CAP. I

Origine delli Frati Eremitani dell’Ordine di Santo Agostino e la sua vera institutione avanti al gran Concilio Lateranense

[Pag. 1] La inconstanza nell'humane cose è così stabil, e vigorosa, che non v'hà industria, nè potere, che per ischivarla basti. Tutte quelle cose, che sotto il sole si generano hanno i loro tempi, e co’ le proprie età se ne passano: Omnia tempus habent, et suis spatiis transeunt universa sub coelo (Eccles. 3, 1). Tempo ci è di piantare (dice Salamone) e di sterpar ciò che fu piantato. Tempo ancora di dare il guasto, e di edificare il distrutto. Tempo d'aventar le pietre dall'edificio, e di ritornare ad unirle. L'acquistare, et il perdere, il conservare, et lo spargere, il cusire, e lo sdruscire fruiscono i loro tempi; il tacere, et il parlare i suoi: e finalmente (come ne palesa il testo Hebreo). tutti gli humani instituti hanno vicissitudine, e soggiacciono a quest'alternativa (Heb. Omnia instituta hominum habent tempus suum. Vatab. Ecc. 3, num. 1). Essendo questa legge universale, non è da maravigliarsi, che l'Ordine nostro in mille ducent'anni vi sia stato soggetto, nè che sia stato in un secolo ascoso nelle viscere della terra, e nell'altro uscito alla luce, e venuto alla vista di tutti: poichè come Aiace disse di Sofocle: Longum, et immensum tempus, et occulta profert, et manifesta abscondit. Il tempo quando soverchiamente s'allunga, sepellisce le cose manifeste, e disotterra l'occulte. Già, la Dio mercè, se n'è passato il tempo, nel quale furono muti gli Autori intorno a questa sagrata Origine; imperochè son'oggi tante le penne, che di lei scrivono, che ricompensano, e con vantaggio, tutto il silentio del passato. Crediamo, che la cagione, per cui egli è stato sì lungo, fu la simplicità di que' nostri primi Eremitani, che ritirati nelle solitudini loro, non si ramentarono di scrivere i fatti di que' secoli, rimettendo la memoria di quelli nelle sole traditioni, naturali pruove di verità così antiche: perciochè come disse Tertuliano, innanzi alla penna vi fu la lingua, e prima vi fu traditione, che scrittura (De testimonio animae, cap. 5). Nè possiamo incolpargli di negligenza, perchè fidavano ogni cosa a Dio, seguitando il consiglio del Vangelo, in non metter sollecitudine per lo giorno del domani. Di questi par che ragionasse Sant'Hilario quando disse: Incuria industriae relaxatae non negligentiae, sed fidei est (Can. 5 in Matthaeum). Che lo haver rallentato nella diligenza, non fu negligenza, ma fede. Non sdrucciolarono in quello, che non si dubitava all'hora, potersi dubitar di poi; nè temettero malitia, ne tempi venturi, accostumati alla bontà de suoi. Ma come dice Seneca, subitamente il vaso manda fuori il liquor più semplice, indi quanto più se ne cava, tanto maggiormente n'esce torbido, e mescolato: Ex amphora primum, quod est sincerissimum effluit, gravissimum quodque turbidumque subsidit (Lib. 19 Epist. 109). Lo stesso avvien ne tempi, che quanto più ritardano, tanto più son torbidi, così van tralignando dalla primiera sincerità: Meliora praetervolant, deteriora succedunt. [Pag. 2] Questa è stata la cagione di ritruovarsi chi dubiti nella verace origine della sagrata nostra Religione, e che non vi manchi alcuno, che spacchiandola per sommersa nell'acque dell'oblivione si maravigliano al presente di vederla quindi sollevar il capo. Ma quest’ammiratione non mi porrebbe in obbligo di metter mano alla penna; Conciosiacosa che nè d'ella è degna di riprensione, nè cagiona soverchio pregiudicio. Quello ch'à scrivere mi sforza; è una favola, da pochi giorni in qua seminata, la quale senz'haver maggior fondamento, che l'inganno d'un'Autor (Raphael Volterran. Lib. 21 Antropologiae) così facile da convincere, che a pena egli ebbe in che ingannarsi; Tuttavia parendo materia di poca verificatione ha ritruovato chi le dà credenza, senza considerare, che tali novità per lo medesimo lor peso si precipitano a terra, e che il voler sostentarle, sarebbe pruovar le sue forze nel sasso di Sisifo, o regger con la mano un Cielo, ch'à più forzuti Athlanti caderia di spalla. Quest'è la favola: dir che il Glorioso Dot. San Bonaventura essendo Ministro Generale dell'Ordine del Serafico Padre San Francesco fu fondator del nostro, e che send'egli poscia Cardinale, et volendo Papa Gregorio Decimo ridurre tutti gli Ordini Mendicanti a quelli di S. Domenico, e di S. Francesco, valse col Pontefice l'autorità di lui, acciochè quest'Ordine non si annullasse; anzi di nuovo si confirmasse. L'una cosa, e l'altra di persuader pretende il M. R. P. Frat'Antonio Daza dell'Ordine del Serafico P. San Francesco suo Cronista Generale, e Diffinitor della Provincia della Concettione in un discorso, ch'egli mandò in stampa sul principio della quarta parte dell'Historia Generale del suo Ordine. E per la prima si prevale delli Autori ch'appresso si vedranno, e secondariamente del solo suo pensiero. Diedegli motivo per iscriver questo, l'haver letto nel P. Fra Girolamo Romano, che il Serafico P. S. Francesco avanti, che fondasse la sagrata Religione de'Frati Minori, fu religioso della nostra, e professò il di lei instituto nelle mani di San Giovan Buono, cosa, al di lui giudicio, di tanto suo aggravio, che come s'un'ingiuria s'havesse a pagar con un'altra, si diede per obligato mendicarne alcuna per contraporsi, e non puote ritrovarne altra eguale, alla favola su riferita. Per darle maggior colore parimente s'estende in pungere i Religiosi, che nell'Ordine nostro viveano al tempo delli due Pontefici Innocentio Quarto, et Alessandro Quarto, dicendo di loro: ch'erano huomini vagabondi, e d'habito incerto, c'havevano il mondo per suo, et in esso non capivano, nè bastavano li Vescovi per redurli a Clausura, et Ubidienza. E pure è vero, che come pruoverò nel cap. 13, §. 11, in nisun tempo la nostra Religione fu più numerosa di Religiosi d'essempio, che in quello delli sovra nominati due Pontefici; cose che sentir non si possono senza dolore, e (quelch'è peggio) non senza scandalo, particolarmente di quelli, che sanno con certezza quel ch'in questo caso passò. Quanto sia lecita, e natural la propria difesa, non temo truovar chi ne dubiti: Si in defensionem mei aliqua scripsero, (disse S. Girolamo, Epist. 14 apud Aug.) in te culpa est, qui provocasti, non in me, qui respondere compulsus sum. E s'ella non è propria: ma della patria, arriva a farsi lodevole, e di molta forza. Soleva dir Homero, che il miglior Pronostico è' l pigliar l'armi per lei, perciò Nicanor (2Machac. 14, num. 18) si procacciò l'amistà di Giuda per non si arrischiare con chi per la Patria combattea. Ma quando si pugna per l'honor della Madre, e dei fratelli offesi, s'è degno di scusa, etiandio che si passino e termini. Confesso con ogni verità, che se ben veggio tanto ingiuriati i miei, nondimeno son più compassionevole, che sdegnato, et è avvenuto a me quel ch'al gran Pontefice de gli Hebrei Hircano, che facendo Tolomeo comparir su le mura sua madre, e fratelli, et alla sua presenza crudelmente percuotendoli, con tener l'armi in mano per dar l'assalto al Castello, con tutto ciò a quel fiero spettacolo, più lo mosse la compassione, che l'ira, tanto s'avanzava il dolore di veder mal tattarli (Iosephus lib. 1 de Bello Iudaico, cap. 2). Procurerò non ostante di temperare il mio, acciò che non mi cagioni impedimento in questo pietoso ufficio al qual ho dedicato la fatica mia, stimando per sufficiente premio di quella, il comparir pietoso al cospetto di Madre tanto sagrata, della qual cosa mi porge grand'essempio il P. N. S. Agostino giudicando per ben ricompensata la servitù fatta a sua madre S. Monica, col riconoscimento che vicin a morte fece la Santa della di lui pietade (Lib. 9 Confess. Cap. 12, gratulabar testimonio eius quod a ultima aegritudine obsequiis meis appellabat me pium). Onde perchè non è mio proponimento di resuscitar liti immortali; ma di chiuder l'ingresso a cose, che sotto specie di novità potrebbono invaghire gli occhi del Populo, non m'occuperò in raccontare la fondatione di quest'ordine dalla conversione del N. P. S. Agostino; perchè per continuar la sua descendenza, vi faria dimestiero maggior tempo di quello, che mi concede la necessità per confutar questo sogno. Se ben con la brevità, che richiede l'argomento di quest'opera, mostrerò che il Glorioso Dottore l'instituì, e consagrò con quelle sante membra la cintola, e l'habito, che portiamo. Solamente ingegnerommi di pruovare (col favor della gratia del Signore) che la domanda, con la quale è riconvenuto il Padre Romano è molto disugual all'oltraggio, ch'egli si ascrive, per esser differente l'una materia dall'altra, e per non esser della stessa verisimilitudine la commission di S. Bonaventura per instituire l'Ordine degli Eremitani di S. Agostino, che il novitiato, e profession di S. Francesco nel Monastero di S. Giovan Buono di Mantova. Laonde per procedere con maggior chiarezza, [Pag. 3] primieramente porrò le parole, che mi pregiudicano senza fuggire l'incontro a cosa, che possa far in suo favore. Indi allegherò quello che il suo Autor dovea contro se medesimo opporre, e procurarne risposta; acciochè quello, che non fece quando vi fu obligato, lo faccia, se vorrà, havendogline rammentato. Finalmente addurrò una Bolla di Papa Alessandro Quarto, nella quale il Padre Roman tentò di fondare, che l'habito de gli nostri Eremitani ne' tempi antichi era il medesimo, che Vincenzo Belvacense, San Bonaventura, Sant'Antonino di Fiorenza, et altri Autori dicono, che portò il Glorioso Patriarca San Francesco, avanti che desse principio alla sagrata Religion de' Minori, per riconvenirlo a suo piacere, con le parole della Bolla, mette il seguente discorso.

§. I

Discorso del Padre Daza

La seconda cosa che si raccoglie da questa Bolla è che l'Ordine de' Religiosi Eremitani, che communemente chiamiamo di Sant'Agostino, non si chiama così perchè il S. Dottor il fondasse, come si raccoglie dalla clausula, cum dilectus, e l'affermano molti Autori; ma perchè Papa Innocentio IV commandò, che di molte Congregationi di Romiti, ch'andavano per Lombardia e Romagna si facesse una Religione, la quale professasse la regola di s. Agostino, e si chiamassero suoi figli, e l'havessero per Padre, sichè il diede loro per Padrone, come alle Monache Convertite il titolo e nome di figlie di S. Agostino, e come tali professano la sua Regola, portano il suo habito, e la cintola; ma non per questo si dice, che il S. Dottor le fondasse, perchè son molto moderne, e fondate da un Frate di S. Francesco, chiamato Fra Giovanni Tiferro Francese. Et all'Ordine di S. Domenico, et a quello del Carmine, et ad altre molte Religioni, che in numero son più di trenta, concedette la Seggia Apostolica in diversi tempi, che militassero sotto la Regola di S. Agostino; ma non perciò si dice che il S. Dottor le fondasse, e come alli Padri di S. Girolamo, che Papa Gregorio XI, nell'anno 1373, nel terzo del suo pontificato diede il titolo, e il nome di Frati di S. Girolamo senza che il Santo havesse fondato quell'Ordine, così la Sede Apostolica diede a questi Padri Eremiti il titolo, e nome d'Eremitani di S. Agostino, non perchè il Glorioso Santo li fondasse, che non fu mai Romito, anzi hebbe rivelatione per non diventarlo, come il medesimo Santo confessa nel libro 10 delle sue confessioni nell'ultimo cap.: Conterritus peccatis meis, et mole miseriae meae agitaveram in corde meo, meditatusque fueram fugam in solitudinem, sed prohibuisti me Domine, dicens: ideo Christus pro omnibus mortuus est, ut qui vivunt, iam non tibi vivant, sed ei, qui pro eis mortuus est? ne fa contro questo il dire, che il Glorioso S. Agostino scrisse alcuni sermoni ad Fratres in Eremo; perchè secondo S. Antonino, non furono dell'Ordine di S. Agostino; ma più antichi di lui, ne osservarono la forma del vivere, che servan quelli, ch'hora si chiamano Eremitani di Sant'Agostino, le sue parole son queste: Non erant illi proprie loquendo, illius Ordinis, et modi vitae, cuius nunc sunt, qui dicuntur Eremitani, et habitant in Civitatibus, et Villis, et Castris. Lo stesso dice il Vescovo di Sinigalia, nella dichiaratione di questa Bolla, con parole tanto particolari, che per esserle troppo non posso mancar di metterle qua: Est ista Bulla clarum habetur, quiquidem Eremitae, ideo vulgo nuncupantur Ordinis S. Augustini, non quod eos Augustinus instituisset, sed quia Innocentius Pontifex huius nominis IV, praefati Alexandri IV, immediate praedecessor ipsis Eremitis pie indulsit, ut vivere, ac militare valerent sub Regula S. Augustini, et Divinum Officium, secundum ordinem Romanae Curiae celebrarent. Cum antea (ut luce clarius constat) ipsi Eremitae vagi incertique habitus fuissent. Il medesimo, e molto più dice il dottissimo Roberto Holcoth, non riferisco le sue parole, anzi per esser elle un poco pungenti le lascio a posta di referire: perchè come dissi al principio non è mia intentione di offendere, ma di diffendere la verità dell'Historie del mio Ordine, et in particolar questa del nostro P. San Francesco scritta dal Serafico Dottor S. Bonaventura. Talchè osservo, che il primo, il quale trattasse di far unione di queste Congregationi d'Eremitani tanto differenti, ch'andavano per la Lombardia e la Romagna fu Innocentio IIII, come habbiam veduto, e perciò spedì sue lettere nell'anno del 1246, nel quarto del suo Pontificato. Non ebbe effetto in suo tempo, essendo travagliata la maggior parte dell'Italia con le guerre dell'Imperator Federigo, come dice Sant' Antonino; onde bisognò, che vi mettesse la mano Alessandro IIII suo successore; per esseguir la detta unione, comandò loro con molte censure, e sotto gravi pene, che non portassero per lo innanzi l'habito de' Frati Minori, che molti di quelli portavano con grand'ingiuria, e dishonor del nostro Ordine, come consta per questa Bolla, In derogationem multiplicem ipsorum Ordinis, etc. ma poichè Gregorio IX suo predecessore havea loro comandato, che uniformemente vestissero di colore bianco, o di negro, et essi havendo eletto il negro, che lasciassero quello de' Minori, e si vestissero di negro, e si cingessero con cintole di cuoio larghe, e portassero habito curto, che non cuoprisse loro i piedi, e bastoni di cinque palmi in mano, come apparisce da tutta quella clausula, Sane cum per nos etc. [Pag. 4] e per l'altra Nos volentes etc. Ma quantunque Papa Alessandro IIII commandasse questo, come si vede per questa Bolla, ritruovavano tanta difficultà gli Arcivescovi, et i Vescovi di Lombardia e Romagna, a' quali fu mandata, in ridurre ad ubidienza, e clausura questi Romiti, che havendo il mondo per suo, in esso non capivano, lasciavano d'essequirla. Perlochè il Papa, desiderando di terminare questi negotij, si servì del Glorioso Dottor S. Bonaventura Generale de' Minori, e lo costituì Comissario Apostolico, e suo Legato, acciochè riducesse questi Romiti ad una Religione, e sotto un Capo, con un Prelato Generale, che fin all'hora non l'havevano havuto, e spogliasse dell'habito de' Minori coloro che se l'havevano usurpato, e desse loro habito, e forma di vivere, conforme a quello, che per questa Bolla si commandava, et San Bonaventura in virtù di questa commissione vece la detta unione, come Legato Apostolico fu presidente in essa, et aggregò in uno tutte quelle Congregationi de' Romiti, e diede lor l'habito, e la cintola, et il modo del vivere, che oggi osservano tanto lodevole, e santamente come afferma Raffaello Volaterrano nella sua Antropologia libro 21, folio 219. E Fra Filippo di Sosa nelle sue Annotationi alla vita di San Bonaventura, Annotation seconda. E non è picciola gloria alla Religion Franciscana haver per figlio un'Ordine tanto santo, e Religioso come quello de gli Eremitani del Glorioso P. Sant'Agostino, della qual cosa havria da far mille memorie, e per rinnovar quelle d'ambedue le Religioni molto ben parrebbe, se si dipingesse per li Chiostri di quelle il Serafico Dottor S. Bonaventura, instituendo l'Ordine de gli Eremitani di Sant'Agostino, et a suoi piedi molti Religiosi di quello, altri vestiti di bianco, altri di negro, et altri con l'habito de' Frati Minori, come andavano quando il Santo li ridusse, ricevendo dalle sue mani l'habito, e la correggia ch'oggi usano, che saria dipintura molto vaga, e di molta edificatione per tutti, e più propria alla verità dell'Historia, che il dipingere il nostro P. S. Francesco tra gli Eremitani, e Santi di questo Ordine, come se fosse stato uno di quelli.

§. II

Protesta dell' Autore

Questi sono i fondomenti, sopra de’ quali stabilisce così sublime, e forte edificio, queste le ragioni, che muovono a credere una favola tanto abbandonata etiandio di colore et appartenenza. Alle quali risponderò con la distintione che parrà necessaria pruovando primieramente con Bolle Apostoliche, e testi chiari del corpo delle leggi Canoniche, che la Religion, la quale communemente è chiamata de gli Eremitani di Sant’Agostino molto innanzi che San Bonaventura nascesse, era una delle più antiche della Chiesa: nel che sia mio pensiero di porre ogni cosa a suo luogo, senza vender il dubbioso per certo, nè il probabile per necessario, e procedere con la moderatione, che debbono coloro, che scrivono in causa tanto giustificata, dove tutta la guernigione s’ha da impiegare nella sola difesa, conforme a quello, che dissero gli Ambasciatori del Senato Romano: Scuto nobis magis, quam gladio opus est, (Livi, Ii 3) et alla forma della fortelezza di David intorniata da mille invincibili Rodelle, le quali (come dice lo Spirito Santo: Cant. 4, 4) esser debbono l’arme de’ forti. Et ancorchè per riportar vittoria nella tenzone una picciola saeta d’una lampada basterebbe, non di meno varrommi di tutta la lancia del Sole, come disse Tertuliano (Lib. De pudicitia, c. 7: Quibus exquirendis non lucernae speculo lumine, sed totius solis lancea opus est) con protesta espressa (che agli huomini del nostro habito conviene) che l’intendimento mio è di verificar la verità, senza fissar ad altro scopo gli occhi; secondo quello dell’Ecclesiastico: Ante omnia opera verbum verax praecedette. Cosa per cui nessuno con ragione si stimerà per offeso; imperochè come San Tomaso insegna, la diversità nell’oppinioni non è contraria alla Charità Christiana: e conforme a questo, qualsisia che delli dua vinca verrà ad esser commune la vittoria: poichè, come dice San Girolamo non sarà picciolo il guadagno per colui che perderà haver conosciuto il suo inganno. Te quoque ipsum erare non dubito (disse il Santo) ut inter nos contendentes veritas superet; non enim tuam quaeris gloriam sed Christi, cumque tu viceris: et ego vincam, si meum errorem intellexero, et e contrario me vincente tu superas quia in lib. Paralipomenon legimus, quod filij Israel processerunt ad pugnandum mente pacifica inter ipsos quoque gladios, et effusionem sanguinis et cadavera prostratorum non suam, sed pacis victoriam cogitantes. Arriviam dunque alla disputa, e nel primo luogo mettiam mano a due de’ testi Canonici, servendosi sempre di queste, e daltr’armi senz’ambitione, e senza sdegno: amendue effetti, quali (come disse Tacito, Annal. I, sine ira et studio, quorum causas procul habeo) hanno da star molto lontani da coloro, che di scrivere accertamente bramano.