come se quella fosse stata sua Signora et ella Serva e Schiava. E perché in quel primo tempo appunto erano molto povere, e perciò bisognose di andare limosinando il vitto di Casa in Casa, supplicò per tanto l’humile Serva di Dio Chiara, l’Abbadessa, a mandarla a cercare la sudetta limosina, et havendo ottenuto l’intento, non si può credere, con quanta diligenza e fatica ella facesse quella caritativa et humile ubbidienza; e si nota nel Processo fatto per la sua canonizzatione, che quantunque andasse a cercare la detta limosina fuori della sua Terra per le vicine Ville, andò sempre così circospetta, e così guardinga, che mai alcuno si puote vantare di haver veduto il suo volto, né di haverli fatto prendere un solo boccone per ristorarsi in Casa sua, attesochè per qualsivoglia accidente non volle mai né mangiare, né bere, né ricoverarsi in Casa di alcuno, etiamdio per ripararsi dalle pioggie, e dall’altre inclemenze del Cielo.

25 Essendo poi passata indi a cinque anni la Beata Giovanna, ricchissima di meriti infiniti, in Paradiso a ricevere dalle mani del Sovrano Monarca, il meritato premio della Gloria eterna, fu ella eletta, di commune consenso, [V, p. 283] Abbadessa di quella religiosa Communità, in luogo della Sorella, essendo all’hora in età d’anni 27, e se bene fece ogni sforzo l’humil Serva di Dio, per non accettare quella carica honorevole, nulladimeno fu necessitata a soccombere, mossa dalle preghiere e dalle lagrime di quelle sue buone religiose, le quali si protestarono, che non volevano altra superiora che lei. Accettata dunque, che hebbe quella carica per lei molto pesante, non tanto per le preghiere sudette delle sue Monache, quanto per il commando del Vicario, tanto è lontano, che ella punto mitigasse le sue rigorose penitenze, ed austerezze, che anzi le accrebbe quasi in immenso; imperciochè proseguì i consueti Digiuni, non mangiando mai carne, né bevendo vino, e stando anche tal’hora due e tre giorni intieri senza mangiare; non tralasciò le solite discipline, anzi le radoppiò; se prima portava un Cilicio tessuto di crine di Cavallo, doppo fatta Abadessa, un altro ve ne aggiunse di setole di Animale; se prima vestiva di povera Tonaca, e vile, doppo non ne prese una migliore, anzi che di una delle più vile, e più rattopate si vestì, quale volle sempre portare fino alla morte; il di lei letto non fu, che di semplice paglia, come prima, e se tal’hora regalar si voleva, ciò era con coprirlo di pungenti urtiche; se prima si esercitava ne’ più vili servigi del Monistero, come nel scoppare il Chiostro, et anche molte volte le Celle dell’altre Religiose, nel lavare i piatti della Cucina, nel servire nell’infermaria anche ne’ più abietti, e bassi servigi, et in altre cose tali; doppo fatta Abbadessa, non tralasciò d’impegnarsi ne’ medesimi esercitij per vili, e stomachevoli che fossero; anzi che ciò fece con frequenza maggiore, attesochè quando era semplice suddita da tali esercitij era bene, e sovente dalla Superiora per compassione ritratta, se bene ciò non gli era punto di solievo, anzi gli riusciva di grandissima mortificatione.

26 Per descrivere poi l’immenso e smisurato amore, e la svisceratissima carità, che ella portò a Dio, sarebbe di mestieri, che scendesse un Serafino de’ piu ardenti, et infuocati dal Cielo, per ispiegarla; attesochè, fu così grande il detto amore e carità, che con tutto ciò, che ella facesse tante penitenze, e si affliggesse con tante austerezze, e castigasse il suo innocentissimo Corpicciolo con tante discipline, e si esercitasse in tante bassezze, e vili servigi, e si soggettasse anche da Superiora alla minima Conversa del Monistero, e molte volte ancora dalle sue Suore si facesse dare la disciplina anche fino allo spargimento del sangue, le quali cose tutte ella faceva per l’amor grande ch’ella portava a Dio; nulladimeno a lei pareva di far nulla, o poco; e ciò era, perché considerando ella, che quanto faceva per amor di Dio, che sapeva essere immenso et infinito, perciò il suo operato li sembrava un nulla.

27 Per qualunque cosa, che ella facesse, o dicesse, mai per un solo puntino dal suo Dio si allontanava, ma sempre in quello gli occhi della sua mente fissi teneva. I patimenti, le infirmità, che sovente la travagliavano, le persecutioni de’ mal viventi, e de’ demonj ancora, li quali spesse volte con battiture e percosse, l’affliggevano, et insomma tutte le tribulationi, le calamità, e le miserie, che sopra di lei si scaricavano, non solo le sopportava con grandissima patienza e sofferenza, anzi che le riceveva con tranquillità di cuore e con lieta fronte, che li sembravano dilettevoli piaceri, e consolationi, perché il tutto era per amore del suo Dio; quindi è, che da qual si voglia cosa, benchè minima, che havesse apparenza del peccato anche veniale, si guardava ella con gran diligenza, per non offendere in conto alcuno il suo amoroso Dio; e sovente diceva che più tosto, che offenderlo, etiam con un minimo peccato, si sarebbe esposta a mille tormentose morti e martirij; [V, p. 284] e tal’hora ancor diceva, che haverebbe volsuto havere un Corpo grande alla maniera d’un smisurato monte, per havere occasione di potere affaticarsi, e travagliare con più gagliardo vigore in servitio di S. D. M. e che haverebbe altresì bramato di havere centinaia di Corpi per esporli tutti a mille migliaia di patimenti, di pene e di tormenti, et alla morte istessa per amore del suo eterno Bene. Non poteva perciò soportare le gravissime offese, che venivano fatte a Dio da’ scelerati peccatori; e quando tal’hora alcuna ne sentiva, o ne sapeva, piangeva dirottissimamente, e si flagellava, per ricompensare in parte, col suo gratissimo amore, l’ingratitudine con la quale veniva offeso il suo Celeste Amante. Insomma era così sviscerato l’amore, che questa Santa Vergine a Dio portava, che per dirlo in una sola parola, come ad altro mai non pensava, e d’altro mai non parlava, che di Dio, e dell’obbligo grande, che ogni Creatura ragionevole ha di amare e di servire il suo Dio; così poi finalmente tutto ciò, che faceva et operava, o per se, o per altri, tutto era in ordine a Dio, tutto era indirizzato a Dio, tutto insomma era per  Amor di Dio.

28 Ma che diremo poi della fervorosa divotione, che haveva questa Serafina in carne, alla Passione del Nostro Signore Giesù Christo? Non altro in vero salvo solo, che n’era così innamorata, che mai ad altro non pensava, né d’altro mai ragionava, che di quella; se mangiava, se beveva, se caminava, se stava ferma, se vegliava, se dormiva, sempre haveva la Passione del suo Signore nella mente, nel cuore; dovunque fissava lo sguardo, ivi ritrovava materia da contemplarla e meditarla, imperochè, se vedeva cose longhe, parevale di vedere la lancia con cui li fu trafitto il petto; s’erano curte, li ramemoravano i Chiodi, le tenaglie et i Martelli; s’erano concave, li rappresentavano la profonda Piaga del Costato; se erano circolari, li riducevano alla memoria la Corona di Spine, et insomma ogni qualunque cosa, che scorgeva, li rapresentava qualche mistero della Santa Passione.

29 E tanto poi s’internò in questa fissa consideratione e conteplatione dell’attrocissima Passione del Buon Giesù, che si accese di somma voglia di vederla, per poter meglio imprimerla nell’Anima sua e nel suo Cuore; laonde più volte nelle sue fervorose orationi, ne supplicò il Signore, il quale finalmente si compiacque di esaudirla; imperciochè stando una volta contemplando la detta passione, solevata in ispirito, vidde tutta la serie di quella, come per l’appunto passò; cioè, la turba tumultuante degli Hebrei, che accusavano Christo, i clamori, e i schiamazzi de’ medesimi a Pilato, acciò lo condannasse alla morte della Croce; vidde la funesta processione, che conduceva il Signore, già condannato, al Calvario; lo vidde Crocefiggere su la Croce, e questa poi inalzata sopra  del detto Monte con tutte l’altre dolorose e tormentose circostanze; e mentre stava in questa guisa contemplando, con sua estrema pena e tormento, una così dolorosa Tragedia, sentì una voce, che chiaramente li disse: Ecco, che tu hai veduta tutta la passione del tuo Signore dal principio fino alla fine, come se appunto tu fossi stata ivi presente sotto la Croce.

30 Occorse intanto, che stimando ella, per la sua simplicissima sincerità, e purità di cuore, e come stimava, che ciascheduno fosse migliore, che non era essa, e che perciò il Signore, non solo facesse, a gli altri gl’istessi favori e gratie, che a lei faceva, ma altre anche maggiori, perciò favellando un giorno con una Religiosa, come sovente soleva della mentovata passione, e de’ favori, che il Signore ben’è spesso continua di fare a suoi Servi fedeli, che divotamente contemplano i Misteri di quella, venne sinceramente a raccontarle [V, p. 285] ciò che da essa era più volte accaduto, chiedendo alla detta Monaca se lo stesso era avvenuto ad altri; ma rispondendo, che mai tali cose vedute haveva; rimase per tanto l’humil Serva di Dio molto confusa, conoscendo all’hora la sua simplicità in rivelare ciò che doveva tenere molto segreto; per la qual cosa, il Signor Dio la volle mortificare, con trattenere questi et altri favori, che cotidianamente fare li soleva, per lo spatio di 11 anni intieri, non già per alcuna sua colpa, ma per renderla più cauta, e per far prova della sua costanza e conformità nel divino beneplacito. E se bene in tanta arridità ella sopportava pene e tormenti intollerabili, nulladimeno considerando, che così voleva il suo Celeste Sposo, il tutto, con gran quiete e riposo dell’Anima tolerava.

31 In questo tempo poi li fece vedere Iddio un strano conflitto fra le virtù et i vitj, e parevali di vantaggio, che così le virtù, come i vitij nel sudetto conflitto si servissero delle loro proprie qualità e proprietà; e se bene la buona Serva di Dio faceva quanto poteva per non vedere le proprietà de vitij, nulladimeno volle Iddio, che sempre le vedesse per tutto il corso di quegli undici anni accennati; e tutto ciò fece Iddio per suo maggior profitto attesochè in questo tempo da tali conflitti, aprese tanta dottrina, e sapere, che in avvenire poi puote sempre discorerrere con Huomini sapienti di qualsivoglia più alto e sublime mistero della Divina Teologia, e fu sufficiente a dar risposta chiara et aperta a qual si sia più difficile dubbio, che proposto li fosse. Nell’ultimo anno poi verso il fine, mentre stava dicendo Terza, hebbe una Visione di questa sorte: parveli, che un huomo, standoli dietro le spalle allungasse le mani a vista sua, nell’una delle quali teneva una lucerna accesa, e nell’altra un fascetto di paglia, quale procurava di accendere col fuoco della detta lucerna, ma in vano; ed in quel mentre udì una voce, che disse: bagna la paglia nell’oglio, e l’accenderai; il che havendo quell’Huomo fatto, subito si accese. Et all’hora conobbe la gloriosa Chiara, che per tornare a godere i favori del Cielo, era necessario, che si attuffasse nell’oglio della santa humiltà; il che havendo ella fatto con modo inesplicabile, tornò Iddio a favorirla con le solite gratie, et anche con altre di lunga mano maggiori; fra quali la più sublime fu, quando li comparve con la Croce in spalla et impresse se stesso realmente Crocefisso in Carne, nel suo beato Cuore, come a lungo scrivessimo sotto l’anno del Signore 1303, cinque appunto prima della sua morte.

32  E se in riguardo dello svisceratissimo amore, che portava al suo Divino Sposo, fu così divota della sua Santissima Passione, e così ardentemente bramò sempre di participarla, e di provarla in se stessa, e l’ottenne poi abbondevolmente, come abbiamo veduto ne’ numeri passati; non fu parimente meno divota del Santissimo Sacramento, in cui sapeva di certo per la viva fede, che nel suo cuore haveva, che vi rissedeva con invisibile maestà il suo Celeste Amante, che però haverebbe sempre volsuto star genuflessa orando; e se bene non poteva continuamente riceverlo, come haverebbe desiderato, frequentava però la Santa Communione più sovente, che poteva, e che li veniva permesso dalla Santa Ubbidienza; e quel giorno in cui effettivamente non poteva cibarsi di quel Divinissimo Sagramento, di quello si pasceva non di meno con l’affetto; e se tal’hora dalla Superiora li fosse stata vietata la Divina Refettione, ne sentiva ella tanta pena e tormento, che li pareva di doverne morire. Specialmente si racconta dagli antichi Autori della sua Vita, et anche da’ Moderni, che havendole fatto un tale divieto l’Abbadessa sua Sorella, per far esperienza della sua patienza, [V, pag. 286]  nel tempo appunto preciso in cui stava per communicarsi, ne sentì tanta pena, che ritiratasi nella sua Cella, proruppe in un pianto così amaro e doloroso, che se il suo Giesù non scendeva dal Cielo per confortarla, ne sarebbe rimasta estinta. Un’altra volta pure non havendo potuto per non so quale impedimento communicarsi, e stando perciò nella sua Cella ramaricandosi e dolendosi per tal cagione, venne di nuovo Giesù Cristo in propria persona, e con le sue Santissime Mani la Communicò, il qual favore invero come concesso a pochi, così sopra d’ogni altra gratia, singolarissimo stimar si deve.

33  Ma qual lingua poi potrebbe mai spiegare il riverente amore, che ella portava alla Santissima Trinità, il di cui ineffabile Mistero continuamente meditava, e contemplava con tanta riverenza et affetto, che se bene è impossibile all’intelletto creato il poter giungere ad intendere una minima particella di così alta e sublime Teologia, nulladimeno si tiene per cosa certa, che Nostro Signore la rendesse capace di così ineffabile Mistero; che però li furono ritrovate nel Fiele, doppo la di lei morte, quelle tre prodigiose Palle, delle quali tanto pesava una, come due, e come tre; e tanto tre, come due, come una; e tanto due, come una, e come tre; ciò fece il Signor Dio, acciò sapesse la Chiesa, che si come la sua gloriosa Sposa Chiara portava nel suo Cuore scolpita la di lui appassionata, e crocefissa Humanità, così pure all’incontro racchiudeva nelle sue viscere l’altissimo Mistero della Santissima Trinità.

34 - Fu finalmente devotissima della Beatissima Vergine, de’ Santi Apostoli, di tutte le Angeliche Gerarchie, e di tutti i Santi del Paradiso, che però meritò poi, che nel puto della sua beata morte, l’istessa gran Madre di Dio accompagnata da tutti gli Angeli e da tutti i Santi, scendesse dal Paradiso nella sua felice Celetta per ricevere l’Anima sua, e condurla a celebrare in Cielo l’eterne Nozze col suo Divino Figliuolo; che però, quando la vide con quella Beata Compagnia, tutta lieta disse: Ecco la mia Madonna, ecco il mio Padre S. Agostino, ecco gli Angeli, ecco i Santi tutti, che vengono a prendermi per condurmi al mio Signore, che colà su mi vuole in Paradiso. Dalle quali parole ben chiaramente si comprende quanto fosse stato parimente l’amore, e la divotione, che haveva havuta alla Beata Vergine, et a tutti i Santi.

35 E perché dall’Amor di Dio non va mai disgiunto l’Amore del Prossimo, anzi che questo è un’evidente segno di quello, che a Dio si porta, come insegna il nostro B. Simone da Cassia; perciò la nostra gloriosa Chiara, si come amò sempre con ardentissimo Amore il suo Dio, così pure con sviscerato affetto amò il Prossimo, a segno tale, che tutti li Scrittori della sua Vita, quando entrano a trattare delle finezze di questo suo amore verso del Prossimo, pare che non trovino la strada di finire di favellarne. E specialmente, quando vedeva qualche persona afflitta e tribolata, gli haveva tanta compassione, che giusta il consiglio dell’Apostolo, piangeva co’ piangenti, si affligeva con gli afflitti, e stava mesta con i mesti; e per consolarli, et applicare l’opportuno rimedio alle loro afflittioni e travagli, non tralasciava cosa, che far potesse, che tostamente non facesse; orava insieme con le sue Monache per essi, digiunava, si disciplinava, e molt’altre mortificationi faceva, per rendere placato Iddio co’ Peccatori, a segno tale, che mai si quietava fin tanto, che non vedeva il suo prossimo consolato, e posto in stato di sicurezza, e di quiete; a proposito di che, si narra nel Processo della sua Vita, che ritrovandosi un Giudice della Terra di Montefalco, e due altri Giovani, da Foligno l’uno, e l’altro da Spoleto, in evidente pericolo non solo della vita temporale, ma dell’eterna ancora; Chiara non così tosto intese il loro stato [V, pag. 287] infelice, quando  subito in compagnia dalle sue Suddite fece oratione a Dio, con tanto fervore e spirito, a pro di que’ miseri, che Iddio subito l’esaudì, imperciochè il Giovane di Foligno, ch’era gravemente infermo, di repente si risanò, e tutti e tre poi mutando vita e costumi, si fecero Religiosi, e terminarono con fine lodevole le vite loro. Un’altra volta pure, temendo il Padre d’un certo Religioso, che questo dall’Ordine suo non appostasse, tutto afflitto, e dolente all’oratione della B. Chiara di tutto cuore si raccomandò, il che havendo ella fatto con molta carità, quel Religioso mutò pensiero, e perseverò poi con molta edificatione, et esempio fino al fine di sua vita nella sua vocatione. Un altro gran Peccatore, essendosi anch’egli raccomandato alla Santa Verginella, acciò pregasse Iddio, che li dasse gratia di mutar vita, lo fece di buona voglia la Santa, e con gran fervore una, e due volte, e non fu esaudita; ma tornando poi la terza volta ad orare con maggiore fervore di prima, come se ella fosse stata la peccatrice, fu finalmente esaudita, perché fors’anche colui fece qualche cosa dalla sua parte; attesochè, come saggiamente disse S. Gio. Grisostomo: Prosunt quidem plurimum Orationes Sanctorum, sed tunc praecipue, cum nos idipsum per poenitentiam postulamus.

36 Verso de’ Poveri, e verso degl’Infermi fu così pietosa e misericordiosa, che si come a primi non mancò mai di soccorrere nelle loro necessità e bisogni, fino a privare se stessa de’ necessarj alimenti, et a spogliarsi delle vestimenta per ricoprire la loro nudità, così poi all’incontro verso degl’Infermi non tralasciò cosa, per loro solievo, che non facesse; attesochè a quelli fuori del Monistero mandava le Medicine, et i Cibi, e tutto ciò che loro bisognava; et all’inferme poi del Convento, tutto che fosse Abbadessa, prestava tutti que’ più vili servigi, che le minime Serventi aborrivano di fare, li rifaceva i letti, li dava da mangiare, le confortava, le consolava, e per renderli le loro infirmità più tolerabili, si riduceva fino a baciarle le piaghe, che le tormentavano.

37 Ma chi potrebbe poi con bastevole Elogio encomiare il perfettissimo amore, e l’ardentissima carità, che portò sempre questa gloriosa Vergine a suoi più fieri e crudeli nemici. Io non niego, che non sia gran virtù il dimostrarsi pietoso verso del Prossimo Amico; ma l’amare, e far bene all’Inimico, è una delle più eroiche attioni, che possa fare un perfettissimo Christiano; hor la nostra Beata si dimostrò mai sempre così pietosa, e benefica verso chi offendeva così essa, come l’altre Suore del suo Monistero, che tutto quel bene, che poteva fare a gli offensori, non mancava di fare, pregando continuamente per essi nelle sue fervorose orationi, facendo altresì fare lo stesso alle sue Suore, e se erano persone bisognose non tralasciava di soccorrevole, e sovenirle spiritualmente e temporalmente in tutto ciò che poteva. Potressimo a questo proposito produrre quivi molti casi, tre soli però in contestatione della gran carità di Chiara verso de’ suoi nemici, ci giova di proporre. Il primo è di un Notaio di Montefalco, il quale negava di havere certe Scritture del Monistero, quali realmente haveva, e di vantaggio con villane parole minacciava le povere Religiose; hor poco appresso, essendo stato costui da altri accusato per falsario, fu perciò preso dalla Giustitia, e già convinto, stava in pericolo di perdere la destra mano, la qual cosa intesa dalla B. Chiara, mossa a pietà di quel meschino, oltre l’oratione publiche e private, che fece altresì fare dalle sue Suore, all’incontro si adoprò di vantaggio con buoni mezzi appresso del Giudice, e fece tanto, che colui fu lasciato libero et impunito. Così pure havendo due Huomini della detta terra fatte molte violenze al suo Monistero, [V, pag. 288] per trarne fuori una loro Sorella, e minacciato ancora di abbruggiare il Convento, e fatte altre ingiurie, la buona Serva di Dio, quantunque haverebbe potuto farli severamente castigare, nulladimeno per amor di Dio il tutto rimise, e perdonò, pregando in oltre molto di cuore il Signore a perdonarli anch’egli, come essa fatto haveva. Il terzo poi fu di alcune Monache di un altro Monistero di Montefalco, le quali, o per invidia, o per diabolica istigatione, havevano procurato con maligne detrattioni d’infamare la Santa Verginella con le sue Religiose; ma essa con tutto ciò, che molto le dispiacesse un così grave eccesso, in riguardo della grande offesa di Dio, nulladimeno per quanto a lei spettava, et alle sue Religiose, procurò ben tosto di rendere a quelle scorrette Monache, bene per male, mandandole una buona parte delle lemosine, che erano state fatte al suo Monistero, procurando in oltre, che altri suoi Benefattori fossero sovenute, soccorse nelle loro necessità, tutto che il Monistero di quelle, fosse meno necessitoso del suo.

38 Dovressimo hora rapresentare ben’a minuto l’ardentissimo zelo, che questa gloriosa Vergine hebbe mai sempre della Cattolica Fede, e la fortezza più che maschile, con la quale la distese altresì, ogni qual volta n’hebbe occasione, e specialmente all’hora, che disputò con un’Esercito occulto, quale ella molto ben scoperse e convinse con quella celeste dottrina, che Iddio infusa gli haveva; e perché quantunque così convinto, con ostinata pertinacia stava nondimeno saldo ne’ suoi errori, la zelante Sposa di Christo operò, che dalla santa Inquisitione fosse preso, e castigato, come meritava. Dovressimo altresì amplificare la di lei esatissima osservanza de’ tre Monastici Voti, la sua profondissima humiltà, l’invitta patienza, l’astinenze et i digiuni continuati, quasi per tutto il tempo di sua vita, in pane et acqua; le cotidiane discipline con le quali martirizava le sue carni innocenti, l’orationi non mai quasi intermesse, il dono di profetia, col quale varie cose predisse, la cognitione, che ella hebbe de’ secreti più intimi de’ cuori al solo Dio riservata; e tant’altre virtù e privilegi, che il suo Celeste Amante con larghissima mano li conferì; ma questo sarebbe un voler tessere non un Compendio, ma un Libro voluminoso della sua Vita; rimettendo dunque i divoti Lettori alla Lettura delle Vite, che di questa Santa Eroina hanno divulgate varj Autori gravissimi, così del nostro istituto, come d’altra Professione, quali produrremo più a basso; passeremo in tanto a narrare il di lei gloriosissimo passaggio, che successe per appunto nel Mese di Agosto di quest’anno del 1308.

39 Era di già arrivata la nostra Beata Vergine Chiara all’età di anni 40 quando il suo Divino Sposo si compiacque di chiamarla da questa bassa valle di miserie alle sublimi delitie del Paradiso, ben giustamente dovute alle di lei innumerabili virtù, et a suoi meriti, quasi dissi, infiniti. Quindici giorni dunque prima del suo felice transito, cioè alli due di Agosto, crebbero le sue indispositioni et infirmità, et alla fine cadde in letto; nel qual tempo furono straordinarj i favori et i diletti, e le consolationi, che ricevette dal Cielo, e fra gli altri Iddio le rivelò l’hora della sua morte, e che le erano perdonate tutte le sue colpe; che non v’è Giusto in terra, il quale non dica con verità: Dimitte nobis debita nostra; e le fu manifestata ancora la Gloria, che sperava; et in vedendola, fu maraviglia, che non se le spiccasse l’Anima dal Corpo per il soverchio piacere; il quale non potendo capire nel petto, cominciò a gridare, e dire con gran fervore, e spirito: è molto, è molto il premio Signore, col quale paghi l’Anima, che ti serve, essendo i suoi travagli tanto piccioli e brevi.

40 E con queste dolcezze, et altre simili, che le dava il suo Sposo, erano [V, pag. 289] così grandi, e tante le astrattioni, e ratti dell’Anima sua, ne’ dieci ultimi giorni avanti al suo felice transito, che temendo le sue Suore, che la dovessero ridurre al fine, fecero un letticciuolo portatile e leggiero per portarla da una parte all’altra, e svegliarla da quel saporito sonno; quasi che la diligenza humana potesse impedire Dio, il quale rapisce l’Anima, quando vuole. Nell’entrare adunque la Vergine nel letticiuolo, disse con allegrezza: non vi stancate molto Figliuole mie, presto mi vedrete libera da tutto il male. E perseverando nelle sue profonde meditationi, cominciò a parlare fra se stessa cose Celesti e Divine. E disse poi: Angeli di Dio, dite da mia parte alla Vergine Santissima, che mi riceva. E poco doppo, come se cantasse il trionfo, disse: Rallegriamoci tutte, festeggiamo Dio, cantiamogli lode, diciamo: Te Deum laudamus, perché il mio Sposo viene per me per condurmi alla Gloria. Dicendo queste cose, et altre simili, rimaneva astratta; e ritornata in se, diceva alcune parole interrotte. E poi disse con grand’affetto: O Fratellanza del Cielo! O Vita eterna! E disse ancora: vedo bene la Giustitia di Dio in ogni cosa creata, e tutte le cose sono buone, niuna cosa è cattiva, fuor che una. E tornando a ripetere la medesima sentenza, benchè alquanto mutata, disse: vedo tutte le cose, tutte son buone, la Giustitia di Dio è sparsa per tutto, solo vi è un male, che è il peccato. Dicendo, che la Giustitia Divina era sparsa in tutte le cose, voleva dire, che la mano di Dio a ciascuna di esse, et alla natura loro diè quello, che se le conveniva.

41 Hora andandosene l’Anima di questa Santa, ove la conduceva lo Spirito, havendo ricevuto il Santiss. Sacramento dell’Altare, restò sospesa, come prima nelle sue contemplationi; e così stando, cominciò a cantare sì dolcemente, che per le sue Figliuole era un’armonia Celeste, quantunque non s’intendesse bene ciò che cantava, eccetto alcune parole disunite, come queste: La Città di vita eterna, Giardini, Strade, Mense, Paggi; che servigi ti fanno Amor mio? Quali Canzoni ti cantano? Vorrei io toccare quell’Istromento: oh Signore, chi salisse costa? E tornando a star sospesa, disse poi: il mio Sposo Giesù Christo mi guarda con occhi tali, che mi trahe dietro a se, et altre parole, che non si potevano intendere.

42 Ma, perché con tutti questi favori stava pure ancora la Serva di Dio in questa vita, la quale è una guerra infino all’ultimo punto; le apparve il Demonio, e l’assalì, ma non si potè sapere quello, che le dicesse; ella con queste parole lo cacciò via: Quid a me petis cruenta Bestia? Exi maledicte, et advola hinc. Che mi dimandi Bestia crudele? Esci maledetto, e vattene di qui volando. Il che appena disse, quando una delle sue Figliuole, la segnò col segno della Croce, rimedio opportuno contro il Demonio. Disse all’hora Santa Chiara, come se dal sonno si svegliasse: non dubbitare figliuola mia, che io tengo la Croce di Christo nel mio cuore. Et ad un’altra Monaca, la quale, cercava la Croce per porla sopra il suo letto, quando stava morendo, disse: se cerchi la Croce di Christo, piglia il mio Cuore, che vi troverai Christo Crocefisso. E fu Providenza di Dio, che ella così parlasse, acciò non rimanesse nascosto, doppo la sua morte, il pretioso Tesoro, che Iddio nel cuore di lei haveva risposto.

43 Doppo questo cominciò a trattenersi col suo Signore, dicendogli alcune parole dolci, et amorose, come se lo havesse presente, se già quivi non era venuto a visitarla, come altre volte. Giunto poi il giorno dell’Assontione della Sagratissima Vergine Maria a hora di Vespro, benchè fosse molto al fine, predicò della Misericordia di Dio, e della Passione di Christo, et havendo esortate le sue Figliuole [V, pag. 290] all’obedienza, castità, humiltà, et ad ogni santità e detto loro, che il maggior svegliatoio per la salute, e santità dell’Anime nostre, era la Passione di Christo, alzando la mano le benedì col segno della Croce, dicendo: Iddio, che regge il Cielo, e la Terra, vi guardi, e difenda, e sia sempre il vostro refugio. Il che vedendo le sue Figliuole, giudicando, che fosse già vicina la sua partita, cominciarono a piangere dirottissimamente per dolore, et ella cercava di consolarle.

44 Dimandò finalmente, che le dassero il Sacramento dell’estrema untione; et havendolo ricevuto in Venerdì alli 16 Agosto, si diè tutta all’oratione, dalla quale già mai la poterono distogliere le voci delle sue Figliuole, alle quali solamente disse: di che vi alterate? Che vi turba? Non sapete forse, che io sto con con sanità, quando servo Dio? E che mentre sto più vicina a lui, sono più forte? Siate sicure, che non potrete levare il Cibo all’Anima mia, il quale mi accresce le forze. E comandando, che si radunassero tutte le Monache, e volle, che l’aiutassero a dire l’Hore Canoniche, per compensare in questa guisa li difetti, che havesse commessi, recitandole per l’adietro; le quali recitate, e rapita in Dio, alzò la voce, e disse con un’affetto ardente: Smisurato, smisurato, smisurato è per me il premio della tua Gloria. E rivolta alle sue Figliuole disse: Presto conducetemi al mio Sposo, perché vedo aperti i Cieli, et ecco la mia Madonna e li Santi Apostoli, et il mio P. S. Agostino, il mio P. S. Francesco, e le Vergini di Dio, che pieni di contento mi vogliono condurre in Paradiso.

45 La mattina seguente del Sabbato, in cui finì la sua vita mortale per cominciare l’eterna in Cielo, attese con maggior spirito all’oratione, e piena di allegrezza si fece portare alla Chiesa, dicendo, che voleva partirsi; quasi che dicesse voglio andare a licentiarmi dal Santissimo Sacramento dell’Altare, et a morire nelle braccia del mio Signore innanzi a gli occhi suoi. E quivi essendo stata un pezzo in oratione, rivolta alle sue Figliuole, disse: Sorelle mie amate, già l’hora è giunta in cui usendo l’Anima mia dal carcere di questo Corpo, ha da salire in Cielo al mio Dio; vi prego una, e più volte, che non vi dimentichiate mai quello, che hora vi dico, che stiate sempre attente alla Legge di Do, et a suoi Consigli, a quali la porta dell’Anima nostra sia sempre aperta, e serrata a tutte l’altre cose, e finalmente, che amiate quella vita, che risplende in virtù d’Anima e di Corpo. Ciò detto, congiunte le mani, alzando il viso verso il Cielo, il quale era pieno di maravigliosa luce, volò quell’Anima benedetta al suo Creatore, senza cagionare nel suo Corpo movimento alcuno, anzi che le sue Monache pensavano, che stasse in oratione.

46 Successe la felice morte di questa gloriosa vergine l’anno del Signore 1308 et il quadragesimo di sua età, in Sabbato, all’hora di Terza alli 17 di Agosto, essendo Sommo Pontefice Clemente V. Nell’hora, che partì la Santa Vergine da questa vita mortale, fu veduta in Paggio, Villa di Montefalco, per aria, gran moltitudine di Fanciulli molto belli, con le ali, come si dipingono gli Angeli, in compagnia d’una Monaca, tutta circondata di luce, che ascendevano al Cielo; e gridò una Fanciulla, dicendo: E’ morta Chiara della Croce, è morta Chiara. Et in Spoleto ancora, ella fu veduta salire al Cielo, circondata di luce, accompagnata da Santi, e vestita di pretiosi ornamenti; e volle Iddio publicare la sua gloriosa morte, acciochè sapesse la Terra, che haveva una nuova Avocata in Cielo.

47 Morta, che fu la Santa Vergine restò il suo Corpo come vivo, con la faccia verso il Cielo, con molta gratia, e con il collo alzato per qualche spatio di tempo. Le Monache havendo [V, pag. 291] ferma credenza, che la vista del Corpo sarebbe di gran bene a Fedeli, doppo molto consiglio, si risolsero di non seppellirlo. Fra tanto dopoi, ispirate da Dio, determinarono di aprirlo con certa confidenza di vedervi dentro li Misterj della passione del Signore, li quali la Santa in vita non si toglieva mai di bocca; et aprendolo una di loro, viddero il Cuore grande, quasi come il Capo di un Fanciullo, e il luogo, o la borsa del Fiele dura oltre modo; e posto il Fiele insieme con l’altre interiora in un’Urna, a piè dell’Altare del suo Oratorio, le seppellirono, si ritenero il Cuore, col quale si consolavano, ponendoselo sopra gli occhi, e baciandolo con gran divotione. Non furono poi d’un medesimo parere le Monache intorno a quello, che si dovesse fare del detto Cuore: alcune dicevano, che si aprisse, sperando, che vi fosse riposto dentro gran Tesoro del Cielo, per le parole, che havevano udite dalla loro Santa Madre nel tempo della sua morte; altre non consentivano, forse per una pietà naturale verso la Madre loro, giudicando, che bastasse l’Anatomia, che si era fatta delle sue viscere. Ma alla fine di commune consenso diferirono il negotio al seguente giorno; e in tanto pregarono Dio, con molta humiltà, che le ispirasse a far quello, che più piacesse a sua Divina Maestà. Finita la commune oratione, furono tutte d’un parere e determinatione, che si aprisse il santo Cuore. Arrivato adunque il giorno, che fu a 18 di Agosto, Francesca Monaca, la quale doveva aprirlo, presolo nelle mani, spargendo prima molte lagrime, domandò per qual parte, e in qual modo  l’haveva d’aprire. Rimasero all’hora attonite, senza sapere che farsi; ma tornando a Dio, come prima, lo pregarono con molte lagrime, che mostrasse loro quel che si doveva fare; e poi tirando innanzi l’impresa, Suor Francesca pigliò un Rasoio tagliente, stando le altre con Candele accese in mano, et aprì per un lato il Santo Cuore, con molta facilità, in due parti, e dentro vi viddero Christo Crocefisso con tutte le insegne della sua Santissima Passione, restarono stupite senza formar parola, spargendo lagrime di allegrezza, e di divotione.

48 Era il Cuore grande, come si è detto, havendolo fatto crescere Iddio in quella forma, o con altra nuova materia aumentatolo. La sua carne di fuori era morbida, e delicata; di dentro era vuoto, e concavo, e di carne soda, et aspra, e piena di nervetti forti e duri. Le insegne della Passione erano di diversa tessitura, alcune erano di carne, ma nella durezza, e colore erano simiglianti a quello, che rappresentavano la Passione di Christo; altre erano fatte di nervetti, alcuni erano scolpiti nella medesima carne, come Avorio nell’Ebano; alcuni elevati dalla  carne, come di basso rilievo; et alcuni altri staccati dalla carne, come figurine di rilievo, che si mettono per guarigione, di Ebano e di Avorio. Nella concavità della parte destra del Cuore era l’Immagine di Giesù Christo Crocefisso, un poco più grande di un dito piccolo d’una Donna, con le sue braccia distese, et alquanto alzate in alto, col capo cadente, e piegato alla parte destra, la quale era di color livido, come pavonazzo oscuro e la parte sinistra era di colore, come una tela bianca, spruzzata di minute goccie di sangue. La piaga del Costato era nel fianco destro, ove communemente per uso della Chiesa si dipinge (il che resta eccellentemente autenticato in questo Miracolo) e dalla Piaga usciva molto sangue. Nella medesima parte destra del Cuore stava la Corona di Spine, le quali Spine erano corte, acute e nere; e qui ancora erano tre nervetti pendenti da uno stesso luogo a guisa di tre fila al capo de’ quali pendevano legati tre Chiodi con punta acuta, neri e duri; li due erano assai piccioli, e stavano appesi con filo più corto; et il terzo [V, pag. 292] era più grosso, e con filo maggiore attaccato. Sotto a’ Chiodi nel destro lato del Crocefisso stava la Lancia fatta d’un nervetto, e la punta era come di ferro dura, et acuta, et usciva fuori della carne del cuore elevata dalla superficie, come uscisse dalla medesima carne, in quella guisa, che esce dal ramo la Rosa. In questa parte istessa era la Spugna fatta di molti nervetti confusi, e senza ordine, di color di Rose, et era nell’estremità d’un altro nervetto, il quale figurava la Canna. Nella parte sinistra della Croce stava la Colonna, circondata e cinta d’alcune funicelle attorte, e picciole, di color di sangue; la parte inferiore della Colonna era appoggiata et attaccata alla carne. Vi era parimente il Flagello, che era di cinque funicelle ritorte, e piene di nodi tinti di sangue, pendenti, come da un bastone diritto e duro, et attaccatovi con un poco di carne morbida e tenera.

49 Si sparse subito la fama di queste maraviglie per tutto il paese, con generale stupore di quelli, che l’udivano, quantunque si facessero diversi giudicj sopra il caso. Ma volendo Iddio, che un fatto così grande fosse manifesto a tutto il Mondo, per mezzo di Testimonj d’ogni eccettione maggiori, dispose, che havendo havuto aviso di questo il Prelato (che era in quel tempo D. Pietro Vescovo di Spoleto) egli volle certificarsene, e così mandò il suo Vicario Generale Berengario, acciò vedesse con gli occhi proprj il negotio; e se non era vero, come la novità del fatto publicava, operasse, che non andasse inanzi, e se vero era, dasse forza alla verità, approvando il Miracolo col suo parere et autorità.

50 Era Berengario di S. Africano, di natura strana et aspra, benchè molto buon Christiano, et era di grande autorità; il quale si era posto in pensiero, che ciò, che si diceva delle cose della Santa Vergine, fosse inganno o imbroglio. E con questa opinione si partì pieno d’ira, senza alcuno indugio, con la sua commissione per Montefalco; ove arrivato andò al Monistero, da molta gente accompagnato, e comandò, che fosse portato alla sua presenza, inanzi a tutti, il Cuore della Santa Vergine; e presolo nelle mani, non contento di mirarlo con molta diligenza, cominciò a palparlo, et stringerlo con le dita lungamente; e non potendo scoprire l’errore, che egli per il suo sdegno desiderava, volle, che fosse strappato dal Cuore il Crocefisso, et altri Misteri della Passione, per vedere se vi erano poste ad arte; il che eseguito, e vedendo Berengario evidentemente la verità del fatto, restò attonito, e pieno di stupore, et immobile, come se fosse stato di pietra; e conobbe, e confessò, che quivi non vi era inganno alcuno, ma che era opera miracolosa di Dio, e rimase divoto della Santa, oltre ogni stima. Tutta questa narratione è di F. Agostino da Montefalco nella Vita, che di questa Santa Vergine scrisse, e divolgò l’anno 1515 quale, come esso dice, l’haveva cavata dal Processo fattto, per ordine della S. Sede, dieci anni doppo la di lei morte, in ordine alla di lei Canonizzatione. Non parliamo quivi delle tre miracolose pallottine ritrovate nella borsetta del Fiele, alla presenza dello stesso Vicario Generale, le quali con la grandezza, colore, e peso, totalmente eguale fra di loro poste in figura triangolare vivamente rappresentavano l’ineffabile Mistero della Santissima Trinità; attesochè più sopra, con occasione di trattare della gran divotione, che ella portava a questo incomprehensibile Mistero, ne parlassimo a bastanza.

51 Farebbe hora di mestieri, che noi entrassimo nel vasto Mare de’ grandissimi e stupendissimi Miracoli, che Nostro Signore operò per intercessione di questa sua dilettissima Sposa, a pro di varie persone, così mentre viveva, come anche doppo il di lei beato passaggio all’eterna Gloria; ma perché il volerli tutti ad uno ad uno quivi [V, pag. 293] registrare, sarebbe un non volere mai terminare il racconto della sua prodigiosa Vita, ci ridurremo dunque per tanto a riferirne alcuni de’ più principali operati da Dio; così prima ch’ella morisse, come doppo ch’ella fu morta.

52 E per cominciare da quelli fatti in vita: Morì Suor Andrea del Monistero di S. Chiara, saputolo suo Padre, divoto, e benefattore del Convento, si affliggeva oltre misura di non havere potuto vedere sua figliuola, e parlarle avanti la sua morte; mossa la Santa di lui a compassione, vedendolo piangere teneramente, e trovandosele obbligata, per molte buone opere ricevute dalla sua mano, pregò Dio con grand’affetto, che lo consolasse; rissuscitò incontanente la Monaca, la vidde il Padre, si consolò seco, le parlò, come desiderava; e nel medesimo giorno ella, senza havere affanno, né agonia, né dolore, né segno di morte, passò un’altra volta nelle braccia di suo Padre, da questa vita a colui, che la creò.

53 Cavava un pover Huomo in Montefalco una cantina, trahendone fuori arena, la quale cadendo all’improviso, lo colse di sotto, e l’affogò. Corse al romore la gente, e fu ritrovato il morto fra l’arena; si dolgono di vederlo, così miseramente morto, e senza Confessione; lo portano alla Santa, e la pregano, che lo ritorni in vita, acciochè si possa Confessare de’ suoi peccati. Ella prega il suo Sposo, che habbia misericordia di quell’Anima, che tanto gli costò, e che miri la fede di tanta gente. Subito risorse il morto, e confessato le sue colpe, morì.

54 Suor Giovanna Monaca del suo Convento, Donna di gran talento, e di molta importanza per il Monistero, amata dalla Serva di Dio, fu visitata dal Signore con una infirmità, che venne a dare in tifica, onde non vi si trovando rimedio, fu abbandonata da’ Medici. Un giorno ella pregò la sua amica, e Prelata, che le impetrasse da Dio sanità. Ella disse: non per te, né per l’amor grande, che io ti porto, ma per beneficio di questa Casa; e pregò Dio per lei, il quale subito la sanò; e doppo la morte di S. Chiara le successe nell’officio di Prelata.

55 Un’Infermo si moriva senza Confessione, perduta già la parola, e il sentimento, per le preghiere, e le lagrime di sua Madre, la B. Chiara gli ottenne da Dio la parola, si Confessò con gran dolore delle sue colpe, e la notte seguente, pieno di lagrime penitenti diede l’Anima a Dio. Suor Lucia del medesimo Monistero di S. Croce, oppressa dal Demonio, essendo un giorno tormentata ricorse alla Vergine, pregandola, che la liberasse; Ella coprendola col suo Manto, il Demonio in quel punto se ne fuggì. Un fanciullo era aggravato da gotta corale, a cui non si trovava rimedio, sognò una sua Zia, che entrando il Fanciullo nel Monistero della Croce, e ricevendo la benedittione della Serva di Dio, conseguiva la sanità. Raccontò il Sogno alla Madre del Fanciullo, ella lo portò al Monistero, et impetrata la benedittione del segno della Santa Croce dalla Beata Chiara, il figliuolo guarì di repente.

56 Ad un altro Inferno di Scrofole, con le sue orationi, e segno di Croce, gli apportò la salute. Sano un’Inferno di un piede in quel giorno, che gli si haveva a tagliare. Un altro di vita perduta, condotto a mal termine da un’infirmità, hebbe, per le sue preghiere, intiera sanità di Corpo e di Anima. Con queste, et altre simili maraviglie, che faceva il Signore per mezzo della sua Serva, il Popolo nelle sue necessità ricorreva a lei, ella al Cielo, e il Cielo l’udiva e l’esaudiva.

57 Doppo la di lei beata morte fino all’anno 1318 cioè nello spatio di dieci anni proseguì il Signor Dio ad operare tanti Miracoli per gloria, et honore di questa Serafica Vergine, che il sopracitato F. Agostino da Montefalco scrive nella di lei Vita, [V, pag. 294] che giunsero al numero di 300 e più, li quali tutti autentici si leggono ne’ Processi fatti per la di lei Canonizzatione, per ordine di Papa Giovanni XXII il quali appunto furono fatti nel detto tempo, come all’hora replicaremo, con produrre due Bolle del detto Pontefice, data l’una nell’anno 1317 e l’altra nel 1318. De’ quali Miracoli, per sodisfattione de’ Lettori ne produrremo quivi alcuni pochi, e fra gli altri la rissurrettione di cinque Morti, cioè un Fanciullo di cinque anni affogato sotto un Carro di Paglia, che li cadde adosso. Una Fanciulla di sei anni. Una Donna annegata. Paolo da Montefalco, per voto, che sua Madre haveva fatto di visitare il sepolcro della Santa, e di porvi la sua Immagine di Cera; et Angelo da Perugia. Lucarello da Spoleto privo di vista, havendo gli occhi, o la pupilla loro fuori del suo luogo, riacquistò la vista perduta, ritornando gli occhi al suo luogo.

58 Cecco di Speranza da Montefalco, zoppo dal suo nascimento di ambidue li piedi, così rivolti, e storti, che non si poteva sostenere sopra di quelli, né muovere un passo; essendo stato in questa guisa dieci anni, udendo i Miracoli, che Iddio faceva al Sepolcro della Santa Vergine, vi si fece condurre, con molta confidenza in lei; ove essendo stato un buon pezzo, cominciò a caminare molto bene, con gran stupore di tutti. Antonio da Montefalco, zoppo dalla gamba sinistra, havendo inviato una Candela grande al suo Sepolcro, conseguì l’intiera sanità. Angioletto da Spoleti gravemente ferito di una Stoccata, che gli passò per il ventre, raccomandandosi alla B. Chiara, restò libero e sano.

59 Andreuccio malamente ferito in una spalla d’un Coltello, che gli entrò fino all’osso, cadendo da un Mandorlo, non si trovando arte, né modo per cavaglierlo, raccomandandosi alla Beata Chiara, subito se ne uscì il ferro, et egli restò sano della ferita senza segno alcuno. Nardo cadendo in mano dagli Assassini, chiedendo aiuto a S. Chiara, uno di loro la pigliò per lui, e lo distese. Filippo di Bevagna, uscendo dal letto il fiume Timio, e crescendo oltremodo, scampò dalla sua furia, chiamando S. Chiara. Chiaravia Monaca di Trento, tormentata da’ Demonj, posta vicina al Corpo della Santa Vergine, restò libera. Servia Casignata oppressa anch’ella dal Demonio, per lo spatio di sette anni, tormentata e ferita gravemente, condotta al Sepolcro della Santa Serva di Dio, quantunque procurassero d’impedirla i Demonj con grandi strepiti, gesti e voci, appena vi si avvicinò, che rimase libera del tutto.

60 Pietro da Poggio pazzo e furioso, il quale si volse affogare, et appiccare alcune volte, e si sarebbe amazzato, se non fosse stato impedito, col favore della Santa Vergine, acquistò intiero giudicio. Flora sorda, Cecilia aggravata da gotta corale, Giovanni rotto, Letitia inferma di mal d’orina, Flora da dolori di Madre, Soffia d’una postemma, Acolo e Nicolò Spoletini, di febri, senza speranza di vita, Matteuccia, di dolori di capo, Pietro da Spoleto di dolori di stomaco, Chiola di denti per più di 20 anni, e molti altri di diversi mali, con l’intercessione di questa gran Vergine raquistarono il beneficio della sanità. Tralascio in fine di riferire, che molte persone di varj Stati, che havevano dato in reprobo senso, e si ritrovavano in evidentissimo pericolo di danatione, essendo state raccomandate alla B. Chiara, miracolosamente si ridussero in stato di salute. Né tampoco parlò di alcuni cattivi Christiani, li quali si burlavano de’ Miracoli stupendi che si raccontavano della Santa Vergine, e massime del suo prodigioso Cuore, li quali tutti furono castigati da Dio; ma poi ravedendosi degli errori loro, chiedendone perdono a Dio, et alla Santa, furono liberati dagl’incorsi castighi; perché questi tutti, con moltissimi altri, li [V, pag. 295] potrà vedere il divoto Lettore nelle Vite, che della B. Chiara hanno scritte, e divulgate diversi Autori, così di nostra Religione, come d’altro Istituto e Professione. E per cominciare dagli Esteri scrissero la Vita sudetta, Berengario Vicario di S. Africano, che fu poi anche deputato Procuratore della Canonizzatione della Santa Vergine, come nel suo tempo vedremo; un’Autore Anonimo antico, Antonio da Montefalco, Antonio Filoteo, Isidoro Mosconi, Filoteo Amadei Siciliano, Abraamo Bzovio Domenicano, Filippo Ferrari Servita, Mariano Scotto, F. Marco da Lisbona, Lodovico Miranda, Lodovico Rebolledo, F. Luca Vadingo tutti cinque Francescani. De’ nostri Agostiniani poi, Girolamo Seriprando Cardinale, Egidio da Viterbo Cardinale, Agostino Antolinez Arcivescovo di Compostella, Ambrogio Coriolano, Alfonso d’Orosco, Agostino da Montefalco, Nicola Crusenio, Angelo da Siena, Giovanni Marquez, Simpliciano di S. Martino, Vincenzo Duprè, Emanuelle della Cerda, Tomaso Errera, Paolo Frascinelli da Bologna, Sebastiano Portillo, et altri.

61 Credesi parimente, che fiorissero, con gran fama di santità, intorno a questo tempo nella medesima Terra di Montefalco, due altre Religiose nostre Tertiarie, delle quali una chiamossi Chiarella, e l’altra communemente dicesi, che chiamossi Chiaretta, se bene in verità, per quanto testifica Girolamo Romano nell’undecima Centuria a car. 94 sotto l’anno 1474 il suo vero nome fu d’Illuminata; non si sa di certo in che tempo morissero, solo è fuori di dubbio, che vissero santissimamente, e che Nostro Signore, per i meriti loro, operò molti Miracoli, che però da tempo immemorabile, le loro Immagini si vedono nella nostra Chiesa, com’anche altrove, massime nella detta Terra, con i nomi et i raggi di Beate; e ciò, che maggiormente rilieva, li loro Corpi Venerandi, che si conservano ancora quasi totalmente incorrotti, stanno esposti sopra d’un’Altare alla publica veneratione de’ divoti Fedeli, li quali si riveriscono, et adorano, et implorano altresì il loro patrocinio nelle loro necessità. Alla B. Illuminata, o Chiaretta, manca una mano, la quale si conserva intiera nel Reliquario del nostro Real Convento di S. Giovanni a Carbonara di Napoli; non si sa però da chi fosse colà trasferita, benchè vi sia qualche traditione, che ve la trasportasse il Cardinale Seripando, che era figlio di quel Convento, mentre era Generale.

62 Si rese parimente molto illustre nella Religiosa perfettione una Vener. Monaca del mentovato Monistero di S. Croce di Montefalco, per nome Suor Giovanna di Egidio, et è quella per appunto, la quale essendo già stata spedita da’ Medici per il male di tisichezza, fu dalla B. Chiara miracolosamente risanata, tutto perché conobbe, che la di lei morte sarebbe riuscita di gran danno a quella santa Casa, alla quale questa buona Religiosa haveva prestato, et era per prestare altresì ottimi servigi, così nello spirituale, come nel temporale avanzamento di quella; laonde non si può credere quanto fosse amata, così dalla B. Chiara, come da tutte l’altre Suore, che però non fu poi maraviglia se, doppo la morte beata della gloriosa Chiara, li fu subito sostituita in qualità di Abbdessa, la buona Giovanna. Questa medesima Madre fu uno de’ migliori testimonj, che si esaminassero per la Canonizzatione della B. Chiara nell’anno 1317 come riferisce Isidoro Mosconi nella Vita della detta Beata.

63 Essendo morto in quest’anno Valeriano fratello di Enrico VII Imperatore, mentre stava assediando la Città di Brescia, insieme con altri Baroni dell’Imperio, a cagione dell’aria poco salubre, fu con quelli seppellito nella nostra antica Chiesa di S. Barnaba, la quale si conservava pur anche nell’Ordine; [V, pag. 296] imperciochè, se bene i nostri Padri si partirono da questo Convento l’anno 1275 a fondare nella Città quello in cui hora dimorano, come in quel tempo ampiamente scrivessimo, non abbandonarono però questo vecchio almeno fino a questo tempo, in cui si fece la Sepoltura degli accennati Principi nella sudetta Chiesa; tanto per appunto riferisce il nostro Giacomo Filippo da Bergamo, nel Supplemento delle sue Croniche, prodotto anche dall’Errera nel Tomo primo a car. 121.

64 In questo tempo ancora era  in pieno essere il nostro Convento della Città Elettorale di Magonza, attesochè Nicolò Serario nella Storia, che scrisse di questa insigne Metropoli, dice, che il Monistero de’ PP. Cartusiani fu fondato in quest’anno; hor questo poi è ivi più moderno del nostro; laonde fa di mestieri, che fosse fondato qualche tempo prima, se bene il detto tempo poi è incerto. Nota poi il sudetto Autore nel libro primo della detta Historia al cap. 31 e car. 116 che ogni anno nel giorno solenne della festa del nostro P. S. Agostino, si fa nella nostra Chiesa l’elettione del Decano della Facoltà Teologica, et ivi anche si recita un’elegante Oratione latina in lode del Santo Dottore.

65 Gli è necessario, che parimente in quest’anno si cominciasse a fondare il nostro Monistero di Santa Lucia della terra di Morrovalle nella Provincia della Marca d’Ancona, posto, e situato nella Diocesi di Fermo; attesochè, essendosi opposti alla detta Fondatione li PP. Francescani della detta Terra, a cagione della distanza delle Canne dall’uno all’altro Convento, li mossero una lite, la quale nell’anno 1333 era già durata 25 anni, come apertamente riferisce in una sua Bolla Giovanni XXII data in Avignone l’anno 17 del suo Pontificato, che viene appunto ad essere l’accennato anno 1333 sì che necessariamente si deve concludere, che il mentovato Convento di Morovalle vedesse il suo primo principio intorno a quest’anno presente 1308 qual fine poi havesse la motivata lite, lo vedremo, a Dio piacendo, nel suo dovuto tempo, e luogo.

66 Fu pur anche fondato in quest’anno medesimo il picciolo Convento o più tosto Eremitorio di S. Croce fuori della picciola Terra di Valdinoce nella Diocesi di Bertinoro, i Fondatori poi furono F. Andrea da Cassia e F. Giovanni di Norsia ambi della Provincia dell’Umbria, li quali appunto ottennero il detto luogo spettante alla Basilica Lateranense, da Pietro Capocchi, il quale era in quel tempo Vicario del Card. Arciprete di S. Giovanni in Laterano. Questa Donatione poi fu data a’ 24 Marzo di quest’anno, e si conserva fino al giorno d’hoggi nel Convento di Cassia insieme con la Conferma della detta Donatione, che poi fece F. Bartolo da Cassia Agostiniano, come Vicario di B. … (sic!) Diacono Cardinale di S. Maria in Aquiro, a cui era commessa la detta Chiesa Lateranense, come nel suo tempo precisamente diremo. Vedasi l’Errera nel Tomo 2 a car. 523.

67 Riferisce altresì Nicola Crusenio nella terza parte del suo Monastico Agostiniano alla pag. 145, cap. 10, che Erico Conte di Luzemburgo donò in quest’anno al Convento degli Agostiniani di Tiunville, fondato alle mura della detta Terra, un’Aia, la quale era molto necessaria, così al Convento sudetto, come a gli Orti di quello, e che poi fu fondata, con le limosine de’ Paesani, la Chiesa, la quale servì poi più d’una volta in tempi torbidi, di asilo sicuro a’ medesimi. Da principio fu soggeto questo Convento alla Provincia di Francia, e poi appresso ne’ tempi più moderni, a quella di Colonia; hora però, che sta sotto la Giuridittione della Francia non si sa più se sia soggetta alla detta Provincia, oppure a quella di Francia; altrove forse raccontaremo altre sue peripetie.

68 [V, pag. 297] Ma chiudiamo hoggimai quest’anno con l’istitutione dell’Ordine degli Eremiti di S. Girolamo fondato dal P. Pietro Gambacorta di Pisa, il quale appunto com’era molto devoto di S. Girolamo, volle darli il titolo di quel Santo Dottore. Fu poi quest’Ordine approvato da Papa Urbano V intorno a gli anni di Christo 1370 sotto la nostra Regola Agostiniana, come in quel tempo tornaremo più ampiamente a ripettere.