Tomo V - ANNO 1285
Anni di Christo 1285 - della Religione 899
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[V, p. 37] Fu quest'anno del Signore 1285, molto fatale (se però così lice di dire) ad alcuni de' maggiori Principi della Christianità; il primo de' quali fu il Sommo Pontefice Martino IV, il quale doppo havere Regnato in tempi assai turbolenti, con gran valore la Chiesa, lo spatio di quattro anni, et un Mese, alla perfine nel giorno della Santissima Annunciatione di Maria sempre Vergine, cioè a' 25 di Marzo, santamente morì in Perugia; e scrivono gli Autori, che doppo la di lui morte in testimonio della sua Santità, operò Iddio alcuni Miracoli. Non sappiamo se questo Pontefice concedesse alcuna gratia alla nostra Religione, e se bene ci diamo a credere, che qualcheduna ne concedesse; nondimeno, come veruna non ne abbiamo potuto rinvenire; così niuna qui registrare ne potiamo. A questo Pontefice poi successe Giacomo Savelli Diacono Cardinale di S. Maria in Cosmedin, il quale prese il nome di Honorio IV e fu poi molto benefico all'Ordine nostro ne' due anni che visse, come in quelli ampiamente vedremo.2 -
Doppo Martino morirono anche tre altri gran Re Christiani, cioè, Carlo Re di Napoli, il quale terminò la vita nella Nobil Terra di Foggia in Puglia, trafitto, ed atterrato più dalla passione dell'animo, per la moltitudine delle cose averse, che l'oppressero; che dal morbo, o d'infermità, che l'assalì; lasciando Herede, non so se dir mi debba del suo Regno, o delle sue disgratie, Carlo il figlio prigione nelle mani degli Arragonesi, che si chiamò per sopranome il Zoppo. Il secondo Regnante, che finì i giorni suoi in quest'anno, fu Filippo Terzo Re di Francia, il quale tornando di Spagna, ove era passato a guereggiare a pro di Carlo Re di Napoli contro gli Arragonesi, oppresso all'improviso da un letale malore, terminò infelicemente la vita in assai fresca età, nella fortissima Piazza di Perpignano. A questi poi successe nel Regno Filippo suo figlio, per sopranome il Bello, che fu gran fautore del nostro Egidio Colonna, per le cause, che appresso diremo. Il terzo Re finalmente, che chiuse gli occhi per sempre in questo Mondo, pure in quest'anno istesso, fu Pietro Re d'Aragona, il quale essendo stato ferito in battaglia, miseramente morì; dissi miseramente, perché morì con l'anima ferita dal fulmine della Scommunica, che gli era stato scagliato da Papa Martino, per l'ingiusta occupatione del Regno di Sicilia.3 -
[V, p. 38] Intorno a questo tempo fu celebrato da' Padri della Provincia Romana, il loro Capitolo Provinciale nella Città di Toscanella, ed in questo Capitolo esercitò l'ufficio di Vicario Generale, che hora chiamasi Presidente, il Beato Egidio Romano Bacciliere di Parigi, in cui anche fu fatto da' Padri Capitolari il compromesso, ed egli elesse, come io ragionevolmente congetturo, per Provinciale un certo F. Matteo de' Felici Romano; et il fondamento dalla mia congettura è questo, perché io ritrovo, che nell'anno seguente, essendo stato pur fatto il compromesso in due altri Padri, questi elessero iterum (dice il Registro vecchio di questa Provincia) Fratrem Matthaeum de Felicibus Romanum; si che da queste parole habbiamo campo di credere che fosse stato questo F. Matteo eletto in quest'anno da Egidio, e poi riconfermato nello stesso ufficio dalli due Padri accennati nell'anno del 1286.4 -
Doppo terminato questo Capitolo, io tengo per certo, che Egidi s'incaminasse a gran passi alla volta di Parigi a ricevere la Laurea Dottorale, et a leggere e ispiegare il Maestro delle Sentenze, tutto perché ne' Capitoli Provinciali, ed anche Generali, non lo vedo più nominato, come presente fino all'anno 1291, e di vero partì egli in tutta diligenza in quest'anno 1285, alla volta di Parigi, non tanto per la causa pur hora accennata, ma per un'altra non meno grave di questa; e fu, che havendo egli alcun tempo prima, divolgate in quella gran Città alcune sue particolari Propositioni, le quali non erano punto piacciute all'Arcivescovo della detta Città, che Steffano Templier chiamavasi, come né meno al gran Cancelliere della famosa Sorbona; li quali entrambi, benchè più volte facessero istanza al detto Egidio, che ritrattarle dovesse, egli però, che per buone e stabili le stimava, non volle perciò mai ritrattarle, anzi che con varie sode ragioni, procurò mai sempre di maggiormente confirmarle, fra tanto essendo morto il detto Arcivescovo, e successoli nella Cattedra un altro Prelato per nome Ranolfo, come indi ad alcun tempo il sopracitato Cancelliere forse tornasse a persuadere a quest'altro Prelato, che dovesse tentare di nuovo il sopradetto Egidio, e procurare anch'egli, che una volta si riducesse a rivocare le mentovate Propositioni, e non havendo egli volsuto ciò fare ad istanza di questo nuovo Prelato; alla perfine questi, essendo passato Egidio in Roma, fece in quest'anno istanza grande al Sommo Pontefice novellamente eletto, affinchè dovesse rimandare in Parigi il sopradetto Egidio a fare la tanto bramata rivocatione di quelle Propositioni, che non piacevano ad esso et al Cancelliere, e forsi ad altri della Sorbona.5 -
Il pontefice dunque ciò inteso, fatto chiamare Egidio, l'esortò, pro bono pacis, a dare sodisfattione, così all'Arcivescovo, come a gli altri di quella grande Accademia; Egidio, che era un Religioso humilissimo, non così tosto hebbe intesi i comandi del Sommo Pastore, il quale per altro, teneramente l'amava, ben tosto rispose, che era prontissimo ad eseguire i stimatissimi cenni della Santità Sua; per la qual cosa, celebrato, che fu il sopracitato Capitolo Provinciale, accompagnato, e provisto d'una Bolla diretta dal Papa, al sopradetto Arcivescovo di Parigi, verso quella volta s'inviò; la Bolla poi, che seco portò, è del seguente tenore:Honorius Episcopus Servus Servorum Dei.
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Venerabilis Fratri Episcopo Parisiensi, salutem, et Apostolicam Benedictionem. Licet Dilectus Filius Fr. Aegidius Romanus de Ordine Fratrum Erem. S. Augustini olim Parisijs vacans studio, aliqua, sicut intelleximus, dixerit, et redegerit in scripturam, quae b. m. Stefanus Parisiensis Episcopus [V, p. 39] praedecessor tuus per se ipsum examinans, et per Cancellarium Parisiensem eius temporis, ac per alios Theologicae facultatis Magistros examinari faciens censuit revocanda, et ea minime revocaverit, quin potius varijs rationibus nisus fuerit confirmare. Nuper tamen apud Sedem Apostolicam constitutus humiliter obtulit se paratum revocanda, quae dixerat, sive scripserat, revocare pro nostrae arbitrio voluntatis. Nos vero huiusmodi eius oblationem humilem acceptantes, et moti spiritu compassionis ad ipsum, quia decentius, et utilius reputavimus, ut praemissa ibi consultius revocentur, ubi dicta, et scripta inconsulte dicuntur, ipsum ad te duximus remittendum; Fraternitati tuae per Apostolica scripta mandantes, quatenus Dilecto Filio Magistro Nicolao Parisiensi Cancellario, et omnibus aliis Magistris Theologicae facultatis Parisijs commorantibus, tam actu in eadem facultate Regentibus, quam etiam non Regentibus ad hoc specialiter convocatis procedens de ipsorum consilio in praedictis dicto Fratre coram omnibus eis revocante, et specialiter, quae dictus praedecessor tuus mandavit, ut praedicitur, revocari circa licentiam, et expeditionem ipsius auctoritate nostra provideas, prout secundum Deum Fidei Catholicae, ac Parisiensis studij utilitati de consensu maioris partis Magistrorum ipsorum videris expedire. Datum Romae apud S. Petrum Kal. Iunij Anno primo.7 -
Questa è la copia fedele della Bolla, che diresse Papa Honorio IV, al Vescovo di Parigi, io dirò più tosto a prò e beneficio, che contro il nostro Egidio Colonna, come alcuni hanno stimato, e specialmente Odorico Rainaldi nel Tomo quartodecimo degli Annali della Chiesa, il quale anche registra sotto di quest'anno la detta Bolla dalla quale due cose io ne deduco, la prima si è, che le Propositioni, che divulgato haveva Egidio, non erano né contro la Fede, né contro i buoni costumi, né contro i Principi, né finalmente di sua natura erano scandalose; imperochè, se fossero state d'alcuna delle dette conditioni, subito sarebbero state proibite non solamente dal cancelliere della Sorbona, e da tutta quella dottissima, e gravissima Università, ma di vantaggio l'avrebbero condannate il Vescovo et il Papa medesimo. La seconsda cosa poi, che cavo dalla sudetta Bolla è, che io mi faccio certamente a credere, che le Propositioni divolgate da questo gran Dottore, fossero contrarie a qualche massima opinione universalmente tenuta, e sostenuta dalla sudetta Sorbona, quale mal volontieri vedevano impugnata da uno, il quale haveva studiato, e si era graduato in quella, e che altresì pretendeva di ricevere la Laurea Magistrale e Dottorale nella medesima.8 -
E questa poi fu, il mio credere la potissima causa, che fece risolvere questo grand'Huomo a ritrattare le dette Propositioni, le quali per altro conosceva essere fondatissime; oltre che vedendo, che anche il Sommo Pontefice, il quale molto l'amava, e lo honorava per la di lui gran Dottrina, e sapere, a ciò fare l'esortava; laonde più per humiltà et obedienza, e per non parere un'huomo di troppa dura cervice, s'indusse a far quello, che forse non havrebbe mai fatto. Presa dunque la Benedittione dal Santo Padre, insieme con la Bolla, che li doveva servire per Lettera di raccomandatione appresso il Vescovo sudetto di Parigi, et il Canceliere della Sorbona, verso colà s'inviò; ove giunto, io mi persuado, che doppo havere ritrattare quelle Propositioni, le quali tanto travaglio davano a quella famosa Accademia, per esser figlie d'un Ingegno così alto, e sublime, e poi tanto accreditato nella Francia, e nell'Italia, fosse subito con universale applauso acclamato, e creato Maestro, e Dottore, non [V, p. 40] meno nelle Filosofiche, che nelle Teologiche Dottrine; et a ciò credere m'induco, perché la dove fino a questo tempo, lo trovo sempre condecorato col Titolo, in que' tempi grandemente honorevole, di Bacciliere di Parigi, da qui avanti poi sempre lo ritrovo col nome più insigne di Maestro.9 -
Hor quanto poi riuscisse grata alla famosa Sorbona la ritrattatione, che fatta haveva di quelle sue Propositioni novello Dottore Egidio, e che con essa riconciliato, e riunito si fosse, si puole facilmente argomentare dall'honor grande, che poco appresso si conpiacque di fargli; e fu che essendo già stato unto Re di Francia, pur poco dianzi, nella Città di Rens, Filippo, per soprannome il Bello, figlio del già morto Filippo Terzo (di cui appunto era stato Maestro il nostro Egidio) e dovendosegli nella sua venuta a Parigi recitare da uno de' primi Dottori della Sorbona un'Oratione, non seppero, que' Gran Letterati sciegliere fra di loro per intraprendere una così grave, et honorata funtione, huomo, che più habile li paresse del grand'Egidio; e perché mi persuado, che i nostri Religiosi, et anche tutti gli Eruditi havranno gusto particolare di leggere la detta Oratione, ecco, che appunto per incontrare le loro sodisfattioni, qui mi giova di registrarla parola per parola; e poi ella dunque è del seguente tenore:10 -
E Templis, et quasi e Colloquio Dei Optimi Maximi venientes, ac continuo abs te, indulgentissime Rex, dicere iussi, non minore religione apud te verba faciemus, quam quanta modo pro te ante aras vota suscepimus. Te quoque eadem animi pietate auditurum confidimus, qua, ut sacrae scolae verbis orationem faciamus, hortaris; ut quae ultro in mentem tibi veniunt, ea etiam a tuis accipias, et tecum loqui per saepe solitus, vocem etiam nostram non asperneriis. Quid autem apud novum Regem antiquius, graviusque quam de Regno dici potest? Nomen enim Regium non in terris natum excogitatumque, sed e Caelo demissum mihi videri solet. Parens enim rerum Deus, cum genus humanum condidisset, summum quidem in illud imperium, iusque pene se retinuit; sed ut mente in eum sublimes ferremur; ut illum cupidus quaereremus; ut spe et votis incederemur, idcirco in terris palam ipse degere, oculisque interea nostris observari voluit, Reges instituit, qui eius vice munereque fungerentur; quorum ut quisque probitate ad Deum optimum maximum accederet, ita verissime Rex vocaretur. Ita omnes eodem consilio dato, alia tamen alij via ad laudem contenderunt. Per multi singulis singuli virtutibus inclaruere. Audeo praedicare, nullum dum omnibus anteivisse. Non pauci certe compluribus praesistere. Magnus n. campus Regibus patet ad gloriam, et ad eam cuncti mortales, sed maxime omnium Reges Studio incitati feruntur. Dignissimum n. diademate censuerim, qui quidquid in caeteris pulchri passim aut legerit, aut audierit, id omne sibi universumque expetat; et quod desideravit in alijs, id praeterea ipse praestet. Non pigebit me, dum te intueor, magnitudinemque tuam considero a Persis exempla repetere; quorum Reges tot gentibus imperitantes cum liberos suos ipsarum virtutum voce erudiri instituique non posse cognoscerent, quod proximum erat, conquisitione summorum virorum facta, quatuor viros ex omni numero deligebant, unum iustitia clarissimum, alterum prudentia, tertium fortitudine animi, quartum continentia excellentem. Horum praeceptis institui iam inde a Pueris Regum filij consueverant. Quae disciplina quamdiu incorrupta permansit, tamdiu illud Imperium maximum Orbis terrarum extitit, et tot post saeculis etiam apud nos memorabile, ac imitatione dignissimum. Sed satis mirari [V, p. 41] nequeo, id quod multis ante saeculis admirationi summis sapientiae professoribus fuisse video; post hominum memoriam summos Reges; maximosque Imperatores ex rebus gestis, vitaeque instituto, aut fortuna aliqua praeclara sibi cognomenta peperisse; alios expugnatore, alios Illustres, alios Magnos, alios Felices, alios Augustos, alios Pios dictos, alios alio decore nobilitatos; nullum dum Regum, nullum illorum Imperatorum, qui rerum potiti sunt, Iusti cognomen ad hanc diem promeruisse; eam unam iusti Regis palmam, cognominisque dignitatem caeteris occupatis, reliquam esse quae petatur; quam primam omnium summa contentione peti oportuisset; cum caetera privatorum hominum, et multo minus saltuaria munera sint. Cuius rei causam quis aliam crediderit, quam quod sunt qui ferant, iustum hominem maiori alijs, quam sibi, usui esse; quasi Reges loco Caelestium instituti, datique idcirco sint, ut sibi non Reipublicae saluti commodoque prospiciant; cum contra res habeat, Regesque divinitus generi humano dati sint, ut in commune consulant, iustitiaque sit ea animi dos, quae universa utilitate conservata, suam cuique tribuit dignitatem a qua qui desciscunt, quamvis in Regio solio sedeant, Regesque in praesentia vocitentur, tamen adeo a Regio nomine, iudicio sapientum (quo quid maius? quid et gravius?) absunt; ut ne Latino quidem nomine nuncupari possint. Externo, et peregrino, et temporibus auribusque tuis, et voce pietateque nostra indigno, nominantur. Eius igitur culpae ratio eadem est, quae et communis exitij, maximorumque bellorum; quod opibus praestare, id in rebus humanis summum bonum arbitrantur; cum ea demum, ac una magnitudo Regia sit, ut cum cupiditati animi modum semel imposueris, quam caeteros mortales magnitudine nominis antecedis, tam bene factis anteire contendas; et ea imprimis excellas virtute, a qua una reliquae iura petunt; eius nutum intueantur, ad eam omnia referant, ab eius ore pendeant; cuis fidei aliae rerum summam arbitriumque mandarint, seque eius administras comitesque prositeantur. Ea haud dubie iustitia est, pro qua fortitudo, constantia, gravitas nisi depugnet, suum ius nomenque ac decus amittat, feritas, immanitas, vecordia dicatur; cui sapientia nisi appareat, prestoque sit, malitia, calliditas, fraus, captio necessario vocitetur. Eiusdem est, cum hominum genus ex fera filuisque in urbes mansuetudinemque exciverit, legum ac institutorum vinculis coniunxerit, consociaritque dare operam, ut probi mores vigeant; pietas, fides, pudor, modestia, continentia, temperantia colatur. Quin ipsa liberalitas, quae prodesse velle se, ac augere multos gloriatur, nisi sine iniuria, sine maleficio alterius id faciat, nisi iustitiae vestigiis insistat, cuius se germanam, atque maxime geminam praedicat omnis comendationis, dignitatisque sit expers priusquam alios spoliet, quam alijs largiatur. Eadem et magnificentiae, et munificientiae est, ut ab iniuria procul facessat, et unius iustitiae nomine omnes contineantur, ea omnes sit; eam vim suam etiam sanctam mortalibus testetur; quod cum quaenam mortalium generi tuendo debeantur, praescripserit, Caelum etiam suspiciens, illi in animis hominum venerationem, cultumque reddat; pietatem et religionem, templa, sacra, superis impertiat, summumque mundi artificiem velut coram contemplata, imitandum sibi proponat; et quemadmodum ille signa, sidera, Caeli motus, temporum vicissitudines, sempiterna certaque lege devinxit, a qua deficere nequeant; ita ipsa terrestribus his apud nos Regnis, si perpetua futura sint; salutares leges iuraque praescribat. Haec igitur iustitia teneris incedens, ac Caelum cervice continges, ita sibi nihil ipsa petens, nihil captans, sua cuique tribuit, ut ei nihilo fecius genus hominum, resque omnes eius beneficio incolumes sceptra assignent, [V, p. 42] simul qui iusti, legitimique Reges a parentibus, more, instituto, et legibus, consensuque Regna acceperint; nulli rei plusquam iustitiae debuerint. Maius enim certiusque matrimonium, ac ampliores facultates, ab ea acceperunt; quam a parentibus. Illi enim opes, gazam, arma, arces, praesidia tradere potuere; ut viri iustique Reges sint, haberenturque ipsi, ac liberis deinceps per manus eadem relinquant, id munus eius Reginae sit. Cur enim Iustitiam Reginam vocare dubitemus, quae Regna tradat, tueatur, sancta efficiat? adeo, ut etiam si id verum credatur, quod et Proceres Sapientiae nonnulli dixere; Iustum plus alijs prodesse quam sibi; dissimulari tamen non possit, veros Reges, eosque in primis qui Regibus orti, generaturi Reges sint; ei Reginae accepta omnia ferre debere; quam et ipsos in se colere, et caeteris praestare conveniant. Et ut omnia semel complectar, religionis, moderationis, fortitudunis, prudentiae, liberalitatis, iustitia parens est; nec divelli a Rege potest, Regio nomine incolumi. Nec difficile est factu, eam praestare, non aeque caetera. Etenim Sapientia ingenij indolens est, quam nullus efficere, creareve sibi potest. Naturae bonum, ac Dei donum est. Fortitudo quoque vis quaedam et magnitudo animi censetur, ac id mentis robur fere, ut cuique insitum est specimen, cernitur. Quidquod continentiam facilem, aut difficilem corporis dos, habitusque praestare videri possit. Iustitia aut a sola voluntate proficiscitur, et, ut quisque vult, iustus, secusve est; aut facillime omnium Regijs ingenijs se ultro discendam praebet. Forma corporis, oris dignitas, frontis gravitas, vultus Maiestas, fulgor, vigor, ac lumen oculorum (quando maxime inclita Caelestium munera repidianda, dissimulandaque non sunt) spectantes movet, tenetque ac admonet, quaenam species primi a summo artefice initio rerum creati hominis fuerit; qualesque quicumque iuste regnarint, futuri sint in illa felici immortalitate. Quod si corporis pulcritudo tanti est, ut quodam sui miraculo reliquos efficiat; quid sentiendum est de illa pulcritudine, quae est animi vere Regij, quae similimum superis facit? Age, macte indole animi, speque mortalium, hanc virtutum Reginam, Rex, in Consilium semper admitte; eius specimen animo concipe; ad eam te conforma; eamque intuens te compone. Quam ea te delectabit? Quam mirum sui amorem apud te excitabit? Quam te caelestibus charum acceptumque efficiet? Quantam tibi Maiestatem apud tuos, apud alienos conciliabit? Quam te immortalitati nominis consecrabit? Is demum optimus Rex erit, ac minime rerum inclinationibus, temporumque communium mutationibus, et publicis casibus (qui summis Imperijs, ubi aliquid labat, fere accidere, ut humanis corporibus morbi, consuevere) obnoxius, qui eam semel pectore admiserit, ac deinceps eius consuetudine tenebitur; nec modo felix, sed et quod proprium Regnum est, suos felices efficiet. Pregustans quanta, quamque solida futura sit, illa inter superos summa, aeternaque felicitas; quam optimis Regibus iustissimisque designavit divinum numen. Huius, ut apud nos partes interea ageres, hoc solio velut in editissima terrarum specula sedes.11 -
Da questa bellissima Oratiotione ciascheduno può facilmente conoscere, quanto fosse grande la Dottrina, l'Eruditione e l'Eloquenza di questo Eminentissimo Letterato, e quanto sublime la stima, che di lui facevasi in quel nobilissimo Studio; mentre egli solo, fra tant'altri famosissimi Dottori, fu scielto per un'attione così eroica ed importante. Io però qui non posso di meno di non mi maravigliare della poca diligenza, non so se dir mi debba, o pure della dimenticanza del P. Rainaldi, il quale si prese cura di registrare la Bolla, da noi più sopra prodotta, la qual pare, che a prima faccia [V, p. 43] sia contra d'Egidio (benchè poi non sia così, come habbiamo nel suo proprio luogo dimostrato) e poi si scordò di fare lampeggiare, come fatto havea l'eruditissimo e dottissimo Padre Bzovio questa elegantissima Oratione, la quale ridondò in tanto honore, e gloria dello stesso Egidio; ma forse questo dotto Annalista non doveva haver veduto, quando scrisse gli avvenimenti di quest'anno, il sudetto Bzovio.12 -
Stimasi, che anche in questo tempo egli componesse, ad istanza dello stesso Re, il bel Libro d'Oro De Regimine Principum, della qual materia, se bene n'haveva scritto un altro eruditissimo Volume, il Glorioso S. Tomaso d'Aquino, tutta volta, il Re volle, che anche il grand'Egidio ne componesse un altro, il quale in vero, non riuscì punto a quello di S. Tomaso inferiore.13 -
Pensano alcuni ancora, che egli in questo tempo con un dottissimo Libro difendesse la Dottrina dello stesso S. Tomaso, di cui egli era stato uditore e discepolo dalle calunnie d'un certo F. Guglielmo Lamacense Minorita, il quale volendo sublimare la Dottrina di S. Bonaventura sopra tutti i Dottori del Mondo, non li pareva di poter ciò pienamente conseguire, se non procurava di censurare, et abbassare l'Angelica Dottrina di S. Tomaso, il quale in questo tempo veniva chiamato da tutti a piena di bocca, e ben meritatamente, il Principe de' Teologi, e l'Angelo delle Scuole. Chiamò egli questa sua Opera Correctorium Corruptorii, etc. e se bene F. Leandro Alberti ascrive quest'Opera ad un altro Egidio Domenicano, s'inganna però di molto, per sentenza di quasi tutto il rimanente degl'Historici del Mondo, li quali tutti uno ore, dicono, che Egidio nostro Romano, e non altri quest'Opera componesse; come anco molto più s'ingannano quelli, che dicono, che Egidio non scrisse alcun'Opera, ma l'Opere, che a lui s'ascrivono, fossero composte da un certo Egidio Corboliense Medico di Professione; laonde questi tali vengono derisi per una così fatta simplicità dal P. Rainaudi Gesuita ne' suoi eruditissimi Erotemi, come che vogliono, che un Medico scrivesse tant'Opere di Teologia, come sono quelle, che in verità scrisse, e compose il nostro Egidio, con tanta sodezza, che però s'acquistò il nome di fondatissimo in quel grand'Ateneo della Sorbona; ma, che non sa inventare l'invidia, per oscurare, benchè in vano, le glorie de' soggetti più eminenti, e pellegrini? Ma questa menzogna sarà da noi altrove più chiaramente scoperta.14 -
Fioriva in questo tempo un famosissimo Predicatore dell'Ordine nostro per nome F. Eberardo, il quale a guisa appunto d'una grande e sonora Tromba Evangelica, intuonava a' Popoli della Germania, con tale applauso e fama, la Divina parola; che le genti lo andavano, ovunque ei Predicava, a sentire in tanto numero; che tal volta, ascendevano a cento mila, cosa quasi incredibile, se non la racontasse di buon proposito, e senno, Matteo Marescalco nelle sue Historie Selette di Germania; laonde gli è da credere, che egli predicasse, non nella Chiesa, che non havrebbero potuto capire per grandi, che, elleno fossero state, una così numerosa moltitudine, ma ben sì nelle Piazze, e nelle Campagne, come sono stati costretti di fare tant'altri Servi di Dio, come si nota nell'Historie Ecclesiastiche in varj tempi.15 -
Hor questi finalmente essendo giunto alla Città d'Egra in Sassonia, fu d'improviso empiamente, da una tal Persona, avelenato, come che forse havesse il buon Predicatore ripreso, come era solito di fare, con Evangelica e Christiana libertà, qualche suo peccato; e doppo morto fu nella Chiesa di S. Stefano di quella Città honorevolmente seppellito. E' stata fin'a questi nostri tempi totalmente incognita alli Scrittori della nostra Religione, la santa, et honorata memoria di questo [V, p. 44] grand'Huomo; et il primo, che dal sudetto Marescalchi l'hà trasportata nelle nostre Historie, è stato il zelante, et indefesso raccoglitore delle Agostiniane Antichità, Maestro F. Tomaso Errera, a cui tanto deve l'Eremitica Famiglia, che non so se mai tanto ad alcun'altro.16 -
Morì parimente in quest'anno F. Incelerio Vescovo di Buda in Ungheria, Religioso dell'Ordine nostro di cui più volte negli anni scorsi habbiamo havuto occasione di favellare, in riguardo de' molti favori e gratie, che egli, come gratissimo figlio, fece sempre a' Monasteri, e Religiosi dell'Ordine, e gli successe nella stessa Catedra, e Chiesa un altro Religioso pure dell'Ordine nostro, per nome F. Anselmo, che prima di farsi Frate, era stato nel Secolo Barone di Potlitz; e se bene il P. Crusenio stima, che questa sua assuntione al Vescovato di Buda succedesse nell'anno 1293, devesi però credere più tosto al Milensio, come quello, che appoggia il suo detto ad un'autentico Diploma, qual dice conservasi nel Convento di Vienna.17 -
Era in questo tempo istesso Suffraganeo della Chiesa Cattedrale di Trento, un nostro Religioso per nome Bonifaccio Vescovo non Bolonense, come per errore lo chiama l'Errera, ma Bosonense; e tutto ciò dice il P. Errera nel Tomo 2, dell'Alfabeto, che costa per un'Istromento fatto dal detto Vescovo, e rogato in quest'anno, a favore del predetto Monistero di Trento. Chi poi fosse questo Vescovo, dove stia posto questo Vescovato Bosonense, non l'ho trovato appresso alcun Autore, basta a noi di sapere, che egli era senz'alcun dubbio della nostra Religione.18 -
Lo stesso Bonifaccio essendo stato supplicato da' PP. nostri di S. Marco di Trento a volere consagrare due Altari, nella nuova Chiesa, che già per le raccolte Limosine era finita, cioè, quello di Maria sempre Vergine, e di S. Anna sua Madre, e l'altro di S. Agnese e di S. Cecilia con le undici mila Vergini; con degnarsi altresì di concedere qualche Indulgenza a chi li detti Altari visitati havesse ogn'anno nel giorno della sudetta Consagratione. Alla quale supplica volendo egli compiacere, non solo restò servito di farla come bramavano, e di concedere a chi havesse visitati li detti Altari, come sopra, un'anno e 40 giorni d'Indulgenza; ma di vantaggio procurò, che lo stesso Vescovo di Trento, che pure era nostro Religioso, come provassimo nell'anno scorso, li concedesse anch'egli la medesima Indulgenza; da cui anche ottenne di poter fare la sudetta funtione. Fu poi dato il Diploma della detta Consagratione in Trento nel sudetto Monistero di S. Marco alli 16 di Novembre in quest'Anno 1285; e si conserva nell'Archivio dell'Accennato Convento; il tenore del quale è il seguente:F. Bonifacius Fratrum Ordinis S. Augustini sola Divina gratia Episcopus Bosonensis.
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Universis in Christo fidelibus praesentes Litteras inspecturis salutem, et aeternam in Domino Charitatem. Intente dirigitur nostrae considerationis affectus ad cultum Divini nominis ubilibet ampliandum, et ad salutem animarum procurandam nostrae solicitudinis studium indefesse suspirat. Cum apud Civitatem Tridentinam in honorem S. Marci Evangelistae Oratorium sit conditum, in quo Fratres Eremitarum Ordinis S. Augustini devote Domino serviunt, et famulanrunt, et ibidem multorum Sanctorum Reliquiae continentur ad quorum suffragia dirigentes gressus suos remissionem suorum inveniant peccatorum. Nos autem in eodem de licentia, et speciali auctoritate Domini Henrici Dei gratia Tridentini Episcopi, et libertate seu concessione Privilegiorum Ordinis supradicti duo consecravimus [V, p. 45] Altaria, unum ad honorem Beatae Virginis Mariae, et Matris eius Beatae Annae; aliud ad honorem Beatarum Sanctarum Agnetis et Caeciliae, et undecim millium Virginum. Unde nos auctoritate Dei, et Gloriosae Virginis Mariae, et Apostolorum Petri, et Pauli, ac B. Marci Evangelistae misericordia consisi, omnibus vere paenitentibus et contritis, qui ad praedicta Altaria in festo Dedicationis annuatim accesserint, et per octavam eorum, Fratrum Benefactoribus de iniuncta eisdem paenitentia pro Consegratione dictorum Altarium unum Annum, et quadraginta dies ex parte nostra, et unum Annum, et 40 dies ex parte Domini Episcopi Tridentini pro quolibet Altari misericorditer relaxamus. Et hanc Indulgentiam volumus extendi etiam ad Benefactores praedictorum Fratrum per omne tempus. Datum Tridenti in loco praedictorum Fratrum, 15 Kalendas Decembris Anno Domini 1285.20 -
E perché sapeva lo stesso Prelato, come altresì il Vescovo Enrico, la povertà grande, così di quel Convento di S. Marco, come di tutti gli altri della Religione, si compiacquero per tanto ambidue di concedere ciascheduno di loro un'altr'Anno e 40 giorni d'Indulgenza a tutti i Fedeli, che havessero fatta la limosina a' Padri Eremitani di S. Agostino; il Diploma però di questa duplicata Concessione, fu fatto, e spedito sotto il nome di Bonifacio, nominandosi però la Concessione d'Enrico, e la licenza del medesimo al sudetto Bonifacio suo Suffraganeo, di potere concedere la mentovata Indulgenza. Si conserva poi parimente questo Diploma nel sopramentovato Archivio del nostro Convento di Trento, e la copia di quello è la seguente:Bonifacius Dei gratia Episcopus Bosonensis.
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Universis in Christo Fidelibus, ad quos praesens pervenerit scriptum, et veram in Domino charitatem. Quoniam ut ait Apostolus, qui parce seminat, parce, et metet. Et qui seminat in Benedictionibus, de Benedictionibus metet vitam eternam. Cum ergo in Christo nobis dilecti Fratres Eremitani Ordinis Sancti Augustini, quorum vitam laudabilem, et conversationem bonam praesentibus protestamur, humiliter inclinati nobis suplicarunt, ut eis aliquam gratiam conferemus. Nos, Divina gratia inspirante, precibus eorum annuentes, et paupertati eorum subvenire cupientes, vestram universitatem in Domino duximus exorandam, quatenus de bonis a Deo colatis ipsis curetis manum porigere adiutricem, ut per haec, et alia, quae feceritis bona ad aeterna gaudia pervenire possitis. Nos vero misericordia Dei Omnipotentis, et Beatae Genitricis eius omnibus vere paenitentibus, et Confessis, qui iam dictis Fratribus manum porrexerit adiutricem, suas eis eleemosynas largiendo, unum Annum et 40 dies ex parte Venerabilis Domini Henrici Episcopi Tridentini, et unum Annum et 40 dies ex parte nostra de eiusdem licentia misericorditer in Domino relaxamus. Datum Tridenti in Domo dictorum Fratrum, 15 Kalendas Decembris, Anno Domini 1285.22 -
Era in questo tempo ancora Vicario generale e Procuratore del Padre Generale Clemente, nel Monistero antico di Parigi (del quale a bastanza scrivessimo sotto l'anno 1240) un Religioso molto qualificato della Provincia Romana, chiamato F. Giuvenale da Narni, il quale havendo havuto ordine dal sudetto Generale di fondare un Convento nuovo in sito più comodo, e più vicino alla Sorbona per maggior comodità de' poveri Frati, che da tutte le parti dell'Ordine andavano in quella famosissima Accademia a studiare; egli dunque osservato un bel sito, posto in un luogo detto il Cardineto, pensò di comprare una certa Casa, [V, p. 46] che era de' Canonici Regolari di S. Vittore, per ivi fabbricare poscia il Convento, o più tosto Collegio nuovo. Ma perché, per fabricare, e dilatarsi, gli era necessario di comprare due pezzi di terra, l'uno de' quali era del Capitolo e Canonici della Cattedrale, e l'altro d'una certa Vedova già moglie di un tal Ariberto alle Save, e quest'ultimo essendo Emfiteotico, che pagava Canone alli sudetti Canonici di S. Vittore, fu dunque necessario, che l'uno, e l'altro pezzo di Terra prima comprasse; e poi anche ottenesse dall'Abbate, e Canonici sudetti la facoltà di potere comprare la detta Casa.23 -
Primieramente dunque a' 28 di Agosto, giorno festivo del nostro Gloriosissimo Patriarca S. Agostino, doppo havere trattato più volte col capitolo sudetto della Cattedrale, alla fine si stipulò il contratto della compra di quattro Arpenti di Terra posti nel sopradetto luogo del Cardineto, mediante lo sborso di lire 400 di Parigi, quali in quell'istesso giorno furono al Capitolo sborsati dal P. Giuvenale predetto a nome del P. Generale e di tutto l'Ordine, con patto però, che egli procurasse d'havere la licenza dal Vescovo, se però potevasi ottenere.24 -
Doppo di questo procurò ancora di comprare l'altro pezzetto di Terra, posseduto da quella Vedova, il quale era un semplice Arpento, e l'ottenne; ma fu però necessario impetrare prima il consenso di poter ciò fare dall'Abbate, e Canonici di S. Vittore, li quali facilmente gli lo concessero, mediante lo sborso di 40 lire e dodeci danari, che prima quell'Arpento pagava di Canone, e per il loro Monistero ne ritennero solamente due da doversi per l'avvenire pagare da' nostri Frati in segno dell'antico loro dominio diretto, e principale; e questa compra fu stipulata del Mese di Novembre.25 -
Fatte queste due compre necessarie, vi restava la più importante della Casa de' Canonici di S. Vittore, nella quale dissegnato di fabbricare il Monistero, per la qual cosa passatone parola con l'Abbate, e Canonici, convennero finalmente questi di concederli la detta Casa, con patto di pagare ogn'anno al detto Monistero in quattro termini, consueti nella Città di Parigi, lire 24 di moneta corrente di quella Patria; con conditione, che potessero ben si fabricare la Chiesa, od Oratorio, ma non già alzar Torre o Campanile, e porvi su le Campane di sorte alcuna, senza espressa licenza, e consenso delli stessi PP. Abbate, e Canonici; con patto altresì, che n'ottenessero anche la licenza dal Vescovo, a cui forse dovevano soggiacere, e procurasse il detto F. Giuvenale di far confermare tutto il presente contratto fra tre anni prossimi a venire, da tutto il Capitolo Generale dell'Ordine, e consegnare poi a detti Canonici questa conferma in forma autentica, e probante. Fu fatta, e stipulata questa compra anch'ella nel Mese di Novembre di quest'anno. Sono registrate tutte queste compre autentiche, e tutti questi contratti nel Bollario dell'Ordine dalla pag. 154 fino alla 160; come poi ottenessero i nostri PP. di tutti questi contratti il Beneplacito Pontificio, e passassero nel nuovo Convento, etiamdio contro voglia del Vescovo, e come dalla repugnanza di quel Prelato ne cavassero poi in progresso di molto tempo, alcuni Autori, per altro autorevoli, occasione di scrivere alcune cose improprie, o poco degne d'essere uscite dalle penne loro, lo diremo esattamente nell'anno seguente nel quale elleno successero.26 -
Successe intanto nella Città, e Convento nostro di Roma un'accidente molto raro, e fu, che essendo stato eletto dal Capitolo della Cattedrale di Nepe, Città posta una giornata lungi da Roma nella Toscana, per Vescovo, un certo F. Daniele Romano, egli risaputa questa sua eletione, doppo havere ringratiato, con ogni più vivo segno di Religiosa gratitudine, que' Signori, [V, p. 47] rinonciò poi, con raro esempio di costantissima humiltà, quella sublime Dignità, amando meglio di rimanersi suddito nella sua Religione, e Monistero, con quasi sicura certezza di sua salute, che gire fuori di quella a comandare ad altri, con quasi evidente pericolo d'una eterna ruina, e naufragio dell'Anima; dando in questa guisa esempio a gli altri Religiosi, et insegnandoli, che le Dignità della Chiesa si devono a tutto corso fuggire, né accettarle già mai se non per mera obedienza di chi può comandare. Ughelli Tomo primo dell'Italia Sacra. Errera, et altri.27 -
In questo medesimo Anno il Senato di Bologna, volendo agiutare li nostri Padri di S. Giacomo a fabricare la nuova Chiesa incominciata di fresco, fecero un publico Decreto di darli per la prima volta lire 500 e ciò a suono di Tromba, per il pubblico Banditore, fecero sapere a tutto il Popolo. Poco appresso vedendo, che la Fabrica era grandissima, e la possibilità de' Padri assai debole, gli concesse le Gabelle, et i Datij delle Porte di S. Donato e di S.Vitale, per lo spatio d'anni quattro; tutto questo l'habbiamo cavato da un Libro antico, o Campione delli Beni stabili del Convento, scritto da Maestro Girolamo da Bologna, che viveva intorno a gli anni di Christo 1454; le sue parole sono le seguenti: Item in Deposito Conventus sunt multae chartae in uno rotulo, in quibus continentur, quomodo Anno Domini 1285 Massa Communis, et Populi Bononien. in publico consilio, sub voce praeconis, decreverunt subsidium conferre, ad honorem Omnipotentis Dei, Ecclesiae S. Iacobi Stratae S. Donati, tunc noviter inceptae per Fratres Eremitanos Sancti Augustini, et prima vice donavit communitas libras quingentas Bononiae, et habuerunt. In secunda vice donavit introitus Gabellarum S. Donati, et Portae S. Vitalis per quatuor Annos, et tot vices habuerunt, quod compleverunt dictam Ecclesiam.28 -
Costa altresi, e chiaramente cavasi dalle Historie della mia Patria di Bologna scritte e raccolte da Maestro F. Cherubino Ghirardazzi, altre volte da noi in questi nostri Secoli honorevolmente mentovato, che molto, anche prima di quest'anno, avevano li nostri Padri questo nobile impiego ottenuto dal Senato di assistere, cioè ne' publici Congressi, e Consigli di quello, e ricevere le fave bianche e nere in un'Urna, e dichiarare poi, con Religiosa candidezza, e sincerità, se i Partiti erano Passati, o no; facciamo quivi di questo nobile impiego a bella posta mentione, affinchè si sappi quanto in questo tempo erano stimati i Servi di Dio, e quanto all'incontro questo Nobilissimo Senato fece sempre conto non ordinario, e fu sempre ben'affetto alla nostra Religione, mentre in cosa di tanta importanza, e gelosia d'altri, che de' nostri Religiosi, non si volle fidare.29 -
Racconta pur anche F. Francesco Diago dell'Ordine di S. Domenico nel lib. 2 delle Historie della sua Provincia d'Aragona, che in quest'anno fu venduto da Papa Honorio IV a suoi Frati Domenicani, il Convento Servitano, il quale era gia stato de' Religiosi del nostro B. Gio. Buono da Mantova, e poco dianzi era stato da essi abbandonato. Stima però il P. Errera, che questo Religioso di lunga mano si abbagli, dicendo, che quel Convento fosse prima stato de' PP. Giamboniti, perochè questi non erano mai stati in Ispagna, e quando vi fossero stati, e l'havessero abbandonato, vi sarebbero poi entrati li veri, ed antichi Agostiniani, all'Ordine de' quali, in vigore della Bolla della grand'Unione fatta da Alessandro IV dovevansi unire di ragione tutti li Conventi de' sudetti Giamboniti, con altri molti di varie, e diverse altre Congregationi, come ben'à lungo dimostrassimo sotto l'anno 16 di questo Secolo. Fu dunque questo Monistero venduto a Domenicani, [V, p. 48] non de' Giamboniti, ma ben sì de' Frati della Penitenza di Giesù Christo, alias chiamati Frati Sacciti, o del Sacco, li quali essendo stati estinti nel Concilio di Lione celebrato l'anno 1274 come all'hora vedessimo, erano per tanto i suoi Conventi, o venduti, o donati a varie, e diverse Religioni, ed in specie anche alla nostra, come ben presto vedremo in più d'un luogo.30 -
Entrarono quest'anno li nostri Padri di Praga dentro della Città, essendo prima stati fuori, come certamente si crede dagli Autori, e specialmente dal Dottissimo Milensio; il quale anche attesta, come noi pure accennassimo di buon proposito sotto l'anno 1086 nel Secolo Ottavo, che dentro dell'istessa Città minore di Praga, fossimo introdotti in quel tempo, e fabricassimo un Monistero pure sotto il titolo medesimo di S. Tomaso Apostolo, come dice costare dalle publiche Tavole del Regno di Boemia, nelle quali l'anno 1086 nella vigilia di S. Lorenzo, Vanick di Blasan alla presenza de Beneficiarj di Praga, protestò d'havere venduta una sua Eredità in Postrzceseim, cioè a dire, per undici sessagene di Grossi d'annuo censo, con tutte le corti Rusticali, Campi, prati, et altre sue attinenze, al Convento di S. Tomaso dell'Ordine degli Eremitani di S. Agostino nella minor Città di Praga; dunque egli è segno, che anche in questo tempo haveva la Religione Convento entro la sudetta Citta; di sorte tale, che secondo quest'Autore, non fondarono quest'anno del 1285 un Convento nuovo, ma più tosto, o mutarono sito, o amplificarono il vecchio, havendo ottenuto in dono, per la liberale magnificenza di Princislao Re di Boemia una picciola Chiesetta dedicata a S. Dorotea, et un Conventuccio, che era già stato de' PP. di S. Benedetto, del qual luogo ne presero il possesso i nostri Padri a' 24 d'Aprile col consenso del Vescovo di Praga; et il Primo Priore di questo Convento nuovo, o rinovato, fu un Religioso per nome F. Dypoldo.31 -
Fu poi poco appresso, cioè, nella terza Domenica, doppo la Pasqua consegrato il nuovo Choro in honore di S. Tomaso Apostolo, dall'Arcivescovo di Treveri, ed alla Vescovi di Praga, e di Olmiz, con li loro Suffraganei; e nel primo giorno di Luglio, Venceslao figlio di Princislao, confirmò la detta nuova Fondatione, e poco doppo il nostro Reverendiss. F. Anselmo nuovo Vescovo di Buda, l'arricchì con nuove indulgenze.32 -
E se bene il Dottisimo Errera havrebbe desiderato, che il sudetto P. Milensio havesse, per maggior stabilità, ed autentica, prodotta nel suo Alfabeto le Tavole del Regno di Boemia, nelle quali dice costare il nostro primo ingresso nella detta Città di Praga sotto l'Anno 1086 affinchè alcuno non havesse occasione di sospettare, che fosse errato il numero, et in vece di dire 1286 non stesse malamente scritto 1086 tuttavolta, io per me stimo, che ciò non si possi stimare da alcuno, però che il discorso è differente, perché all'hora dice, che i Padri comprarono da quel Vanick di Blasan, ma qui soggiunge, che hebbero in dono la Chiesetta di Santa Dorotea, et il Conventino di S. Benedetto, che sono cose molto differenti; e poi il P. Milensio, che fu un'huomo tanto dotto et erudito, haverebbe molto bene saputo conoscere l'errore, se vi fosse stato in detti numeri, e l'haverebbe per lo meno accennato, gli è ben però vero, che anch'io stimo, che haverebbe fatto assai meglio se havesse trascritte nel suo Alfabeto Germanico il sudetto Istromento; ma egli studiava, e attendeva, quanto più poteva alla brevità, e però se ne astenne.33 -
Passiamo hora dalla Metropoli della Boemia nella Nobile Città di Bada situata nell'Austria, poco lungi dall'Imperiale Città di Vienna, famosa per i suoi saluberrimi Bagni, tanto [V, p. 49] decantati e frequentati dagli oppressi da varie e diverse infirmità; in questa nobile Città dunque hebbe principio il Convento, che pur anche hoggidì possediamo; fu poi Fondatore di questo nuovo Convento dentro le Mura della Città, un Cavaliere per nome Leutoldo di Creuscbach, il quale anche lo dotò donandoli sette Vigne, come accenna il Milensio, benchè il P. Crusenio dica, che fossero trenta, il quale ancora aggiunge, che alla Dote sudetta, aggiunse anche due Chiese; doppo la sua morte, fu poi anche nella Chiesa del detto Monistero seppellito, benchè non si sappia in qual tempo precisamente ella seguisse.34 -
Fu parimente fondato in quest'anno il Convento d'Angen, o Angien nella Provincia di Fiandra, come riferisce il P. Crusenio nel suo Monastico Agostiniano, e furono Fondatori di quello li Signori Baroni d'Enghien Conti d'Arembergo. Durò questo Monistero, tal quale l'havevano questi Signori fondato, fino all'anno 1593 nel quale, da un'improviso fuoco, rimase quasi tutto incenerito; ma poi fu anche indi a poco, in gran parte rifatto e ristorato, come a suo tempo scriveremo.35 -
Nella stessa Provincia fu pure in questo medesimo anno fondato un altro Monistero nella terra di Betburgo sotto il titolo gloriosissimo della Santissima Trinità, e della B. Vergine, da un Nobile Cavaliere per nome Giovanni di Riverscheidt; tanto pur anche racconta nel suo citato Monastico Agostiniano, il sudetto P. Crusenio. Come poi fosse in progresso di quasi tre Secoli levato alla Religione dagli empi Geuffi dell'Olanda, e poscia anche ricuperato, ci riserbiamo di scriverlo ne' suoi tempi e luoghi, a Dio piacendo.