Tomo
V
1 – [V, p.
274]
Habbiamo nel bel principio di quest’anno un Caso attrocissimo successo nella
Germania, con la morte violenta dell’Imperatore Alberto, la quale, tanto più
aspra, e dura li parve, quanto che li venne cagionata da un suo stretto Parente;
fu poi egli cotesto Giovanni d’Austria, duca di Svevia, che fu figlio di Ridolfo
fratello del sudetto Alberto, e di Agnese sorella di Venceslao Re di Boemia. La
causa poi, che mosse questo Principe giovane mal consigliato a commettere un
così horribile Patricidio, fu, perché essendo stato da fanciullo sotto la tutela
del Zio, quando poi ne fu uscito fuori, non potè mai ottenere da esso il suo
Ducato di Svevia, per quante richieste, et istanze glie ne facesse più volte,
così da per se stesso, come per mezzo d’altri Principi; per la qual cosa
arrabbiato e disperato insieme, deliberò di levarli la vita; et in effetto,
essendo uscito alla Campagna nel primo giorno di Maggio di quest’anno in
compagnia del sudetto Imperatore, con tre altri cavalieri soli, che erano suoi
complici, nel passare un fiume, di repente assalendolo tutti quattro, con molte
ferite, li levarono empiamente la vita; doppo del quale horribile assassinio,
non si vedendo sicuri in alcun luogo della Germania, se ne fuggirono fuori di
quella in varie parti. Quello, che poi successe del misero Giovanni [V, p.
275] lo diremo sotto l’anno del 1311 in tanto fu sostituito in luogo
del morto Alberto Enrico Conte di Lucemburgo, Cuspiniano, Nauclero, Bzovio,
Rainaldi, et altri.
2 – Essendo morto nell’anno
scorso come scrivessimo, nella Città di Gante in Fiandra nel giorno Santissimo
di Natale, il nostro generale F. Francesco da Monte Rubiano, si celebrò per
tanto in quest’anno il capitolo Generale nel Monistero di Santa Tecla di Genova
(chiamasi hoggidì communemente di S. Agostino) e da’ Padri capitolari, fu di
commune consenso eletto per nuovo Generale di tutto l’Ordine Maestro F. Giacomo
da Orto (picciolo Convento nella Provincia Romana) Dottore Parigino, di gran
bontà e dottrina, il qual resse l’Ordine quattr’anni con grand’integrità e
giustitia. Habbiamo la copia di un Diploma gratioso fatto da questo Generale,
doppo la di lui elettione, mentre ancor stava in Genova, a favore della
Confraternità di S. Sigismondo Re di Borgogna (che fu gran Benefattore
dell’Ordine nostro nella Francia) erretta prima di questo tempo nella nostra
Chiesa di Forlì, ove giace il sagro Corpo del mentovato Re S. Sigismondo.
Contiene poi questo Diploma le solite gratie, che si sogliono concedere da’ PP.
Generali nostri a famigliari dell’Ordine, cioè la participatione di tutti i beni
spirituali, che si fanno in tutto l’Ordine Agostiniano; eccone
l’esemplare:
3 – Charissimis sibi in Christo, ac devotis
utriusque sexus Confratribus de Congregatione Sancti Sigismundi Martiris
Civitatis Forlivij. Frater Iacobus Prior Generalis Fratrum Eremitarum Ordinis S.
Augustini licet immeritus salutem in eo, qui est omnium salus. Exigente vestrae
devotionis affectu, quem ad Ordinem nostrum gratiosis affectibus ostenditis, et
hactenus ostendistis, ut veridica Fratrum nostri Ordinis relatione didicimus,
devotionis vestrae gratiosa vicissitudine, quantum cum Deo possum decrevi
respondere. Idcirco vos universos, et singulos, qui in dicta Congregatione sunt,
et intrabunt imposterum, omnium Missarum, Orationum, Praedicationum, Ieiuniorum,
Vigiliarum, Abstinentiarum, caeterorumque bonorum, quae per Fratres totius
nostri Ordinis operari contigerit, in Charitate Dei, tenore praesentium, vos
participes facio, et Consortes; addentes insuper de gratia speciali, ut cum
obitus alicuius vestri fuerit in nostro Generali Capitulo nunciatus id pro vobis
devote fiet, quod pro nostris defunctis Fratribus in communi fieri consuevit. In
cuius rei testimonium sigillum mei officij duxi praesentibus apponendum. Datum
Ianuae in nostro generali Capitulo, anno Domini 1308 quinto Kalend. Septembris.
4 – In quest’anno medesimo Papa
Clemente V allo scrivere del nostro Milensio, e dell’Errera ne’ loro Alfabeti,
confermò la Donatione, che fatta havevano al Convento nostro di Bada nella
Provincia all’hora di Baviera, et hora d’Austria, di una Chiesa dedicata alla B.
Vergine, la quale era situata sopra i famosi Bagni della sudetta Città di Bada
fin dall’anno 1297 Enrico de Potendof, e Cunegonda sua Moglie; se bene la detta
Donatione era stata confirmata pure da Bernardo Vescovo di Patavia; attesochè vi
si richiedeva ancora quella del Sommo Pontefice per il Decreto fatto da
Bonifacio VIII che niuna Religione massime Mendicante, potesse prendere il
possesso di alcuna Chiesa o Convento, senza l’espressa licenza della S.
Sede.
5 – Successe altresì in questo
medesimo anno la pretiosissima morte di due insigni Beati del nostro
sagratissimo Ordine, cioè, del B. Giacomo da Viterbo Arcivescovo di Napoli, e
della Gloriosa, e non mai a bastanza celebrata Serafina Agostiniana, la Beata
Chiara da Montefalco, [V, p. 276]
quegli morto sul principio dell’anno, e questa a’ 18 d’Agosto; per
seguire dunque l’ordine del tempo, daremo in primo luogo un brieve saggio della
Vita Santa del primo, e poi appresso tesseremo, col divino agiuto, la Vita
mirabile della seconda.
6 – Quantunque sappiamo di
certo, che questo buon Servo di Dio nacque nella famosa e nobile Citta di
Viterbo, degna Metropoli della Provincia del Patrimonio di S. Pietro, tutta
volta, non sappiamo poi, per la poca diligenza de’ nostri antichi Padri, né
quali fossero li di lui Genitori, né l’anno preciso in cui egli nacque, né altra
cosa della sua pueritia; potiamo però credere, che li Genitori fossero buoni
Christiani, e che però l’educassero non meno con l’esempio, che con le parole,
nel santo timor di Dio, e nella puntuale osservanza della sua divina Legge; già
che gli è certo, che nel primo fiore della sua adolescenza, appena si sentì
chiamare dalla divina Voce al sicurissimo stato Religioso, quando subito, senza
alcuna dimora, si portò al Monistero nostro intitolato col nome ineffabile della
Santissima Trinità, e chiesto l’Habito con grand’humiltà al Superiore di quello,
fu ben tosto accettato, e di quello vestito dal medesimo
Superiore.
7 – Finito l’anno del Noviziato,
fece la sua solenne Professione con incredibile contento dell’Anima sua; e poco
appresso, come la Religione lo conoscesse di un grand’ingegno provisto,
l’applicò per tanto allo studio delle Scienze, così humane, come sagre, prima in
uno delli Studj Provinciali di sua Romana Provincia, nel quale, havendo già
fatto il corso quinquennale dell’Arti e de’ primi rudimenti della Teologia, fu
poi mandato a studiare il rimanente di quella divina Scienza, nella famosa
Università di Parigi, ove fu per molto tempo condiscepolo prima, e poi appresso
concorrente nella Lettura di quella sagra Facoltà col grand’Egidio Colonna, et
anche con altri insigni Dottori dell’Ordine; e si come, mentre fu Secolare non
si lasciò già mai avvanzare da alcuno suo compagno; così poi divenuto Maestro, e
Dottore, giunse a così alto Grado di perfettione in tutte le scienze, che si
acquistò il nome insigne di Dottore Speculativo.
8 – E se bene egli fu, come poco
dianzi io diceva, condiscepolo del B. Egidio Colonna, non so però se egli fosse
discepolo, come quello, del gran Tomaso d’Aquino; io dico questo, perché io so,
che quando in Parigi, doppo la morte di quel Santo dottore, si cominciarono a
ventillare le sentenze, et opinioni della sua Angelica Somma; e fu permesso a
ciaschedun Dottore di poter liberamente scrivere il suo sentimento, il nostro
Giacomo con Enrico Gandavense, fu uno de’ primi a scrivere, et a censurare molte
Sentenze del sudetto Santo Dottore; il che però non fece per alcun livore od
invidia, che portasse a quel gran Soggetto, ma per rintracciare puramente la
chiara e sincera verità, perochè per altro era stato sempre egli, et era più che
mai ammiratore della sublime e celeste Dottrina di quel gran
Santo.
9
– E che ciò sia più che vero,
si può comprovare col Testimonio di un soggetto molto qualificato, e di ogni
eccettione maggiore; è egli poi questo, Bartolomeo da Capua Soggetto celeberrimo
in tutte le virtù, che fioriva appunto in questo tempo del B. Giacomo; hor
questi dunque essendo stato [V, p. 277] esaminato nella Causa della
Canonizzatione del sopradetto S. Tomaso di Aquino, fra l’altre cose, che depose
nel suo esame (che disteso si legge nel Processo formato per la detta
Canonizzatione, quale si conserva nella Biblioteca Vaticana) una fu questa di
havere inteso dire da F. Giacomo da Viterbo dell’Ordine di S. Agostino all’hora
Arcivescovo di Napoli, che egli credeva nella Fede, e nello Spirito Santo, che
il nostro Salvatore vero Dottore della Verità, havesse mandati, per illuminare
il Mondo, tre grand’huomini in diversi tempi, cioè S. Paolo, S. Agostino e S.
Tomaso d’Aquino, a cui non credeva, che fino al fin del Mondo, fosse per
succedere un altro simile; e depose di vantaggio, che quando il sudetto F.
Giacomo andò la prima volta a Napoli (che fu forse con l’occasione del Capitolo
Generale, che si celebrò in quella gran Metropoli l’anno del Signore 1300) volle
di primo tratto andare a vedere la stanza ove habitato haveva quel Santo
Dottore, come altresì vidde, e toccò, con molta riverenza, la Scutella, ove
quegli soleva bere, e dice di più il detto Bartolomeo, che entrato nella stanza
sudetta, subito s’inginocchiò, e disse con molta riverenza: io sono venuto ad
adorare questo luogo, che calcarono i piedi suoi.
10
– Tutto questo racconto
l’habbiamo cavato di peso dal Libro più sopra da noi mentovato, che stampò
Bartolomeo Chioccarelli, de Episcopis, et
Archiepiscopis Neapolitanis, in Iacobo Viterbiensi a carte 190, ove parlando
della stima grande, che faceva il B. Giacomo della Santità e Dottrina di S.
Tommaso, dice le seguenti parole: Comperimus enim in processu instructo ab
Apostolica Sede pro Canonizatione ipsius S. Thomae, qui servatur in Vaticana
Biblioteca, inter alios Testes productos, fuisse Bartholomaeum de Capua virum
celeberrimum, qui inter caetera deponit, se audivisse a Fratre Iacobo de
Viterbio Ordinis S. Augustini Archiepiscopo Neapolitano, quod ipse credebat in
Fide, et Spiritu Sancto, quod Salvator noster Doctor Veritatis, pro
illuminatione Orbis et Universalis Ecclesiae, misisset Paulum Apostolum, et
postea Augustinum, et novissimo tempore Fratrem Thomam, cui usque infinem
saeculi non credebat alium
successurum. Cumque idem frater Iacobus primo Neapolim venisset, voluit
duci ad Cameram Fratris Thomae, et ostendi sibi Locum ubi fuerat repertus Discus
eius, sive Scutella, et genuflexus dixit: Veni adorare, ubi steterunt pedes
eius.
11
– Hor come dunque questo gran
Servo di Dio, fa oltre modo dottissimo, così compose varie e diverse Opere
insigni, tanto Scolastiche, quanto Morali, li di cui Esemplari, come tanti
pretiosi Tesori, si conservano in varie Biblioteche dell’Ordine, massime nella
nostra Italia, come in quella di S. Giovanni a Carbonara di Napoli,
nell’Angelica di Roma, nella nostra di Bologna, in quelle di Padova e di Milano;
e specialmente poi in quella di Viterbo sua Patria, vi si conservano quasi
tutte, e sono per appunto quelle, che haveva raccolte con molta fatica, e spesa
da varie parti, per darle alla Stampe, il dottissimo P. Maestro Mauritio Tertij
da Parma, se ben poi colto prima del tempo, che forse prefisso si haveva nella
mente, dalla morte, non puote poi effettuare il suo magnanimo e religioso
pensiero. Di queste poi ci riserbiamo di registrarne il Cattalogo nel fine di
questa compendiosa Vita; perochè hora vogliamo fare passaggio alla succinta
narratione delle sue sante virtù delle quali hebbe l’Anima ripiena
12 – E perché studiamo quanto
maggiormente potiamo la brevità, per fare tanto più campeggiare le innumerabili
virtù di questo gran Prelato in poco spatio, basterà, che diciamo, che egli fu
in sommo grado humilissimo, imperciochè così dicendo, verremo a conchiudere, che
egli hebbe il possesso di [V, p. 278] tutte le più eroiche virtù, che
rendono chiaro et illustre nel cospetto degli huomini e di Dio, ogni maggior
Santo del Paradiso. Che egli poi fosse oltre modo humile, lo diede ben
chiaramente a divedere nel Capitolo Generale celebrato in Napoli l’anno del
Signore 1300 quando nel pieno Congresso di molte centinaia di Religiosi, come in
quel tempo notassimo, sentendosi con un publico rimprovero mortificare dal
Generale dell’Ordine, che era appunto il B. Agostino Novello, per colpa non solo
da esso non commessa, ma ne meno sognata, si levò da sedere, e prostratosi a’
piedi del Superiore con molta humiltà, si rese in colpa di quel mancamento, che
fatto non haveva, accennando però rettitudine della sua intentione nel far ciò,
che se gl’imputava a colpa, adimandando perdono, con mostrarsi pronto a fare la
Penitenza del fallo non commesso. Humiltà, che fece restare attoniti tutti que’
Padri, perochè egli era uno de’ più insigni Soggetti, che fossero in quella
religiosa Radunanza.
13 – Hor se fu poi così humile,
dunque hebbe tutte l’altre virtù, imperochè, chi è humile, et anche patiente,
mansueto e modesto; chi è humile, è anche obediente, e come tale volontieri
osserva tutti i precetti della divina Legge non solo, ma anche gli Evangelici
consigli, ne’ quali consiste tutta quant’è la religiosa Perfettione. Ecco
dunque, come resta sodamente provata la nostra propositione, cioè che essendo
stato il B. Giacomo nostro in sommo grado humile, fu altresì in conseguenza
celebre, et illustre in tutte l’altre virtù, essendo la santa Humiltà il
sodissimo fondamento di tutte le sudette virtù.
14 – E perché, come disse il
Salvatore in S. Luca al cap. 14: Chi giunge a questa altissima perfettione di
humiliarsi, viene ben tosto poi dal benedetto Iddio esaltato, et inalzato a
grandi honori; ecco appunto, che il B. Giacomo, poco tempo doppo, havendo dato
un così alto saggio della sua profondissima humiltà nel sudetto Capitolo, fu per
divina permissione inalzato dal Sommo Pontefice Bonifacio VIII al nobilissimo
Trono Archiepiscopale di Benevento, con gran sentimento dell’humillissima Anima
sua; e poi anche un anno doppo all’altro più nobile di Napoli, così havendolo
procurato con molta istanza il buon Re Carlo II, il quale nel mentovato capitolo
Generale erasi incredibilmente affetionato alla di lui incomparabile Dottrina e
Santità; e ben diede poi maggiormente a divedere quanto di tutto cuore l’amasse
doppo che egli hebbe preso il possesso qi quella sua nobilissima Metropoli;
attesochè non chiese mai gratia alcuna, che subito non glie la concedesse, come
habbiamo in parte dimostrato negli anni scorsi; e fu così puntuale il Re, che
riferisce il Chioccarelli nel luogo citato più sopra; che essendo stato
condannato a morte l’anno 1306 un Cavaliere di gran portata, che era Barone
della nobilissima Terra di Candela nella Provincia di Capitanata, per haver
fatto uccidere un altro nobilissimo Cavaliere, con tutto ciò, che la maggior
parte de’ Principi del Regno supplicasse il Re a commutare la pena della morte
in altra pena più mite, mai fu possibile, che arrendere si volesse alle loro
preghiere; ma non così tosto comparve alla di lui reale presenza il Santo
Arcivescovo, per supplicarlo della medesima gratia, quando subito il Re
placossi, et in gratia del buon Giacomo, si compiacque di commutare la pena
della morte in quella dell’esiglio di cinque anni nel Regno di Cipro, con altre
pene pecunarie, quali a minuto raccota il sudetto Chioccarelli, e poi soggiunge
di havere il tutto cavato da’ Regi Registri.
15 – Havendo dunque governata per
lo spatio di quasi cinque anni il glorioso Giacomo, con gran rettitudine e
Santità la sua nobilissima Chiesa, alla perfine, [V, p.
279] ricchissimo di meriti, e di virtù, fu dal Signore Dio chiamato
nel principio di quest’anno del 1308 (come certamente stimano l’Ughelli nel Tomo
sesto della sua Italia Sagra, e l’Errera nel suo Alfabeto) in Paradiso a
ricevere il premio dell’Eterna Gloria; non si sa però né il giorno, né il Mese
preciso in cui quell’Anima benedetta fece il suo glorioso passaggio al cielo.
Certo è però, che ciò fu prima del giorno sesto di Marzo, in cui già erali
successo, con Apostolica autorità di papa Clemente V, Umberto di Monteaureo
Borgognone famigliare del Re Carlo. Ha poi egli sempre goduto questo Santo
Prelato nella Religione fin dal tempo della sua beata Morte, il glorioso titolo
di Beato, e con nome tale viene chiamato da tutti li nostri Autori, et anche
dagli Esteri, che di lui parlano. Diamo hora il Cattalogo promesso delle sue
Opere insigni.
16 – Primieramente dunque egli
compose due Libri De Regimine
Christianitatis, diretti e dedicati al Sommo Pontefice Clemente V, il quale
si conservano nella Libreria Vaticana. Quattro Libri sopra il Maestro delle
Sentenze. Un Libro di varj Sermoni, il quale si conserva nella Biblioteca de’
Canonici di S. Pietro di Roma. Un altro Libro di dottissime quistioni de Divinis Praedicamentis. Un altro
Libro, che contiene quattro Quolibeti disputati in Parigi, quali si conservano
nelle nostre Librarie di Roma e di Milano. Questo è il Cattalogo, che registra
nella sua brieve Cronica Gioseffo Panfilo nostro, nel fine del quale aggiunge in
generale, che il B. Giacomo compose molti altri Libri, li quali doppo la di lui
morte furono usurpati da varj Soggetti, che poi li divulgarono sotto i loro
proprj nomi. Aggiunge pure a mentovati, il Chioccarelli, altri Libri de’ quali
non hebbe notitia il Panfilo, e questi sono: un Libro, il cui titolo fu questo:
Divisio super eosdem libros quatuor
sententiarum. Un altro libro chiamato Summa Summae. Un altro pure, che
contiene varie quistioni de Angelis.
Un celeberrimo Opuscolo de Coelorum
Animatione, il quale (dice il Chioccarelli) viene citato dallo stesso
Giacomo nel lib. 3 de Quolibeti quist. 24. Un altro Libro sopra l’Epistole di S.
Paolo. Et un altro nel quale produce infinite Sentenze de’ Santi Padri, per
dichiaratione delle medesime Epistole; e di questo una copia se ne conserva
nella nostra Libraria di Bologna. Due altri trattati sopra l’Evangelio di S.
Matteo, e di S. Luca. Un altro Opuscolo intitolato Summa de Articulis Fidei. Un altro
Libretto, nel quale vi si contiene una gravissima disputa de Mundi Aeternitate secundum Fidem
Catholicam. Tre altri Volumi sopra la Fisica, e Metafisica, et altre Opere
di Aristotele. Un altro il cui titolo è questo: Notabilia in sententias. Un altro
intitolato Concordiantiae Psalmorum
David, e questo lo dedicò a Carlo II Re di Napoli suo gran Mecenate. Dice
altresì il Choccarelli, che egli fece la Tavola a tutte l’Opere di S. Tomaso
d’Aquino, quale poi da un altro Autore fu data in luce sotto il suo proprio
nome. Aggiunge di vantaggio il mentovato Chioccarelli, che il B. Giacomo ridusse
in più brieve forma il Tomo primo del grand’Egidio Colonna sopra il Maestro
delle Sentenze. Soggiungo io finalmente, che in questa nostra Libraria di S.
Giacomo di Bologna vi è un Trattato nobile dello stesso Beato de Spiritu Sancto, diviso in 50
quistioni.
17 - [V, p.
280]
Trattano poi di questo gran Servo di Dio tutti li nostri Autori più classici, e
specialmente il B. Erico di Urimaria, il B. Giordano di Sassonia, Ambrogio
Coriolano, Giacomo Filippo da Bergamo, il Cardinale Girolamo Seripando, Egidio
da Viterbo pur Cardinale, Gioseffo Panfilio, il Ven. F. Alfonso d’Orosco,
Girolamo Romano, Nicola Crusenio, Tomaso Errera, et altri. Degli Esteri poi
Giovanni Tritemio, Antonio Possevini, Abraamo Bzovio, Bartolomeo Chioccarelli,
et altri passim. E quivi per chiusa
della Vita di questo beato Dottore, et insigne Prelato, voglio produrre un
bellissimo Epigramma fatto in lode sua dal P. Maestro Niceforo Sebasti Melisseno
d’origine Greco figlio del Real Convento di Sant’Agostino maggiore di Napoli,
nostro antico e caro Amico: Diceris
Antistes, magnus speculator in Aulis, / Divina haec merito nomina scripta
docent. / Lucta erit hinc ingens, magnum certamen, an isti ab / Infula, an a
Libris gloria tanta Venit? / Sed componamus; dum libros Patria laudat, /
Virtutes celebrat Parthenope alma tuas.
Serafica
Vergine, e Sposa diletta di Christo la B. Chiara da Montefalco.
18 – Correva l’anno della nostra
Redentione 1268 in cui era già vicino a terminare il corso di sua vita mortale
il Santissimo Pontefice Clemente IV e Generale dell’Ordine nostro il
Reverendissimo F. Guido dalla Staggia, quando nella Terra, non ignobile di
Montefalco, situata sopra d’un Colle ameno, dalla cui cima si vagheggia, tutta
quant’è, la fertilissima Valle Spoletana, nacque la gloriosa verginella Chiara;
li suoi Genitori furono Damiano e Giacoma ambi di honorata Famiglia, e molto
timorati di Dio. Appena era ella giunta questa celeste Bambina alla tenera età
di quattr’anni, nella quale i Fanciulli a fatica fanno l’Oratione Domenicale,
quando ella, come fosse stata per lungo tempo esercitata nella santa oratione, a
quella di tal sorte cominciò ad applicarsi, che pareva, che altro fare non
sapesse, o potesse, che orare; attesochè ogni qual volta che poteva, s’ivolava a
gli occhi della Madre, e degli altri di casa, et in qualche luogo ritirato si
nascondeva per orare. Altre volte ancora, che non poteva, così commodamente
nella Casa orare, tacitamente di quella usciva, e se ne andava in una picciola
Chiesa a S. Gio. Battista dedicata, et ivi, con gran quiete, e contento
dell’Anima sua, attendeva all’amato esercitio delle sue divote orationi. In
questa Chiesa poi, pochi anni doppo, cioè nell’anno 1279 fondò l’Agostiniana
Religione un Monistero, il quale, pur anche fin’al giorno d’hoggi si conserva;
laonde permise forse Iddio, che la santa verginella Chiara si ritirasse in quel
luogo a fare le sue divotioni, perché l’haveva già destinata fino ab eterno, a
dovere honorare, con la sua smisurata Santità, la Religione del nostro gran P.
S. Agostino, di cui appunto, pochi anni doppo, insieme con la sorella Giovanna,
e con altre divote Verginelle, prese l’Habito Santo.
19 – Ma perché il Demonio, che
forse da questi principj così santi, congetturò la futura Santità della B.
Verginella Chiara, [V, p. 281] si accinse per tanto ad assalirla
con varie tentazioni, ed anche bene, e spesso, con formare gridi e urli di varie
Bestie, e con farli vedere spaventose Larve, per distornarla dal suo santo
esercitio; ma ella nulla temendo somiglianti Spauraci, più che mai attenta e
fissa nella sua oratione si stava, e per rendersi anche più forte e più
gagliarda a gli assalti di quel fiero Mostro, istruita, come certamente credere
si deve, dal suo Celeste Sposo, cominciò ad accoppiare all’Oratione il Digiuno;
laonde, non si può credere quanto si arrabbiasse l’Inimico infernale in vedersi,
così vergognosamente vincere, e superare da una sì tenera
Fanciulla.
20 – Erasi alcun tempo avanti
ritirata una Sorella di Chiara, che Giovanna chiamavasi, et era di molto maggior età
di lei, in un Reclusorio con altre Giovinette a servire, così segregate dal
Secolo, con vita più quieta e più raccolta, a Dio benedetto, con pensiero
stabile e fermo di non voler sposarsi con altro Sposo, che con esso. Chiara in
tanto, che di già era giunta all’età di sei anni, come sovente andasse al detto
Reclusorio per visitare la Sorella, che di quello era Rettora, vedendo la santa
vita, che menavano quelle buone Serve del Signore in quel beato Ritiro, si
accese anch’ella di tanto desiderio di entrare nel medesimo luogo, che sempre
stava pensando giorno e notte, al modo, che tener poteva per conseguire il suo
bramato intento; e finalmente havendo più volte pregato, così il Padre e la
Madre, come la sorella Giovanna, di essere colà dentro anch’essa, con l’altre
ricevuta, et ammessa, come che si rendessero un poco difficili a darli questa
licenza, a cagione della sua troppo in vero tenera età; tutta volta,
perseverando ella nelle sue reiterate istanze e preghiere accompagnate sempre da
gran copia di lagrime innocenti, alla perfine fu con gran contento della
purissima Anima sua accettata e ricevuta dalla buona Sorella nel sospirato
Reclusorio; il che fu fatto in tempo, che ritrovavasi ivi presente Tomaso
Vescovo di Spoleto, il quale nel suo ingresso le diede la sua Episcopale
Benedittione.
21 – Entrata dunque nel
Reclusorio sudetto, non solamente continuò le sue solite orationi e digiuni, con
l’altre sue consuete divotioni, ma di vantaggio le raddoppiò, a segno tale, che
se la Sorella, come Superiora, non gli havesse assegnato il tempo, e la misura a
ciascheduno de’ sudetti esercitj spirituali, altro non haverebbe ella mai fatto,
che orare, digiunare, disciplinarsi, e mortificare in mille guise il suo non
meno innocente, che tenero Corpicciolo. La Sorella dunque vedendo, che Chiara
era cotanto applicata alla santa oratione, gli assegnò per tanto un luogo assai
rimoto, e ritirato, ove a sua voglia potesse orare, e far altri esercitij di
mortificatione; laonde occorse molte volte, che non volendo ella partirsi dal
predetto luogo, ove orava senza la licenza della Superiora, e trovandosi questa
bene, e sovente nel tempo di chiamarla, occupata negli affari della Casa, o pure
intenta anch’essa all’oratione medesima, passava molto tempo, ed ella con gran
gusto dello spirito stava ivi perseverando molte hore nella sua longhissima
oratione, dalla quale non si partiva fin che chiamata non era.
22 – Ma, che diremo del rigoroso
Silentio, che ella osservava con tanto rigore, che se l’havesse per avventura
rotto in qualche parte ben picciola, subito ne faceva asprissima penitenza col
tenere i piedi ignudi in un Cattino pieno di acqua gelata fin tanto, che havesse
finito cento volte di recitare il Pater
noster. Era poi così guardinga, et occulata nel custodire la santa purità
Virginale, che o non mai, o di rado si accostava al Parlatorio, non dirò a
favellare con Huomini, o Donne straniere, ma né meno con il proprio Fratello, [V, p.
282] e quasi stette per dire, con l’istessa Madre; e se pure per
obbedienza era necessitata a parlare co’ Parenti, o nascondeva il volto doppo il
muro, o pure copriva la finestra con un panno, dicendo, che per parlare non era
necessario il mostrare la faccia. Era in somma così ubbidiente, così humile,
così caritativa, e così santa in tutte le sue attioni, che come serviva d’un
perfetto esemplare all’altre sue Compagne, così faceva inarcare le ciglia per lo
stupore per infino a gli Angeli istessi del Paradiso.
23 – Havendo poi, sei anni doppo,
la B. Giovanna sorella della B. Chiara, per la Celeste Visione d’una
risplendente Croce, che da Dio li fu mostrata sopra un picciolo Colle detto di
S. Catterina del Bottaccio, presa risolutione, così ispirata da Dio, di fondare
in quel luogo un Monistero, e farsi vera Religiosa con le sue Compagne in una
Religione approvata a beneplacito del vescovo Diocesano, che all’hora era
Gerardo. Colà per tanto passata fece gettare le fondamenta del detto Monistero,
e perché in quel primo tempo, non essendo finita la fabrica, stavano molto
scommode, e disagiate le Suore, massime nel tempo del Verno, la B. Chiara, che
era tutta impastata d’Angelica carità, niuna cura di se stessa havendo, solo si
rammaricava del patimento, che facevano le Sorelle, che però levandosi il Manto,
andava con quello, hora una et hora un’altra di quelle coprendo schermendole in
questa guisa meglio, che poteva, da’ rigori della
stagione.
24 – Essendo poi terminata
l’humile fabrica del Monistero, e venuto il Vescovo sopradetto per darli
l’Habito e la Regola, che già prima con istanza grande gli havevano chiesta,
pensò egli come, che discretissimo era, di darli l’habito e la regola del nostro
Padre S. Agostino, come già dimostrassimo nel suo luogo, cioè sotto l’anno 1290
ove anche producessimo il Diploma del medesimo Prelato in cui registrata si
legge tutta questa Religiosa funtione. Chi potrebbe hora con bastevole energia,
riferire l’allegrezza, et il giubilo incomparabile, che provarono quelle
benedette Verginelle, quando si viddero vestite con l’habito santo della
Religione Agostiniana, e massime le due Beate Sorelle, Giovanna e Chiara; la
quale allegrezza poi crebbe in immenso, quando fecero la solenne Professione,
vedendosi all’hora vere Spose di Giesù Christo. Governava intanto quella santa
Casa, non più in qualità di Rettrice, ma di Abbadessa, la B. Giovanna, alla
quale se ben tutte ubbidivano, e portavano riverenza, e rispetto, come a loro
vera Madre spirituale, niuna però arrivava al segno di Chiara, la quale tuttochè
li fosse sorella, nulladimeno la riveriva, l’ubbidiva, e la serviva, come se
quella fosse stata sua Signora et ella Serva e Schiava. E perché in quel primo
tempo appunto erano molto povere, e perciò bisognose di andare limosinando il
vitto di Casa in Casa, supplicò per tanto l’humile Serva di Dio Chiara,
l’Abbadessa, a mandarla a cercare la sudetta limosina, et havendo ottenuto
l’intento, non si può credere, con quanta diligenza e fatica ella facesse quella
caritativa et humile ubbidienza; e si nota nel Processo fatto per la sua
canonizzatione, che quantunque andasse a cercare la detta limosina fuori della
sua Terra per le vicine Ville, andò sempre così circospetta, e così guardinga,
che mai alcuno si puote vantare di haver veduto il suo volto, né di haverli
fatto prendere un solo boccone per ristorarsi in Casa sua, attesochè per
qualsivoglia accidente non volle mai né mangiare, né bere, né ricoverarsi in
Casa di alcuno, etiamdio per ripararsi dalle pioggie, e dall’altre inclemenze
del Cielo.
25 – Essendo poi passata indi a
cinque anni la Beata Giovanna, ricchissima di meriti infiniti, in Paradiso a
ricevere dalle mani del Sovrano Monarca, il meritato premio della Gloria eterna,
fu ella eletta, di commune consenso, [V, p.
283] Abbadessa di quella religiosa Communità, in luogo della Sorella,
essendo all’hora in età d’anni 27, e se bene fece ogni sforzo l’humil Serva di
Dio, per non accettare quella carica honorevole, nulladimeno fu necessitata a
soccombere, mossa dalle preghiere e dalle lagrime di quelle sue buone religiose,
le quali si protestarono, che non volevano altra superiora che lei. Accettata
dunque, che hebbe quella carica per lei molto pesante, non tanto per le
preghiere sudette delle sue Monache, quanto per il commando del Vicario, tanto è
lontano, che ella punto mitigasse le sue rigorose penitenze, ed austerezze, che
anzi le accrebbe quasi in immenso; imperciochè proseguì i consueti Digiuni, non
mangiando mai carne, né bevendo vino, e stando anche tal’hora due e tre giorni
intieri senza mangiare; non tralasciò le solite discipline, anzi le radoppiò; se
prima portava un Cilicio tessuto di crine di Cavallo, doppo fatta Abadessa, un
altro ve ne aggiunse di setole di Animale; se prima vestiva di povera Tonaca, e
vile, doppo non ne prese una migliore, anzi che di una delle più vile, e più
rattopate si vestì, quale volle sempre portare fino alla morte; il di lei letto
non fu, che di semplice paglia, come prima, e se tal’hora regalar si voleva, ciò
era con coprirlo di pungenti urtiche; se prima si esercitava ne’ più vili
servigi del Monistero, come nel scoppare il Chiostro, et anche molte volte le
Celle dell’altre Religiose, nel lavare i piatti della Cucina, nel servire
nell’infermaria anche ne’ più abietti, e bassi servigi, et in altre cose tali;
doppo fatta Abbadessa, non tralasciò d’impegnarsi ne’ medesimi esercitij per
vili, e stomachevoli che fossero; anzi che ciò fece con frequenza maggiore,
attesochè quando era semplice suddita da tali esercitij era bene, e sovente
dalla Superiora per compassione ritratta, se bene ciò non gli era punto di
solievo, anzi gli riusciva di grandissima mortificatione.
26 – Per descrivere poi l’immenso
e smisurato amore, e la svisceratissima carità, che ella portò a Dio, sarebbe di
mestieri, che scendesse un Serafino de’ piu ardenti, et infuocati dal Cielo, per
ispiegarla; attesochè, fu così grande il detto amore e carità, che con tutto
ciò, che ella facesse tante penitenze, e si affliggesse con tante austerezze, e
castigasse il suo innocentissimo Corpicciolo con tante discipline, e si
esercitasse in tante bassezze, e vili servigi, e si soggettasse anche da
Superiora alla minima Conversa del Monistero, e molte volte ancora dalle sue
Suore si facesse dare la disciplina anche fino allo spargimento del sangue, le
quali cose tutte ella faceva per l’amor grande ch’ella portava a Dio;
nulladimeno a lei pareva di far nulla, o poco; e ciò era, perché considerando
ella, che quanto faceva per amor di Dio, che sapeva essere immenso et infinito,
perciò il suo operato li sembrava un nulla.
27 – Per qualunque cosa, che ella
facesse, o dicesse, mai per un solo puntino dal suo Dio si allontanava, ma
sempre in quello gli occhi della sua mente fissi teneva. I patimenti, le
infirmità, che sovente la travagliavano, le persecutioni de’ mal viventi, e de’
demonj ancora, li quali spesse volte con battiture e percosse, l’affliggevano,
et insomma tutte le tribulationi, le calamità, e le miserie, che sopra di lei si
scaricavano, non solo le sopportava con grandissima patienza e sofferenza, anzi
che le riceveva con tranquillità di cuore e con lieta fronte, che li sembravano
dilettevoli piaceri, e consolationi, perché il tutto era per amore del suo Dio;
quindi è, che da qual si voglia cosa, benchè minima, che havesse apparenza del
peccato anche veniale, si guardava ella con gran diligenza, per non offendere in
conto alcuno il suo amoroso Dio; e sovente diceva che più tosto, che offenderlo,
etiam con un minimo peccato, si sarebbe esposta a mille tormentose morti e
martirij; [V, p. 284] e tal’hora ancor diceva, che
haverebbe volsuto havere un Corpo grande alla maniera d’un smisurato monte, per
havere occasione di potere affaticarsi, e travagliare con più gagliardo vigore
in servitio di S. D. M. e che haverebbe altresì bramato di havere centinaia di
Corpi per esporli tutti a mille migliaia di patimenti, di pene e di tormenti, et
alla morte istessa per amore del suo eterno Bene. Non poteva perciò soportare le
gravissime offese, che venivano fatte a Dio da’ scelerati peccatori; e quando
tal’hora alcuna ne sentiva, o ne sapeva, piangeva dirottissimamente, e si
flagellava, per ricompensare in parte, col suo gratissimo amore, l’ingratitudine
con la quale veniva offeso il suo Celeste Amante. Insomma era così sviscerato
l’amore, che questa Santa Vergine a Dio portava, che per dirlo in una sola
parola, come ad altro mai non pensava, e d’altro mai non parlava, che di Dio, e
dell’obbligo grande, che ogni Creatura ragionevole ha di amare e di servire il
suo Dio; così poi finalmente tutto ciò, che faceva et operava, o per se, o per
altri, tutto era in ordine a Dio, tutto era indirizzato a Dio, tutto insomma era
per Amor di
Dio.
28 – Ma che diremo poi della
fervorosa divotione, che haveva questa Serafina in carne, alla Passione del
Nostro Signore Giesù Christo? Non altro in vero salvo solo, che n’era così
innamorata, che mai ad altro non pensava, né d’altro mai ragionava, che di
quella; se mangiava, se beveva, se caminava, se stava ferma, se vegliava, se
dormiva, sempre haveva la Passione del suo Signore nella mente, nel cuore;
dovunque fissava lo sguardo, ivi ritrovava materia da contemplarla e meditarla,
imperochè, se vedeva cose longhe, parevale di vedere la lancia con cui li fu
trafitto il petto; s’erano curte, li ramemoravano i Chiodi, le tenaglie et i
Martelli; s’erano concave, li rappresentavano la profonda Piaga del Costato; se
erano circolari, li riducevano alla memoria la Corona di Spine, et insomma ogni
qualunque cosa, che scorgeva, li rapresentava qualche mistero della Santa
Passione.
29 – E tanto poi s’internò in
questa fissa consideratione e conteplatione dell’attrocissima Passione del Buon
Giesù, che si accese di somma voglia di vederla, per poter meglio imprimerla
nell’Anima sua e nel suo Cuore; laonde più volte nelle sue fervorose orationi,
ne supplicò il Signore, il quale finalmente si compiacque di esaudirla;
imperciochè stando una volta contemplando la detta passione, solevata in
ispirito, vidde tutta la serie di quella, come per l’appunto passò; cioè, la
turba tumultuante degli Hebrei, che accusavano Christo, i clamori, e i
schiamazzi de’ medesimi a Pilato, acciò lo condannasse alla morte della Croce;
vidde la funesta processione, che conduceva il Signore, già condannato, al
Calvario; lo vidde Crocefiggere su la Croce, e questa poi inalzata sopra del detto Monte con tutte l’altre
dolorose e tormentose circostanze; e mentre stava in questa guisa contemplando,
con sua estrema pena e tormento, una così dolorosa Tragedia, sentì una voce, che
chiaramente li disse: Ecco, che tu hai veduta tutta la passione del tuo Signore
dal principio fino alla fine, come se appunto tu fossi stata ivi presente sotto
la Croce.
30 – Occorse intanto, che
stimando ella, per la sua simplicissima sincerità, e purità di cuore, e come
stimava, che ciascheduno fosse migliore, che non era essa, e che perciò il
Signore, non solo facesse, a gli altri gl’istessi favori e gratie, che a lei
faceva, ma altre anche maggiori, perciò favellando un giorno con una Religiosa,
come sovente soleva della mentovata passione, e de’ favori, che il Signore ben’è
spesso continua di fare a suoi Servi fedeli, che divotamente contemplano i
Misteri di quella, venne sinceramente a raccontarle [V, p. 285]
ciò che da essa era più volte accaduto, chiedendo alla detta Monaca
se lo stesso era avvenuto ad altri; ma rispondendo, che mai tali cose vedute
haveva; rimase per tanto l’humil Serva di Dio molto confusa, conoscendo all’hora
la sua simplicità in rivelare ciò che doveva tenere molto segreto; per la qual
cosa, il Signor Dio la volle mortificare, con trattenere questi et altri favori,
che cotidianamente fare li soleva, per lo spatio di 11 anni intieri, non già per
alcuna sua colpa, ma per renderla più cauta, e per far prova della sua costanza
e conformità nel divino beneplacito. E se bene in tanta arridità ella sopportava
pene e tormenti intollerabili, nulladimeno considerando, che così voleva il suo
Celeste Sposo, il tutto, con gran quiete e riposo dell’Anima
tolerava.
31 – In questo tempo poi li fece
vedere Iddio un strano conflitto fra le virtù et i vitj, e parevali di
vantaggio, che così le virtù, come i vitij nel sudetto conflitto si servissero
delle loro proprie qualità e proprietà; e se bene la buona Serva di Dio faceva
quanto poteva per non vedere le proprietà de vitij, nulladimeno volle Iddio, che
sempre le vedesse per tutto il corso di quegli undici anni accennati; e tutto
ciò fece Iddio per suo maggior profitto attesochè in questo tempo da tali
conflitti, aprese tanta dottrina, e sapere, che in avvenire poi puote sempre
discorerrere con Huomini sapienti di qualsivoglia più alto e sublime mistero
della Divina Teologia, e fu sufficiente a dar risposta chiara et aperta a qual
si sia più difficile dubbio, che proposto li fosse. Nell’ultimo anno poi verso
il fine, mentre stava dicendo Terza, hebbe una Visione di questa sorte: parveli,
che un huomo, standoli dietro le spalle allungasse le mani a vista sua, nell’una
delle quali teneva una lucerna accesa, e nell’altra un fascetto di paglia, quale
procurava di accendere col fuoco della detta lucerna, ma in vano; ed in quel
mentre udì una voce, che disse: bagna la paglia nell’oglio, e l’accenderai; il
che havendo quell’Huomo fatto, subito si accese. Et all’hora conobbe la gloriosa
Chiara, che per tornare a godere i favori del Cielo, era necessario, che si
attuffasse nell’oglio della santa humiltà; il che havendo ella fatto con modo
inesplicabile, tornò Iddio a favorirla con le solite gratie, et anche con altre
di lunga mano maggiori; fra quali la più sublime fu, quando li comparve con la
Croce in spalla et impresse se stesso realmente Crocefisso in Carne, nel suo
beato Cuore, come a lungo scrivessimo sotto l’anno del Signore 1303, cinque
appunto prima della sua morte.
32 – E se in riguardo dello svisceratissimo
amore, che portava al suo Divino Sposo, fu così divota della sua Santissima
Passione, e così ardentemente bramò sempre di participarla, e di provarla in se
stessa, e l’ottenne poi abbondevolmente, come abbiamo veduto ne’ numeri passati;
non fu parimente meno divota del Santissimo Sacramento, in cui sapeva di certo
per la viva fede, che nel suo cuore haveva, che vi rissedeva con invisibile
maestà il suo Celeste Amante, che però haverebbe sempre volsuto star genuflessa
orando; e se bene non poteva continuamente riceverlo, come haverebbe desiderato,
frequentava però la Santa Communione più sovente, che poteva, e che li veniva
permesso dalla Santa Ubbidienza; e quel giorno in cui effettivamente non poteva
cibarsi di quel Divinissimo Sagramento, di quello si pasceva non di meno con
l’affetto; e se tal’hora dalla Superiora li fosse stata vietata la Divina
Refettione, ne sentiva ella tanta pena e tormento, che li pareva di doverne
morire. Specialmente si racconta dagli antichi Autori della sua Vita, et anche
da’ Moderni, che havendole fatto un tale divieto l’Abbadessa sua Sorella, per
far esperienza della sua patienza, [V, pag. 286] nel tempo appunto preciso in cui stava
per communicarsi, ne sentì tanta pena, che ritiratasi nella sua Cella, proruppe
in un pianto così amaro e doloroso, che se il suo Giesù non scendeva dal Cielo
per confortarla, ne sarebbe rimasta estinta. Un’altra volta pure non havendo
potuto per non so quale impedimento communicarsi, e stando perciò nella sua
Cella ramaricandosi e dolendosi per tal cagione, venne di nuovo Giesù Cristo in
propria persona, e con le sue Santissime Mani la Communicò, il qual favore
invero come concesso a pochi, così sopra d’ogni altra gratia, singolarissimo
stimar si deve.
33 – Ma qual lingua poi potrebbe mai spiegare
il riverente amore, che ella portava alla Santissima Trinità, il di cui
ineffabile Mistero continuamente meditava, e contemplava con tanta riverenza et
affetto, che se bene è impossibile all’intelletto creato il poter giungere ad
intendere una minima particella di così alta e sublime Teologia, nulladimeno si
tiene per cosa certa, che Nostro Signore la rendesse capace di così ineffabile
Mistero; che però li furono ritrovate nel Fiele, doppo la di lei morte, quelle
tre prodigiose Palle, delle quali tanto pesava una, come due, e come tre; e
tanto tre, come due, come una; e tanto due, come una, e come tre; ciò fece il
Signor Dio, acciò sapesse la Chiesa, che si come la sua gloriosa Sposa Chiara
portava nel suo Cuore scolpita la di lui appassionata, e crocefissa Humanità,
così pure all’incontro racchiudeva nelle sue viscere l’altissimo Mistero della
Santissima Trinità.
34 - Fu finalmente devotissima
della Beatissima Vergine, de’ Santi Apostoli, di tutte le Angeliche Gerarchie, e
di tutti i Santi del Paradiso, che però meritò poi, che nel puto della sua beata
morte, l’istessa gran Madre di Dio accompagnata da tutti gli Angeli e da tutti i
Santi, scendesse dal Paradiso nella sua felice Celetta per ricevere l’Anima sua,
e condurla a celebrare in Cielo l’eterne Nozze col suo Divino Figliuolo; che
però, quando la vide con quella Beata Compagnia, tutta lieta disse: Ecco la mia Madonna, ecco il mio Padre S.
Agostino, ecco gli Angeli, ecco i Santi tutti, che vengono a prendermi per
condurmi al mio Signore, che colà su mi vuole in Paradiso. Dalle quali
parole ben chiaramente si comprende quanto fosse stato parimente l’amore, e la
divotione, che haveva havuta alla Beata Vergine, et a tutti i
Santi.
35 – E perché dall’Amor di Dio
non va mai disgiunto l’Amore del Prossimo, anzi che questo è un’evidente segno
di quello, che a Dio si porta, come insegna il nostro B. Simone da Cassia;
perciò la nostra gloriosa Chiara, si come amò sempre con ardentissimo Amore il
suo Dio, così pure con sviscerato affetto amò il Prossimo, a segno tale, che
tutti li Scrittori della sua Vita, quando entrano a trattare delle finezze di
questo suo amore verso del Prossimo, pare che non trovino la strada di finire di
favellarne. E specialmente, quando vedeva qualche persona afflitta e tribolata,
gli haveva tanta compassione, che giusta il consiglio dell’Apostolo, piangeva
co’ piangenti, si affligeva con gli afflitti, e stava mesta con i mesti; e per
consolarli, et applicare l’opportuno rimedio alle loro afflittioni e travagli,
non tralasciava cosa, che far potesse, che tostamente non facesse; orava insieme
con le sue Monache per essi, digiunava, si disciplinava, e molt’altre
mortificationi faceva, per rendere placato Iddio co’ Peccatori, a segno tale,
che mai si quietava fin tanto, che non vedeva il suo prossimo consolato, e posto
in stato di sicurezza, e di quiete; a proposito di che, si narra nel Processo
della sua Vita, che ritrovandosi un Giudice della Terra di Montefalco, e due
altri Giovani, da Foligno l’uno, e l’altro da Spoleto, in evidente pericolo non
solo della vita temporale, ma dell’eterna ancora; Chiara non così tosto intese
il loro stato [V, pag. 287] infelice, quando subito in compagnia dalle sue Suddite
fece oratione a Dio, con tanto fervore e spirito, a pro di que’ miseri, che
Iddio subito l’esaudì, imperciochè il Giovane di Foligno, ch’era gravemente
infermo, di repente si risanò, e tutti e tre poi mutando vita e costumi, si
fecero Religiosi, e terminarono con fine lodevole le vite loro. Un’altra volta
pure, temendo il Padre d’un certo Religioso, che questo dall’Ordine suo non
appostasse, tutto afflitto, e dolente all’oratione della B. Chiara di tutto
cuore si raccomandò, il che havendo ella fatto con molta carità, quel Religioso
mutò pensiero, e perseverò poi con molta edificatione, et esempio fino al fine
di sua vita nella sua vocatione. Un altro gran Peccatore, essendosi anch’egli
raccomandato alla Santa Verginella, acciò pregasse Iddio, che li dasse gratia di
mutar vita, lo fece di buona voglia la Santa, e con gran fervore una, e due
volte, e non fu esaudita; ma tornando poi la terza volta ad orare con maggiore
fervore di prima, come se ella fosse stata la peccatrice, fu finalmente
esaudita, perché fors’anche colui fece qualche cosa dalla sua parte; attesochè,
come saggiamente disse S. Gio. Grisostomo: Prosunt quidem plurimum Orationes Sanctorum,
sed tunc praecipue, cum nos idipsum per poenitentiam
postulamus.
36 – Verso de’ Poveri, e verso
degl’Infermi fu così pietosa e misericordiosa, che si come a primi non mancò mai
di soccorrere nelle loro necessità e bisogni, fino a privare se stessa de’
necessarj alimenti, et a spogliarsi delle vestimenta per ricoprire la loro
nudità, così poi all’incontro verso degl’Infermi non tralasciò cosa, per loro
solievo, che non facesse; attesochè a quelli fuori del Monistero mandava le
Medicine, et i Cibi, e tutto ciò che loro bisognava; et all’inferme poi del
Convento, tutto che fosse Abbadessa, prestava tutti que’ più vili servigi, che
le minime Serventi aborrivano di fare, li rifaceva i letti, li dava da mangiare,
le confortava, le consolava, e per renderli le loro infirmità più tolerabili, si
riduceva fino a baciarle le piaghe, che le tormentavano.
37 – Ma chi potrebbe poi con
bastevole Elogio encomiare il perfettissimo amore, e l’ardentissima carità, che
portò sempre questa gloriosa Vergine a suoi più fieri e crudeli nemici. Io non
niego, che non sia gran virtù il dimostrarsi pietoso verso del Prossimo Amico;
ma l’amare, e far bene all’Inimico, è una delle più eroiche attioni, che possa
fare un perfettissimo Christiano; hor la nostra Beata si dimostrò mai sempre
così pietosa, e benefica verso chi offendeva così essa, come l’altre Suore del
suo Monistero, che tutto quel bene, che poteva fare a gli offensori, non mancava
di fare, pregando continuamente per essi nelle sue fervorose orationi, facendo
altresì fare lo stesso alle sue Suore, e se erano persone bisognose non
tralasciava di soccorrevole, e sovenirle spiritualmente e temporalmente in tutto
ciò che poteva. Potressimo a questo proposito produrre quivi molti casi, tre
soli però in contestatione della gran carità di Chiara verso de’ suoi nemici, ci
giova di proporre. Il primo è di un Notaio di Montefalco, il quale negava di
havere certe Scritture del Monistero, quali realmente haveva, e di vantaggio con
villane parole minacciava le povere Religiose; hor poco appresso, essendo stato
costui da altri accusato per falsario, fu perciò preso dalla Giustitia, e già
convinto, stava in pericolo di perdere la destra mano, la qual cosa intesa dalla
B. Chiara, mossa a pietà di quel meschino, oltre l’oratione publiche e private,
che fece altresì fare dalle sue Suore, all’incontro si adoprò di vantaggio con
buoni mezzi appresso del Giudice, e fece tanto, che colui fu lasciato libero et
impunito. Così pure havendo due Huomini della detta terra fatte molte violenze
al suo Monistero, [V, pag. 288] per trarne fuori una loro
Sorella, e minacciato ancora di abbruggiare il Convento, e fatte altre ingiurie,
la buona Serva di Dio, quantunque haverebbe potuto farli severamente castigare,
nulladimeno per amor di Dio il tutto rimise, e perdonò, pregando in oltre molto
di cuore il Signore a perdonarli anch’egli, come essa fatto haveva. Il terzo poi
fu di alcune Monache di un altro Monistero di Montefalco, le quali, o per
invidia, o per diabolica istigatione, havevano procurato con maligne detrattioni
d’infamare la Santa Verginella con le sue Religiose; ma essa con tutto ciò, che
molto le dispiacesse un così grave eccesso, in riguardo della grande offesa di
Dio, nulladimeno per quanto a lei spettava, et alle sue Religiose, procurò ben
tosto di rendere a quelle scorrette Monache, bene per male, mandandole una buona
parte delle lemosine, che erano state fatte al suo Monistero, procurando in
oltre, che altri suoi Benefattori fossero sovenute, soccorse nelle loro
necessità, tutto che il Monistero di quelle, fosse meno necessitoso del
suo.
38 – Dovressimo hora rapresentare
ben’a minuto l’ardentissimo zelo, che questa gloriosa Vergine hebbe mai sempre
della Cattolica Fede, e la fortezza più che maschile, con la quale la distese
altresì, ogni qual volta n’hebbe occasione, e specialmente all’hora, che disputò
con un’Esercito occulto, quale ella molto ben scoperse e convinse con quella
celeste dottrina, che Iddio infusa gli haveva; e perché quantunque così
convinto, con ostinata pertinacia stava nondimeno saldo ne’ suoi errori, la
zelante Sposa di Christo operò, che dalla santa Inquisitione fosse preso, e
castigato, come meritava. Dovressimo altresì amplificare la di lei esatissima
osservanza de’ tre Monastici Voti, la sua profondissima humiltà, l’invitta
patienza, l’astinenze et i digiuni continuati, quasi per tutto il tempo di sua
vita, in pane et acqua; le cotidiane discipline con le quali martirizava le sue
carni innocenti, l’orationi non mai quasi intermesse, il dono di profetia, col
quale varie cose predisse, la cognitione, che ella hebbe de’ secreti più intimi
de’ cuori al solo Dio riservata; e tant’altre virtù e privilegi, che il suo
Celeste Amante con larghissima mano li conferì; ma questo sarebbe un voler
tessere non un Compendio, ma un Libro voluminoso della sua Vita; rimettendo
dunque i divoti Lettori alla Lettura delle Vite, che di questa Santa Eroina
hanno divulgate varj Autori gravissimi, così del nostro istituto, come d’altra
Professione, quali produrremo più a basso; passeremo in tanto a narrare il di
lei gloriosissimo passaggio, che successe per appunto nel Mese di Agosto di
quest’anno del 1308.
39 – Era di già arrivata la
nostra Beata Vergine Chiara all’età di anni 40 quando il suo Divino Sposo si
compiacque di chiamarla da questa bassa valle di miserie alle sublimi delitie
del Paradiso, ben giustamente dovute alle di lei innumerabili virtù, et a suoi
meriti, quasi dissi, infiniti. Quindici giorni dunque prima del suo felice
transito, cioè alli due di Agosto, crebbero le sue indispositioni et infirmità,
et alla fine cadde in letto; nel qual tempo furono straordinarj i favori et i
diletti, e le consolationi, che ricevette dal Cielo, e fra gli altri Iddio le
rivelò l’hora della sua morte, e che le erano perdonate tutte le sue colpe; che
non v’è Giusto in terra, il quale non dica con verità: Dimitte nobis debita nostra; e le fu
manifestata ancora la Gloria, che sperava; et in vedendola, fu maraviglia, che
non se le spiccasse l’Anima dal Corpo per il soverchio piacere; il quale non
potendo capire nel petto, cominciò a gridare, e dire con gran fervore, e
spirito: è molto, è molto il premio
Signore, col quale paghi l’Anima, che ti serve, essendo i suoi travagli tanto
piccioli e brevi.
40 – E con queste dolcezze, et
altre simili, che le dava il suo Sposo, erano [V, pag.
289] così grandi, e tante le astrattioni, e ratti dell’Anima sua, ne’
dieci ultimi giorni avanti al suo felice transito, che temendo le sue Suore, che
la dovessero ridurre al fine, fecero un letticciuolo portatile e leggiero per
portarla da una parte all’altra, e svegliarla da quel saporito sonno; quasi che
la diligenza humana potesse impedire Dio, il quale rapisce l’Anima, quando
vuole. Nell’entrare adunque la Vergine nel letticiuolo, disse con allegrezza:
non vi stancate molto Figliuole mie, presto mi vedrete libera da tutto il male.
E perseverando nelle sue profonde meditationi, cominciò a parlare fra se stessa
cose Celesti e Divine. E disse poi: Angeli di Dio, dite da mia parte alla
Vergine Santissima, che mi riceva. E poco doppo, come se cantasse il trionfo,
disse: Rallegriamoci tutte, festeggiamo Dio, cantiamogli lode, diciamo: Te Deum laudamus, perché il mio Sposo
viene per me per condurmi alla Gloria. Dicendo queste cose, et altre simili,
rimaneva astratta; e ritornata in se, diceva alcune parole interrotte. E poi
disse con grand’affetto: O Fratellanza del Cielo! O Vita eterna! E disse ancora:
vedo bene la Giustitia di Dio in ogni cosa creata, e tutte le cose sono buone,
niuna cosa è cattiva, fuor che una. E tornando a ripetere la medesima sentenza,
benchè alquanto mutata, disse: vedo tutte le cose, tutte son buone, la Giustitia
di Dio è sparsa per tutto, solo vi è un male, che è il peccato. Dicendo, che la
Giustitia Divina era sparsa in tutte le cose, voleva dire, che la mano di Dio a
ciascuna di esse, et alla natura loro diè quello, che se le
conveniva.
41 – Hora andandosene l’Anima di
questa Santa, ove la conduceva lo Spirito, havendo ricevuto il Santiss.
Sacramento dell’Altare, restò sospesa, come prima nelle sue contemplationi; e
così stando, cominciò a cantare sì dolcemente, che per le sue Figliuole era
un’armonia Celeste, quantunque non s’intendesse bene ciò che cantava, eccetto
alcune parole disunite, come queste: La Città di vita eterna, Giardini, Strade,
Mense, Paggi; che servigi ti fanno Amor mio? Quali Canzoni ti cantano? Vorrei io
toccare quell’Istromento: oh Signore, chi salisse costa? E tornando a star
sospesa, disse poi: il mio Sposo Giesù Christo mi guarda con occhi tali, che mi
trahe dietro a se, et altre parole, che non si potevano
intendere.
42 – Ma, perché con tutti questi
favori stava pure ancora la Serva di Dio in questa vita, la quale è una guerra
infino all’ultimo punto; le apparve il Demonio, e l’assalì, ma non si potè
sapere quello, che le dicesse; ella con queste parole lo cacciò via: Quid a me petis cruenta Bestia? Exi
maledicte, et advola hinc. Che mi dimandi Bestia crudele? Esci maledetto, e
vattene di qui volando. Il che appena disse, quando una delle sue Figliuole, la
segnò col segno della Croce, rimedio opportuno contro il Demonio. Disse all’hora
Santa Chiara, come se dal sonno si svegliasse: non dubbitare figliuola mia, che
io tengo la Croce di Christo nel mio cuore. Et ad un’altra Monaca, la quale,
cercava la Croce per porla sopra il suo letto, quando stava morendo, disse: se
cerchi la Croce di Christo, piglia il mio Cuore, che vi troverai Christo
Crocefisso. E fu Providenza di Dio, che ella così parlasse, acciò non rimanesse
nascosto, doppo la sua morte, il pretioso Tesoro, che Iddio nel cuore di lei
haveva risposto.
43 – Doppo questo cominciò a
trattenersi col suo Signore, dicendogli alcune parole dolci, et amorose, come se
lo havesse presente, se già quivi non era venuto a visitarla, come altre volte.
Giunto poi il giorno dell’Assontione della Sagratissima Vergine Maria a hora di
Vespro, benchè fosse molto al fine, predicò della Misericordia di Dio, e della
Passione di Christo, et havendo esortate le sue Figliuole [V, pag.
290] all’obedienza, castità, humiltà, et ad ogni santità e detto
loro, che il maggior svegliatoio per la salute, e santità dell’Anime nostre, era
la Passione di Christo, alzando la mano le benedì col segno della Croce,
dicendo: Iddio, che regge il Cielo, e la Terra, vi guardi, e difenda, e sia
sempre il vostro refugio. Il che vedendo le sue Figliuole, giudicando, che fosse
già vicina la sua partita, cominciarono a piangere dirottissimamente per dolore,
et ella cercava di consolarle.
44 – Dimandò finalmente, che le
dassero il Sacramento dell’estrema untione; et havendolo ricevuto in Venerdì
alli 16 Agosto, si diè tutta all’oratione, dalla quale già mai la poterono
distogliere le voci delle sue Figliuole, alle quali solamente disse: di che vi
alterate? Che vi turba? Non sapete forse, che io sto con con sanità, quando
servo Dio? E che mentre sto più vicina a lui, sono più forte? Siate sicure, che
non potrete levare il Cibo all’Anima mia, il quale mi accresce le forze. E
comandando, che si radunassero tutte le Monache, e volle, che l’aiutassero a
dire l’Hore Canoniche, per compensare in questa guisa li difetti, che havesse
commessi, recitandole per l’adietro; le quali recitate, e rapita in Dio, alzò la
voce, e disse con un’affetto ardente: Smisurato, smisurato, smisurato è per me il
premio della tua Gloria. E rivolta alle sue Figliuole disse: Presto conducetemi al mio Sposo, perché vedo
aperti i Cieli, et ecco la mia Madonna e li Santi Apostoli, et il mio P. S.
Agostino, il mio P. S. Francesco, e le Vergini di Dio, che pieni di contento mi
vogliono condurre in Paradiso.
45 – La mattina seguente del
Sabbato, in cui finì la sua vita mortale per cominciare l’eterna in Cielo,
attese con maggior spirito all’oratione, e piena di allegrezza si fece portare
alla Chiesa, dicendo, che voleva partirsi; quasi che dicesse voglio andare a
licentiarmi dal Santissimo Sacramento dell’Altare, et a morire nelle braccia del
mio Signore innanzi a gli occhi suoi. E quivi essendo stata un pezzo in
oratione, rivolta alle sue Figliuole, disse: Sorelle mie amate, già l’hora è
giunta in cui usendo l’Anima mia dal carcere di questo Corpo, ha da salire in
Cielo al mio Dio; vi prego una, e più volte, che non vi dimentichiate mai
quello, che hora vi dico, che stiate sempre attente alla Legge di Do, et a suoi
Consigli, a quali la porta dell’Anima nostra sia sempre aperta, e serrata a
tutte l’altre cose, e finalmente, che amiate quella vita, che risplende in virtù
d’Anima e di Corpo. Ciò detto, congiunte le mani, alzando il viso verso il
Cielo, il quale era pieno di maravigliosa luce, volò quell’Anima benedetta al
suo Creatore, senza cagionare nel suo Corpo movimento alcuno, anzi che le sue
Monache pensavano, che stasse in oratione.
46 – Successe la felice morte di
questa gloriosa vergine l’anno del Signore 1308 et il quadragesimo di sua età,
in Sabbato, all’hora di Terza alli 17 di Agosto, essendo Sommo Pontefice
Clemente V. Nell’hora, che partì la Santa Vergine da questa vita mortale, fu
veduta in Paggio, Villa di Montefalco, per aria, gran moltitudine di Fanciulli
molto belli, con le ali, come si dipingono gli Angeli, in compagnia d’una
Monaca, tutta circondata di luce, che ascendevano al Cielo; e gridò una
Fanciulla, dicendo: E’ morta Chiara della
Croce, è morta Chiara. Et in Spoleto ancora, ella fu veduta salire al Cielo,
circondata di luce, accompagnata da Santi, e vestita di pretiosi ornamenti; e
volle Iddio publicare la sua gloriosa morte, acciochè sapesse la Terra, che
haveva una nuova Avocata in Cielo.
47 – Morta, che fu la Santa
Vergine restò il suo Corpo come vivo, con la faccia verso il Cielo, con molta
gratia, e con il collo alzato per qualche spatio di tempo. Le Monache havendo [V, pag.
291] ferma credenza, che la vista del Corpo sarebbe di gran bene a
Fedeli, doppo molto consiglio, si risolsero di non seppellirlo. Fra tanto dopoi,
ispirate da Dio, determinarono di aprirlo con certa confidenza di vedervi dentro
li Misterj della passione del Signore, li quali la Santa in vita non si toglieva
mai di bocca; et aprendolo una di loro, viddero il Cuore grande, quasi come il
Capo di un Fanciullo, e il luogo, o la borsa del Fiele dura oltre modo; e posto
il Fiele insieme con l’altre interiora in un’Urna, a piè dell’Altare del suo
Oratorio, le seppellirono, si ritenero il Cuore, col quale si consolavano,
ponendoselo sopra gli occhi, e baciandolo con gran divotione. Non furono poi
d’un medesimo parere le Monache intorno a quello, che si dovesse fare del detto
Cuore: alcune dicevano, che si aprisse, sperando, che vi fosse riposto dentro
gran Tesoro del Cielo, per le parole, che havevano udite dalla loro Santa Madre
nel tempo della sua morte; altre non consentivano, forse per una pietà naturale
verso la Madre loro, giudicando, che bastasse l’Anatomia, che si era fatta delle
sue viscere. Ma alla fine di commune consenso diferirono il negotio al seguente
giorno; e in tanto pregarono Dio, con molta humiltà, che le ispirasse a far
quello, che più piacesse a sua Divina Maestà. Finita la commune oratione, furono
tutte d’un parere e determinatione, che si aprisse il santo Cuore. Arrivato
adunque il giorno, che fu a 18 di Agosto, Francesca Monaca, la quale doveva
aprirlo, presolo nelle mani, spargendo prima molte lagrime, domandò per qual
parte, e in qual modo l’haveva
d’aprire. Rimasero all’hora attonite, senza sapere che farsi; ma tornando a Dio, come prima, lo pregarono con molte lagrime, che
mostrasse loro quel che si doveva fare; e poi tirando innanzi l’impresa, Suor
Francesca pigliò un Rasoio tagliente, stando le altre con Candele accese in
mano, et aprì per un lato il Santo Cuore, con molta facilità, in due parti, e
dentro vi viddero Christo Crocefisso con tutte le insegne della sua Santissima
Passione, restarono stupite senza formar parola, spargendo lagrime di
allegrezza, e di divotione.
48 – Era il Cuore grande, come si
è detto, havendolo fatto crescere Iddio in quella forma, o con altra nuova
materia aumentatolo. La sua carne di fuori era morbida, e delicata; di dentro
era vuoto, e concavo, e di carne soda, et aspra, e piena di nervetti forti e
duri. Le insegne della Passione erano di diversa tessitura, alcune erano di
carne, ma nella durezza, e colore erano simiglianti a quello, che
rappresentavano la Passione di Christo; altre erano fatte di nervetti, alcuni
erano scolpiti nella medesima carne, come Avorio nell’Ebano; alcuni elevati
dalla carne, come di basso rilievo;
et alcuni altri staccati dalla carne, come figurine di rilievo, che si mettono
per guarigione, di Ebano e di Avorio. Nella concavità della parte destra del
Cuore era l’Immagine di Giesù Christo Crocefisso, un poco più grande di un dito
piccolo d’una Donna, con le sue braccia distese, et alquanto alzate in alto, col
capo cadente, e piegato alla parte destra, la quale era di color livido, come
pavonazzo oscuro e la parte sinistra era di colore, come una tela bianca,
spruzzata di minute goccie di sangue. La piaga del Costato era nel fianco
destro, ove communemente per uso della Chiesa si dipinge (il che resta
eccellentemente autenticato in questo Miracolo) e dalla Piaga usciva molto
sangue. Nella medesima parte destra del Cuore stava la Corona di Spine, le quali
Spine erano corte, acute e nere; e qui ancora erano tre nervetti pendenti da uno
stesso luogo a guisa di tre fila al capo de’ quali pendevano legati tre Chiodi
con punta acuta, neri e duri; li due erano assai piccioli, e stavano appesi con
filo più corto; et il terzo [V, pag. 292] era più grosso, e con filo
maggiore attaccato. Sotto a’ Chiodi nel destro lato del Crocefisso stava la
Lancia fatta d’un nervetto, e la punta era come di ferro dura, et acuta, et
usciva fuori della carne del cuore elevata dalla superficie, come uscisse dalla
medesima carne, in quella guisa, che esce dal ramo la Rosa. In questa parte
istessa era la Spugna fatta di molti nervetti confusi, e senza ordine, di color
di Rose, et era nell’estremità d’un altro nervetto, il quale figurava la Canna.
Nella parte sinistra della Croce stava la Colonna, circondata e cinta d’alcune
funicelle attorte, e picciole, di color di sangue; la parte inferiore della
Colonna era appoggiata et attaccata alla carne. Vi era parimente il Flagello,
che era di cinque funicelle ritorte, e piene di nodi tinti di sangue, pendenti,
come da un bastone diritto e duro, et attaccatovi con un poco di carne morbida e
tenera.
49 – Si sparse subito la fama di
queste maraviglie per tutto il paese, con generale stupore di quelli, che
l’udivano, quantunque si facessero diversi giudicj sopra il caso. Ma volendo
Iddio, che un fatto così grande fosse manifesto a tutto il Mondo, per mezzo di
Testimonj d’ogni eccettione maggiori, dispose, che havendo havuto aviso di
questo il Prelato (che era in quel tempo D. Pietro Vescovo di Spoleto) egli
volle certificarsene, e così mandò il suo Vicario Generale Berengario, acciò
vedesse con gli occhi proprj il negotio; e se non era vero, come la novità del
fatto publicava, operasse, che non andasse inanzi, e se vero era, dasse forza
alla verità, approvando il Miracolo col suo parere et
autorità.
50 – Era Berengario di S.
Africano, di natura strana et aspra, benchè molto buon Christiano, et era di
grande autorità; il quale si era posto in pensiero, che ciò, che si diceva delle
cose della Santa Vergine, fosse inganno o imbroglio. E con questa opinione si
partì pieno d’ira, senza alcuno indugio, con la sua commissione per Montefalco;
ove arrivato andò al Monistero, da molta gente accompagnato, e comandò, che
fosse portato alla sua presenza, inanzi a tutti, il Cuore della Santa Vergine; e
presolo nelle mani, non contento di mirarlo con molta diligenza, cominciò a
palparlo, et stringerlo con le dita lungamente; e non potendo scoprire l’errore,
che egli per il suo sdegno desiderava, volle, che fosse strappato dal Cuore il
Crocefisso, et altri Misteri della Passione, per vedere se vi erano poste ad
arte; il che eseguito, e vedendo Berengario evidentemente la verità del fatto,
restò attonito, e pieno di stupore, et immobile, come se fosse stato di pietra;
e conobbe, e confessò, che quivi non vi era inganno alcuno, ma che era opera
miracolosa di Dio, e rimase divoto della Santa, oltre ogni stima. Tutta questa
narratione è di F. Agostino da Montefalco nella Vita, che di questa Santa
Vergine scrisse, e divolgò l’anno 1515 quale, come esso dice, l’haveva cavata
dal Processo fattto, per ordine della S. Sede, dieci anni doppo la di lei morte,
in ordine alla di lei Canonizzatione. Non parliamo quivi delle tre miracolose
pallottine ritrovate nella borsetta del Fiele, alla presenza dello stesso
Vicario Generale, le quali con la grandezza, colore, e peso, totalmente eguale
fra di loro poste in figura triangolare vivamente rappresentavano l’ineffabile
Mistero della Santissima Trinità; attesochè più sopra, con occasione di trattare
della gran divotione, che ella portava a questo incomprehensibile Mistero, ne
parlassimo a bastanza.
51 – Farebbe hora di mestieri,
che noi entrassimo nel vasto Mare de’ grandissimi e stupendissimi Miracoli, che
Nostro Signore operò per intercessione di questa sua dilettissima Sposa, a pro
di varie persone, così mentre viveva, come anche doppo il di lei beato passaggio
all’eterna Gloria; ma perché il volerli tutti ad uno ad uno quivi [V, pag.
293] registrare, sarebbe un non volere mai terminare il racconto
della sua prodigiosa Vita, ci ridurremo dunque per tanto a riferirne alcuni de’
più principali operati da Dio; così prima ch’ella morisse, come doppo ch’ella fu
morta.
52 – E per cominciare da quelli
fatti in vita: Morì Suor Andrea del Monistero di S. Chiara, saputolo suo Padre,
divoto, e benefattore del Convento, si affliggeva oltre misura di non havere
potuto vedere sua figliuola, e parlarle avanti la sua morte; mossa la Santa di
lui a compassione, vedendolo piangere teneramente, e trovandosele obbligata, per
molte buone opere ricevute dalla sua mano, pregò Dio con grand’affetto, che lo
consolasse; rissuscitò incontanente la Monaca, la vidde il Padre, si consolò
seco, le parlò, come desiderava; e nel medesimo giorno ella, senza havere
affanno, né agonia, né dolore, né segno di morte, passò un’altra volta nelle
braccia di suo Padre, da questa vita a colui, che la creò.
53 – Cavava un pover Huomo in
Montefalco una cantina, trahendone fuori arena, la quale cadendo all’improviso,
lo colse di sotto, e l’affogò. Corse al romore la gente, e fu ritrovato il morto
fra l’arena; si dolgono di vederlo, così miseramente morto, e senza Confessione;
lo portano alla Santa, e la pregano, che lo ritorni in vita, acciochè si possa
Confessare de’ suoi peccati. Ella prega il suo Sposo, che habbia misericordia di
quell’Anima, che tanto gli costò, e che miri la fede di tanta gente. Subito
risorse il morto, e confessato le sue colpe, morì.
54 – Suor Giovanna Monaca del suo
Convento, Donna di gran talento, e di molta importanza per il Monistero, amata
dalla Serva di Dio, fu visitata dal Signore con una infirmità, che venne a dare
in tifica, onde non vi si trovando rimedio, fu abbandonata da’ Medici. Un giorno
ella pregò la sua amica, e Prelata, che le impetrasse da Dio sanità. Ella disse:
non per te, né per l’amor grande, che io ti porto, ma per beneficio di questa
Casa; e pregò Dio per lei, il quale subito la sanò; e doppo la morte di S.
Chiara le successe nell’officio di Prelata.
55 – Un’Infermo si moriva senza
Confessione, perduta già la parola, e il sentimento, per le preghiere, e le
lagrime di sua Madre, la B. Chiara gli ottenne da Dio la parola, si Confessò con
gran dolore delle sue colpe, e la notte seguente, pieno di lagrime penitenti
diede l’Anima a Dio. Suor Lucia del medesimo Monistero di S. Croce, oppressa dal
Demonio, essendo un giorno tormentata ricorse alla Vergine, pregandola, che la
liberasse; Ella coprendola col suo Manto, il Demonio in quel punto se ne fuggì.
Un fanciullo era aggravato da gotta corale, a cui non si trovava rimedio, sognò
una sua Zia, che entrando il Fanciullo nel Monistero della Croce, e ricevendo la
benedittione della Serva di Dio, conseguiva la sanità. Raccontò il Sogno alla
Madre del Fanciullo, ella lo portò al Monistero, et impetrata la benedittione
del segno della Santa Croce dalla Beata Chiara, il figliuolo guarì di
repente.
56 – Ad un altro Inferno di
Scrofole, con le sue orationi, e segno di Croce, gli apportò la salute. Sano
un’Inferno di un piede in quel giorno, che gli si haveva a tagliare. Un altro di
vita perduta, condotto a mal termine da un’infirmità, hebbe, per le sue
preghiere, intiera sanità di Corpo e di Anima. Con queste, et altre simili
maraviglie, che faceva il Signore per mezzo della sua Serva, il Popolo nelle sue
necessità ricorreva a lei, ella al Cielo, e il Cielo l’udiva e
l’esaudiva.
57 – Doppo la di lei beata morte
fino all’anno 1318 cioè nello spatio di dieci anni proseguì il Signor Dio ad
operare tanti Miracoli per gloria, et honore di questa Serafica Vergine, che il
sopracitato F. Agostino da Montefalco scrive nella di lei Vita, [V, pag.
294] che giunsero al numero di 300 e più, li quali tutti autentici si
leggono ne’ Processi fatti per la di lei Canonizzatione, per ordine di Papa
Giovanni XXII il quali appunto furono fatti nel detto tempo, come all’hora
replicaremo, con produrre due Bolle del detto Pontefice, data l’una nell’anno
1317 e l’altra nel 1318. De’ quali Miracoli, per sodisfattione de’ Lettori ne
produrremo quivi alcuni pochi, e fra gli altri la rissurrettione di cinque
Morti, cioè un Fanciullo di cinque anni affogato sotto un Carro di Paglia, che
li cadde adosso. Una Fanciulla di sei anni. Una Donna annegata. Paolo da
Montefalco, per voto, che sua Madre haveva fatto di visitare il sepolcro della
Santa, e di porvi la sua Immagine di Cera; et Angelo da Perugia. Lucarello da
Spoleto privo di vista, havendo gli occhi, o la pupilla loro fuori del suo
luogo, riacquistò la vista perduta, ritornando gli occhi al suo
luogo.
58 – Cecco di Speranza da
Montefalco, zoppo dal suo nascimento di ambidue li piedi, così rivolti, e
storti, che non si poteva sostenere sopra di quelli, né muovere un passo;
essendo stato in questa guisa dieci anni, udendo i Miracoli, che Iddio faceva al
Sepolcro della Santa Vergine, vi si fece condurre, con molta confidenza in lei;
ove essendo stato un buon pezzo, cominciò a caminare molto bene, con gran
stupore di tutti. Antonio da Montefalco, zoppo dalla gamba sinistra, havendo
inviato una Candela grande al suo Sepolcro, conseguì l’intiera sanità.
Angioletto da Spoleti gravemente ferito di una Stoccata, che gli passò per il
ventre, raccomandandosi alla B. Chiara, restò libero e
sano.
59 – Andreuccio malamente ferito
in una spalla d’un Coltello, che gli entrò fino all’osso, cadendo da un
Mandorlo, non si trovando arte, né modo per cavaglierlo, raccomandandosi alla
Beata Chiara, subito se ne uscì il ferro, et egli restò sano della ferita senza
segno alcuno. Nardo cadendo in mano dagli Assassini, chiedendo aiuto a S.
Chiara, uno di loro la pigliò per lui, e lo distese. Filippo di Bevagna, uscendo
dal letto il fiume Timio, e crescendo oltremodo, scampò dalla sua furia,
chiamando S. Chiara. Chiaravia Monaca di Trento, tormentata da’ Demonj, posta
vicina al Corpo della Santa Vergine, restò libera. Servia Casignata oppressa
anch’ella dal Demonio, per lo spatio di sette anni, tormentata e ferita
gravemente, condotta al Sepolcro della Santa Serva di Dio, quantunque
procurassero d’impedirla i Demonj con grandi strepiti, gesti e voci, appena vi
si avvicinò, che rimase libera del tutto.
60 – Pietro da Poggio pazzo e
furioso, il quale si volse affogare, et appiccare alcune volte, e si sarebbe
amazzato, se non fosse stato impedito, col favore della Santa Vergine, acquistò
intiero giudicio. Flora sorda, Cecilia aggravata da gotta corale, Giovanni
rotto, Letitia inferma di mal d’orina, Flora da dolori di Madre, Soffia d’una
postemma, Acolo e Nicolò Spoletini, di febri, senza speranza di vita,
Matteuccia, di dolori di capo, Pietro da Spoleto di dolori di stomaco, Chiola di
denti per più di 20 anni, e molti altri di diversi mali, con l’intercessione di
questa gran Vergine raquistarono il beneficio della sanità. Tralascio in fine di
riferire, che molte persone di varj Stati, che havevano dato in reprobo senso, e
si ritrovavano in evidentissimo pericolo di danatione, essendo state
raccomandate alla B. Chiara, miracolosamente si ridussero in stato di salute. Né
tampoco parlò di alcuni cattivi Christiani, li quali si burlavano de’ Miracoli
stupendi che si raccontavano della Santa Vergine, e massime del suo prodigioso
Cuore, li quali tutti furono castigati da Dio; ma poi ravedendosi degli errori
loro, chiedendone perdono a Dio, et alla Santa, furono liberati dagl’incorsi
castighi; perché questi tutti, con moltissimi altri, li [V, pag.
295] potrà vedere il divoto Lettore nelle Vite, che della B. Chiara
hanno scritte, e divulgate diversi Autori, così di nostra Religione, come
d’altro Istituto e Professione. E per cominciare dagli Esteri scrissero la Vita
sudetta, Berengario Vicario di S. Africano, che fu poi anche deputato
Procuratore della Canonizzatione della Santa Vergine, come nel suo tempo
vedremo; un’Autore Anonimo antico, Antonio da Montefalco, Antonio Filoteo,
Isidoro Mosconi, Filoteo Amadei Siciliano, Abraamo Bzovio Domenicano, Filippo
Ferrari Servita, Mariano Scotto, F. Marco da Lisbona, Lodovico Miranda, Lodovico
Rebolledo, F. Luca Vadingo tutti cinque Francescani. De’ nostri Agostiniani poi,
Girolamo Seriprando Cardinale, Egidio da Viterbo Cardinale, Agostino Antolinez
Arcivescovo di Compostella, Ambrogio Coriolano, Alfonso d’Orosco, Agostino da
Montefalco, Nicola Crusenio, Angelo da Siena, Giovanni Marquez, Simpliciano di
S. Martino, Vincenzo Duprè, Emanuelle della Cerda, Tomaso Errera, Paolo
Frascinelli da Bologna, Sebastiano Portillo, et altri.
61 – Credesi parimente, che
fiorissero, con gran fama di santità, intorno a questo tempo nella medesima
Terra di Montefalco, due altre Religiose nostre Tertiarie, delle quali una
chiamossi Chiarella, e l’altra communemente dicesi, che chiamossi Chiaretta, se
bene in verità, per quanto testifica Girolamo Romano nell’undecima Centuria a
car. 94 sotto l’anno 1474 il suo vero nome fu d’Illuminata; non si sa di certo
in che tempo morissero, solo è fuori di dubbio, che vissero santissimamente, e
che Nostro Signore, per i meriti loro, operò molti Miracoli, che però da tempo
immemorabile, le loro Immagini si vedono nella nostra Chiesa, com’anche altrove,
massime nella detta Terra, con i nomi et i raggi di Beate; e ciò, che
maggiormente rilieva, li loro Corpi Venerandi, che si conservano ancora quasi
totalmente incorrotti, stanno esposti sopra d’un’Altare alla publica veneratione
de’ divoti Fedeli, li quali si riveriscono, et adorano, et implorano altresì il
loro patrocinio nelle loro necessità. Alla B. Illuminata, o Chiaretta, manca una
mano, la quale si conserva intiera nel Reliquario del nostro Real Convento di S.
Giovanni a Carbonara di Napoli; non si sa però da chi fosse colà trasferita,
benchè vi sia qualche traditione, che ve la trasportasse il Cardinale Seripando,
che era figlio di quel Convento, mentre era Generale.
62 – Si rese parimente molto
illustre nella Religiosa perfettione una Vener. Monaca del mentovato Monistero
di S. Croce di Montefalco, per nome Suor Giovanna di Egidio, et è quella per
appunto, la quale essendo già stata spedita da’ Medici per il male di
tisichezza, fu dalla B. Chiara miracolosamente risanata, tutto perché conobbe,
che la di lei morte sarebbe riuscita di gran danno a quella santa Casa, alla
quale questa buona Religiosa haveva prestato, et era per prestare altresì ottimi
servigi, così nello spirituale, come nel temporale avanzamento di quella; laonde
non si può credere quanto fosse amata, così dalla B. Chiara, come da tutte
l’altre Suore, che però non fu poi maraviglia se, doppo la morte beata della
gloriosa Chiara, li fu subito sostituita in qualità di Abbdessa, la buona
Giovanna. Questa medesima Madre fu uno de’ migliori testimonj, che si
esaminassero per la Canonizzatione della B. Chiara nell’anno 1317 come riferisce
Isidoro Mosconi nella Vita della detta Beata.
63 – Essendo morto in quest’anno
Valeriano fratello di Enrico VII Imperatore, mentre stava assediando la Città di
Brescia, insieme con altri Baroni dell’Imperio, a cagione dell’aria poco
salubre, fu con quelli seppellito nella nostra antica Chiesa di S. Barnaba, la
quale si conservava pur anche nell’Ordine; [V, pag.
296] imperciochè, se bene i nostri Padri si partirono da questo
Convento l’anno 1275 a fondare nella Città quello in cui hora dimorano, come in
quel tempo ampiamente scrivessimo, non abbandonarono però questo vecchio almeno
fino a questo tempo, in cui si fece la Sepoltura degli accennati Principi nella
sudetta Chiesa; tanto per appunto riferisce il nostro Giacomo Filippo da
Bergamo, nel Supplemento delle sue Croniche, prodotto anche dall’Errera nel Tomo
primo a car. 121.
64 – In questo tempo ancora
era in pieno essere il nostro
Convento della Città Elettorale di Magonza, attesochè Nicolò Serario nella
Storia, che scrisse di questa insigne Metropoli, dice, che il Monistero de’ PP.
Cartusiani fu fondato in quest’anno; hor questo poi è ivi più moderno del
nostro; laonde fa di mestieri, che fosse fondato qualche tempo prima, se bene il
detto tempo poi è incerto. Nota poi il sudetto Autore nel libro primo della
detta Historia al cap. 31 e car. 116 che ogni anno nel giorno solenne della
festa del nostro P. S. Agostino, si fa nella nostra Chiesa l’elettione del
Decano della Facoltà Teologica, et ivi anche si recita un’elegante Oratione
latina in lode del Santo Dottore.
65 – Gli è necessario, che
parimente in quest’anno si cominciasse a fondare il nostro Monistero di Santa
Lucia della terra di Morrovalle nella Provincia della Marca d’Ancona, posto, e
situato nella Diocesi di Fermo; attesochè, essendosi opposti alla detta
Fondatione li PP. Francescani della detta Terra, a cagione della distanza delle
Canne dall’uno all’altro Convento, li mossero una lite, la quale nell’anno 1333
era già durata 25 anni, come apertamente riferisce in una sua Bolla Giovanni
XXII data in Avignone l’anno 17 del suo Pontificato, che viene appunto ad essere
l’accennato anno 1333 sì che necessariamente si deve concludere, che il
mentovato Convento di Morovalle vedesse il suo primo principio intorno a
quest’anno presente 1308 qual fine poi havesse la motivata lite, lo vedremo, a
Dio piacendo, nel suo dovuto tempo, e luogo.
66 – Fu pur anche fondato in
quest’anno medesimo il picciolo Convento o più tosto Eremitorio di S. Croce
fuori della picciola Terra di Valdinoce nella Diocesi di Bertinoro, i Fondatori
poi furono F. Andrea da Cassia e F. Giovanni di Norsia ambi della Provincia
dell’Umbria, li quali appunto ottennero il detto luogo spettante alla Basilica
Lateranense, da Pietro Capocchi, il quale era in quel tempo Vicario del Card.
Arciprete di S. Giovanni in Laterano. Questa Donatione poi fu data a’ 24 Marzo
di quest’anno, e si conserva fino al giorno d’hoggi nel Convento di Cassia
insieme con la Conferma della detta Donatione, che poi fece F. Bartolo da Cassia
Agostiniano, come Vicario di B. … (sic!) Diacono Cardinale di S. Maria in
Aquiro, a cui era commessa la detta Chiesa Lateranense, come nel suo tempo
precisamente diremo. Vedasi l’Errera nel Tomo 2 a car.
523.
67 – Riferisce altresì Nicola
Crusenio nella terza parte del suo Monastico Agostiniano alla pag. 145, cap. 10,
che Erico Conte di Luzemburgo donò in quest’anno al Convento degli Agostiniani
di Tiunville, fondato alle mura della detta Terra, un’Aia, la quale era molto
necessaria, così al Convento sudetto, come a gli Orti di quello, e che poi fu
fondata, con le limosine de’ Paesani, la Chiesa, la quale servì poi più d’una
volta in tempi torbidi, di asilo sicuro a’ medesimi. Da principio fu soggeto
questo Convento alla Provincia di Francia, e poi appresso ne’ tempi più moderni,
a quella di Colonia; hora però, che sta sotto la Giuridittione della Francia non
si sa più se sia soggetta alla detta Provincia, oppure a quella di Francia;
altrove forse raccontaremo altre sue peripetie.
68 – [V, pag.
297] Ma
chiudiamo hoggimai quest’anno con l’istitutione dell’Ordine degli Eremiti di S.
Girolamo fondato dal P. Pietro Gambacorta di Pisa, il quale appunto com’era
molto devoto di S. Girolamo, volle darli il titolo di quel Santo Dottore. Fu poi
quest’Ordine approvato da Papa Urbano V intorno a gli anni di Christo 1370 sotto
la nostra Regola Agostiniana, come in quel tempo tornaremo più ampiamente a
ripettere.