Padre
David Perini
note
biografiche
1327-1927
Firenze
1927
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Ricorrendo il VI centenario della felice morte del B. Angelo da Furci, Agostiniano, ho giudicato opportuno presentare alla pietà dei Lettori queste brevi notizie intorno alla sua vita. Esse, senza pretese storiche o letterarie, hanno scopo d’infervorare gli animi e ispirar loro sentimenti di devozione verso l’insigne Figlio di S. Agostino. Possa il Signore infondere in altri il desiderio efficace di trattar più degnamente del Beato suo Servo!
P. D. P. osa
Napoli 6 febbraio 1927
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I. La nascita
A Furci, grazioso paesello della Provincia di
Chieti, presso Vasto, vivevano due coniugi, Adalitto ed Albazia. Costoro,
ricchi e religiosi erano afflitti perchè avanzavansi in età e non avevano
ancora un figlio che, educato al santo timor di Dio, allietasse la loro
vecchiaia. Savi nella loro afflizione, cercavano di rendersi propizio il
Signore, trascorrendo i giorni in continue orazioni, digiuni, mortificazioni,
interponendo presso la Divina Maestà l’intercessione di S. Michele Arcangelo di
cui erano devotissimi. Anzi si portarono in pellegrinaggio al Gargano, ove
sorge il vetusto e celebre Santuario dell’invitto Arcangelo e vi pregarono con
ardore e fiducia. Ritornati a Furci, in sul cader d’una notte, verso l’alba,
ebbero una visione: Apparve loro S. Michele in compagnia di S. Agostino, il
gran Dottore della Chiesa. L’Arcangelo parlò loro: “Non temete, miei devoti,
l’Altissimo ha esaudito le vostre preghiere; avrete un un figlio che nominerete
Angelo; sarà grande agli occhi di Dio, prenderà posto tra i seguaci di questo
Luminare della Chiesa e diverrà gran Santo” (1).
La visione disparve. A suo tempo il desiderio dei pii genitori fu coronato
dalla nascita d’un figliuolo, cui imposero il nome Angelo. Era l’anno 1246.
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(1) Manoscritto citato dai
Bollandisti. - IV febbraio.
II. Prima educazione
Angelo, da piccolo, si mostrò molto inclinato
alle cose religiose, inclinazione, che i suoi genitori cercarono di aiutare e
fecondare. Bimbo ancora, l’affidarono alle premurose cure d’uno zio materno,
abbate di un vicino monastero di Benedettini, detto di S. Angelo in Cornaclano (2). Si chiamava Monte e godeva fama di dotto e
santo monaco. Il pensiero dei genitori di Angelo fu veramente ottimo. Angelo,
sotto la guida dello zio, sviluppò molto felicemente le buone disposizioni del
suo animo nobile e delicato. Era dedito alla preghiera, pronto nell’ubbidire,
modesto, umile, affabile con tutti. Nutriva grande amore verso Gesù
Sacramentato, lo conferma il seguente fatto: nella Badia di Cornaclano, i
ragazzi erano adibiti per turno a spazzare la Chiesa. Una volta toccò ad Angelo
quest’ufficio umile, che egli di cuore gradiva compiere, sebbene di famiglia
distinta; scese in Chiesa con la scopa e si diresse prima a far visita a Gesù
in Sacramento. Fu talmente rapito d’amore verso Gesù che rimase lì in ginocchio
sul gradino dell’altare, immobile, acceso in volto, estasiato... Nel frattempo
la scopa da sè sola spazzava e ripuliva la Chiesa (3).
In questa Abbadia Egli studiò letteratura e filosofia, mostrandosi giovane
d’ingegno svegliato e di grandi speranze. Facilmente si poteva intravedere in
lui il dotto e il santo che avrebbe legate in dolce connubio la scienza e la
santità. A diciotto anni perdè lo zio e ritornò a casa. Nel ritorno diede altra
prova del suo amore verso Dio e della grande fiducia che nutriva in Colui che è
Onnipossente. Doveva passare a guado il fiume Treste che, nei mesi d’inverno,
spesso è in piena. Angelo trovò il fiume oltremodo gonfio. Non si sgomenta,
s’inginocchia, prega il suo Dio il quale agli Ebrei aveva fatto traversare a
piedi asciutti il Mar Rosso, e poi, certo dell’aiuto divino tocca con un
bastoncello le acque. Da una parte le acque s’arrestano, formando come una
muraglia, dall’altra seguono il proprio corso, rimanendo così asciutto il fondo
pietroso del fiume. Lodando e glorificando il Signore il beato giovane passò
all’altra riva e raggiunse felicemente la casa paterna (4).
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(2) Di questa Abbazia non ho
visto che ruderi, forse della torre campanaria, e mucchi di pietre del fabbricato.
E’ situata nel Comune di Fresa, separato da quello di Furci dal torrente
Treste. I Furcesi la dicono: la scuola del B. Angelo. Il Treste è detto anche
Triste.
(3) Dal processo della Curia Arciv. di Napoli (1882).
(4) Dal processo della Curia Arciv. di Napoli.
III. Scelta dello stato
In paese, Angelo ben presto fu conosciuto e
apprezzato quale giovane d’ottime doti. Le fattezze del corpo corrispondevano
alla bellezza del suo animo nobile e puro. Ricche famiglie tentarono
imparentarsi con lui; ne parlarono a suo padre, Adalitto, ma questi rispose:
“Si deve fare quello che Dio ha disposto e che piacerà al mio Angelo. Dopo un
anno dacchè il beato Giovane era in casa, il padre s’inferma mortalmente. Il
santo vecchio chiama al capezzale il figlio e: “Figlio mio, gli dice, prima che
io muoia devo svelarti i disegni di Dio. Noi ti ottenemmo per intercessione di
S. Michele Arcangelo, che ci apparve in sogno, assicurandoci della tua nascita,
e annunziandoci come tu avresti indossato l’abito monacale degli Eremiti di
Sant’Agostino. Sappi ancora che non sono mancate delle generose offerte di
matrimonio. Tu che pensi, che decidi?”. Angelo piangeva e, preso da forte
commozione, riprendeva quasi il padre perchè aveva tardato tanto a manifestargli
i voleri di Dio. La sua decisione fu istantanea. Il suo cuore era solo di Dio.
Il suo ingegno e la perspicacia della sua mente gli mostravano molto chiaro la
vacuità dei piaceri terreni, e quanto sia stolta ed effimera la gloria e la
grandezza della terra. Egli scelse lo stato religioso per assecondare il
disegno della Provvidenza. Volea mettere subito in esecuzione tale decisione.
Ma il moribondo padre lo trattenne: “Io muoio contento, gli disse, perchè hai
scelta la via del Signore, ma attendi ancora un poco; la tua vecchia madre
rimane sola e sconsolata. Tu dovrai pensare all’amministrazione domestica;
quando avrai tutto ordinato, allora andrai là ove Dio ti chiama”. Accondiscese
il giovane. Il padre, benedicendo il figlio, morì. Angelo, di carattere forte e
sereno, sopportò la grave perdita e sostenne la vecchia Albazia nel suo acerbo
dolore. Mentre con sagacia e prudenza dava ordine e assetto alle faccende
familiari, con tutto l’animo aspirava di lasciar tutto per seguire Gesù che disse: “Se vuoi essere
perfetto, va’, vendi tutto ciò che hai, dallo ai poveri, e, vieni, seguimi”.
Trascorso un anno dalla morte del padre,
Angelo, data ai poveri la sua parte, salutò con commovente addio la vecchia madre, i parenti e
gli amici, inculcando loro che si
amassero cordialmente, e si diresse alla volta di Vasto, senza saper
dove, solo fidando nell’aiuto dell’invitto S. Michele Arcangelo e del grande P.
S. Agostino che lo voleva tra i suoi monaci. Il primo fabbricato che incontra
dopo circa sei ore di cammino fu appunto il convento di S. Agostino, allora
situato fuori della città di Vasto (5).
Angelo bussò alla Porta di questo convento, gli venne ad aprire lo stesso
Superiore. Il beato giovane implorò con calde lagrime l’ammissione tra i figli
di S. Agostino desideroso di professare subito la regola. Riunitisi i Padri
Capitolari, Angelo fu ammesso come novizio. Aveva vent’anni. Era il 1266.
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(5) Probabilmente ai tempi del
Beato la Chiesa aveva il titolo di S. Margherita, e giudico che fosse anteriore
alla Unione Agostiniana del 1256. In appresso fu detta di S. Agostino. Nel 1808
per la soppressione napoleonica la Chiesa passò alla Curia Vescovile e divenne
Cattedeale col titolo di S. Giuseppe, titolo che ritiene tuttora. Il Convento
ridotto ad abitazioni private è quasi irriconoscibile. Si mostrano in una
stanza alcuni affreschi di Santi e Sante, quasi tutti agostiniani. S’indica
pure una camera dove, dicono, abbia dimorato il Beato.
L’anno del noviziato mise in luce la santità
del giovane frate. Egli si mostrò provetto nello stato religioso, che aveva già
conosciuto, apprezzato e seguito nell’Abbadia di Cornaclano. Fu esempio e
modello di disciplina religiosa: non attaccamento alle ricchezze temporali, non
sciupìo delle cose affidategli, non amore e sollecitudine pel corpo, non
schiavitù alla propria volontà. Angelo, povero, casto, ubbidiente, dedito alla
preghiera, alla penitenza, non poteva non essere ammirato anche dai religiosi
più anziani del convento come riferiscono i suoi storici. Emise con tenerezza i
voti religiosi e attese quattro anni allo studio della teologia. I Superiori
scorsero in lui un giovine di eletta intelligenza, molto ben promettente in
quei tempi in cui la S. Chiesa aveva bisogno di validi difensori. Compiuti gli
studi teologici che gli servirono ad avvicinarsi maggiormente a Dio che è il
Signore delle scienze fu ordinato sacerdote con immenso giubilo del suo cuore
immacolato. Indi fu mandato a Parigi, ove si inviavano i Giovani di grandi
speranze. Il P. Angelo, che contava circa 25 anni, volle viaggiare a piedi e,
dopo varie tappe arrivò in quella città di glorie e grandezze. Era il 1271.
S’incontrò a Parigi col B. Egidio Colonna Romano, dottore fondatissimo
dell’Ordine di S. Agostino e l’ebbe a maestro (6).
Costui, pieno d’ammirazione pel giovane frate, lo volle tenere in sua casa e lo
soccorse coi suoi proventi (7). Qui il P.
Angelo godè la stima e l’amicizia d’altri sommi della Chiesa e dell’Ordine
Agostiniano, tra gli altri, conobbe il B. Clemente d’Osimo il quale,
rinunziando al Generalato dell’Ordine nel 1274, era ritornato a Parigi. Il P.
Angelo dimorò in questa città cinque anni, fino al 1276. Col grado di Lettore,
recando seco dottrina e santità, fe’ ritorno negli Abruzzi per insegnarvi
teologia.
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(6) Così il ms. cit. dai
Bollandisti e altri.
(7) Il convento degli
agostiniani era lontano dall’Università Teologica, perciò gli studenti erano costretti
a vivere in case private, a spese della Provincia religiosa a cui
appartenevano.
Non sappiamo in qual
convento abbia insegnato; ma, pare, che circa otto anni sia stato nella sua
Provincia. Certo i suoi fervori, giovanilmente maturi, procacciarono un gran
bene ai nostri studenti, avidi di sapere e di santità. Il B. Clemente d’Osimo,
rieletto Generale dell’Ordine nel 1284, venne a Napoli a presiedere il Capitolo
Provinciale in S. Agostino. Il P. Angelo, o chiamatovi, o per altri affari, o
semplicemente per prestare un doveroso omaggio al Beato Clemente come l’aveva
onorato di sua amicizia a Parigi, si portò a Napoli. Il P. Generale, conoscendo
la fama del dotto e santo Maestro, lo scelse a Lettore primario della cattedra
di teologia in S. Agostino in Napoli. La scelta fu fortunata. Gli storici sono
concordi nell’affermare che le sue lezioni produssero negli animi degli scolari
ottimi frutti di dottrina e di santità. Bisogna ricordare che in quei tempi la
cattedra agostiniana di teologia era frequentata non solo dagli studenti del
nostro Ordine, ma ancora dal clero e dai laici. Con fervore si studiava la S.
Scrittura e il nostro Beato era mirabile nell’esposizione di questa. Per volere
del clero e dei suoi studenti fu costretto a pubblicare un bellissimo
Commentario su S. Matteo, molto lodato da’ suoi biografi (8). A lui ricorreano, come ad oracolo, i più
cospicui personaggi del tempo, anzi, fu tanta la stima che godeva come
professore, che tre anni dopo la sua scelta il B. Clemente, imponendogli
d’accettare l’ufficio di Superiore Provinciale, non lo dispensava da quello di
insegnante, sapendo il gran frutto che si ricavava dai suoi insegnamenti.
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(8) Ancora introvabile.
VII. Il superiore
Quando
nel Capitolo Provinciale, tenutosi fra il 1288 e il 1291, tutti i Padri
Capitolari furono d’accordo nell’eleggere a Provinciale il P. Angelo da Furci,
questi umilmente rifiutò, ritenendosi incapace al governo. Ma il B. Clemente
gl’impose d’accettare. Egli ubbidì e mostrò col fatto che quanto abile
nell’insegnare, tanto capace riusciva nel governare. Uomo di grande umiltà, di
sano criterio pratico, d’energia prudente ed amorevole, possedeva tutte le doti
dell’uomo di governo. Amava ed era più amato che temuto. Si notava nel suo volto
sereno e leale la brama di farsi servo dei sudditi, pur di renderli felici.
Tante sue alte qualità non potevano nascondersi. Scrivono molti biografi che fu
richiesto d’accettare prima il Vescovato di Acerra e poi quello di Melfi ma il
Beato umilmente rifiutò.
VIII. Predicatore e scrittore
Nei momenti in cui la scuola glielo
permetteva, il Beato s’adoperava a far rivivere nei popoli la prisca virtù. Le
invasioni barbariche avevavo portato confusione, fanatismo e corruzione. Errori
e vizi offuscavano la mente e il cuore, e, cosa peggiore, l’errore ed il vizio
venivano difesi col S. Vangelo. La voce del Beato dai pergami, mentre
illuminava gli intelletti, presentando il vero nella sua schietta veste,
infervorava anche gli animi al bene. Ma la parola non è sempre bastante per
convincere, anche se parola di santo. L’uomo è attratto dal meraviglioso. Il
miracolo ha voce più stringente, più eloquente. E si racconta che, predicando a
Furci, un incredulo ignorante non volea convincersi e, disprezzando il Santo, pubblicamente,
in tono di scherno gli disse: “Fa che apparisca qui avanti a noi un albero
d’arancio e io crederò”. Il Beato che mirava a consolidare il popolo nella fede
allora indebolita, pregò il Signore con quella fede la quale, come dice il
Divino Maestro, sposta perfino le montagne, poi comandò che spuntasse dal
pulpito un ramoscello d’arancio e il ramoscello spuntò (9). Scrisse i suoi sermoni a beneficio dei
popoli, ma disgraziatamente non sappiamo dove si conservino (10).
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(9) Dal processo della Curia
Arciv. di Napoli. Per questo miracolo il B. viene rappresentato in alcuni
dipinti con un ramoscello di arancio. V’era anche nell’urna, ma nel ripulirla
(nel 1874) fu tolto e non si pensò a rimetterlo, forse se ne ignorava il significato.
(10) Forse sono attribuiti ad
altro scrittore. Nicolò Coppi, patrizio di Chieti, nella sua Biblioteca
Napoletana stampata a Napoli il 1678, catalogata tra i mss. nella Biblioteca
Nazionale di Napoli, XIV. A. 40-41 a pag. 17, parlando del Beato Nostro scrive:
“Conservasi nel Monastero di S. Giacomo in Bologna un volume dei suoi sermoni ms.
la cui vita anco ms. in S. Giov. a Carbonara di Napoli”.
IX. La morte
Giunto in età di 81 anni, nel 1327, colpito
da morbo, dovè arrestare le sue fatiche. Il santo vegliardo sul letto di morte
cercava umilmente di nascondersi, ritenea inutile la sua esistenza su la terra.
Ma i religiosi, il clero, gli studenti, il popolo che ne conoscevano il pregio,
lo circondavano amorosamente piangenti e dolorosi per paura di perderlo. L’uomo
di Dio rassicurava e benediceva i visitatori e si raccomandava alle loro preci.
Mentre le forze gli venivano meno, l’animo vieppiù si infocava ed ardeva dal
desiderio di unirsi a Gesù Crocifisso. La notte del 6 febbraio segnò il felice
trapasso. Bella, pura, innocente, quale candida colomba gemente d’amore l’anima
beata volò dallo stanco corpo che rimase immobile, dall’aspetto sereno,
giulivo, quasi attratto da una forza sovrumana che tutto lo pervadeva e lo
rendeva ammirabile. Veramente preziosa è la morte del giusto! Quel sacro
deposito fu oggetto di venerazione non comune. Rivestito dell’abito monacale,
esposto in Chiesa, fu causa di strepitosi miracoli: guarigioni di corpi e di
anime. Molti infermi risanati, molti peccatori convertiti innalzarono,
d’accordo coi fedeli spettatori, un cantico di benedizioni al vecchio frate che
sorridea dalla bara, quale padre tra i figli. La stima, la venerazione divenne
culto: lo si chiamò Beato, Santo; la voce dei portenti, autenticandone la
santità fè’ sì che il corpo si tumulasse in un luogo distinto, nella Cappella
del Presepio, per soddisfare alla devozione dei fedeli (11).
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(11) Questa Cappella era
nell’antica Chiesa di S. Agostino alla Zecca.
X. Il culto e la conferma
A Furci ben presto giunse notizia
della morte del Beato e dei fatti miracolosi. I Furcesi elessero il
concittadino fortunato a loro Patrono e convertirono in Chiesa la casa paterna
ove era nato. Nel 1501 edificarono un’altra Cappella in suo onore (12). Nel 1599 inviavano a Napoli una delegazione
per chiedere qualche reliquia del Beato, ed ottennero dai frati la gamba ed il
braccio destro. Intanto l’antica Chiesa di S. Agostino alla Zecca in Napoli,
mezzo diroccata pel fortissimo terremoto del 1456 e da varie altre sciagure, fu
abbattuta e nel 1631 si cominciò la fabbrica della Chiesa attuale. In quei
momenti di confusione, quando andarono perdute tante illustri glorie cittadine
e dell’Ordine, si pensò al corpo del Beato, tumulandolo nella Cappella del
Crocifisso nel lato dell’Evangelo (13).
Nel 1715, a Furci, la Chiesa parrocchiale si ampliò d’un’altra navata e
Giuseppe Cencioni vi fece innalzare un’altare al Beato. Nel 1785 l’arciprete
Pinti fece riporre le reliquie ricevute nel 1599 in un’urna d’argento del
valore di trecento ducati. Quando poi, per la prepotente invasione di
Napoleone, i religiosi furono costretti a lasciare il convento e la Chiesa di
S. Agostino in Napoli, i Furcesi nel 1808 ottennero dal Vicerè Gioacchino Murat
e dall’Autorità ecclesiastica di trasportare il corpo del B. Angelo nel loro
paese (14). Con gran pompa, con grandi
feste e per ogni dove fatto segno a grandi manifestazioni di culto, giunse il
felice convoglio a Furci il 13 agosto 1808. La festa in ricorrenza di questa
traslazione si celebra il 13 settembre con ogni solennità. Il corpo a cui
furono riunite le reliquie del 1599, ricomposto e rivestito e con maschera di
cera fu deposto in un’urna di cristallo e collocato nella chiesa parrocchiale
sul proprio altare. Nel 1847 s’edificò nella Chiesa parrocchiale la Cappella
del Beato e la sacra urna si depose su l’altare principale della navata destra
nel 1861. L’antichissimo tempietto costruito su la casa paterna veniva per la
terza volta riedificato nel 1874. A questa devozione dei suoi concittadini il
Beato corrispondeva con numerose grazie e favori. Nel 1836, mentre intorno
infieriva il colera, Furci fu risparmiato in modo mirabile. Molte volte uragani
funesti pei paesi vicini furono innocui per il territorio di Furci. Furono
sedate discordie, allontanati flagelli e molti languenti al suo sepolcro
riacquistarono novella vita. Il titolo di Beato attribultogli ab
immemorabili da scrittori, da concittadini e dai nostri religiosi fu
ratificato e confermato dall’immortale Leone XIII il 20 dicembre 1888 (15).
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(12) Nel 1770 fu intitolata al Purgatorio ed in
appresso diroccata.
(13) Quivi è sepolto ora il corpo
della Ven. Suor Maria Monica Dorotea Crocifissa, terziaria agostiniana.
(14) I Furcesi portarono seco la
lapide che copriva l’avello, più due
dipinti del B. che stavano nel chiostro. A S. Agostino a Napoli, presso i
frati, non v’è ora alcuna memoria.
(15) Nel 1882 si compì a Napoli
presso la Curia Arciv. il processo per la conferma del culto ab immemorabili.
Ne fu postulatore il nostro benemerito P. M.ro Francesco Lanza che pubblicò la
Vita nel 1889. Testimoni d’ufficio furono il dotto Sac. Luigi Parascandolo, autore della Storia
della Chiesa di Napoli, e il celebre Storico Bartolomeo Capasso, scrittore di
varie ed importanti opere.
XI. Ultimi prodigi.
Il 17 maggio
1911 è data memoranda pei Furcesi. Ogni anno il 17 maggio è per essi giorno di
festa. In tale giorno circa 500 persone constatarono come il Beato moveva gli
occhi intorno intorno per vari minuti. Il giorno dopo si notò ancora scaturire
una manna prodigiosa dai marmi dell’altare su cui è esposto. Nello stesso
giorno 17 maggio 1911 a una bambina che giocherellava nel campo, mentre la
madre attendeva al lavoro, apparve il Beato d’aspetto dolcissimo, vestito da
frate e paternamente le disse: “Non senti tu le campane che suonano a Furci?
Di’ a mamma che al paese si fa festa”. La bimba corse dalla madre e il Beato
disparve. Da quel giorno Furci divenne mèta di numerosissimi pellegrinaggi e
luogo di strepitosi miracoli. Molti beneficati ritornano ogni anno al loro
santo Benefattore. Nel settembre 1924 ebbi occasione di trascorrere alcuni
giorni a Furci, durante le grandiosi feste in onore del Beato Patrono. Potetti
avvicinare vari beneficati per udire il racconto della guarigione. Un
brav’uomo, di Pollutri, su la sessantina, raccontava con molta fede come per
una malattia resosi inabile a camminare e dopo aver tentato invano i soccorsi
della chirurgia, fu condotto dal figlio all’altare del Beato ottenendone
istantanea guarigione. Un altro già paralitico da vari anni, impossibilitato a
muoversi, mi ripeteva commosso come, tre anni prima, raccomandandosi al B., gli
parve che una forza straordinaria lo pervadesse e si alzò immantinente guarito.
Un moribondo in agonia vede apparirglisi il Beato vestito da frate, che
amabilmente passandogli la mano sul capo, gli dice: Guarisci; ed immediatamente
guarì. Una madre mi presentava una giovane diciassettenne, sua figlia, e mi
ripeteva commossa, come, otto anni prima, la sua bimba era sorda e muta
completamente. “E la guardi ora, diceva, le parli, ella sente benissimo e parla
che è una bellezza; queste donne sono testimoni; senta loro”. Di fatto
ognuna mi ripetè minuziosamente il prodigio. Tutti, a gara, descrivono fatti e
miracoli veduti o sentiti. E parlavano con tale una fede ed uno slancio da
stupire. La fama di questi miracoli è giunta agli orecchi del Successore di Pietro.
Speriamo che fra non molto l’infallibile oracolo annunzi al mondo intero come
Angelo da Furci, eremita di S. Agostino, è uomo di eroiche virtù e lo presenti
quale modello di santità. Attendiamo fiduciosi! Grande è l’apogeo della gloria
a cui è giunto il B. Angelo che potrebbe denominarsi il “Taumaturgo di Furci”. Ma quel
Dio che non ha fretta, appunto perchè è Onnipotente non ha detto basta. A me
pare che il Signore, grande nell’esaltare l’umile servo, gli farà irradiare
tanta luce dal paesello natio, nascosto sui cari monti abruzzesi, che là
correranno estasiati i popoli per apprendere da questo povero frate come si
trionfa su sè stessi, sul demonio, sulla carne e sul mondo. Sia lode a Dio, alla Vergine Maria, al S. P.
Agostino e al B. Angelo.
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1.
AMBROSIUS CORIOLANUS, Chronica Ordinis Augustiniani. Romae
1481, num. 24.
2. B. ALPHONSUS AB OROZCO, Chronica
del glorioso Padre y doctor de la
yglesia Sant’Agustin, a. 1551,
pag. 50.
3. CARD. HIERINIMUS SERIPANDUS, Constitutiones Ord. fr. Eremit. S. Aug. an. 1551, Catalogo dei BB.
4. FR. HIERINIMUS ROMAN, Chronica de la Orden de los
Eremitanos, Salamanca 1569, pag. 147.
5. FR. SIMPLICIANUS TORRINI, Grazie, indulgenze dei
Cinturati. Bologna 1578.
6. FR. JOSEPH
PAMPHILUS, Chronica Ordinis fratrum Eremit. S. Aug., Romae 1581, pag. 133).
7. I. BOLLANDUS –
G. HENSCHENIUS, Acta Sanctorum. Romae
1581, tom. I, pag. 927.
8. FR. GIROLAMO NOLANO, Privilegi, grazie ecc. dell’Ord. Erem.,
Napoli 1586.
9. P. AURELIO FILIPPINI, Giardino
odorifero… dei Cinturati, 1603,
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10. FR. IUAN GONZALES DE CRITANA, Libro de l’Archifradia de la Cinta. Valladolid
1604, pag. 6.
11. P. FR. NICOLAUS CRUSENIUS, Monasticum
Augustinianum, Monachii 1623, pag. 128.
12. CAESAR EUGENIUS
CARACCIOLUS, Neapolis Sacra. 1624, fol. 364 (col MS. di Carlo De Lellis).
13. FR. PHILIPPUS FERRARIUS, Catalogus generalis Sanctorum, Venetiis
1625, 6 febbraio, pag. 65.
14. Compendio dell’origine, miracoli, indulgenza della s. Cintura ecc. Verona 1641, pag. 316.
15. FR. THOMAS HERRERA, Alphabetum Augustinianum, Matriti 1644, pag. 10.
16. FR. LUIGI TORELLI, Ristretto
delle vite degli Uomini e delle Donne illustri
in Santità dell’Ordine Agostiniano, Bologna 1647, pag. 292.
17. FR. A. AGOSTINO SILIMAN, Tavole di vite e immagini di BB. Agostiniani, Bologna 1647, num. 54.
18. FR. PHILIPPUS ELSIUS, Encomiasticon August., Bruxelles 1654, pag. 61.
19. FR. ALOYSIUS TORELLI, Secoli Agostiniani,
Bologna 1628, tomo 5, pag. 430.
20. NICOLA TOPPI, Biblioteca Napoletana, 1678,
fol. 17.
21. LORENZO EMPOLI, Bullarium Ord. S. Aug..
22. FR. DOM. ANTONIUS GANDOLFO, Dissertatio historica de 200 celeberrimis August. Scriptoribus, Roma 1704, pag. 63.
23. FR. IOSEPH DE S. ANTONIO, Flores Sanctorum
Augustinianorum, Leisboa occident. 1721, pag. 343.
24. FR. AGOSTINO M. ARPE, Giornale dei Santi e Beati Agostiniani, Genova 1722, pag 67.
25. FR. IOSEPHUS AB
ASSUMPTIONE, Martyrologium Augustinianum, Ulyssipone 1743, pag. 101.
26. Copia di una descrizione del Comune di Furci dettagliatamente fatta nel 1750 circa.
27. FR. FELICIS OSSINGER, Bibliotheca
Augustiniana, Ingolstadii 1768, pag. 376.
28. HAGIOLOGIUM ITALICUM,
Bassani 1773, tom. I, pag. 80.
29. Due relazioni redatte da
due Parroci di Furci. La prima del 1823, la seconda del 1851.
30. LUIGI MARCHESANI, Storia di Vasto, Napoli 1838, pag. 253.
31. SAC. LUIGI PARASCANDOLO, Memorie della Chiesa di Napoli, tom. IV, 1851, pag. 23, nota 3.
32. DE BENEDICTIS GIUSEPPE, Memorie storiche
della Città di Vasto. Codice cartaceo in fogli della prima metà del
1800. Biblioteca Nazionale di Napoli, ms. X. C. 22.
33. FR. IOSEPHUS LANTERI, Postrema saecula sex Relig. Augustinianae, Tolentini 1858, tom. I, saec. I,
pag. 64.
34. D’AVINO, Dizionario dell’Ecclesiastico. Enciclopedia, fol. IV, pag. 576.
35. P. M. FRANCESCO LANZA, Vita del B Angelo da Furci, Roma 1889.