Tomo V - ANNO 1280

Anni di Christo 1280 – della Religione 894

1 – [V, p. 1] Il Sommo Pontefice Nicola Terzo, con la di lui infausta morte, darà funesto principio all’Anno presente 1280, la quale appunto successe nella seguente guisa: Erasi egli molto adoperato per comporre le discordie e le guerre imminenti tra Prencipi Christiani, per poscia unirli insieme in lega, per andare all’acquisto di Terra Santa; et in effetto haveva il Signor Dio così altamente fecondati li di lui santi pensieri, che poco prima sella sua morte haveva pacificati insieme l’Imperadore Rodolfo, Carlo Re di Napoli, Alfonso Re di Castiglia, et altri ancora; per la qual cosa, stanco per tante sue applicationi, pensò di partirsi da Viterbo nel Mese d’Agosto, per isfuggire quell’aria poco salubre ne’ cocenti ardori dell’Estate, e passarsene nel Castello di Soriano situato alle faldi de’ Momti Cimini (su la cima de’ quali conservasi fino al giorno d’hoggi un’antichissimo Monistero di nostra Religione fondato già fin dall’Anno 1164) per godere insieme con il fresco, quell’aria purgatissima; non molto andò, che, o soprafatto da gli Anni, o dalla vehemenza di quell’aria troppo in vero acuta e sottile, ivi restò da morte subitanea oppresso nel giorno appunto solennissimo dell’Assontione di Maria sempre Vergine al Cielo, doppo havere governata, la Chiesa di Dio con molta rettitudine, secondo il computo del nostro Panvinio e del Cavalerio, Anni due, Mesi otto e giorni ventidue.

2 – Morto ch’ei fu, il suo Cadavere a Roma fu trasferito, e datagli con gran pompa sepoltura nella Basilica di San Pietro. Se questo gran Pontefice haveva più longa vita, era per porre in gran veneratione e riputatione [V, p. 2] la Santa Sede, perochè egli era di molta rettitudine, e di gran cuore, e non voleva permettere, che l’alta Maestà del Pontefice fosse da chi che sia, benchè in minima cosa oltraggiata. Si racchiusero poi i Cardinali doppo la di lui morte e sepoltura, nel Conclave in Viterbo; ma perché vi furono fra di loro gravissime contese, e furono anche usate enormissime violenze da' Viterbesi, e da altri al sagro Collegio de’ Cardinali, quindi durò la Vacante più di sei Mesi, e così non si potè eleggere il Papa se non nell’Anno seguente, nel qual tempo ancor noi prolungaremo il scrivere quanto per l'appunto seguì in così grave emergente.

3 – Morì quest’Anno in Colonia il famoso Alberto Magno, del quale si racconta che non potendo nella sua gioventù imparare alcuna cosa, stava quasi per uscire disperato dall’Ordine di S. Domenico, ma essendosi poi raccomandato alla B. V. di cui era grandemente divoto, hebbe per sua intercessione la scienza infusa, con la quale scrisse poi moltissime Opere veramente dottissime; ed è fama, che tre Anni avanti la sua morte la perdesse, e tornasse nella sua primiera ignoranza, havendolo così predetto la Vergine; fu fatto Arcivescovo di Ratisbona, ma poi rinonciando l’Arcivescovato, tornò nella sua Religione a leggere, come prima haveva fatto, a suoi Religiosi. Sotto di lui studiarono il gran Tomaso d’Aquino, et il Serafico S. Bonaventura, et altri famosissimi soggetti; gode il titolo di Beato, e la di lui Religione ne recita l’Officio e la Messa con rito doppio. Ma passiamo hoggimai alla narratione delle cose spettanti alla nosta Istoria.

4 – Illustrò questo secolo con la sua santa Vita e celeste Dottrina, e quest’Anno poi anche con la sua beata morte, un Vener. Religioso Inglese per nome Gualtiero, il quale, perché amò sempre oltre ogni credere, la solitudine, madre ordinaria della santità, però s’acquistò ancora il nome di Recluso. Questi, come fu un grandissimo Letterato, così scrivendo Libri et insegnando a molti Scolari, fece riuscire a pubblico beneficio molti Soggetti dell’Ordine gran Letterati, esponendo anche alla luce molt’Opere, fra le quali, le più stimate sono, un Libro de contemptu Mundi. Un altro in lode della Vita solitaria, tanto da esso per tutto il tempo di sua vita amata; e finalmente un altro ripieno di molte Celesti contemplationi, ed altre Opere ancora, delle quali non ne fanno espressa mentione gli Autori; solo aggiunge il Panfilo, che più d’ogn’altro ha scritto di questo grand’huomo, che alcuni de gli accennati Opuscoli suoi furono, doppo la sua morte di molto tempo, ridotti in Compendio da F. Riccardo Lavinamo Carmelitano, huomo di molta Dottrina et eruditione. Viene questo Servo di Dio dal sudetto Panfilo annoverato fra' Beati dell’Ordine nella sua Cronica Agostiniana a carte 32 e conclude il P. Errera nel Tomo primo dell’Alfabeto, che egli morì santamente in quest’Anno, nel tempo che regnava Odoardo Re d’Inghilterra.

5 – Era anche celebre in queso tempo istesso la santa fama d’un altro gran Servo di Dio nella Provincia di Siena, e figlio, come si stima, del medesimo Convento ancora di Siena, e chiamavasi F. Buono, e corrispondeva poi così compitamente con l’opre al suo bel nome, che però i Superiori maggiori lo tenevano quasi sempre occupato nella Superiorità de più osservanti Conventi, e più rimoti di quella, già cotanto riformata Provincia, come di S. Barbara vicino alla Terra di S. Flora, ov’hebbe di sua famiglia i B. Agostino Novello, e fu appunto la prima stanza, ch’egli hebbe, quando dalla sua Provincia di Sicilia se ne passò in quella di Siena, e talmente le sante qualità dell’uno, e dell’altro si confrontarono, che dovunque poi fu mandato il Vener. Buono Priore, sempre lo volle seco il sudetto [V, p. 3] B. Agostino; perochè i Servi veri di Dio come una volta s’incontrarono difficilmente poi si possono scompagnare, e di tal simpatia n’è cagione la gran somiglianza ne’costumi, e nella santità, essendo che, come disse Platone: Similitudo est causa Amoris. Che meraviglia dunque, che questo Padre Buono cotanto amasse il B. Agostino, e questi lui, se entrambi erano veri servi, et amatori di Dio? Quando poi terminasse la sua mortal carriera il Ven. F. Buono, non lo dicono, nè lo scrivono li nostri Autori, solo si sa di certo, che in questi tempi fioriva. Doppo il Priorato di Santa Barbara, andò Priore a S. Antonio di Valdaspra, e di lì a Santa Lucia di Valle di Rosia, e sempre seco condusse il Beato Agostino; ed in quest’ultimo Monistero appunto di Rosia stava il medesimo Agostino, quando fu la di lui qualificata persona, con un mezzo assai ben stravagante riconosciuta, come a suo tempo vedremo; non si sa però se in quel tempo fosse più Priore, e fosse anco vivo il P. Buono. Panfilo, Giordano, Errera, ed altri.

6 – Fioriva in questo tempo istesso nella medesima Provincia di Siena un Vener. Religioso di molto spirito, figlio del Monistero anch’egli di S. Agostino della stessa Città per nome Arsenio, il quale essendo quest’Anno stato fatto Priore del Convento di Sant’Agostino nella nobilissima Terra di S. Geminiano nella stessa Provincia di Siena, ed hora da più d’un Secolo in qua della Congregatione di Lecceto, ove non così tosto fu la di lui rara bontà osservata dal Beato Bartolo del Terz’Ordine di S. Francesco, Cittadino di quella Terra, quando subito procurò d’haverlo per ordinario moderatore della sua coscienza e spirito; egli riuscì poi tale, che per fin che stette in quella Terra, che furono molti Anni, mai lo volle mutare, anzi per amor suo prese tale affetto alla nostra Religione, che essendo poi venuto a morte l’Anno del Signore 1300, volle havere il suo Sepolcro nella nostra Chiesa di S. Agostino, ove pur anco giace, chiaro per molti miracoli operati a pro de’ suoi devoti. Errera, Tomo primo dell’Alfabeto a car. 53.

7 – Ma tempo è hormai, che torniamo a ripigliare il filo della sagrosanta, e miracolosa Ostia seppellita indegnamente in una fettida Stalla da quella malafemina, Ricciarella chiamata, nella Città di Lanciano, della quale ben’a lungo scrivessimo sotto l’Anno del Signore 1273, in cui appunto ella comise l’horrendo sacrilegio. Erano di già passati set’Anni intieri, da che la sacrilega Ricciarella da Lanciano havea con horrendissima empietà, et esecrabilissimo sacrilegio seppellito, e nascosto il Corpo Venerabile di Christo Sacramentato nel puzzolente Letamaio della Stalla di suo Marito, e quantunque si fosse del continuo sentito rodere il cuore, e lacerare la macchiata coscienza dal rimorso di così gran misfatto, nulladimeno ostinata, mai in tutto questo tempo se ne volle rendere in colpa, ed humilmente confessarla a' piedi del Confessore, o ciò si fosse per il timore di non essere castigata da sagri Censori, o più tosto per Diabolica istigatione, come io più facilmente credo, che se quel gran Miracolo si scopriva, sarebbesi data gran gloria a Dio, e la divotione verso il Santissimo Sacramento sarebbe cresciuta ne’ cuori fedeli del Popolo Christiano; anzi ché la meschina per humani rispetti, più volte, frequentando li Santissimi Sacramenti della Confessione e Communione, in questo tempo haveva al primo aggiunti altri innumerabili sacrilegi. Hor finalmente quest’Anno sentendosi forsi più del solito, per Divina Misericordia, trafiggere la contaminata coscienza da pungentissimi stimoli della perpetua sinderesi del suo peccato, facendo gran forza a se stessa, si risolse in fine, forse verso il tempo della Santa Pasqua, d’andare a piedi di qualche Religioso, che havesse fama, non meno d’huomo Santo, che [V, p. 4] di Letterato; e perché in questo tempo era Superiore del nostro antico Convento di Lanciano un religioso appunto il quale haveva, e l’una e l’altra dote maravigliosamente nella sua grand’Anima unita, e chiamavasi F. Giacomo Diotalevi da Offida, Terra assai cospicua nella Marca d’Ancona; a questi dissegnò la pentita Ricciarella di manifestare il suo attrocissimo sacrilegio.

8 – Fatto dunque con la maggior diligenza, che seppe, l’esame della sua coscienza, parte di casa la pentita Donna, e s’incamina alla Chiesa di S. Agostino; doppo havere per qualche spatio di tempo fatta humile e fervorosa oratione davanti quel pietosissimo Dio Sacramentato, che tanto attrocemente offeso haveva, e del quale, contro ogni suo merito, era stata per così lungo tempo aspettata a penitenza, tutta confidata nella sua infinita Misericordia, fa chiamare il buon Padre Priore suddetto, il quale essendo venuto prontamente, e postosi nel sagro Tribunale a sedere, per ascoltarla, piega Ricciarella le ginocchia a' suoi piedi, e poscia fortemente percotendosi più volte il petto, invece di cominciare a scoprire i suoi peccati con la lingua, comincia a versare da gli occhi una copia così abbondante di lagrime, che il buon Sacerdote ne rimase grandemente ammirato, et insieme anche edificato; ma come ella, proseguendo il suo pianto, nulla però dicesse, gli disse finalmente il caritativo Confessore le seguenti, o simili parole.

9 – Figliuola mia in Christo dilettissima, queste lagrime infuocate, che tu da gli occhi tuoi tramandi in così grande abbondanza, sono veramente, io nol niego, un manifesto inditio della gran contritione, che tu hai, d’havere offeso il tuo e mio Signore, la quale, come è una delle tre parti essentiali della santa penitenza, così necessaria, per ottenere il perdono dell’offese a Dio fatte, in ogni peccatore; ma però, per conseguire pienamente l’intento, ha d’havere in sua compagnia l’altre due sorelle, che sono la Confessione di quelle colpe, che si piangono, e doppo quella la sodisfattione intiera per le medesime. Tu hai la prima, e ne devi rendere somme gratie al Donatore di quelle, che veramente le lagrime di pentimento non s’ottengono se non per gratia speciale del benignissimo Iddio; ma a queste lagrime tue hanno anco da succedere le parole della tua humile confessione, perochè se bene anche le lagrime sono parole del cuore, con le quali, meglio, che con quelle della lingua della bocca parla l’Anima a Dio, onde disse Geremia, Et non taceat pupilla occuli tui. Et Iddio all’incontro ascolta più volontieri questa muta eloquenza, che le Musiche istesse de gli Angeli, nulladimeno a questo concerto Musicale della Contritione ha dafare necessariamente il contrappunto la Confessione.

10 – Hor qui havreste veduta la penitente Donna raddoppiare più che mai il suo pianto inconsolabile, e poscia esalando dal petto più d’un sospiro grande e doloroso, doppo haver più volte in un solo momento mirato hora il Padre, hora il Cielo, ed hora la Terra, alla per fine chinando humilmente, e gli occhi, e la faccia a' piedi del Padre, proruppe in questi accenti: Padre tu pensi forsi havere a piedi tuoi genuflessa una donna, et una Donna Christiana, e t’inganni, però che questa, che tu vedi a tuoi piedi protesta, e una Fiera crudele, et inhumana; anzi che dissi? è una Furia Infernale. Richiama pure alla memoria se sai, i Caini, et i Chami, i Nembrotti, e gli Erodi, gli Eliogabali, et i Neroni, i Simoni Maghi, et i Giudi, et in somma tutti i Demoni Infernali, e troverai, che tutti questi insieme uniti non arrivano alla malvagità di colei, che con tanta patienza tu ascolti; in fatti il mio peccato non ha pari in alcun luogo. Caino ammazzò il suo fratello, è vero, ma il mio peccato è stato maggiore. Il sfacciatissimo Cham [V, p. 5] derise, e si burlò della nudità di suo Padre, ma il mio misfatto è stato assai più grave. Vendè Giuda il suo Dio; Erode cercò d’ucciderlo; e gli Hebrei miscredenti in effetto lo trafissero in Croce; ma ahimè, che il mio delitto è stato di tutti questi infinitamente più attroce, più enorme, e più nefando; perochè se Giuda vendè il Signore, se Erode cercò d’ucciderlo, ed in effetto gli Hebrei gli diedero la morte, non lo conobbero per Dio, perché se l’havessero conosciuto, non l’havrebbero ucciso; ma io pessima traditrice l’ho conosciuto per Dio, e come tale gli ho empiamente machinata la morte; che più? ho ucciso Iddio, ho dato morte a Dio, laonde non merito perdono, anzi merito, che tutte le Creature, congiurate a' miei danni, mi si avventino contro, e come infame assasina di Dio, mi faccino in pezzi senz’alcuna pietà.

11 – Stupiva a questi detti così terribili il Rever. Confessore, e con tutto, che da così gravi premesse, n’argomentasse una conseguenza di qualche enormissimo peccato, tuttavolta mai hebbe pensiero di udire quello, che era veramente; e se bene sentiva dirli, che ella haveva tentato di uccidere Iddio, stimava l’accorto Padre, che lo dicesse in senso metaforico, come lo disse S. Paolo all’hora quando scrisse, che: Qui peccant, sunt iterum Christum crucifigentes; laonde con varj interrogatorj andò esaminandola sopra quanti peccati poteva fare una Donna, così in materia di senso, come di odio, di sortilegio, di parricidj, di aborti, e d’altri più enormi peccati; ma come la Donna sempre replicasse, che il suo fallo era maggiore, e che in fatti ella haveva ucciso Iddio, alla perfine facendoli sempre più animo il Padre, e con dolcezza di parole consolandola, gli disse: horsù figliuola, ditemi hormai in ispecie, che peccato è questo, che voi havete fatto, perochè io vi assicuro, che se bene voi haveste realmente, come dite, ucciso Dio, et abbrugiato il Cielo istesso, ed haveste anche fatto altro male molto maggiore di questo, che havete fatto, per impossibile, Iddio è prontissimo ad accettare la vostra penitenza, e perdonarvi, e ricevervi ancora per sua dilettissima figliuola; per questo venne egli a bella posta a morire sopra un tronco di Croce, per questo tiene egli le braccia aperte per ricevere d’ogn’hora i peccatori pentiti, e come veri figlia abbracciarli; su, su dunque fate forza a voi stessa, ditemi francamente quello che fatto havete, e proverete poi l’alta bontà di Dio.

12 – Da queste così benigne parole grandemente inanimita la pentita Peccatrice, avvalorata dalla Divina gratia preveniente, tutta confidata nella Misericordia infinita di Dio, diede finalmente principio, non senza però un continuo interrompimento di dolorosi singhiozzi, alla nuova Passione, data realmente al suo Signore per suggestione di quella femina rea, con tutte l’altre circostanze, come di sopra habbiamo esattamente spiegato.

13 – Non si puole con humana lingua spiegare, quanto rimanesse da così horribile narratione soprafatto il zelante Religioso; inhorridì per così gran misfatto, e più volte quasi isvenuto stette per cadere dal luogo ove sedeva, per il soverchio dolore, che gli opprimeva il cuore in udire la spietatissima barbarie, con la quale quella vil feminella haveva così empiamente trattato il Re del Cielo, e grandemente ammirando l’incomparabile patienza e pietà di così clementissimo Signore; non vi furono parole di Religioso rimprovero, che egli tutto acceso di santo zelo nel volto, e più nel cuore, con ogni maggiore, e più grave energia, non li dicesse più volte, per farli conoscere più vivamente la sua gran sceleraggine. Oh misera, ed infelice fra tutte le Creature; e come osasti tu mai di mettere le tue impure mani nel Sangue pretioso del tuo Creatore? come non temesti, che la terra in quel [V, p. 6] punto viva non t’ingoiasse? che non t’assorbissero l’acque?, che il fuoco non t’abbruciasse? che l’aria non ti niegasse il respiro? che il Cielo non ti piovesse sul capo un diluvio di fulmini? ed in fine tutti i Mostri della Terra, e dell’Inferno non ti sbranassero viva? Oh Dio! soggiaceva piangendo, per dolore d’una sì grave offesa, l’infervorato Padre. Se Oza Sacerdote, per havere semplicemente stesa la mano, non già per offendere, od oltraggiare, ma per trattenere l’arca del Testamento, che mostrava di volere cadere, fu subitamente da Dio fatto cader Morto a piè di quella. Se quei quarantadue Fanciulli per havere chiamato con semplice nome di Calvo il Profeta Eliseo, furono subitamente, per Divina permissione, sbranati, su gli occhi de’ Padri loro, da due ferocissimi Orsi, usciti d’improviso da una vicina Foresta. Se Datan, et Abiron, per havere un popoco mormorato non di Dio, ma di Mosè, che era un huomo, furono in un momento, con tutte le loro famiglie, all’hora, all’hora belli e vivi, dall’inferno ingoiati. Se al Re Gieroboamo, per havere osato d’incensare il sagro Altare, non essendo Sacerdote, fece per suo castigo inarridire incontanente il temerario braccio. Argomenta tu hora da questi così gravi, ed improvisi castighi, o sacrilega Donna, qual dovevasi dare dall’offeso Nume al tuo sopra d’ogn’altro enormissimo fallo; conosci da qui quanto sia stata grande la patienza di Dio nell’aspettarti per tanto tempo a penitenza, e quanto tu sia obbligata per l’avvenire a procurare con ogni tuo sforzo, ad amarlo, e servirlo per tutto il tempo di tua vita, altrettanto quanto l’hai per lo passato empiamente offeso ed oltraggiato, non tralasciando già mai di piangere continuamente il tuo così horrendo misfatto; del resto poi poter vivere in questa guisa sicura di ricevere indubitamente il perdono, non solo, ma etandio di divenire grand’amica di Dio, ed ottenere da esso oni gratia bramata. Essere troppo grande il contento, che sente Iddio, e tutto il Cielo riceve per la conversione de’ più gran peccatori; esser note le dimostranze dell’indicibile gioia, che questo gran Padre di famiglia, fa qual’hora, i figli prodighi de’ peccatori, ritornano pentiti, ed a suoi piedi prostesi humilmente dicono: Pater peccavi in Coelum, et coram te, che però vengono abbracciati dall’amoroso Padre, e con lauti Banchetti di gratie e di favori, vengono perpetuamente regalati. Così doppo varie ammonitioni hor rigorose, hor soavi, vedendo, che la pentita Donna stava più che mai quasi che naufragando con l’Anima nel mare delle dolorose sue lagrime, e però conoscendola capacissima della Sacramentale Assolutione, alla fine datali una penitenza salutare, allo stato e conditione sua proportionata, e conveniente, alzò la sagra mano, e l’assolse con infinito contento della Donna, che non si satiava di bacciarli per mille volte i piedi, restando però prima seco di concerto, d’andare in opportuno tempo segretamente, e senza scandalo, cavare dal luogo indegno del fetido Mondezzaio, la sagrata Reliquia.

14 – Passati dunque doppo l’accenata Confessione alcuni pochi giorni, tornò d’improviso la Donna, e disse al Padre, che gli era giunto il tempo, tanto da lei bramato, di esequire il suo eroico pensiero di trar fuori da quell’horrido luogo il suo Signore; allegro oltre modo il buon Padre F. Giacomo per così lieta novella, prendendo seco alcuni sagri Arredi, che stimò necessarj per fare una così alta funtione, segretamente alla Casa della Donna s’incamina, e giunto al luogo, ove haveva quella meschina indegnamente seppellito il venerabilissimo Sacramento, prima di scavare, vestitosi di quei sagri Vestimenti, che seco haveva portati a quest’effetto, e genuflesso con molta copia di lagrime, che li venivano dal cuore, supplicò con brieve ma fervorosa [V, p. 7] oratione quel pietoso Signore, che non havendo punto riguardo alla moltitudine de’ suoi peccati, già che ogni giorno permetteva, per sua bontà infinita, che egli suo indegno Ministro, maneggiasse il suo Corpo ed il suo Sangue pretiosissimo, e l’offerisce sopra del sagro Altare in olocausto al suo Eterno Padre, et anche poscia di quello si cibasse, si degnasse ancora di concederli gratia di potere felicemente ritrovare quel nascosto Tesoro, affinchè ne potesse arricchire, come di già pensato haveva, il suo Convento e Patria d’Offida; doppo di che levatosi in piedi, con viva confidenza di fare acquisto di gioia così pretiosa, accesi alcuni lumi, come piamente mi faccio a credere, comincia a scavare nel luogo dimostratoli dalla Donna, et ecco, doppo brieve lavoro, si scoperse la Tegola sagrata, involata nella Tovaglia, la quale con stupendo prodigio stava in aria sollevata, a segno, che da verun lato quell’immondezze, che d’ogn’intorno la circondavano, non toccava, accorgendosi ancora, che la Tovaglia dall’infuocata Tegola non era stata in alcun luogo arsa, od abbruggiata, né dall’humidità, o fetidume del luogo, ove era stata sett’Anni sotterrata, era rimasta, benchè in minima parte corrotta; dalle quali cose argomentando essere ciò un’effetto mirabile partorito da Cause sopranaturali e divine, tenne tutto ciò, come era veramente, per stupendissimo Miracolo della Divina Onnipotenza, operato per confondere l’humana perfidia; ma quando poi scoperse la Tegola, levando affatto la Tovaglia, e vidde con gli occhi suoi proprj quell’Hostia sagratissima, la quale in una sola Particola mostrava all’humana incredulità, Hostia, Carne e Sangue, e tutta la Tovaglia, ed il Coppo, o Tegola imbrattata di quel pietosissimo Licore, con cui fu fatto il gran Riscatto del Genere humano, rimase di tal sorte attonito, ed insieme soprafatto da un’interna disusata allegrezza, che come per questa parevali di stare in Paradiso, così poi dall’altro lato un certo riverentiale timore li faceva fortemente palpitare il Cuore nel petto, come che indegno egli si conoscesse, e si stimasse di vedere Misteri così alti e divini; e di nuovo, doppo havere quella sagrata Reliquia con incredibile divotione adorata, rivolto a Ricciarella, che stava anch’ella ivi dirottamente piangendo, gli ricordò la gravezza del suo peccato, e l’obligo, che ella haveva di farne una lunga penitenza, e la gratitudine, che doveva sempre dimostrare verso di un così benigno Signore, il quale potendola subito con un semplice soffio annichilare, l’haveva per tanto tempo sofferta, ed aspettata a penitenza. Poscia pensando di esequire in ogni modo la generosa sua deliberatione di portare alla sua Patria quella così insigne Reliquia, presa la Tegola con dentro l’Hostia miracolosa, e la Tovaglia, ed ogni cosa entro una Manica della sua Cappa nascosta, preso dalla Donna comiato, al Monistero fece ritorno.

15 – Giunto dunque nel Convento, dirittamente alla sua Cella n’andò, e chiusa con diligenza la porta, in un luogo assai riposto, e segreto, il gran tesoro, con ogni maggior decenza nascose, e poco appresso, santamente fingendo d’havere gran bisogno di trasferirsi alla sua Patria, per un tal suo importantissimo affare, ed in ciò veramente non mentiva, finalmente, come era persona di gran credito, e stima, facilmente ne ottenne da Superiori la bramata licenza; per la qual cosa subitamente scrisse per un Messaggio a posta al Superiore del Convento d’Offida, il quale era in questo tempo un Religioso molto divoto e qualificato per nome F. Michele Melicani, anch’egli di detta Terra di Offida, et anche ad altri Cittadini più principali di detta Patria, significandoli, ch’egli per il tal giorno sarebbe, a Dio piacendo, di ritorno in Offida, e che seco portava una delle più insigni Reliquie dell’Universo, che però dovessero [V, p. 8] in ogni modo venirli processionalmente incontro con molti lumi, e col Baldacchino, affinchè quella fosse ricevuta, ed anche introdotta nella comune Patria, con quella maggior pompa e solennità, che richiedeva la dignità della Reliquia, che egli portava; e perché era questi un Religioso grandemente stimato da suoi Concittadini sentirono grand’allegrezza per così liete novelle, che dava loro, e nel giorno appostato, tutti quanti, che erano habili per ciò fare in quella Terra, andarono con una solennissima Processione ad incontrarlo a' confini del loro Territorio, e con canti devoti, doppo le dovute adorationi, accompagnarono quel Celeste Tesoro fino alla nostra Chiesa di S. Agostino, ove fu riposto all’hora in un assai decente luogo, et ivi cominciò ad essere con grandissima frequenza riverita et adorata, non solo da gli Offidani, ma etiamdio da molti Popoli vicini e lontani, perochè la sagra fama di così gran Miracoli erasi sparsa, in brieve spatio di tempo, per tutta l’Italia non solo, ma etiamdio per tutto il Christianesimo.

16 – Ma non finiscono qui l’alte meraviglie di quest’Hostia sagra e miracolosa; perochè gli è da sapersi, che considerando i Padri, che una così degna ed insigne Reliquia, richiedeva d’essere risposta in un Reliquario assai più ricco e pretioso, che non era quello, ove al presente stava; determinarono, che si dovesse far fare una bella e ricca Croce d’argento, e poi riporvela dentro, insieme con un pezzetto assai riguardevole del Santissimo Legno della Croce di N. S. ma perché per un sì nobile lavoro vi si richiedeva somma notabile di danari, ed il Monistero era povero assai, e per conseguenza non poteva intraprendere quella spesa, fu determinato di fare una cerca generale per la Terra, come in effetto seguì, e fu così grande la raccolta, che ben chiaramente conobbesi, quanto divoti fossero di quel gran Santuario, e quanto gli fosse stato caro l’haver fatto un sì nobile acquisto.

17 – Consegnata dunque la raccolta limosina al Padre Melicani sudetto, e ridotto da essi ogni cosa in danari, prese consiglio, con buona licenza de’ Superiori, di passarsene prestamente per Mare a Venetia, e colà in quel nobilissimo Emporio dell’Universo, fare lavorare a qualche ingegnoso Orefice la dissegnata Croce; presa dunque seco secretamente la sagra Reliquia, che stava in una Pisside di semplice Buffo racchiusa, e passato in Ancona, prese sopra una Nave l’imbarco, in termine di pochi giorni giunse in Venetia, ove trovato un’Orefice d’esperimentato valore, spiegolli il suo pensiero, e lo costrinse a giurare di non dire mai a persona vivente quello che egli intendesse di riporre in detta Croce; lavorò dunque il buon Mastro in poco tempo con tanta diligenza, e perfettione, che ridusse l’opera in stato di tanta eccellenza, e maestria, che anche in questi tempi ne’ quali l’Arti si sono affinate, recca maraviglia a chiunque la rimira. Ma volendo poi il detto Orefice, insieme con il Padre, aggiustare l’Hostia venerabile entro la Croce, già compita, appena l’Huomo profano hebbe per un poco toccata la detta Pisside di Buffo, entro di cui stavasi racchiuso il Celeste Tesoro, che incontanente si sentì sorprendere da una febre così accuta e crudele, che sentendosi ardere in vive fiamme, pareali di doverne ben presto infelicemente morire; della qual cosa avvedutosi il divoto e saggio Padre Melicani, all’Orefice, infiammato anch’egli di santo zelo, così rivolto, disse: Fratello, avvertite, che questa vostra febre dolorosa, che in questo punto perciò v’ha così fieramente assalito, come mi pare, fuori del corso ordinario della natura, così temo, che non sia effetto di qualche vostra occulta indignità; le Cose Sagre e Divine, che voi insieme con esso me hora maneggiate, ricercano una somma purità; chi [V, p. 9] temerario ardisse, tutto di colpe macchiato, sfacciatamente trattarle, prova ben spesso la giusta ira di Dio vindicatrice; prendete il mio consiglio, esaminate un poco la vostra coscienza, e se la ritrovate contaminata di qualche colpa mortale, tenete pure per certo che questa è la causa del vostro male; purgatela subito con una humile e dolente Confessione, e vi vedrete in un tratto risanato e guarito.

18 – Fatta dunque l’Orefice addolorato seria riflessione sopra così saggio avvertimento, che li dava il Padre, ritiratosi presto in se medesimo, ritrovò ben subito l’origine d’ogni suo male, cioè a dire, alcune colpe mortali, delle quali appena hebbe l’Anima sgravata a piedi del Confessore, che subitamente rimase ancora il Corpo affatto libero da quell’accerbo malore, che lo tormentava. Tiensi per certo, che fra gli altri peccati, che costui haveva, uno fosse il furto di due onze di argento in circa, che haveva levato da quello, che nella Croce andava, perochè egli diede appunto una Crocetta di simil peso al detto Padre Priore, quale ancora, fino al giorno d’hoggi, si conserva fra l’altre Argentarie del Convento d’Offida. Purgata dunque, che hebbe la coscienza, e guarito l’Orefice miracolosamente, incastrò poi facilissimamente le sagre Reliquie nella Croce, cioè a dire, l’Hostia sagratissima nella parte Superiore sotto due chiarissimi christalli, e nell’inferiore il Legno Santissimo della Croce. Apparisce l’Hostia sagra, parte sotto specie di Pane, parte di Carne, e parte di Sangue; la Carne, parte come mezza abbrugiata ed il Sangue è così fresco, e vermiglio, come se pur poco dianzi egli fosse sparso da un Corpo.

19 – Finito dunque d’aggiustare ogni cosa perfettamente, e sodisfatto l’Orefice; lieto oltre modo il divoto Priore s’accinse subitamente alla partita, ed in effetto trovata una Nave per la volta d’Ancona, e sopra di quella imbarcatosi, partì felicemente di ritorno alla Patria; quando ecco nuove maraviglie si sentono, posciachè appena hebbe la Nave sarpato l’Ancore, e sciolti i Canapi dal lido, quando subito in un momento cominciarono da per se stesse miracolosamente a suonare tutte le Campane di Venetia, non so se per fare applauso al loro Creatore, che incognito se n’andava, o pure, come più tosto penso, per piangere la di lui partenza e lontananza. Soprafatti dallo stupore li Signori Venetiani, per così insolita maraviglia, temendo di cento cose in un sol punto, e massime di qualche tradimento, che il Cielo stesso, mosso a pietà di cosi Cattolica republica, volesse, con tante lingue, quant’erano le Campane, che miracolosamente suonavano, palesarlo, fecero subito un’Editto, nel quale comandavasi a ciascheduno, sotto rigorose pene, di dovere rivelare, se la sapesse, qual fosse, od essere potesse, la cagione più vera di così maraviglioso accidente.

20 – Havendo ciò inteso l’Orefice, temendo dall’un de lati di non incorrere ne’ rigori minacciati nel Bando, e dall’altro, sperando di fare conseguire alla sua Patria quella così sublime Reliquia, senza punto far caso del stretto giuramento, che fatto haveva; andò ben presto a rivelare quanto sapeva, et insieme esortò que’ Signori a spedir dietro al Padre un pronto, e svelto legno armato, per farlo indietro ritornare, e levarli quell’immenso Tesoro, infinitamente, del loro di S. Marco, tanto decantato dalla fama maggiore.

21 – Lieti oltre modo que’ Venerandi Senatori per nuova così felice, spediscono subitamente una ben spalmata e leggiera Galera, la quale, con arrancata, et isforzata voga, siegua della partita Navicella la traccia, e giuntala l’arresti, e la riconduchi a Venetia. Ma, o quanto sono deboli e vani i consigli, ed i sforzi dell’humana prudenza contro il volere, ed il potere di Dio! Appena erasi partita la Galera [V, p. 10] sudetta dal Porto, che incontranente levossi una cosi fiera tempesta nel Mare, che ben parea, che volesse assorbire in un tratto, non solo quel leggiero Legno, ma l’istessa Città, e quello, che maggior maraviglia recava, si era, che la dove la Galera stava di punto in punto per essere ingoiata dall’onde del Mare, per lo contrario solcava con tanta felicità e con vento così prospero que’ vastissimi sentieri del liquido Elemento, la Navicella sudetta, che ben chiaro conoscevasi, che entro di quella navigava il Re dell’Universo. Osservato dunque i Marinai della Galera un Miracolo così stupendo, non potendo far altro, per non rimanere miseramente fra quell’acque sepolti, fecero, con gran fatica, nel Porto ritorno, e raccontato il Miracolo a que’ Signori, che l’havevano ancora fin dal Porto benissimo osservato, fu concluso di lasciar andare la Navicella libera al suo viaggio, per non tirarsi adosso qualche castigo tremendo.

22 – La Nave in tanto, che portava quell’immenso Tesoro, senza né meno essersi accorta di quanto era occorso alla Galera nemica, rinforzando mai sempre più il suo felice camino, arrivò finalmente in Ancona, ed indi il Padre in diligenza partendo per Offida, mandò innanzi un spedito Messo ad avvisare che gli venissero incontro, per ricevere la S. Reliquia con la dovuta riverenza, il che fu con gran solennità esequito, essendoli all’incontro venuto un Popolo numeroso, con Torcie e Fiaccole accese, piangendo d’allegrezza, e giubilando, per il felice ritorno della loro sagratissima Reliquia, e così l’accompagnò fino alla Chiesa nostra di Sant’Agostino, nella quale per all’hora fu risposta, chiudendola con molta diligenza, nel luogo ove stavano l’altre Reliquie, con pensiero di fabbricare dopoi, come ben presto fecero, una bellissima Cappella, sotto il Titolo di Santa Croce, chiusa con Cancellate di grosso, e spessso ferro, rimanendo la Reliquia principale serrata sotto tredici chiavi, alcune delle quali ne tengono i Signori principali della Communità, altre i Sindici della Terra, ed altre i Padri del Monistero.

23 – Celebrasi poi ogn’Anno una solennissima Festa in honore di detta sagratissima Hostia nel giorno dell’Inventione della Santa Croce a 3 di Maggio, nel qual giorno ancora si fa una Processione Generale, nella quale si porta sotto il Baldachino la bellissima Croce d’Argento con entro la detta Reliquia, a man destra viene portata la Tovaglia insanguinata, et a mano sinistra la Tegola, o Coppo, pure tutto intinto di Sangue miracoloso, e vi concorre puranche, infino a nostri giorni, Popolo di ogni parte in tanta copia, che non si puole per le strade passare. Come poi fosse questa Santa Capella, e Reliquia arricchita da varj Sommi Pontefici di Tesori immensi di sagre Indulgenze, ed anche di doni temporali, e d’altre gratie singolari; come altresì nel luogo, e casa di Ricciarella in Lanciano, fosse, per opera d’un nostro Religioso, fabricata un’altra Santa Cappella, ove si fanno molti Esercizi spirituali, et altre cose spettanti a questa sagra Reliquia, promettiamo di scriverlo con ogni maggiore esattezza nei suoi proprj tempi e luoghi.

24 – In questo tempo illustrarono grandemente con la loro Santità il celeberrimo Monistero di nostra Religione nella famosa Città di Lisbona, detto Nostra Signora della Gratia, anzi pure la Provincia di Portogallo, e tutto l’Ordine, due gran Servi di Dio ambi figli dell’accennato Monistero, de’ quali fa honorata memoria il Padre Maestro Antonio della Purificatione nel Tomo 2 della Cronica Provinciale Agostiniana di Portogallo a car. 212, col. 3 e 4: il primo fu il P. F. Emanuelle di Conya nobilissimo di sangue, e molto più nobile per santità, e per le rare virtù, che lo resero ammirabile nel cospetto de gli huomini, e molto più di Dio, [V, p. 11] imperochè essendo egli stato destinato da’ Superiori Portinaio del Convento, ufficio, che si dava in que’ tempi felici a più perfetti Religiosi, egli non ostante, che quell’impiego sia poco favorevole a quelli, che bramano di darsi alla santa Oratione, nulladimeno questo buon Religioso sapeva così bene servirsi dell’opportunità del tempo, che non mancava mai, né di giorno, né di notte di non cibare l’Anima sua con questo importantissimo cibo, con tanto fervore, e divotione, che bene, sovente essendo cercato da' Padri, lo ritrovavano in dolcissime Estasi rapito. Co’ Poveri poi era così compassionevole, che tutto ciò, che poteva, con allegro sembiante li dava; e quando non haveva, che darli, dirottamente alla loro preferenza piangeva, e con quelle lagrime compassionevoli cercava di consolarli; laonde in questa guisa i Poverelli, o havessero la limosina, o no, via contenti da quella Porta partivano. In tutte le cose poi, che diceva, e faceva, mostrava tanta humiltà, e sommissione d’animo, che molta divotione, e computione insieme destava ne’ cuori di coloro, che tali cose udivano o vedevano. Con questi tratti dunque cotanto aggiustati, e conformi alla Religiosa Professione, che fatta haveva, giunse finalmente, ricco di molti meriti, al punto estremo di sua felice morte a 2 di Luglio in quest’Anno, come si crede del 1280.

25 – Il secondo Religioso di santa Vita, di cui fa mentione nell’accenato luogo il Padre della Purificatione, fu il Ven. Servo di Dio F. Agostino, nato nel Territorio di Alentejo, che fu parimente figlio del Convento di sopra mentovato di Lisbona; di questo poi riferisce l’Autore citato, che si segnalò in tutto il tempo di sua vita in tutte le virtù, ma specialmente nella santa Humiltà, la quale, secondo il nostro Grande Agostino, è il vero fondamento di tutte l’altre; e soggiunse, che molto prima, che egli morisse, profetizzò alla presenza di molti, e predisse il giorno preciso in cui doveva succedere il di lui felice passaggio alla Beata Gerusalemme del Paradiso, che fu appunto il sesto di Giugno di quest’Anno 1280.

26 – E qui parimente ci giova di registrare la memoria d’un altro Soggetto di gran Lettere, e sapere, figlio altresì di questo gran Convento di Lisbona, il quale fioriva anch’egli in questo tempo, allo scrivere dello stesso Padre della Purificatione, chiamavasi poi questo Maestro F. Agostino di Lisbona; il quale per essere, come habbiam detto, un Religioso di gran Dottrina, e bontà, fu perciò eletto per Confessore dell’Infante D. Alfonso, figlio del già defonto Re D. Alfonso Terzo di Portogallo, nel qual sublime posto perseverò poi con molto decoro della Religione, e di se stesso fino al fine di sua vita, qual si stima dal sudetto Padre della Purificatione, essere successo in quest’nno medesimo nel Mese di Novembre.

27 – In quest’Anno medesimo Siffrido Arcivescovo, et Elettore di Colonia, gran Benefattore dell’Ordine nostro, con un suo Diploma dato in Colonia, concesse ampia licenza, e libera facoltà a' Padri di quel nobile Monistero, di poter fondare un Convento nella Terra di Lippia, situata nella Sassonia, soggetta alla di lui famosa Diocesi; ben’è vero però, che detta Fondatione si prolungò fin all’Anno 1282, per il che fare confermò nell’Anno seguente del 1281, con un altro Diploma la concessione sudetta; nel detto Anno 1282, ne tornaremo più di proposito a favellare. Così scrivono il Milensio nel suo Alfabeto Germanico, e l’Errera nell’Alfabeto suo Agostiniano nel Tomo 2.

28 – E non contento d’havere concessa a’ Padri di Colonia la gratia della sudetta fondatione di Lippia, un’altra ve ne aggiunse di maggiore rilievo; e fu di concederli altresì, che potessero fondare nella sua Città di Colonia un’Oratorio, [V, p. 12] con un’Ospitio a quello annesso, nella Parrocchia di S. Albano, ove stassero alcuni Padri del Monistero maggiore, li quali attendessero a ministrare li Santi Sacramenti della Penitenza, e Communione, et a fare altre fontioni proportionate allo stato, e professione loro, per maggior beneficio, et utile spirituale del Popolo numeroso di quella nobile ed insigne Città. Conservasi poi li Diplomi d’ambe queste Concessioni nell’Archivio del Monistero sudetto di Colonia; ben’è vero, che io non so se quest’Oratorio, fondato in quest’Anno, si conservi più in nostro potere, imperochè il Milensio e l’Errera, che testificano, e scrivono queste due Fondationi nelli loro Alfabeti, non ne dicono di vantaggio dello scritto.

29 – Quantunque il nostro eruditissimo Errera nel secondo Tomo dell’Alfabeto a carte 122, tenga per costante, che il Convento della Santissima Nunciata della Nobile Città di Monteleone nella Calabria ulteriore, non fosse fondato prima dell’Anno di Christo 1423 e ciò lo cava d’alcuni Istrumenti di Donatione del Sito, e d’alcune Case vicine al Catello della detta Città nelle quali hoggidì veramente sta il Convento; nulladimeno io stimo certamente, che la nostra Religione havesse Monistero molto prima dell’accennato tempo, o dentro, o fuori di quella, e l’argomento da questo; imperochè li nostri Padri, e li Padri Francescani, nelle publiche Processioni non si precedono l’un l’altro, ma caminano del pari come fossero d’un sol Ordine, dal che io ne cavo, che questi due Ordini entrassero a fondare li loro Conventi nella detta Città nell’istesso tempo, o se vi fu alcuna diferenza, questa fosse di così poco momento, che li nostri non volendo cedere, fosse poi giudicato da chi s’aspettava, che dovessero caminare del pari, tenendo però li nostri la mano sinistra, il che per avventura da a dividere, che li nostri forse entrassero qualche hora doppo li Francescani a far la loro fondatione; imperochè se ciò non fosse, a che proposito anderebbero così del pari? Hor gli è poi chiaro, che li Padri Francescani havevano di già fondato un Convento in Monteleone in questo tempo, imperochè scrive il Vadingo sotto il numero quinto di quest’Anno, che il Papa Nicola Terzo con una sua Bolla data sotto li 13 di Gennaio, e diretta al Guardiano di Monteleone, impose, e commise alcuni gravi affari al detto Padre; si che da ciò si convince, che anche l’Ordine nostro havesse in questo tempo, e forse anche prima, Monistero nella detta Città. Come poi, per l’accenate Donationi, mutassero luogo, e sito li nostri Padri, e fondassero il Convento, che hoggidì si vede, ci riserbiamo di riferirlo ne’ luoghi e tempi dovuti. A questo Monistero ci confessiamo infinitamente obligati, imperochè in quello prendessimo noi, benchè indegnante, l’Habito santo della Religione l’Anno di Christo 1628, alli 4 d’Ottobre giorno dedicato alla Solennità del Patriarca S. Francesco, essendo Provinciale il Padre Maestro Tomaso d’Ischia, della Provincia di Terra di Lavoro, e Priore il Padre Bacciliere Gio. Domenico Galliani..

30 – Ci giova finalmente di notare nel fine di quest’Anno, che appunto in questo tempo il B. Agostino Trionfi, famoso, et insigne Alunno dell’antico Monistero d’Ancona, diede l’ultima mano ad un suo nobile Componimento, intitolato Distructio Arboris Porphyrÿ, nentre stava di stanza nel detto suo Monistero; ciò poi evidentemente si cava dal fine del detto Libro, nel quale appunto si leggono le seguenti parole: Anconae actum est hoc Opus Anno gratiae 1280, habbiamo detto, che compose il detto Libro nel Convento antico d’Ancona, il quale era fuori della Città un posto, che pur anche fino al giorno d’hoggi chiamasi S. Agostino vecchio, ove possiede il Monistero una Possessione, perché ben si sa, che [V, p. 13] non puote esser quello, che hora habbiamo nella Città, imperochè questo non fu fondato se non verso l’Anno 1333. Il vecchio poi fu fondato, come già scrivessimo, sotto l’Anno 1219, prima di quel tempo, e lo provassimo con la Precedenza, che pur tut’hora tiene, et ha sempre tenuto sopra il Convento de’ Padri Francescani, fondato nel detto Anno 1219 dall’istesso P. S. Francesco, mentre in quella Città si portò per navigare alla volta dell’Egitto.