L. NECCIA, Il convento agostiniano di N.
Signora d’Itria in Illorai, da Analecta Augustiniana, LXI (1998), pp. 151-170
1.- Gli Agostiniani in Sardegna: cenni
storici.
[Pag. 153] Nell’Archivio della Curia vescovile di Ozieri, alla pos. “Cause civili” n. 1765/142, si trova un
manoscritto composto da 46 carte: si tratta degli atti
relativi alla chiusura e alla dismissione del Convento di Nostra Signora d’Itria
in Illorai, casa religiosa che apparteneva alla Provincia di Sardegna
dell’Ordine dei Frati Eremitani di S. Agostino (Agostiniani). Siamo nel 1765,
quando, dopo aver celebrato nel mese di aprile il
Capitolo Provinciale, i frati decidono di lasciare quel convento, per
l’impossibilità di condurvi una vita religiosa proficua e serena: i banditi,
infatti, con la loro continua presenza li costrinsero ad abbandonare un luogo
per loro significativo, a motivo del culto ivi promosso della Vergine d’Itria.
Ma andiamo con ordine, cercando di farci un’idea, per
forza di cose sommaria, della presenza degli agostiniani in Sardegna, allo scopo
di inquadrare meglio le vicende occorse al “conventino” di Illorai. Era naturale
che l’Ordine Agostiniano guardasse alla Sardegna con interesse, poiché
nell’isola era stato custodito e venerato per oltre due secoli il corpo di S.
Agostino, poi riscattato da Liutprando e portato a Pavia, dove riposa tuttora
nella chiesa di S. Pietro in Cieldoro. Questo il vero motivo, quindi, che li
spinse in Sardegna, tanto che il sigillo di quella che fu poi la provincia
religiosa raffigurava in basso un sepolcro vuoto a ricordo della sepoltura di S.
Agostino, su di esso una casula con due dalmatiche
poste ai lati, simbolo dell’ufficio episcopale del Santo, in alto una stella,
messa lì a significare il Dottore della Chiesa, luce di scienza teologica e di
santità. Fiorirono anche leggende, che sempre accompagnano l’espressione di una
fede intensa, leggende che volevano che il Santo d’Ippona, [pag.
154] di ritorno da Ostia e diretto in Africa, si fosse fermato a
Cagliari e lì avesse fondato un monastero e operato
miracoli: con ciò altro non si voleva, se non stabilire un legame ancora
più forte tra la famiglia agostiniana e
1. Cagliari, con due case: il primo
convento di S. Agostino e il più recente di S. Leonardo, divenuto poi sede del
priore provinciale;
2. Samassi;
3. Tortolì;
4. Escolca (o Scorca);
5. Illorai;
6. Pozzomaggiore;
7. Sassari;
8. Alghero.
I frati furono in parte
spagnoli, in parte sardi ma, già a partire dagli inizi del XVII secolo, i
documenti rivelano (3) una preminenza di religiosi nativi
dell’isola, gradualmente sempre più marcata fino alla completa autonomia
rispetto alla Spagna. Non è questo il luogo per diffondersi ulteriormente
sull’argomento, che certo meriterebbe un lavoro specifico; dirò solo che, con
l’avvento dei Savoia, gli agostiniani e gli altri
ordini religiosi si trovarono al centro di una politica che li costrinse a
ridurne la presenza fino alla soppressione definitiva, decretata dalle Leggi
Rattazzi del 29 maggio 1855. Gli agostiniani, ormai diminuiti di numero e
rimasti con soli 5 conventi, non ebbero la forza né la possibilità di
riprendersi, per cui in quell’anno ebbe fine il loro
servizio religioso e pastorale nell’isola, dopo una permanenza di circa mezzo
millennio.
_____________________________________________
(1)
P. MARTINI, Storia Ecclesiastica di Sardegna, Stamperia Reale, Cagliari
1841, vol. III, app. 2° (Notizie sul clero regolare), pp.
458-459.
(2) D. GUTIERREZ, Storia dell’Ordine di S. Agostino, Vol. I/2, Gli Agostiniani
nel Medioevo (1357-1517), Roma, 1987, p. 117.
(3) Si vedano i
manoscritti presenti in: Biblioteca Universitaria di Sassari, Soppresse Corporazioni
Religiose, s. 5, mmss. 487; 815, 26; Archivio di Stato
Sassari, Fondo
Corporazioni Religiose soppresse, Alghero, Agostiniani, b. n.
1.
2. Le carte manoscritte dell’Archivio della
Curia vescovile di
Ozieri.
Fatta questa premessa, è opportuno vedere cosa
contengono le 46 carte manoscritte, con una breve presentazione dei documenti in
esse contenuti. Innanzitutto è
da notare che lo stato di conservazione delle carte non è proprio dei migliori:
in qualche parte non sono del tutto leggibili o perfettamente comprensibili, a
motivo del deterioramento del materiale cartaceo; ciò tuttavia non impedisce
l’intelligenza del testo e il senso del loro contenuto è sufficientemente
ricostruibile. Alcune carte, poi, presentano una parte erosa nel centro, ma non
così ampia da non consentire almeno la comprensione del senso globale dello scritto. La lingua impiegata è ancora il
castigliano, anche se dal 1760 era stato introdotto ufficialmente l’uso
dell’italiano: si tratta peraltro di un castigliano non proprio ortodosso, ad
uso insomma di persone che facevano ricorso a questa
lingua ormai quasi esclusivamente per le comunicazioni ufficiali. I documenti
sono stati raccolti dalla curia vescovile di Alghero e
ordinati dal R.do Dott. Proto Tola, segretario
dell’allora vescovo Mons. Giuseppe Maria Incisa Beccaria, ordinario di quella
diocesi dal 1764 al 1772, [pag. 156] anno in cui passò
all’arcidiocesi di Sassari. Ricordiamo che il vescovo
di Alghero al tempo aveva sotto di sé anche le tre
antiche diocesi di Ottana, Castro e Bisarcio: era infatti “Obispo de Alguer, y
uniones”; questo chiarisce perché fosse rimessa in suo potere la chiusura del
convento di Illorai. Le carte esaminate sono, per lo più, documenti originali,
mentre solo alcune sono copie conformi. Ma passiamo ad illustrarli brevemente, secondo l’ordine di
disposizione:
a) Carta n. 1: è il frontespizio della raccolta e ne
sintetizza il contenuto. Si tratta dei procedimenti seguiti da parte della curia
vescovile “sobre la acceptassion del Conventino de
Agustinos de
b) Carta n. 2: lettera del vescovo di Alghero
al parroco di Illorai, con la quale vengono attribuiti i beni dell’ex convento
agostiniano alla parrocchia del paese, 1768 aprile
9.
c) Carta n. 2v: risposta del parroco di Illorai,
Salvatore Marras, alla lettera di cui sopra, 1768 maggio 7.
d) Carte nn. 4-4v: lettera della curia di Alghero al Rettore di Bono, Rev. Giovanni Meloni, vicario
foraneo del Goceano, designato quale delegato speciale del vescovo, perché si
informi circa la dismissione del convento e la vendita che i frati vanno facendo
dei beni del medesimo, 1765 ottobre 1.
e) Carte nn. 4v-5: relazione del Rettore di Bono sulla visita fatta al
convento, 1765 ottobre 9.
f) Carte nn. 6-6v-7-7v: lettera di protesta dei maggiorenti di Illorai al
delegato del vescovo, in cui lamentano il fatto che i
frati agostiniani stanno vendendo beni di fondazione del convento e della
chiesa, allegano un elenco delle cose vendute. Senza data, ma sicuramente
contemporanea alla visita del delegato
vescovile.
g) Carte nn.
7v-8-8v-9-9v-10-10v-11-11v: in esse viene riportata l’interrogazione dei testimoni fatta dal
Rettore di Bono, attorno a quel che sanno della vendita di parte dei beni del
convento, 1765 ottobre 9 e 10.
h) Carte nn. 12-12v-13: lettera del provinciale degli agostiniani Fr. Nicola
Lippi al vescovo di Alghero, nella quale, difendendo
l’operato dei frati, si rimette alla volontà dell’ordinario, 1765 ottobre
31.
[pag. 157]
i) Carte nn. 14-14v: lettera del priore provinciale al vescovo di Alghero, per assicurare la sua piena disponibilità
nell’accettare le volontà della curia, 1765 novenbre
8.
1) Carta 15: lettera del priore provinciale al superiore del convento
di librai, 1765 novembre 8.
m) Carte nn.
16-16v-17-17v-18-18v-19-19v: relazione del
P. Nicola Murro, per conto del provinciale, diretta
alla curia di Alghero, ove si riportano le ragioni della chiusura del convento,
oltre ad una breve sintesi sulla sua fondazione, l’inventario dei beni di chiesa
e sacrestia, dei documenti, dei beni immobili, dei beni profani e degli utensili
del convento. Senza data.
n) Carte nn. 20-20v: lettera del vescovo di
Alghero al Rettore di Bono, perché in qualità di delegato proceda a
prendere in consegna il convento e la chiesa a nome e per conto della diocesi,
1765 novembre 27.
o) Carte nn. 21-21v-22-22v: lettere da
Bono in cui si dispone la presenza del Reggente ufficiale del Goceano, Pablo
Meddigue, alle operazioni di chiusura del convento, 1765 novembre 3 e
4.
p) Carte da
Qualche notizia sembra doverosa anche sul superiore
provinciale degli agostiniani, P. Nicola Lippi, e sul P. Nicola Murro, suo
collaboratore in questa vicenda e, come ricordato, autore della relazione
contenente tutti i dati più importanti relativi alla casa di Illorai. Il primo, oltre ad essere stato
priore del convento di Cagliari (4), fu anche apprezzato professore di teologia
nell’Università della stessa città, mentre il P. Murro, anch’egli stimato
teologo, ricoprì spesso incarichi di responsabilità nella provincia: consigliere
provinciale, priore di Sassari, all’inizio dei 1765 Reggente della
Provincia. Di lui il Sisco dice che fu
sassarese, “lucidissima stella” e “lustro della Patria” (5).
Due persone degne di rispetto quindi [pag.
158] e all’altezza della situazione: come vedremo, il comportamento della provincia agostiniana nelle
vicende del convento di Illorai fu ineccepibile.
_____________________________________
(4) G. SORGIA, Gli Agostiniani in
Sardegna in epoca moderna,
in “Studi Sardi”, vol. XXIX (1990-91), Ed. Gallizzi Sassari, 1991,
pp. 523-524.
(5) A. SISCO, Notizie che il P. Antonio Sisco sassarese
ricavò da antichi documenti,
Biblioteca Universitaria di Sassari, ms. 52, sec. XVIII, Carte 113,
c. 8r.
3. Fondazione
del convento di Illorai
Illorai è un piccolo centro del Goceano, territorio a
sud della provincia di Sassari, non lontano da Nuoro. Negli Atti capitolari
inviati dagli Agostiniani a Roma nel 1765, l’estensore così ce
lo descrive: “Illoray oppidulum est inter asperrima et fragrosa
montium constitutum” (6), una piccola “Villa”, sperduta tra una giogaia
di monti ripidi e pressoché impraticabili. Qui giunsero gli agostiniani nel
1624: “En 8
de septiembre de 1624 fue recebida la fundacion del
Convento de Nuestra Señora de Itria de Iloray” (7),
così inizia la relazione del P. Murro. La nuova fondazione fu resa possibile
dalla generosità di alcune persone, i conti di Bonorva,
poi baroni di Uri ed Ittiri, che donarono il terreno dove già esisteva la chiesa
dedicata alla Vergine d’Itria, con una costruzione attigua da ultimare ed
ampliare, sempre a spese dei benefattori. “Fueron los
fundadores los Señores coniuges Francisco Nurquis Zedrelles, y Francisco, y
Andniana Corona, y Nurquis: estos prometieron dar à los Religiosos
______________________________________________
(6)
AGA (Archivio Generale OSA), Ff. 53, 435.
(7)
ACVO (Archivio Curia Vescovile Ozieri), Cause Civili, n. 1765/142, c.
16.
(8)
ACVO, cit., c. 16. Traduz.: “I fondatori
furono i signori coniugi Francesco Nurquis Zedrelles e Andriana Corona. Costoro
promisero ai religiosi di dar loro la chiesa di Nostra Signora d’Itria, posta e
situata in località chiamata “Botto”, che aveva quattro parti di fabbricato
contigue a detta chiesa, con l’impegno di costruirne altri due a proprie
spese”.
(9)
ACVO, cit., c. 16v. - Traduz.: “Agli inizi
del presente secolo (XVIII, nda) era in corso la causa nella Reale Udienza
contro Don Francesco Satta Nurquis e, dopo la morte di questi, si è continuato
contro l’illustre Don Antonio Ledda, Conte di Bonorva e Barone di Ittiri, ma
detta causa non è stata portata a termine, nè è stata più seguita per non aver
avuto il convento, in ragione della sua estrema povertà, la possibilità di
sostenere i costi della lite e di tener fronte ad un avversario così
potente”.
(10)
ACVO, Cit., c. 4v. - Traduz.: “situato fuori
dell’abitato di Illorai”.
4. La chiesa e il
convento.
La piccola chiesa aveva un altare maggiore sul quale
campeggiavano la statua della Madonna d’Itria, incoronata con un diadema
d’argento e vestita di seta, e la statua di S. Agostino. Sempre nei pressi dell’altare, altre due statue più piccole: un di
marmo, [pag. 160]
ancora della Vergine, e l’altra di legno di S. Nicola da Tolentino.
Vi era inoltre una cappella dedicata a S. Rita: al centro di essa la nicchia con la statua della Santa vestita di un abito
nero. Le vesti della Madonna e della Santa di Cascia venivano cambiate con altre che si custodivano in sacrestia
e, generalmente, erano di seta. Alle pareti laterali della
cappella di S. Rita due statue nelle rispettive nicchie: una di S. Tommaso da
Villanova e l’altra di S. Nicola da Tolentino. Ancora, vi erano disposti
altri tre simulacri più piccoli di S. Michele Arcangelo, di S. Lorenzo e di S.
Lucia e un quadro della Madonna della Consolazione. Nella sacrestia un armadio
per le vesti liturgiche e un grande tavolo di legno
ordinario. Da ultimo, senza torre campanaria e probabilmente sopra la chiesa, un
piccolo campanile con “una campana, y otra campanilla” completava
l’insieme dell’edificio sacro. Dalla descrizione delle restanti suppellettili
della chiesa (candelabri, crocefissi, etc.) emerge chiaramente che non si
trattava di arredi di pregio, anzi più volte vengono
descritti come vecchi o molto usati. Insomma, una chiesetta di
campagna delle tante che erano e sono sparse nell’isola. Gli agostiniani
promuovevano ovviamente il culto dei santi del proprio ordine, come S. Nicola da
Tolentino, S. Rita da Cascia, che al tempo era solo beata, per quanto nei
documenti venga sempre indicata come santa, e S.
Tommaso da Villanova. Era tradizione dell’ordine venerare
_________________________________________
(11)
ACVO, cit., cc. 19-19v. - Traduz.: “Inventario dei beni profani e degli utensili di detto
convento”.
5. Il culto della Vergine
d’Itria.
Veniamo ora ad esaminare un aspetto interessante e noto
per quel che riguarda la storia della Sardegna, meno noto e ancor più
interessante per la storia dell’ordine agostiniano in questa regione: il culto,
di tradizione bizantina, della Madonna d’Itria. Per quanto concerne la storia
sarda, Felice Cherchi Paba, in
_______________________________________________
(12)
F. CHERCHI PABA,
(13)
F. CHERCHI PABA, ibidem, p. 79.
(14)
F. CHERCHI PABA, ibidem, p. 79.
(15)
ACVO, cit., c. 16.- Traduz.: “Costoro (i fondatori, nda) promisero ai
religiosi di dar loro la chiesa di Nostra Signora d’Itria, posta e situata in
località chiamata Botto”
6. Gli agostiniani e
Il culto verso
_____________________________________________
(16)
D. GUTIERREZ, cit., p. 193.
(17)
D. SCANO, Codice diplomatico delle
relazioni fra
(18)
G. SPANO, Guida alla città e
dintorni di Cagliari,
Tip. A. Timon, Cagliari 1861, pp. 227-228.
(19) F. DE VICO,
Historia General de
(20) Si veda:
Sassari, Storia dei Gremi e dei Candelieri, a c. di C. A. Sanna, Ed.
ACS, Sassari 1992, pp. 169-183.
(21) Archivio di
Stato Sassari, Fondo Corporazioni Religiose soppresse, Agostiniani, Alghero, b. n.
2. Libro di spesa dal 1853 al 1855.
(22) D. SCANO,
cit., p. 410.
7. I banditi.
Il Martini, nell’elencare i conventi agostiniani rimasti
al 1841, così annotava a proposito di quello di Illorai: “Illorayanus,
nella villa d’Illorai (soppresso dopo il 1760, ed allora che il ministro Bogino
avvisava all’abolizione dei conventini)” (23).
[pag.
165] Con il ministero del conte Giovanni Battista Bogino (1759-1773),
sotto Carlo Emanuele III, il governo sabaudo iniziava ad occuparsi della
questione degli ordini religiosi mendicanti, ritenendo di dover disciplinare il
settore secondo le note formule del riformismo illuminato settecentesco: i frati
erano troppi e, con possedimenti scarsamente sfruttati e manomorta, erano di intralcio alle riforme economiche e alla modernizzazione
dello Stato: bisognava quindi ridurli di numero. Non sto qui a discutere la
bontà o meno di tali concezioni: altri lo hanno fatto a sufficienza e non è poi
questa la sede. Con ciò ho voluto solo far notare che, sebbene il motivo
ricordato dal Martini sia storicamente vero, esso non spiega la chiusura del
convento di Illorai: quest’ultimo venne abbandonato dai
frati per altri problemi, quelli causati dal banditismo. Tale motivazione viene espressamente citata nella relazione del P. Murro, il
quale aggiunge come seconda causa quella derivante dalle difficoltà economiche,
ma vedremo che le due cose erano strettamente interdipendenti: “en el
sobredicho Convento no puede en modo alguno hazerse vida religiosa, ni
observarse diziplina regular, attento, que por la tenuidad de su hazienda, y de
las limosnas de aquella Villa, apenas podian sustentarse en el dos Religiosos,
uno Sacerdote, y otro Lego: à mas que aun lo poco que aquel Convento tenia se lo
quitavan, y robavan los malhechores de aquel distrito, y concurrian
frequentemente à el, como à Lugar de Asylo, los bandidos, y facinorosos de aquel
partido, sin dexar jamas en sossiego à los pobres Religiosos, que en el moraban,
y habitavan” (24). Quanto alla
“tenuidad de su hazienda”, ovvero alle ristrettezze
economiche che vengono avanzate a giustificazione della decisione di lasciare,
esse non sembrano essere ragionevolmente credibili: 42 appezzamenti di terreno,
per quanto scarsamente redditizi, dovevano ben dare qualcosa; lasciti per 127
Messe all’anno, elemosine, altri proventi di sacrestia e questue, sicuramente
non raggiungevano alte cifre, ma costituivano pur sempre un introito decente; in
più ancora: ortaggi, grano, vino, insieme ai prodotti caseari ricavati da 12
pecore e qualche mucca, considerati i tempi, potevano soddisfare le esigenze di
un piccolo convento di due persone. [pag. 166]
Le difficoltà economiche esistevano, in effetti, ma come conseguenza
dei continui furti operati da quelli che vengono
indicati come banditi e malfattori, i quali depredavano di frequente il convento
dei suoi beni e terrorizzavano i religiosi, costringendoli a concedere loro il
diritto d’asilo. Così riassume la cosa il priore provinciale, scrivendo al
vescovo di Alghero in data 31 ottobre 1765: “en el
Convento de Illoray no se podia en manera alguna poner en execucion la
observancia regular, ya porque el dicho Convento no podia mantener los
Religiosos previstos para esso, ya tambien porque estando en lugar infrequente y
solitario, servia por refugio de ladrones, y que en no admitirlos corrian riesgo
las vidas de los religiosos, que alli moravan” (25).
In quello stesso anno 1765, e precisamente dal 27 aprile, era stato celebrato il
Capitolo Provinciale. In quella sede i padri agostiniani affrontarono i problemi
relativi al convento di Illorai e, nell’inviare gli
atti del Capitolo al Priore Generale, furono decisamente più espliciti
nell’illustrare la situazione, magari calcando un po’ i toni, allo scopo di
ottenere dal Superiore dell’Ordine la chiusura del convento: “Quod
Conventus Illoraensis a Sta Maria de Itria nuncupatus, ex maxima qua laborat
inopia ab egestate loci proveniente, ad extremam usque et miserandam
necessitatem redactus sit: nam praeterquamquod Ecclesia, at Conventus ruinam
propediem minantur” (26). E la causa
di tanta rovina e di così desolante miseria era da ravvisarsi, a detta dei
religiosi, nell’indole e nel comportamento degli abitanti del luogo, che vengono decritti come: “Pauperrimi,
perversi, barbariem spirantes, fures ac socii furum sunt, non parcentes rebus
ecclesiae; saepe enim equos, boves, ovesque Nostri Conventus subripuerunt;
ac tandem foribus dirutis bona Conventus, et utensilia Fratrum in eo
commorantium depopulati sunt” (27).
[pag. 167]
Miseria e banditismo, in una miscela non semplice da decifrare né da
capire appieno, sono stati un binomio storico significativo, la cifra atta a comprendere l’orgoglio
umiliato di una gente sostanzialmente sincera e vera. Ma due frati non potevano
affrontare da soli un problema più grande di loro, né
__________________________________________
(23)
P. MARTINI, cit., p. 458.
(24)
ACVO, cit., c. 16. - Traduz.: “Nel sopra detto convento non è possibile condurvi in
modo alcuno vita religiosa, nè osservarvi la disciplina regolare, considerato
che, per la scarsità dei suoi beni e delle elemosine di quel paese, appena
potevano vivere in esso due religiosi, uno sacerdote e uno laico; e inoltre,
anche quel poco che il convento possedeva se lo prendevano e rubavano i
malfattori di quel distretto (del Goceano, nda); e si recavano spesso al
convento, come a luogo in cui trovare asilo, i banditi e facinorosi di quel
territorio, senza mai lasciare in pace i poveri religiosi che ivi
dimoravano”.
(25)
ACVO, cit., c. 12 - Traduz.: “Nel Convento di Illorai non si poteva in alcun modo
porre in essere la vita religiosa secondo
(26)
AGA, Ff. 53, 435. - Traduz.: “(si fa presente) che il Convento di Illorai, del titolo
di S. Maria d’Itria, per la massima indigenza in cui versa, conseguenza della
povertà del luogo, si trova in una situazione di bisogno e di necessità estremi.
Infatti, eccettuata la chiesa, il convento, nel volgere
di breve tempo, è minacciato da rovina”.
(27)
AGA, Ff. 53, 435. - Traduz.: “sono poverissimi, malvagi, esalanti barbarie, ladri e
complici di ladri, non hanno riguardo neanche alle cose di chiesa; spesso,
infatti, hanno sottratto cavalli, buoi e pecore del Nostro Convento. Infine,
abbattute le porte, hanno saccheggiato i beni del convento e gli utensili dei
frati che in esso
dimoravano”.
(28)
AGA, Ff. 53, 435.- Traduz.: “pertanto,
poiché i frati non possono far fronte alle prepotenze di ladri e banditi,
succede che quasi sempre (il convento) diventi ricettacolo di gente di questa
risma. Tale situazione obbliga i Frati a sopportare un numero infinito di guai,
e dal momento che non v’e affatto speranza d’ovviare
con accortezze a tanto male, non è possibile escogitare alcun rimedio per
risolvere la situazione”.
(29)
AGA, Ff. 53, 435.- Traduz.: “Pertanto,
supplichiamo
(30)
D. FILIA, cit., vol. III, p. 63.
(31)
ACVO, cit., c. 13. - Traduz.: “perché nessuno desidera morire di fame, nè esser
soggetto a perdere la vita”.
8. Controversie seguite alla chiusura del
convento.
A seguito della decisione di lasciare ci furono
strascichi e polemiche, che coinvolsero la parrocchia, gli abitanti di Illorai,
il vescovo di Alghero, i suoi delegati e gli eredi dei
fondatori da una parte, la provincia agostiniana e i frati del convento
dall’altra: [pag. 169] i primi tutti compatti contro i due
poveri frati, i quali, ubbidendo ad ordini superiori, stavano provvedendo ad alienare alcuni beni di effettiva proprietà
dell’Ordine, facendo attenzione a non toccare beni lasciati dai fondatori, o
provenienti da donazioni fatte esplicitamente per la chiesa e il culto della
Madonna. Poiché così era stato deciso nel capitolo provinciale, a tale decisione
era venuto incontro il Superiore Generale; disposizioni a favore dell’operato dei frati venivano, infine, dalla spesso citata Bolla
del 1652 di Innocenzo X, sull’abolizione dei piccoli conventi. Non appena i
frati provarono a vendere qualcosa degli utensili, nella fattispecie cucchiai o
pentole, e qualche appezzamento di terreno lasciato da religiosi agostiniani
nativi del luogo, si scatenò contro di essi l’inferno.
Il vescovo inviò immediatamente al convento il Rettore di Bono, il R.do Giovanni
Meloni, accompagnato da parroco e viceparroco dello stesso paese, dal vicario di
Bottida con tanto di segretario al seguito: costoro interrogarono il priore e,
tra gli abitanti di Illorai, i testimoni che sapevano delle famose vendite.
Riferirono poi al vescovo, il quale, in un carteggio col priore provinciale,
fece ben intendere la sua volontà di bloccare tutto e di avocare a sé la
questione: i beni non si dovevano alienare, anzi erano da destinarsi alla
parrocchia del paese. Si hanno tutti i contorni di una vicenda meschina, nella
quale i frati escono comunque a testa alta,
abbandonando tutto; dopo l’esperienza degli assalti dei banditi, forse non si
aspettavano un attacco così virulento da parte, non solo dell’autorità
ecclesiastica, ma anche di gente alla quale avevano prestato un servizio
religioso continuo e senza problemi. Alla fine, anche la vendita delle 12
pecore, che tutto potevano essere meno che beni di
fondazione, venne dichiarata nulla. Padre Cubeddu consegnò tutto al notaio
appositamente inviato dal vescovo d’Alghero, e concluse
la vicenda affidando a quest’ultimo le chiavi. Inutili le
richieste della provincia: “Y siendo, como son, estas cosas profanas, en nombre del
Muy Reverendo Padre Provincial y à toda esta Provincia,
suplico à S.S. Il.ma y R.ma conceda el permisso y
licencia de poder asportar, vender y alienar las sobredichas cosas expressadas
en este ultimo inventario de cosas profanas y utensilios, que devevan aplicarse
al Convento mas vezino, segun manda nuestro Rever.mo
Padre General a tenor de lo dispuesto en las sagradas Constituciones de nuestra
Orden, que demas de ser conforme à lo que manda y ordena el S.mo Padre Inocencio X en la citada Bula, lo recibirà à
particular gracia de la benignidad de Su Señoria Il.ma” (32).
[pag. 170]
Nessuno sentì ragioni, tutti anzi furono
determinati nel non concedere nulla, neanche quanto era di diritto. Sicuramente
stanchi, ma forse più amareggiati dallo spettacolo per niente edificante di
quanto accadeva, i frati compirono infine un gesto di generosità oltre il
dovuto, ironizzando sulle miserie umane di sempre. Il provinciale, infatti,
riferendo al vescovo d’Alghero sul perché non aveva
avvisato in tempo la diocesi della decisione di lasciare, sembra
abbozzare un sorriso sulla vicenda: “los de essa
Villa, que tambien à esso, serian capazes de hazer oposizion, si alcansavan la
noticia, que se desamparava este gran convento” (33).
Finita in questo modo la cosa, la chiesa continuò ad essere officiata almeno
fino al 1785, secondo quanto riferisce il Casalis: “In Illorai
furono già i frati agostiniani, e sono tuttora visibili all’estremità
dell’abitato verso mezzogiorno le mura del convento e della chiesa, nella quale
si è cessato di festeggiare intorno all’anno
____________________________________________________________
(32)
ACVO, cit., c. 19v. - Traduz.: “Ed essendo,
come sono, questi beni profani a nome del Molto Rev.do
Padre Provinciale e di tutta
(33)
ACVO, cit., c. 14. - Traduz.: “Gli abitanti di quel centro, anche a ciò sarebbero stati
capaci di fare opposizione, qualora avessero conosciuto in anticipo la notizia
che si lasciava questo gran convento”.
(34)
G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico,
commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1841, vol. VIII,
p. 461.