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FRANCO DAL PINO, Formazione degli Eremiti di Sant’Agostino e loro insediamenti nella Terraferma Veneta e a Venezia, in GLI AGOSTINIANI A VENEZIA E LA CHIESA DI S. STEFANO (Atti della Giornata di Studio nel V Centenario della Dedicazione della Chiesa di Santo Stefano - Venezia 10 novembre 1995) - ISTITUTO VENETO DI SCIENZE LETTERE ED ARTI - Venezia 1997.

 

PRIMI INSEDIAMENTI DI EREMITI AGOSTINIANI NELLA TERRAFERMA VENETA E A VENEZIA ANTERIORMENTE AL 1256

[Pag. 56] Quanto qui verrà detto di “Eremiti di sant’Agostino” (detti ora più semplicemente “Agostiniani”) si intende riferito all'uno o l’altro dei tre gruppi di eremiti “agostiniani” che andranno a formare l'unione del 1256 e che verranno denominati comunemente in zona “Eremitani”.

Nella carta geografica degli insediamenti dell'ordine in Italia, che non distingue l'appartenenza iniziale dei conventi all’uno o l’altro di detti gruppi prima del 1256, allegata alla voce Agostiniani del Dizionario degli istituti di perfezione e curata da Benigno van Luijk, si trovano indicate per il Duecento, nel territorio in questione, con annessa data presunta di fondazione e di soppressione eventuale, le fondazioni conventuali del Veneto attuale, oggi tutte scomparse. Si tratta, prima del 1256, in ordine alfabetico, dei conventi di Ferrara (1245-1780), che qui non ci interessa, Padova (1243-1866), Treviso (1245-1866), Venezia (1240-1866), Verona (1243-1866), Vicenza (1244-1780); segue, per il resto del secolo, il solo convento di Trento fondato nel 1271 e soppresso nel 1780 (1). Per data di inizio, Venezia sarebbe la prima nel 1240; seguirebbero nel 1243 Padova e Verona, Vicenza nel 1244 e Treviso nel 1245. Città tutte con sede episcopale e dove erano già presenti, fin dagli anni 1220-1230, i due primi ordini mendicanti, Predicatori e Minori (2). Studi recenti permettono ora di retrodatare le quattro fondazioni della Terraferma: Treviso almeno al marzo 1238, Verona al settembre 1240, Padova e Vicenza al marzo e all'agosto 1242, e di spostare Venezia al marzo 1242. Le prime quattro devono essere attribuite ai Giambonini, la quinta ai Brettinesi (3). Non resta ora che precisare meglio per ognuna modalità di arrivo, eventuali spostamenti, collocazioni definitive e titolo, procedendo secondo la data probabile dei loro inizi e senza seguirle ulteriormente nel loro inserimento nella società cittadina. Presenteremo però prima gli insediamenti della Terraferma per poi passare a quelli della città lagunare.

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(1) Carta in Dizionario degli Istituti di perfezione, I, Roma 1974, col. 330; secondo RANO, Fr. Juan Bueno, pp. 197-199, Treviso sarebbe del 1233, Padova già esistente nel 1242, Venezia (Giambonini) nel 1249, mentre secondo van LUIJK, Gli eremiti neri nel Dugento, p. 70, i conventi di Padova, Verona, Vicenza, Treviso e Venezia sarebbero da collocarsi prima del 1245 ma dopo diversi altri tra cui Modena per la quale, a p. 106, si pubblica l'atto notarile riguardante la fondazione del convento dei Giambonini in quella città del 17 gennaio 1245. Vedere anche in proposito ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, Appendix 1-2. The Houses of the Augustinian order before the Great Union, in “Augustiniana”, 3 ( 1953), pp. 283-313.

(2) Ci limitiamo a rinviare in proposito, per la Terraferma veneta, a G. DE SANDRE-GASPARINI, La vita religiosa nella Marca veronese e trevigiana tra XII e XIV secolo, Verona 1993, pp. 55-69 (insediamento dei Minori e dei Predicatori), con cartine per le singole città che comprendono anche gli insediamenti degli Eremitani; per Venezia: F. SORELLI, I nuovi religiosi. Note sull’insediamento degli Ordini mendicanti, in La Chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, a cura di F. TONON, Venezia 1988, pp. 135-152.

(3) Sintesi dei risultati per la Terraferma veneta in DE SANDRE-GASPARINI, La vita religiosa, p. 80-81, secondo la quale i Giambonini risultano a Treviso già nel 1238, a Padova verso il 1242, a Verona nello stesso anno; per la SORELLI, I nuovi religiosi, p. 140, gli Eremiti di Sant’Agostino sarebbero presenti in ambito lagunare almeno fin dall’inizio del quinto decennio del secolo con l’acquisto di terreni su cui sarebbe sorta la sede di Sant’Anna e Caterina, mentre nel contempo altra comunità di eremiti agostiniani viveva nell'isola di S. Maria di Nazareth.

 

 

1 - INSEDIAMENTI DI EREMITI AGOSTINIANI NELLA TERRAFERMA VENETA

 

A) TREVISO

Per Treviso due studi successivi, dovuti alla Rando e alla Meneghetti, permettono di spingerci dagli inizi al Trecento inoltrato, anche se nell'economia del presente studio non possiamo interessarci che alle origini e ai primi sviluppi (4). In un documento del 2 marzo 1238, il primo conosciuto, la monaca Agnese, con il consenso dell'abate di S. Zeno di Verona, cede a fra Matteo, “priori tocius ordinis fratrum heremitanorum, recipienti pro se et pro fratribus sui ordinis”, la chiesa trevisana di S. Zeno posta in Borgo S. Martino (5). Il documento permette di stabilire un termine post quem non per l'arrivo nella Terraferma dei “frati eremitani” con il quale termine si designano qui certo i Giambonini dato che viene indicato quale priore di tutto l'ordine appunto quel fra Matteo che, come sappiamo, era succeduto al fondatore Giovanni Bono già almeno da allora e non dal 1239, come si supponeva, rifacendosi agli atti del processo canonico dello stesso fra Giovanni Bono (6). Questo insediamento provvisorio in una chiesa preesistente, favorito da ambienti religiosi locali, femminili e maschili, verrà sostituito appena quattro mesi dopo in seguito ad una donazione fatta il 13 luglio di quello stesso 1238 dal laico Gualperto o Valperto Bellacalza “fratri Boningrado” che la riceve ancora a nome “fratrum heremitanorum”, di un terreno posto fuori porta San Teonisto perchè possano abitarvi e costruirvi chiesa e case proprie utilizzandolo “tamquam re sua” e apponendo come condizione la restituzione dello stesso terreno qualora i frati cambiassero domicilio (clausola poi revocata il 24 marzo 1264). Il giorno stesso fra Boningrado prende possesso del terreno a nome degli stessi frati che vengono così a collocarsi a Sud-Ovest della città, in una zona ancora prevalentemente rurale seppure in via di urbanizzazione, compresa nel borgo di Ognissanti, che sembra adatta all’impronta prevalentemente eremitico-contemplativa e di limitato apostolato propria di quegli anni che non esclude però un progressivo avvicinamento alle città (7). Vi rimarranno per più di venticinque anni, ricordati nel frattempo con modesti lasciti solo da quattro testatori, con una comunità che appare stabilita, in un atto di donazione per il monastero cistercense di S. Maria Nova del 7 novembre 1248, presso una chiesa che porta già il titolo di S. Margherita, e costituita almeno dal priore fra Guglielmo e da un altro frate (8). Amplieranno anzi il loro insediamento tramite una nuova donazione fatta da Valperto di Dom del fu Viviano Bellacalza il 21 novembre 1251, di una chiusura posta nel borgo Ognissanti presso appunto il convento detto di S. Margherita, collocato “intra circlas civitatis Tarvisi(ne)”, nelle mani sempre di fra Guglielmo priore del detto convento degli Eremitani (9). L'ulteriore e definitivo trasferimento, accompagnato dal preesistente titolo di S. Margherita, avverrà dopo la “magna unio” del 1256, che passa inosservata nella documentazione rimastaci, e con caratteristiche conformi alla nuova configurazione unitaria dell’Ordine. Sarà preparato dalla rescissione, già ricordata, della condizione apposta all'atto di donazione del 13 luglio 1238 (che si riprometteva perciò soprattutto la continuazione di una presenza degli Eremitani), avvenuta il 24 marzo 1264, e poi da una serie di scambi e compravendite con cui i frati, nei mesi di maggio, agosto e settembre 1265, versando globalmente 300 lire, si assicurano un'area oltre il Sile, all’inizio del ponte nuovo, insediandosi così in borgo S. Paolo, area in via di urbanizzazione e considerata a tutti gli effetti cittadina (10). In tal modo essi venivano ad essere equiparati, anche per rapporto alla società urbana nei confronti della quale erano ormai dotati di tutti i privilegi apostolici necessari, agli altri due ordini mendicanti “maggiori” esistenti già in Treviso, non riuscendo però ad evitare all’inizio contrasti soliti per motivo di vicinanza, prima con le suore di S. Paolo, munite in proposito di privilegio vescovile e che si lamentavano appunto della quasi aderenza materiale tra i due edifici conventuali, poi con i Predicatori -contesa sorta già forse al tempo del vecchio insediamento- difesi dal privilegio delle 300 canne di interspazio concesso a S. Domenico di Bologna ed esteso nel marzo 1265 al convento di Treviso: il dissidio avrà termine nel primo caso con un compromesso che prevedeva una zona di interstizio tra i due con la constatazione che S. Margherita rientrava nella distanza prevista (11). Notevole, nel corso della lite con i Predicatori, l'atto di forza della celebrazione della messa compiuto il 2 maggio 1266 dagli Eremitani sul terreno acquistato, quasi presa di possesso dello stesso, la contesa e l'appello dei frati alla sede apostolica, la sentenza di scomunica pronunziata contro di loro dal vescovo di Treviso (come atto dovuto) il 5 agosto di quell'anno, la soluzione, a distanza di due anni, il 29 ottobre 1265, con un accordo tra il priore degli Eremitani fra Tolomeo e il detto vescovo circa la dislocazione e costruzione del locus dei frati, la benedizione e la posa della prima pietra da parte del vescovo stesso della chiesa di S. Margherita. Insediamento dunque, questo dei Giambonini a Treviso tramutatosi poi in convento degli Eremitani, che trova adito ossia facile sostegno all'inizio, nella fase “eremitica”, con la concessione di una chiesa preesistente posta in zona suburbana e che si avvicina poi alla città rimanendo come in attesa per più di venticinque anni e finendo per inserirvisi non senza esser costretto a farsi largo tra istituzioni religiose già presenti da tempo “in loco”, compreso l’Ordine mendicante dei Predicatori.

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(4) D. RANDO, Eremitani e città nel secolo XIII: l’esempio di Treviso, in “Sitientes venite ad aquas”. Nel giubileo sacerdotale del vescovo di Treviso mons. Antonio Mistrorigo, a cura di L. PESCE, Treviso 1985, pp. 475-507; F. MENEGHETTI, Gli Eremiti di S. Agostino a Treviso dal 1238 al 1348, I, Storia, II, Documentazione, tesi di laurea presso l'Università degli studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia (rel. F. A. Dal Pino), anno acc. 1993-94 (ringrazio sentitamente la dott. Meneghetti per avermi permesso di utilizzare il suo lavoro).

(5) MENEGHETTI, ibid., I, pp. 6, 11-12, II, n. 1 (edizione); RANDO, ibid., pp. 476-477 (che alla nota 10 respinge praticamente la data del 1233 a lungo accolta nell’Ordine); P. A. PASSALUNGHI, Il monachesimo benedettino della Marca trevigiana, Villorba di Treviso 1980, p. 189-190; L. PESCE, La Chiesa di Treviso nel primo Quattrocento, I, Roma 1987, p. 496.

(6) La data del 1238 era stata però già indicata come probabile da B. RANO, Giovanni Bono, beato, in “Dizionario degli istituti di perfezione”, IV, Roma 1977, col. 1245, secondo il quale il beato è “generale dell’ordine probabilmente fino al 1238”, e da GUTIERREZ, Gli Agostiniani nel medioevo, p. 72, per il quale Giovanni avrebbe lasciato il governo dell’ordine, sostituito da frate Matteo da Modena, “verso il 1238”.

(7) MENEGHETTI, Gli Eremiti, I, pp. 12-13, II, n. 2 (edizione); RANDO, Eremiti e città, pp. 487-488, con precisi rilievi sulla collocazione suburbana dell’insediamento.

(8) Archivio di Stato di Treviso, Corporazioni religiose soppresse, S. Maria Nova, busta 1, e cfr. MENEGHETTI, ibid., I, p. 13, II, n° 3: l’atto è stipulato “Extra civitatem Tarvisii, in porticali ecclesie Sancte Margarite de fratribus heremitarum”; sui documenti tra 1246 e 1257: RANDO, ibid., p. 484, nota 44.

(9) MENEGHETTI, ibid., I, p. 13, II, n° 3 (edizione); RANDO, ibid., p. 479. Il titolo di S. Margherita potrebbe derivare dalla donazione iniziale del 13 luglio, data usata anche a Treviso per festeggiare la santa: cfr. RANDO, ibid., p. 477, nota 10.

(10) MENEGHETTI, ibid., I, pp. 13-14, II, n° 6 (atto del 24 marzo 1264), n° 8 (vendita del 5 e 6 maggio di un sedime al di là del Sile, al procuratore laico dei frati), n° 9 (altre vendite dello stesso procuratore del 19 e 20 agosto); RANDO, ibid., pp. 479-480, 484-485, e sull’inurbamento (“Ex heremitis urbanistae”) 493-497.

(11) Sulle due liti, ad un certo momento complicate anche dal fatto che il vescovo Alberto, un frate minore, nel settembre 1266 si proponeva di estendere il controllo della distanza anche tra S. Margherita e la chiesa dei Minori posta al nord di quella degli Eremitani, vedere RANDO, ibid., pp. 480-483, 485-492 e edizione di cinque documenti tra il 1265 e il 1267, 498-504, e MENEGHETTI, ibid., I, pp. 15-20, II, n° 10 (S. Paolo) e n. 11-13.

(12) MENEGHETTI, ibid., II, n° 12 (celebrazione della messa della quinta domenica dopo Pasqua), 14 (scomunica del vescovo), 18 (accordo), 19 (posa della prima pietra), e vedere anche RANDO, ibid., nn 6-7, pp. 505-507.

 

 

B) VERONA

Anche la venuta degli Eremitani a Verona va fatta risalire anteriormente al documento del 14 gennaio 1243, tratto e trascritto da Ludovico Perini dall’archivio di S. Salvatore di Corte regia, pubblicato poi dal Biancolini e da lui ritenuto data d’inizio della chiesa di S. Agostino a Verona. In tale documento Guidone, arciprete della chiesa di S. Giovanni in Valle, dona a fra Adobello o Dobello -che risulterà poi provinciale di Romagna-  priore dei frati eremitani dimoranti (dunque giunti da tempo) in Verona “de Ordine fratris Çaneboni de Cesena”, dunque Giambonini, che riceve a nome del convento appunto degli Eremitani “qui vulgariter dicuntur a bosco predicti Ordinis”, un pezzo di terra posto fuori della porta del Vescovo, nel luogo detto Battilorco, per costruirvi un “locum... religiosum” di quell’Ordine; gli si riconosce l'esenzione da decime e da esazioni civili e canoniche, eccetto l'obbligo di pagare alla pieve annualmente, per il giorno di sant'Agostino, una libbra d'incenso (13). Ammessa in questo caso l'identità tra Giambonini e detti frati, vi è da rilevare che dei “fratres de busco” (segno ancora di un insediamento iniziale di tipo eremitico-comunitario?), posti nella località suburbana di S. Massimo, sono già ricordati in testamenti del 22 settembre 1240 e del 22 novembre 1241 (14), e che essi verranno identificati con i frati eremiti “qui vulgariter dicuntur a bosco”, dello stesso ordine di fra Zanbono di Cesena, in un altro documento di donazione del 9 novembre 1242, sconosciuto al Brancolini, in cui il prete Vito de fu Girardo Buçe investe il già citato fra Dobello, anche qui “priorem conventus Verone de ordine fratris Çaneboni de Çesena”, di una pezza di terra posta fuori della porta del Vescovo, nel luogo detto appunto Battilorco o Batiorco di Montorio, a patto che il detto priore e i suoi frati ne usino per edificarvi, come si era detto a Treviso, un “locum illius ordinis religiosum” (15). Sarà su questo terreno donato dal prete Vito, che lo stralcia dai suoi possedimenti, e con la concessione dell’arciprete di S. Giovanni in Valle, ambedue rappresentanti del clero locale, che i frati, già presenti da alcuni anni sul posto, costruiranno la loro prima chiesa intitolata a S. Agostino, essendo vescovo di Verona Jacopo da Breganze (l225-1252/53). Quando essi, il 29 settembre 1244, si riuniranno per eleggere un procuratore nella persona del notaio Montenario di Magnano, il priore Zambono (omonimo del fondatore?) presiede una comunità di dieci frati ed è detto “prior ecclesie et conventus sancti Augustini de ordine fratrum heremitorum” (non più “di fra Giovanni Bono”): la chiesa è dunque già allora in qualche modo esistente ed è intitolata al santo la cui regola i Giambonini avevano adottata da tempo (16). Una prima donazione effettuata in loro favore nello stesso 1244 da una certa Catelina, dovrà essere poi restituita dai frati all’orefice Isuardino verso cui la donna era debitrice (17). Qualche anno dopo, nel 1250, il prete Vito, che è ancora in rapporto con i frati dei quali è confinante, ottiene il 4 aprile dal priore Martino e da alcuni frati che rappresentano la comunità di S. Agostino collocata “extra portam Episcopi”, la restituzione di una piccola porzione di terreno che gli avrebbe permesso di accedere alla sua proprietà (18). Forse egli prestava servizio sacerdotale presso la nuova chiesa in appoggio alla comunità dei frati che non doveva contare ancora molti sacerdoti: in un atto capitolare del 13 ottobre 1255, fra Ambrosio, già presente in quello del 29 settembre 1244 e dunque rimasto a Verona con una certa stabilità, è evidenziato come “presbiter” e il suo nome appare immediatamente dopo quello del priore; il 18 ottobre 1255 la comunità consta ancora di dieci frati dei quali è priore fra Adelardo, anch'egli già ivi di comunità dal 1244 (19). In un ultimo atto anteriore all'unione del 1256, i frati, riuniti il 17 ottobre 1255 sotto il portico “domus ecclesie Sancti Augustini”, eleggono un procuratore laico perchè entri in possesso, a loro nome, di una terra con olivi posta nella pertinenza di Albizzano, lasciata loro per testamento dalla “quandam Aldixe filia quondam Blanchi sartoris uxore Buiamontis filii domini Bucerini”, che rappresentano dunque il ceto medio e quello nobiliare; il procuratore era incaricato di raccogliere le olive e di vendere poi l’appezzamento (20), non tanto forse per bisogno di denaro contante quanto per attenersi all'impegno di povertà che avvicinava i Giambonini ai Minori e che sarebbe prevalso temporaneamente al momento dell’unione ormai prossima. Questa, effettuata come detto da Alessandro IV nell’aprile 1256 e che comprendeva inizialmente anche i Guglielmiti, avrà probabilmente come effetto a Verona di far confluire nella comunità di S. Agostino, già dei Giambonini, quella appunto degli Eremiti di san Guglielmo i cui membri avevano iniziato la costruzione di una chiesa in onore del loro santo fondatore fuori porta S. Stefano per la cui costruzione avevano ottenuto il 3 agosto 1230 (dunque assai prima della venuta dei Giambonini), dal patriarca d'Aquileia Bertoldo (1218-1251), una lettera d'indulgenza della quale però non rimane traccia: segno di questa fusione può essere un altare dedicato appunto a San Guglielmo presente nella futura chiesa di S. Eufemia almeno dal 1286 (21). Dopo la grande unione e con il favore che questa assicurava ad un ordine che unitariamente veniva a collocarsi immediatamente dopo Predicatori e Minori, divenne normale anche a Verona, da parte degli “Eremiti di sant’Agostino” l’abbandono del primitivo collocamento suburbano e il trasferimento in area cittadina dove, tra il 1259 e il 1262, i Minori avevano sostituito i Benedettini a S. Fermo maggiore e i Predicatori si erano insediati a S. Anastasia (22). Motivi di trasferimento possono essere stati l'angustia e l'insicurezza del luogo primitivo e le poche possibilità economiche da esso offerte, le pretese avanzate nel 1260 dalla pieve di S. Giovanni in Valle, evidentemente ora meno amica, anche se respinte dal vicario del vescovo Manfredo Roberti (1260-1268), assente per l’opposizione del clero locale, con atto del 14 aprile 1261 (23), la morte di Ezzelino III nell’ottobre 1259 e l’elezione di Mastino della Scala a “potestas populi” di Verona, favorevole ai Mendicanti. Vi è inoltre da tenere presente l’impostazione spiccatamente apostolica assunta dal nuovo ordine degli Eremitani e il favore verso gli studi mostrato dal loro priore generale fra Lanfranco che già nel 1259 aveva dotato l’Ordine di una casa a Parigi per giovani studenti (24). Favorirà tale inurbanesimo degli Eremitani il già nominato vescovo della città Manfredo che, su richiesta dei frati, il 2 giugno 1262, da Viterbo (dove il 29 agosto 1261 era stato eletto Urbano IV), scriveva al suo vicario maestro Della Corra la lettera Commissa nobis in cui, considerando il luogo fin allora posseduto dai frati a Verona “multipliciter ineptus”, lo incaricava di conceder loro la “ecclesiam Sancte Euphemie iuxta Athesim Verone positam”, con case e orti di sua pertinenza, per edificarvi un proprio cenobio o, eventualmente, altra zona congrua ponendovi la prima pietra benedetta a nome del vescovo stesso, mandato che verrà eseguito dal vicario il 12 luglio dello stesso anno (25). Ne seguiranno alcuni atti significativi relazionati al passaggio della chiesa di S. Eufemia agli Eremitani. La consegna prima di tutto della chiesa stessa da parte del chierico Zeno a fra Noraldino priore dei frati di S. Agostino dell’Ordine degli Eremitani effettuata il 16 settembre 1265, festa appunto della titolare della chiesa, dopo un confronto formulato, con triplice interrogazione e risposta, da “frater Michael presbiter sancti Augustini de Ordine fratrum Heremitarum” nella detta chiesa “coram clericis et laicis et populo” e a numerosi e qualificati testimoni, circa la convenienza o meno, a loro parere, che i frati si stabilissero in quella chiesa dato che non pochi “scandalizzati erant” per questo nuovo insediamento (a causa dell’imposizione fatta al clero di S. Eufemia di consegnarla ai frati o dello spostamento stesso di questi da un luogo suburbano ad uno più centrale?), e dopo che lo stesso fra Michele aveva celebrato solennemente con i frati (ricordare il tentativo fatto in tal senso a Treviso) una “missa cum predicatione” con evidente consenso di uomini e donne ivi presenti; ne seguirà qualche giorno dopo, il 21 settembre, l'immissione dello stesso priore degli Eremitani, fra Norandino, da parte del vicario vescovile, per autorità concessagli dal vescovo eletto Manfredi, “in tenutam et corporalem possessionem” della chiesa con case e orti ad essa appartenenti, che avrebbero costituito il primo nucleo dell'edificio conventuale (26). Le limitate dimensioni della chiesa loro trasmessa e il suo stato fatiscente spingeranno presto i frati (che ne rileveranno appunto la parvitas e la vetustas) a progettare un edificio da costruire “de novo” nell’ambito perimetrale del loro attuale insediamento. Ne otterranno la concessione prima l’8 novembre 1265 dal vescovo Manfredo che incaricava il suo vicario Della Corra a porre la prima pietra, poi di nuovo, a distanza di quasi dieci anni, per evidente inadempimento del precedente mandato, da Guglielmo, vescovo di Ferrara e legato apostolico, che passava l’incarico all'arciprete della cattedrale Bonincontro che, il “die dominico septimo exeunte septembris” del 1275, porrà il “lapidem sanctificatum et benedictum primarium ad... constructionem ecclesie nove beate Heuphemie” nella zona dell'abside maggiore (27). Da qui prenderà sviluppo il nuovo e definitivo insediamento degli Eremitani a Verona la cui storia, del resto sufficientemente studiata (28), ci porterebbe ben oltre il periodo iniziale che ci siamo proposti di documentare. A Verona dunque l’insediamento giambonino, identificato con quello dei frati detti “a bosco”, parte pure da una zona suburbana in cui appaiono presenti fin dal 1240-41 e che, attraverso donazioni di terreni da parte di membri del clero locale effettuati nel 1242-1243, dà luogo ad un primo loro collocamento con chiesa, forse provvisoria, che porta il titolo di S. Agostino. Vi dimoreranno, come a Treviso, una ventina d’anni conglobando, al momento dell'unione, la locale comunità dei Guglielmiti che avevano pure iniziata la costruzione di una chiesa dedicata al loro fondatore, per poi passare in area cittadina favoriti dalla donazione da parte del vescovo, della chiesa di S. Eufemia, della quale conserveranno il titolo anche nella sua ricostruzione.

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(13) G. BIANCOLINI, Notizie storiche delle chiese di Verona, II, Verona 1749 (ediz. anastatica, Bologna 1977), pp. 499-503; sui Guglielmiti, ibid., p. 500.

(14) Archivio di Stato di Verona, Archivi trasferiti dall’Archivio di Stato di Venezia nel 1964, S. Leonardo in Monte, b. 23, n°  99, perg. 19 (22 settembre 1240), e Esposti, perg. 300 (22 novembre 1241): cfr. DE SANDRE, La vita religiosa, p. 80, nota 27.

(15) M. BIASI, Il convento di S. Eufemia dalle origini al XIV secolo, tesi di laurea presso l'Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia (rel. P. Sambin), anno acc. 1967/68, p. 10-13 e doc. n° 3 (ringrazio anche la dott. Biasi per avermi cortesemente permesso di utilizzare il suo lavoro), e cfr. DE SANDRE, ibid., p. 80 nota 27. Il titolo di “fratres a busco” persisterà ancora in un atto del 1263, dopo cioè la grande unione e quando i frati si saranno stabiliti a S. Eufemia: BIASI, ibid., doc. 10.

(16) IDEM, ibid., pp. 14-15.

(17) IDEM, ibid., pp. 15-17.

(18) IDEM, ibid., pp. 17-18, doc. n. 5.

(19) IDEM, ibid., pp. 18-19.

(20) IDEM, ibid., p. 20, doc. n° 6.

(21) BIANCOLINI, Notizie storiche, II, p. 500, e BIASI, ibid., p. 21.

(22) Vedi in DE SANDRE, La vita religiosa, p. 61, la cartina delle fondazioni mendicanti a Verona.

(23) BIASI, Il convento di S. Eufemia, pp. 23-24, doc. n. 7.

(24) IDEM, ibid., pp. 24-26, e GUTIERREZ, Gli Agostiniani nel medioevo, pp. 242-244.

(25) La lettera episcopale è riferita in un atto del vicario del 12 luglio 1262 in cui si concede a fra Fino Burri, priore degli Eremitani, la detta chiesa di S. Eufemia: ed. in BIANCOLINI, Notizie storiche, II, pp. 505-506, e cfr. BIASI, ibid., p. 28, e N. ZANOLLI GEMI, Sant’Eufemia. Storia di una chiesa e del suo convento a Verona, presentazione di R. CHIARELLI, Verona 1991, pp. 17-18 (p. 11, 14, collocazione della chiesa all'interno della città romana, non lontano dalla porta dei Borsari, al centro di una contrada popolosa).

(26) Edizione dei due atti in BIANCOLINI, ibid., pp. 507-509, 509-510, e vedere ZANOLLI GEMI, ibid., p. 18.

(27) Edizione dell'atto, con inclusa la lettera di Guglielmo, in BIANCOLINI, ibid., pp. 510-511, che offre la datazione sopra indicata, mentre ZANOLLI GEMI, ibid., p. 20, parla del 7 agosto 1275.

(28) Vedere in proposito, oltre la parte del lavoro della Meneghetti per gli anni tra il 1265 e il 1348, BIANCOLINI, ibid., pp. 511-512; ZANOLLI GEMI, ibid., pp. 11-38 fino al secolo XV; G. DE SANDRE GASPARINI, Istituzioni ecclesiastiche, religiose e assistenziali nella Verona scaligera tra potere signorile e società, in “Gli Scaligeri 1277-1387”, a cura di G. M. VARANINI, Verona 1987, pp. 397-400, nel contesto della presenza mendicante in città in quel periodo, e nello stesso volume, p. 451, notizia di F. Segala sulla traslazione dei due beati eremitani Evangelista e Pellegrino da S. Agostino a S. Eufemia, e, a pp. 479-480, di M. Ruffo su di una confraternita esistente almeno dal 1265 presso la stessa chiesa e istituita a onore di Sant'Agostino e dei due beati.

 

 

C) PADOVA

Passando a parlare delle origini del convento degli Eremitani a Padova si può subito premettere che disponiamo in proposito di studi recenti particolarmente validi, dovuti alla Pierri, ma soprattutto al Rigon, che permettono di correggere una serie di inesattezze anteriormente correnti relative sia agli anni di inizio che alla confusione tra Eremiti di san Guglielmo ed Eremitani di S. Maria della Carità dell'Arena, anche se questa volta la data dell'arrivo di questi ultimi era già stata fissata assai precisamente dal Rano (29). Bisogna partire questa volta appunto da un accenno agli Eremiti di san Guglielmo che appaiono ubicati a Padova nel borgo suburbano di S. Croce già prima del 1238 quando i “fratres de busco”, che qui si identificano, diversamente da Verona, con loro, sono nominati, tra numerosi altri enti religiosi, nel testamento di Buffono di Bartoloto del 9 agosto 1238; la dicitura ricompare il 22 novembre 1245 quando si parla di fra Bono “de ordine illorum a busco”, identificati esplicitamente, in altro documento del 14 ottobre 1250, con i Guglielmiti (“fratrum de busco sancti Guilielmi”) dei quali si indica poi l'ubicazione riferendosi “loco Sancti Wilielmi de busco qui est ad Sanctam Crucem” (30). Più tardivo il primo atto conosciuto relativo ai Giambonini costituito da una vendita con cui il 4 marzo 1242 Lamicetto e Giovanni, figli del fu Oto Cagariento, cedono a fra Martino “de Ordine eremitanorum fratris Çanneboni” (lo stesso che sarà priore a Verona nel 1250?), che agisce “pro dicto ordine eremitanorum”, al prezzo di 70 lire al campo, una pezza di terra di circa tre campi sita nella “campanea” di Padova a ponte Terranegra (“a ponte Terrenigre, ab alia parte fluminis qui labitur et fluit a Pontecorbo”), nella zona orientale della città, vendita confermata da Riccia e Saliceta, madre e figlia dei venditori (31). L’atto sembra veramente costituire la premessa immediata di un insediamento non ancora esistente: fra Martino, che appare appositamente inviato (priore generale è ancora fra Matteo da Mantova), agisce a nome dell’Ordine detto ancora di frate Giambono e subito dopo solo “eremitanorum”, e non di una comunità locale. Circa tre anni e mezzo dopo, il 3 ottobre 1245, fra Bonamico, detto “prior sive minister fratrum heremitanorum in Marchia” (la Marchia è già costituita in provincia?) e frate Girolamo dello stesso ordine, “pro se et toto suo conventu”, danno a Perelda, moglie del fu Buffone da S. Matteo, un sedime con case e due cortili sito nel territorio della chiesa di S. Matteo, già acquistato da Alberto di Vitaclino, in cambio di una pezza di terra da orto, un tempo prato di Buffone, di circa un campo e un quartiere, sita in Arena; il giorno seguente, 4 ottobre, alla presenza di Marsoplo procuratore di Perelda, l'intero capitolo degli Eremitani di Padova, nominatamente “frater Bonamicus, minister ordinis fratrum heremitanorum de Padua, et frater Iacobus presbiter et frater Bonaçonta presbiter et frater Benvegnutus diaconus...e altri dieci “de conventu et ordine fratrum heremitarum” confermano la permuta di un sedime sito nel territorio della chiesa di S. Matteo con una pezza di terra sita in Arena, con la predetta Perelda (32). La comunità, costituita ormai da un certo numero di frati “chierici” e assai numerosa, si prepara dunque a spostarsi nel quartiere dell'Arena, borgo ancora semirurale, vicinissima comunque alle mura urbane quanto lo era il S. Agostino dei Predicatori e più di Mater Domini o S. Antonio dove avevano preso sede stabile da tempo i Minori. Ancora pochi anni e troviamo la comunità ormai stabilita nel nuovo sito, intenta ad allargarlo con nuove particelle di terreno, presso una chiesa che porta il titolo di S. Maria (come quella del primitivo luogo dell’Ordine a Butriolo) con lo specificativo assai raro “de Caritate” o più semplicemente “de Arena”. Così in un atto di acquisto di terreno collocato “in Arena”, dell’8 giugno 1248, i venditori ricevono 50 lire “a dompno Iohanne, priore Sancte Marie de Caritate de ordine fratrum romitanorum de Padua” e, dopo una lacuna di diversi anni, il 29 maggio 1254, in altro atto di vendita sostitutivo di uno precedente andato perduto fatto ad un procuratore laico “pro fratribus eremitaneis Sancte Marie de Arena”, gli stessi venditori dell'atto precedente dichiarano di cedere per 55 lire una pezzetta di terra di circa mezzo campo sita in Arena a fra Angiolino da Treviso e a fra Omodeo che ricevono anch'essi “pro loco predicte Sancte Marie de Eremitaneis de Arena” (33). L'impatto della riunificazione dell'aprile 1256 tra i vari ordini eremitici di recente costituzione, riguarderà a Padova le due comunità esistenti, quella dei Guglielmiti e quella dei Giambonini o Eremitani cointeressati dall'unione stessa. Alcuni documenti scandiscono il rapido incorporarsi della prima nella seconda. Pochi mesi dopo la lettera papale di unificazione, il 16 ottobre dello stesso 1256, un lascito di Bona, vedova di Anselmo di Aicardo, prevede 20 soldi ciascuno “loco fratrum heremitarum” e a quello “Sancti Guillelmi” che appaiono così ancora distinti e dotati di un proprio titolo; poco dopo, il 4 novembre, un altro lascito testamentario è fatto a favore “fratrum de busco et remi[tarum]”, giustaposti nella donazione, ma forse non ancora unificati; a distanza di un anno, il 30 ottobre 1257, in un lascito analogo, dovuto al notaio Alberto del fu Artuxio e che ammonta alla discreta somma di 10 lire, destinato “fratribus a busco de Arena cum heremitanis”, si conserva ancora il diverso titolo dei due gruppi (con una certa contaminazione: “a busco de Arena”) che però ormai convivono, insediati nel luogo di S. Maria della Carità dell’Arena degli Eremitani stessi, mentre presso S. Guglielmo appaiono nei due anni successivi delle “sorores” non bene qualificate (34). I Guglielmiti di Padova devono essersi perciò trovati tra quelli che, malgrado le decisioni, già ricordate, prese da Alessandro IV nell'agosto 1256 in favore di una loro autonomia, hanno finito per aderire all'unione programmata senza poi tornare sui loro passi come accadrà per numerosi conventi d'oltralpe (35). Interessanti infine, tra il 1257 e il 1260, quale prova dell’unità conventuale raggiunta, della già avvenuta costituzione della provincia della Marca trevigiana, della consistenza e qualificazione proprie ormai della locale comunità e della sua inserzione nella società cittadina, sei atti di donazione di un terreno da parte della “domina” Maria, moglie “condam Iohannis de Çacaria de Arena”, che trova da parte della comunità stessa e dell’Ordine un corrispettivo vitalizio che potrebbe far pensare ad un primo atto informale di oblazione, anche se le vicende e le disposizioni successive non portano certo ad escludere un marcato intento di sicurezza economica (36). Nel primo atto, la “carta donationis inter vivos” del 10 novembre 1257, Maria dona “fratri Benvenuto qui fuit de Vicencia, priori loci Sancte Marie de Karitate de Arena”, un sedime con case, culture e clausura sito in contrada Arena nelle vicinanze del convento; solo il 3 maggio dell'anno successivo fra Manfredino, costituito procuratore da fra Nascimbene priore in luogo dell'assente fra Benvenuto e dai frati riuniti capitolarmente “in loco monasterii Sancte Marie de caritate de Arena ubi morantur fratres heremitani”, ne prende possesso a loro nome; a distanza poi di altri nove mesi, il priore fra Benvenuto, con il consenso questa volta dello stesso priore generale fra Lanfranco, di fra Ugo provinciale “in Marchia Trivisina” e dei frati del convento, si impegna a garantire alla stessa Maria, per tutto il tempo della sua vita (ciò che costituirebbe il corrispettivo della “oblatio”), “vittum et vestitum secundum suas facultates... et ipsam sanam et egram tenere decenter” (37). La donazione risulterà comunque nulla per la confisca dei beni di Giovanni dell’Arena, già marito della donatrice, che obbligherà poi il priore Benvenuto, il 15 febbraio 1259, pochi giorni dunque dopo l'impegno assunto con Maria dalla sua comunità, ad acquistare dagli stimatori del comune di Padova il terreno “donato”, al prezzo di 150 denari veneti (38). In due atti ulteriori del gennaio 1260, proprio in considerazione del vitto e vestito ricevuti comunque dai frati, la stessa Maria dona loro i propri diritti sui beni del marito relativi alla restituzione della somma corrispondente alla dote e agli aumenti totali valutabili in 300 lire e il priore Benvenuto compare poi come primo nell’elenco dei creditori dello stesso marito defunto (39).. Da notare che nell'atto di procura del 3 maggio 1258 risultano presenti, oltre il priore, altri dodici frati tra i quali solo uno, fra Giovanni, è detto “presbiter”; in quello del 4 febbraio 1259, oltre il priore generale e quelli provinciale e conventuale, i frati sono diciotto e tra essi i primi otto sono detti presbiteri, tre “clerici” e sette “laici”, segno di una forte presenza ancora di frati laici (che agli inizi doveva essere prevalente) ma anche di una progressiva clericalizzazione accentuata forse dalla venuta di frati esterni; tra i presbiteri e i chierici uno è figlio di un notaio, un altro di un giudice. Un ultimo elemento documentario interessante, che attesta rapporti tra conventi di Eremitani della Marca e quello di Venezia e ci introduce a quanto diremo di quest'ultimo, è offerto da un atto del 2 aprile 1261 in cui fra Benvenuto, ancora priore del “monasterium Sancte Marie Heremitanorum” e procuratore di fra Martino commissario, unitamente agli altri due commissari Pietro prete di S. Lorenzo e il notaio Rolandino di Lovato, fidecommissari di Imiza moglie del fu Pietro Berreda, vendono una pezza di terra, già della stessa, di quattro capi e mezzo, sita in Vallonga, al prezzo di 9 lire al campo, a fra Biagio “qui fuit de Cesena de ordine heremitanorum” (fa pensare al gruppo originario dell'ordine dei Giambonini), procuratore del capitolo “Heremitanorum Sancte Marie de Naçareth de Veneciis” (40). Nel nuovo sito dell'Arena, comunque, gli sviluppi edilizi, anche se sostenuti da una comunità ormai numerosa, non saranno rapidi. Il 4 aprile 1259, con la Favore sacre religionis Alessandro IV concede agli Eremitani di Padova l’uso dell’altare portatile o mobile per celebrarvi la messa dato che, dice, “in loco vestro..., ut asseritis, adhuc ecclesiam non habetis”: il privilegio, che veniva concesso, come già rilevato, per andare incontro alle esigenze degli inizi e supponeva spesso l'esistenza soltanto di un oratorio provvisorio, era già stato concesso a Giambonini e Toscani da Innocenzo IV il 20 settembre 1250, ma viene ora rinnovato dopo l'unione, dal successore, probabilmente appunto per la particolare situazione esistente a Padova (41). Sarà passando dall'oratorio o chiesetta primitivi alla costruzione di una nuova chiesa che il titolo degli Eremitani di Padova, ancora indicato nel 1261 come quello di S. Maria, si muterà nell'altro dei Santi apostoli Filippo e Giacomo. Esso appare come già assunto in due atti di acquisto e di presa di possesso di un terreno e case posti vicino al ponte Porciglia, del 14 gennaio 1265, in cui si dice appunto che il priore fra Benvenuto agisce ora “pro se et ecclesia et loco Sanctorum Philippi et Iacobi de Arena Padue”. La chiesa doveva essere allora agli inizi e in tal senso si potrebbe interpretare la lapide esistente sul muro absidale della chiesa: “Capella haec fundata fuit anno MCCLXIV prima die mai”, il giorno appunto della festività dei due apostoli, e potrebbe riferirsi alla posa della prima pietra benedetta e agli inizi dei lavori a partire dalla cappella maggiore. Il primitivo titolo ormai abbandonato di S. Maria della Carità sarà ripreso agli inizi del Trecento dallo Scrovegni per la chiesetta dell’Arena affrescata da Giotto e poi detta dell’Annunciata. La situazione dunque dell’inserimento degli Eremitani a Padova risulta particolarmente articolata anche per la ricca documentazione di cui disponiamo in merito. Da ponte Terranegra, dove si localizza la loro prima dimora nel 1242, passeranno, più rapidamente che altrove, nella zona suburbana dell'Arena dove assumeranno il titolo di S. Maria della Carità e saranno vitalizzati, nell'ottobre 1256, dall’inserimento dei Guglielmiti già insediati nel borgo S. Croce da prima del 1238. Vi si svilupperanno notevolmente accrescendo via via la loro componente clericale e intessendo rapporti di un certo rilievo con la popolazione locale fino a potere impostare, dal 1264, la costruzione di una nuova chiesa intitolata agli apostoli Filippo e Giacomo.

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(29) A. PIERRI, Il convento degli Eremitani a Padova nel Duecento (1242-1300). Con appendice di documenti e di regesti fino al 1325, tesi di laurea presso l’Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia (rel. P. Sambin), anno acc. 1975-76 (in appendice edizione di 21 documenti e regesti di altri 174); A. RIGON, Ricerche sull'eremitismo nel padovano durante il XIII secolo, in “Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Padova”, 4 (1979), pp. 217-53, riedito in “Esperienze religiose e opere assistenziali nei secoli XII e XIII”, a cura di G. G. MERLO, Torino 1988, pp. 135-140 (lo citeremo secondo questa riedizione); e inoltre C. BELLINATI, Monastero e chiesa degli Eremitani a Padova nel Duecento, in “Eremitani. Per l'inaugurazione degli Eremitani in Padova, 30 marzo 1971”, e DE SANDRE GASPARINI, La vita religiosa, p. 81 e cartina a p. 63. Nel RANO, Fr. Juan Bueno, p. 198, il primo documento conosciuto è datato 5 marzo 1242 invece che 4 marzo.

(30) Vedere RIGON, Ricerche sull'eremitismo, pp. 135-136; verranno colpiti, nel 1253, insieme a predicatori, Minori e altri Ordini, da misure vessatorie scagliate contro di essi, in Padova e Verona, da Ezzelino III, secondo il cronista Rolandino: ROLANDINI PATAVINI, Cronica in factis et super facta Marchie Trivixane (aa. 1200 cc.-1262), a cura di A. BONARDI, in Rerum ltalicarum scriptores, n. ediz., VIII/1, Città di Castello (1905-1908), p. 107, segno di un certo impatto sulla vita urbana da essi allora raggiunto.

(31) Archivio di Stato di Padova, Corona, perg. 72, c vedere: RANO, Fr. Juan Bueno, p. 198; PIERRI, Il convento degli Eremitani, pp. 31-34, doc. n. I; RIGON, Ricerche sull’eremitismo, p. 137.

(32) Archivio di Stato di Padova, Diplomatico, part. 1716, e vedere PIERRI, ibid., pp. 102, 108, doc. n. II-III, e RIGON, ibid., pp. 137-138.

(33) Per il primo atto: Archivio di Stato di Padova, ibid., part. 1716, per il secondo, ibid., part. 1745, e vedere PIERRI, ibid., pp. 102 e 108-112, e RIGON, ibid., pp. 137-138.

(34) Atto del 16 ottobre 1256: Archivio di Stato di Padova, S. Maria della Riviera di Polverara, t. 1, perg. 1b; atto del 4 novembre: ibid., S. Giovanni Battista del Venda, b. 2, perg. 136; atto del 30 ottobre 1257: Archivio capitolare di Padova, Tomus niger, ff. 45v-46r, e in proposito: RIGON, ibid., pp. 138-139, dove, alla nota 71, si rinvia a due lasciti del settembre 1258 e del marzo 1259 fatti “sororibus qui morantur ad locum Sancti Guilielmi” o “que stant ad Sanctum Guilielmum”.

(35) Vedere precedente nota 73.

(36) In proposito: BELLINATI, Monastero e chiesa, pp. 15-16; PIERRI, ibid., pp. 46-48; A. RIGON, I laici nella Chiesa padovana del Duecento. Conversi, oblati, penitenti, in “Contributi alla storia della Chiesa padovana nell’età medioevale”, l (1979), p. 60, nota 219; F. DAL PINO, Oblati e oblate conventuali presso i Mendicanti “minori” nei secoli XIII-XIV, “Quaderni di storia religiosa”, l (1994), p. 39 (di fronte alla documentazione complessiva che riguarda tale donazione sarei portato ora ad escludere che si tratti di un’oblazione vera e propria anche se sono presenti alcune sue caratteristiche).

(37) Archivio di Stato di Padova, Diplomatico, b. 13, perg. 1881, e b. 14, perg. 1893 e 1919, e cfr. PIERRI, ibid., pp. 39-44, doc. VI-VIII.

(38) PIERRI, ibid., p. 44, e, per i due atti del 15 febbraio 1259: quello di vendita da parte degli stimatori del comune e l'altro di consegna da parte del precone incaricato a frate Benvenuto, ibid., doc. IX X, tratti dall'Archivio di Stato di Padova, ibid., b. 14, perg. 1922-1923.

(39) IDEM, ibid., pp. 44-48, doc. XI-XII, tratti sempre dall'Archivio di Stato di Padova, ibid., b. 14, perg. 1947-1948.

(40) IDEM, ibid., pp. 53-55, doc. XV-XVI, tratti dallo stesso archivio e fondo, b. 15, perg. 2158-2159.

(41) IDEM, ibid., pp. 49-50.

(42) IDEM, ibid., pp. 53-55, doc. XV-XVI, tratti sempre dallo stesso archivio e fondo, b. 15, perg. 2158-2159. Sulla chiesa vedere in particolare S. BETTINI - L. PUPPI, La chiesa degli Eremitani di Padova, Vicenza 1970.

 

 

D) VICENZA

Diverso assai il caso dell’ultima fondazione del periodo nella Terraferma veneta, quella di Vicenza, per la quale le ricerche relative si riferiscono specialmente alla sede definitiva degli Eremiti di sant’Agostino costituita dal grandioso S. Michele, a Nord-Ovest della città, dove essi si trasferiranno dopo l’unione del 1256 e la vittoria su Ezzelino III, seguita dal ripristino del libero comune, avvenuta il 29 settembre, festa appunto dell’Arcangelo, del 1259. Sugli inizi, il Mantese, che si riferisce al Barbarano confermandolo, ritiene che “Eremitani di sant'Agostino”, senza indicare a quale gruppo intende riferirsi, “si sarebbero stabiliti a Vicenza verso il 1243” ricevendo poi nel 1266, la chiesa di S. Lorenzo in Berga da essi abbattuta per edificarvi quella di S. Michele, dati che lo stesso autore integra successivamente con quelli relativi al possesso intermedio della chiesa di S. Apollinare (43). A partire da tali dati, completati con quelli offertici gentilmente dalla laureanda Lara Moretti che sta attendendo, sotto la guida del professore G. Pacini, alla ricostruzione documentata dell’intera vicenda, vediamo di seguire, partendo dagli inizi, il cammino di avvicinamento alla città da parte degli Eremitani, inizialmente Giambonini, iniziato nel 1242 e non nel 1243. Un primo approccio avviene di fatto il 27 agosto 1242 quando Sygumfredo da Arzignano dona un bosco (costante richiamo topografico iniziale), in località S. Pietro al Costo di Arzignano (posto a circa 18 chilometri a est di Vicenza), a Ugocione di Recignano che lo riceve a nome dei frati eremiti: deve trattarsi di un procuratore laico che agisce a nome dei frati, come accaduto in altri casi e come risulterà pure nei documenti successivi (44). Anche qui la donazione del terreno boschivo sembra preludere ad un prossimo insediamento. Infatti l’anno dopo, il 30 aprile 1243, il vescovo Manfredo (1232-1255), con il consenso del suo capitolo, investe “fratrem Guillelmum priorem fratrum heremitanarum”, che riceve a nome dei frati dello stesso ordine, “de loco et ecclesia Sancti Petri sito in pertinentiis de Arzignano” con il territorio circostante fino a che i frati rimangano fedeli nell'osservare “ordinem et regulam” prescritti (45). Il titolo di Eremitani e la presenza di fra Guglielmo, forse lo stesso che compare in atti di Treviso del 1248 e del 1251, fanno ritenere che si tratti di Eremiti giambonini. Sono probabilmente gli stessi o un altro loro gruppo ad aver traslocato successivamente presso S. Apollinare dei Berici e poi presso S. Lorenzo, nella stessa zona. I “fratres de Sancto Apollinario de Vicentia” ricevono, l’11 dicembre 1253, tra i vari luoghi pii, un lascito di 100 soldi di veronesi da parte di un certo Zilio “tenziario” (46). Successivamente è un rappresentante dello stesso convento, fra Daniele, insieme al notaio procuratore dei frati, a versare a Guido Zenoese la somma pattuita per una pecia di terra in zona S. Lorenzo di Vicenza, come da dichiarazione dello stesso Guido del 19 febbraio 1262, mentre un mese dopo, il 19 marzo, Iacobina, moglie di Bruno, vende un pezzo di terra situato in contrada S. Lorenzo allo stesso frate detto questa volta “prior Heremitarum Vincentie” e, a distanza di due anni, il 10 febbraio 1264, Bartolomeo Drapaloro dona a fra Michele dell'ordine degli eremitani una pezza di terra sempre in contrada S. Lorenzo (47). Se dunque non è del tutto comprovato il passaggio da Arzignano alla zona suburbana dei Berici, è comunque sicuro che sono gli stessi frati, stanziati a S. Apollinare, che si preparano a trasferirsi a S. Lorenzo nella stessa zona dei Berici. Sarà proprio in questa zona del borgo Berga (che sarà cinto da mura sulla fine del secolo XIII), dove gli Eremitani possiedono ormai terreni sufficienti, che avverrà la consegna, il 23 marzo 1266, da parte dell’arciprete Guidachino, a nome anche di tutto il capitolo, della “ecclesiam Sancti Laurentii Bericani cum cimiterio et caminata” (chiesa che era stata donata al capitolo dal vescovo Pistore nel 1185), a fra Benvenuto degli Eremitani: insieme alla chiesa si prevedeva che i frati “curam populi ad eamdem ecclesiam Sancti Laurentii pertinentis gerant et habeant sicut oportet parochiales sacerdotes curam et solicitudinem parochiarum suarum tam in penitentiis quam in aliis ecclesiasticis sacramentis eorum populis habere”, affidamento di cura parrocchiale (esercitata fino al 1772) non certo frequente nei confronti dei frati e che presupponeva nell’ordine un notevole grado di clericalizzazione (48). Come altrove, anche a Vicenza la chiesa preesistente concessa agli Eremitani dovè risultare subito angusta e i frati iniziarono presto, fin dal 1254, con pubblico contributo, la costruzione di una nuova, S. Michele, posta a Sud-Est della città, vicino alla porta di Berga che ingloberà la cappella di S. Lorenzo in Berga di cui rimarrà però anche qui il ricordo in uno degli altari della nuova chiesa. Collegata, come già detto e come era accaduto a Padova per S. Antonio, alla sconfitta di Ezzelino III e al riacquisto della libertà, sarà sostenuta dal comune che, negli Statuti del 1264, vede nell’arcangelo uno dei suoi protettori, acquistando presto un posto di notevole prestigio nella città stessa (49). Gli Eremitani giambonini sono dunque già ad Arzignano, nel vicentino, dal 1242, e dieci anni dopo, forse gli stessi o senz’altro dei frati dello stesso ordine, stabiliti nella zona suburbana dei Berici, prima a S. Apollinare e poi, dal 1266, a S. Lorenzo dove successivamente inizieranno la importante costruzione di S. Michele. Appaiono sostenuti fin dall’inizio dai più alti rappresentanti della locale gerarchia, compreso il vescovo, evidentemente non allarmati dal loro arrivo, cui, a partire dalla costruzione di S. Michele, si assocerà l’interesse e l'appoggio del comune cittadino.

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(43) Complessivamente vedere: G. MANTESE, Memorie storiche della Chiesa vicentina, II. Dal mille al milletrecento, Vicenza 1954, pp. 234-235, 486-487, e III. Il Trecento, Vicenza 1958, pp. 224, 315-316; F. BARBARANO, Historia ecclesiastica della città territorio e diocesi di Vicenza, V, Vicenza 1761, p. 209; solo a partire da S. Michele: F. BARBIERI, L'immagine urbana, in “Storia di Vicenza”, II. L'età medievale, Vicenza 1988, pp. 279-282; inoltre: DE SANDRE GASPARINI, La storia religiosa, p. 90, con cartina dei Mendicanti a Vicenza a p. 65.

(44) Archivio di Stato di Vicenza, Corporazioni religiose soppresse da Venezia, S. Michele, b. 173.

(45) Trascrizione dell'atto in VIGNA, Zibaldone, ms. della Biblioteca Bertoliana di Vicenza, IX 113, da copia del 1324 eseguita in Padova che si trovava nel fondo dell'archivio conventuale di S. Michele, ora all'Archivio di Stato di Vicenza dove ora però nè il documento nè la copia esistono (da informazione di L. Moretti); cfr. MANTESE, Memorie storiche, III, p. 316 nota 71 con dati imprecisi.

(46) Archivio di Stato di Vicenza, Corporazioni religiose soppresse, S. Lorenzo, b. 843.

(47) Originali dei tre atti allo stesso archivio, Corporazioni religiose soppresse da Venezia, S. Michele, b. 173; in proposito: MANTESE, Memorie storiche, III, p. 316 nota 71, dove rinvia al VIGNA, Zibaldone, IX, 113.

(48) Archivio capitolare di Vicenza, perg. III, n. 180, e vedere MANTESE, ibid., II, pp. 234, 486, e III, pp. 224-225 (cura d'anime), con rinvio sempre a VIGNA, ibid., p. 97.

(49) Vedere in proposito MANTESE, ibid., p. 486-487; F. LOMASTRO, Spazio urbano e potere politico a Vicenza nel XIII secolo. Dal “Regestum possesionum communis” del 1262, Vicenza 1981, p. 17; BARBIERI, L'immagine urbana, pp. 281-282; DE SANDRE GASPARINI, La vita religiosa, p. 90; G. CRACCO, La religione a Vicenza nel tardo medioevo: persistenze e novità, in “Santità e religiosità nella diocesi di Vicenza. Vita e storia di pietà dal sec. XII al sec. XX”, a cura di R. GIRONDA, Vicenza 1991, pp. 33-34.

 

 

3. INSEDIAMENTI DI EREMITI AGOSTINIANI A VENEZIA

Passando dalla Terraferma veneta alla città lagunare, pur mancando in proposito uno studio esauriente sulla presenza dell’uno o dell'altro gruppo di eremiti agostiniani prima e immediatamente dopo il 1256, essendosi anche qui privilegiata la sede tardiva e definitiva di S. Stefano, i dati offerti in passato dal Corner, rivisitati di recente dalla Sorelli, dalla Pedani e dal Battiston, più alcune indicazioni di prima mano provenienti da ricerche in corso da parte della Meneghetti, già ricordata per Treviso, appaiono sufficienti, se debitamente correlate, ad offrire un quadro discretamente preciso. Stando appunto a due recenti sintesi della Sorelli tratte dalla documentazione disponibile (50), la situazione riguardante “gli eremiti di sant’Agostino (eremitani)”, non meglio specificati, appare meglio documentata di quella degli Eremiti carmelitani. Essi, secondo i dati raccolti nel primo dei due studi, sarebbero presenti in ambito lagunare da prima della grande unione del 1256 risalendo “all'inizio del quinto decennio” l’acquisto, “da parte di Giacomo da Fano”, dei terreni nel sito periferico di S. Pietro di Castello sui quali sarebbe sorta S. Anna e S. Caterina, poi abbandonata fine secolo per quella più centrale di S. Stefano: contemporaneamente si avrebbe la presenza di “un’altra comunità di eremiti agostiniani” nell’isola di S. Maria di Nazareth. Si precisa poi, nel secondo studio, che l’acquisto del terreno da parte di fra Giacomo da Fano, individuato come appartenente alla “congregazione brettinese”, avvenne nel 1249, e che S. Maria di Nazareth è conosciuta da un atto del maggio 1249 che attesta la benedizione della prima pietra per la chiesa dei religiosi ivi dimoranti ad opera del vescovo Pietro Pino e il riconoscimento da parte loro, salvo alcuni privilegi, della giurisdizione episcopale (51). Diversamente, è ritenuta dubbia, in ambedue gli studi, l'appartenenza, avanzata seppure con qualche esitazione dal Comer, agli eremiti agostiniani di S. Andrea del Lido, una comunità istituita sulla fine del secolo XII dal sacerdote Domenico Franco (che risulta restauratore e fondatore di monasteri agostiniani), anche se detto in una lettera papale “monasterium Sancti Andree de Litore ordinis sancti Augustini” (52). Costituirebbe invece, si rileva nel secondo degli studi in esame, per un certo periodo, una vera terza sede di eremiti agostiniani e questa mi sembra una novità di rilievo - S. Erasmo di Lido, da tempo esistente e soggetto alla matrice di S. Maria e S. Donato di Murano, nella diocesi di Torcello, il cui legame con le altre due fondazioni di eremiti risulta evidente in un lascito previsto nel testamento di Marco Ziani del 26 giugno 1253 - prima perciò della grande unione - che prevede 50 lire ciascuno “Sancto Herasmo, Sancte Marie de Nazareth et Sancte Anne, fratribus eremitanis”, unificati perciò nel titolo istituzionale, e da due quietanze rilasciate dopo il 1265, posteriormente dunque all’unione, una, del 6 luglio, da Pietro da Padova ai priori e frati di S. Anna e di S. Erasmo insieme, la seconda, dell’ultimo di dicembre, da Marino Trevisan, prete di S. Maria di Murano e vicario del pievano Andrea Gausoni, al priore di S. Anna, Giacomo, per il fitto del monastero di S. Erasmo (53). Se ne può dedurre che ai due conventi di eremiti agostiniani, quello di S. Anna e S. Caterina, già individuato come brettinese, per costituire il quale uno dei frati dell’ordine acquista un terreno nel 1242, e quello di S. Maria di Nazareth, ritenuta fondazione giambonina, di cui si sa solo che già nel 1249 ottiene dal vescovo la prima pietra per la costruzione della chiesa, da cui la supposizione di una presenza in atto da qualche anno (54), se ne deve aggiungere un terzo, quello di S. Erasmo che nel 1253 dovendo anch’esso esistere da qualche tempo, è congiuntamente beneficiato, con gli altri due, di un lascito testamentario di un certo rilievo che li accomuna sotto il titolo di “fratres eremitani”. Dato che i primi due sono da attribuirsi rispettivamente ai Brettinesi e ai Giambonini, si potrebbe proporre come pura ipotesi che S. Erasmo appartenesse ai Toscani che sarebbero così giunti a Venezia prima dell’unione del 1256. A conferma dell’attribuzione dei due primi conventi ai Brettinesi e ai Giambonini, si può avanzare qualche rilievo a proposito dei documenti iniziali ad essi relativi. In quello dell’11 giugno 1242 in cui fra Giacomo da Fano è detto “de ordine heremitarum de Bramis” (che credo anch’io valga per “de Brettinis” o “de Brectinis”) ed è investito “nomine ordinis sui” di una pezza di terra “in confinis Sancti Petri de Castello”, zona ancora paludosa posta all'estremità della città, acquistata da Melania, vedova di Pietro “de Puteo”, che l'avrebbe venduta al sopraddetto “domino fratre” e “in Dei et Christi nomine” per il modico prezzo di 26 denari veneti (55), in tale atto appunto il toponimico “de Fano” attribuito all'acquirente richiama esattamente la zona dove era collocato il primitivo eremo di S. Biagio di Brettino; d’altro lato, l’acquisto di una zona posta al limite della città risponde bene alla primitiva austerità e ritiratezza dei Brettinesi e insieme al loro progressivo accostarsi ai fedeli sanzionato il 24 settembre dell'anno dopo da Innocenzo IV che, con la Vota devotorum, ricordata precedentemente, concedeva ai frati sacerdoti di quell'ordine il ministero delle confessioni e della predicazione. Tale attività apostolica essi potranno esercitarla più adeguatamente in seguito quando, terminati i lavori di bonifica del terreno acquistato, otterranno anch’essi dal vescovo Pietro Pino (1235/36-1254) il permesso di costruire, sotto il titolo appunto delle Sante Anna e Caterina (poi, più brevemente, S. Anna), il loro convento, la chiesa e il cimitero che utilizzeranno fino al passaggio, come diremo, a S. Stefano (56). Nell’altro documento invece, quello del maggio 1249, riguardante la benedizione della prima pietra da parte dello stesso vescovo Pietro Pino per i frati abitanti nell'isola di S. Maria di Nazareth, con le clausole annesse, in particolare il riconoscimento della giurisdizione episcopale, sembra si debba rilevare e il titolo della chiesa, quello di S. Maria, che trova rispondenza nell’oratorio fatto erigere a Butriolo dal beato Giovanni Bono e nella chiesa dei Giambonini a Padova, e l’accettazione della giurisdizione episcopale consueta in quei frati, soggetti, almeno fino all'ottobre 1249 (capitolo generale di Ferrara), al vescovo di Cesena. Anche questa fondazione, avvenuta certo qualche tempo prima del 1249, veniva a collocarsi, come quelle già ricordate della Terraferma veneta, sotto il generalato di fra Matteo da Modena che scadrà appunto nell'ottobre di quell’anno. Una prima conclusione è che comunque nel 1253, prima dell’unione del 1256, coesistono a Venezia o nelle vicinanze, secondo il testamento dello Ziani, tre conventi ritenuti tutti appartenenti “fratribus heremitanis”, sotto il cui titolo potevano in quel momento essere compresi Brettinesi, giunti nel 1242, Giambonini, di certo anteriori al 1249, e altri, si può pensare ai Toscani, aggiuntisi prima del 1253. Questi ultimi avevano ottenuto l’uso di una chiesa preesistente, quella di S. Erasmo, mentre gli altri due ne stavano costruendo una propria. Non siamo a conoscenza per il momento, fino al 1256, di altra documentazione che li riguardi. È certo che per qualche tempo, anche oltre quella data, i tre conventi sono coesistiti. Nel 1265 infatti, come riferito sopra, una quietanza viene rilasciata congiuntamente al priore e frati di S. Anna e di S. Erasmo, che dovevano aver stabilito tra loro una certa unità, e verso la fine dell'anno il priore di S. Anna, Giacomo, ne riceve un’altra dal vicario del pievano di Murano per S. Erasmo ormai dato in affitto e perciò non più abitato dai frati; in altro documento del 30 settembre 1288 le terre legate allo stesso S. Erasmo, con la chiesa, risultano ormai locate fin dall’agosto dallo stesso pievano, Andrea Gausoni, e dal clero di S. Maria di Murano, che ne dovevano essere rientrati in possesso, a Nicolò Minio di S. Angelo, zona in cui i frati di S. Anna si trasferiranno almeno dal 1292 (57). Riassorbito il convento di S. Erasmo da quello di S. Anna, ormai appartenente all’ordine degli Eremiti di sant'Agostino, intorno al 1265, cosa è divenuto nel frattempo l’altro convento, quello di S. Maria di Nazareth? Certamente è in piena efficienza in quegli stessi anni e fino all'insediamento dei frati di S. Anna in S. Stefano. Lo dimostra il documento del 2 aprile 1261, ricordato sopra parlando di Padova, in cui il priore di quel convento, unitamente a due altri commissari, vende un terreno già appartenuto ad una certa Imiza e posto in Vallonga a fra Biagio da Cesena (probabilmente dalle ascendenze giambonite) procuratore del capitolo “Heremitanorum Sancte Marie de Nazareth de Veneciis” (58), e la presenza, come vedremo, del priore appunto dello stesso convento alla posa della prima pietra della chiesa di S. Stefano il 7 giugno 1294. Il convento sussisterà fino al 1436, quando, dopo alterne vicende, fu sostituito dal Lazzaretto vecchio, mentre il titolo della chiesa, con l’immagine della Madre di Dio già venerata presso gli Eremitani, passava nel 1649 alla nuova chiesa dei Carmelitani scalzi (59). Il convento di S. Anna di Castello, divenuto nel frattempo il principale se non unico insediamento eremitano a Venezia, mostra di avere intanto acquisito una sua giusta collocazione nella società religiosa lagunare. Ne sono prova alcuni documenti finora rilevati che lo devono riguardare anche se si parla solo dei “frati eremitani di sant’Agostino”. Li ricordiamo brevemente. Il 4 ottobre 1279 una certa Geraldina, nel suo testamento, sceglie come sepoltura il luogo “fratrum heremitarum sancti Augustini”, destina 100 soldi dei piccoli per la sua sepoltura e 17 lire per mille messe da celebrare in suffragio della sua anima; lascia poi il letto e le sue suppellettili all'infermeria dei frati, un “circumbancum” per la sagrestia e, individualmente, 30 lire a fra Vilielmo suo “patrino... spirituali” per le sue esigenze e 20 lire per un calice ad uso, sembra, dello stesso (60). Il 14 marzo 1284 il Maggior Consiglio accomuna i “fratres heremitani de Sancta Anna de Castello”, dove dunque sono ancora presenti in quel momento, ai Minori e Predicatori nella sua elargizione di 20 soldi dei grossi annui e nell’esonero dal pagamento della metà del dazio (61). Nel febbraio 1286, con un atto di notevole interesse, un uomo coniugato, Bartolomeo da Montebelluna, volendo entrare, per la remissione dei suoi peccati, “in ordinem seu religionem fratrum heremitanorum”, rinuncia ad ogni diritto che aveva sulla moglie, la “domina” Tomasina, che fa altrettanto concedendo al marito licenza e libera facoltà di passare a detto ordine e ivi “Deo et eius obsequis deservire” (62). Segni, tutti questi, di notevoli rapporti spirituali tra comunità eremitana e fedeli che ne frequentavano la chiesa e anche di riscontro a livello cittadino. In tali condizioni era normale che i frati di S. Anna cercassero una nuova sede trovandola nella contrada e parrocchia di S. Angelo e dedicandola a S. Stefano. Vi avrebbero già acquistate delle case allo scopo fin dal 1274 e vi sono certo già nel 1292, dato che il 12 dicembre di quell'anno Nicolò Basilio del fu “dominus” Marino di S. Giovanni Crisostomo, nel suo testamento scritto da Matteo de Crescentiis pievano di S. Sofia, destina 40 soldi per messe in suffragio della propria anima da versare “fratribus heremitanis Sancti Stephani” (63). Lo afferma del resto anche l’atto del 1294 che documenta la posa della prima pietra della costruenda chiesa intitolata appunto a S. Stefano, della cui consacrazione, avvenuta solo tardivamente nel 1495 stiamo appunto celebrando il quinto centenario. In quell'atto del 7 giugno 1294, compiuto nella contrada di S. Angelo e nella parrocchia omonima, il vescovo di Castello Bartolomeo Querini 2° (1293-1303) (64), presente nel luogo in cui “morabantur” (dunque da qualche tempo) i “fratres heremitani ordinis sancti Augustini” che volevano edificarvi monastero e chiesa, dopo il consenso espresso in proposito dal pievano e dai chierici della detta chiesa di S. Angelo tramite atto apposito redatto dallo stesso notaio che stende quello presente (“Iohannes condam Raimondi Emenardi), benedice solennemente la prima pietra della chiesa che i frati volevano costruire ad onore di Dio e sotto il titolo del beato Stefano protomartire: seguirà la posa della stessa pietra benedetta, la messa solenne accompagnata da predica pubblica e da dichiarazioni del vescovo stesso a nome della Chiesa di Castello e del pievano e dei canonici (si dice ora) di quella di S. Angelo. Sono presenti all'atto il priore provinciale della Marca trevigiana fra Teodorico da Ferrara, fra Alberto da Bologna priore dell’altro convento, quello di S. Maria di Nazareth, della stessa diocesi, e molti altri frati appositamente riuniti (65). La precedente sede di S. Anna, monastero e chiesa, sarà posta in vendita dai frati con il consenso dello stesso vescovo Bartolomeo Querini 2° che chiese venisse ceduta a persona onesta, soggetta al suo vescovato e che, nel periodo interinale tra la vendita e la venuta degli acquirenti, il convento fosse abitato solo da quattro frati e dai loro inservienti. Lo acquisteranno delle monache benedettine e per loro firmerà il contratto di compravendita, il 4 agosto 1297, la badessa Maria Zotto. Ratificheranno l’accordo il vicario (vacante la carica di priore generale per la rinunzia di fra Simone da Pistoia) e i definitori del capitolo generale degli Eremitani tenuto a Milano il 2 giugno 1298. Le monache vi si insedieranno il 14 ottobre 1304, a pagamento avvenuto, prendendone però ufficialmente possesso all'inizio del 1305 alla presenza del vescovo di Castello il domenicano Ramberto Polo (1303-1309) e di fra Giovanni da Ascoli priore di S. Stefano, come risulta da un documento del 28 giugno dello stesso anno (66). La definitiva sede di S. Stefano rimarrà in mano agli Eremitani fino alla soppressione napoleonica del 1810. La sua storia, specialmente architettonico-artistica, già trattata in passato (67), verrà illustrata dalle altre relazioni di questa giornata di studio. L’insediamento dei gruppi o ordini di eremiti agostiniani a Venezia ha così avuto una storia in parte unica per rapporto a quelli della Terraferma veneta. Qui soltanto si presentano i Brettinesi intorno al 1242, negli stessi anni in cui i Giambonini si affermano nella Marca trevigiana giungendo invece nella città lagunare solo poco prima del 1249, forse proprio a causa della presenza già affermata dei Brettinesi. Tra il 1242 e il 1253 ci troviamo di fronte a tre insediamenti contemporanei di eremiti agostiniani, tutti in zona periferica o insulare. Il terzo di essi, S. Erasmo, documentato per poco tempo, confluisce intorno al 1265, in seguito forse alla grande unione del 1256, in quello di S. Anna da cui deriverà prima del 1292, con suo conseguente abbandono, l'insediamento definitivo di S. Stefano che vedrà presente, alla posa della prima pietra del 1294, anche il priore di S. Maria di Nazareth che sopravvivrà, sempre più stentatamente (segno delle difficoltà insite, per una sede mendicante, nella sua collocazione insulare) fino ai primi decenni del secolo XV.

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(50) F. SORELLI, I nuovi religiosi. Note sull'insediamento degli ordini mendicanti, in “La Chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII”, a cura di F. TONON, Venezia 1888, p. 140, e della stessa: Gli ordini mendicanti, in “Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima”, II. L’età del comune, Roma 1995, p. 907.

(51) Per il documento relativo a S. Anna e S. Caterina la Sorelli rinvia a F. CORNER, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc primum editis illustratae ac in decades distributae, Venetiis 1749, d. VI, pp. 252-256, 261-266 (e vedere anche dello stesso: Notizie storiche delle chiese e monasteri di Venezia e di Torcello, introd. di U. STEFANUTTI, ristampa anast. dell’ediz. di Padova 1758, Bologna 1990, p. 105), rilevando appunto, nella nota 26 del suo secondo studio, che quale appartenenza di Giacomo da Fano si pensa alla congregazione brettinese, benchè susciti qualche perplessità l'espressione “de ordine eremitarum de Bramis” con cui il frate è designato nei due atti che lo riguardano stando alla lettura che (contrariamente al Corner che leggeva “de Brettinis”) ne dà M. P. PEDANI, Monasteri di agostiniane a Venezia, “Archivio Veneto”, ser. V, 125 (1985), p. 40. Per S. Maria di Nazareth, sempre la Sorelli rinvia al documento presente in CORNER, Ecclesiae Venetae, d. XII, pp. 298-300, 304-306 (e vedere anche dello stesso: Notizie storiche, p. 554).

(52) Ad un “documento papale” non meglio specificato che porta questa denominazione non inclusiva, come sappiamo, di appartenenza all'uno o l'altro dei tre gruppi di eremiti agostiniani in questione, rinvia la SORELLI, Gli ordini mendicanti, nota 34, che lo dice riportato in una sentenza emessa dal vescovo di Castello in un atto del 19 gennaio 1239 (si dovrebbe perciò trattare di una lettera di Gregorio IX di cui però non vi è traccia nel POTTHAST) redatto dal notaio Antolino Pagano per il quale rinvia all'Archivio di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, b. 116, Commissaria Darpo Ranieri. Su Domenico Franco, che sulla fine del secolo XII restaura S. Andrea di Ammiana e fonda S. Andrea del Lido e S. Eufemia, legati alla regola agostiniana, vedere RIGON, I vescovi veneziani nella svolta pastorale dei secoli XII e XIII, in “La Chiesa di Venezia”, p. 39, che, alla nota 50, rinvia per tali fondazioni ad ANDREAE DANDULI, Chronica per extensum descripta, a cura di E. PASTORELLO, in “Rerum Italicarum scriptores”, XII/1, Bologna 1939, pp. 269 e 275, e anche CORNER, Notizie storiche, pp. 60-61, 668-669. Altra fondazione talvolta attribuita agli eremiti agostiniani, e per la quale vale a maggior ragione quanto osservato sopra, è quella di S. Maria della misericordia o di Valverde, priorato “dell’ordine di Sant'Agostino”, dice in senso vago il CORNER, Notizie storiche, pp. 337-339.

(53) Per il lascito dello Ziani, la SORELLI, ibid., nota 31, rinvia a S. BORSARI, Una famiglia veneziana del medioevo: gli Ziani, “Archivio Vcneto”, ser. V, 110 (1978), p. 67, e anche a I. FEES, Reichtum und Macht in mitellaterlichen Venedig. Die Familie Ziani, Tübingen 1988, n° 145, p. 220, dove si dice segnalata un'altra attestazione del 1256; i due atti del 1256 sono indicati dalla Sorelli (che dice di averli individuati, con altri da lei utilizzati, tramite lo spoglio dei regesti dattiloscritti della raccolta di Luigi Lanfranchi esistente presso la Soprintendenza archivistica per la Venezia) come presenti all'Archivio di Stato di Venezia, S. Anna di Castello, b. 1 pergamene. Su S. Erasmo, vedere anche CORNER, Notizie storiche, p. 666.

(54) I due insediamenti erano già stati attribuiti ai Brettinesi, il primo, ai Giambonini, il secondo, da ROTH, Cardinal Richard Annibaldi, Appendix 1-2, The Houses of the Augustinian Order before the Great Union (citato sopra alla nota 79), p. 307, 313.

(55) Per S. Anna, oltre alle due opere del Corner citate sopra alla nota 129, vedere in particolare O. BATTISTON, Tre monasteri scomparsi a Venezia. Sestiere di Castello (S. Daniele, S. Maria delle Vergini, S. Anna), Venezia 1991, p. 39, dove fa anche notare che i giudici dell'Esaminador concessero ai religiosi il possesso del terreno “sine proprio” alla data stessa di quel 11 giugno e “ad proprium” il successivo 24 agosto; inoltre, per la sua collocazione: E. CROUZET-PAVAN, “sopra le acque salse”. Espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du moyen age, I, préface de P. TOUBERT, Roma 1992, p. 110.

(56) Vedere BATTISTON, ibid., pp. 39-40, e anche CORNER, Notizie storiche, p. 106. Su Pietro Pino, l'episcopato veneziano e gli ordini mendicanti, vedere A. RIGON, I vescovi veneziani nella svolta pastorale dei secoli XII e XIII, in La chiesa di Venezia nei secoli XI-XIII, Venezia 1988, pp. 36-40.

(57) Per le due quietanze, cfr. precedente nota 131; per l'atto del 30 settembre 1288: SORELLI, Gli ordini mendicanti, p. 924 nota 32, dove rinvia all’Archivio di Stato di Padova, Pergamene diverse, mazzo 16, n. 340.

(58) Vedere precedente nota 118.

(59) Secondo CORNER, Notizie storiche, pp. 554-556, risulta che nel 1421 vi dimorasse solo il priore Gabriele Garofoli da Spoleto cui si uniranno quattro chierici desiderosi di vita spirituale, tra i quali Andrea Bondumiero poi patriarca di Venezia e Filippo Paruta eletto poi arcivescovo di Candia, ma che in seguito, scoppiata una epidemia di peste, il luogo era stato assegnato, dato il suo isolamento, a ospitale per i miserabili obbligando il gruppo del Garofoli a trasferirsi in successive sedi configurandosi come comunità di canonici regolari, mentre il Garofoli stesso finiva per rientrare tra gli Eremitani; soppresso il convento da Eugenio IV nel giugno 1436 e destinato definitivamente a ospedale per i viandanti provenienti dall'oriente, detto Lazzaretto vecchio, avrebbe assunto il titolo di S. Maria stella del cielo, mentre quello di S. Maria di Nazareth, legato anche ad una immagine della Madonna ivi venerata, passava alla chiesa costruita nel 1649 dai Carmelitani scalzi in parrocchia S. Lucia alla quale le monache di S. Anna avevano donato, perchè vi fosse maggiormente venerata, la detta immagine lasciata loro dagli Eremitani al momento dell'abbandono della sede appunto di S. Maria di Nazareth. L'isola comunque dove verrà collocato il Lazzaretto porterà ancora in seguito il primitivo toponimo di S. Maria di Nazareth: cfr. CROUZET-PAVAN, “Sopra le acque salse”, pp. 761, 804.

(60) Archivio di Stato di Venezia, S. Stefano, busta 3.

(61) In proposito: SORELLI, I nuovi religiosi, p. 141, dove, alla relativa nota 44, rinvia alle Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, per cura di R. CESSI, III, Bologna 1934, n° 6, p. 62; vedere anche: CORNER, Ecclesiae Venetae, d. VI, p. 254, e Notizie storiche, p. 106, e BATTISTON, Tre monasteri scomparsi, p. 39.

(62) Archivio di Stato di Venezia, S. Stefano, busta 3.

(63) Vedere CORNER, Notizie storiche, pp. 239-240.

(64) Su Bartolomeo Querini 2°, vescovo di Novara dal 8 gennaio 1303, passato a Trento l'anno dopo e morto il 23 aprile 1307, vedere M. P. PEDANI, Cronotassi dei patriarchi di Grado, di Venezia e dei vescovi delle diocesi lagunari, in “La Chiesa di Venezia tra medioevo ed età moderna”, a cura di G. VIAN, Venezia 1989, pp. 237e 242, nota 18.

(65) Edizionc dell’atto in CORNER, Ecclesiae Venetae, d. XII, p. 305, e cfr. dello stesso Notizie storiche, pp. 239-240.

(66) CORNER, Ecclesiae Venetae, d. VI, pp. 254, 265-266, e dd. XIV-XVI, I, pp. 305-307, 313, e anche Notizie storiche, pp. 106-107, e BATTISTON, Tre monasteri scomparsi, p. 40. Per il documento del capitolo generale la SORELLI, Gli ordini mendicanti, p. 924 nota 28, rinvia all’Archivio di Stato di Venezia, S. Anna di Castello, b. 1 pergamene.

(67) In proposito: CORNER, Notizie storiche, pp. 239-241; F. APOLLONIO, La chiesa e il convento di S. Stefano in Venezia. Memoria, Venezia 1911; A. NIERO, Chiesa di S. Stefano in Venezia, Padova 1978.

 

 

4. CONCLUSIONI

Tentiamo, concludendo, un raffronto circa le modalità di insediamento e di sviluppo delle fondazioni eremitiche interessate, definitivamente o meno, dall’unione del 1256, riscontrate nelle quattro città della Marca e in Venezia, dalle origini allo stabilirsi in una sede definitiva o al riassorbimento nel nuovo ordine degli Eremiti di sant'Agostino. Le loro presenze sono costituite da due fondazioni, le prime in ordine di tempo, degli Eremiti di san Guglielmo a Verona e Padova, da una di Brettinesi a Venezia anteriore a quella dei Giambonini nella stessa città, e da quattro di questi ultimi a Treviso, la prima, e poi quasi contemporaneamente, agli inizi degli anni quaranta del secolo, a Verona, Padova e Vicenza. Queste talvolta compresenze, tutte collocate inizialmente in zone periferiche, vengono a confrontarsi, con esiti diversi, con l’unione provocata dal papato nel 1256. Le due dei Guglielmiti, anteriori per tempo e in una delle quali, Verona, si sta costruendo una chiesa in onore del santo fondatore, confluiscono appunto dopo il 1256 in quelle già appartenute ai Giambonini venendo sostituiti a Padova da “sorores”. L’unica fondazione dei Brettinesi, quella di S. Anna di Castello, iniziata negli anni in cui nella Terraferma vengono a stabilirsi i frati di Giovanni Bono, e sviluppatasi negli anni 1247-50 congiuntamente ad altre sedi dell'ordine, sarà alla base, una cinquantina d'anni dopo, della nuova e importante fondazione di S. Stefano. Nella stessa città lagunare giungeranno appunto poco appresso anche i Giambonini che, data la posizione insulare e particolarmente eremitica della loro sede, non godranno di apparente successo anche se quella loro fondazione continuerà a sussistere, ben oltre l'unione, fino ai primi decenni del secolo XV. Una terza presenza eremitana nella laguna, quella di S. Erasmo, attestata intorno al 1253 e confluita in quella di S. Anna nel 1265, risulta finora di difficile identificazione e attribuzione. Significative quanto quella dei Brettinesi a Venezia, le quattro degli Eremiti di fra Giovanni Bono nella Terraferma. Iniziano tutte con una sede più o meno periferica, adatta ad intenti eremitico-contemplativi, mutandola talvolta nel breve corso di mesi o di anni. Si trasferiscono poi, a Padova in breve corso di tempo, a Treviso dopo circa venticinque anni, a Verona dopo una ventina, a Vicenza in due momenti di circa dieci anni ciascuno, in area suburbana o urbana nella quale, dopo alcuni anni di preparazione, avvieranno la costruzione delle loro chiese monumentali: a Treviso dal 1268, a Verona dal 1265/75, a Padova e a Vicenza da circa il 1264. Fra i due momenti, quello iniziale che non esclude a Verona e Padova la costruzione delle prime chiese, e quello definitivo, segnato dalla clericalizzazione delle comunità evidente specialmente a Padova, vi è la grande unione del 1256 e la contemporanea caduta nella Marca di Ezzelino III (1256-59) che non aveva ostacolato gli insediamenti di questi frati ritenuti privi di iniziale interesse o incisività politico-religiosa (perseguiterà però con altri anche i Guglielmiti) ma che non avrebbe certo permesso un loro salto di qualità con incluso maggiore impatto sulla vita cittadina. A iniziare queste fondazioni giambonine sarà a Treviso, con l’accettazione di una chiesa preesistente, lo stesso priore generale dell’Ordine, fra Matteo da Modena (1238-1249), non estraneo certo alla notevole estensione assunta dal suo ordine in quegli anni, proprio anche nella Terraferma, e che appare perciò ben lontano dall’essere “minus sufficiens” come lo riterranno i suoi frati - secondo la già citata lettera del cardinale protettore Guglielmo Fieschi - sostituendolo nel capitolo generale di Ferrara del 1249. Altrove saranno frati dell’Ordine o un loro procuratore laico che accetteranno pure una chiesa preesistente (S. Pietro di Arzignano), o una donazione fondante di terreno (Verona), o ne acquisteranno una prima porzione (Padova), trasferimenti di chiese e donazioni di terreni di cui saranno operatori membri di fondazioni religiose, del clero locale, compresi i vescovi e, per gli insediamenti definitivi, popolazione della “vicinia” e autorità comunali, tutti apparentemente e per motivi diversi favorevoli ai nuovi venuti. Unico vero contrasto lo incontreranno da parte di altri Mendicanti, i Predicatori di Treviso, gelosi custodi del loro privilegio di interspazio. Al momento dell’insediamento definitivo, a Treviso e Padova costruiranno proprie chiese “ex novo” (conservando o mutando il titolo precedente), a Verona e Vicenza partiranno da chiese loro concesse, comprensive, in quest’ultimo caso, di cura d'anime.

   Così gli Eremitani, tra il 1260 e il 1270 nelle città della Terraferma veneta, e negli anni novanta a Venezia, parteciperanno a pieno titolo a quello che è stato detto dalla De Sandre Gasparini il “trionfo” dei Mendicanti, venendo a porsi, accanto a Minori e Predicatori, come terzo polo di presenza e influsso apostolico (comprese confraternite laiche) in tutte le principali città e giungendo come gli altri due a qualificare la loro presenza con chiese di notevole rilevanza, presto anche monumentali; una anzi di queste loro chiese, il S. Michele di Vicenza, assurgerà, insieme a quella del Santo di Padova, per il comune legame con le due vittorie cittadine contro Ezzelino III degli anni 1259 e 1256, a luogo sacro di memoria e di rappresentanza comunale.