David Gutiérrez

 

GLI STUDI NELL'ORDINE AGOSTINIANO

DAL MEDIOEVO AD OGGI

  

LOS ESTUDIOS EN LA ORDEN AGUSTINIANA

DESDE LA EDAD MEDIA

HASTA LA CONTEMPORÁNEA

da Analecta Augustiniana

Vol. XXXIII (1970) pp. 75-149

 

 

   

Traduzione dallo spagnolo a cura di

ANGELICA ORNELAS

e

MASSIMO GUIZZARDI

 

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La legislazione scolastica degli agostiniani nei tre ultimi secoli del medioevo, si trova negli atti dei suoi Capitoli Generali (a partire dal 1274) e nelle "Constitutiones Ratisbonenses" (chiamate cosi perché promulgate nel capitolo di Ratisbona del 1290); così pure si trova nella revisione delle stesse leggi approvate nel capitolo di 1348, e in altri decreti uguali fino all'anno 1497. P. Denifle (1) fece conoscere molti testi di questa legislazione, P. Esteban (2) ha pubblicato gli atti dei Capitoli Generali e i padri A. Zumkeller (3), B. Ministeri (4) e principalmente E. Ypma (5) illustrarono gli inizi e i progressi dei nostri studi durante il primo secolo successivo all'unione del 1256. Non ripeteremo nelle seguenti pagine quello che hanno detto questi autori, se non quando sia necessario per chiarire punti dubbi e per completare il quadro di questo capitolo della nostra storia. Sono imprescindibili, per conoscere lo stesso tema nell'età moderna, le Costituzioni del 1551, gli atti dei capitoli generali dello stesso secolo e i tre successivi, e le riforme che prescrisse a tutti la chiesa o che introdusse il progresso generale della cultura.

 

CAP. I

PERIODO DI FIORITURA 1256-1356

1. Circostanze Favorevoli

Gli agostiniani (scrisse, il cardinale Ehrle) "coltivarono in seguito, gli studi con tale decisione, che già dagli ultimi decenni del secolo, che li vide nascere, ebbero a Parigi una posizione di tutto rispetto" (6). Questo fatto, cosi come la "sorprendente prontezza" con la quale, secondo lo stesso autore, i nostri religiosi si misero alla pari dei domenicani e dei francescani, si spiega tenendo conto di alcune circostanze favorevoli, che raggiunsero la loro massima influenza nel 1256, anno nel quale i nostri predecessori furono riuniti in una sola famiglia religiosa da Alessandro IV. Alcune circostanze furono di carattere generale, altre furono circostanze particolari legate agli ordini mendicanti e alcune, pure propizie, furono peculiari della famiglia agostiniana.

Le circostanze di carattere generale si riducono a tre fatti che determinarono il periodo in cui sbocciò la scienza scolastica nel suo secolo d'oro: la fondazione dell'Università di Parigi, la conoscenza quasi integrale delle opere di Aristotele e della letteratura arabo-ebraica e la fondazione dei due primi ordini mendicanti dei domenicani e francescani (7). Infatti nel 1256 la principale fra le università medievali, dopo mezzo secolo d'esperienza, aveva già perfezionato i suoi primi statuti; l'enciclopedia aristotelica e gli scritti d'autori arabi ed ebrei (con altri di tendenza neoplatonica) non solo erano meglio conosciuti di prima, ma erano anche oggetto di studio intenso e attento da parte dei migliori rappresentanti della scolastica-cristiana, e i domenicani e i francescani riconoscevano già, dopo le prime titubanze di entrambi e le lotte interne dei secondi, che lo studio era indispensabile per dedicarsi all'apostolato.

Circostanze favorevoli all'origine della scienza propria degli ordini mendicanti furono le reiterate prove di benevolenza e protezione che diede Papa Alessandro IV ai seguaci di S. Domenico e S. Francesco nello stesso anno 1256: prove che culminarono nella condanna del testo "De periculis novissimorum temporum", che contro di loro aveva lanciato Guglielmo de saint-Amour (8), negli elogi che nella stessa data (5 ottobre) tributò il Papa a quei religiosi, "qui salutem animarum zelantes ardenter et sacris studiis procurantes, multos in Ecclesia Dei operantur spirituales profectus et magnum faciunt ibi fructum" (9) e nel mandato che due settimane dopo fece inviare alle autorità accademiche di Parigi, perché ammettessero i dottori di entrambi gli Ordini "ac nominatim fratres Thomam de Aquino et Bonaventura de ordine Minorum" (10).

Però tutte queste circostanze non spiegano da sole la "sorprendente prontezza" della quale parla il cardinale Ehrle nel riferirsi agli agostiniani, dato che non si può dire lo stesso dei Carmelitani e neppure dei Serviti che furono chiamati dal Papa all'attività apostolica e alla vita di studio nello stesso periodo. Le circostanze peculiari che favorirono gli studi tra gli agostiniani nei cento anni successivi al 1256 possono riassumersi a due: all'unanimità con la quale i superiori generali promossero il nuovo orientamento della loro famiglia religiosa e al buon numero di seguaci (specialmente quello che sarà il responsabile della sua scuola) che mostrarono attitudine per coltivare con successo gli studi e per guadagnarsi un posto nella storia della scolastica. L'unanimità dei quattro primi superiori generali (membri tutti delle congregazioni eremitiche riunite nel 1256) ebbe probabilmente origine dall'attività del cardinale protettore dell'Ordine, Riccardo degli Annibaldi, che si preoccupò molto dei suoi protetti fino al 1276, anno della sua morte; si sa, infatti, che era unito non solo da vincoli di parentela, ma anche da una profonda amicizia con San Tommaso d'Aquino e che gli piaceva conversare con il Santo (11). Da questo si può comprendere che desiderava vedere gli agostiniani imitare l'esempio del suo grande amico nella vita dello studio. Nonostante tutto questo sia molto verosimile, l'influsso decisivo del cardinale Annibaldi in questo aspetto della storia agostiniana non è certo come lo sono le altre due circostanze e la loro azione simultanea.

Nell'anno 1259 il priore generale Lanfranco di Milano comprò una casa a Parigi destinata ai giovani agostiniani che dovevano frequentare quella Università (12) e, verso il 1260 entrò in questa casa fra Egidio Romano che negli anni 1269-1272 ebbe come maestro e tutore San Tommaso d'Aquino, "qui nos posuit in semitas veritatis" (13). La stessa cosa fece successivamente Egidio con alcuni dei suoi confratelli, che terminarono con profitto gli studi nella capitale francese tra gli anni 1285-1293; e ottenne per quelli che studiarono dopo, che l'Università desse validità ai corsi in altri centri dell'Ordine (14); nel 1293 ricevette in regalo dal re Filippo il Bello un altro edificio più grande e più vicino all'Università, trasformato dallo stesso Egidio e dai suoi primi successori nel migliore "studium generale" che ebbero gli agostiniani fino ad oggi (15); ottenne per loro la benevolenza di altri prìncipi che li aiutarono in Francia, Inghilterra e Belgio (16); e continuò aiutandoli negli ultimi venti anni della sua vita (durante i quali fu arcivescovo della diocesi di Bourges) e, pochi giorni prima di morire, affidò tutti i suoi libri "philosophicos, theologicos, iuridicos et omnes alios cuiuscumque facultatis" al convento di Parigi, "de cuius uberibus a pueritia nutriti fuimus" (17).

2. Egidio Romano e la "ratio studiorum" del 1290

Egidio ha anche altri meriti nella storia dei nostri studi. Le disposizioni dei capitoli generali relative all'istruzione della gioventù agostiniana che cominciano ad essere più chiare e numerose da quando lui prende parte a questi capitoli: Padova nel 1281, Orvieto nel 1284, Ratisbona nel 1290, Roma nel 1292 e Siena nel 1295. Nel primo introdusse l'uso delle "disputationes" su questioni di filosofia e teologia (che si continuarono a celebrare nei nostri capitoli generali fino alla soppressione napoleonica) e spiegò ai suoi ascoltatori non meno di venti questioni (18); nel capitolo di Orvieto ebbero origine le Costituzioni agostiniane più antiche che si conoscano, con il cap. intitolato "De forma circa studentes et lectores et praedicatores servanda", nella cui redazione Egidio ebbe una parte decisiva: 1°, perché tra suoi confratelli era il più esperto in questa materia per avere dedicato più di quindici anni di studi a Parigi e aver pubblicato non meno di 25 opere filosofiche e teologiche (19); 2°, perché, nonostante la sua assenza nel 1287 al capitolo celebrato a Firenze, fu proclamato maestro ufficiale dell'Ordine, "ut eius doctrinae omni qua poterunt sollicitudine sint seduli defensores" (20) e 3°, perché nel capitolo di Ratisbona del 1290, nel quale furono promulgate le Costituzioni proposte sei anni prima ad Orvieto, appare un'altra volta Egidio come la principale autorità tra i suoi in materia di studio; dicono gli atti capitolari: "Definimus et committimus auctoritatem fratri Aegidio Romano magistro nostro, ut possit baccellarios Parisius as legendum sententias vocare, prout sibi pro bono ordinis videbitur expedire: quod facimus intuitu personae, ut hoc ad consequentiam non trahatur" (21).

Per queste ragioni, la sua dottrina, la sua probità, la sua lunga esperienza e l'alta considerazione che avevano delle stesse i suoi confratelli, si considera lui il principale autore della nostra prima "ratio studiorum", formulata nel cap. 36 delle Constitutiones Ratisboneses. La prima decisione del capitolo celebrato a Roma nel 1292 (nel quale Egidio fu nominato priore generale) recitava "quod de studiis generalibus habeatur optima cura, ne studentes sint vagabundi et ne impediantur propter defectum necessariorum" (22); il nuovo superiore poco tempo dopo scrisse a tutti i priori provinciali: "Ipsi etiam studia theologiae toto vestro conamine manuteneatis ac etiam foveatis, quia per ea, simul cum observantia regulari, opotet nostrum ordinem in humilitate crescere" (23). Nominato arcivescovo di Bourges da Bonifacio VIII il 25 aprile 1295, Egidio volle salutare i suoi confratelli nel capitolo celebrato a Siena il 24 maggio: "Et fuit ibi -dicono gli atti- venerabilis pater frater Aegidius...olim generalis prior praeteritus et nunc factus archiepiscopus Bituricensis novus, et fecit generales disputationes de quolibet... Et tunc postea ivit ad archiepiscopatum primo" (24); però non si dimenticò dei suoi vecchi confratelli ne' smise mai di aiutarli fino alla sua morte, come è già stato detto. In sintesi, Egidio Romano occupa senza dubbio il primo posto in quel periodo della nostra storia, per essere stato la persona che maggiormente promosse, orientò e consolidò la direzione dottrinale propria degli agostiniani, che sempre l'hanno venerato come loro primo maestro, non solamente in ordine di tempo, ma anche d'importanza.

In questo ultimo senso non gli fanno giustizia molti manuali di storia che, senza spiegazioni, uniscono il suo nome a quelli di Enrico di Gante e Goffredo de Fontaines; poichè nell'anno 1286 il nostro "Doctor fundatissimus" era considerato il migliore filosofo e teologo di Parigi: "Qui modo melior de tota villa in omnibus reputatur" (25): e continuò ad essere considerato in questo modo durante gli ultimi trent'anni che gli rimanevano da vivere. La sua attività di scrittore (dal migliore periodo della scolastica) comprende mezzo secolo, perché cominciò nell'anno 1266 e non smise mai di scrivere fino alla sua morte, avvenuta nel dicembre 1316.

La sua produzione letteraria si può confrontare solamente, per la sua estensione e varietà, con quella dei tre migliori dottori della scolastica del secolo d'oro, S. Alberto Magno, S. Tommaso d'Aquino e S. Bonaventura (26). Per i suoi commenti aristotelici e l'opuscolo De erroribus philosophorum (scritto verso il 1270), il suo nome è l'unico che può aggiungersi a quelli di Alberto Magno e del Dottore Angelico nella storia dell'aristotelismo cristiano (27). Infine Egidio influì nella diffusione del sapere con il più conosciuto dei suoi libri, il De regimine principum (tradotto in breve tempo nelle principali lingue europee e anche in ebraico), nel quale esorta i re a moltiplicare nei loro domini i centri d'insegnamento e ad avere uomini di scienza che comunichino la stessa ai loro sudditi, se vogliono meritarsi il nome di re e non quello di tiranno:

Debet igitur rex sollicitari, ut in suo regno vigeat studium litterarum et ut ibi sint multi sapientes et industres; nam ubi viget sapientia et fons Scripturarum, oportet quod inde torus populus aliquam eruditionem accipiat. Ne ergo exsistentes in regno sint tenebris ignorantiae involuti, spectat ad reges et principes valde esse sollicitos de studio litterarum. Immo, si dominator regni non promoveat studium et non velit sibi subditos esse scientes, non est rex sed tyrannus (28).

3. Programmi e case di studio

La formazione dell'agostiniano cominciava dal noviziato, nel quale non poteva essere ammesso nessun giovane minore di quattordici anni e che non sapesse "legere vel cantare competenter", o che non fosse capace di dimostrare almeno che fosse "docibilis et aptus ad addiscendum" (29). Doveva passare un anno intero di prova, dedicandosi alla sua formazione religiosa, ad esercitarsi nella pratica dell'orazione privata e liturgica, e a conoscere gli obblighi dello stato che si apprestava ad assumere; e tutto questo sotto la direzione di un maestro "esperto e dottore, di virtù provata e particolarmente custode del bene dell'Ordine", il quale doveva perfezionare l'istruzione cristiana del giovane e iniziarlo a quella monastica, con le spiegazioni della regola e delle abitudini dell'Ordine. Il novizio non solo doveva seguire le lezioni del maestro, ma anche leggere ("seorsum ab aliis et pluries in anno") le leggi che doveva seguire, e cominciare a conoscere la parola divina: "Sacram Scripturam avide legat, devote audiat et ardenter addiscat" (30).

Terminato l'anno di noviziato e fatta la professione, il nuovo religioso era mandato ad uno "ex honestioribus fatribus conventus in curam, quousque annum vicesimum aetatis attigerit" (31). Questa prima tappa della vita conventuale, la cui durata dipendeva dall'età che aveva il candidato all'ingresso nell'Ordine, era dedicata principalmente allo studio. Se non era persona istruita, l'aspirante doveva rimanere come minimo un anno nelle scuole grammaticali, divise spesso in inferiori e superiori, imparando le regole di Elio Donato o quelle di Prisciano, sostituite qualche volta con quelle del Dottrinale di Alessandro di Villadei e più tardi con quelle dei primi grammatici umanisti (32). Terminato con successo il corso di grammatica, lo studente rimaneva tre anni nelle scuole di logica, nelle quali si spiegavano le categorie o Praedicamenta di Aristotele e il suo scritto De interpretazione, con l'Isagoge di Porfirio e i trattati logici di Boezio = "Logica vetus", alla quale è stata aggiunta verso il 1260 la "Logica nova", che comprendeva tutto l'Organon dell'Estagirita (33). Gli inventari delle nostre biblioteche del medioevo dimostrano che sono stati utilizzati in queste scuole anche gli scritti logici di Pietro Hispano e di Alberto di Sassonia, e più tardi le due summe (parva e magna) dell'agostiniano Paolo Veneto († 1429), le quali ancora propongono, come testo obbligatorio per gli allievi dell'Ordine, le Costituzioni del 1686. Durante il triennio dedicato alla logica, gli allievi cominciavano i loro studi filosofici ascoltando regolarmente la spiegazione degli scritti "naturali" di Aristotele, che comprendevano anche la Metaphysica; la preparazione filosofica proseguiva con i cinque anni dedicati allo studio della teologia. I due libri principali per professori e allievi in questa ultima tappa del ciclo scolastico ecclesiastico erano la Bibbia = "Textus" e i Sententiarum libri quatuor di Pietro Lombardo; le lezioni e le dispute scolastiche, che nelle scuole conventuali duravano dalla seconda settimana di settembre fino al 28 giugno, dovevano svolgersi in uno "studium generale" dell'Ordine o, almeno, della provincia religiosa dello studente, poiché le Costituzioni del 1290 sollecitavano ognuna di queste ad aprire al più presto possibile un centro di formazione per questo ciclo di studi:

Et in unoquoque ex ipsis studiis sint duo lectores, quorum unus, de mandato ipsius Generalis, legat de Textu et disputet tempore opportuno, et aliquam aliam lectionem in philosophia legat, prout consideraverit magis ad utilitatem studentium expedire, et studium ipsum debita sollicitudine ordinet et dirigat; alius vero legat Sententias et in logicalibus vel in philosophia, secundum quod magis utilitas et commoditas studentium exigebit. Const. Ratisb., c. 36.

Le scuole di grammatica e di logica dipendevano dal superiore della rispettiva provincia e dal suo definitorio, che decidevano il convento nel quale dovevano stabilirsi spostando frequentemente le loro sedi; inoltre nominavano i maestri di grammatica e di canto ecclesiastico nelle prime, i lettori di logica e di filosofia naturale nelle seconde e controllavano la disciplina scolastica loro stessi o per mezzo di loro collaboratori. Il programma di insegnamento in queste scuole (grammatica, canto, logica e filosofia) sostituì il vecchio programma del "trivium" e del "quadrivium" da quando i religiosi mendicanti cominciarono ad avere influenza nella vita universitaria, cioè dalla metà del XIII secolo (34). Dipendeva anche dal superiore provinciale e dai suoi definitori il centro di formazione teologica chiamato "studium generale provinciae": i capitoli provinciali assegnavano la sede e i professori e anche stabilivano che il buon funzionamento del centro fosse controllato dal superiore e dai suoi collaboratori. La cura dello "studium" era importante per la buona preparazione teologica dei futuri sacerdoti nell'esercizio del sacro ministero e nella difesa della fede: i lettori in questo centro non potevano avere altri incarichi nella comunità e dovevano essere dispensati dalla partecipazione ad altre attività, per dedicarsi meglio al loro impegno. Il priore poteva obbligare tutti i frati a partecipare alle lezioni di teologia, quando non fossero impediti, e le Costituzioni del 1290 raccomandavano "ut studium sollicite et ardenter foveat, et studentibus pius et favorabilis semper assistat, et ad hoc suos conventuales inducat et adstringat". Cost. Ratisb. c. 36.

I principali centri di formazione erano chiamati "studia generalia Ordinis", perché dovevano (o almeno potevano) avere allievi di tutte le Province. Il primo, in ordine di tempo e di importanza fu quello di Parigi, il più sostenuto dai priori generali dal XIII fino al XVII secolo, il più internazionale per professori e allievi, il quale servì da modello con i suoi statuti e con il suo esempio a quelli che lo seguirono in fama e internazionalità. In questo senso i primi furono gli "studi" di Bologna e Padova; seguì a questi lo "studium curiae", che si trovava normalmente a Roma, ma che doveva trasferirsi (con la corte pontificia) a Viterbo, Orvieto, Perugia e successivamente ad Avignone; possono collocarsi quasi allo stesso livello gli studi di Firenze, Cambridge e Oxford; furono meno internazionali quelli di Napoli, Siena, Milano, Vienna, Magonza, Colonia, Bruges, Metz, Strasburgo, Lione, Montpellier e Tolosa; rimasero spesso limitati al servizio delle rispettive Province gli studi generali di Gran o Esztergom, Aix, Cahors, Bordeaux, Lerida, Valencia, Toledo e Lisbona, e non furono chiamati "generali" gli "studia generalia Italie", nonostante che i capitoli della prima metà del secolo XIV li avessero istituiti in molti città d'Italia: a Barletta, L'Aquila, Viterbo, Rieti, Ascoli Piceno, Arezzo, Lucca, Rimini, Venezia, Treviso, Genova, Pavia e Asti. I superiori dell'Ordine accettarono la moltiplicazione di questi centri su richiesta delle autorità locali e di benefattori insigni; ma è evidente che questo fatto sottrasse allievi ai cinque migliori e più antichi studi generali della Penisola: Padova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli.

Non ci sono dati per dire con certezza l'anno della fondazione della maggior parte dei suddetti "studi", solamente si sa che quello di Parigi comincia la sua storia nel 1259 e che la continuò fino al 1790. I nomi di quasi tutti gli altri "studi" appaiono negli atti dei capitoli generali in cui sono indicate nomine e trasferimenti di maestri e allievi: questo indica che già esistevano prima della data segnalata. Quelli di Oxford e Cambridge appaiono negli atti del capitolo del 1318, nei quali sono concessi a questi studi gli stessi diritti dello "studium Parisiense": questo fa presupporre che erano studi di primaria importanza e che avevano probabilmente diversi decenni di storia (35). Lo "studium Strigoninse" o di Gran è nominato nelle fonti storiche dell'Ordine prima dell'anno 1384; ma è quasi sicuro che esisteva già all'inizio dello stesso secolo, perché nel 1290 il re Andrea II d'Ungheria aveva nei suoi domini gli agostiniani - dei quali si professava benefattore "ob eorum religiosam et Deo placitam vitam" - che fondarono subito a Gran uno "studium theologiae et aliarum artium, cum aliis ministeriis studiorum" (36). Neanche si può proporre l'anno 1287 come data sicura della fondazione dei quattro migliori "studi" italiani (che, come vedremo furono cinque), benché questa data sembrava essere indicata negli atti capitolari di quell'anno e sebbene così dicano gli autori che abbiamo citato nelle note dalla 2 alla 5 del presente studio. In effetti dicono gli atti del capitolo del 1287: "Statuimus et ordinamus ut quatuor studia generalia ad minus sint in Italia, scilicet in curia Romana, Bononiae, Paduae et Neapoli. Ad horum quodlibet quaelibet provincia ordinis mittat studentem unum sufficientem et idoneum" (37). In virtù di questo mandato, promulgato "in die sancto Pentecostes" (cioè, il 26 maggio di quell'anno) la provincia romana designava il 24 giugno "in nativitate beati Ioannis Baptistae" quattro dei suoi migliori allievi per i seguenti studi: "Definimus quod frater Petrus de Clusio sit studens pro provincia in studio generali Paduano..., frater Alexander de Viterbio sit studens pro provincia in studio Florentino... frater Ioannes de Orto sit studens pro provincia in studio Bononiensi..., frater Ranunctius de Viterbio sit studens pro provincia in studio Neapolitano" (38). A questi quattro dobbiamo aggiungere lo "studium curiae", che non fu sostituito con quello di Firenze come sospettò P. Esteban, dato che negli atti del capitolo romano del 1288 appare un "frater Ioannes de Castello lector primus in curia".Crediamo non si possa posporre la fondazione di questi cinque studi dopo l'anno 1287 per le seguenti ragioni: 1° perché non è verosimile che in meno di un mese (dal 26 maggio al 24 giugno) potessero aprirsi cinque case di studio per ricevere allievi di tutte le Province dell'Ordine che già erano più di quindici; 2° perché non è probabile che i priori generali, che tre anni dopo la grande unione già diedero inizio allo studio di Parigi, aspettassero più di tre decenni per fondarne alcuni in Italia, dove avevano il maggior numero di allievi; 3° perché gli agostiniani seguirono da vicino, nella loro attività scientifica, i domenicani e i francescani, che già prima del 1240 avevano studi generali in diverse città d'Italia (Padova, Bologna, nella corte pontificia, ecc.) (39); e 4° perché non si può supporre che avessero studiato a Parigi tutti i predicatori, "discreti et a vobis examinati", che esistevano nelle Province italiane nel 1290, quando il beato Clemente da Osimo mise a disposizione del Papa non meno di 20 allievi con questo titolo (40). Per queste ragioni crediamo che la disposizione del capitolo generale del 1287, nella quale i legislatori dell'Ordine stabilivano che ci fossero in Italia "ad minus quatuor studia generalia", non deve intendersi come fondazione, ma come conferma di questi centri, della cui origine si può parlare con sicurezza prima dell'anno 1270, cioè, nel primo decennio dopo della grande unione.

Gli studi generali dipendevano nella loro istituzione e governo, cosi come nella designazione di professori e allievi, dai capitoli generali e dal superiore dell'Ordine; ma questo delegava con frequenza la sua autorità ai superiori delle Province lontane. Il priore del convento controllava l'osservanza regolare e il reggente degli studi, e quando non c'era questo, il primo dei lettori, che poteva essere un baccelliere oppure un maestro; aiutava il priore e il responsabile principale degli studi, il "magister studentium", che era sempre un sacerdote giovane di fiducia, che frequentava allo stesso tempo gli studi per arrivare almeno al lettorato. Gli allievi dovevano rimanere nello studio generale cinque anni, ma già prima del 1306 furono ridotti a tre per quelli che avessero fatto un triennio in uno studio generale di minore categoria. Se il religioso studiava sostenuto finanziariamente dalla sua Provincia, mandato dal superiore della stessa e dal suo definitorio, il provinciale doveva mandare al priore dello "studium", all'inizio dell'anno scolastico, il denaro stabilito per il mantenimento dell'allievo; la stessa cosa doveva fare il priore del convento nativo, quando il religioso era mandato a studiare "sumptibus proprii conventus"; non mancavano allievi che rimanevano in uno studio più tempo del normale, potevano farlo se "sumptibus suis", cioè, se gli pagavano le spese i suoi genitori o qualche benefattore; infine nei secoli XIV e XV i registri dell'Ordine ci fanno conoscere molti studenti "de gratia", che erano quelli che il priore generale mandava a uno di questi centri. Il priore dello studio e il reggente ammonivano, per le proprie competenze, gli allievi che claudicavano nell'osservanza o che non progredivano negli studi, e quelli incorreggibili erano rimandati, previo avviso, ai superiori delle rispettive Province.

4. Maestri, allievi e livello di cultura.

I principali studi generali erano incorporati a una Università, che concedeva il titolo di baccelliere e più tardi la "licentia docendi" e il magistero in teologia agli allievi che avessero concluso con profitto il corso accademico, e che avessero insegnato (leggendo la Bibbia e i libri delle Sentenze) e aver fatto gli esercizi prescritti dagli statuti universitari: dispute pubbliche, sermoni, "principia" e lezione solenne "in aula episcopi" (41). I religiosi che ottennero il magistero furono una piccola minoranza nel primo secolo della nostra storia; dovevano risaltare nella dottrina e nell'esemplarità di vita, e dovevano esercitare l'attività di reggenti o lettori primari (con l'obbligo di tenere almeno una lezione al giorno) negli studi generali dell'Ordine. Esercitavano queste mansioni negli studi provinciali i baccellieri e con più frequenza i lettori, che furono sempre i laureati più numerosi, e questo derivava dalla necessità di avere professori che insegnassero nelle Province, e perché il lettorato poteva essere conseguito mediante un corso di cinque anni in uno studio generale. I superiori dell'Ordine esortarono fin dall'inizio i superiori delle Province a scegliere buoni candidati per questo compito "qui sint vitae laudabilis et in grammaticalibus et logicalibus competenter instructi", e a mandarli a Parigi o ad un altro buono studio, nel quale dessero prova di poter essere utili poi nelle loro Province:

Cum autem provincialis et definitores praedictum studentem suae provinciae circa quinquennium revocare debent, sic ordinent ut a tribus lectoribus positis per Generalem examinetur... Et si sufficiens inventus fuerit, officio lectoriae de mandato ipsius Generalis de cetero tamquam lector habeatur, et legat in loco qui sibi pro tempore a suis maioribus fuerit assignatus. Cost. Ratisb. Cap. 36.

Quindi abbiamo, dalla fine del XIII secolo, tre tappe (grammatica, logica-filosofia e teologia) nei corsi di studi ecclesiastici, e tre tipi di questi: uno per il sacerdozio, che durava normalmente nove anni (dai 15 ai 24 anni d'età) e che aveva più tardi un complemento con l'esame per predicare e per dispensare il sacramento della Penitenza (42); un altro per il lettorato, che tra i religiosi era già un corso accademico e che durava poco più del primo, se l'allievo era rimasto un lustro in uno studio generale e se superava l'esame che lo abilitava all'insegnamento di filosofia e teologia ai suoi confratelli; e il terzo, che non durava meno di quindici anni e che frequentavano solamente i religiosi che dovevano conseguire tutti i gradi accademici, per esercitare le mansioni di reggente o di professore in uno "studium generale" incorporato ad una Università. Sono conosciute le tappe di questo corso, che possiamo seguire attraverso la vita dei due primi dottori agostiniani, Egidio Romano e Giacomo da Viterbo (43). Sono meno conosciuti gli studi dei lettori, che sono descritti vagamente negli atti dei capitoli generali. Si sa, dagli statuti universitari (ai quali si conformavano i corsi degli studi generali dei religiosi mendicanti) che l'allievo doveva assistere a tre lezioni giornaliere: la prima, che era impartita dal maestro reggente tra le ore canoniche di prima e di terza, era di esegesi biblica; nella seconda, che si svolgeva tra le ore terza e sesta, il baccelliere spiegava "in biennio" i libri delle Sentenze; e nella terza, all'ora dei vespri, il baccelliere biblico "leggeva" ai suoi allievi uno dei libri della sacra Scrittura "cursorie" o "textualiter", cioè, spiegando solamente il senso grammaticale dei termini. Dei tre tipi di studio ecclesiastici, il meno conosciuto era il primo, cioè l'ordinamento al sacerdozio, che era senza dubbio quello che era frequentato dalla maggioranza degli allievi nell'ambito dei diversi ordini religiosi. Non è possibile fissare esattamente la sua durata e neanche determinare il grado di cultura di quelli che lo concludevano con profitto, perché i programmi già menzionati di grammatica, logica, filosofia e teologia rappresentavano un ideale, ma in molti casi non erano realizzati in maniera adeguata (44). Siccome non si ha sufficente documentazione inerente al livello intellettuale del clero nei tre ultimi secoli del medioevo, non sarà inopportuno ricordare qualche fatto o alcuni testi, che potranno illustrare questo aspetto ignorato della nostra storia, cioè il grado di preparazione teologica degli agostiniani che studiavano per diventare sacerdoti e per dedicarsi al sacro ministero. Il migliore esempio in questo senso l'offre la vita di S. Nicola da Tolentino, che entrò nell'Ordine contemporaneamente al nostro miglior rappresentante nei corsi universitari, Egidio Romano. Nicola frequentò le scuole di grammatica e logica nello "studium provinciae" della Marca di Ancona dal 1259 al 1269 (45); nel 1270 era già sacerdote; durante i trentacinque anni che gli rimanevano da vivere si dedicò assiduamente all'attività apostolica, percorrendo come predicatore le quattro province delle Marche, dando prova di zelo e di prudenza nel ministero della confessione; testimoni oculari affermano nel suo processo di canonizzazione che erano molte le persone che andavano ad ascoltare le sue prediche, "propter magnam devotionem quam populus habebat erga eum"; altri parlavano del molto tempo che dedicava alla somministrazione del sacramento della Penitenza, soprattutto nel periodo di quaresima, nel quale "omni die erat tam impeditus confessionibus et orationibus, quod non comedebat usque sero"; alcuni dichiarano che non imponeva penitenze molto gravi o difficili da compiere, "sed contentabatur ut iidem peccatores ad cordis contritionem redirent", ed era noto che le persone che si confessavano da lui "recedebant multum contentae et consolatae et devotae ab eo" (46). Benché sia da attribuire gran parte di tutto questo alla sua santità, che gli dava quel "rectum iudicium inclinationis" di cui parla il Dottore Angelico (47), pure si deve supporre che l'apostolo delle Marche non trascurò lo studio necessario per compiere bene la sua missione. Le leggi vigenti nell'Ordine durante gli ultimi quindici anni della sua vita imponevano che potessero confessare solo i religiosi ordinati "qui sint bonae famae et scientiae competentis"; e nell'ambito della predicazione "non nisi viris providis et suffcientis litteraturae sit permissum", dopo un esame nel quale il candidato dimostrasse di avere entrambe le qualità (48).

Con lo scopo di aiutare i suoi confratelli a compiere bene la prima delle obbligazioni menzionate, Giacomo da Viterbo scrisse (nella vita dello stesso S. Nicola) una Summa de peccatorum distinctione (49), che è il primo contributo di un agostiniano alla copiosa letteratura didattico pastorale del medio evo, rappresentato dalle numerose summae di casi, di uffici, "de vitiis et virtutibus", "de sacramentis" ecc. (50). Nel 1302 Bonifacio VIII ricordava al priore generale e ai provinciali agostiniani il dovere di non affidare la cura delle anime che ai religiosi dell'Ordine "qui sacerdotibus abundat et in suis fratribus viget scientia et vitae sinceritate per Dei gratiam pollet", sempre che fossero "in sacra pagina eruditi, examinati et approbati a vobis" (51). Tommaso da Strasburgo, priore generale dal 1345 al 1356, non solo aveva affermato, quando insegnava teologia a Parigi, la necessità della "scientia morum quae est habitus discretivae cognitionis" per svolgere proficuamente quelle mansioni, solo che aggiungeva chiaramente "quod graviter peccant episcopi ordinantes eos in quibus deficit talis habitus..., peccat etiam iste qui, carens scientia, seipsum ingerit ut iam dictam auctoritatem suscipiat" (52). Il beato Simone Fidati da Cascia che tra il 1320 e il 1348, con la parola e con la penna, in Umbria e Toscana ammoniva i sacerdoti a esercitare bene il loro ministero e a non approfittare della doppia potestà ("remittendi et retinendi") ricevuta da Cristo: "Et propter pietatem in reum, quem videt suis pedibus provolutum, impietatem exerceat in Deum, Quem desuper habet iustissimum iudicem... Noverit primo se, antequam super reum decernat, si auctoritate debita fungitur, si plene deprehenderit crimina criminosi et signa recognitionis in reo ad facultatem aspiciat: et tunc sententiam proferat sive suspendat" (53). Si possono aggiungere ancora altri testi di superiori vigilanti e di buoni allievi, del secolo compreso tra l'anno della grande unione e il 1356, per dimostrare che il livello intellettuale degli agostiniani era abbastanza elevato, non solamente riferito ai suoi maestri e lettori, ma anche a quelli che frequentavano solamente gli studi per diventare sacerdoti, senza aspirare ai gradi accademici. Non si deve prendere alla lettera e neanche generalizzare il senso di un decreto capitolare del 1281, che dice: "Nullus ad prioratum assumatur, nisi distincte legere sciat in breviario et missali" (54); perché in questa disposizione (e in altre equivalenti di date posteriori) non si menziona l'ignoranza che sembra indicare quel testo. Per prima cosa, perché questa frase era una norma di diritto canonico, che esigeva le stesse obbligazioni da tutti i candidati, compresi quelli che aspiravano al sacerdozio senza arrivare ai gradi accademici (55). Inoltre, perché è molto probabile che nel 1281 vivessero ancora, tra gli agostiniani religiosi delle congregazioni unite nel 1256, coloro che avevano vissuto come eremiti e che successivamente sarebbero stati chiamati al sacerdozio di devozione. In terzo luogo, perché è anche possibile che questa ultima classe di sacerdoti, che fu numerosa nel clero secolare del medio evo, avesse già la sua rappresentanza nell'Ordine, come l'aveva già avuta (nel nostro e negli altri) in maggiore numero durante il periodo di decadenza, che comincia a metà del XIV secolo e si protrae fino alla riforma tridentina. Vediamo, per ultimo, che leggere "distincte" (o "clare et expedite" come dicono altri testi) in un codice medievale, scritto con lettere fitte, pieno di abbreviazioni e con scarsa punteggiatura, non è facile come con un testo uscito da una tipografia moderna, nel quale il lettore non incontra nessuna di queste difficoltà.

Neanche troviamo indizi di penuria di religiosi preparati in teologia, né una base per fissare la loro età e la loro carriera in un testo delle Costituzioni del 1290, che si porta per provare queste due cose (56). Il testo (cap.36) dice: "Statuimus... inviolabiliter observari, ut nullus qui tricesimum quintum annum aetatis attigerit vadat Parisius ad studium". Il divieto indica che fino ad allora andavano a studiare a Parigi religiosi di trentacinque o più anni di età; dopo il testo indica anche che esisteva nell'ordine scarsità di persone dotte e penuria di professori. Ci sembra che non si possa raggiungere tale conclusione: 1°, perché il passo citato segue la linea di un altro dell'anno 1284 che dice: "Definimus, propter multitudinem scholarium Parisius exsistentem, quod de nulla provincia possit nisi unus studens Parisius ire usque ad capitulum generale sequens" (57), 2°, perché il capitolo del 1290 stabilì di intensificare la disposizione precedente (non abrogata dal capitolo del 1287) a causa delle difficoltà economiche che erano sorte nella capitale francese e che obbligarono i domenicani e i francescani a limitare il numero di studenti, nonostante le loro sedi di Parigi fossero più ampie di quelle che avevano a disposizione gli agostiniani fino al 1293 (58), e 3° perché il divieto di mandare allo "studium" della capitale francese religiosi di trentacinque anni ammetteva eccezioni che lasciavano aperta la porta a molte possibilità: potevano effettivamente andare a Parigi nonostante l'età, quelli che fossero "tam sufficientis scientiae et subtilis ingenii quod, pro communitate et aommoditate ordinis, generale capitulum vel prior generalis decreverit aliter observandum"; e non solo questi, ma anche i lettori "qui mittuntur Parisius ut ad magisterium perveniant theologicae facultatis" (59). Non diciamo che abbondassero i religiosi preparati per l'insegnamento superiore durante la prima generazione che seguì il 1256, nonostante sia sicuro che molti degli eremiti uniti in quella data già si dedicavano al sacro ministero; però non si deve dimenticare la "sorprendente prontezza" con la quale, secondo Ehrle, i nostri predecessori della prima ora si posero a fianco dei domenicani e francescani, che avevano cominciato gli studi sacri trenta anni prima. Gli atti capitolari della Provincia romana (e delle altre i cui atti sono andati perduti) pongono in evidenza l'importanza che davano i superiori alla buona formazione scientifica della loro gioventù: nel capitolo romano del 1281 "imposita fuit et ordinata maxima collecta pro tribus studentibus sive lectoribus novis", che erano appena tornati da Parigi; ed erano tutti lettori i quattro consiglieri che parteciparono al capitolo del 1285 che nominò il nuovo provinciale romano (60). Le Costituzioni del 1290 dicono che uno dei principali obblighi del priore generale era questa: "Attente quidem provideat quomodo studia, in quibus fundamentum Ordinis consistit, per universum Ordinem sollicite continuentur et maxime quomodo generalia studia in fervore et assiduitate studii nutriantur, et apti ad studium per singulas pronvincias promoveantur" (61). La maggior parte dei successori di Egidio Romano nel governo dell'Ordine (e anche nel dovere di adempiere a quella legge) furono professori di teologia, a Parigi, Bologna o Padova, e non pochi sono conosciuti per i loro scritti: Alessandro di Sant'Elpidio, priore generale negli anni 1312-1326, Guglielmo da Cremona 1326-1342, Tommaso di Strasburgo 1345-1357, Gregorio da Rimini 1357-1358, Ugolino da Orvieto 1368-1371 e Bonaventura da Padova 1377-1385 (62). I tre ultimi governarono nel periodo di decadenza generale; però il clero regolare, specialmente quello degli ordini mendicanti, continuò ad essere quello che diede i migliori teologi alla scienza scolastica e anche quello di più elevato livello culturale come già lo era dall'anno 1250. Nel trattare dei requisiti per ricevere il diaconato e il sacerdozio, dice Guido di Baysio che se i candidati "in monasteriis sunt educati, citius admittuntur" (63); un quarto di secolo dopo, verso il 1325, il nostro Agostino di Ancona scriveva "quod omnia armaria sunt plena de libris et operibus quae fecerunt religiosi": i quali, a suo parere dovevano essere preferiti come confessori, specialmente di re e principi, perché "communiter sacra Scriptura, per quam saluti animarum consulitur, sunt magis illustrati, in sanctitatis vero exemplo et vitae moribus communiter sunt magis modificati" (64).

C'è chi afferma che nell'Ordine agostiniano, formato nel 1256 da quattro congregazioni di eremiti, continuò la tendenza alla vita eremitica in contrasto alla vita di studio promossa dai superiori dell'Ordine. In contrapposizione ad Egidio Romano, secondo Elm, si devono considerare il beato Simone Fidati e l'inglese Guglielmo Flete come promotori di quella tendenza (65). Però questo è semplificare la storia, per presentare una sintesi con mancanza di basi: 1°, perché Fidati e Flete non furono nemici degli studi, ma soltanto della filosofia aristotelica, del formalismo ecclesiastico e dei gradi accademici, che in quel tempo davano già occasione di non pochi abusi contro l'osservanza regolare; 2°, perché si tratta di due "spirituali", difensori dell'osservanza, che aveva adepti in tutte le famiglie religiose e in alcune in maggior numero che in quella agostiniana; 3°, perché non si può parlare di due tendenze opposte, una favorevole e un'altra contraria alla vita di studio, se nella prima figurano più di cento autori e nella seconda appena due, perché in questo caso l'eccezione confermerebbe la regola. E la regola non è solamente a favore dei priori generali e di molti scrittori agostiniani che fiorirono tra gli anni 1256 e 1551, ma anche di quelli che allo stesso tempo scrissero libri per istruire la propria gioventù secondo lo spirito agostiniano, come Enrico di Friemar, Giordano di Sassonia e loro imitatori fino al periodo tridentino. Uno di loro, il simpatico umanista milanese Andrea Biglia, ricordava a un giovane confratello che un vero figlio di S. Agostino deve imitare il padre in tutto quanto gli sia possibile, nell'amore alla sapienza e allo studio: "ut quam maxime fieri potest, parentis et doctoris nostri documenta discamus, nec simus tantum religionis filii, verum etiam, si hoc detur sapientiae et doctrinae illius discipuli" (66).

 

CAP. II

PERIODO DI DECADENZA 1357-1507

1. Le "Additiones" di Tommaso da Strasburgo.

Dobbiamo cominciare la seconda parte del nostro studio con il nome di Tommaso da Strasburgo, che per la sua opera teologica e per la sua attività come superiore appartiene alla prima parte, perché, dopo Egidio Romano, fu il priore generale che influì maggiormente nella storia scientifica dell'Ordine fino al periodo tridentino, in pratica fino al mandato di Seripando.

Il capitolo celebrato a Parigi nel 1345 nominò Tommaso priore generale e gli affidò l'incarico di aggiungere alle Costituzioni del 1290 i decreti dei capitoli posteriori a questa data, a condizione che a suo parere fossero ancora efficaci per il governo di tutte la Province (67); il nuovo Generale presentò il suo lavoro di revisione e adeguamento al capitolo celebrato a Pavia nel 1348, e fu interamente approvato: nacquero in questo modo le "Additiones" alle Costituzioni di Ratisbona, le quali si trovano nei codici medioevali e nell'edizione veneziana del 1508, permanendo in vigore fino il 1551.

L'autore delle "Additiones" non solo tenne conto della legislazione scolastica posteriore all'anno 1290, ma anche i nuovi statuti universitari di Parigi e anche l'esperienza dei propri studi, che aveva terminato conseguendo il magistero nella capitale francese nel 1337; conservò nella disposizione degli argomenti l'ordine dei capitoli di queste Costituzioni e, come si era sempre fatto in queste Costituzioni, guardò principalmente il buon governo dello "studium" di Parigi, che serviva come modello per gli altri: nessuna Provincia, eccetto quella di Francia, poteva mandare a questo studio più di due allievi, e non dovevano rimanere in questo "ad expensas provinciae nisi per tres annos nec ad expensas suas ultra quinquennium" (68). Aggiunse nuovi requisiti per l'ammissione di un religioso come allievo in quel centro (migliore preparazione filosofica e un po' di pratica nell'insegnamento; determinò il "curriculum" dei lettori con più chiarezza, come gli argomenti degli esami che dovevano superare nell'arco una settimana in logica, filosofia e teologia, e il programma delle loro lezioni nei principali centri di studio d'ogni Provincia) "in quo sint duo lectores qui logicae, philosophiae et theologiae continuent lectiones", e fissò con esattezza le sanzioni contro i trasgressori di quanto ordinava; chi non "leggesse" almeno quattro volte la settimana, perdeva la "assegnazione" o ricompensa di tutto l'anno; però chi volesse osservare bene la legge, doveva tenere più di quattro lezioni settimanali: "Per hoc tamen non intendimus quod lectores studiorum generalium et provincialum non teneantur ultra quam ad quatuor lectiones in hebdomada, sed ipsi continuabunt lectiones logicae et philosophiae per totum annum, lectiones vero theologiae continuabunt secundum formam Constitutionum" (69).

L'influenza di Tommaso da Strasburgo nella storia degli studi tra gli agostiniani non si riduce alle sue "additiones" al capitolo 36 delle prime leggi dell'Ordine, neanche al regolamento che con il titolo di "Mare magnum" diede nel 1353 al convento di Parigi, ma anche comprende l'azione che esercitò con il suo eccellente commento In quatuor libros Sententiarum - conservato in molti manoscritti e in diverse edizioni - nel quale ci lasciò il corso teologico più completo, più uniforme e più apprezzato di quanti siano stati frequentati nella scuola agostiniana prima di Giovanni Lorenzo Berti († nel 1766). La fedeltà dell'autore al pensiero di Egidio Romano e dei grandi maestri dell'alta scolastica, non solo si manifestò in questo corso, ma anche nelle norme che diede, essendo già Generale, nel capitolo del 1345, di fronte al pericolo del nominalismo: "Mandamus magistris praecipue, baccalariis et lectoribus atque studentibus quatenus nullus eorum doctrinas varias et peregrinas, quae in sacandalum sunt simplicium et fidei laesionem orthodoxorum sequi, tenere seu docere praesumant publice vel occulte; sed in theologia illas tantum conclusiones tenere et docere, quas canonicae Scripturae vel canonicorum doctorum - quorum opuscula per sacrosanctam Romanam Ecclesiam noscuntur approbata - sententiis evidenter fundari ac muniri possunt" (70). A questa norma, confermata nel capitolo generale del 1348 e ripetuta da alcuni superiori dell'Ordine nella seconda parte di quel secolo, dovrà attribuirsi il senso di moderazione e di equilibrio che i migliori storici della scolastica riconoscono alla scuola agostiniana dalla fine del medioevo, specialmente in teologia.

2. Abusi e rimedi contro la decadenza.

Le disposizioni di Tommaso da Strasburgo e dei suoi successori non poterono impedire la decadenza degli studi nelle Province dell'Ordine durante i due secoli che mancavano alla riforma tridentina, perché le cause del male erano molteplici, e alcune generali e molto profonde. Tralasciando quelle di carattere generale, che sono quelle che gli storici attribuiscono alla rilassatezza dei costumi in tutte le classi sociali, ricorderemo una causa transitoria e altre comuni a tutte le epoche, che però furono straordinariamente dannose all'attività scientifica in questo periodo.

La causa transitoria fu la peste o "morte nera", che decimò quasi tutti i paesi d'Europa dal 1348 fino al 1352 (71) . Nonostante siano poco degne di fede le statistiche che indicano le vittime di questa peste, in particolare quella di 5000 agostiniani che si dice morissero in quel periodo, è innegabile che la mortalità spopolò molti dei nostri conventi; è anche certo che per riempire questo vuoto, si accettarono candidati alla vita religiosa senza le qualità necessarie e che furono affievolite le regole della disciplina scolastica. Il capitolo generale celebrato a Basilea nel 1351 concesse che i novizi "recipi possint ad ordinem pro futuro triennio per priorem localem... etiam non habita sui provincialis licentia"; e per quello che si riferisce agli studi, lo stesso capitolo dispose "quod ad studia generalia ubi non possunt haberi studentes, possint pro isto triennio mitti studentes illius provinciae, qui etiam alias non fuerint in studiis aliis" (72). Come si può vedere queste dispense alla legge erano solo per un triennio; però furono rinnovate nel capitolo di Perugia del 1354, il quale aggiunse al riguardo "quod reverendi magistri non possint deinceps tenere scriptores infra loca ordinis", e che il reggente dello studio di Parigi "non praesumat venire ad capitulum generale", come poteva fare prima (73). Non mancano infine nelle stesse fonti le rimostranze dei priori generali a causa della scarsità di personale capace di proseguire l'insegnamento nei principali studi; è sufficiente come esempio la risposta di Gregorio da Rimini al superiore della vasta provincia di Spagna, che con la raccomandazione di Alfonso Vargas di Toledo (già vescovo d'Osma) gli aveva chiesto aiuto nel 1358: "De lectoribus autem italicis mittendis ad provinciam praelibatam, sumus adeo male fulciti, quod vix tales, ut petitis studiis vancantibus in Italia invenire possumus" (74).

I danni che portò la peste agli studi diedero origine a nuovi motivi di decadenza e causarono la ripetizione di alcuni abusi del passato. Continuava certamente a rimanere in vigore l'esame di ammissione dei lettori (in logica, filosofia e teologia) della durata di una settimana; che però erano tenuti, abitualmente dai reggenti degli studi più vicini, che molte volte non si mostravano sufficientemente severi; si eluse frequentemente la legge dei quattro anni d'insegnamento, perché i lettori potessero scegliere per il baccellierato e i baccellieri per il magistero; si moltiplicarono le esenzioni dei laureati, soprattutto dei maestri, che formarono, in alcune Province, una classe privilegiata all'interno della famiglia conventuale, e come conseguenza dei mali anteriori, aumentò il numero degli ambiziosi che, con il favore di prelati amici o di persone importanti, si procuravano il titolo di maestri per avere le loro immunità, senza preoccuparsi della scienza né della vita esemplare e di studio, in virtù delle quali erano stati concessi i privilegi. E' certo che non mancarono in questo lungo periodo di decadenza uomini di studio che meritavano quelle dispense per la loro condotta religiosa e per il loro impegno nel lavoro; con i registri dei priori generali e con altre fonti sicure si può fare una lunga lista di nomi benemeriti tra gli anni 1360 e 1520; però è chiaro che abbondarono più che mai i lettori e i baccellieri "honoris", così come i "magistri bulati" o fatti "per saltum", senza avere applicato le regole, come si legge negli atti dei capitoli di quel tempo. Quello che si celebrò a Rimini nel 1394 confermò un decreto approvato "in diversis generalibus capitulis contra magistratos de gratia domini nostri Papae" (75); ma l'abuso continuò, perché nel capitolo del 1400 si ripete "quod procurantes magisterium de bulla sint ipso facto excommunicati et quod nec possint absolvi atiam per patrem generalem". E' possibile che la severità della pena sia rimasta in vigore per un breve periodo, perché la modificò il capitolo celebrato a Pamiers nel 1465. Nel 1482 il capitolo di Perugia aggiunse un'altra sanzione: "Item praesenti definitione volumus et daclaramus, omnes et singulos magistros nostri ordinis factos per saltum aut sine licentia ordinis, privatos esse gratiis et privilegiis... et conventualitate sui conventus, si obedire contempserint" (76). Questo abuso, dannoso evidentemente per l'osservanza e la vita di studio, fu combattuto alla fine del secolo XV dai generali Anselmo da Montefalco e Mariano da Genezzano, e ancora agli inizi del secolo XVI da Egidio da Viterbo e Seripando; però non fu mai né sarà mai sradicato, perché nacque con l'uomo decaduto e rinacque con vigore quando decadde l'osservanza.

Il periodo dei corsi di studio ecclesiastici continuò ad avere la durata di nove anni per i religiosi che aspiravano solamente al sacerdozio, non meno di quindici per quelli che ottenevano (senza dispense o sotterfugi) i gradi accademici. I priori generali ricordavano ai sacerdoti l'obbligo di ripassare frequentemente i testi di morale pratica (77); i priori delle case di studio dovevano fare osservare la legge, che stabiliva che tutti i religiosi frequentassero le lezioni di teologia, e i reggenti dovevano dirigere le dispute quasi quotidianamente su temi filosofici o teologici che facevano parte del corso. Sembra per questo che il livello medio di cultura nei nostri conventi, almeno nelle Province osservanti, non fosse in questo periodo molto inferiore a quello del primo secolo di fioritura che comincia nel 1256. Era opinione generale nell'Ordine che i meno dotti fossero i religiosi delle Congregazioni d'osservanza del XV secolo, (perché si occupavano più della preghiera che dei gradi accademici) (78); però i definitori della Congregazione spagnola (una delle più rigide) rifiutarono nell'anno 1439 il giudizio negativo che di essi avevano i loro confratelli i "claustrales", che li avevano qualificati "simplices et idiotae", assicurando che fosse soltanto una calunnia: "...quamvis verum non dicant, quia per Dei gratiam omnes fere sacerdotes nostri sciunt bene legere et cantare et intelligere quae legunt: et plures litterati sunt inter nos et boni praedicatores, qaumvis de gradibus scientiae non curent" (79). Dice quasi lo stesso degli agostiniani francesi di quel secolo l'anonimo certosino che, verso il 1485, scrisse il trattato De religionum origine, poiché nel parlare dei nostri confratelli scrisse: "Novi dudum paucos istius ordinis, sed valde venerabiles viros atque statui praedicationis valde idoneos" (80). Non erano inferiori, sotto l'aspetto intellettuale, ai loro confratelli di Spagna e Francia gli agostiniani inglesi, che ebbero proprio in questo periodo di decadenza diversi vescovi, scrittori, predicatori e consiglieri di principi e re (81). Era ancora più elevato il livello di cultura nelle Province agostiniane tedesche e italiane, nonostante fosse maggiore in queste il numero dei maestri fatti "per saltum", furono anche molti quelli che ottennero legittimamente i loro titoli e influirono nella vita universitaria dei rispettivi Paesi. Ricorderemo alcuni fatti e diversi nomi in questo senso.

Il primo che ottenne il dottorato nella facoltà teologica dell'Università di Firenze fu un agostiniano; conosciamo il suo nome per uno scritto del cronista ufficiale della città dell'Arno, Matteo Villani: "A dì 9 di dicembre del 1359 nella Chiesa da Santa Riparata pubblicamente e solennemente fu maestrale in divinità e prese i segni di maestro in teologia frate Francesco di Biancozzo de' Nerli, dell'ordine de' frati romitaggi; e il Comune, mostrandosi grato al Papa del beneficio ricevuto di potere questo fare, per lungo spazio di tempo fece suonare a parlamento - sotto titolo di Dio lodiamo - tutte le campane del Comune; e i signori priori co' loro collegi e con tutti gli ufficiali del Comune, con numero grandissimo di cittadini, furono presenti al detto ammaestramento, che fu cosa notabile e bella" (82). Fu ancora più solenne la festa che si celebrò a Bologna il 2 giugno del 1364, in occasione dell'inaugurazione della facoltà teologica di quella celebre Università; era presente il nostro Ugolino da Orvieto, "al quale (scrisse il cardinale) toccava la parte più essenziale, la teologica, dovendo redigere gli statuti della nuova facoltà e fissare il suo indirizzo scientifico... Ugolino ha superato il livello egidiano (83) e rispecchia un tempo nuovo, egli lo conosce da vicino, ma non si fida di queste modernità. Ciò dimostra il suo studio di arginare la strada maestra della solida dottrina scolastica con i suoi elenchi delle sentenze condannate a Parigi. Ciò mostra che Ugolino era singolarmente adatto allo scopo di guidare la nuova facoltà della grande Università di Bologna in un corso dottrinale sicuro, che armonizzasse la solidità del vecchio con una mobilità ben compresa del nuovo progresso" (84). Sono queste le stesse qualità che Alberto Lang riconosce nel nostro teologo, quando espone la sua dottrina sulle relazioni fra fede e ragione, fede e grazia, fede e libero consenso della volontà; perché in tutti questi punti, dice il critico tedesco, "Ugolino ha diritto al primo posto d'onore - ehrenvollen - nella storia del problema della credibilità o dell'analisi della fede, non solo per l'esattezza con cui presentò la soluzione più giusta ed equilibrata contenuta in quelle relazioni, ma anche per l'influenza che esercitò la sua dottrina a Parigi e nelle nuove università tedesche" (85).

Prese parte con Ugolino nell'organizzazione degli studi teologici a Bologna fra Bonaventura da Padova, che tre lustri più tardi si occupò degli stessi problemi; perché, nominato cardinale da Urbano VI nel 1378, fu scelto dallo stesso Papa insieme ad altri due cardinali (il domenicano Nicola Caracciolo e il francescano Tommaso del Frignano) per riformare o aggiornare i primi statuti d'altre università italiane, dato che il grande scisma d'occidente, che incominciò in quello stesso anno, escluse dalle università francesi gli studenti e gli insegnanti "d'obbedienza" romana; il lavoro dei tre cardinali, pubblicato due volte nel nostro secolo, fu redatto verso l'anno 1380 (86). Nel 1389 fra Leonardo di Carinzia scrisse con altri colleghi gli statuti della facoltà teologica dell'Università di Vienna, nella quale gli succedette come professore un altro agostiniano, Giovanni de Retz, anche lui conosciuto per i suoi scritti (87). Figura tra i primi professori dell'Università di Praga Nicola von Laun o di Luna, vescovo ausiliario di Ratisbona negli anni 1354-1371 e messaggero della civilizzazione cristiana nell'Europa orientale (88). E' ugualmente degno di ricordo in questo senso l'ungherese Stefano d'Insula, che ottenne il dottorato a Parigi, e successivamente fu professore a Tolosa e Gran, vescovo di Nyitria e arcivescovo di Kalocsa dal 1350 fino al 1382; a lui e al suo confratello e maestro Alessandro d'Ungheria si deve principalmente il giudizio favorevole che due eruditi ungheresi del nostro secolo hanno formulato dei nostri predecessori della fine del medio evo nella loro patria: "Au debut du XIV siecle la clef de la vie scientifique et de la civilisation theologique d'Hongrie - fortement liées à l'Occident - passa entre les mains des ermites de saint Augustin" (89). Intorno al 1389 presero parte alla fondazione della facoltà teologica di Colonia (nella quale furono anche professori Gyso di Colonia e Nicola von Neuss) (90). Fra gli agostiniani che insegnarono teologia in altre università dell'Europa centrale prima della rivoluzione luterana, occupano il primo posto per numero e per meriti i professori d'Erfurt, seguiti a distanza da quelli che insegnarono a Basilea, Vienna, Praga, Tubinga, Heidelberg e Lovanio. La partecipazione dei nostri religiosi alla vita universitaria italiana nei due ultimi secoli del medio evo si svolse a Napoli, Firenze, Bologna, Padova, Pavia e Torino. Gli storici delle Università di Oxford e Cambridge menzionano diversi professori agostiniani che insegnarono in quei celebri atenei fra gli anni 1340 e 1520; però, con l'eccezione di tre o quattro, sono poco conosciuti per i loro scritti. Lo stesso deve dirsi degli agostiniani francesi che ressero cattedre di teologia nelle università della loro patria dopo il 1350, ma anche di loro oggi si conoscono appena le loro opere. Al contrario, fra gli spagnoli che insegnarono nelle Università di Lerida, Valencia e Salamanca abbiamo tre scrittori come Bernardo Olivier, Martìn di Cordoba e Jaime Perez di Valencia, morto nel 1490. Nel 1511 terminò la sua laboriosa carriera Ambrogio Calepino, famoso per il suo Dictionarium septe linguarum, "quod ob suam utilitatem innumeris vicibus in lucem prodiit" (91), che ha determinato che "calepino" sia in molti paesi sinonimo di dizionario.

 

CAP. III

PERIODO DI RIFORMA E NUOVA FIORITURA 1508 - 1650

1. Primi tentativi e attività di Seripando

La legislazione scolastica del medio evo rimase in vigore fino al 1551; però accettò già dal primo decennio di quel secolo alcune innovazioni che si erano rese necessarie per il progresso generale della cultura e poco dopo, per il conflitto con il protestantesimo. Il capitolo generale del 1507 vietò l'ingresso nell'ordine di giovani con meno di dodici anni e il sacerdozio prima di aver compiuto il diciottesimo anno (92). Escluso pertanto l'anno del noviziato, rimanevano altri quattro o cinque anni di studi, durante i quali gli aspiranti al sacerdozio vivevano sotto la tutela di due maestri: "primus qui in mores optimos..., alter qui in lingua latina et, ubi facultas suppetet, etiam graeca eos exerceat" (93). Ancora si lasciò all'iniziativa particolare di ciascuno lo studio dell'ebraico, nella cui conoscenza risaltavano in quel periodo il superiore dell'Ordine, Egidio da Viterbo e alcuni confratelli come Gaspar Amman, Dionisio Vàsquez e Felice da Prato (94); ma, dall'anno 1520, aumentò ogni volta il numero di quelli che imparavano le due lingue originali della Sacra Scrittura, per lottare con le stesse armi contro i nuovi eretici. I priori generali Egidio da Viterbo e Gabriele della Volta (che governarono consecutivamente dal 1506 al 1537) si limitarono ad inculcare l'osservanza della legge, a reprimere abusi e a promuovere la fondazione dei nuovi centri di studio (95); però senza dare nuove disposizioni in questa materia. Queste disposizioni invece le diede il capitolo del 1539 (in cui fu nominato priore generale Seripando) con il seguente decreto:

"Quantum vero ad studia reformanda pertinet, sancitur et definitur, ne placita Averrois et Iandoni penitus deiceps defendantur; sed textus aristotelicus in philosophia, in theologia vero textus Magistri sententiarum lectitentur et defesentur. Nec ulli citra bachalarios et magistros liceat sacrae Scripturae conclusiones in disputatione sustinere. Omnes vero lectiones iuxta viam domini Aegidii nostri Romani legantur et disputentur, et ubi eius scripta deficiunt, ex divi Thomae Aquinatis doctrina conformi suppleatur" (96).

Questa norma, conforme in tutto al programma che patrocinerà Seripando all'interno del suo Ordine, è nelle deliberazioni tridentine; fu inviata dallo stesso superiore (in testo stampato, con gli atti di quel capitolo) a tutte le Province agostiniane, e si occupò personalmente della sua applicazione, durante la visita che effettuò negli anni 1539-1542 alle Province d'Italia, Francia, Spagna e Portogallo (97). Prima di cominciare quel lungo viaggio dal convento di Sant'Agostino di Napoli, che era uno "studium generale", lasciò scritto al priore e al reggente di studi dello studium questa norma di condotta:

"Quad litterarum studium attinet, astringimus omnes ut quod gradum singulorum decet, cum fructu nitantur praestare. Et ne contingat nostra incuria secus fieri, mandamus ut regens anno singulo, ante festum divi Petri, reddat nos certiores per litteras - omnium de corpore studii subscriptas manibus - quot libros quasve lectiones ipse ac bachalari sive lectores seu quicumque alii legerint, qualesque disputaverint quaestiones, qui in studio profecerint vel qui locum occupaverint ut ipsis litteris, quamquam absentes, eorum...exactissimam informationem habeamus" (98).

I registri di Seripando dimostrano che la sua attività non fu meno innovatrice ed energica nelle case di studio che visitò nelle quattro nazioni già citate: diede ai principali centri italiani la norma che aveva lasciato a Napoli; scrisse nuovi statuti per lo "studium" di Parigi e riformò quelli di Tolosa, Montpellier e Avignone; rinnovò lo studio generale di Valencia, il cui reggente doveva presiedere a tutti gli atti accademici "et determinare quaestionem in fine, iuxtia sententiam Aegidii Romani vel sancti Thomae" (99); riorganizzò la vita di studio nelle Province di Spagna e Portogallo, ricordando agli "osservatori" dell'una e dell'altra che la "sacra dottrina" è parte essenziale della vera osservanza, e determinò un'altra volta le tre tappe (umanistica, filosofica e teologica) del ciclo di studi, il cui complemento doveva essere la "sanctarum Litterarum erudito, qua pascere possumus verbo vitae et doctrinae populum Christi, cuius nos eleemosynis sustentamur" (100). Infine volle che in tutti i conventi spagnoli (sicuramente perché già si faceva in quelli italiani) "lector unus deputetur casuum conscientiae, ad quem audiendum compellat prior omnes suos fratres" (101). Il capitolo generale del 1564 estese questa disposizione a tutte le Province dell'Ordine e ordinò che non mancassero a queste lezioni i sacerdoti "minus instructi qui in negotio poenitentario sunt" (102). L'innovazione di Seripando, che è precedente alla riforma tridentina, entrò come legge nelle Costituzioni del 1581.

2. Gli studi nelle Costituzioni del 1551.

Nel capitolo generale del 1543 Seripando propose la revisione delle Costituzioni del 1290 e, d'accordo con i membri del capitolo, designò la commissione che doveva adattare quelle antiche leggi alle necessità della nuova era; però, chiamato poco dopo a prendere parte al concilio di Trento, non poté realizzare questo punto del suo programma fino al biennio 1549-51. Non è possibile determinare con certezza la parte che ebbe nella redazione delle Costituzioni che portano il suo nome; però ci sono motivi solidi per supporre che ne fu l'autore principale e che, in particolare, il capitolo 87, dedicato agli studi ecclesiastici, sia opera sua. (Vedi AA. IX, 152). E' ovvio che fosse il più competente tra i suoi confratelli , che risaltò anche negli studi tra i padri del concilio Tridentino. Le proposte che presentò nelle congregazioni conciliari degli anni 1546-1548 sulla fondazione dei seminari, sullo studio necessario per dedicarsi alla cura delle anime, sulla riforma della predicazione che secondo lui, deve essere "contio ad salutem ex sacris Litteris" e sul modo di coltivare gli studi biblici, dice Jedin che contengono un programma di preparazione sacerdotale che in fondo è simile a quello che ha proposto la chiesa nell'era contemporanea, nonostante in quel periodo sembrasse un ideale inaccessibile (103).

Si dice che le Costituzioni del 1551 differiscano poco da quelle del 1290 e che siano rimaste in vigore per poco tempo, essendo state sostituite dalla nuova edizione del 1581; però, per quel che riguarda gli studi, si deve dire il contrario; cioè, che le Costituzioni preparate da Seripando rappresentano una delle tre date più degne di ricordo con quelle del 1290 e del 1348. Per convincersi di questo basta confrontare il capitolo 37 con il 36 delle Costituzioni del 1290, e si vedrà chiaramente che il secondo fu molto ritoccato; e per quel che riguarda il tempo in cui rimase in vigore la riforma scolastica di Seripando, si deve dire che non fu solamente derogata dalle Costituzioni del 1581, ma che fu inclusa quasi alla lettera nelle stesse, così come nelle Costituzioni del 1686, rimanendo pertanto in vigore (con poche aggiunte e ancor meno omissioni) fino all'anno 1885.

La riforma di Seripando eliminò definitivamente dalla nostra legislazione i termini ambigui di "studium generale provinciae", "studio solemne" e studio generale di una sola nazione, decretando che c'erano nell'Ordine solo due tipi di "studi": generali e provinciali, secondo il grado del superiore al quale fossero direttamente sottoposti; determinò chiaramente i diritti e i doveri scolastici del reggente, dei baccellieri, dei lettori e del "magister studentium" o decano degli allievi; aggiunse al corpo dei professori, in conformità a quello che aveva ordinato il concilio Tridentino nella sua quinta sessione, un "magister biblicus" (104), il quale, oltre alla sua lezione quotidiana di esegesi, anche svolgesse le domeniche e i giorni festivi: "super aliqua sanctarum Scripturarum difficultate, non per modum contentiosae disputationis -quae longe abesse a scientia salutis debet- sed per modum familiaris et pii colloquii circulum tenere, et post duas aut tres diffultates discussas, catholicam iuxta sanctos doctores determinare veritatem". Questa riforma rafforzò in modo particolare il diritto esclusivo del priore generale nella concessione dei gradi accademici, anteponendo a tutte le promozioni la nuova e significativa clausola: "si priori generali videbitur", ed elevò il livello culturale mediante l'applicazione rigorosa della legge nei corsi e negli esami.

Il religioso che si presentava come candidato al corso accademico in uno "studium generale", doveva avere una lettera di raccomandazione del proprio superiore maggiore, "sigillo provinciae signata" e firmata dai definitori; questo documento certificava al superiore dello "studium" che il candidato era una persona di vita esemplare, che era già sacerdote e che era sufficientemente preparato in materie umanistiche; però doveva dare prova di questa ultima capacità leggendo e spiegando "verbis latinis congruis coram priore loci et toto studio" un testo di Cicerone, scelto dagli esaminatori. Se superava la prova, entrava nello studio come allievo di filosofia, frequentava due anni il corso di logica e durante altri tre quello di filosofia naturale e metafisica, per presentarsi dopo questi cinque anni a un esame che durava tre giorni, nei quali doveva dimostrare la sua competenza in queste discipline. Il reggente dello "studium", d'accordo con gli altri professori, informava tramite una lettera il priore generale "de sufficientia et moribus" dell'allievo, e il superiore dell'Ordine poteva promuoverlo al corso teologico e dichiararlo "cursor". Dopo tre anni di studio della nuova disciplina, il candidato poteva aspirare al titolo di lettore, se superava un esame di sei giorni, con due di preparazione, dopo avere ricevuto dal reggente il questionario al quale doveva rispondere: il primo giorno spiegava davanti a professori e allievi una lezione di metafisica; il secondo una di teologia, inerente al primo o al secondo libro delle Sentenze, e il terzo, su uno dei due libri della stessa opera di Pietro Lombardo; nei tre giorni seguenti doveva rispondere alle difficoltà "non minus quam decem" che gli presentavano in ordine il reggente e tutti gli altri, "usque ad ultimum cursorem". Il reggente e i suoi colleghi informavano un'altra volta per iscritto il Generale, che poteva, se l'esito era positivo, promuovere il candidato al grado di lettore (il primo, in ordine ascendente, tra i titoli accademici). Il lettore che insegnava successivamente (nello stesso centro) "cum profectu discipulorum", poteva essere dichiarato baccelliere, senza un nuovo esame, "cum priori generali videbitur"; però non prima di tre anni. Se continuava con soddisfazione dei superiori e allievi nell'insegnamento, e il Generale aveva facoltà pontificia per promuovere candidati al magistero, poteva premiare con questo massimo grado il baccelliere che lo meritasse, "alioqui licentietur ad suscipiendum gradum in probata alique doctorum theologorum facultate, quae in litteris licentiae nominetur".

Il nostro Ordine, dice la riforma scolastica di Seripando, non riconosce titoli conseguiti in altro modo. In più i religiosi che li avessero ottenuti legalmente li perdono tutti, se vivono qualche tempo fuori dall'Ordine senza permesso dei superiori, e neanche il Generale può restituirli, ma soltanto il capitolo legislativo e con il consenso di tutto il definitorio, "nemine discrepante". Tutti gli esami menzionati dovevano svolgersi tra le festività mariane del 15 agosto e dell'8 settembre; due giorni dopo "in festo sancti Nicolai de Tolentino" cominciava il corso, che continuava fino al 28 giugno, con una lunga interruzione nel tempo di quaresima, dalla domenica di settuagesima alla seconda domenica dopo Pasqua, perché molti professori andavano a predicare in città lontane. Però l'attività scolastica non cessava del tutto nei mesi di luglio e agosto, poiché continuavano le dispute o dissertazioni, che dovevano tenersi "hieme in theologia, aestate in philosophia post prandium, in logica post coenam". Le Costituzioni del 1551 ordinavano per ultima cosa che tutti i professori insegnassero "tam in artibus quam in theologia" secondo la dottrina di Egidio Romano; nelle questioni che lui non aveva spiegato in forma scritta, dovevano seguire in teologia "doctorem nostrum Thomam de Argentina", mentre si spiegherebbe in "arti" la summa di Paolo Veneto. Potevano anche difendersi, "disputationis gratia", le opinioni di Gregorio da Rimini, Gerardo da Siena, Michele da Massa, Alfonso Vargas di Toledo, Agostino Favaroni da Roma e di altri teologi agostiniani, "quorum scripta in communibus servantur bibliothecis".

Le Costituzioni del 1581 (edizione necessaria dopo la riforma tridentina e adattamento ordinato dalla Chiesa a tutte le antiche famiglie religiose) (105) furono preparate dal generale Taddeo da Perugia, discepolo prediletto di Seripando, che già nel 1547 lo aveva nominato reggente degli studi in Sant'Agostino di Roma (106). Le Costituzioni del discepolo differiscono notevolmente da quelle del maestro per due ragioni: una, perché il discepolo ebbe da includere la legislazione promulgata a Trento, soprattutto alla fine del 1563, e l'altra, perché volle cambiare la sua struttura, adottando per la prima volta (come nelle Costituzioni della Compagnia di Gesù) la divisione in parti, che hanno conservato tutte le edizioni successive; però per quello che si riferisce agli studi, Guidelli ripetè quasi letteralmente, come già è stato detto, quello che aveva disposto Seripando 30 anni prima (107). L'unica differenza importante è quella di avere proposto come maestro dei nostri studi (con Egidio Romano) San Tommaso d'Aquino in sostituzione di Tommaso di Strasburgo; però questo cambio, conforme alla tradizione teologica dell'Ordine, con il decreto del capitolo generale del 1539 e con quello che aveva disposto Seripando nello studio generale di Valencia (108), fu dovuto all'autorità che diede all'Angelico San Pio V, nel collocarlo nel 1567 insieme ai grandi Padri della Chiesa, cosi come nella bolla di riforma che nel 1570 indirizzò quel Pontefice al nostro Ordine, ordinando che i professori preparassero le loro lezioni "ex sancto Thoma Aquinate vel Aegidio Romano vel alio catholico et approbato doctore" (109) .

Oltre ai legislatori, contribuirono al rinnovamento degli studi alcuni degli agostiniani già detti e altri che risaltarono nell'insegnamento universitario o come scrittori, influendo in entrambi i casi fuori del proprio Ordine. Il primo professore di sacra Scrittura nella Università di Alcalà (culla della prima "Bibbia poliglotta") fu Dionisio Vàzquez di Toledo († 1539), scelto per occupare quel posto per la sua preparazione filologica e per la sua conoscenza dell'esegesi dei santi Padri, come assicura il suo ascoltatore Alvar Gomez de Castro (110). Alla fondazione dell'Università del Messico nel 1553, si affidò la cattedra di Bibbia a fra Alonso de Veracruz (†1584), che aveva oltre alla conoscenza del greco e dell'ebraico una buona formazione teologica, e che fu, nella nascente cristianità messicana, "luce e fiaccola di tutti gli ordini mendicanti" (111). Fu ugualmente rinnovatore, nello stesso campo degli studi biblici, l'insegnamento di fra Luis de Leon (†1591) nell'Università di Salamanca, ma benchè non ottenesse la cattedra di Bibbia fino al 1579, aveva già dato prova delle sue preferenze scientifiche fin dall'inizio dei suoi studi: con la traduzione del Cantico dei Cantici nel 1561, e con la relazione De sacra Scriptura nel corso 1567-1568. "Oltre questo, (dichiara lui stesso nel suo primo processo) tutta la scuola è testimone che nel giorno di San Luca (112) dell'anno 71 dissi pubblicamente nella cattedra, nella prima lezione di quell'anno...che per l'intera comprensione della Scrittura era necessario sapere tutto, e principalmente tre cose: la teologia scolastica, quello che scrissero i santi, le lingue greca ed ebraica... E mai trattai ne' in pubblico ne' in segreto della profondità del sapere che Dio racchiuse nei libri della santa Scrittura, ma questo non significava che chiedessi che chi provava di capirla dovesse sapere tutte le scienze, le storie e le arti meccaniche, tanto più la teologia scolastica, che è la vera introduzione per essa" (113). Fra Luis non solo studiò le discipline necessarie per spiegare la Bibbia ai suoi allievi, ma anche per scrivere libri "che risveglino le anime o le conducano alla virtù", e per esporre fatti "che o come nati dalle Sacre Scritture o come collegati e conformi a loro, sostituiscano questi, quanto è possibile, con il comune atteggiamento degli uomini" (114). Con lo stesso fine avevano studiato la Bibbia, nella prima parte di quel secolo, Dionisio Vàzquez e San Tommaso da Villanova, che figurano fra i tre o quattro migliori restauratori della predicazione cristiana nella Spagna del secolo d'oro (115), come lo furono in Italia Egidio da Viterbo e Seripando, e in parte in Germania Giovanni Hoffmeister. Influì per ultimo nel progresso degli studi Onofrio Panvinio (†1568) che, con la sua corrispondenza e con le sue numerose opere, diede straordinario impulso allo sviluppo dell'archeologia cristiana e della storia della Chiesa (116).

Non è solo legislazione scolastica, ma frutto di essa (cioè prova di sana dottrina e di giudizio sicuro) quello che fecero il suddetto fra Luis e suo nipote Basilio Ponce de Leon (†1629) in favore dei due massimi dottori della teologia mistica nell'età moderna. Chiamato con altri teologi a censurare i libri di Santa Teresa di Gesù, fra Luis si oppose ai suoi colleghi, che giudicavano pericolosa la pubblicazione di questi scritti, affermando tutto il contrario: "che sono di una sana e cattolica dottrina e, a mio parere, di grandissima utilità per tutti quelli che li leggessero...e anzi, per il l'onor di Dio e per il beneficio comune, conviene che questi libri si stampino e si pubblichino" (117). Incaricato dal Consiglio reale di Castiglia di prepararne l'edizione, fra Luis poté divulgare nel 1588, preceduta da una lettera e seguita nel 1589 da una apologia, "che contengono le frasi più belle che mai si siano pronunciate in difesa e a lode delle opere di Santa Teresa" (118). Non fu meno decisivo l'intervento di Basilio Ponce contro gli avversari della mistica di San Giovanni della Croce, che nel 1619 avevano presentato all'Inquisizione spagnola quaranta proposte della Notte oscura, che, secondo questi antimistici, dovevano essere condannate perché erronee e pericolose; l'agostiniano dimostra nella sua estesa ed erudita Risposta che le suddette proposte non contengono alcun errore o pericolo, anzi aiutano la dottrina dei migliori teologi e maestri di vita spirituale di tutti i tempi; più ancora: la dottrina di San Giovanni della Croce, conferma Ponce de Leon, significa un notevole progresso, perché, "nonostante altri autori abbiano trattato della abnegazione esteriore, però nessuno della interiore come questo santo e con documenti più certi. E per evitare l'inganno in rivelazioni (cosa che fa capire a diversi spirituali e maestri di spirito) nessun libro è stato scritto fino a oggi che possa confrontarsi con questo... ed essendo questi due punti tanto necessari in materia di spirito, trattandoli questo autore con tanta impegno, che in questa materia è il primo uomo di Spagna, non so come si possa dubitare dell'utilità di questi libri" (119). E si noti che questo giudizio è dell'anno 1622.

 

CAP. IV

"NOVA ET VETERA" NEI SECOLI XVII - XIX

Non è necessario e neanche utile menzionare tutto quello che ordinarono, in materia di studi, i capitoli dell'Ordine e i vari priori generali di questi tre secoli, perché in molte delle loro prescrizioni, si trattava solo di fare osservare la legge (che nell'essenziale rimase in vigore quella dell'anno 1551), di reprimere abusi e di aggiungere quello che ordinava la Chiesa o consigliava il progresso degli studi. Imponevano l'osservanza delle Costituzioni gli statuti che, fra il 1604 e il 1615, inviarono in testo stampato agli studi italiani i generali Ippolito da Ravenna, Giovanni Battista da Asti e Nicola di Sant'Angelo (120); miravano allo stesso fine una bolla di Urbano VIII (121) e alcuni decreti dei capitoli generali; però senza aggiungere nulla di nuovo. E' importante ricordare la seguente disposizione del capitolo del 1602: "In quovis conventu formato duo lectores instituantur: alter qui orationem, praesertim mentalem, alter qui casus conscientiae...doceat: quibus lectionibus omnes interesse teneantur" (122). Nel 1604 ordinò il suddetto Ippolito di Ravenna che in tutti gli studi italiani: "die dominico de virtutibus et vitiis, ac de vita activa et contemplativa habebitur tractatio, cui praesideat pater eruditus hac mystica theologia"; negli altri giorni di festa, "ne iuvenes torpescant, volumus ut conferentia et disputatio quaedam familiaris habeatur, desumpta ex 4° libro Sententiarum, ut sdtudiosi Sacramentorum cognitionem facilius acquiere valeant" (123). Lo stesso superiore prolungò la permanenza degli studenti nelle scuole di grammatica, ordinando che imparassero anche in queste la retorica e i primi elementi della logica. Per quanto riguarda gli esercizi letterari con rappresentazioni teatrali, che non solo avevano luogo negli studi italiani ma anche in quelli di altre Province, giudicò opportuno vietarli, "sub poena privationis officii prioris et regentis"; però il divieto non fece terminare questa usanza e solo servì per evitare o limitare abusi in futuro.

Il capitolo generale del 1625 insistette nella buona formazione dei giovani nelle materie umanistiche, nell'ordinare che non cominciassero il corso filosofico "nisi post tres annos ab emissa professione: interim vero in humanioribus litteris sese exerceant... et cum tempus suae promotionis advenerit, nonnisi praevio rigoroso examine promoveantur" (124). Il generale Ippolito Monti di Finale introdusse nel 1636 un'altra novità (che entrò successivamente nelle Costituzioni e rimase in vigore fino al nostro secolo), quando dispose che i reggenti di studi dovevano dare prova della loro competenza filosofica e teologica in un esame di diversi giorni, prima di essere designati per questo ufficio (125): in questo modo entrò in vigore nell'Ordine un nuovo grado accademico, quello che fino ad allora era stata un'onorificenza, che si assegnava a un confratello che avesse il titolo di maestro o, per eccezione, a un baccelliere in teologia. Dei decreti capitolari dello stesso secolo, è importante ricordare, per la loro estensione e chiarezza, quelli del 1685, preceduti dagli statuti dei generali Nicola Oliva e Domenico Valvassori, ma benché si riferiscano espressamente agli studi italiani, riflettono anche lo stato degli studi nelle Province ibero-americane. Il corso filosofico (dice un decreto di quel capitolo) deve durare quattro anni: "quo tempore logicam, de physico auditu, de generatione et corruptione, de anima et tandem metaphysicas quaestiones volumus explanari". E per quel che riguarda il corso teologico, ripeté questo capitolo "quod patres regentes in posterum sexennii spatio theologiam totam scholasticam absolvant...Disputationes theologicas ter in hebdomada habendas esse, nempe feria secunda, quarta et sexta; ceteris vero diebus duas theologicas lectiones in die tradendas, et tam matutinam quam vespertinam lectionem per unam horam dictando et per aliam semihoram explicando protrahendam esse praecribitur" (126). L'ordine dei trattati di dogmatica e morale, che dovevano essere spiegati ogni anno, dimostra che si prendeva come guida la Summa theologica dell'Aquinate, cioè, per quel che riguarda la formazione dottrinale degli allievi, continuava nelle nostre scuole la direzione aristotelico-tomista, che aveva introdotto Egidio Romano (127).

Le Costituzioni del 1686 consigliano il magistero di Egidio e di San Tommaso, però con questa significativa aggiunta: "itatamen, ut in materia de gratia, de praedestinatione et disputationibus iis annexis, inconcussam tutissimamque sancti Patris Augustini doctrinam (omnes) omnino sequi teneantur...Qui vero a sancti Patris doctrina recesserit, primo corrigatur, secundo puniatur, tertio tandem ab officio deponatur" (128). Con questa disposizione i nostri legislatori reagivano agli attacchi di alcuni teologi di altre scuole, specialmente i molinisti, che non solo accusavano di giansenismo l'agostiniano Noris, ma erano anche arrivati a chiedere la condanna di diverse proposizioni di Sant'Agostino e impugnavano, anonimamente, la migliore edizione che ancora abbiamo delle sue opere complete, cominciata nel 1679 dai benedettini di San Mauro (129). Nell'osservanza di questo mandato non ci sono state titubanze, ne'alcuna variazione, tra le norme dei superiori e il comportamento dei sottoposti, fino alle Costituzioni del 1895 che omisero i nomi di Sant'Agostino, San Tommaso ed Egidio Romano, e conservarono il ricordo della disposizione del 1686 in questa forma: "Ad adiaphoras quaestiones quod attinet, in nostris scholis non recedatur a nostro antiquo systemate". Parte V, c. 3.

I priori generali della prima parte del secolo seguente cercarono di conservare la direzione dottrinale della propria scuola e la durata del ciclo di studi segnalato nel 1686, specialmente Adeodato Nuzzi, Fulgenzio Bellelli, Nicola Antonio Schiaffinati e Agostino Gioia (130); però nel capitolo del 1753 già si abbreviò la durata dei corsi con questo decreto: "Philosophia legatur ad tres annos, ad quatuor theologia, ad unum canonicae institutiones" (131). Nel 1753 fu nominato generale il peruviano Francesco Saverio Vàzquez che già governava come vicario e che rimase al vertice dell'Ordine (caso unico nella nostra storia) per altri 32 anni, fino alla sua morte nel 1785. Non fu meno deciso promotore degli studi dei suoi quattro predecessori appena menzionati; li superò tutti nell'ardore con cui difese i teologi della propria scuola (passò all'offensiva contro quelli che continuavano ad accusarli di giansenismo) e riformò in parte gli studi in una nuova edizione delle Costituzioni; però non è necessario menzionare le novità che pensava di introdurre in queste, perché non furono pubblicate e perché le sue innovazioni già le aveva prese in considerazione Giovanni Lorenzo Berti nel suo corso teologico (132); in effetti Vazquez desiderava che, senza abbandonare il metodo scolastico, si desse maggior importanza alla teologia positiva: "...illam quaerere, docere et ediscere in Scripturia sanctis, Traditionibus divinis, unanimi sanctorum Patrum consensu, conciliorum sacrorum summorumque Pontificum decretis" (133). Questa aspirazione a unire nel corso teologico gli elementi positivo e speculativo era già comune a molti teologi di tutte le scuole, e trovò numerosi patrocinatori fra gli agostiniani che scrissero manuali scolastici o nuovi piani di studio nel sec. XVIII (134).

Non c'è molto da dire su questo tema nel secolo XIX, perché le guerre continue, le persecuzioni contro la Chiesa e la soppressione degli ordini religiosi non solo impedirono il progresso degli studi ecclesiastici, ma li ridussero ad uno stato di prostrazione che non ha eguale negli ultimi cinque secoli. Per gli stessi motivi non si celebrarono i capitoli generali del nostro Ordine dall'anno 1792 fino al 1822; quello che si svolse a Roma in questa ultima data vide solamente capitolari delle Province d'Italia, Malta e Irlanda, che, tra la desolazione generale trattarono di ristabilire l'osservanza regolare e la tradizione scientifica: "Quoniam multum interest ut studia nostra in melius, quoad fieri potest, reformentur et reformata foveantur" (135). Ordinarono ai superiori delle province che ammettessero come candidati al sacerdozio solo giovani che potessero concludere con profitto gli studi ecclesiastici; ordinarono anche che si controllassero i programmi degli esami superiori e che si adattassero alle nuove necessità: "Ut nonnullis scholasticis (propositionibus) in dies minus utilibus posthabitis, aliae substituerentur, quae ad compescendos gliscentes errores, maxime qui abatheis, deistis et acatholicis magno verborum fuco in religionis catholicae perniciem obtruduntur, idoneae magis visae essent maiorisque utilitatis", e unirono allo studio della lingua greca (per la prima volta nelle nostre leggi) quello dell'ebraica, "quae sacrorum studiorum emolumento apprime inserviunt".

Il capitolo del 1841 confermò il "regolamento" che nel 1835 aveva dato agli studi italiani il generale Tommaso Credennino, "a norma degli ordini ricevuti dalla sacra Congregazione dei vescovi e regolari" (136): il ciclo di studi, secondo questo regolamento, doveva durare otto anni, due di filosofia e sei di teologia; dovevano utilizzarsi in tutti i centri di studio gli stessi manuali: "...pei Luoghi teologici, per la Dogmatica e la Scolastica il De Fulgure, per la Morale l'Antoine, per la Logica e Metafisica lo Storchenau" (137). Nessuno dei manuali pubblicati dagli agostiniani poteva competere con quelli di questi tre autori, perfino lo stesso corso di Berti risultava troppo esteso e meno pratico, incluso nell'edizione abbreviata del suo discepolo Geronimo Maria Buzi. Ancor più sorprende il calendario scolastico di questo regolamento, perché, elaborato da un ordine superiore, pare che dovesse essere utilizzato comunemente nei centri italiani. Effettivamente dice lo statuto di Credennino: "Nel lunedì dopo la domenica in albis si darà principio alle scuole dell'anno scolastico, che seguiranno fino a tutto il giorno 13 di settembre... Dal 14 di detto mese fino a tutto il dì 2 di novembre sarà vacanza. Nel giorno seguente 3 ricominceranno le scuole, che avran termine coll'anno scolastico nel sabato precedente alla domenica della palme... Le vacanze di Natale si limitano a soli sei giorni, cioè dal 23 a tutto il dì 28 di dicembre; quelle del carnevale a giorni undici, cioè dalla domenica di sessagesima a tutto il giorno delle ceneri". Non sappiamo per quanto tempo si osservò questo nuovo calendario, confermato, forse, nei capitoli del 1847 e del 1853; però di cui niente dicono i successivi (138). Le Costituzioni del 1895, preparate dal generale Sebastiano Martinelli, propongono con rigore il calendario tradizionale, quando indicano che l'anno scolastico comincia l'11 settembre e finisce il 22 luglio (139). Queste stesse leggi specificano la materia o programma di ogni anno e le scienze profane (esatte, fisiche e naturali) che dovevano insegnarsi nelle due prime tappe del ciclo scolastico, cioè, durante lo studio delle materie umanistiche e nel corso filosofico. Però queste scienze già si coltivavano da molto tempo (almeno per iniziativa privata) nei nostri centri di formazione e in queste avevano risaltato Giulio Accetta (†1752), professore di matematica nell'Uiniversità di Torino e membro dell'Accademia delle scienze di Parigi; Domenico Giuseppe Engramelle (†1781), artista, inventore e uomo di scienza (140); Manuele Bianco (†1845), autore della monumentale Flora delle Filippine, e il più celebre di tutti, Gregorio Mendel (†1884), fondatore della scienza genetica.

Tra quelli che contribuirono al progresso degli studi ecclesiastici in questo periodo con il loro esempio, si distinsero, nella storia della Chiesa, in particolare dei concili, Cristian Lupus o Wulf (†1681) ed Enrico Noris (†1704), che presero anche parte principale nelle controversie teologiche del loro tempo (141); nella storia della liturgia Giovanni Michele Cavalieri (†1757) (142); in quella dell'origine e vicissitudini delle diocesi, collegiate e monasteri della penisola iberica, Enrico Flores (†1773), che tracciò il piano e pubblicò i primi 27 volumi della Spagna Sacra, continuata fino al volume 47 dai suoi discepoli Manuel Risco (†1801), Antolin Merino (†1830) e José de la Canal (†1845), autori (con il loro maestro) del migliore apporto degli agostiniani nel campo delle ricerca storica (143); risaltò, per ultimo tra gli orientalisti del suo tempo Agostino Ciasca (†1902), che Leone XIII nominò cardinale per i suoi meriti scientifici (144).

 

CAP. V

TRADIZIONE AGOSTINIANO - TOMISTA

La difesa dell'antropologia teologica del Vescovo di Ippona non fu prescritta dalle nostre leggi, come si è visto, fino all'anno 1686 (145); però la difesa di quella dottrina è la nota più distintiva della scuola agostiniana dal primo secolo della sua storia (146). La distinzione che si fa tra la scuola "antica", che comincia con Egidio Romano, e la scuola "nuova", della quale si propone come fondatore Enrico Noris (147), è accettabile solamente dagli autori moderni, cioè quelli che scrissero dopo il 1650. Questi diedero una maggiore importanza nei loro corsi e trattati speciali alla teologia della redenzione e della grazia; ma questo dovettero fare i teologi di tutte le scuole, a causa della riforma protestante, degli errori di Bayo, delle controversie "de auxiliis" e dell'ultrabayanismo di Giansenio: errori e controversie che ampliarono straordinariamente il trattato "de gratia", come si può vedere, osservando quello che era nelle summe teologiche del medio evo e quello che fu nei grandi corsi succesivi al concilio di Trento. Per questo la distinzione tra scuola antica e nuova non significa in quella agostiniana (l'unica che utilizza quel termine) un vero cambio di direzione dottrinale da parte degli autori moderni, ma solo diversità di metodo, di forma e di specializzazione nelle questioni nuove, come già indicava Berti: "Aliqui ex nostratibus aegidiani, aliqui vero augustiniani dici amant" (148). E questo per la differenza di mentalità (più scolastica nei primi e più positiva o patristica nei secondi), e per indole dei trattati dogmatici nei quali ebbero a specializzarsi entrambi. Per il resto tutti osservavano la legge, che ordinava di seguire Egidio Romano e San Tommaso, e difendevano in tutte le sue parti la dottrina soteriologica di S. Agostino.

Per quello che si riferisce alla continuazione dottrinale, si è già provato in altri studi che Noris non si crede innovatore o padre di una nuova scuola, ma interprete e discepolo dei suoi predecessori (149). Lo stesso assicura di se Berti: "Theologicum systema fabricavi Gregorio Ariminensi, Norisio ac theologis nostris quampluribus praeeuntibus" (150). La lista di questi predecessori è formata (citando solo quelli più conosciuti e retrocedendo nel tempo) da Basilio Ponce, Augustìn Antolìnez, Luis de Leon, Seripando, Pérez de Valencia, Favaroni, Ugolino da Orvieto, Gregorio da Rimini ed Egidio Romano; perché anche questo, che è il più scolastico e speculativo di tutti, si mostra favorevole alle opinioni che spiegarono più ampiamente i suoi successori e ne difende chiaramente alcune che erano per questi fondamentali. Cosi vediamo che enuncia con tanto vigore come loro il primato della grazia quando insegna: "Dicemus ergo quod, si volumus dictum nostrum concordare Scripturae sacrae, in operibus meritoriis quantum plus possumus tanto plus debemus dare gratiae et quanto minus naturae, dum tamen salvetur libertas arbitrii". Quodl. 6, q. 2. Anche Egidio afferma la massima convenienza della giustizia originale che, "si non erat debita naturae humanae in sua institutione simpliciter et absolute, erat tamen debita ex quadam decentia divinae iustitiae et bonitatis". In 2 Sent. d. 31 q. I. a. I. Sostiene la necessità assoluta della grazia elevante perché l'uomo possa disporsi "saltem proxime" alla giustificazione, e l'assoluta necessità della grazia sanante perché possa osservare la legge naturale dato che per il primo peccato "homo exspoliatur gratuitis et vulneratur in naturalibus et redditur inhabilis ad ipsa bona naturae". In 2 Sent. d. 28, q. I a 2. Senza la stessa grazia non può il peccatore evitare la ricaduta: "Non ergo loquamur transcendentia; non quadremus circulum per logicam; loquamur ut in se quilibet experitur dicentes: difficile est, atiam cum gratia, omnia vitia superare, et sine gratia impossibile est a vitiis non succumbere". E difende queste tesi, perché crede che siano di Sant'Agostino, "quem non sequi est valde periculosum" (151).

L' "Agostinismo mitigato dai grandi scolastici", di cui parla Portalié (152), non si trova nella dottrina soteriologica di Egidio Romano nè in quella di San Tommaso d'Aquino, considerato sempre (in dogmatica) come fedele discepolo del Vescovo di Ippona; e questo non solo per i migliori rappresentanti della scuola tomista, ma anche per un confratello di P. Portalié, che, dopo avere esaminato con attenzione gli scritti dell'Aquinate, conclude: "Il nous semble que, sur les conséquences du péché originel, saint Thomas est aussi radical que son maitre saint Augustin... saint Thomas reste fidèle à la tradition augustinienne sur l'impuissance du libre arbitre de l'homme déchu en tant que tel. Il entend à la manière de saint Augustin l'axiome fondamental: Sine me nihil potestis" (153). E' molto verosimile che la conformità della dottrina tra i due massimi teologi della Chiesa abbia determinato la tradizione tomista della scuola agostiniana, tradizione non ratificata dalle leggi dell'Ordine fino all'anno 1539; però tanto antica come la stessa scuola perché comincia con i suoi due primi dottori, Egidio e Giacomo da Viterbo.

Del primo si conoscono e si propagano soprattutto le sue critiche su diversi punti della dottrina del Dottore Angelico (154); però il risultato degli studi che raccolgono queste censure è soltanto che si tratta di tesi secondarie o di correzioni analoghe a quelle che fecero unitariamente (in quel secolo e nei successivi) i rappresentanti della stessa scuola; nel resto, cioè, nelle questioni fondamentali, riconoscono tutti gli specialisti che l'agostiniano prova, sviluppa e difende la dottrina del suo venerato maestro (155). Nonostante si tratti di prove estranee alla stessa dottrina, è indubitabile che pesano molto in questo caso quelle che ci offrono due testimoni degni di fede: Guglielmo di Tocco, discepolo di San Tommaso a Napoli negli anni dal 1272 al 1274, e il beato Giacomo da Viterbo, che visse nel convento agostiniano di Parigi con il suo maestro Egidio durante gli anni 1286-1292.

Dice il primo, nella sua Vita fratris Thomae, che a causa dell'opposizione che avevano suscitato nella capitale francese alcuni dottori invidiosi contro la dottrina del suo maestro, "quidam magister eremitarum, frater Aegidius, de praedicto Doctore dixit, deridendo insufficientiam correptorum: in hoc mirabili et digno memoria doctore, fratre Thoma de Aquino, fuit sui subtilitatis ingenii et certitudinis iudicii manifestum indicium, quod opiniones novas et rationes quas scripsit bacellarius, magister effectus, paucis exceptis, nec docendo nec scribendo mutavit; nos autem moderni temporis, sicut incerti et dubii iudicii, opiniones quas aliquando tenuimus, in contrarium arguti modico argumento mutamus" (156).

Ancora sono più significative le dichiarazioni di Giacomo da Viterbo, tanto per quello che dice di avere ascoltato ("domestico sermone") da Egidio Romano, quanto per quello che afferma per conto proprio (157). Il magistero di San Tommaso, secondo il nostro agostiniano, fu incomparabile, perché "in scriptis ipsius inveniuntur communis veritas, communis claritas, communis illuminatio, communis ordo et doctrina cito perveniendi ad perfectam intelligentiam" (158). E questo, perché era dotato di scienza infusa: "Et tenebat et credebat idem frater Iacobus... quod ea quae scripsit idem frater Thomas erant potius ex cogitatione spirituali, per illuminationem Spiritus sancti, quam per humanum ingenium acquisita". Non dubitava nell'affermare che Cristo, "pro illuminatione orbis et universalis Ecclesiae", suscitò prima San Paolo "et postea Augustinum et novissimo tempore dictum fratrem Thomam, cui usque ad finem saeculi non credebat alium successurum". Niente di strano per lo stesso che nel 1300, quando l'agostiniano fu inviato come lettore allo "studium" di Napoli, visitò il convento domenicano e chiese di vedere la cella "quae fuerat dicti fratris Thomae... et statim genuflexus ibidem, coram multis fratribus dixit: veni adorare in loco ubi steterunt pedes eius".

Canonizzato l'Aquinate nel 1323, i teologi agostiniani di quel secolo seguirono l'esempio dei due primi dottori dell'Ordine: non rinunciarono, a imitazione di Egidio Romano, alle critiche di alcune delle loro opinioni; però, nell'essenziale, furono per alcuni decenni i migliori interpreti e difensori dei suoi insegnamenti (159), lo citano frequentemente con il titolo di "Doctor Sanctus" e Tommaso da Strasburgo, nominato priore generale nel 1345, ordinò che in tutti i conventi dell'Ordine si celebrasse (nella Messa e nell'ufficio divino) "festum sancti Thomae, quod cadit septimo die mensis martii" (160).

Tra quelli che osteggiarono Riccardo Fitzralph (arcivescovo di Armagh) per i suoi attacchi contro la povertà evangelica praticata dai religiosi mendicanti si distinse l'agostiniano Giovanni Hiltalingen di Basilea, che verso il 1368 scrisse contro l'avversario: "Nec valet pro hoc quod dicit Armagh hic in libello quem edidit in curia contra mendicantes: quod sanctus Alexius et sanctus Franciscus excusantur quasi viri illitterati. Quid igitur dicet de sancto Thoma de Aquino? Numquid ipsum idiotam reputabit, de cuius fructu operum satiata est terra?" (161).

Non mancavano le manifestazioni di venerazione alla persona e alla dottrina del Dottore comune da parte degli agostiniani del secolo XV, specialmente da quelli che scrissero alla fine dello stesso secolo. Dai trattati teologici del professore di Erfurt, Giovanni Bauer di Dorsten (†1481), assicura un esperto in materia che "s'inscrivent completement dans le courant traditionnel" e che "la theologie de saint Thomas d'Aquin, parait chez lui fortement à l'avant-plan" (162). Jaime Pérez di Valencia si lamentava nel 1484 della decadenza generale, non solo dalla fede, ma anche della cultura cristiana, che ancora aveva prosperato nei tre secoli precedenti "per merito di Ugo di San Vittore, del maestro delle sentenze e di San Tommaso d'Aquino, qui scholastico et disputativo stilo scripserunt" (163). Per Giovanni di Paltz (†1511) l'Aquinate è il maggiore teologo dopo Sant'Agostino (164).

Fu patrocinatore del tomismo all'inizio dell'età moderna Alonso da Cordova (†1541), che era già dottore dell'Università di Parigi e professore in quella di Salamanca quando si fece agostiniano nel 1510. Il beato Orozco, che lo ebbe come maestro, dice che il suo insegnamento "era molto utile", che "preparò molti discepoli e molti dotti", e che "seguiva nella cattedra e nel pulpito la dottrina dell'angelico dottore San Tommaso" (165). Ancora fu più importante in questo senso (dentro l'Ordine agostiniano) l'attività di Seripando, come ci mostrano i testi che già abbiamo citato nella 3° parte di questo lavoro e per quello che affermò in altri momenti, di sapere: che San Tommaso aveva capito bene Sant'Agostino, che era uno dei tre migliori apologisti del cristianesimo e che gli spettava il titolo di principe della teologia scolastica: "ob singularem eruditionem cum pietate coniunctam, regnavit in scholis regnavit et in cathedra Christi" (166). Quando si preparava al Concilio di Trento il decreto De iustificatione, è certo che Seripando sconsigliò il suo stile e il suo metodo; però lo fece per due motivi che giudicava fondamentali: uno, per non irritare oltre i luterani, che ripudiavano la teologia scolastica; e l'altro, il principale, perché era convinto che per esporre bene la dottrina della salvezza si dovesse ricorrere prima di tutto alla Scrittura e dopo ai santi Padri: come fece lui stesso, con mano maestra, quando la presidenza del Concilio gli affidò la redazione del celebre decreto, che è il meno "scolastico" e il più biblico-agostiniano di tutti i decreti tridentini. Però, quando nelle discussioni conciliari fu necessario ricorrere alla teologia del medioevo, fu il nostro Generale che presentò all'assemblea i testi più appropriati, che erano tutti dell'Angelico: possono vedersi nel voto che il nostro teologo lesse nella congregazione del 28 dicembre del 1546: CT V, 743. Ci si permetta di citare alcuni passi caratteristici della mentalità del suo autore: "Ardua certe quaestio, de iustificatione decernere secundum quatuor genera causarum... De his enim quae ad iustificationem concurrunt doceri possumus ex sacris Litteris atque etiam ex priscis catholicae Ecclesiae doctoribus. De quatuor causarum generibus nulla certe ibi mentio, nullum verbum. Confugiendum igitur ad recentiores theologos et praesertim ad divum Thomam, qui apertius hac de re locutus videtur... Nulla hic mentio neque finis, neque materiae, neque instrumenti, neque dispositionis aperta; et forte, ad evadendas multas difficultates, bene esset de fide hoc lequendi modo uti, quem docuit sanctus hic Doctor" (167).

Considerata la grande stima di Seripando per la dottrina di San Tommaso, come si può spiegare che il nome di questo (segnalato come maestro degli studi agostiniani nel capitolo generale del 1539) fosse sostituito con quello di Tommaso di Strasburgo nelle Costituzioni del 1551? Crediamo che possa darsi una risposta soddisfacente alla domanda. In primo luogo, perché il cambio non implicava l'abbandono del tomismo, perché il sostituto era quello che lo rappresentava nella miglior maniera nella tradizione dell'Ordine. Inoltre, perché uno dei principali collaboratori nelle Costituzioni del 1551 fu Fabiano Chiavari di Genova (†1569), che anche si distinse come editore delle opere dei suoi predecessori del medioevo (168); e, per ultimo, perché fu lo stesso Seripando quello che promosse questa attività; infatti, nel comunicare all'Ordine (1° aprile del 1551) che già si erano pubblicate le nuove Costituzioni, ordinò che con il prezzo ("iuste texatum") che avrebbero dovuto pagare i conventi per le copie che chiedessero, doveva costituirsi un fondo, del quale nominava amministratori il procuratore generale, il priore e il reggente degli studi nel convento di Sant'Agostino di Roma, "qui pro tempore erunt, ipsique teneantur perpetuo ea pecunia uti in imprendimendis lucubrationibus doctorum nostri ordinis, qui hactenus scripserunt vel in posterum scribent. Harum litterarum exemplum impressum est in capite libri constitutionum; originale vero habetur in deposito conventus Romani, cum confirmatione Sedis apostolicae" (169). Nei primi anni dopo questa edizione si pubblicarono diverse opere dei teologi agostiniani del medioevo, e il commento di Tommaso di Strasburgo ai quattro libri delle Sentenze si ristampò non meno di tre volte in Italia durante la seconda parte di quel secolo.

Ci siamo intrattenuti molto su Seripando, perché non mancano quelli che lo considerano come un seguace dell'evangelismo italiano e, in questo senso, per un antiscolastico; però Jedin, che è oggi il migliore conoscitore dell'evoluzione intellettuale del teologo agostiniano, non la pensa in questa maniera: Seripando, secondo il suo biografo, dedicò gli ultimi tre decenni della sua vita allo studio della Bibbia (specialmente alla figura di San Paolo) e agli scritti antipelagiani di Sant'Agostino, perché erano la fonte da cui pretendevano estrarre la loro dottrina Lutero e i suoi seguaci; però, a differenza di questi, conobbe bene ed ebbe una grande stima dei grandi scolastici, in particolare San Tommaso d'Aquino, ricorrendo con sicurezza alle sue opere, quando fu necessario per tracciare la linea tra la verità e l'errore (170) .

Lorenzo di Villavicencio, che si dedicò soprattutto allo studio della Scrittura, confessava ugualmente la necessità di ricorrere, per interpretarla bene, all'aiuto dei dottori scolastici, principalmente dell'Aquinate, "quem doctrina, sanctitate atque religione merito reliquis omnibus praeferendum omnes eruditi semper iudicarunt" (171). E lo giudicarono con una maggiore unanimità dopo l'anno 1567, nel quale San Pio V lo dichiarò Dottore della Chiesa, che allora come si sa, erano pochi. Gli agostiniani lo studiarono da quella data più che nei secoli precedenti, non solo per il suo nuovo titolo e perché il suo nome entrò nelle Costituzioni del 1581, ma anche perché la Summa theologica fu adottata come manuale in molte università, specialmente del mondo ibero-americano, perfino dai professori che insegnavano materie diverse dalla tomista. Cosi l'agostiniano Alfonso de Mendoza, titolare della cattedra di Scoto nell'Università di Salamanca, dichiarava nel 1588: "Nullius autem in verba magistri in his disputationibus iuravi. Loquor de magistris recentioribus, nam antiquorum Patrum pedibus caput ego meum non solum humiliter sed iuste suppono. Sed et prae ceteris theologis divum Thomam selegi, cuius doctrinae et placitis inhaeream: quamvis non ita inhaerebo, ut si quando aliunde radius veritatis affulgeat, non debeam post eam libere et expedite currere" (172).

Con questo stesso criterio difesero la dottrina di San Tommaso la maggior parte degli agostiniani che insegnarono teologia nelle università di Coimbra, Salamanca, Valladolid, Alcalà, Saragozza, Valencia, Messico e Lima, con altre ispano-americane di minore fama, cosi come vari dei nostri professori negli "studi" d'Italia, Francia e Germania. Non mancano perfino tra questi autori quelli che possono qualificarsi tomisti rigidi, come Francisco de Cristo morto nel 1587 a Coimbra (173), Juan de Guevara morto nel 1600 a Salamanca, nella cui università insegnò per 44 anni (174), Juan du Puy morto nel 1623 a Tolosa (175) e l'irlandese Agostino Gibbon morto nel 1676, che si formò a Salamanca e insegnò a Erfurt (176). Ricordiamo per ultimo che il già citato Basilio Ponce de Leon, predecessore immediato di Lupo e Noris, redasse nel 1627 lo "Statuto e giuramento d'insegnare a leggere le dottrine di Sant'Agostino e San Tommaso, e non contro di loro", nell'Università di Salamanca (177); benché il suo scritto non ottenne l'approvazione del Consiglio Reale di Madrid, che ascoltò le suppliche formulate in senso contrario da gesuiti e francescani, è indubbiamente un'altra prova della direzione dottrinale della scuola agostiniana, che continuò vedendo nell'Angelico un fedele interprete del Dottore della grazia.

 

CONCLUSIONI

Terminiamo questo studio con alcune osservazioni, che completano quello che abbiamo detto o che aiutano la sua comprensione. In quanto a quest'ultima, conviene avvertire che la divisione in periodi di fioritura e di decadenza corrisponde alla verità, nel nostro caso e nella storia generale della cultura ecclesiastica, perché nei primi sono molti i buoni autori e pochi i mediocri o cattivi, mentre succede il contrario nei periodi di decadenza; però non è certo, come suppongono qualche volta autori di sintesi storiche poco approfondite, che nei secoli d'oro tutto è buono e negli altri tutto è negativo. Abbiamo già detto che nei registri agostiniani degli anni 1360-1520 figurano molti religiosi insigni per virtù e dottrina, così come non mancano esempi del contrario nel secolo che finisce nel 1360. Nel luglio del 1537, cioè, nel periodo della fioritura post-tridentina, il nostro priore generale Gregorio Petrocchini inviò una circolare alle Province nella quale dice: "Iuvenes ad sacros ordines promoveri posse nolumus, nisi grammaticum intelligant sermonem", Dd 43, 33: cosa che oggi, nonostante la decantata proscrizione del latino, sembra indicare che la preparazione culturale degli agostiniani che aspiravano al sacerdozio non era molto buona. Sappiamo invece, da molti altri testi e dal numero e valore dei loro scrittori, che la loro preparazione era quella comune alle grandi famiglie religiose e, per regola generale, abbastanza superiore alla cultura del clero diocesano. Nel 1639 il superiore dell'Ordine, Ippolito Monti, si mostrava soddisfatto perché seppe che nella Provincia di Baviera "lectores theologiae una die intra hebdomadam lectionem habent scholaribus et toti conventui de rebus spiritualibus, ad perfectionem confirmandam". Dd 75, 43.

In quanto al programma di studi, negli ultimi tre secoli del medio evo, già si è visto che nelle Costituzioni agostiniane e nei decreti dei capitoli generali si parla solo di quattro discipline: grammatica, logica o dialettica, filosofia e teologia. Ciò vuol dire che dell'antico "trivium" rimanevano solamente due parti e del "quadrivium" appena un ricordo, quello della musica, in quanto si mandavano gli allievi ad imparare il canto piano per celebrare con decoro e dare solennità al culto divino; però è sicuro che un frate intelligente e studioso di questi secoli non si accontentava di quelle quattro discipline, ma possedeva anche nozioni delle altre arti e scienze che formavano la cultura profana del suo tempo. Gli inventari di molte biblioteche agostiniane dei secoli XIV e XV dimostrano che, insieme agli scritti rappresentativi di filosofia e teologia tradizionali, si trovavano anche nei nostri principali conventi molte opere della cultura greco-latina e medioevale, delle loro leggi, delle loro storie e non poche degli antichi classici (178). E, che i codici che le conservavano non fossero solo un addobbo delle biblioteche, si deduce della produzione letteraria dei nostri vari scolastici che ostentano, come i loro migliori coetanei, una cultura che si può qualificare enciclopedica. La teologica si manifesta nella sua familiarità con la sacra Scrittura e nella conoscenza dei Padri latini, soprattutto di S. Agostino e, in gran parte degli scritti di S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Gregorio Magno e S. Isidoro di Siviglia; della patristica greca si hanno notizie dalle numerose traduzioni di Rufino e di S. Girolamo, cosi come dall'opera di S. Giovanni Damasceno. In quanto alla cultura profana dei nostri scolastici, non si riduce alla scienza aristotelica e a quella dei suoi critici latini e arabi, ma, con lo spiegare questa stessa, i nostri scolastici contribuirono al progresso nel campo della fisica, della matematica e anche dell'astronomia, come hanno dimostrato alcuni specialisti del nostro secolo, particolarmente la ricercatrice tedesca Anneliese Maier (179).

Ampliarono anche il loro programma degli anni di formazione vari nostri autori spirituali, che, nel medioevo, scrivevano già in lingua volgare in Italia, Germania, Francia, Spagna e Inghilterra (180); fecero lo stesso gli agostiniani che figurano tra i primi umanisti (181), coltivarono gli studi storici e il nostro primo lessicografo, Ambrogio Calepino, che al dedicare la 3° edizione del suo famoso dizionario al priore generale Egidio di Viterbo, lanciò un raggio di luce al suo convento (e indirettamente sopra se stesso) con questo saluto: "Vale, Pater reverendissime, et praesertim Bergomensem conventum habe commendatissimum; nam ette, ut debent, omnes mirifice amant ac reverentur, et me decrepitum iam senem atque oculis captum, mira pietate complectuntur". In conclusione, quando Seripando ordinò che gli allievi agli ultimi anni degli studi avessero un maestro "graece docentem" e che dopo, con la lettura dei modelli classici, imparassero il "modum epistolandi" (182), generalizzò una cosa che praticavano alcuni dei suoi predecessori già da un secolo. L'introduzione delle nuove discipline nelle leggi agostiniane dell'età moderna fu dovuta all'esempio di altre famiglie religiose, specialmente della Compagnia di Gesù durante il periodo post-tridentino, al progresso generale della cultura e, soprattutto, alle disposizioni della Chiesa relative alla formazione intellettuale e religiosa del clero.

 

APPENDICI

1 - Due esempi degli studi ecclesiastici nel medioevo

Abbiamo detto che gli studi non duravano in molti casi molto tempo come stabilivano le leggi. Cosi sembrano indicare le dichiarazioni (certamente un poco vaghe) degli agostiniani, uno dei quali appartiene al primo secolo della nostra storia, mentre l'altro scrive già agli albori dell'età moderna.

Nel processo di canonizzazione di San Nicola da Tolentino, istruito nel 1325 per ordine di Giovanni XXII, fra Vittorio di Camerino dichiarò "tactis sacris evangeliis, dicendi meram et puram veritatem ...quod sunt bene triginta octo vel triginta novem anni quod ipse testis intravit dictum ordinem (183): et tempore noviciatus fuit missus ad morandum in dicta terra Tholentini, ubi morabatur dictus frater Nicolaus, et stetit ibi uno anno. Et post tempora fuit iterum missus per dictum ordinem ad dictam (terram) Tholentini et ibi stetit uno alio anno ad studendum in grammaticalibus. Et postmodum etiam fuit missus ibidem et stetit uno alio anno ad studendum in logicalibus et in theologia, et conversatus fuit multum cum eodem fratre Nicolao... (184) Et postquam rediit de studio generali et effectus fuit lector, missus fuit ad legendum scholaribus dicte terre Tholentini duobus annis. Et subsequenter factus fuit prior unno anno: et hoc post obitum eius, dictis proxime tribus annis".

(Siena, Biblioteca comunale, ms. K I 14, f. 134).

Giovanni Schiphower, autore del Chronicon archicomitum Oldenburgensium (185), dice di se stesso che nacque a Meppen di Westfalia nel 1463, che studiò nella scuola pubblica della sua patria dagli otto fino ai 15 anni e che in quest'età vesti l'abito agostiniano nel convento di Osnabruck. E prosegue:

Anno Domini 1481, post professionem quam feci, fui promotus ad studium particulare Lippiensi. Post hoc, anno 1483, ad studium provinciae fui promotus in oppido Dammis (186). Anno Domini 1484 celebravi primam Missam in conventu Osnabrugnensi. Eodem anno fui promotus pro studente in studio generali Bononiensi et mansi in Italia tribus annis, et reversus sum ad provinciam quando in Osnabrugensi conventu celebratum fuit capitulum provinciale...et ibidem promotus fui in cursorem in studio nostro in conventu Northusensi. De post, in convocatione Helmestendi, fui promotus ad Italiam -in despectum quorumdam- et accessi ad studium Senense, annos habens vigintisex. Anno Domini 1491... accepi insignia lectoratus in universitate Senensi et posui conclusiones de praedestinatione et praescientia, habens annos vigintiseptem, et eodem anno fui reversus de Italia... Anno Domini 1497 missus fui definitoris loco ex parte provinciae Saxoniae ad generale capitulum quod tunc Romae celebratum est (187). In praefato capitulo ego, praedictus fraterculus, fui promotus in baccalarium sacrae theologiae, in praesentia CCCL magistrorum in theologia, ut est in libro ordinis et in littera sigillata reverdissimi patris nostri generalis.

Schiphower scrisse il suo "Chronicon" negli anni 1504-1505, precisamente quando Egidio da Viterbo ricordava anche le tappe dei suoi studi, sebbene in termini meno precisi dell'agostiniano tedesco (188). Neanche le note autobiografiche di Seripando ci danno un esempio perfetto del "curriculum studiorum" del suo tempo, cioè dal 1508 al 1516, perché non indica quanti anni dedicò alle diverse discipline degli studi (189).

2 - Predicatori e confessori nella riforma di Seripando

Nel capitolo che lo nominò superiore dell'Ordine (24 maggio 1539) Seripando ottenne che nessun suddito potesse predicare "sine expressis litteris rev.mi patris Generalis, sine cuius consensu et subscriptione nullae conventuum generalium electiones praedicatorum valeant". AA. IX, 61. Diede presto questa facoltà a molti giovani che giudicava degni, e il 29 agosto, quando cominciò la visita dei conventi dell'Ordine, inviò la seguente formula di concessione ai superiori delle province:

Frater Hieronymus Neapolitanus etc. Venerabili et nobis in Christo dilecto N. Cum in generali capitulo, ob nonnullos respectus nobis cognitos decretum fuerit, nullum fraterm nostrae religions praedicandi officium exercere posse sine nostra licentia speciali, cognoscentesque nos ad id muneris te satis esse idoneum, cum litterarum eruditione tum vitae probitate: propterea licentiam concionandi praefatam nostri officii auctoritate ac praesentium tenore litterarum tibi concessam volumus ac testamur. Hac tamen lege, ut venerabilis provincialis in cuius provincia locum praedicandi -sive apud religionem sive apud saeculum- nactus fueris, concensum obtineas, quem tibi ab eo libenter intendimus impertiri: nec non doctrinam praedices conformem orthodoxis doctoribus ac sanctae Romanae Ecclesiae: quarens in cunctis Dei gloriam et animarum salutem, sicut decet optimum evangelii ministrum ac fidelem dispensatorem multiformis gratiae Dei. In nomine Patris etc.

Roma, Arch. O.S.A., Dd 18, 70. Costituzioni del 1551, cap. 38, in testo più esteso e conformi a quello che aveva ordinato il concilio di Trento nella sua 5° sessione.

Chi conferma nei suoi registri la severità con cui Seripando controllava che si compiesse tra i suoi quello che ordinava, non può sorprendersi della certezza con la quale propugnò le stesse cose nel concilio di Trento. Cosi nella congregazione generale del 1 marzo del 1546:

" ...Et quoad praedicationem, praedicare debent qui sunt vocati... a quo vocari debent. Qui autem possunt, ii sunt qui sacras Litteras didicerunt et bene didicerunt: et qui quod docent faciunt. Quoad locum, doceatur in ecclesiis. Item suo tempore, non quidem in quadragesima tantum, sed in omnibus saltem diebus festis. Quoad finem, doceant taliter ut sit contio ad salutem. Discant autem prius qui docere debent; necque ex philosophia, sed ex sacris Litteris christianam doctrinam hauriant".

Conc. Trid. Ed. cit. V, 26.

Ci permettiamo ricordare alcuni testi con cui, dopo la formulazione della dottrina dogmatica, Seripando dava un tono pastorale al suo primo schema del decreto De iustidicatione nell'agosto del 1546:

"Can. 1us. De operibus infidelium vel peccatorum... Fideles ergo verbi dispensatores tam infideles quam peccatores fideles ad bona opera cohortentur et impellant...". Ibid. 823.

"Can. 2us. De praeparatione ad iustificationem... Fideles ergo verbi dispensatores Christi populum doceant de hac dispositione... ad gratiam iustificationis, quae posita est tum in libera voluntatis... motione erga Deum qua credat, ab eo solo impium iustificari..., tum in motione adversus peccata, tum denique in proposito servandi divina mandata". Ibid. 824.

"Can. 3us. De fide iustificante... Fideles verbi dispensatores, iuxta sanctorum patrum catechismum... instruere debent pupulum Christi, ut scilicet audiendo credant, credendo sperent, sperando ament, et ut memoriam eorum, quae ante susceptum Baptismatis sacramentum didicerunt et promiserunt, pie inviolateque servent". Ibid. 825.

"Can. 4us. De praedistinationis et perseverantie usque in finem certidune... Fideles ergo verbi ministri eos etiam, qui sibi a peccatis iustificati esse videntur, commonefaciant de militia quae superest cum carne, cum mundo, cum diabolo, in qua victores esse non possunt nisi cum Dei gratia Apostolo obtemperent monenti: Debitore sumus non carni, ut secundum carnem vivamus... Rom 8, 12". Ibid. 826.

"Can. 5us. De praeceptorum possibili observantia. Nam Deus impossibilia non iubet... Fideles ergo verbi ministri utrumque populo. Dei proponant: Dei mandata vias esse duras et portam angustam sed non modo non impossibilia, verum ne gravia quidem, quae etiam semitae iustititiae leves appellantur" (190). Ibid. 826.

"Can. 6us. De gratiae et iustitiae per peccatum amissione... Adversus hominum istorum ingenia callida fideles verbi ministri Pauli apostoli doctrinam, hoc est, veritatem ipsam defendant, excludentes non solum a iusticia sed et a regni Dei possidenti spe, non solum infideles (191), sed et fideles fornicarios, adulteros... [1Cor 6, 9] ceterosque qui ea committunt crimina, a quibus divinae adiumento abstinere possunt e pro quibus a corpore Christi separantur". Ibid. 827.

"Can. 7us. De iustorum meritis et iustitiae corona... Non ergo cessent fideles verbi ministri, proponere iustificatis in Christo Iesu vitam aeternam et tamquam gratiam, filiis Dei et heredibus regni promissa, et tamquam mercedem bonis ipsorum operibus et meritis debitam. Non cessentt bonorum operum principale praesidium, hoc, est, divinam gratiam exaltare, cuius ratione Dei dona dicuntur, ut qui gloriatur in Domino glorietur [1Cor I, 31], cuius divinae gratiae quod HOMO SIT COOPERATOR, OMNIUM EST RERUM DIVINISSIMUM. Denique non cessent ostendere ab iis, qui contra sentiunt, extenuari gratiam Christi, quam ad hoc non extendunt ut membris suis, coheredibus suis, praedestinatis ut essent conformes suae imagini [Rom 8, 29] vim tribuat operandi opera digna vitae aeternae remuneratione". Ibid. 828.

Il 12 novembre del 1547, quando nelle deliberazioni conciliari di Bologna si trattava di porre rimedio alla "imperitia confessorum", Seripando lesse un voto, ancora inedito, dal quale trascriviamo:

"Igitur sic sentio: morbum hunc aliam desiderare medicinam circa eos qui in posterum futuri sunt confessores, aliam circa eos qui iam sunt. De futuris primum. Sicut qui medici esse cupiunt non accipiunt medendi potestatem antequam examinentur - itidemque fit de iureconsultis, ne illi corporibus noceant, hi vero ne de bonis externis perperam ferant sententiam: quanto magis in confessoribus id servandum est, ad quos iudicium pertinet divinum, animas ligandi atque solvendi? Nulla illis danda esset potestas huius sanctissimi iudicii, nisi rite prius et quad vitam et quad doctrinam examinatis; nam eos postquam hanc habeant potestatem examinare, an ea digni sint et praepostere agere - illos potestate sibi tradita privare, non est absque eorum contumelia et illorum quoque a quibus accepere. Sed videamus quando hanc accipiunt potestatem, ut examinis illud esse tempus idoneum agnoscamus. Certe cum initiantur sacerdotio. Tunc enim traditur eis potestas quae respicit corpus Christi verum, cum traditur sibi calix cum vino et aqua, pane supra posito, diciturque: Accipite potestatem offerendi et conficiendi pro vivis et mortuis (192): traditur et potestas quae respicit corpus Christi mysticum, cum ponitur manus super caput diciturque: Accipite Spiritum sanctum: quorum remiseritis peccata etc [Ioan. 20, 23]. Antequam ergo hae potestates dentur, munus esset episcopi eos quoad utramque examinare: et sic parem habet in regulares et in alios potestatem (193) - probandi et reprobandi, suscipiendi et reiciendi. Neque vero dicat aliquis quod tunc non datur potestas haec, sed quando datur potestas iuridictionis, puta cum fit vel praelatus vel curator. Nam per potestatem iurisdictionis, non datur nova potestas absolvendi sacramentaliter, sed subicitur materia in quam accepta potestas valeat exerceri, puta talis plebs vel talis populus... Neque vero quis dicat: pauci erunt sacerdotes! multi enim ordinantur qui idonei sunt ad primam potestatem exercendam, non autem ad secundum. Si prima dari posset sine secunda, non prohiberem; verum cum fieri nequeat ut prima detur, non secunda, sanctius erit paucos habere sacerdotes idoneos quam multus, qui potestatem habeant qua non nisi ad suam et aliorum perniciem uti possunt" (194).

Trascriviamo per ultimo tutto il capitolo 37 delle Costituzioni promulgate nel 1551 per due ragioni: una, perché si conservano pochi esemplari di quelle leggi, tanto nei conventi dell'Ordine come nelle biblioteche pubbliche; e un'altra, perché la legislazione scolastica proposta in questa edizione, nonostante il suo tradizionalismo, differisce notevolmente dalla medioevale e perché si riprodusse sostanzialmente in tutte le Costituzioni agostiniane dell'età moderna, fino al 1885. Avremmo voluto poter evidenziare queste due cose copiando a tre colonne i testi corrispondenti del 1290, del 1551 e del 1686; però non vale la pena allargare tanto questa appendice, perché la prima edizione è facilmente reperibile (195) e le posteriori al concilio di Trento non scarseggiano tanto come quella che preparò Seripando.

 

Constitutiones ord. Fratrum erem. sancti Augustini, Romae 1551

Cap. 37. De forma circa studia et studentes ac lectores nostri ordinis servanda.

Studia tam generalia quam provincialia in illis dumtaxat locis teneantur, quae prior generalis pro temporum et locorum varietate et exigentia ordinaverit, inter quae dignior semper et principalior locus sit studio Parisiensi (196). Dicuntur autem studia generalia, ad quae ex omnibus provinciis studentes mitti possunt et ubi lectores sunt sacrosanctae theologiae metaphysycae, naturalis philosophiae et dialecticae; studia autem provincialia, in quibus ex una tantum provincia sunt studentes et unus tantum lector logicae.

Provideat autem prior ipse generalis ut in locis, quibus studia tam generalia quam provincialia ordinaverit, prior loci, sicut honorem et statum ordinis diligit, sic studium sollicite et ardenter foveat, et studentibus pius ac favorabilis semper assistat: ad quod suos omnes conventuales semper inducat et hortetur, nec studium eorum, obedientia aliqua, nisi omnino invitus et inevitabili quasi necessitate compulsus impediat.

Provideat quoque idem prior generalis ut in quolibet studio generali sit unus magister sacrae theologiae regens, qui necque in eodem loco prior esse ulla ratione possit necque aliud officium, pro tempore quo regens in studio generali fuerit, in ordine habere. Sit etiam unus baccalarius, duo lectores et unus magister studentium. Quod si baccalarius defuerit, sint tres lectores, quorum primus locum teneat baccalarii. Praeter vero istos, prior generalis unum magistrum sacrae theologiae biblicum deputare possit in illis locis in quibus suae discretioni expedire videbitur.

Magistri regentis officium erit, imnes qui sunt de corpore sui studii ad bonos primum mores verbo et exemplo hortari, ad studium deinde unumquemque excitare ac diligenter curare, ut tam baccalarius quam lectores ac magister studentium solliciti sint ad sua munera exsequenda: ut etiam studentes ad studium ac lectiones non sint pigri, quos frequenter examinare debet ut de omnium sollicitudine, profectu et moribus plene instructus sit, tamquam de illorum fructu redditurus priori generali rationem. Ad eius quoque pertinent officium, a die sancti Nicolai de Tolentino (197) usque ad tempora vacationum quae fiunt ante quadragesimam, quotidie, praeterquam diebus dominicis ac quintis feriis, duas lectiones legere unam ex libris sententiarum Petri Lombardi (198), aliam ex textu Aristotelis seu metaphysicae seu naturalis philosophiae: quas easdem lectiones prosequetur post pascha usque ad festum sanctissimorum apostolorum Petri et Pauli. Eisdem quoque temporibus curabit ut quotidianae fiant disputationes, hyeme in theologia, aestate in philosophia post prandium, in logica post coenam: quibus omnibus disputationibus intersit ac praesit, curetque ut in qualibet proposita quaestione tria ad minus principalia argumenta a studentibus adducta examinentur, praeter ea quae lectores in medium adducent: quibus examinatis recteque solutis, determinabit ipse questiones per debitas distinctiones, conclusiones ac probationes. Magistro regenti cura incumbit distribuendi lectiones alias, ad utilitatem et captum studentium, tam baccalario quam lectoribus et magistro studentium: qui cum omnibus studentibus magistro regenti honorem et obedientiam absque ulla tergiversatione in omnibus quae pertinent ad studii dispositionem praestabunt. Quod si quis contra fecerit, per priorem loci primum moneantur, deinde puniatur, tertio e studio expellatur. Porro praecipuum magistri regentis officium erit, suos studentes docere initium sapientiae, hoc est, timorem Domini [Ps 110,10], ad divinum cultum -horas scilicet canonicas- tam in choro quam extra, ad confessionem, ad celebrandum, ad pacem tam inter se quam cum aliis fratribus de conventu servandam, ad silentium, ad obedientiam, priori exhibendam suo exemplo -non solum verbo- inducere. Nullam autem a lectionibus et disputationibus vacationem fieri permittet, praeterquam per viginti dies ante quadragesimam usque ad quindecim dies post pascha, at a festo sanctissimorum apostolorum Petri et Pauli usque ad diem sancti Nicolai de Tolentino.

Lectorum officium erit, iniunctas sibi a magistro regente lectiones ad utilitatem suorum discipulorum prosequi et eos, de ipsis lectionibus, semel ad minus in hebdomada examinare; in disputationibus arguentes iuvare, cum omni modestia, hoc ordine: ut primus scilicet lector primum arguentem, secundus adiuvet secundum. Liberum vero sit tam baccalario quam lectorubus, ante magistri regentis determinationem, difficultates non tactas movere et veras inquirere solutiones.

Magistri studentium officium erit, novitiis studentibus rudimenta logicae Pauli Veneti (199) interpretari, eos quotidie examinare et supradicta omnia rudimenta memoriter recitantes audire. In disputationibus quae fiunt in conventu, si is qui quaestionem proponit theologiae cursor non fuerit, pro eo respondere; si vero cursor theologiae fuerit, secundo loco arguere. In disputationibus vero extra conventum, tam arguere quam respondere ad ipsum solum spectabit, cum baccalarii auxilio. Insuper sui muneris est, ut studentes matutinum, quando surgere non tenentur, simul post completorium in capitulo devote et reverenter dicant. Sollicitus denique sit, ut quaestiones disputandae ordine debito a studentibus et cursoribus publicentur, primum in loco ad id deputato scrptae ac, ut in fine prandii, pro more patres invitentur; demum, ut in loco disputationis cum argumentis ad partes rite et congrue proponantur.

Si in aliquo studio generali, praeter istos, plures fuerint baccalarii aut lectores (200), iuxta dispositionem magistri regentis extraordinarias lectiones legent et in disputationibus, post ordinarios, suas poterunt movere difficultates. Nulla autem lectio necque a baccalario necque ab ordinariis aut extraordinariis lectoribus legatur sine licentia magistri regentis, a quo uno -ne qua possit oriri confusio- omnes studii actiones ordinandae sunt et regulandae.

Magistri biblici officium erit, quotidie lectionem unam ex sacra Scriptura legere et ab eius lectione non vacare, nisi diebus et temporibus supra expressis: ac in dominicis diebus et aliis solemnibus festis, hora disputationis consueta, super aliqua sanctarum Scripturarum difficultate, non per modum contentiosae disputationis -quae longe abesse a scientia salutis debet- sed per modum familiaris et pii colloquii circulum tenere et, post duas aut tres difficultates discussas, catholicam iuxta sanctos doctores determinare veritatem (201).

Ad quolibet studium generale, etiam Parisiense, quilibet provincialis - de consilio definitorum provinciae- unum studentem mittere possit, qui sit in grammaticalibus sufficienter instructus et sacerdos: atque is, si talis fuerit et litteras cum sigillo provinciae signatas manu provincialis et definitorum detulerit, nullatenus reici possit. Reliquos vero studentes ad studia generalia mittere solus prior generalis potest; sed neque qui a provinciis mittuntur necque quos prior generalis destinaverit pro studentibus habeantur, nisi prius coram priore loci et toto studio, in capitulo, unam lectionem ex libris M. Tullii Ciceronis (202) per magistrum studentium sibi assignatam legerit et verbis latinis congruis interpretatus fuerit. Et quo die legerit praefatam lectionem litteras testimoniales suae receptionis accipiat, subscriptas manibus prioris loci, magistri regentis, baccalarii, duorum lectorum e magistri studentium. Caveant autem hi, sub poena privationis omnium suorum graduum, ne quem recipiant in grammaticalibus non instructum et sine hac praevia lectione. Caveant quoque provinciales et provinciarum definitores, ne aliquem ad studium generale promoveant qui non sit sacerdos (203), persona humilis et vitae ac famae laudabilis, ac nulla notabili infamia notorie infamatus. Quod idem prior generalis observare teneatur.

Studentes omnes, quinquennio post suam recepctionem -sive in loco sint in quo, recepti fuere sive ad alium mutati fuerint- coram priore generali, quantum fieri potest, sin autem coram magistro regente et examinatoribus a priore generali deputatis ac toto studio, ad quinque ad minus conclusiones in logica, naturali philosophia et metaphysica triduo respondeant: de cuis profectu, sufficientia et moribus magister regens cum examinatoribus certiorem reddat per litteras, suis manibus signatas, priorem generalem, deposito omni amore et odio ac in solam veritatem respicientes. Et tunc, si priori generali videatur, eos qui in dicto examine commendabiles reperti fuerint ac, pro ingenii sui qualitate, profecisse et nullis malis moribus contaminatos esse, in cursu theologiae collocare poterit et cursores instituere: ad quorum officium pertinebit, in quotidianis disputationibus, cum eos respondere contigerit, absque auxilio magistri studentium, sub baccalario respondere et argumenta ab inferiobus studentibus proponenda videre prius, et postquam proposita fuerint assumere et roborare. Qui sic promoti ad cursum theologiae, nihilominus magistro studentium in omnibus quae ad suum officium pertinent obtemperabunt.

Post hanc primam promotionem, cum priori generali congruum tempus videbitur -quod non minus regulariter esse debet quam triennio post adeptum cursoratum-, se praesente, si fieri possit, sin autem examinatoribus cum magistro regente institutis, mandet a cursoribus suos actus pro lectoria perfici, hoc pacto: per magistrum regentem et examinatores tres cuilibet cursori assignabuntur lectiones: una in textu philosophiae naturalis vel metaphysicae Aristotelis, altera in primo vel in secundo Sententiarum, tertia in tertio vel quarto Sententiarum; ac biduo post, assignatas lectiones legent in capitulo coram examinatoribus et toto studio, primo die primam ac deinceps alias; deinde, alio immediate sequenti triduo, ad conclusiones respondebunt ex lectionibus deductas, quae non pauciores sint quam decem, arguentibus primum magistro regente et examinatoribus ordinate, deinde omnibus aliis usque ad ultimum cursorem. Demum per msagistrum regentem et examinatores litterae ad priorem generalem de profectu, sufficientia et moribus mittantur, ut prius dictum est: et si priori generali videatur, lectoriae gradum sibi conferre poterit. - Eadem forma ad lectoriam magistri studentium promoveantrur; sed ab his actibus liberi tantum sint qui in capitulis generalibus disputaverint atque ibidem ad lectoriam promoti fuerint.- Tempus autem examinandi tam studentes pro cursoratu quam cursores pro lectoria sit a quintadecima die augusti usque ad octavam septembris, et non aliud.

Qui in lectoria munus suum diligenter et cum profectu discipulorum obeundo exercitati fuerint, cum priori generali videbitur, ad baccalariatum primum promoveantur; deinde ab eodem priore generali, si potestatem a sanctissimo Dno Nro habuerit, magistri in sacra theologia creentur; aliqui licentientur ad suscipiendum gradum in probata aliqua doctorum theologorum facultate, quae in litteris licentiae nominetur. Quae promotio aut licentia non concedatur nisi iis qui supra memoratum cursum sine intermissione perfecerint et tam litteris quam vitae fuerint sanctimonia conspicui (204). Alia autem quacumque ratione creatos theologiae magistros ordo noster non agnoscat nec pro magistris habeat; quin et eos qui hac ratione magistri creati fuerint, si extra ordinem sine prioris generalis licentia quomodocumque manserint, omnibus suis gradibus privati praesenti constitutione ipso facto intelligantur, quos sibi restituere ne ipse quidem prior generalis possit, nisi de consensu definitorum capituli generalis, nemine discrepante.

Un autem omnis confusionis et discordiae materia in nostris studiis generalibus devitetur, statuimus ut qui prius promoti fuerint ad quemcumque gradum, priorem habeant locum in quocumque studio fuerint collocati; similiter qui prius recepti in studio sunt, priorem habeant locum posterius receptis, etiam si de uno studio ad aliud mutari eos contingat, nisi propter aliquem excessum suo loco priventur a priore generali. Si autem duos contigat simul fuisse promotos aut receptos, ille priorem teneat locum qui prior est in ordine vel professus vel pro novitio receptus. Qui vero propter aliquam culpam de studio ad studium mutatur, si graduatus sit, ultimus sit eorum qui in eodem gradu sunt; si studens, ultimus sit omnium studentium et habeatur ac si tunc de novo recptus ad studium fuisset quad primi quinquennii numerationem.

At vero ut uniformitas in ordine nostro quad studia quoque et doctrinam, quemadmodum quoad alia, quad fieri potest, custodiatur, volumus ut magistri regentes, baccalarii et lectores in lectionibus et determinationibus disputationum, in omnibus sequi et tueri debeant doctrinam primi doctoris nostri Egidii Romani tam in artibus quam in theologia; ubi vero praefatus doctor non scripsit, in theologia quidem tueantur et doceant secundum doctorem nostrum Thomam de Argentina; in artibus vero secundum doctorem nostrum Paulum Venetum. Liceat autem, exercitii et disputationis gratia sustinere in publicis disputationibus opiniones aliorum doctorum nostrorum, Gregori Ariminensis, Gerardi Senensis, Michaelis de Massa, Alfonsi Toletani, Augustini Romani, Augustini Anconitani et aliorum, quorum scripta in communibus servantur bibliothecis. Magistri vero biblici in sacrarum Litterarum interpretatione nihil assere audeant, quod a doctrina discordet sanctorum Ecclesiae doctorum; nihil item quod a decretis sanctae Romanae Ecclesiae et sanctorum conciliorum ab ea approbatorum.

Priores locorum, in quibus vigent studia generalia, non cogant magistros regentes neque magistros biblicos necque baccalarios aut lectores aut magistros studentium nisi ad Missam conventualem quotidie atque ad orationem serotinam: et diebus festis ad vesperas quoque: insuper diebus communionis sacrae etiam ad matutinum (205). Qui nisi frequenter celebrent, per priores moneantur ac, si monitiones neglexerint, priori generali significare teneantur, sub poena privationis officii et vocis activae ac passivae per quadriennium. Studentes vero, una cum cursoribus, cogantur diebus quoque dominicis et festis omnibus solemnibus ad matutinum surgere (206), ac quotidie primis et vesperis adesse. Debet autem prior negligentes ad haec punire et illos qui tempore officii, cui non tenentur adesse, studio non intendunt sed vagantur, exemptionibus debitis privare: et omnes frequenter ad Dei cultum hortari et non permittere ut aliquis de corpore studii, quicumque ille sit, plus quam per mensem in tempore vacationum a studio absit, nisi forte tempore tantum quadragesimae ad praedicandum missus fuerit.

Sed ut, iuxta paupertam ordinis, studentes in sutdio se sustentare et proficere possint, necque librorum aut aliarum rerum penuria studia relinquere cogantur, praesenti constitutione decernimus inviolabiliter servari, ut studentibus omnibus, donec ad lectoriam promoti fuerint, priores conventuum in quibus professi fuerint mittant, ante festum omnium sanctorum, scutos aureos duos; provinciales vero de quorum provincia fuerint, scutum aureum unum; priores vero locorum studii in quibus assignati fuerint, scutos aureos tres. Qui vero praefato tempore haec subsidia studentibus non solverint, officiis et voce activa et passiva per quadriennium priventur. At vero studentes qui infra annum, ex sua culpa, ab uno loco in alium mittuntur, nihil a loco unde discendut accipiant.

Studentes antequam ad lectoriam promoti fuerint in nulla elctione vocem neque activam habeant neque passivam. Lectores vero et baccalarii in omnibus quae fiunt per capitulum loci, in quo assignati sunt, vocem habeant et in elctione provincialium illius provinciae dumtaxat in qua legunt.

De provincialibus vero studiis decernimus, ut prior generalis in illis unum magistrum regentem deputet; studentes vero in eis assignare, ad provincialem et definitores provinciae pertineat ex ipsa provincia. Illi vero qui biennio in studio provinciali steterint et ad studium generale mittuntur, triennio post suam receptionem pro cursoratu examinentur.

Per hanc autem de studiorum aut studentium ac lectorum formam (207), nihil derogare intendimus privilegiis studii Parisiensis neque de forma promotionis illius almae et celeberrimae facultatis quippiam immutare, moso magistri in ea promoti ordini obediant et regentem, iuxta antiquam consuetudinem, ad capitulum generale mittant (208) et in omnibus obedientiam priori generali praestent. Quod si quis contra fecerit, non solum pro magistro non habeatur, sed tamquam anathema a reliquis Parisiensibus et omnibus devitetur. Aliorum studiorum -tam ultra quam citra montes- promotiones, nisi de licentia prioris generalis factae, nullae sint, in quacumque fiant universitate. Et si qua per priores generales vel capitula quoque generalia privilegia contra hoc concessa fuerint, praesenti constitutione abrogantur.

La "ratio studiorum" che abbiamo appena trascritto ci sembra oggi troppo conservatrice. Sorprende soprattutto -dice Jedin- che uno scrittore come Seripando nella sua riforma non desse maggiore importanza agli studi biblici e che, dopo aver difeso come nessun altro la teologia di S. Agostino nel concilio di Trento, non menzioni neanche il nome del Dottore della grazia tra i maestri la cui dottrina dovevano seguire professori e allievi negli "studi" dell'Ordine; però questa impressione, a prima vista, inspiegabile, secondo lo stesso biografo di Seripando non indica che Seripando non fosse nel suo secolo un uomo d'avanguardia e che non avesse motivi per insistere nella formazione aristotelico-scolastica, della gioventù agostiniana (209). Il nostro Generale attribuì gran parte degli errori e difetti in questa disciplina alla carenza completa o alla difettosa preparazione di alcuni predicatori del suo tempo, non meno degli errori che indicò nei commenti biblici dei capi del protestantesimo (210). Lo studio e l'esposizione della sacra Scrittura erano per lui l'occupazione principale del sacerdote dedicato all'insegnamento e all'apostolato; gli scritti dei Padri dovevano anteporsi, secondo il nostro teologo, anche a quelli della scolastica; però la conoscenza della scolastica, soprattutto dei massimi rappresentanti (S. Tommaso, S. Bonaventura, Egidio Romano, ecc.) era indispensabile per interpretare correttamente la parola di Dio e per leggere con più profitto i Padri della Chiesa. Cioè, in quanto alla formazione intellettuale dei candidati al sacerdozio e al vantaggio di quelli che lo erano già, pensava lo stesso fra Luis de Leon: "che il principio della teologia sono le questione della Scolastica, e la crescita la dottrina che scrivono i santi, e il culmine della perfezione le Sacre Scritture, alla cui comprensione tutto quello di prima, si ordina come fine necessario" (211). Un programma valido allora e, con le nuove discipline, valido sempre.

NOTE

* Dd = Registri dei priori generali, nell'archivio dell'Ordine, via Paolo VI, 25. Roma

1) H. DENIFLE-A.CHATELAIN, Chartularium Universitatis Parisiensis, 4 vol. Paris 1889-1897; citato più avanti: DENIFLE, con indicazione del volume e della pagina. Quest'opera contiene più di cento documenti o notizie relative agli agostiniani dal 1259 al 1455: è invece poco quello che ci offrono gli stessi autori nel loro Auctarium chatulari..., 2 vol. Parigi 1895-97.

2) In ANALECTA AUGUSTINIANA (= AA.) II-VIII, Atti dei capitoli dall'anno 1274 al 1497; ibid. IX-XIV, Atti dei capitoli dell'età moderna: Addizioni, Ibid. XXIII.

3) Hugolin von Orvieto und seine theol. Erkenntnislehre, Würzburg 1941, 47-92.

4) Suo studio su Agostino d'Ancona in AA. XXII, 27-41.

5) La formation de professeurs chez les ermites de saint-Augustin, Parigi 1956, e nei seguenti studi: Le "Mare magnum" (di Tommaso di Strasburgo), in AUGUSTINIANA 6 (1956) 281-321; Les statuts pour le counvent de Paris promulgués per Seripando, in AA. XXIV, 262-310; La promotion au lectorat chez les augustins..., in AUGUSTINIANA 13 (1963) 391-417; Notice sur le "studium" de Paris au cours de la deuxieme moitié du XIV siècle in AUGUSTINIANA 17 (1967) 14-36; ib. 18 (1968) 82-99. Abbiamo anche visto un altro studio inedito dello stesso autore, che sarà pubblicato nell'ultima rivista citata.

6) F. EHRLE, I più antichi statuti della facoltà teologica dell'Università di Bologna, 1932, pag. xciv ss.

7) M. GRABMANN, Die Geschichte der kathol. Theologie, 47, vers. spagnola, 6°.

8) DENIFLE, I, 331, 339.

9) Ibidem; DENZINGER, Enchiridion symbolorum, 842.

10) DENIFLE, I, 331, 339. Indicativa la promozione simultanea da parte del Papa dei due maggiori teologi del medioevo, dei quali il primo aveva solo 30 anni e il secondo 35.

11) "Richardus arctissimo necessitudinis vinculo coniunctus fuit cum divo Thoma Aquinate..., saepe saepius Richardum cardinalem visitabat Thomas, vicissim Thomae cellam frequentabat Richardus; iucundissima enim erat illa amicitia, quam morum similitudo coniugarat". ALPHONSUS CIACONIUS, Historia pontificum Romanorum et S.R.E. cardinalium, II, Romae 1677, 88. Cfr. Dictionnaire d'hist. et de geogr. ecclés. III, 389 s.

12) "...quamdam domun cum quodam iardino eidem domui adiacente... ultra portam sancti Eustachii, in vico per quem itur ad Montem Martyrum". DENIFLE, I, 405-408.

13) AEGIDIUS ROMANUS, De grabidus formarum, parte 2°, c. 6; AA. SS., martii, Venetiis 1735, I, 672. Gli statuti universitari di Parigi già stabilivano nel 1215, "quod nullus sit scholaris qui certum magistrum non habeat". DENIFLE, I, 79.

14) DENIFLE, II, 144 e 172; AA. XXII, 36.

15) Era il convento dei "fratres sachitae" o del sacco, soppressi nel 1274 dal 2° concilio di Lione. Il re lo donò agli agostiniani, "ob favorem potissimum dilecti et familiaris nostri mansionem absque impedimento quocumque". DENIFLE, II, 61. Il convento fu soppresso dai rivoluzionari nel 1790.

16) F. LAJARD, Histoire littéraire de la France, XXX, 433; AA. XXVIII, 214; F. ROTH, The English Austin Friars, New York 1966, 24 e 413.

17) DENIFLE, II, 172; AA. XXIII, 232; Diction. de spiritualité, VI, 385.

18) Edizione di G. BRUNI, in AA. XVII, 125-157.

19) G. BRUNI, le opere di E. R., Firenze 1936: pubblicato in Bibliofilia dal 1934 al 1936; id., Un'inedita "Quaestio de natura universalis" di E. R. con un saggio di cronologia egidiana, Napoli 1935, 25-43.

20) DENIFLE, II, 12; AA. II, 275.

21) DENIFLE, II, 40. Attribuire a Egidio una parte decisiva nella redazione di un capitolo delle nostre prime Costituzioni, non cambia un fatto sicuro: che i due autori principali di quelle leggi sono i beati Clemente di Osimo e Agostino da Tarano in Sabina, come dice Giordano di Sassonia nei suoi "Vitasfratrum", parte 2, cap.14.

22) AA. II, 337.

23) Ibid. IV, 203. E per ottenere quello che era scritto, aggiungeva: "Ad haec detis et dari faciatis pro viribus omnem operam cum effectu, ut boni novitii possint in vestra provincia recipi, recepti religiose tractari et informari morum modestia et sutudii disciplina".

24) DENIFLE, II, 64; AA. II, 368.

25) DENIFLE, II, 10; A. ZUMKELLER, in AA. XXVII, 176-186.

26) Cfr. P. GLORIEUX, Repertoire des maitres en théeologie, I, 62-77, 86-104, II, 38-51, 294-308, per comprovare quello che si dice nel testo.

27) J. KOCH, Giles of Rome, Errori philosophorum, testo critico con versione inglese, Milwaukee 1944. Koch non solo ha tolto qualsiasi dubbio all'autenticità egidiana dell'opuscolo, ma ha anche illustrato la sua importanza fondamentale per l'accettazione moderata della dottrina dei "filosofi" nelle scuole cristiane. Cfr. Revue des sciences philos. et théologiques 32 (1948) 107.

28) De regimine principum, lib. 3, parti 2, cap. 8. Questa opera scritta nel 1280, ebbe un grande successo in tutta Europa fino al periodo tridentino, come lo provano le centinaia di codici e molti documenti che ancora sono scritti in latino, italiano, tedesco, francese, inglese, fiammingo, catalano, castigliano, portoghese ed ebraico, e anche le imitazioni, riedizioni, compendi e glosse a cui diede origine. Cfr. G. BRUNI, Le opere di E. R., Revue des sciencies philos. et théologiques 32 (1948) 107.

29) Cost. Ratisb. Cap. 16. I passi che citiamo appresso si trovano nei cap. 15-17; questi parlano dell'ammissione e formazione dei novizi; di questo soprattutto dovevano preoccuparsi i superiori delle Province e conventi, come ricordava loro il generale Guglielmo di Cremona nella circolare del 1326, "quia sanctius esset non recipere, quam receptorum curam negligere". AA. IV, 31. Nell'anno 1327 i definitori della provincia romana determinavano: "quod nullus prior audeat aliquem novitium recipere deformem, de legitimo toro non natum, apostatam alius ac vilis condicionis et nescientem aliqualiter legere". Ibid. 36.

30) Cost. Ratisb. Cap. 17. Tutti i codici medioevali di queste Costituzioni hanno il testo menzionato, che non è stato citato da Staupitz nella sua edizione di 1504, come ripetono molti studiosi di Lutero, seguendo a Th. KOLDE, Die deutsche Augustiner-Congregation und Johann Staupitz, Gotha 1879, 22 e 224.

31) Lettera di Guglielmo di Cremona, già citata nella nota 29; il testo si ripete quasi uguale nel cap. 18 delle "Additiones" del generale Tommaso di Strasburgo, che rimanessero in vigore - nelle Costituzioni del 1290- fino l'anno 1551.

32) E. R. CURTIUS, Europaische Literatur und latein. Mittelalter, Berna 1948, 50. Cost. Ratisb. C. 36: "Provincialis vero et definitores scholas logicales et grammaticales in quibus rudes scholares de provincia studeant, in provincialibus capitulis ordinent... Nullus nisi aptus studio numeretur".

33) S. VANNI-ROVIGHI, in Enciclopedia filosofica, ed. 1957, III, 120.

34) St. d'IRSAY, Histoire des universitès, I, Paris 1933, 165: la facoltà delle arti "se développa en une véritable faculté de philosophie".

35) AA. III, 224. Gli agostiniani seguirono anche in questo caso l'esempio dei domenicani e francescani. St. d'IRSAY, o.c., I, 127-129; I. FELDER, Storia degli studi scientifici nell'Ordine francescano, Siena 1911, 265 e 320.

36) F. KNAUZ, Monumenta ecclesiae Strigoniensis, Gran 1882, II, 274; F. FALLENBUCHL-G. RING, in AUGUSTINIANA 15 (1965) 150-156.

37) AA. II, 275; YPMA, La formation..., 22s.

38) Ibid. II, 271. Nell'anno 1276 appare lo "studium curiae": ibid. II, 227.

39) FELDER, o.c., 155-163; A. SORBELLI, Storia dell'Università di Bologna, I, 130.

40) L. EMPOLI, Bullarium ord. erem. S. Augustini, Romae 1628, 260; ibid. 103.

41) EHRLE, I più antichi statuti..., p. CXCII ss; GLORIEUX, Répertoire, I, 21; ibid., L'enseignement au moyen-age... à la faculté de théeologie de Paris en Archives d'histoire doctrinale et littér. Du moyen-age 35 (1968) 65.186; I. W. FRANK, Hausstudium und Universitatsstudium der Wiener Dominikaner bis 1500, Vienna 1968: opera utile anche per noi, per la somiglianza delle leggi e abitudini di entrambi gli Ordini. Vedere per la stessa ragione L. ROBLES, nella rivista domenicana Studium 8 (1968) 61-85.

42) Cost. Ratisb. Cap. 8 e 36; Diction. de spiritualité, IV, 997. Il capitolo generale del 1287 ordinò ai provinciali, "ut nullum fratrem faciant infra annos viginti quatuor ad sacerdotium promoveri". AA. II, 277.

43) P. MANDONNET, La carrière scolaire de Gilles de Rome, en Revue des sciences philos. et théologiques 4 (1910) 480-499: G. BRUNI, Una inedita "Quaestio" (v. nota 19) 25-43; D. GUTIERREZ, De beati Iacobi Viterbiensis vita, operibus et doctrina theologica, Roma 1939, 13-21.

44) Si vedano i testi pubblicati nella prima Appendice.

45) I bollandisti suppongono che studiò a Tolentino, Fermo e Recanati: AA. SS. sept. Venetiis 1761, III, 672. L'ultimo biografo del Santo dice che finì la teologia a Cingoli: D. GENTILI, San Nicola da Tolentino, Milano-Roma 1966, 20, e nella Bibliotheca sanctorum, IX, Roma 1967, 957.

46) Siena, Bibl. Comunale, Ms. K. I. 14, ff. 33, 38, 54 e 108. Questo è il migliore codice del processo de canonizzazione del santo, istruito per ordine di Giovanni XXII nell'anno 1325.

47) "Homo spiritualis ex habitu caritatis habet inclinationem ad recte iudicandum de omnibus secundum regulas divinas". 2-2, 6°, dal 1° al 2°.

48) Vedansi i luoghi citati nella nota 42.

49) Napoli, Bibl. Nazionale, ms. VII G 101. L'autore scrive nel prologo: "familiari sermone, ad utilitatem copiosae confessionis... Nonnulla etiam inseruntur de peccatorum remediis". Cfr. D. AMBRASSI, nella rivista napoletana "Asprenas" del 1959.

50) Lexikon für Theologie und Kirche, IX, 1166s.

51) EMPOLI, Bullarium (v. nota 40), 51.

52) Thomas Argentinensis, In 4 ° Sent., dist. 18, a. I.

53) De gestis Domini Salvatoris, lib. 14, cap. 16. L'agostiniano tedesco Godescalco Hollen ricordava un secolo dopo le qualità del buon confessore in questa forma: "...sufficiens in scientia, idoneus, bonae vitae et probatae, persona discreta ut sciat solvere et ligare et misericordiam cum rigore miscere, modestus, cautus et circumspectus, scrutando conscientiam peccatoris in confessione quasi medicus vulnus et iudex causam". W. ECKERMANN, Gottschalk Hollen: Leben, Werkw und Sakramenten, Würzburg 1967, 298.

54) AA. II, 250: YPMA, La formation, 3.

55) E. ODIGER, Die Bildung der Geislichen im Mittelalter, Leiden 1953-54.

56) MINISTERI, in AA. XXII, 8, 41-45; YPMA, La formation, 4.s.

57) AA. II, 2451. I capitoli generali si celebravano in quel tempo ogni tre anni.

58) Monumenta ordinis Praedicatorum historica, III, Romae 1898, 250; circa i francescani, FELDER, o.c. 366-371.

59) Cost. Ratisb. 36. In queste due classi di allievi non vi era limite d'età.

60) AA. II, 246 e 248.

61) Cost. Ratisb. cap. 40 dove aggiungono: "Et ad hoc non solum in generali capitolo Generalis vigili et sollicita cura debet intendere, sed saepe per suas litteras et maxime in provincialibus capitulis provinciales, lectores et priores ad hoc inducere et monere...Praeterea consideret sollicite et provideat quomodo ordo in aliquibus pertibus mundi, ubi debilis est, fortificari et augmentari possit, et ubi nondum deplantatus est, quomodo plantari et radicari possit".

62) Dà notizia di tutti loro, sotto il nome di ciascuno, il Lexikon für Theol, und Kirche, cosi come di diversi successori dal Favaroni al Seripando.

63) Rosarium ad c. 5, d. 24: citato da ÖDIGER, o.c., 82.

64) Summa de potestate ecclesiastica, q. 105, art. 2 e 6.

65) K. ELM, in "L'eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII", ed. Univ. Cattol., Milano 1965, 491-559, e spec. 493 ss.

66) Andreae Mediolanensis († 1435), De ordinis nostri forma et propagatione, ed. R. ARBESMANN, in AA. XXVIII, 154-218, p. 191.

67) "...committentes patri nostro generali... ut faciat moderam, addendo, cassando, anullando et declarando, prout suae providentiae saluti animarum proficuum et statui ordinis videbitur expedire". AA. IV, 254. I definotori del capitolo del 1348 dichiararono: "In primis additiones, moderationes et declarationes circa constitutiones... per praefatum patrem nostrum magistrum Thoman ex commissione sibi facta virtute capituli generali proxime Parisius celebrati per capitula constitutionum editas, auctoritate praesentis definitorii approbamus et confirmamus". Ibid. IV, 275 s.

68) "Additiones", c.36 ed. I. ARAMBURU, Valladolid 1966, p. 117.

69) Ibid., p. 119. Le tesi pubbliche di logica e filosofia continuavano nei mesi d'estate; invece le lezioni di teologia dovevano darsi "secundum formam Constitutionum", cioè, dalla seconda settimana di settembre "post festum nativitatis beatae Virginis Mariae" fino al 28 di giugno. GLORIEUX, Repertoire, I, 21.

70) AA. IV, 258, 276.

71) Ricordano quella peste tutti i manuali di storia; si dice, con poco fondamento, che fra gli agostiniani quel morbo "fece strage di più che cinquemila". A. DE ROMANIS, L'Ordine agostiniano, Firenze 1935, 73.

72) AA. IV, 277.

73) Ibid., 307-309. Capit. Gener. 1308: "Quum ibi salus ubi multa consilia, consilia vero sunt a sapientibus perquirenda, sapientia autem in magistris sacrae paginae maxime vigere dignoscitur: definimus... quod in electione prioris nostri generalis, in qua prae ceteris factis ordinis consultius est agendum, omnes parisienses magistri...de cetero vocem obtineant ac etiam ad definitiones generalis capituli una cum aliis definitoribus admittantur...Hanc autem definitionem et ordinationem volumus scribi in corpore constitutionum nostri, ordinis, ut pro constitutione perpetua habeatur et teneatur". Ibid. III, 81.

74) Ibid. V, 155; però gli mandò presto un lettore, di nome Francesco da Amelia, per insegnare nel convento di Toledo. Ibid. 156.

75) Ibid. 127; la citazione che diamo dopo, ibid. 220. Non si trattava naturalmente di bolle pontificie, ma di documenti presi dagli officiali della curia, "inscio Pontifice", come indicano altre volte i superiori che lottarono contro questo abuso. Ibid. VII, 170,427.

76) Ibid. VII, 276.

77) Capitolo gener. del 1486: "Item definimus et ordinamus quod quilibet audiens confessiones habeat ad minus librum qui dicitur Defecerunt scrutantes etc., vel librum alium ad materiam confessionum pertinentem". Ibid VII, 345. Il generale Anselmo da Montefalco raccomandava nel 1491 lo stesso libro di sant'Antonino da Firenze, "et in eo studeant continue ut sciant solvere et ligare". Arch. dell'Ordine, Dd 8, 246.

78) T. DE HERRERA, Historia del convento de San Augustìn de Salamanca, Madrid 1652, p. 144. Opera fondamentale per la storia ispano-agostiniana.

79) AA. III, 66; HERRERA, o.c. 31. Riferimenti agli studi e promozioni nella Spagna di quel secolo, cfr. BELTRAN DE HEREDIA, Bulario de la Universidad de Salamanca, II, Salamanca 1966, num. 514 e 647.

80) E. MERTENE, Veterum scriptorum et monumentorum ecclesiasticorum et dogmaticorum amplissima colletio, Parigi 1729, VI, 63 s.

81) A. GWYNN, The English Austin Friars in the time of Wyclif, London 1940; F. ROTH, The English Austin Friars, I : History, New York 1966.

82) Cronaca, lib. 9°, cap. 58: continuazione della Cronaca di Giovanni Villani.

83) Cioè, dell'alta scolastica, quella a cui appartiene Egidio Romano.

84) EHRLE, I più antichi statuti (v. sopra, n. 6) p. CLI-CLVI; A. SORBELLI, Storia dell'Università di Bologna, 1940, p. 136, si dice che Ugolino diede prova allora di essere "dotto, delicato accuratissimo...Gli statuti bolognesi sono i più interessanti e i più compiuti di quanti si redigessero per altre facoltà teologiche derivate dalla parigina".

85) A. LANG, Die Wege der Glaubensbegrundung bei den Scholastikern des 14. Jahrhunderts ("Beiträge zur Gesch. der Philosophie des Mittelalters", Bd. 30 Heft 1-2), Münster i. W. 1930, 209; id., Die Entfaltung des apologetischen Problems in der Scholastik des Mittelalters, Friburgo de Br. 1962, 168 ss.

86) EHRLE, o. c. p. CCI-CCIV; E. ESTEBAN, in AA. V, 145-147.

87) J. ASCHBACH, Geschichte der Wiener Universitat, I, Vienna 1865, 614; F. RENNHOFER, Die Augutiner- Eremiten in Wien, Wurzburg 1956, 96-99.

88) Si veda il documentato studio biografico di J. HEMMERLE, incluso nell'opera di R. SCHREIBER, Studien zur Geschichte der Karls-Universitat zu Prag, Freilassing-Salzburg 1954, 81-129; AA. XXVII, 242 s.

89) A. GABRIEL, Alexandre d'Hongrie, maitre regent à l'université de Paris vers 1300, en la Revue d'histoire comparée, nouv. ser. I (1943) 505-514; J. UDVARDY, Etienne de l'Ile, in AUGUSTINIANA 6 (1956) 322-335.

90) A. ZUMKELLER, en Wahrheit und Verkundigung (Festgabe Michael Shmaus), Pederborn 1967, p. 1121-1140.

91) H. HURTER, Nomenclator, II, Innsbruck 1096,1160. Nello stesso anno nel quale morì Calepino celebrarono il capitolo provinciale gli agostiniani di Castilla nel convento di Arenas de san Pedro: "L'unico argomento che si trattò (dice un autore di quel secolo) fu quello di come si potessero moltiplicare nella religione gli uomini dotti; e per ottenere ciò si decise che nella casa di Salamanca si leggesse continuamente filosofia e teologia. Ordinarono reggente -che è un lettore- il dotto padre maestro fra Alonso di Cordova, che allora non era graduato, però dava prova di grande genio e abilità come si dirà più avanti". J. ROMAN, Chronica de la Orden..., Salamanca 1569, fol. 112. Il cronista, che ebbe davanti gli atti di questo capitolo, dice che nel 1513 "ordinarono che non si dovessero impartire corsi d'arte ne'di teologia ai religiosi nei tre anni successivi all'essere diventato frate". Ibid. fol. 112.

92) AA. IX, 67; ibid 65: "...nec promoveatur ullus ad sacerdotium, qui anum quartum et vigesimum non attigerit, dignus quidem et eruditione et bonis moribus"; ib. 67: "Suplicamus patri reverendissimo, ut neminem exornet gradibus ex iis qui in Italia sunt, nisi quos ipse examinaverit ac dignos invenerit; et in hoc oneramus conscientiam suam. Volumus autem eos qui in studiis non profecerint; non modo ad gradus non promoveri, verum etiam tamquam ignavum pecus ab academiis arceri".

93) Ibid. 68. L'insegnamento del greco, che appare per la prima volta nel capitolo del 1507, deve attribuirsi con tutta probabilità a Egidio da Viterbo, che è stato più innovatore del suo maestro Mariano di Genazzano: si vedano gli atti del capitolo generale del 1497 in AA. VIII, 13-16. Seripando volle che il maestro di grammatica, che molte volte era una persona estranea all'Ordine, insegnasse anche agli allievi "modum epistolandi ac bonos auctores". JEDIN, Seripando, I, 245.

94) Breve notizia dei due primi e dell'ultimo nel Lexikon für Theol. und Kirche, nel nome di ognuno. Di Vazquez, predicatore di Fernando il Cattolico e di Carlo V dal 1507 fino al 1539, e primo professore di sacra Scrittura nell'Università di Alcalà, parlano con grandi elogi i suoi coetanei Alvar Gomez de Castro e il beato Alonso de Orozco; dei suoi meriti come rinnovatore dell'esegesi e dell'oratoria sacra cfr. F. GONZALEZ OLMEDO, Sermones de fray Dionisio Vazquez, in "Clàsicos castellanos", tomo 123, Madrid 1943, prologo.

95) Sull'attività di Egidio: H. JEDIN, Seripando, I, 157-61; M. MARCOCCHI, La riforma cattolica, Brescia 1967, 162-66; J. W. O'MALLEY, Giles of Viterbo on Church and Reform, Leiden 1968. Gabriele della Volta, che cominciò a governare nel 1518, approvò poco dopo la fondazione di uno "studium provinciae" a Saragozza, lodando per la sua dottrina i maestri della provincia catalano-aragonese Martìn Gombau, Bernardo Jordàn e Miguel Mayques. Roma, Archivio dell'Ordine, Dd 14, 168-169.

96) AA. IX, 67. E' la prima volta che i legislatori agostiniani propongono ai loro allievi come maestro san Tommaso d'Aquino. Si veda l'ultima parte di questo studio.

97) JEDIN, o.c. I, 164-86; AA. XXVI, 31-50. In Portogallo ammirò la riforma che mettevano in atto i vicari castigliani Francisco de Villafranca e Luis de Montoya, ai quali diede la facoltà "ut cum aliqui vobis in aetate viginti duorum annorum cani sensibus visi fuerint, eos ad sacerdotium promovere valeatis, potestate nobis tradita a S.mo D.no N.ro": Arch. dell'Ordine, Dd 19, f. 85.

98) Ibid. Dd 18, f. 68. Nello stesso registro si trovano le disposizioni che lasciò nei principali studi d' Italia.

99) JEDIN, o.c., II, 542-44. Seripando insiste con frequenza perché la preparazione filosofica e teologica della gioventù agostiniana fosse conforme alla dottrina dei migliori maestri dell'alta scolastica.

100) Roma, Arch. dell'ordine, Dd 19,95; MARCOCCHI, o.c., I, 166-69.

101) Volle anche che esistessero scuole di grammatica in tutte le regioni della vasta "provincia Hispanie"; però la filosofia e la teologia dovevano studiarle tutti a Salamanca, nel convento e nell'Università "et in publicis scholis". Dd 19, 95v-96. "Et qui sacerdos ordinatur sit aetatis annorum viginti et quinque", 94v; perché la provincia non scarseggiava di personale, come la portoghese: vedi sopra, nota 97.

102) AA. IX, 428; ib. 425: "In conventibus praecipuis diebus festis conciones aut lectiones ad populum haberi mandamus". A marzo del 1546 Seripando aveva chiesto nel concilio di Trento, che si mandassero a predicare nelle chiese "in omnibus saltem diebus festis". Conc. Trid., ed. Goerresiana, V. 26.

103) JEDIN, o.c., I, 445; Conc. Trid. XIII, 82-85; G. PELLICCIA, La preparazione ed ammissione dei chierici ai santi ordini nella Roma del secolo XVI, Roma 1946, 194 e 476.

104) Conciliorum oecumenicorum decreta, ed. HERDER 1962, 643. Sulla parte che ebbe Seripando nella preparazione di questo decreto vedi JEDIN, o.c., I, 341 ss. Nel 1587 insiste in un altro punto del sacro ministero il generale Gregorio Petrocchini: "Confessarii, quorum cura inter primarias hisce in terris adnumerai debet, ad confessiones audiendas non admittantur nisi scientia et conscientia insigniti, tresque saltem summas et praesertim Armillan penes se habere inveniantur". Dd 43, 33. La summa preferita è opera del domenicano Bartolomé Fumo. HURTER, II, 1561.

105) Per quello che si riferisce alla nostra, AA., IX, 363; EMPOLI, 311.

106) D. PERINI, Bibliografia Aug., II, 129; AA., XXI, 173-76.

107) Solo omise che i candidati a uno "studium generale" fossero già sacerdoti: però anche lui esigeva che si osservasse la legge: nel 1575 scriveva nel suo registro: "Increpavimus regentem Ariminensem, quod litteras testimoniales de profectu studiorum ad nos miserit plenas mendis et erroribus". Dd 36, f. 55.

108) Si vedano le note 96 e 99 di questo studio.

109) EMPOLI, 313, norma che lo stesso Papa estese ad altri ordini. Ib. 135, bolla di Gregorio XIII che limita il numero di maestri in Italia, "cum extra Italiam... magistros seu doctores nisi magna cum cautela et parvo numero non admiserint". La provincia di Spagna ottenne da Sisto V di non potere avere in questa più di sei persone con il grado di maestro; lo stesso chiesero nel 1600 a Clemente VIII le province di Andalusia, Messico, Michoacan, Perù, Equador e il Nuovo Regno di Granada. I religiosi che possedevano i requisiti per il magistero si chiamavano in queste province (e in quelle di Aragona e Portogallo) prima "laureati", poi "presentati" e per ultimo maestri "supernumerari", che entravano in ordine nel numero previsto, quando moriva o rinunciava uno di questi. EMPOLI, 74-76.

110) Al fondarsi nel 1532 di questa cattedra, dice Alvar Gomez, si cercò un uomo degno di questa: "Oportebat autem linguarum peritiam esse praeditum, in sacris auctoribus evolvendis bene versatum et maturo iudicio instructum... Tandem, post longam consulationem, Dionysius Vasquius... accitus est, qui tunc in sacris concionibus apud Hispanos principatum tenebat". De rebus gestis a Francisco Ximenio Cisnerio, Compluti 1569, 223v.

111) M. CUEVAS, Historia de la Iglesia en Mexico, II, El Paso 1928, 173. Edizione delle opere inedite di Veracruz ed. da R. Burrus, Roma, Institutum historicum Societ. Iesu, 1968. Non possiamo ricordare qui i nostri vari agostiniani, che contribuirono al progresso degli studi nel Nuovo Mondo: vedi J.A. SALAZAR, Los estudios en el Nuevo reino de Granada, Madrid 1946; F. ZUBILLAGA-A. DE EGAÑA, Historia de la Iglesia en la America española, 2 v. Madrid, ed. BAC, 1965-1966.

112) 18 Ottobre, giorno in cui incominciava il corso universitario.

113) Collecciòn de docum. inéd. para la historia de España, X, 361; Augustinianum, I (1961) 533-550.

114) Dei nomi di Cristo, dedic.: Obras completas, ed. BAC, Madrid 1951, 389.

115) "Vazquez produsse nella nostra letteratura religiosa del secolo XVI, e particolarmente in quella del pulpito, una rivoluzione simile a quella che produsse un secolo prima S. Vincenzo Ferrer". GONZALES OLMEDO (spra nota 94), p. XIX. Riferimenti a san Tommaso da Villanova, Lexikon f. Theol. und Kirche, X, 150.

116) HURTER, III, 91-94; JEDIN, nel Lexikon f. Theol und Kirche, VIII, 31.

117) Testo e bibliografia nel Dizionario di Spiritualità, IV, 1002 s.

118) SILVERIO DE SANTA TERESA, Historia del Carmen descalzo, IX, Burgos 1940, 8°. Delle parole di santa Teresa dice fra Luis che "colpiscono l'anima come fuoco del cielo, in modo da alzare una fiamma in qualunque luogo passino". Obras completas, ed. cit. 1315.

119) Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, II, Roma 1959,209.

120) Questi statuti sono descritti in AA. XXIII, 40. In quello di Ippolito di Ravena si dice, f. I: "In cunctis nostrae religions coenobiis Italie regentes docti, bonis moribus virtutibus... praediti constituantur, qui, post Missam maiorem, publice et in capitulo super cathedram sedentes, sacrae theologiae lectionem singulo die legere teneantur... Antequam suggestum conscendant, lectionem iam scriptam prae manibus habeant, quam lectam et completam discipulis scribendam tradant".

121) EMPOLI, Bullarium, 380; AA. XI, 65,200.

122) AA. X, 293: si vedano le note 77 e 100 di questo lavoro.

123) Reformatio studiorum (sopra nota 120), 2: "Absolvatur autem materia theologica 4 librorum Sententiarum spatio sex annorum". Allora si dedicavano 3 anni alla filosofia e 4 alla teologia negli "studi" spagnoli: "...incipiant autem legere die undecima septembris legantque usque ad vigesimam tertiam iunii, iuxta antiquam provinciae consuetudinem". Dd 66, f. 55.

124) AA. X, 438. Il neoumanesimo ebbe allora molti rappresentanti in quasi tutte le province agostiniane, tra loro alcuni illustri; però nessuno comparabile a Seripando o a fra Luis de Leon.

125) AA. XI, 67; 74-81 disposizioni del 1707 per l'esame "ad collegium Urbis", nel quale si preparavano i reggenti degli "studi" d'Italia.

126) Ibid. XII, 42; 44: "Magisterii laurea illi tantum in Italia decorentur, qui probitatis et doctrinae laude praefulserint et quinquennio regentis munus obierint, vel in princpalioribus... urbibus verbum Dei cum plausu iustaque fama praedicaverint". Ai maestri "di cattedra" si erano già uniti in molti Ordini quelli "di pulpito". Ibid. IX, 424.

127) Dopo il 1680 rinasce la scuola egidiana per merito di Gavardi, Arpe e altri agostiniani d'Italia. HURTER, IV, 68°. Contribuirono allo stesso fine gli spagnoli Antonio de Aguilar e Giovanni Hidalgo, autore il primo dell'edizione completa degli scritti del "Doctor fundatissimus", pubblicata a Cordova negli anni 1699-1712, e il secondo di un corso filosofico "ad mentem Aegidii". Cfr. HURTER, IV, e G. DE SANTIAGO VELA, Ensayo, I, 40 e III, 636.

128) Constitutiones, Roma 1686, parte 5, c. 2; AA. XII, 42. La frase "inconcussa tutissimaque" dottrina, di s. Agostino, è di un breve di Alessandro VII del 1660: Revue d'hist. eccl. 55 (1960) 58.

129) J. DE GHELLINCK, Patristique et moyen-age, III, Gembloux 1948, 449-475; Diction, di theol, cathol. II, 903 ss; VELA, Ensayo, cit. VI, 544.

130) AA. XI: 74-81, NUZZI; 155-167 BELELLI. Tratta di Schiaffinati e Gioia, B. VAN LUIJK, Der Augustiner-Eremit A. Gioia, Wurzburg 1959, 31, 50-60.

131) AA. XII, 97.

132) Theologia historico-dogmatica scholastica, seu libri de theologicis disciplinis, 8 voll., Romae 1739-45. Sulla fortuna di quest'opera - che nelle edizioni successive si intitola "De theologicis disciplinis", cfr. HURTER, V, I ss; riferito all'esito che ottenne in Spagna, cfr. VELA, Ensayo, II 608, V 492, VI 416, VII 303 e 717.

133) Constitutiones, mss. nell'archivio dell'Ordine, parte 5, c.3.

134) HURTER, IV-V, cita vari manuali; si veda anche M. GRABMANN, Historia de la teologìa catòlica, Madrid 1940, 255s. Proposero riforme negli studi i superiori delle province di Colonia e dell'Olanda: J. BUSCHMANN, Eine Schulordnung der Augustiner-Eremiten der Ordensprovinz Koln aus dem Jahre 1709, a Mitteilungen der Gesellschaft fur deutsche erziehungs- und Schukgeschichte 5 (1895) 39-61; A. SILVA, Estatutos para o real collegio de Graça de Coimbra, Lisbona 1774; SIDRO VILLAROIG, Breve método o plan de estudios (per le case del principato di Catalogna) del 1778, ed. "Memorial literario" di Barcellona del 1793 e nella Città di Dio 82 (1910) 775-788. Altre notizie in VELA, Ensayo, nei nomi di Armana, Florez, Ant. Guerrero e Gutierrez de Tortosa.

135) AA. XIII, 400; qui anche il testo che se citerà dopo.

136) Ibid. XIV, 17; 15-19, regolamento e atti del capitolo del 1841.

137) Il sacerdote napoletano G. M. di Folgore è autore delle "Institutiones theologicae", in 6 vol. che già avevano sei edizioni nel 1834; erano anche d'uso generale i citati manuali dei gesuiti Pablo Gabriel Antoine e Segismundo Storchenau. Il capitolo generale del 1841 incluse tra i libri d'uso nelle nostre case di studio la "Introductio in Scripturam sacram", dell'agostiniano Tomàs Moralia, pubblicata a Roma, in 3 tomi, 1828-30.

138) AA. XIV, 80,86.

139) Constitutiones, Roma 1895, parte 5°, c. 4. Anche le Costituzioni del 1686 e alcuni statuti dello stesso secolo prolungavano il corso fino il 25 luglio, o "usque ad festum sanctae Annae", come si dice in alcuni casi; però non fu mai una legge comune a tutte le province agostiniane, che si conformavano sempre all'uso della propria nazione.

140) "Maler, Zeichner, Kupferstecher, Musiker und Mechaniker, Erfinder der musikalischen Spieluhren". Thieme-Becker, Kunstler-Lexikon, X, 555. La Biografia universale, XII, 483, ancora aggiunge che fu competente in zoologia e botanica, e promotore dell'arte d'insegnare ai sordomuti.

141) HURTER, Nomenclator, IV, 521-28, 855-62.

142) Diction. d'archeol. chrétienne et de liturgie, II, 2687 ss.

143) Su Flòrez, che lasciò finiti i tomi 28 e 29 della sua opera, cfr. VELA, Ensayo, II, 507-607, VII, 575-77. Apprezza giustamente i suoi meriti anche HURTER, V, 149-51, dove possono vedersi gli elogi che tributò Gams al principale autore della Spagna sacra. Circa Risco, che continuò l'opera fino il tomo 42 incluso, scrive lo stesso Gams: "Es scheint mir, dass seine Arbeiten und Leistungen nicht sehr weit hinter denen des Meister Florez zuruckstehen". Kirchengeschichte Spaniens III 2, pag. 409 s.

144) Enciclop. Cattol. III, 1578; Lexikon fur Theol. und Kirche, II, 1201.

145) Si veda la nota 128.

146) E l'unica parte della teologia nella quale appaiono le diverse interpretazioni del pensiero di S. Agostino, che fu invece accettato senza divergenze negli altri trattati di dogmatica.

147) Si veda per esempio il Lexikon fur Theol. und Kirche, I, 1090-92, e M. GRABMANN, Geschichte der kathol. Theologie, 197, vers. Spagnola 253.

148) Augustinianum systema de gratia dissert. 4, c I, n°. 15; però dopo allega in suo favore autori dell'uno e dell'altro gruppo. Nel suo "De theologicis disciplinis", lib. 12, c. 3, scrive: "Pugnant enim pro hac sentenia theologi in Augustinum studiosissimi, Norisius, Gavardi, Bellelli, Lafosse, Clenaerts, Pauwens, Rolliers et Lovanienses augustiniani reliqui omnes". Ed. Romae 1739, II, 563. E poichè crede che sia la vera dottrina di S. Agostino, di S. Tommaso e di Egidio Romano, conclude - p. 565: "Quod hi tres docent poterit quisque sartum tectumque tenere".

149) A. TRAPE', in Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, II, Roma 1959, 5-75 passim; D. GUTIERREZ, in Augustinianum I (1961) 150-152.

150) Augustinianum systema de gratia, praefatio, p. XLVIII. Poco dopo aggiunge: "...haec ab omnibus aegidianis propugnata semper fuere".

151) In 2 Sent. d. 28, q. 2 a 2. Allega i passi citati - con altri relativi alla dottrina egidiana sulle virtù degli infedeli - A. TRAPE', Il concorso divino nel pensiero di Egidio Romano, Tolentino 1942, 20-23, 130-133, 154. Si veda anche A. LA VALLE, La giustizia di Adamo e il peccato originale secondo Egidio Romano, Palermo 1939; Diction. de spiritualité, IV, 999 e 1004.

152) Diction. de theol. cathol., I, 2531: "L'augustinisme expliqué et adouci des grands scolastiques". Più ponderato era su questo punto ANSELMO STOLZ, Manuale theologiae dogmaticae, IV, Friburgo de Br. 1940, 104: "Talis sana Augustini auctoritas servatur in theologia scholastica, imprimis thomistica. Attamen considerandus est diversus finis... Sic quidem consonantia doctrinae, non autem verborum statuti potest".

153) H. RONDET, Gratia Christi, Parigi 1948, 217s. Più avanti, p. 321, l'autore avverte: "Le P. Portalié, scolastique et moliniste, est peut-etre ici un peu suspect". L'osservazione si riferisce al giudizio che dà dell'agostinismo di Bellelli e Berti: però equivale a quello che dice Portalié dell'agostinismo dei grandi scolastici.

154) E. HOCEDEZ, Gilles de Rome et saint Thomas, in Mélanges Mandonnet, I, 385-409; G. BRUNI, Egidio Romano e la sua polemica antitomistica, nella Rivista di filosofia neoscolastica 27 (1934) 239-51: P. NASH, Giles of Rome: a pupil but not a disciple of Thomas Aquinas, in J. COLLINS, Readings in ancient and medieval Philosophy, Westminster (Maryland) 1960, 251-57.

155) "Gilles est un disciple de saint Thomas et l'on doit, sans forcer la note, le ranger parmi les thomistes... dans ce sens, qu'il a adopté toutes les grandes thèses du Docteur dominicain": P. MANDONNET, in Revue des sciencies philosophiques et theologiques 4 (1910) 482. "Nei riguardi di san Tommaso Egidio può dirsi discepolo, critico e continuatore": A. TRAPE', nella Enciclop. Cattol. V, 139. Lo stesso conclude HOCEDEZ, 1, c. nella nota precedente.

156) Acta SS martii, Venetiis 1735, I, 672; ed. crit di D. PRUMMER, Fontes vitae S. Thomae, en Revue thomiste del 1924.

157) Non trascriviamo tutto, soltanto parte delle sue dichiarazioni, che possono vedersi complete in Acta SS cit. 688, 714; in Revue thomiste 39 (1934) 383, 404, e in AA. XVI, 364s.

158) E' il testo più antico in favore del titolo "Doctor communis", che fu il più frequente nel medioevo per designare l'Aquinate. A. WALZ, nel DThC, XV, 629.

159) A. LANG, Die Wege der Glaubensbegrunduf (v. sopra nota 85) 123.

160) AA. XVI, 5. Sulle qualità di Alfonso Vargas rispetto all'Angelico, cfr. J. KURZINGER, Alfonsus Vargas Toletanus, Münster 1930, 62.

161) In quatuor libros Sent., Munich, Staatsbibliothek, ms 26711 fol. 230.

162) L. MEIER, in Revue d'hist. Eccles. 50 (1955) 864.

163) IACOBUS PEREZ DE VALENTIA, Expositiones psalmorum (Hain, 12596ss), in ps. 70, 18: "Et usque in senectam et senium".

164) M. FERDIGG in AA. XXX, 295. Non possiamo citare la "Oratio pro s. Thoma Aquinate" (Hain, 3716), perché l'autore, Aurelio Brandolini Lippi, ancora non era agostiniano quando la pronunciò nel 1490.

165) Crònica del glorioso doctor de la Yglesia sant Augustin, Sevilla 1551, f. 54.

166) Conc. Tridentinum, ed. Goerresiana, XII, 614. In una lettera di contenuto teologico, scritta nel 1539 all'umanista Marco Antonio Flaminio, diceva Seripando al destinatario: "Appresso dico che san Tommaso, qual credo intese Agostino quanto qual se voglia altro, tiene apertamente questa opinione nella Summa, la quale è la più exatta opera di tutti i suoi scritti". Poco ammiratore dei molti controversisti del suo tempo, Seripando aggiungeva nella sua lettera: "Et io per me ringratio il Signor Dio che habbiamo un libro simile a quello di Eusebio di praeparatione evangelica et di Agostino de civitate Dei et di san Thomaso contra gentes". H. JEDIN, Seripando, II, 496s.

167) Conc. Trid., ed. cit. V, 743. E finiva con: "Sed has angustias nobis parit philosophia, dum volumus ex eius praescripto de divinis loqui mysteriis. Dicerem igitur, mentionem fidei habendam esse, vel cum dicitur: Passio Christi est causa meritoria, addendo, cuius effectus per fidem ad no pervenit, vel cum dicitur: Baptismus est causa instrumenttalis, addendo, in quo per fidem mors Christi nobis applicatur".

168) D. A. PERINI, Bibliographia august., I, 225s; AA. XXVIII, 293.

169) AA. II, 83, nella lettera di prefazione che antepose alle sue Costituzioni.

170) H. JEDIN, Seripando, II, 239: "Die Urform der vorkonziliaren Rechtfertigungs Iehre Seripandos war vorwiegend thomistisch". Id., Geschichte des Konz. von Treint, II, Friburgo de Br. 1957, 218ss.

171) De recte formando theologiae studio, Antuerpiae 1565, lib. 3, cap. 1.

172) Quaestiones quodlibeticae, Salmanticae 1588, proemio.

173) Nonostante i titoli delle sue opere stampate sembrino indicare che si tratti di commenti ai libri delle Sentenze, l'autore segue più l'ordine e la dottrina della Summa teologica dell'Aquinate. VELA, Ensayo, II, 167-70; HURTER, III, 142s. Dei suoi commenti inediti citeremo il "De Eucharistia", conservato nel ms. 5512 della Bibl. Nazionale di Lisbona e qualificato di prezioso "wertvolle" da Stegmuller, Spanische Forschungen der Goerres-Gesellschaft, I: Reihe, III, 428; ibid. 433, nota d'un codice del "Methodus, hoc est docendi ratio", che il nostro teologo fece nell'anno 1556 e che si considerava perduto.

174) Riferisce della sua brillante carriera e della sua produzione scolastica, VELA, Ensayo, III, 400-499; L. MARTINEZ FERNANDEZ, Sacra doctrina y progreso dogmàtico en los "Reportata" inéditos de Juan de di Guevara, Vitoria 1967.

175) Nella cui Università insegnò teologia dal 1593: "R.P. Fratris Ioannis Puteani... Commentariorum in summam theologiae divi Thomae doctoris angelici tomus prior (et posterior)", in un volume, Tolosae 1637. HURTER, III, 640s.

176) Speculum theologicum seu theologia scholastica ad mentem divi Thomae, Monguntiae 1669, Erfurti 1670; nell'edizione che pubblicò a Coimbra negli anni 1740/45 l'agostiniano portoghese Benito de Meyrelles l'opera non ha 4 volumi., come nelle prime due edizioni, ma 6 volumi, perché l'editore incluse altri trattati di Gibbon. J. HENNING, Augustine Gibbon de Burgo: a study in early irish reaction to Luther, in The Irish ecclesiastical Record 69 (1947) 135-151.

177) Delle edizioni latine dello "Statuto", che si pubblicò anche in Italia e in Belgio, vedi VELA, Ensayo, II, 103-108, VI 358-63. "Quo in negotio -nella composizione dello statuto- omnium lingua et calamus fuit Basilius Ponce de Leòn". Hurter, III, 891.

178) AA. XXIII, 164-372; Revue d'hist. eccl. 51 (1956) 375; 62 (1967) 690.

179) Dal 1949 fino al 1964 ha pubblicato sul tema 6 volumi nella collezione romana delle "Edizioni di Storia e Letteratura".

180) Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, II, Roma 1959.

181) R. ARBESMANN, Der Augustiner-Eremitenorden und der Beginn der humanistischen Bewegung, Würzburg 1965: studio pubblicato prima in AUGUSTINIANA di Lovanio, anni 1964-1965. Di Andrea Biglia, che abbiamo già citato nella nostra nota 66, fece un meritorio elogio Sabbadini, che non esitò presentarlo come "una figura viva, forte, versatile, simpatica... degna di stare accanto al camaldolese Ambrogio Traversari, cui per certi riguardi sorpassa". Istituto Lombardo di scienze e lettere: Rendiconti 39 (1906) 1087-1102.

182) Si veda la nota 93. Altro testo simile del generale Petrocchini in Dd 43,33.

183) Cioè, negli anni 1286-87, quando il capitolo generale di Firenze dava un maggiore impulso agli studi tra gli agostiniani.

184) In quello che si omette parla il testimone del Santo, che non parla dei suoi studi.

185) Pubblicato da H. MEIBON in "Scriptores rerum germanicarum", II, Helmstedt 1688, pp. 188 ss.

186) Appingedam, in Frisia. Il nome moderno degli altri conventi che cita sono Lippstadt, Nordhausen e Helmstedt. LTK di 1930, I, 819.

187) E come definitore appare negli atti del capitolo. AA. VIII, 9.

188) E. MARTENE, Veterum scriptorum... amplissima collectio, III, 1249; G. SIGNORELLI, Il card. Egidio da Viterbo, Firenze 1929, 217-224.

189) JEDIN, Seripando, I, 17-42; AA. XXVI, 13-16, e XXVII, 334ss.

190) Si vedano le note di EHSES, Conc. Trid., V, 826-29.

191) Come insegnava Lutero a colui che oppone il seguente testo di San Paolo.

192) Pontificale Romanum, Lugduni 1542, fol. 22.

193) Indirettamente ai vescovi che avevano impugnato le esenzioni dei regolari pochi mesi prima del concilio di Trento.

194) Biblioteca Vaticana, Barb, lat. 806, 138-139; JEDIN, Seripando, I, 442-46.

195) I. ARAMBURU, Las primitivas Constituciones de los agustinos, Valladolid 1966, che offre anche il testo delle "Additiones" del 1348.

196) E. YPMA, Les statuts pour le couvent de Paris promulgués par Jerome Seripando en 1540, in AA. XXIV, 262-312; JEDIN, o.c. I, 197ss.

197) 10 settembre. Prima della canonizzazione di san Nicola, nel 1446, il corso cominciava "post nativitatem beatae Virginis", mentre nelle università continuò l'uso tradizionale: 18 ottobre "post festum s. Lucae".

198) Secondo il commento di Egidio Romado. AA. XXIV, 18.

199) Enciclop. Cattol. IX, 747; A. R. PERREIAH, in AUGUSTINIANA 17 (1967) 450-61. Le espressioni "magistri regentis officium erit..., baccalarii munus erit" - con la sua ripetizione nel riferirsi ai lettori e al maestro dello studio - sembra che avessero eco nella legislazione di altre famiglie religiose, per esempio in quella dei Servi: cfr. A. M. ROSSI, in Studi storici dell'Ordine dei servi di Maria 26 (1966) 162 ss.

200) "lectores alii" nello stampato; però omette "alii" l'edizione del 1581.

201) Conciliorum oecumenicorum decreta, ed. HERDER 1962, 643-46.

202) "ex approbatis auctoribus linguae latinae", nell'edizione del 1581.

203) Era allora uso comune ricevere il sacerdozio prima di avere finito gli studi: si veda il testo di Schiphower citato nell'appendice I e AA. XXVI, 15-18.

204) Circa gli esercizi universitari per il magistero, si veda con le opere già citate nella nota 41, R. G. VILLOSLADA, La Universidad de Parìs durante los estudios de Francisco de Vitoria, Roma 1938, 359-67.

205) "Fratres nostri, tam novitii quam professi et conversi, sexdecim vicibus in anno communicare debeant", cioè, nelle principali festività dalla prima domenica di Avvento "usque ad festum omnium sanctorum". Cost. del 1551, cap. II.

206) A mezzanotte, dopo tre ore di riposo, approssimativamente.

207) Nello stampato "formam constitutionem", per errore di stampa.

208) Si veda nella nota 73 un decreto del capitolo generale del 1308.

209) "Das Studium der hl. Schrift war fur ihn die Krone der wissenschaftlichen Betatigung des Theologen; nicht der Student, sondern der fertige Theologe sollte sich an ihre Erklarung wagen": JEDIN, Seripando, I, 253.

210) Quando seppe che Diego Lainez nella disputa di Poissy aveva confuso l'apostata Vermigli, Seripando scrisse al cardinale Amulio che la sconfitta dell'italiano non lo stupiva, "perché non ha fondamento nelle discipline". La città di Dio 177 (1964) 262. In quanto ai commenti biblici dei luterani, che il nostro teologo studiava "attente" dall'anno 1531, assicurò nel 1548 al cardinale Cervini, che i suoi autori "pollicentur purum ac simplicem et germanum divinorum voluminum sensum tradere"; però che in effetti, danno al lettore poco grano e molta paglia, poca acqua pura e molto fango. In epp. ad Rom. et ad Gal., dedic. Giudizio che Jedin approva "Man wird kaum bestreiten konnen, dass Seripandos Kritik an der exegetischen Methode der Reformatorem eine wirkliche Schwache traf". II, 395.

211) Dei nomi di Cristo, dedic.: vedi testo della nostra nota 113. Con gli agostiniani ricordati nella pagina corrispondente alla suddetta nota, conviene citarne altri due: Juan de Oseguera e Agustìn de Castro. Il primo è quella "persona religiosa, di lettere e di buon zelo", che il primo vescovo del Messico, il francescano Zumàrraga, designò nel 1537 suo procuratore nel concilio che doveva celebrarsi a Mantova e che dopo ebbe la sua sede a Trento. M. CUEVAS, Documentos inéd. para la historia de México, p. 80; VELA, Ensayo, VI, 200; C. PIANA, Archivium francis. historicum 62 (1969) 207.

Agustìn de Castro era, secondo la relazione che nel 1576 il celebre cardinale Morone mandò da Ratisbona a Roma, "huomo audace et di molte lettere, et a cui l'imperatore crede et dà grata audienza spesso". Nuntiaturberichte, III, 2, p. 100. Aveva professato nel convento di Lisbona, sua patria, nel 1555; nel 1572 fondò nella sua provincia la "Congregacao da India oriental dos eremitas de nosso padre santo Agostinho", di gloriosa memoria nella storia delle missioni; nel 1575 richiesto dall'imperatore Rodolfo II a Gregorio XIII come vicario-riformatore dei conventi agostiniani dei suoi domini, con grande soddisfazione del priore generale Taddeo da Perugia, che aveva in molta stima il seguace portoghese. Non lo stimava meno Filippo II, che lo presentò a Sisto V per la sede di Braga: governò quella diocesi durante gli anni 1587-1609, emulando le virtù pastorali di san Tommaso da Villanova e dei migliori vescovi post-tridentini. VELA, Ensayo, I, 656-59.

Dal registro Dd 36, di Taddeo da Perugia, nei primi 4 mesi del 1575: 7 gennaio: "Data est facultas magistro Petro Bononiensi, ut pro theologo inserviat ill.mo cardinali Lomellino", 45; 28 gennaio: "Archiepiscopo Salernitano respondimus, nos ei provisuros de theologo ordinis nostri", 54; 7 febbraio: "Respondimus litteris prioris Burdigalensis de magistro Briand (Leclerc), nos eum concessisse archiepiscopo, ab eo rogati", 58; 15 marzo: "Magistro Caludio Rosset de Narbona, ut pro theologo inserviat ecclesiae Agathensi, in gratiam episcopi", 68; 17 marzo: "In gratiam rev.mi episcopi Cataniensis locavimus fratrem Michaelem Melo, baccalarium Lusitanum, in conventu Cataniensi, ut inserviat pro theologo illius episcopi", 69. Altre concessioni identiche ibid., ff. 28, 59, 78, 79, 133, 139, 140 e 151: quasi tutte in meno di sei mesi.