IL CONVENTO DI S. GIOVANNI BATTISTA IN LIVORNO

di Mario Mattei

 

    Nel 1241 la flotta pisana, alleata dell’imperatore Federico II, aveva attaccato alcune navi genovesi che trasportavano cardinali e vescovi a Roma, facendoli prigionieri. Il Papa Gregorio IX scomunicò la città di Pisa e il suo territorio, e quindi anche Livorno. La città rimase priva della vita sacramentale e di ogni forma di catechesi per 15 anni, cioè fino al 1256.

   In quell’anno “vennero due de’ nostri Romiti agostiniani dall’antico Eremo di San Jacopo d’Acquaviva ad abitare in una casuccia contigua alla chiesetta dedicata a San Giovanni Battista presso Livorno, per servizio del popolo di detto castello e forense, in aiuto alla Pieve”.

   Questo fatto, per quanto casuale, coincide però con la Grande Unione e gli Eremiti di S. Agostino misero subito in atto il compito della cura d’anime affidato dal Papa.

   Ha inizio così la storia di questo convento, anche se allora era una semplice cappellania, perché solo a partire dal 1425 si parlerà di un vero e proprio convento.

   La tradizione agostiniana vuole che l’eremo di San Jacopo d’Acquaviva sia uno di quegli eremi fondati da S. Agostino nel suo viaggio da Milano a Ostia. Nel chiostro di Lecceto si vede S. Agostino che sbarca nel porto di Pisa e altre immagini molto diffuse ci mostrano come sia su queste spiagge che S. Agostino abbia incontrato il bambino che vuole mettere tutta l’acqua del mare dentro una piccola buca.

    Il rapporto tra gli agostiniani e i livornesi, raccontano i cronisti, fu un rapporto profondo di condivisione degli avvenimenti lieti, che si dimenticano presto, e degli avvenimenti dolorosi, che si ricordano sempre bene, perché scritti anche nei libri di storia. Per quasi 200 anni Livorno conobbe devastazioni ed eccidi. Uno storico racconta che nel 1290 “non vi rimase in piedi che la sola chiesa di S. Giovanni”.

    La vita di quello che era in fondo poco più di un borgo, cambiò nel 1421. Infatti Livorno venne comprata in quell’anno dai Fiorentini e divenne un importante porto commerciale. Ma cambiò anche la vita degli Eremiti agostiniani: nel 1425 il Generale dell’Ordine, P. Agostino da Roma, scrive nel suo Registro di aver affidato a fra Antonio da Orvieto “il nuovo convento acquistato da poco nel castello di Livorno”. Probabilmente i frati, che abitavano “in una casuccia contigua alla chiesetta”, acquistarono un edificio più grande che trasformarono in convento. In questo modo l’eremo San Jacopo d’Acquaviva, che in precedenza aveva come dipendenza il conventino e la chiesa di S. Giovanni, divenne a sua volta dipendenza del nuovo convento di S. Giovanni. Iniziò così, in modo definitivo, la preziosa presenza degli Agostiniani a Livorno. Presenza che incise notevolmente nel campo della religiosità popolare con la cura del santuario della Madonna di Montenero, come incise nel campo della carità con l’assistenza agli appestati nelle epidemie che si susseguirono tra il 1427 e il 1479.

Nel 1560 la chiesa e il convento vennero restaurati, ma rimanevano comunque piccoli rispetto a una città in espansione. Così nel 1632 venne inaugurata una nuova e più capace chiesa di S. Giovanni e nel 1643 un convento più grande che ospitava 17 frati.

    Questi furono anche gli anni della peste di manzoniana memoria. Un fatto miracoloso segnò una straordinaria diffusione della devozione a S. Nicola da Tolentino. Gli storici raccontano che il signor Ciaponi e la sua famiglia, colpiti dalla peste, si erano raccomandati con grande devozione a S. Nicola e avevano toccato i bubboni con i suoi “panini” benedetti. Al mattino si erano svegliati guariti ed erano andati a S. Giovanni per far cantare una Messa di ringraziamento all’altare di S. Nicola.

    Gli Agostiniani di S. Giovanni, pur tra alterne vicende, vissero in pace fino al 1785. In quell’anno per ordine del Granduca, Pietro Leopoldo, furono soppressi e fu loro ordinato di lasciare il convento. E fu una lunga assenza. Solo nel 1855 il vescovo, Mons. Gavi, ottenne da Leopoldo II la restituzione del convento all’Ordine di S. Agostino. Nel 1856 il Vescovo, con un atto di particolare riguardo verso gli Agostiniani, volle far coincidere il sesto centenario della venuta degli antichi Eremiti da San Jacopo d’Acquaviva con il ritorno dell’Ordine a Livorno. Ma nel 1866, solo undici anni dopo, furono di nuovo soppressi dallo Stato italiano. L’essere però parrocchia salvò S. Giovanni, perché i Frati poterono continuare ad esercitare il ministero sacerdotale nella Parrocchia, pur avendo perso la proprietà dello stabile, incamerato dal Demanio.

   Da questo momento gli avvenimenti della comunità di S. Giovanni sono gli stessi della storia agostiniana d’Italia che vivono ancora nella memoria di tutti. E non possiamo dimenticare persone come P. Luigi Astengo, P. Gino Bellandi, P. Irman Bolognesi, P. Giuseppe Pucci, P. Ilario Monti e tanti altri, dei quali sarebbe troppo lungo fare l’elenco, che hanno reso possibile questa straordinaria avventura. Che il seme di questa pianta, trapiantato altrove, possa dare, per volontà di Dio, i medesimi frutti. Come il seme della vita religiosa piantato da Agostino in Africa, ha dato frutti straordinari in altri luoghi e in altre terre.