da Analecta Augustiniana, LXIV (2001), pp. 179-268

 

LA PROVINCIA AGOSTINIANA DI SARDEGNA DAL XVII AL XIX SECOLO: CENNI STORICI

di LINO NECCIA

 

[pag.181] Il presente studio si pone come continuazione del precedente, pubblicato nel vol. LXII di “Analecta Augustiniana”, alle pagg. 359-389, e titolato: La Provincia Agostiniana di Sardegna dagli inizi a tutto il XVI secolo. Pertanto, allo scopo di completare una ricerca utile a far luce in maniera la più esauriente possibile sulla restante parte della storia di questa provincia, credo sia necessario delineare i contorni del piano di lavoro dello studio che vado ad esporre. Ho ritenuto più utile procedere secondo un criterio cronologico diviso per secoli e affrontare quindi in maniera separata l’analisi storica dei tre secoli in questione, perché mi è parso un percorso più agevole e chiaro, né la storia di questa circoscrizione dell’Ordine Agostiniano presenta particolari esigenze o difficoltà tali da esigere tracciati di studio più articolati. Segue poi una breve presentazione dei 4 Conventi più importanti. Infine, ho pensato fosse giusto trascrivere, laddove possibile, i documenti in versione integrale ed in originale, poiché da essi traspare molto di più di quanto possa dedurre il singolo interprete.

 

1. IL SECOLO XVII: CRESCITA E SVILUPPO DELLA PROVINCIA

Come si intuisce dal titolo di questo paragrafo, il secolo in questione vide la crescita, il consolidamento dell’Ordine Agostiniano in Sardegna e il suo pieno inserimento nella vita religiosa e civile dell’isola. Tutto ciò fu possibile grazie ad un clima politico molto favorevole agli ordini religiosi in genere, ai mendicanti soprattutto e agli agostiniani, nella misura in cui approfittarono del favore dei monarchi spagnoli e del generale clima di ottima considerazione in cui veniva tenuto l’Ordine in Spagna. Agli inizi del secolo, però, le [pag.182] cose non andavano nel migliore dei modi: i conventi dell’isola erano stati separati dalla Spagna, costituivano ormai circoscrizione a sé, ma questa indipendenza aumentava i rischi dell’isolamento, accresceva i problemi di natura economica, metteva i sardi in condizione di dover fare da soli anche nel delicato settore della formazione e degli studi, con tutti i problemi del caso. Insomma, non era facile, con i conventi in parte da costruire e in parte da ristrutturare, con pochi religiosi, ancora in maggioranza spagnoli, anche se i sardi cominciavano a crescere di numero. Il governo centrale dell’Ordine aveva ben presente la situazione, e infatti aveva decretato per la Sardegna lo status di Vicariato, non più di Provincia, con il superiore maggiore direttamente nominato da Roma e con un’attenzione sempre vigile negli affari interni dei conventi; il superiore generale si preoccupava anche di inviare quanti religiosi fosse possibile da altre province, così da ovviare alla carenza di personale. Per comodità di trattazione e per avere uno sguardo d’insieme di questo secolo, si può dire che nella prima parte di esso gli agostiniani organizzarono la propria presenza in Sardegna, con conventi, chiese, attività religiose, etc.: la provincia infatti non crebbe più oltre i risultati ottenuti fin verso il 1650. Nella seconda metà del XVII sec. i religiosi toccarono il massimo della loro espansione nel territorio sardo e non riuscirono mai più a raggiungere i livelli di sviluppo di questo periodo. Nel mezzo, attorno al 1654-55, una grave pestilenza fa come da spartiacque tra la prima e la seconda parte del secolo, riduce drasticamente il numero dei religiosi, ma poi verrà la ripresa e continuerà il trend positivo della crescita della provincia. Gli inizi dunque furono difficili, ma ciò riguardava tutta la Sardegna, tanto che a cavallo tra il Cinque e il Seicento la S. Sede si vide costretta ad inviare un visitatore apostolico per accertarsi della situazione e per prendere gli opportuni provvedimenti disciplinari: “Coll’andare degli anni, essendo scadute assai in quest’isola le monastiche discipline, quel pontefice (Clemente VIII, nda), coll’intendimento di farle rifiorire secondo le rispettive regole, inviava D. Clemente di Napoli, monaco benedettino, ed Antonio Marzen minore osservante, colla qualificazione di visitatore dei regolari di Sardegna, onde indagassero dove stavano i disordini, e li correggessero con analoghe ordinazioni. Nel redire a Roma da così onorevole missione presentarono l’idea dei convenienti decreti di riforma. Il papa poi nel sancirli ne raccomandò la piena esecuzione all’arcivescovo Lasso Sedefìo con lettere amplissime (1). [pag. 183] Nell’Archivio Storico della Curia Generalizia Agostiniana è conservata la relazione prodotta da Fr. Antonio Marzen con i provvedimenti adottati per gli agostiniani sardi: se ne ricava un sufficiente quadro della situazione della provincia al momento e si apprendono informazioni di una certa importanza sui conventi e sui religiosi. Proprio per queste ragioni, riporto qui di seguito la parte in lingua volgare della relazione redatta nel 1601:

 

“Constitutioni et decreti Apostolici da osservarsi dalli Padri di Santo Augustino fatti per frat’Antonio Marzen Visitatore Apostolico delli Regulari del Regno di Sardegna approvati dalli Reverendissimi prelati della Visita Apostolica de ordine de Nostro Signore Clemente VIII”

 

 

Dell’oratio et culto divino.

1. Il Matutino se dirà nel Convento di Cagliari de Sancta Croce di settembre per sino a Sancta Croce di Maggio a mezza notte, l’altri tempi si dirà la mattina tra le quattro et le cinque, cantando al modo di Sardegna, et finito il Matutino si farà mezz’ora di Horatione. In tutti l’altri conventi per stare scomodati si dirà alla prima notte non lassando giamai la mezz’hora di Horatione.

2. Et perché molti Religiosi si lamentano che l’offitio si dice troppo in fretta, si comanda per santa obedientia al Superiore che sia molto vigilante acciò si paghi come si deve al Signore Iddio il suo Santo Servitio.

 

Del celebrare delle Messe et anniversario.

1. Perché ci è stata grandissima negligentia in conservare i libri de’ sensali redditi annuali, messe et anniversarij, si vede manifestamente essersi perse assai cose, comandiamo sotto privatione del suo offitio al padre Priore che và ricomposto di quello che si ha perso, et tanto tempo che non ha soddisfatto all’obligo, che il Convento di Callari che li havea, che da qui avanti si dica per questa intenzione ogni settimana un noturno de’ Defunti, et una Messa.

2. Delle Messe che si ritrovano scritte e delli Anniversarij si farà un scandaglio, et si vedrà quello che il Convento è obligato giornalmente, et il sagrestano sarà obligato render conto ogni sabato al padre Priore, come quella settimana si sonno dette le Messe [pag.184] dell’oblighi, et l’istesso si farà di quelle devozioni le quali di man in man si sirvaranno in un libro che per questo effetto farà fare il sagrestano et le Messe de Devozione se diranno per ordine come entrano.

3. Si comanda per sancta obedienza sotto pena de escomunicazione late sententie reservata la absolutione al Superiore del Convento che nessun frate possa pigliar danari di Messe ne de gaudij o di qual si voglia altra cosa, nella chiesa o fuor di essa, anco che sia poca quantità; nelle dette pene incorraranno li Superiori et Sagrestani se li denari che vanno in comune piglieranno per loro, ma subito li mettaranno nella Cassa del Deposito e quella della Sagristia.

4. Il Superiore che permetterà che le donne mangino dentro della Chiesa di Santo Agostino di Cagliari sia sospeso dal suo officio per un anno, et al sagrestano se li darà una disciplina avanti i frati.

5. Il frate che non sarà confessore sia trovato a parlar con donne nella Chiesa sia carcerato per tre giorni non mangiando altro che pane et Acqua.

 

Delli Novitij.

1. Non potranno riceversi Novitij in tutto il tempo che staranno nel Convento di Sant’Agostino Vecchio (2) per non c’essere Novitiato formato, ne luogo commodo dove possino stare, et quelli che haverranno da esser ricevuti, non haverranno meno che quindici Anni entrati nelli sedici; di sorte che quando abbia finito l’anno della approbatione tenga tempo di Professare conforme al Santo Concilio di Trento, et li Novitij che si riceveranno in Sassari, et Alguier li mandaranno a Cagliari a far l’anno del Novitiato.

2. Da qui avanti non si serviranno di ragazzi nelli Conventi; ma bisognando per alcuna urgentissima necessità servirsi d’alcuno per servire alle messe non li potranno vestire cappuccio ne scapulario, o [pag.185] patientia, et facendo il contrario il Superiore sia ipso facto privato del suo offitio per un Anno.

3. Non riceveranno per nessun tempo alla Religgione Fulgentio Desì, ne Agostino Serico per scandalo che hanno dato quando erano Novitij; et se alcun Superiore farà il contrario sia privato del suo offitio per tre Anni.

4. Bartolomeo Serra che fu professo dell’Ordine, il quale per la sua mala vita è stato scacciato, nessun Superiore della Religgione lo potrà ricevere senza espresso mandato della Santa Sede Apostolica, anzi sonno obligati di avertire ad esso et suo Priore che non può esser promosso alli ordini sagri per essere stato dichiarato infame che né può esser abilitato se per non il papa.

5. Al Superiore della Provincia si comanda sotto privatione del suo offitio per tre anni che non possa ricevere alcun penitenziato di quelli che stanno fuora delo Regno se prima non haveranno finito il tempo della loro Penitentia, ne manco con loro potrà dispensare in cosa alcuna delle Penitentie imposte sotto l’istessa pena.

 

Della fabrica et casi del Convento Nuovo.

1. Non piglieranno possesso della Chiesa nova et Convento (3) se prima non ne saranno consapevoli il Re Nostro Signore o il Vice Re del Regno, et staranno alli oblighi giusti, et honesti che comandarà sua Maestà Catholica come protettore et Signore che ha fatto fare tutta la fabrica.

2. Le Cappelle non se daranno a’ particolari senza il consenso, et parere de tutti i frati del Convento, et sempre saranno preferiti quelli che adesso nella Chiesa vecchia hanno cappelle.

3. Alle fenestre metteranno gelosie che non siano niente curiosi; ne manco che si possino alzare; ma staranno inchiodate acciò non siano visti i frati dalli secolari. Alla parte di S. Leonardo staranno le fenestre alte in maniera che non si possino affacciare li frati, ne esser visti, ne vedere; et se il Superiore della Provincia non metterà questo nostro Decreto in executione, sia sospeso del suo offitio. [pag.186]

 

Della eletione delli Prelati della Provincia.

1. La Provincia di Sardegna non si chiamarà più Provincia ma Vicaria, et starà sogetta inmediatamente al padre Generale et il prelato che presederà in essa sarà chiamato Vicario generale, il quale con li deffinitori della Provincia haverà autorità di far li Priori et altri officiali, et anco tutte le altre cose che appartengono al bon governo delli frati.

2. Il detto Vicario Generale sarà fatto et creato ogni tre Anni dal Padre Reverendissimo et accadendo che per morte di detto Vicario, vacante l’offitio in tal caso sarà costituito in suo luogo il primo Definitore della Provincia, et avendo finito esso Vicario generale il suo offitio et non fosse provvisto il Vicario generale, l’istesso Vicario presederà nella Provincia per fin tanto sia fatta nova provvisione del Padre Reverendissimo.

3. Al Capitolo Generale ogni 6 Anni sarà esso Vicario obbligato andare, al quale per suo viaggio li saranno fatti boni dieci scudi per l’andata et dieci per la tornata, et non più, et all’istesso Vicario se verrà da Terra ferma per il suo passaggio li saranno fatti boni inmediatamente scudi dieci di moneta.

 

Della Colletta del Vicario Generale, generale, et Prior dell’Ordine.

1. Non si darà colletta ne vestiario al detto Vicario generale, ma solo si contentarà di stare alla vita comune, dandoli per la sua visita cavalli; et quello bisognarà, solo non si diano denari, per esser contra la mente del Papa.

2. Al Padre Reverendissimo Generale per la sua Colletta li saranno dati 7 scudi de moneta et due alli asistenti di Italia ogni Anno, et non saranno obligati a pagare altro che nove scudi.

3. Le spese del Capitolo Generale si pagaranno secondo alla possibilità delli Conventi, havendo sempre riguardo che son pochi e poveri.

 

Delle proprietà.

1. Nessun frate di qual si voglia grado, conditione et qualità potrà tenere proprio, come case, vigne, sensali, ne beni immobeli, et se alcun sacerdote di se stesso possederà alcuna cosa delle sopradette  [pag.187] li sarà tolta ogni cosa et incorporata al comune, et esso castigato come proprietario.

2. Al Priore del Convento, Sagrestano, ne a quelli che fanno le cerche pecuniarie li sarà dato cosa alcuna, de più che ali altri, si intende de Denari, ma havendo bisogno de scarpe, et altre cose, saranno provisti dal convento conforme alle loro necessità. Né le cerche si affittaranno. Et il suddito che recusarà di obedire; se sarà sacerdote sia privo di voce attiva et passiva per dieci Anni, se professo non sarà promosso alli ordini sagri.

 

Del Vestito et Vita Comune.

1. Poiché la curiosità è aliena dal ben vivere Religioso, si comanda che nessun da qui avanti ancorché sia superiore, si vesti di Raseio (4) o panni fini; et se alcun sarà trovato vestito, con questo nostro decreto sia privo delli Panni et di voce attiva et passiva per dieci Anni.

2. Et perché l’abuso di portare giubon rossi di grana, et lino et bottoni di seta, stivaletti molto politi, et altre cose con la regola contrarie, si comanda che subbito questo nostro decreto sarà venuto a loro notizia, si levi via ogni cosa et vadino come figlioli di un tanto Santo padre.

3. Per constitutione sono obligati a diggiunare da ogni santi per sino alla Pasqua della Natività di Nostro Signore. Essendo che non sta alcun Convento dell’Isola in osservantia scusandosi con l’intemperie dell’aria, si comanda sotto Privatione del suo offitio al Padre Vicario generale et alli Priori che almen diggiunino dalla prima domenica dell’advento sin al Natale, con il rigore che si diggiuna la quadragesima maggiore.

4. Il frate che sarà trovato mangiare dentro della cella in compagnia di altri, le sia imposto penitentia che non scappi fuora della cella per quindici giorni.

5. Il Superiore che permetterà che mangin secolari in Refettorio al tempo che mangia la comunità, se già non fuori alcun Prelato o [pag.188] offitiale del Re, sia sospeso dal suo offitio per 6 mesi et se bisognarà che alcun habbia da mangiare in Refettorio, per non esserci foresteria o Hospitaria, in tal caso sia avanti o dopo la communità.

6. Non si permettarà che in Refettorio servino Ragazzi, ne secolari, perché è contra el Decoro e vivere Religgioso.

7. Nessun frate permettarà che secolare alcuno dorma nel suo letto.

8. I frati, conforme alla Constitutione, dormiranno con la forma del habito vestiti, et si guardino li frati andar senza cappuccio o scappulario per indormentarsi.

 

Delli Conventi di Scolca e Pozzo Maggiore.

Per star il Convento di Scolca male in ordine assieme con quello di Santo Girolamo di Pozzo Maggiore si comanda, conforme al comandamento di Nostro Signore Clemente VIII, che la chiesa si disfaccia et la robba et beni di detti Conventi si applichino al Convento di Santo Agostino di Alguier et di Sant’Agostino di Sassari dell’istesso Ordine et la Chiesa del Convento di Scolca sia resa all’ordinario, et una vigna sia incorporata al convento di San Gimigliano di Samassi; et l’altre cose che in detto convento vi si trovaranno saranno consegnate al Convento di Santo Agostino di Callari. Ancor che la volontà nostra sia che si guardi in questi decreti, non per questo restin disobligati a osservare quelli della Religgione et in particolare quelli che saranno confermati dalla Sedia Apostolica, et acciò non possino allegarsi ignorantia, si comanda che ogni mese si leggin una volta sotto pena alli Superiori di privatione del suo offitio. Dato in Roma.

Frater ANTONIUS MARZEN

Visitator Apostolicus (5)

 

Questo documento riesce a fornirci un’idea abbastanza chiara della situazione della provincia agli inizi del Seicento e fa il punto su alcune notizie chiave. Lo rivediamo, commentando quegli aspetti che appaiono più significativi. A proposito della preghiera e del [pag.189] culto divino non ci sono particolari indicazioni, se non la solita lamentela che i frati, a volte, recitavano l’ufficio distrattamente o troppo in fretta; interessante, invece, la nota secondo la quale i religiosi dovevano pregare con il salterio “cantando al modo di Sardegna”, in un modo evidentemente diverso dal resto d’Italia, ma impossibile da precisare meglio. Paradigmatico appare poi il rigore con cui si regolamentava la celebrazione delle messe e la loro applicazione, al fine di evitare incresciosi abusi con le offerte, segno anche della grande attenzione che si aveva nei riguardi della materia. Interessante, inoltre, il divieto imposto ai religiosi del convento di S. Agostino di Cagliari di consentire alle donne di mangiare all’interno della chiesa. Si trattava della chiesa dove si venerava il luogo della sepoltura di S. Agostino e non si può fare a meno di riandare col pensiero al passo delle Confessioni (lib. VI, 2.2), dove il Santo ci racconta della madre che, sebbene cristiana, conservava ancora l’uso pagano di mangiare sulla tomba dei propri defunti, secondo l’antico uso delle cosiddette “parentalia”, anche se certamente con diverso significato rispetto al paganesimo. Di una certa rilevanza appaiono i provvedimenti presi nel delicato settore della formazione, quando, a proposito dei novizi, si stabilisce che non potranno più essere accolti in S. Agostino vecchio di Cagliari, dal momento che il convento era stato in parte demolito ed era pertanto inadatto ad ospitare la casa di formazione. Nonostante ciò, si ordina di far affluire a Cagliari i novizi dei conventi di Sassari e di Alghero, ma lo si comanda in previsione dell’apertura del nuovo, più capiente ed ospitale convento di S. Leonardo, che da qui in poi diventerà la casa centrale della Provincia e il luogo privilegiato per la formazione dei futuri religiosi. Del fatto che la Provincia non era più tale, ma che le veniva riconosciuto lo status di Vicaria s’è già detto; l’unica nota da porre in evidenza è quella secondo cui il Vicario poteva non essere necessariamente sardo, ma provenire da fuori provincia, dall’Italia o dalla Spagna, secondo il tenore dell’espressione “se verrà da Terra ferma”, che sta ad indicare appunto un’eventualità del genere. Un’altra importante informazione si deduce dal paragrafo relativo ai superiori maggiori, e cioè che la Sardegna, in quanto circoscrizione dell’Ordine Agostiniano, doveva pagare la “colletta” al padre assistente generale per le province italiane, segno che il governo centrale degli Agostiniani riteneva l’isola rientrante nell’orbita geografica, storica e culturale italiana, per quanto fosse al momento dominio spagnolo. Le altre notizie ed i ragguagli che indirettamente ci vengono forniti sui modi e il tenore della vita religiosa degli agostiniani sardi [pag.190] non sono poi tanto diverse da quelle di altre parti d’Italia; più interessanti appaiono le informazioni sui conventi di Scolca e di Pozzomaggiore: entrambi vengono chiusi perché sono “male in ordine”, ossia non idonei alla vita religiosa ma, mentre il convento di Scolca verrà chiuso definitivamente, quello di Pozzomaggiore verrà riaperto e la chiesa dedicata a S. Antonio Abate anziché a S. Girolamo. Da ultimo, ma non per importanza, è opportuno notare come tutta la relazione del visitatore apostolico raccomandi ai religiosi agostiniani l’osservanza di norme, decreti e comandi che sono riflesso immediato dello spirito e della lettera della Regola di S. Agostino, il che può sembrare scontato oggi, ma non così ovvio al tempo della Controriforma. Ad uno sguardo complessivo, non sfugge lo stato di disagio e di precarietà della provincia, ma neanche il fatto che essa è in cammino verso una più solida e sicura affermazione. Del resto, come già osservato, è la Sardegna nel suo complesso che versa in una situazione di difficoltà per quel che concerne gli ordini religiosi e monastici. Ad una crescita sul piano numerico di conventi, di religiosi e di beni immobili non faceva riscontro un uguale progresso in termini di vita religiosa, di azione pastorale e di crescita culturale. Le migliori testimonianze per capire qual era la situazione reale restano le missive che i superiori inviavano a Roma al governo centrale dell’Ordine, come questa del 1603, di appena due anni dopo la visita apostolica: “Quattro volte ho scritto a Vostra Paternità Reverendissima con questa, non so se le havete havute, sto fuor del mondo, né posso aver una lettera, per scrivere e mandarla quando voglio (....). Nella prima scrivevo a cargo della mia gionta, come haveva mutato il prior di Cagliari fra Fabiano, et anco fra Gavino che era sacristano per ordine di mons. Arcivescovo per la loro mala vita (...). La seconda lettera scritta alli 12 di gennaro, che alli sette ritornai dalla visita dandogli raguaglio come haveva trovati li conventi, se conventi si possono chiamare, disfatti, et in particolare quello di Sassari, che è impoverito e di robba e di honore per il mal vivere dei frati...” (6). La lettera del padre vicario provinciale prosegue su questo tono ed è abbastanza eloquente già dalle prime battute; stupisce in modo particolare il forte senso di isolamento e la precarietà delle comunicazioni: da gennaio al 22 marzo, giorno della data della missiva, il superiore sardo non era ancora riuscito a mettersi in contatto con il priore generale a Roma. Comunque, nonostante tutte le difficoltà, la provincia crebbe e [pag. 191] nel 1649 raggiunse il massimo del suo sviluppo quanto a numero di case religiose; consistente anche il numero dei frati, che crebbe maggiormente nella seconda metà del secolo. Da una lettera del priore di S. Leonardo di Cagliari, P. Gabriele Fruscillo, inviata a Roma il 26 ott. 1651, si ricava un quadro, seppur approssimativo, della situazione. Il testo è in lingua spagnola, come del resto la maggior parte degli atti ufficiali in quel periodo: “Tambien dava, i doi con esta aviso de que en todo los ocho Conventos de esta Provincia de Serdeña todos los religiosos que vivimos en ella tanto sacerdotes como profesos Laygos forasteros, y novicios todos juntos somos poco mas de sinquenta a causa que nuestros sacerdotes casi los demas van vagabundeando por essos Conventos de Italia , y otros en España a los estudios. Tall que este convento de Caller que solia vivir quarenta religiosos hoy no viven mas de veinte, y seis con los novicios y dos profesos que ay…” (7). Quindi, negli otto conventi della provincia vivevano poco più di 50 religiosi, ma erano molti di più, dal momento che si afferma che quasi la maggior parte dei sacerdoti sardi “vagabondava”, per usare la stessa espressione dello scrivente, nei conventi della penisola italiana. Certo è quanto mai significativa questa vicinanza con il resto d’Italia, ma i giovani venivano inviati a studiare e a formarsi in Spagna, che restava pertanto modello culturale e linguistico di riferimento. Qualche anno dopo la lettera del priore di Cagliari sopra citata, un altro evento di rilevante portata segnò la vita dell’isola: una grave pestilenza che colpì progressivamente tutto il territorio della regione, partendo da Alghero a metà del 1652 per arrivare a Cagliari nel 1655. Si trattò di una vera e propria strage, un’epidemia che solo nel capoluogo, ad es., ridusse la popolazione di circa il 50%, da 20.000 a 10.000 abitanti. Non si riuscì a circoscrivere la diffusione della peste, come invece era avvenuto nella precedente del 1582, e l’intera isola venne funestata dal flagello che, preceduto da una carestia e accompagnato dalle gravose tassazioni spagnole, mise letteralmente in ginocchio la Sardegna. La malattia aveva imperversato dapprima in Alghero, per poi diffondersi a Sassari, giungere nel 1653 a Samassi ed infine nel 1655 a Cagliari: un percorso che colpiva proprio i centri dove gli agostiniani avevano la loro presenza. L’eco di questa situazione risuona di continuo nella corrispondenza tra il padre provinciale e Roma: “…en toda la Provincia solamente nos hallamos veinte y sinco sacerdotes, y poco menos hermanos profesos, [pag. 192] que la peste ha muerto de las tres partes, las dos; del difini­torio solamente nos hallamos seis, y todos los che podian suplir han muerto, y por tanto es menester nombrarlos nuevamente” (8). La lettera è del 10 ottobre 1653 e porta la firma del superiore del momento, P. Miguel Dela Rossa, che solo due giorni dopo inviava alla Curia generalizia una nuova informativa, chiarendo meglio i numeri: “...en toda la Provincia solamente nos hallamos 25 sacerdotes y 20 profesos...” (9). La peste, rimasta famosa perché ad essa si deve l’istituzione in Cagliari della solenne festa di S. Efisio “martiri gloriosu, protettori poderosu”, cessò definitivamente nel 1656, ma già verso la fine del 1654 il P. Dela Rossa relazionava a Roma che: “…en la Provincia se gosa salud, à Dios gracias, y se vive religiosamente los pocos que avemos quedado...” (10). La pestilenza segnò soltanto una battuta d’arresto nella crescita e nell’affermazione dell’Ordine in Sardegna: non passarono molti anni che la situazione era di nuovo migliorata, anche rispetto al periodo precedente l’epidemia. Nel 1679, ad es., i religiosi avevano toccato il numero di 91 unità, tra i più alti che mai raggiunse la provincia. Il documento che attesta questa ripresa riguarda la formazione delle famiglie religiose, messa a punto a Roma durante il Capitolo Generale del 1679:

 

Fuori - Dispositio Familiarum Fratrum Conventuum Provinciae Sardiniae Ordinis Eremitarum Sancti Patris Nostri Augustini facta Comitijs in Generalibus undecimo Kalendas Maias. MDCLXXIX.

 

Dentro - Nomina familiarum Conventuum Provinciae Sardiniae, Ordinis Eremitarum Sancti Patris Nostri Augustini.

 

1. Familia Regalis Civitatis Caralis.

1. Rev.dus P. Luciferus Bellisay, Prior.

2. Adm. Rev.dus P. Mag. Fr. Franciscus Posulus, Provincialis absolutus. [pag. 193]

3. Adm. Rev.dus P. Mag. Fr. Michael de Foscaldi.

4. Rev.dus P. Fr. Adeodatus Sedda, Deffinitor.

5. Rev.dus P. Pre.tus Fr. Nicolaus Orru, Deffinitor.

6. Rev.dus P. Fr. Augustinus Ormigas, Deffinitor.

7. Rev.dus P. Pre.tus Fr. Franciscus Torner, Secretarius.

8. Ven. P. Fr. Augustinus Compan.

9. Ven. P. Fr. Franciscus Sequi, Subprior.

10. Ven. P. Fr. Joannes Maria Medda, Procurator

11. Ven. P. Fr. Salvator Peis.

12. Ven. P. Fr. Thomas Cordella.

13. Ven. P. Fr. Thomas Bellon, Noviciorum Magister.

14. Ven. P. Fr. Julianus de Rios.

15. Ven. P. Fr. Fulgentius Macuci.

16. Ven. P. Fr. Antonius de Aragò.

17. Ven. P. Fr. Thomas de Fuscaldi.

18. Ven. P. Fr. Nicolaus Oteri, Procurator Opidorum.

19. Ven. P. Fr. Joannes de Saavedra Hispanicus.

 

Professi:

1. Fr. Philippus de Fuscaldi.

2. Fr. Franciscus Angelus Cucuru, subdiaconus.

3. Fr. Augustinus Comina, subdiaconus.

4. Fr. Franciscus Marongiu, subdiaconus.

5. Fr. Joannes Maria Manca, subdiaconus.

6. Fr. Leonardus Medas.

7. Fr. Anthiocus Porcheddu.

 

Novicij:

1. Fr. Felix Marcheddu.

2. Fr. Joannes Bauptista.

3. Joannes.

 

Laici e Conversi:

1. Fr. Petrus Martis.

2. Fr. Nicolaus Cossu.

3. Fr. Antonius Argiolas.

4. Fr. Sisinnius Piras.

5. Fr. Salvator Casu.

6. Fr. Hieronimus Ramirez.

7. Fr. Josephus Corriga. [pag. 194]

8. Fr. Ambrosius Perra.

9. Fr. Alipius Concas.

 

Vagi et profugi:

1. Rev.dus P. Pre.tus Pinna, primus Deffinitor.

2. Ven. P. Fr. Augustinus Saba.

3. Fr. Franciscus Escano.

4. Fr. Joannes Bauptista Sulis.

 

2. Familia Conventus Civitatis Sassarensis

1. Rev.dus P. Fr. Laurentius Maninquedda, Prior.

2. Adm. Rev.dus P. Fr. Mag. Gregorius Deliperi, olim Provincialis absolutus.

3. Rev.dus P. Pre.tus Gabriel Sotgiu, Visitator.

4. Ven. P. Fr. Angelus Solinas, Procurator et Subprior.

5. Ven. P. Fr. Thomas Sisco.

6. Ven. P. Fr. Thomas Puerqui.

 

Professi:

1. Fr. Augustinus.

2. Fr. Michael Delogu.

3. Fr. Franciscus Delogu.

4. Fr. Franciscus Sotgiu.

 

Conversi:

1. Fr. Gavinus Sisco.

 

3. Familia Alguerensis Civitatis

1. Rev.dus P. Fr. Petrus Marchi, Prior.

2. Ven. P. Fr. Michael Vila, Subprior et Procurator.

3. Ven. P. Fr. Nicolaus Mura.

4. Ven. P. Fr. Thomas Dessì.

5. Ven. P. Fr. Thomas Floris.

 

Professi:

1. Fr. Joannes Bauptista Lupini. [pag. 195]

2. Fr. Augustinus Sequi.

3. Fr. Didacus Contini.

 

Conversi:

1. Fr. Anthiocus Usay.

 

4. Familia Conventus Sancti Geminiani Oppidi Samassensis.

1. Rev.dus P. Pre.tus Fr. Ildefonsus Zaray, Prior. (11)

2. Rev.dus P. Fr. Fulgentius Sullas, Visitator.

3. Ven. P. Fr. Anthiocus Melis.

4. Ven. P. Fr. Geminianus Aquias, Subprior et Procurator.

5. Ven. P. Fr. Joannes Bauptista Concas.

6. Ven. P. Fr. Augustinus Olano.

7. Ven. P. Fr. Laurentius Dessì.

 

Conversi:

1. Fr. Antonius Figus.

2. Fr. Josephus Onnis.

3. Fr. Petrus Manunta.

 

5. Familia Cenobij Divi Antonij Abbatis Putzumaiorensis

1. Rev.dus P. Fr. Joannes Bauptista Delussu, Prior.

2. Ven. P. Fr. Petrus Brundu.

3. Ven. P. Fr. Augustinus Tronchi, Parochus oppidi Semestini.

4. Ven. P. Fr. Antonius Pitalis.

5. Ven. P. Fr. Ambrosius Alguer Maioriquensis.

 

Conversi:

1. Fr. Leonardo Camboni.

2. Fr. Andreas N. [pag. 196]

 

6. Familia Cenobij Divi Antonij Abbatis Tortoliensis

1. Rev.dus P. Fr. Josephus Melis, Prior.

2. Ven. P. Bacc. Fr. Franciscus Usay.

3. Ven. P. Fr. Didacus Masala.

4. Ven. P. Fr. Laurentius Piga.

5. Fr. Gabriel Murtas, subdiaconus.

 

7. Familia Conventus Sanctae Virginis Mariae Itriae, oppidi Iliorariensis

1. Rev.dus P. Fr. Salvator della Justa, Prior.

 

Conversi:

1. Fr. Joannes Molaria.

2. Fr. Stephanus Sassarensis.

 

8. Familia Conventus Sancti Patris Nostri Augustini extra moenia Civitatis Calaris

1. Rev.dus P. Fr. Franciscus Matta, Prior.

2. Ven. P. Fr. Franciscus Bellisay.

3. Ven. P. Fr. Luxorius Ledda.

 

Professi:

1. Fr. Didacus Marchiano. (12)

 

I conventi della provincia erano dunque al massimo della capienza e nei secoli seguenti non raggiungeranno mai più un così alto numero di religiosi. Da notare come siano presenti anche religiosi spagnoli, nonché qualche altro frate spedito nell’isola per motivi disciplinari da altre province. Dello stesso anno 1679 è la pubblicazione dell’opera di P. Augustin Lubin, Orbis Augustinianus, sive Conventuum Ordinis Eremitarum Sancti Augustini Chorographica et Topographica descriptio, Parisiis, apud Petrum Baudovyn. In questo [pag. 197] testo, com’è noto, vengono riportate le cartine topografiche dei luoghi in cui è presente l’Ordine Agostiniano, unitamente all’indicazione dei conventi. Ebbene, nella cartina riguardante la Sardegna, il Lubin presenta dieci conventi, gli 8 del documento sopra trascritto più altri due: un convento “Ecclesiensis” (Iglesias) e un altro “Galurianus” (Gallurano). Come già rilevato nell’intervento pubblicato in Analecta Augustiniana, vol. LXII, a pag. 374, si tratta di un errore: i due conventi non appartenevano all’Ordine Agostiniano, ma all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito, che seguiva la Regola di S. Agostino. Di qui la confusione, che ha ingannato molti e anche membri dello stesso Ordine. Del resto, il documento originale del 1679 sulla disposizione delle famiglie religiose, scritto durante il Capitolo Generale e nel Convento Generalizio di S. Agostino in Roma, fuga ogni dubbio. Un ultimo intervento, a proposito degli studi e della preparazione culturale dei religiosi in questo secolo. Nell’isola non vi erano grandi possibilità in proposito, anche se dal 1626 era stata aperta l’Università di Cagliari, dove si insegnavano teologia, giurisprudenza, medicina e filosofia (13). I frati agostiniani, come da antica tradizione, furono tra i primi e più assidui frequentatori dello studio cagliaritano, in qualità di studenti, ma ancor più di professori, come ci ricorda il Sorgia: “Ed è pure da aggiungere come alcuni eremitani di S. Leonardo abbiano prestato la loro opera anche nel campo dell’istruzione superiore. Infatti, fin dal primo momento in cui ebbe inizio l’attività dello Studio Generale cagliaritano, anche un agostiniano fu chiamato a far parte del corpo docente della Facoltà di Filosofia ed arti: il padre maestro Pedro Jamarit” (14). Gli agostiniani, tuttavia, preferirono continuare ad inviare i propri studenti in Spagna, considerati i legami politici e i legami derivanti dall’essere stata la provincia sarda una fondazione spagnola. I centri universitari frequentati dai frati sardi furono senza dubbio lo studium di Valenza e quello di Barcellona. Non si hanno notizie più dettagliate circa la effettiva preparazione dei religiosi e la loro levatura culturale; il problema non erano gli studi, ma il periodo seguente, quando tornati in Sardegna essi non potevano contare su sostegni culturali solidi e su strumenti di formazione permanente. Non si va molto lontano se si applicano anche agli agostiniani le informazioni del Martini sulla preparazione dei religiosi sardi nel Seicento. Lo scritto dello storico è minato dal pregiudizio, tipico del [pag. 198] suo tempo, che riteneva apprezzabili solo i religiosi dediti ad una qualche attività di utilità sociale; ma, a parte questo e la visione impietosa che ne consegue, l’insieme del resoconto storico può ritenersi attendibile e non concede alternative, né scuse ad un clero tutt’altro che amante degli studi. Le conseguenze di una situazione simile si possono immaginare, con elementi di forte detrimento, soprattutto a carico dell’azione pastorale e della disciplina interna ai conventi.

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(1) MARTINI Pietro, Storia ecclesiastica di Sardegna, Stamperia Reale, Cagliari 1840, vol. II, lib. VII, p. 293.

(2) Si tratta del primo convento aperto in Cagliari nel 1491, nei pressi di quella che si credeva fosse stata la sepoltura del Santo. Il secondo convento di S. Leonardo, detto anche di S. Agostino nuovo, verrà inaugurato proprio dopo la visita apostolica; se ne parla più avanti in questa stessa relazione.

(3) Come già accennato in precedenza, si tratta del nuovo convento cagliaritano di S. Leonardo, evidentemente ancora non inaugurato: ciò avverrà, presumibilmente, non molto tempo dopo la presente visita apostolica.

(4) Intendi: raso.

(5) AGA (Archivio Generale Agostiniano Roma). Aa. 8, Notitiae Provinciae Sardiniae, cc. 3-8v.

(6) AGA, Aa. 8, Notitiae, cit., c. 21.

(7) AGA, Aa. 8, Notitiae..., cit., c. 80v.

(8) Ibidem, c. 18.

(9) Ibidern, e. 14.

(10) Ibidem, e. 16.

(11) Lo stesso era anche Priore Provinciale.

(12) AGA, Aa. 8, Notitiae..., cit.. cc. 172-174v.

(13) J. ARCE, España en Cerdeña, Madrid 1960, pp. 322-23.

(14) SORGIA G., Gli Agostiniani in Sardegna in epoca moderna, in “Studi Sardi”, vol.  XXIX, (1990-91), Ed. Gallizzi, Sassari, 1991, pp. 523-24.

 

 

2. IL SECOLO XVIII: DALLA SPAGNA AI SAVOIA

Il secolo in questione, come si può intuire, rappresentò una svolta decisiva nella storia della Sardegna: la guerra di successione spagnola, fra alterne vicende che interessarono direttamente l’isola dal 1708 al 1720, produsse un cambiamento significativo nella guida politica della regione, la sostituzione cioè degli spagnoli con la dinastia dei Savoia. Questo fatto avrà, come vedremo, importanti ripercussioni sulla storia posteriore dell’isola, ma decisivi ai fini della ricostruzione del cammino degli agostiniani, come degli altri ordini religiosi, sono proprio gli anni dello sconvolgimento politico provocato dalla guerra. Questo periodo, che vide l’alternarsi di diversi dominatori: gli inglesi prima, poi di nuovo gli spagnoli, ed infine i piemontesi, fu all’origine di forti disagi che misero in grave difficoltà la regione e i suoi abitanti, seminando disorientamento e senso di precarietà. Com’è comprensibile, momenti del genere favorivano ancora di più l’isolamento e la confusione. Un’eco di questa situazione si avverte anche nelle lettere che il priore provinciale degli agostiniani inviava a Roma, come la seguente del 1715, scritta a margine di una visita del superiore ai conventi dell’isola: “…consocius eram de miserando hujus Provinciae statu”, e relazionando sulla situazione degli studi: “...studia hic omnino defecerunt … P. Salvator Detori Sasarensis Philosophiae Lector, et P. Augustinus Sacayoni Sasarensis hic prorespondens, necnon fr. Antonius Esmerella Sasarensis, inter ceteros sunt magis applicati, melioremque habent capacitatem... P. Patritius Combino, studiosus magister, bonus religiosus est, et ad studia applicatus, sed tantam non habet capacitatem, sicut et alii predicti. P. Michael Demontis et P. Josephus Manca, potius illis capacitas deficit, quam voluntas; ceteri autem sunt teterrimi genij, pessimae indolis, et pravae voluntatis, eorum non est ullus, qui faciat bonum” (15). Soprattutto le ultime parole, citate in corsivo, appaiono di una durezza senza pari e che non lascia possibilità alcuna d’appello. [pag. 199] In effetti, l’indisciplina e lo stato di abbandono in cui versavano i religiosi era, in parte, comprensibile: ad alimentare il caos di quegli anni contribuì anche l’afflusso nei conventi sardi di diversi religiosi provenienti dalle isole di Maiorca e Minorca, occupate dagli inglesi. I piemontesi diedero una vigorosa sterzata, rispetto agli spagnoli, nei confronti della Chiesa e della politica ecclesiastica in genere: per gli ordini religiosi finiva per sempre una posizione di privilegio e di sostanziale intoccabilità in tutti i campi. “Il fatto più importante per il futuro dell’Italia fu la trasformazione dello stato piemontese-savoiardo in Regno di Sardegna, merito precipuo di Vittorio Amedeo II (regnante dal 1675 al 1730). (...) Non ancora ventenne, Vittorio Amedeo delineò in un memorandum privato un programma di riforme future, e fin dal 1688 fu ordinata la preparazione di un nuovo catasto; ma il grosso delle riforme dovette essere rinviato a dopo le guerre, allorché fu possibile vincere le difficoltà intrinseche e le tenaci opposizioni che avevano frustrato ogni precedente tentativo. Tutta l’amministrazione fu riordinata a partire dal 1717. Il potere venne distribuito in modo più razionale tra i consigli che componevano il governo, le numerose tesorerie vennero unificate e furono nominati intendenti in tutte le province. Gli stipendi annessi a tutte le cariche furono fissati con cura, e la venalità degli uffici fu soppressa. L’antica nobiltà feudale, pur conservando un virtuale monopolio delle carriere diplomatiche e militari, si vide per lo più esclusa dalle funzioni amministrative: più del novanta per cento dei funzionari non erano nobili tra il 1713 e il 1740 (...) La lotta contro la giurisdizione ecclesiastica, che si accompagnò all’offensiva contro la manomorta, ottenne un successo solo parziale con il concordato del 1727; ma fu posto fine al monopolio dei gesuiti nel campo dell’istruzione dalla riorganizzazione dell’università di Torino e dalla istituzione di scuole statali. Come in altre parti d’Italia, le riforme ecclesiastiche furono ostacolate dall’esigenza politica di mantenere buoni rapporti con Roma...” (16). Con tutto ciò, è evidente il cambio di rotta che verrà attuato dai Savoia fin dagli inizi, anche se con una certa moderazione e gradualità nel tempo: d’ora in avanti gli ordini religiosi, specialmente i più antichi, si vedranno al centro di una politica che li costringerà via via ad una sempre maggiore riduzione della loro presenza e dei loro privilegi. [pag. 200] Di nuovo, è ancora il Martini che ci fornisce un quadro abbastanza obiettivo della situazione, per quanto concerne il clero in generale e i religiosi in particolare: “Assai umile era la condizione degli studi ecclesiastici, dacché ai vizi che da gran tempo gl’infettavano si erano congiunti i danni delle vicende guerresche del principio del secolo XVIII, ché al crollo delle due università precipitarono le lettere e le scienze. Donde tanto maggiore nocumento derivò alla instruzione clericale, in quanto quasi intieramente mancava l’ausilio dei collegi dei chierici decretati dal Concilio di Trento. Tranne le chiese d’Ampurias e di Bosa, le altre invero tenevano i loro seminari nelle residenze episcopali; ma una immagine troppo meschina essi erano di quelli cui volto avevano la mente i padri tridentini. In ciascuno sei alunni appena si alimentavano meglio per servire alle cattedrali, che per farvi tesoro di sapere, senza il presidio di buoni institutori, senza commoda abitazione, senza agiatezza di vivere, giacché all’uopo non rispondeva il valsente delle tasse imposte sopra i benefici. Tutto vi annunziava grettezza e somma ineguaglianza ai diocesani bisogni. Perlocchè l’ammaestramento dei giovani alunni del santuario dipendeva dalle private lezioni di ecclesiastici pregevoli per dottrina e per buon volere; da quelle che davano i padri gesuiti, che in Cagliari ed in Sassari continuarono le scuole di filosofia e di teologia a loro commesse nei due studi generali; dalle instruzioni dei padri istessi nel Collegio Canopoleno di Sassari, dove anche si educavano dei giovani al servizio divino. Sotto la signoria spagnuola questi studi clericali, come gli altri, erano deturpati da molti vizi che impedivano se ne cogliesse il frutto. Versavano infatti in una così detta filosofia piena di astrazioni metafisiche, di frivole sottigliezze, di ciance, di barbariche ed arcane parole, che pareva fatta meglio per corrompere la ragione, che per purificarla e condurla al vero; ed in quella teologia leggiera, arida, cavillosa, ed audacemente garrula, che tanto rendevano famosa gli arrabbiati ed insulsi scolastici e casisti. Quindi tesoro facevasi di parole e non di cose, si armeggiava per la vittoria di un termine e di una opinione metafisica, e frattanto le menti si oscuravano, ascose restavano le verità. Ciò che più incresce, ponevansi in non cale i veri fonti del divino sapere. Le sagre carte, le opere dei padri, i canoni dei concili, la storia della chiesa erano in perfetto abbandono. E la morale che a preferenza studiavasi come mezzo principale per l’acquisto dei benefici parrocchiali, non di rado si apprendeva in opere contaminate, e tutta quanta si raggirava nello scioglimento di alcuni casi privi di connessione e per lo più metafisici. In questo sterile campo si esercitavano i nostri chierici, e dove alcuni di quei casi disciogliessero, degni venivano riputati della cura delle anime. [pag. 201] Se non che il frutto di sì scarsa intruzione, anch’esso veniva meno con gli anni; ché il salire agli ecclesiastici onori ingenerava di frequente l’inerzia. Più intenti agli studi erano i regolari; ma le loro scuole dagli stessi vizi venivano deturpate; che anzi erano desse quelle trincee, dove con le armi le più affinate del peripatetismo si battagliava per vane sofisterie. Dai chiostri medesimi uscivano a preferenza i predicatori che per le città e per le ville correvano nei tempi della quaresima e dell’avvento. Ma troppe macchie imbrattavano i loro evangelici parlari. Tali erano, quali si usavano nella Spagna, tanto più lontani dalla vera eloquenza del pulpito, che si fonda nelle sane dottrine morali attinte alle sacre fonti, nel sodo ragionamento e nel semplice e commovente linguaggio del cuore, quanto più corrotti da concetti strani e lambiccati, da dommatici guazzabugli, da scolastiche sottigliezze, da gonfie figure, da scandalose buffonerie. Attalché volavasi ai sagri templi piuttosto pel sollazzo conseguente dai motti e dalle scede del predicatore, che per apprendervi la celeste morale del vangelo. Tale era il vero stato degli ecclesiastici studi per forza delle corrotte scuole. Non perciò può disconoscersi che il sardo clero dalla metà del secolo XVI avesse fatto notevoli progressi nelle vie della instruzione, in modo da svestirsi di molta parte delle antiche tenebre e disdicevoli pratiche. Preso poi nella specialità, argomenti incontestabili di perenne lode ne somministra; ché uomini produsse di non volgare pregio, che superiori ai vizi dell’età diedero lucide prove di senno maturo e di copiosa scienza” (17). Nonostante il quadro non molto rassicurante, gli ordini religiosi si andavano lentamente riprendendo anche nel settore degli studi e della formazione. Gli agostiniani smisero di inviare i loro studenti in Spagna, cominciarono a servirsi più spesso delle università isolane, ma provvedevano anche in proprio alla formazione dei futuri religiosi, specialmente a Cagliari e a Sassari. Vediamo, in proposito, l’intervento di Mons. Damiano Filia: “Quasi tutti gli ordini avevan scuole proprie, alcune salite in larga e buona fama nel passato, come quelle dei Domenicani e dei Mercedari, le quali modellate secondo l’indirizzo dei celebri teologi spagnoli, conferivano il grado di maestro dopo undici anni di lettura (insegnamento), tre cioè di filosofia e otto di teologia. Ma anch’esse come fan pensare le tesi a stampa, allontanandosi dal pensiero preciso e dal linguaggio sobrio di S. Tommaso d’Aquino e della scolastica pura si eran cristallizzate in morte formole. [pag. 202] Invece Carmelitani e Agostiniani frequentavan d’ordinario l’università per conseguirvi i gradi dottorali (...) Nel 1762 il priore del convento agostiniano di Sassari dimandava l’invio di qualche lettore da Roma” (18). Per restare sempre nel campo degli studi, bisogna sottolineare l’opera di alcuni docenti agostiniani nello studio cagliaritano, soprattutto la figura del P. Nicola Lippi: “Sempre a questo proposito (degli studi, nda), è pure da dire come alcuni altri frati agostiniani abbiano frequentato l’ateneo conseguendo i diversi gradi accademici, ed è da ricordare il P. Nicola Lippi che, laureatosi in Teologia e Filosofia nel 1743, fu successivamente chiamato all’insegnamento nella facoltà di teologia; nei confronti di questo religioso sappiamo pure che fu priore del convento di S. Leonardo nel 1755 e Priore Provinciale nel 1766” (19). La ripresa degli studi, una migliore qualificazione dei frati, criteri formativi adeguati alla situazione, permisero agli agostiniani di ridare lustro ed efficacia alla loro testimonianza religiosa e alla loro presenza nell’isola. Si intervenne in maniera decisa anche nel reprimere gli abusi e l’indisciplina: si trattava, del resto, di venire incontro in tal senso a precise direttive del sovrano e della S. Sede. Molto interessante, a riguardo, perché presenta aspetti particolari e propri della vita isolana, quali il banditismo e l’uso di compiere delitti o reati mascherati, è il testo della sentenza di un processo svolto a carico di quattro religiosi della provincia, negli anni 1734-35. Lo riporto di seguito, così come è stato riprodotto in una copia conforme presente nelle carte del convento di Alghero, custodite nell’Archivio di Stato di Sassari: “Magister Fr. Gelasius Mayo Sanctae Inquisitionis Qualificator, Examinator Synodalis Archiepiscopatus Calaritani, ac huius Provinciae Ordinis Eremitarum Sancti Patris nostri Augustini Prior Provincialis. - Jesus Christus - Et cum in causa, seu causis, quae coram nobis versae sunt, et vertuntur, ex iniuncto nobis praecepto a Rev.mo Patre nostro Magistro fr. Nicolao Antonio Schifinati totius nostri ordinis [pag. 203] Generali, dato Neapoli sub die 20 septembris anni elapsi 1734 contra venerabilem P. fr. Simonem Flores sacerdotem, fr. Prosperum Mura subdiaconum, fr. Ignatium Satta diaconum, et fr. Vincentium Medda conversum, nostri ejusdem Ordinis Professos, reos inquisitos, et processatos, de et super inquisitione aliquorum insultuum respective, et precipue de egressione extra Monasterium dimisso Religionis habitu in nocte diei 9 Mensis Martij elapsi anni 1734, indutisque istrionum larvis, quoad omnes: de obedientiae transgressione, armorum delatione, conjuratione, rebellione, appostasys, percussionibus, furto, scandalis, alijsque insultibus, quoad aliquem, vel aliquos in actis seu processu apareat. Visa informatione, ac testibus legitime examinatis, ex quibus, necnon et ex confessione predictorum Mura, et Medda plane constat prefatos Flores, Mura, Satta et Medda ante dicta nocte diei 9 Martij anni 1734 habitum omnes deposuisse, ac larvatos extra septa Monasterij per murum cuiusdam horti exijsse. Et insuper clare compertum est predictum P. fr. Simonem Flores per quatuor vices ex diversis conventibus huius Provinciae fugam arripuisse, a quodam veneto sumam pecuniae arripuisse, cum bannitis per aliquod tempus vitam degisse, pugione seu cultro Rev. P. fr. Josephum Lay oppetijsse, Rev. P. Presentatum fr. Nicolaum Falchi, eiusdem Flores Priorem, legone percussisse, insolentem, temerarium, inobedientem, scandalosum, ac omnino irreligiosum esse, ut apparet ex predicta informatione, et ex epistola Ill.mi Domini Episcopi Alguerensis in processu inserta, aliaque facinora perpetrasse. Itemque plene et adamusim constet fratrem Prosperum Mura subdiaconum quinquies ex hoc conventu calaritano fugam arripuisse, contra obedientiae virtutem improperia ac sordida coram tota communitate dixisse, scandala comississe, Superiorem, aliosque Patres conventus morte minasse, aliaque scelera comitendi animum, ac conatum declaravisse, eaque omnia, et alia in termino constituto ad se deffendendum, plane ipsummet Mura confessum fuisse. Idcirco deliberatione sumpta cum Reverendis Patribus Diffinitoribus huius Provinciae, per hanc nostram difinitivam sententiam, quam in his scriptis ferimus, pronuntiamus, decernimus, promulgamus, et difinitive sententiamus supradictum Patrem fratrem Simonem Flores tanquam reum repertum culpabilem, et de iure punibilem fore, et esse relegandum ex hoc Calaritano Conventu absque ulla spe regressionis in perpetuum; necnon in aliquo Monasterio huius Provinciae a Rev. P. Provinciali destinando ad detrusionem per integrum annum esse condemnandum, inibique penitendum, et insuper utraque voce, activa scilicet ac passiva, per sexennium esse, et fore privandum. [pag. 204] Ita pariter pronuntiamus, decernimus, promulgamus et difinitive sententiamus supradictum fratrem Prosperum Mura tanquam repertum reum culpabilem, et de iure punibilem fore, et esse relegandum ex nostro Calaritano Conventu, et absque spe regressionis in perpetuum. Insuper sententiamus per integrum triennium ad alios Ordines non esse promovendum, et postquam promotus fuerit per aliud integrum triennium utraque voce, activa scilicet, et passiva esse privandum. Demum quia fr. Ignatius Satta Diaconus, et fr. Vincentius Medda conversus postquam de egressione extra septa Monasterij in noctis silentio habitu deposito, ac cum larvis fuerunt deprehensi exijsse, correctioni ac penae a Superiore inflictae immo exilio ac depulsioni ab hoc Conventu sponte, ac humiliter sese submiserunt in omnibus obsequendo, et optemperando, sententiamus, decernimus, ac difinitive declaramus predictorum Satta et Medda penam et correctionem relinquendam esse arbitrio Adm. Rev. P. Magistri Provincialis; prout sic difinitum, et pronuntiatum esse volumus et mandamus. Sic pronuntiamus

Mag. fr. Gelasius Mayo Provincialis

Pre.tus fr. Thomas Espano Diffinitor

Regens fr. Nicolaus Murro Diffinitor

Pre.tus fr. Simon Crucas Diffinitor

Pre.tus fr. Nicolaus Falchi Diffinitor

   Lecta, lata ac promulgata fuit haec presens difinitiva sententia per me Rev. P. Bacc. Fr. Gelasium Lenti Diana coram RR. PP., Pre.to fr. Nicolao Pala, ac Salvatore Curedda, testibus specialiter rogatis; de quo fidem facio in hoc nostro Regali Conventu Sancti Leonardi Calaris sub die 23 mensis Ianuarij anno 1735.

Pre.tus fr. Nicolaus Pala testis

Fr. Salvator Curedda testis

Bacc. Fr. Gelasius Lenti Diana secr.

   Concordat cum suo originali, de quo fidem facio

Regens fr. Nicolaus Murro, Secr. Prov.

 

Die 3 februari anni 1735. Algueri.

Notificata fuit presens diffinitiva sententia coram Rev.do P. Priore Conventus Sancti Sebastiani Algueri dicto ven. Patri fr. Simoni Flores [pag. 205] presentibus RR. PP. Present. fr. Fulgencio Fois et fr. Salvatore Dettori, de quo fidem facimus

Fr. Augustinus Sanna prior

Pre.tus fr. Fulgentius Fois testis

Pre.tus fr. Salvator Dettori testis (20)

 

I problemi riguardanti la qualità e lo spessore della vita religiosa dei frati agostiniani erano comuni anche agli altri ordini, ma non eccessivamente gravi, come denunciò la corte di Torino, allorché decise di intervenire più direttamente per limitare il numero dei religiosi, delle loro case e dei loro possedimenti. In ossequio alle idee del tempo, i Savoia si considerarono garanti del buon funzionamento della vita religiosa, della riforma di quest’ultima, del bisogno di mettere ordine e disciplina in un settore che sotto quel profilo lasciava molto a desiderare. Perciò, come ci ricorda Mons. Filia, a cominciare dal 1760, soprattutto ad opera del conte Giovanni Battista Bogino, si diede inizio ad un piano politico nei confronti dei religiosi vòlto a ridurne la presenza, favorevole quindi alla contrazione del personale e dei conventi, intenzionato a favorire la cessione di immobili e di terreni da parte dei frati, ben disposto solo verso quegli Istituti che svolgevano attività caritative, assistenziali e nel campo dell’istruzione. “I primi provvedimenti del Bogino relativi agli istituti regolari, collegati al nuovo indirizzo culturale ed economico, mirarono a limitare il numero dei frati e dei conventi, come volevano le dottrine economiche in voga sui fattori di consumo e di aumento della ricchezza. Secondo una statistica del 1746 c’erano 116 conventi, con un numero complessivo di 2469 religiosi, che nel 1759 discesero a 2198, distribuiti in 117 case. (...) Su la fine del 1759 arrivarono istanze ai superiori delle famiglie religiose affinché mettessero un freno alle vestizioni di aspiranti e con un esame più accurato si rendessero conto delle vocazioni. Codeste istruzioni, per il loro carattere effimero, messe in non cale, sembrarono conseguire l’effetto opposto. (...) Di qui il dispaccio del 23 novembre 1762, con ordini severi al Viceré Alfieri di Cortemiglia perché ingiungesse verbalmente ai superiori regolari la sospensione di nuove ammissioni sino a che venisse fissato il numero dei frati per le singole case” (21) [pag. 206] Quest’opera di ridimensionamento della presenza dei religiosi nell’isola venne perseguita in modo assiduo e continuo dalla corte di Torino, con decreti, invio di commissari ed altre iniziative che, nel tempo, ottennero l’effetto desiderato, fino ad arrivare alla soppressione definitiva sancita dalla Legge Rattazzi del 29 maggio 1855. Gli Agostiniani, tuttavia, non erano affatto numerosi, né presentavano particolari problemi interni, sempre a detta del Filia: gli interventi governativi li colpirono mentre erano già alle prese con una fase di riduzione numerica e con problemi di gestione economica delle proprie case. “I frati eremitani di S. Agostino non avevano molti conventi. Il P. Agostino Maglias, commissario nel 1755 ci trovava sparsi ventidue sacerdoti, e pochi aspiranti a vestire le lane del Santo dottore d’Ippona. Chiuso il convento d’Illorai, dove nelle celle sbrecciate dai fulmini, s’aggirava qualche romita laico, solo nel 1772, il Graneri, alto commissario di fatto degli ordini religiosi in Sardegna, inviava a Torino le sue indagini. Le ultime, e forse la mano gli tremò nel suggerire anche per essi l’abolizione. Ma in realtà, di lì a poco, il grande ministro doveva abbandonare la scena politica e gli agostiniani restavano” (22) Mons. Filia ricorda, con toni un pò da romanzo gotico, la chiusura del convento di Illorai, primo segno d’inizio della parabola discendente della provincia agostiniana di Sardegna ma, come ampiamente documentato altrove (23) il convento venne chiuso perché piccolo e vessato continuamente dai banditi. Comunque sia, è da collocare proprio nella seconda metà del Settecento il momento in cui ebbe inizio, come detto, la crisi della provincia e il primo tentativo di sopprimerla. Nonostante tutti gli ostacoli di cui sopra, ancora nel 1769 il numero dei frati agostiniani della Provincia di Sardegna non era certo basso, come risulta dagli Atti della Segreteria di Stato del Viceré del tempo, che ci forniscono la situazione del personale a seguito dei censimenti dei religiosi ordinati dal governo di Torino. Alla “Nota de’ Regolari esistenti ne’ rispettivi Conventi delle Provincie qui sottonotate a tenore dello Stato dell’anno 1769”, risulta che gli Agostiniani contano in tutto 76 membri, di cui: 31 sacerdoti, 12 coristi (ossia, professi chierici), 33 laici. Segue l’elenco dei frati e la loro distribuzione nelle case religiose, così come riportato appresso (manca un foglio contenente l’indicazione dei nomi di parte dei frati di Tortolì, di quelli di Pozzomaggiore e di quelli al momento fuori provincia): [pag. 207]

 

Convento di S. Leonardo di Cagliari

P. Mag. Antonio Sanna Da Cagliari Provinciale

P. Pre.to Gelasio Lonti Da Nurri Ex-Prov.le Maestro de’ Novizi

P. Giuseppe Maria Floris Da Cagliari Lettore, Definitore

P. Giuseppe Maria Biglia Da Torino Presentato

P. Egidio Frongia Da Cagliari Superiore, e Definitore

P. Simone Ponsillon Da Cagliari Sagrestano Maggiore

P. Tommaso Frongia Da Cagliari Segretario del Provinciale

P. Agostino Pasquale Massida Da Cagliari Studente

P. Alfonso Usay Da Tortolì

 

Corristi

Fr. Federico Sanna                 Da Cagliari Diacono, e Studente

Fr. Giuseppe Nicola Monetti Da Savigliano Subdiacono, e Studente

Fr. Antonio Pandachu            Da Cagliari, Studente

Fr. Possidio De Juannis          Da Cagliari, Studente

Fr. Prospero Bellu                  Da Cagliari, Studente

Fr. Aurelio Cocco                   Da Cagliari

Fr. Nicola Carra                      Da Cagliari

 

Laici

Fr. Guglielmo Serra       Da Siliqua

Fr. Donato Olceoni         Da Sizanus

Fr. Antonio Pirinu          Da Algheri

Fr. Ignazio Incani           Da Masuddas

Fr. Agostino Maria Lay Da Siliqua

 

 

Convento fuori delle Muraglie di Cagliari

P. Nicola Gregorio Naytza Da Cagliari Vicario, e Priore

Fr. Francesco Solinas         Da Bussede

 

 

Convento di Sassari

P. Mag. Nicola Murro                 Da Sassari Ex-Prov.le, Vicario, e Priore

P. Pre.to Nicola Frassetto           Da Sassari Regente de’ Studj

P. Ignazio Murro                         Da Sassari Respondente [pag. 208]

P. Nicola Satta                             Da Sassari Lettore, e Superiore

P. Tommaso Campus                  Da Sassari Lettore

P. Giuseppe Agostino Terranno Da Sassari Lettore

P. Agostino Manca                      Da Sassari Lettore

P. Carlo Agostino Cebun            Da Algheri

 

Corristi

Fr. Giovanni Facondo Todde Da Villanova di Monteleone Sudiacono

Fr. Antonio Luigi Solis           Da Sassari

 

Laici

Fr. Agostino Sau                    Da Sassari

Fr. Gavino Espissu                Da Jave

Fr. Filippo Sequi                    Da Sassari, Procuratore

Fr. Giuseppe Delitala            Da Sassari

Fr. Domenico Madrau          Da Sassari

Fr. Guglielmo Cugurra         Da Sassari

Fr. Giovanni Antonio Cossu Da Osilo

Fr. Liberato Pedoni               Da Sassari

Fr. Salvador Serra                 Da Sassari

 

 

Convento d’Algheri

P. Nicola Espanedda Da Mores Da Algheri, Vicario e Priore

P. Nicola Paulino                         Da Algheri

P. Antonio Ignazio Cubeddu      Da Algheri, Superiore

P. Giuseppe M. Pinna                 Da Algheri

P. Nicola Magliano                      Da Algheri

P. Sebastiano Crasta                   Da Algheri

 

Laici

Fr. Giovanni Mella                    Da Algheri

Fr. Giovanni Agostino Guilery Da Villanova Monteleone

Fr. Nicola Cugurra                    Da Sassari

Fr. Francesco Alivesi                 Da Algheri [pag. 209]

 

 

Convento di Samassi

P. Gelasio Matta                    Da Cagliari, Priore

P. Pre.to Tommaso Marigiu Da Sassari

P. Nicola Galzerin                  Da Algheri

 

Laici

Fr. Pietro Maria Desogus Da Cagliari

Fr. Lorenzo Casu Da Sassari

 

 

Convento di Tortolì

P. Giovanni Agostino Mancosu Da Tortolì Vicario, e Priore

P. Tommaso Escano Da Algheri (24)

 

 

Da notare la presenza di religiosi provenienti dal Piemonte, i quali avevano probabilmente la funzione di rendere meno isolato l’Ordine in Sardegna e di favorire l’interscambio culturale e di mentalità: uno di loro, P. Agostino Terraneo, diventerà in seguito anche priore provinciale. Va inoltre evidenziato il fatto che l’estensore della lista è senz’altro un funzionario della Segreteria di Stato, e ciò spiega le evidenti inesattezze nell’attribuzione delle funzioni e delle cariche ai singoli frati. Con il tempo, i progetti del governo sabaudo vennero mandati ad esecuzione con sempre maggiore convinzione e, in maniera graduale e progressiva, venne attuata una significativa riduzione del numero dei religiosi, tanto che negli atti del Capitolo provinciale ordinario, tenutosi ad Alghero dal 24 al 30 aprile 1790, risultano presenti nell’isola solo 54 religiosi, di cui appena 23 sacerdoti: d’ora in avanti il declino sarà inarrestabile. Tra le ragioni che i Savoia adducevano a sostegno delle misure che venivano adottate, oltre alle teorie giuseppiniste e alle convinzioni illuministe in materia economica, vi erano anche le seguenti: “La Sardegna era placidamente immersa nell’ancien régime, in cui il connubio trono-altare raggiungeva sfumature caratteristiche ed uniche. In questo sfondo isolano la vita religiosa, lontana dai centri [pag. 210] direttivi, s’impoveriva nel circolo chiuso di consuetudini locali. Il rilassamento della vita regolare era dovuto alla scarsa selezione dei soggetti, all’intiepidimento dell’antica disciplina, alla mediocrità nell’apostolato, spesso privo di slancio e di fervore, alle diatribe interne proprie della vita comunitaria, e al fenomeno tipicamente isolano costituito dalla lotta campanilistica tra religiosi del Capo di Sopra e del Capo di Sotto per spartirsi il potere”. (25) Gli agostiniani sardi avevano risolto l’annoso conflitto tra il nord e il sud della regione con una soluzione salomonica: i conventi erano 8 (almeno fino al 1765), equamente distribuiti tra il Capo di Sopra e il Capo di Sotto, per cui avevano proposto al superiore generale dell’epoca, P. Francisco Xavier Vazquez, di autorizzare l’elezione alternativamente di un religioso del nord con uno del sud della Sardegna. Nell’Archivio Generalizio di Roma è contenuto il seguente documento del 1816, copia conforme di quello del 1761, che istituiva appunto tale uso e metteva fine, nel contempo, a qualsiasi ulteriore litigio:

“Fr. Franciscus Xaverius Vazquez Peruanus Sacrae Theologiae Magister Totius Ordinis Fratrum Eremitarum Sancti Patris Augustini Prior Generalis.”

Cum nomine Patrum Provincialis ac Diffinitorii Provinciae Sardiniae presentatus fuerit supplex libellus tenoris sequentis: “Eminentissimi e Reverendissimi Signori. Il Provinciale, e Definitorio della Provincia di Sardegna, dell’Ordine Eremitano di S. Agostino, ossequiamente espongono alle Eminenze Vostre qualmente per ovviare a qualche disturbo che potrebbe nascere in quella Provincia. Congregati nel Capitolo Provinciale di questo presente anno 1761, hanno determinato di stabilire un’alternativa del Provincialato in due Parzialità di Cagliari, e di Sassari, che hanno ciascheduna un egual numero di conventi, da cominciarsi da quella di Cagliari nel prossimo futuro Capitolo provinciale da celebrarsi l’anno 1765; ed essendo tale risoluzione già stata approvata dal Reverendissimo Priore Generale dell’Ordine, supplicano divotamente l’Eminenze Vostre anco per la di loro suprema approvazione e conferma, che dalla grazia, etc”. Et cum eadem Sacra Congregatio rescriptum fecerit [pag. 211] in forma seguenti: “Sacra Congregatio Eminentissimorum et Reverendissimorum Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium negotiis, et consultationibus, Episcoporum et Regularium praeposita, attenta relatione P. Procuratoris Generalis benigne commisit Patri Generali ut, veris existentibus narratis, oratorum precibus pro suo arbitrio, et conscientia indulgeat pro petita confirmatione. Romae 11 septembris 1761. Andreas Card. Cavalchini. S. Bonacorsi Secretarius. Ideo nos praedicta auctoritate per suprascriptum Decretum Sacrae Congregationis nobis benigniter comunicata ubi volentes, tenore praesentium supracitatam determinationem confirmamus, declarantes quod imposterum omnibus in Capitulis provincialibus de quatriennio in quatriennium celebrantis, in electione Provincialium servari debeant alternativa, incipiendo nempe a proximo futuro Capitulo provinciali celebrando anno 1765, in quo electio Provincialis erit facienda pro partialitate Calaris, et seguenti quatriennio pro partialitate Saceris; et sic in perpetuum hunc ordinem servari volumus, decernimus, et mandamus. Datum in Conventu nostro S. P. Augustini de Urbe die 14 septembris 1761.

Fr. Franciscus Xaverius Vasquez, Generalis.

B.s Fr. Nicolaus Giovannetti, pro R.P. Secretario absente

Reg. lib. 9.

 

Exequantur praesentes litterae juxta earum seriem et tenorem. Provisa per Suam Eccellentissimam ex deliberatione in Regia audientia Canc.tis aulis sumpta, interveniente Nobili et Magnifico Regii Fiscii Advocato, die trigesimo primo mensis octobris anni Domini Millesimi Septingentesimi Sexagesimi primi. Calari. Ioannes Iacobus Daga Secretarius.

   Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia audientia approbatum in hoc Regali Conventu Sancti Leonardi Calaris coram Patribus legitime congregatis hac die 4 novembris 1761, de quo fidem facio. Mag. Augustinus Mallas Prior.

   Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia Audientia aprobatum in hoc conventu S. P. Augustini, Saceris, coram Patribus legitime congregatis [pag. 212] die 9 novembris 1761, de quo fidem facio. Bacc. Fr. Ioannes Battista De Betta, Provinciae Secretarius.

   Lectum, et publicatum fuit hoc suplex libellum a Sacra Congregatione confirmatum, et a Regia Audientia aprobatum in hoc Conventu Sancti Sebastiani Alguerij, coram Patribus legitime congregatis die 21 Ianuarii 1762, de quo fidem facio. Bacc. Fr. Nicolaus Espanedda Praesidens.

Sassari li 4 agosto 1816.

La presente copia estrata dall’originale, che risiede in potere di questi Rev.di Padri di Santo Agostino in questa Città, comprovata, concorda col medesimo. In fede mi soscrivo, e la munisco col mio solito sigillo. Nicolò Diana, publico Notajo di questa Città”. (26)

In coincidenza con l’inizio della crisi di cui si è detto, crisi che riguarderà la consistenza numerica dei frati, delle case e della qualità della presenza religiosa agostiniana nell’isola, cominciano ad avvertirsi dei problemi anche riguardo le strutture, chiese e conventi, mentre un’amministrazione non sempre attenta dei beni patrimoniali porterà, nel tempo, a serie difficoltà anche nel settore economico. Durante il capitolo provinciale del 5 maggio 1781, ad es., si ha notizia di lavori di restauro per il convento di Pozzomaggiore: “Provisio Conventus S. Antonii Abbatis Puteimaioren. Confirmatus fuit in Priorem causa fabricae perficiendae ac bona eiusdem Conventus securius promovendi et tuendi R. P. Bacc. Fr. Antonius Ioseph Piras, Diffinitor”. (27) Il 4 agosto 1784, il P. Provinciale, P. Giovanni Facondo Catte, scrive al Viceré di Sardegna per proporre la permuta del convento di Tortolì con quello lasciato incompiuto, sempre nello stesso paese, dai Padri Cappuccini una ventina di anni prima. C’era bisogno di una nuova parrocchia e gli agostiniani, d’accordo in questo con l’Arcivescovo di Cagliari, allora ordinario del luogo, propongono di permutare la propria chiesa “in buon sito, nuova e bella...” con quella ancora non ultimata dei frati Cappuccini: sembrerebbe uno scambio non conveniente, ma in realtà agli agostiniani andava bene a motivo del convento. Il nuovo convento era migliore come costruzione, ubicazione, con un’aria più sana, mentre quello “ove attualmente dimorano a più d’esser vecchio, è situato vicino allo stagno, e questo col fettore ch’esala cagiona ogn’anno delle infermità, [pag. 213] massime alli religiosi esteri che vi s’attrovano.”. Vi erano comunque problemi con il Monte Nummario che avanzava dei diritti su alcune parti del convento dei Cappuccini e non se ne fece più nulla. Da questi documenti risultano anche le seguenti informazioni sul terreno degli agostiniani di Tortolì: “quel Serrato o sia Ortali, che posseggono alle spalle del loro Convento egualmente grande (rispetto a quello dei Cappuccini, nda), con fonte, e molino”: (28) Le lamentele sulla inadeguatezza dei locali dei conventi minori sono continue; basti, fra tutte, questa nota del capitolo provinciale ordinario del 1787: “Cum Domus religiosae hujus nostrae Provinciae sint admodum angustae, una tantum cella singulis religiosis concedatur, exceptis Regentis.” (29) La situazione, tuttavia, peggiorerà nel secolo seguente, interessando anche i conventi di Sassari e di Alghero. Uno spazio a parte merita l’azione pastorale svolta dagli agostiniani sardi. In ordine alla gestione di parrocchie, c’è da dire che solo una loro chiesa, quella di S. Gimiliano di Samassi, era stata per un certo periodo parrocchia; ebbero inoltre in affidamento la parrocchia di Semestene, curata dai religiosi del vicino convento di Pozzomaggiore e, come di solito accadeva, prestarono la loro opera nelle chiese parrocchiali dei luoghi in cui avevano i conventi. Ma le loro attività più importanti riguardarono la predicazione, la confessione, la diffusione del culto della Vergine e dei Santi. Intensa presso i fedeli fu la promozione della venerazione dei Santi e dei Beati dell’Ordine Agostiniano, come anche della Madonna, secondo i titoli con cui veniva venerata nell’Ordine e in Sardegna. Il culto della Madre di Dio veniva prima di tutti gli altri: la Vergine era venerata con i titoli di S. Maria del Rimedio in Sassari, altra versione della Vergine del Soccorso; con il titolo di Maria SS.ma d’Itria, in Cagliari dove esisteva un oratorio specifico, mentre negli altri conventi le veniva dedicata una cappella, con il martedì come giorno commemorativo e la festa vera e propria il martedì dopo la Pentecoste; presso ogni chiesa agostiniana vi era inoltre una confraternita della Madonna d’Itria (30).Altra invocazione con cui veniva venerata la Vergine era quella di Madonna della Salute, che sembra essere una versione locale della “Madonna delle Grazie”, particolarmente nelle chiese di Pozzomaggiore e di Alghero. In tutti i conventi, infine, veniva celebrata la festa della Madonna della Consolazione o della Cintura, [pag. 214] mentre a Cagliari era stata diffusa la devozione alla Madonna del Parto, sulla scia del culto che le veniva tributato in S. Agostino di Roma. A proposito del culto della Madonna d’Itria, oltre a quanto già scritto in precedenza, appare interessante il modo con cui veniva regolato il rapporto tra i frati e i membri della confraternita nella chiesa di Pozzomaggiore: “i Confratelli hanno una cappella propria da loro edificata, munita di banchi, candelieri, ed altri effetti d’altare acquistati a spese della Confraternita (...) giusta uno scritto disteso da 80 e più anni dal Priore del Convento di quell’epoca (siamo nel 1830: ci si riferisce quindi al 1750 ca., nda) col Priore della vergine d’Itria, ove ambi Priori venivano d’accordo, quello d’Itria alla questua della lana, grano, e formaggio e quello del convento a ricevere quella limosina come paga delle Messe Domenicali celebrate da un Religioso Agostiniano nella cappella della Vergine d’Itria.” (31). Insomma, come spesso accadeva nei piccoli centri, il servizio religioso veniva remunerato con i prodotti della terra. Dopo la Vergine, la devozione più diffusa era ovviamente quella di S. Agostino, verso cui la Provincia si sentiva particolarmente legata, dal momento che lo aveva come protettore e ne custodiva il luogo della sepoltura; purtroppo non poteva esibire le reliquie degli abiti pontificali del Santo, che invece venivano custodite presso i francescani conventuali di Cagliari. A proposito di queste presunte reliquie, mi sembra utile riportare la ricostruzione storica che ne ha fatto il frate conventuale Costantino Devilla: “Fra i tanti cimeli che arricchivano la Chiesa dei Frati Conventuali di Cagliari, vi era pure la preziosa Reliquia delle Vesti Pontificali: Pianeta, Dalmatica e Tunicella del Grande Dottore S. Agostino Vescovo d’Ippona. Quando e come gli pervenne. L’insigne Reliquia pare fosse in possesso dei Frati Minori di Stampace sino dalla prima metà del sec. XIV. (...) In proposito così si ha dal Serra: “L’anno 504, S. Fulgenzio Vescovo di Ruspe, il Vescovo d’Ippona e moltissimi altri Vescovi, Monaci e Chierici Africani, cacciati in esilio da Trasamondo, rifugiandosi in Sardegna, a Cagliari, con molte altre Reliquie portarono per salvarle dalle profanazioni vandaliche anche le spoglie mortali del Grande Agostino le quali, raccolte poi in una Chiesa fuori delle Mura del Quartiere della Marina, detta quindi di S. Agostino Vecchio, vi rimasero per oltre due secoli. L’anno 722, non potuta impedire la vendita ai legati del pio Liutprando del Corpo del Santo Dottore fatta dai Saraceni, alcuni poterono porre in salvo gli Abiti [pag. 215] Pontificali, togliendoli dalla Cassa ov’era racchiuso il Corpo, nascondendoli, per opera di un Analogeo, nella Spelonca detta di S. Giovenale: “condogentes vestimenta”, così la pergamena d’Arborea, “de Analogeo ad speloncam de Sancto Iuvenale Episcopo Calaritano”. In seguito cacciati dalla Sardegna i Saraceni, essi furono riportati alla sua Chiesa ove dovettero rimanervi sino alla metà del sec. XIV, quando furono consegnati ai Francescani. Si sa infatti come circa l’anno 1400, sotto Filippo II, Chiesa e Monastero, già abbandonati dai Monaci, furono abbattuti perché ritenuti d’impedimento della sicurezza delle fortificazioni della Città. Con tutta probabilità essi rimasero allora in custodia di qualche Cappellano, il quale, forse ospite nel vicino Convento dei Claustrali, li affidava, racchiusi in una cassetta alla Chiesa di S. Francesco, ove rimasero fino al 1875, quando abbattuta questa Monumentale Chiesa, vennero consegnati alla Chiesa Primaziale ove tuttora si conservano” (32). Nella citazione risulta evidente l’errore che fa risalire al 1400 la costruzione del nuovo convento agostiniano di Cagliari da parte di Filippo II, regnante invece dal 1556 al 1598 mentre, per quel che concerne le reliquie, esse sono tuttora conservate nel museo della cattedrale di Cagliari. Nell’Ordine le feste in onore del Santo d’Ippona erano 5: oltre a quella principale del 28 agosto, nell’isola veniva data particolare rilevanza a quella che si celebrava l’ultimo giorno di febbraio, ricorrenza della traslazione del corpo del Santo dall’Africa in Sardegna, e alla festa dell’11 ottobre, allorché si commemorava la seconda traslazione dalla Sardegna a Pavia. Importanti festività diffuse presso tutte le chiese agostiniane erano, tra le altre, soprattutto quelle di S. Nicola da Tolentino e della Beata Rita, che, per quanto non ancora canonizzata, conosceva tuttavia una devozione abbastanza sentita. Ad alcune festività erano legate anche delle specifiche questue, le cosiddette cerche, che gli agostiniani effettuavano, come facevano del resto i membri degli altri ordini mendicanti. In Sardegna, con il tempo, l’Ordine aveva acquisito un consistente numero di terreni e di beni immobili, tale da farlo considerare uno degli istituti religiosi più benestanti. I conventi erano per la maggior parte situati fuori degli abitati e i frati vivevano anche del lavoro dei campi e dei prodotti dell’allevamento. La testimonianza dello storico Goffredo Casalis assicura che nel 1836 gli agostiniani: “Possiedono, e prima [pag. 216] che per difetto di buona economia si lasciassero deteriorare i fondi, possedevano in comune non meno di lire sarde 500.000”. (33) Nel 1848, quando si avanzava con maggior forza la proposta di abolizione degli ordini religiosi nell’isola “si voleva dapprima la soppressione dei Mercedari perché i pirati Saraceni non infestavano più i mari sardi; degli Agostiniani, Domenicani e Minimi, perché inutili e ricchi” (34). Le questue pertanto potevano apparire non molto giustificate, ma sempre nel 1848 il P. Provinciale Fr. Massimo Serra scriveva a proposito del Convento di Pozzomaggiore: “Egli è pure esagerato il dire, che possedendo quel Convento beni di campagna, faccia non di meno la questua del pane, e di altre limosine. E come no? Se l’Ordine Agostiniano venne annoverato dai Romani Pontefici fra gli Ordini dei mendicanti, ben ponno i religiosi servirsi del privilegio di questuare, di cui hanno usato fin da tempo immemoriale per tutta la Sardegna senza contradizione alcuna” (35). E’ comunque interessante notare come dette questue fossero legate sì alle festività religiose, come visto sopra, ma anche ai ritmi e ai tempi del mondo contadino. Ho voluto, per curiosità, fare un elenco delle questue del convento di Alghero: la questua delle Anime a fine ottobre, la questua dell’Avvento, la questua del lardo a febbraio, la questua del formaggio in aprile “per gli ovili d’Alghero” e a maggio “per i villaggi della costiera”, una non meglio specificata “questua della Nurra “sempre in aprile, le questue per la Beata Rita e la Vergine d’Itria nel mese di maggio presso i paesi di Putifigari, Tissi ed Ossi, sempre nel mese di maggio la questua del pane ad Olmedo, la questua del grano in agosto, un’altra cosiddetta “questua generale del grano” in ottobre, e così via: certo, occorre dire che i religiosi battevano incessantemente paesi, campagne e villaggi per elemosinare, ma è altrettanto vero che spesso compare la voce, nei registri di spesa, “dato ad un povero”, “a due poveri”, “ad un passeggiere”, etc.: insomma, la carità cristiana metteva in una comunicazione reciproca frati e popolo, anche allo scopo di sostenersi vicendevolmente. Il sec. XVIII si chiude con gli sconquassi provocati dalla Rivoluzione Francese, ma la Sardegna non ne conobbe gli effetti, fatta eccezione per il fallito tentativo di occuparla nel 1792. Risparmiata anche dalle occupazioni napoleoniche, l’isola fu una sorta di porto franco per gli ordini religiosi quando Napoleone Bonaparte li abolì e ne confiscò i beni.

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(15) AGA, Notitiae..., cit., cc. 177-185v.

(16) CAMBRIDGE UNIVERSITY PRESS, Storia del mondo moderno, Garzanti editore, Milano, ristampa 1988, vol. VI, pp. 669-72.

(17) MARTINI P., Storia ecclesiastica..., cit., vol. III, lib. IX, pp. 51-54.

(18)  FILIA Damiano, Gli ordini religiosi e l’assolutismo riformista in Sardegna nel XVIII secolo, in “Mediterranea”, rivista mensile di cultura e di problemi isolani, Ed. Tip. Giovanni Ledda, Cagliari, anno II (VII), n. 11, nov. 1928, p. 29.

(19) SORGIA G., Gli Agostiniani in Sardegna..., cit., pp. 23-24.

(20) Archivio di Stato di Sassari, Fondo Corporazioni Religiose Soppresse, Alghero, Agostiniani, Busta n. 1, vol. 4d, doc. n. 13, cc. 1-1v-2.

(21) FILIA Damiano, La Sardegna cristiana, dal 1720 alla pace del Laterano, vol. III, Sassari, Stamperia della Libreria Italiana e Straniera, 1929, pp. 122-125.

(22) Ibidem, p. 147.

(23) Vedi: Analecta Augustiniana, vol. LXI, 1998, pp. 151-70.

(24) Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, Vol. 575, 2° Serie, Agostiniani dal 1762 al 1848.

(25) CABIZZOSU Tonino, Chiesa e società nella Sardegna Centro-settentrionale, Ed. il Torchietto, Ozieri 1986, p. 136. (Il testo in questione, nel Cap. Terzo, intitolato: Il Clero Regolare, offre un esauriente quadro dei problemi che hanno interessato gli ordini e le congregazioni religiose nell’isola tra il Sette e l’Ottocento).

(26) AGA, Acta Capitularia 1805-31, cc. 132-133v.

(27) AGA, Acta Capitularia 1778-82, vol. II, c. 511.

(28) Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.

(29) AGA, Acta Capitularia 1784-96, cc. 206-11.

(30) In proposito, vedi: Analecta Augustiniana, Vol. LXI (1998), pp. 161-64.

(31) Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.

(32) C. DEVILLA, I frati Minori Conventuali in Sardegna, Ed. Gallizzi, Sassari 1958, pp. 228-29.

(33) G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna, Torino 1836, vol. III, p. 279.

(34) C. DEVILLA, I frati Minori Conventuali in Sardegna, cit., p. 133.

(35) Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.

 

 

3. IL SECOLO XIX: GLI ULTIMI TEMPI DELLA PRESENZA AGOSTINIANA IN SARDEGNA

[pag. 217] Come già accennato, la Sardegna non subì particolari contraccolpi dalle vicende del periodo, anzi, proprio perché risparmiata da quelle vicissitudini, poté permettersi di aiutare i conventi italiani dei diversi ordini religiosi, inviando più frati possibile per aiutare la ripresa della vita religiosa nel continente. Ci fu anche un certo incremento delle vocazioni , come ci ricorda il Filia: “Nonostante i freni del regalismo... un’efflorescenza di vocazioni tra il 1800 e il 1806, mise in grado i regolari sardi di contribuire, durante gli anni della restaurazione (1814-21) alla rinascita e al governo dei propri istituti religiosi nel continente italiano.., l’agostiniano P. Patrizio Merello fu nominato segretario generale del suo ordine” (36). In margine a ciò, alcuni agostiniani sardi si trasferirono nei conventi della penisola, soprattutto in quelli della Provincia Romana. Tuttavia, nonostante questo buon inizio di secolo, la situazione non si mantenne così positiva, se continuarono le visite apostoliche inviate da Roma, in accordo con il governo di Torino, allo scopo di reprimere gli abusi, gli scandali e il cosiddetto “rilassamento” della vita religiosa: “Il 21 aprile 1826 Leone XII nominò Delegato Apostolico l’arcivescovo di Urbino Ignazio Ranaldi e convisitatori Alessandro da Rossiglione dei Minori Osservanti, Tommaso Pellini dei Domenicani e Giuseppe Bisleti, canonico di San Giovanni in Laterano come segretario”. Le febbri malariche mieterono tre vittime tra quella Commissione: l’8 dicembre 1826 morì Alessandro da Rossiglione, il 2 gennaio 1827 Ignazio Ranaldi e il seguente 21 gennaio il ventottenne Giuseppe Bisleti. Nonostante questi tre eventi luttuosi, la relazione inviata a Roma è assai severa sulla situazione dei regolari nell’isola. Solo i Gesuiti vengono salvati per lo zelo e per l’intelligente presenza sociale che svolgono in Cagliari e in Sassari. I capi di accusa sono rivolti soprattutto contro i religiosi anziani: “è per la loro ambizione che si contendono il primato e i gradi inferiori che a quelli conducono; per la loro ambizione da più e più anni sono scissi in partiti”. Le cause profonde, secondo la relazione, sono le seguenti: ovunque vengono ammessi alla vestizione e alla professione solenne soggetti privi di vero spirito religioso; negli studentati gli studi sono in generale decadimento; nelle comunità la disciplina è rilassata e gli abusi contro la povertà sono palesi a tutti. [pag. 218]

(...) Le proposte che la relazione Ranaldi presenta a Roma sono le seguenti:

a) facoltà esclusiva al Visitatore di concedere le secolarizzazioni richieste, con espulsione dei cosiddetti “discoli” senza formalità di processi;

b) divieto di passaggio, a chi ne faccia richiesta, dalla vita religiosa a quella del clero secolare;

c) proibizione per uno spazio di dieci anni di convocare i capitoli provinciali per l’elezione del Provinciale e del suo Consiglio (si supplisca nel frattempo con un Vicario Generale, eletto dal Padre Generale, con poteri ben delimitati);

d) stimoli ad un’apertura di mentalità più universale e meno isolana con maggiori contatti con i conventi del continente e con un intelligente interscambio di soggetti: soprattutto i giovani si mandino a studiare nella penisola;

e) ulteriore riduzione dei cosiddetti “conventini”, ove risiedono pochi religiosi più attenti al governo dei poderi che alla vita di comunità e che “ordinariamente sono i dilapidatori dei fondi di tali conventi, e ciò che più monta, di scandalosa condotta”.

(...) Nel dicembre 1828 una nuova delegazione apostolica fu affidata da Leone XII ad Albertino Bellenghi, camaldolese, arcivescovo di Nicosia, il quale aveva come con visitatori il canonico Lorenzo Parigini, il domenicano Tomaso Pellini, l’agostiniano Lorenzo Tardy, il carmelitano Tomaso Nardi, il conventuale Pietro Francesco Muccioli, l’osservante Bernardino Panzacchi e il cappuccino Giuseppe Antonio da Pistoia. Gli storici della Chiesa sarda definiscono questa visita “straordinaria” perché voluta dal Governo e dalla Santa Sede per porre ordine nel “pianeta” regolari in un momento di particolare difficoltà. La relazione inviata a Roma è profonda e accurata. Essa è divisa in due parti: la prima presenta il quadro numerico di tutti i religiosi (...) La seconda parte della relazione denuncia con severità la situazione in cui versa la quasi totalità dei conventi: “ove è in total decadimento l’osservanza e la disciplina regolare, quanto trascurata l’istruzione letteraria della gioventù, quale lo spirito d’ambizione, che dominava specialmente nei graduati, quale l’ignoranza e quali gli scandali, che commettevansi da non pochi individui di varie corporazioni...” (37).

Il quadro della situazione è quindi chiaro. Tuttavia, se da una parte si voleva la riduzione del numero dei religiosi e dei loro beni, non ci si poteva lamentare se poi si avevano dei “conventini” ingovernabili, [pag. 219] dove era impossibile sotto molti aspetti osservare una vita religiosa secondo la Regola e le Costituzioni. L’atteggiamento della S. Sede e del Governo, per quanto giustificati, non potevano rivolgersi ai religiosi solo in termini di ispezioni poliziesche, senza l’abbozzo minimo di un dialogo e di un serio esame delle cause del degrado: insomma, solo i castighi, si sa, non rendono. Tuttavia, questa fu la strada seguita e per gli agostiniani venne il momento di lasciare il convento di S. Agostino di Sassari, il secondo per importanza nella Provincia. Per colpa del comportamento di qualche religioso, poiché il convento, la Chiesa e i relativi beni non presentavano problemi, si decise la soppressione senza appello della casa religiosa e la sua destinazione ad orfanotrofio cittadino; all’erigendo orfanotrofio andarono i beni del convento, mentre la chiesa di S. Agostino e la casa religiosa vennero affidate ai Padri Domenicani. Interessante, a riguardo, la lettera che gli agostiniani di Sassari inviarono al Sovrano nel marzo 1833 per supplicarlo di venire incontro alle loro difficoltà: il documento, infatti, ci fa capire anche quanto fosse ormai “spenta” nell’animo di questi frati la forza della vocazione religiosa:

“I sottoscritti religiosi componenti l’attuale comunità dei Padri Agostiniani di Sassari in Sardegna, umilmente inchinati ai piedi del Regio Trono di Vostra Sovrana Real Maestà hanno l’onore di rappresentarle che d’ordine del loro Provinciale sono stati avvertiti di dover lasciare libero il loro Convento nel preciso termine di un mese. Gli ha al medesimo tempo passato l’ubbidienza per altri conventi della Provincia, ma sebbene siano disposti di rassegnarsi a queste superiori provvidenze, pure non lasciano di reclamare alla Clemenza del loro Sovrano, per conseguire un provvedimento necessario alla trista loro situazione. Tutti i Conventi del loro Ordine in Sardegna sono mancanti di mezzi di sussistenza per la rispettiva loro famiglia, più di quello che lo era il Convento di Sassari, alcuni poi sono d’aria insalubre, ed in tal modo nociva, che non si possono abitare che i soli Religiosi nativi del luogo, e gli Esponenti perciò, onde scansare da un canto la penuria e dall’altro il pericolo di soccombere all’inclemenza dei paesi cui saranno destinati, hanno determinato di secolarizzarsi, e di sgravare anche le altre comunità da un peso per loro insopportabile, allo stesso tempo che occorrono all’evidente urgenza in cui si trovano. Non potendo però eseguire il loro disegno senzaché gli sia stata assegnata una pensione annua, colla quale possano supplire al difetto del patrimonio che per tale oggetto si richiede. [pag. 220] Essi implorano i Sovrani riguardanti alla Maestà Vostra facendole presente che i beni appartenenti al predetto loro Convento offrono largamente il mezzo di soddisfare a queste sue vedute. Umilmente pertanto supplicano la Somma Bontà e Munificenza di Vostra Sovrana Real Maestà, affinché si degni di lasciare le sue Sovrane provvidenze a chi spetta onde gli venghi fissata la predetta pensione annua e siano quindi in grado di richiedere la loro secolarizzazione, che sarà grazia la più singolare, per la quale formeranno i voti più fervidi al Signore, acciocché lungamente conservi i preziosi giorni di Vostra Maestà e della Reale Famiglia.

Fr. Antonio Maria Ibbadu, Priore

Fr. Patrizio Galibardi

Fr. Giovanni Battista Faedda

Fr. Giuseppe Angelo Sanna

Fr. Tommaso De Rosas

Fr. Filippo Campus. (38)

 

I religiosi della comunità di Sassari poi, in effetti, non si secolarizzarono: segno che la loro richiesta al Sovrano non ebbe seguito. Li ritroviamo, invece, negli anni seguenti presso gli altri conventi della Provincia, con il continuo assillo di una lite senza fine con l’Azienda Regia per il convento sassarese, allo scopo di ottenere, almeno in parte, la restituzione di quanto loro spettava in termini di beni e di denaro. Interessante, a proposito delle vicende di questi anni, è anche la testimonianza dello storico agostiniano sardo P. Gelasio Floris, testimonianza contemporanea alla stessa visita apostolica Ranaldi-Bellenghi: “Premendo però al Sommo Pontefice l’ultimazione di questa Santa Visita, spedì di nuovo nell’anno 1828 in qualità di Visitatore Apostolico il vescovo di Nicosia Don Albertino Abbate Bellenghi, dell’Ordine Camaldolese, accompagnato come convisitatore dal M. R. P. Maestro Lorenzo Tardì, del nostro Ordine Agostiniano, dal Padre Maestro Pellini dell’Ordine dei Predicatori; dal Padre Maestro Muccioli conventuale, e dei Minori Osservanti l’accompagnò il Padre Maestro Giaccomelli dei riformati. Questi dunque pieni di zelo Appostolico, di sana prudenza, e lunghe religiose vedute seguitarono la santa visita con soddisfazione della Santa Sede, del Nostro Sovrano, non che di tutto il Sardo popolo; e restituirono a qualche [pag. 221] sesto, e buon ordine quanto vi era per l’addietro di scombussolo, ed indisciplinatezza, tanto nel mistico, quanto nell’amministrativo. E con ciò almeno alcune Provincie non soffersero il disonore d’esser abbolite, e soppresse totalmente, come si era deciso nelli atti istruiti dalli antecedenti Visitatori” (39). Lo stesso P. Floris non era stato tenero allorché espresse un giudizio sullo stato della Provincia sarda e sui suoi confratelli: “Ma se vuol dirsi la verità, tutti questi sei Conventi esistenti, se si riunivano in un sol corpo; a stento se ne formerebbe uno che potesse sostentare religiosamente dieci individui, perché la mala amministrazione ha ridotto i vistosi patrimoni che in addietro avevano, ad una totale ruina. Per cui andò anche in disuso la religiosa pietà, e la vera dottrina Agostiniana; e se, come in altre Epoche, fossero i Sardi religiosi Agostiniani invitati a far fronte a’ Monoteliti, come si può vedere in questo tomo a p. 200, certo che nessuno ne avrebbe preso l’impegno, essendo tutti occupati in una vita amorosa, nemica dell’applicazione teologica” (40). Il timore, quindi, di doversi attendere da un momento all’altro la soppressione dell’Ordine nell’isola, timore che si andava trasformando sempre più in solida certezza, si faceva strada nell’animo dei religiosi e, anziché spronarli a reagire, contribuiva a prostrarli e ad accettare con rassegnazione il corso degli eventi. Le vicende della Provincia proseguirono con altre visite apostoliche, con il costante controllo del governo, con la progressiva diminuzione del numero dei religiosi, con i continui problemi economici. A proposito di questi ultimi, appare emblematico quanto accadeva al convento di Alghero. A seguito di gravi problemi alle strutture del convento e della chiesa, i frati furono costretti momentaneamente ad abbandonarlo, non senza preoccupazione del governo, che, in data 12 marzo 1844, scriveva al vescovo di Alghero di riferire al Provinciale degli Agostiniani l’ordine di inviare i religiosi in altri conventi della provincia, per dare finalmente avvio alle “urgenti riparazioni onde abbisogna (il convento, nda) per sottrarlo allo stato di imminente rovina, e così far cessare gl’inconvenienti e lo scandalo che deriva nel paese dal vedere essi religiosi fuori del proprio convento, sciolti dalla legge del ritiro e dalla vita comune, convivendo con persone del secolo in case private” (41). [pag. 222] Gli ultimi anni prima della soppressione offrono, nel complesso, un’impressione di tristezza, come se ci si attendesse la fine. Tuttavia, l’ultima visita alla provincia, ordinata dal Priore Generale ed eseguita nel 1852 dal Procuratore Generale, il P. Maestro Giuseppe Caiazza, sembrò ridare fiducia ed un certo slancio: si accettarono di nuovo dei novizi, ci si impegnò ad inviare alcuni professi nel continente per la preparazione teologica, si cercò di eliminare gli abusi. Ma ormai era tardi: gli eventi incalzavano, le leggi di soppressione venivano avanzate proprio in quegli anni, e gli agostiniani erano diventati troppo pochi, per quanto più “purificati” al loro interno. Vediamo lo status della Provincia, quale emerge dall’ultimo Capitolo Provinciale ordinario dell’agosto 1853:

“In Nomine Domini Nostri Jesu Christi Benedicti. Amen. Anno Nativitatis ejusdem 1853 mense Augusti celebrata fuit Congregatio Capitularis Fratrum Eremitarum S. P. N. Augustini Provinciae Sardiniae in Conventu S. Leonardi Caralis ab Adm. Rev.do P. Bacc. Fr. Simone Sanna dictae Provinciae Priori Provinciali electo, in diem undecimam supradicti mensis indicta, ad quam die praedicta, quae fuit feria quinta post dominicam XII post Pentecosten, duo tantum PP. Difinitores, iuxta dispensationem Rev.mo Patre Priore Generali obtentam, vocem habituri convenere. Postera itaque die, quae erat feria sexta, statim postquam Vesperae fuerunt decantatae, signo campanulae ter dato, Patres omnes in unum capitulariter convenere, alijsque expletis in nostris Constitutionibus prescriptis, Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinus Podestà Provincialis coram omnibus in Capitulo considentibus, officium suum in manus Provincialis electi humiliter resignavit. Seguenti sabato Missa de Spiritu Sancto solemniter cantata alijsque expletis in nostris Constitutionibus prescriptis ad sonum campanulae ter pulsatae ut moris est Patres omnes iterum capitulariter convenerunt, et emissis vocem non habentibus, electi sunt per ballotulas duo judices causarum nempe Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinus Podestà Provincialis absolutus et Rev. P. Bacc. Fr. Gregorius Virdis, ambo plenis suffragiis. Qua electione completa sunt per Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinum Podestà primum causarum judicem nomina eorum qui in presenti Congregatione Capitulari vocem habere debebant, scilicet Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Simon Sanna, Provincialis electus, Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinus Podestà, Provincialis absolutus, Rev. P. Bacc. Fr. Gregorius Virdis, secundus Definitor, Rev. P. Fr. Dominicus Pesce quartus Definitor. Insuper similiter per ballotulas designati sunt duo scrutatores vocum, nempe Adm Rev. [pag. 223] P. Bacc. Augustinus Podestà, Provincialis absolutus, et Rev. P. Bacc. Fr. Dominicus Pesce, et ab istis iuramento fidelitatis praestito, et dispensationum facultate a Rev.mo Priore Generali nedum obtenta, sed ultro libenterque nobis elargita utentes ad Difinitorium electionem processum est, atque ab omnibus, servatis servandis, in primum Difinitorem electus fuit Rev. P. Bacc. Fr. Gregorius Virdis tribus suffragiis; in secundum Rev. P. Bacc. Fr. Prosper Perpitoni quattuor suffragiis; in tertium Rev. P. Bacc. Fr. Dominicus Pesce tribus suffragiis; in quartum Rev. P. Lector Fr. Joannes Spiga tribus suffragiis; Rev. P. Bacc. Fr. Michael Mereu habuit duo suffragia, Rev. P. Lector Fr. Aloysius Demontis unum.

Decretum

Cum Patribus Venerabilis Diffinitorii compertum sit providentissima sapientissimaque esse tam Decreta emanata ab Ill.mo, et Rev.mo Domino Albertino Bellenghi Archiepiscopo Nicosiae Visitatore et Delegato Apostolico super Regulares, quam omnium Capitulorum praecedentia statuta, necnon Decreta ultimae Visitationis habitae mense Iulii anni 1852 a Rev.mo Procuratore Generali Patre Magistro Iosepho Caiazza e mandato Rev.mi Patris Nostri Generalis; idcirco idem Venerabile Diffinitorium decernit, et mandat ad amussim observanda esse huiusmodi decreta, vel utpote Sacrarum nostrarum Constitutionum spiritui consona, vel quia hujus nostrae Provinciae statui ac circumstantiis bene, satisque accomodata dignoscantur ab omnibus hujusce Augustinensis Provinciae alumnis. Reservando solum sibi auctoritatem, et potestatem reformandi, post confirmationem actorum Capitularium, necnon mutandi nonulla, quae in miserrimis hujus Provinciae Coenobiis, vel ob Religiosorum penuriam observari nequent circa regularem disciplinam, vel circa quaestam et sumptus extraordinarios, inconsulto Patre Provinciali, permitti minime possunt sine ulteriori saeculanium scandalo atque graviori coenobiorum detrimento, cum nimis et ultra vires gravata sint aere alieno.

 

Familiarum dispositiones

 

Provisio Conventus S. Leonardi Caralis

Rev. P. Bacc. Fr. Dominicus Pesce confirmatus fuit in Priorem omnibus suffragiis, et electus in Examinatorem.

Rev. P. Bacc. Fr. Gregorius Virdis electus fuit in Magistrum Novitiorum, et confirmatus in Examinatorem. [pag. 224]

Rev. P. Lector Fr. Ioannes Spiga confirmatus fuit in Suppriorem, et Procuratorem, et electus in Examinatorem.

Ven. P. Fr. Ioannes Facundus Capretta confirmatus in Sacristam.

Ven. P. Fr. Antonius Melis.

 

Professi

Fr. Fulgentius Cau.

Fr. Patritius Demontis.

 

Novitius

Fr. Nicolaus Cossu.

 

Conversi

Fr. Nicolaus Piras.

Fr. Ioannes Spillo.

Fr. Alipius Vacca.

Fr. Ephisius Norfo.

 

Oblatus

Fr. Thomas Zuddas.

 

Amoti

Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinus Podestà ex Provincialis eat Prior Algharien.

Conversus Fr. Augustinus Onnis eat Procurator Algharien.

 

Locatus

Fr. Antonius Marini.

 

 

Provisio Conventus S. Augustini extra moenia

Rev. P. Bacc. Fr. Prosper Perpitoni electus fuit in Priorem omnibus suffragiis, de familia vero in Conventu S. Leonardi Caralis sine praecedentia et cura animarum, sed ad servanda jura dumtaxat, in quo Conventu munere Examinatoris fungetur. [pag. 225]

 

 

Provisio Conventus S. Sebastiani Alghariensis

Ven. P. Fr. Ioannes Baptista Faedda

Conversus Fr. Antonius Selis.

Oblatus Fr. Petrus Demontis.

 

Amoti

Rev. P. Bacc. Fr. Maximus Todde eat Prior Tortolien.

 

Locati

Adm. Rev. P. Bacc. Fr. Augustinus Podestà ex Provincialis electus fuit in Priorem omnibus suffragiis.

Conversus Fr. Augustinus Onnis electus fuit in Procuratorem.

 

 

Provisio Conventus S. Geminiani Samassensis

Rev. P. Lector Fr. Aloisius Demontis confirmatus fuit in Priorem omnibus suffragiis.

Oblatus Fr. Nicolaus Muscas.

 

 

Provisio Conventus S. Antonii Tortoliensis

Rev. P. Bacc. Fr. Michael Mereu.

Conversus Fr. Joseph Augustinus Piu.

 

Amotus

Oblatus Fr. Antonius Marini eat Caralim.

 

Locati

Rev. P. Bacc. Fr. Maximus Todde electus fuit in Priorem omnibus suffragiis.

Conversus Fr. Philippus Campus.

 

Provisio Conventus S. Antonii Puteomajorensis

Rev. P. Bacc. Fr. Aurelius Porrà confirmatus in Priorem omnibus suffragiis.

Conversus Fr. Ioannes Deruda. [pag. 226]

 

 

Oblati

Fr. Thomas Derosas.

Fr. Antonius Unali.

 

Rev. P. Bacc. Fr. Simon Sanna Prior Provincialis elegit sibi in domum Conventum S. Leonardi Caralis. In Provincialis socium, et Provinciae Secretarium electus fuit omnibus suffragiis Rev. P. Lector Fr. Ioannes Spiga.

Haec sunt Reverendissime Pater Congregationis nostrae electiones, et acta pro quorum approbatione et confirmatione ad pedes Paternitatis Vestrae Reverendissimae submisse provolvimur, humillime obsecrantes, ut semper nos prosequatur iisdem favoribus, ac paterni sui amoris affectibus, quibus hactenus prosecuti fuimus. Rogamus interim ut Deus Optimus Maximus Paternitatem Vestram Reverendissimam Eremitico Ordini diu servet incolumen.

Datum in Conventu nostro S. Leonardi Caralis die 23 mensis Augusti anni 1853.

Humillimi, Add.mi, Obs.qmi Servi et Subditi

Fr. Simon Sanna, Prov.lis

Fr. Augustinus Podestà, Prov.lis absolutus

Fr. Gregorius Virdis, primus Diffinitor

Fr. Prosper Perpitoni, secundus Diffinitor

Fr. Dominicus Pesce, tertius Diffinitor

Fr. Ioannes Spiga, quartus Diffinitor

 

Nos Fr. Ioseph Palermo Romanus, etc. Visis ac serio perpensis Actis Congregationis Capitularis Provinciae nostrae Sardiniae habitae in Conventu S. Leonardi Caralis die 11a et sequentibus elapsi mensis augusti, ordinationes, electiones familiarumque dispositiones in ipsis descriptas hisce nostris litteris nostrique muneris auctoritate, necnon de consilio eorum qui Nobis assistunt approbamus et confirmamus ac eas uti ratas et confirmatas ab omnibus haberi volumus et mandamus. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Datum Romae ex coenobio S. Augustini die 13a septembris 1853.

Fr. Ioseph Palermo Prior Generalis

Mag. Fr. Guilelmus Meschini Ordinis Secretarius (42)

 

[pag. 227] Questo era dunque lo status della Provincia a meno di due anni dalla sua soppressione: 13 sacerdoti, 10 conversi, 5 oblati, due professi chierici ed un novizio: in totale, 31 religiosi. I due professi erano figli del convento di Alghero, come risulta dai libri di spesa di quel convento, e vennero inviati a compiere gli studi teologici nel continente, in ossequio alle ultime direttive imposte dall’alto: entrambi divennero sacerdoti, come pure l’unico ed ultimo novizio della provincia. I frati agostiniani erano diventati perciò davvero pochi, ma la situazione interna era migliorata già alcuni anni prima, come annotava la stessa relazione Ranaldi: “Anche gli Agostiniani, tra cui c’era molta rilassatezza di vita ed indisciplina, hanno dimostrato serio impegno” (43). Nonostante ciò il 22 Maggio 1855 il Senato, con 53 voti contro 40, approvava la Legge di soppressione presentata al Parlamento Subalpino il 28 novembre 1854, da Urbano Rattazzi. Cessano di esistere, così l’Articolo, quali Enti Morali riconosciuti dalla Legge Civile, le Case, poste nello Stato, degli Ordini Religiosi, i quali non attendono alla predicazione, all’educazione e alla assistenza degli infermi. Venivano così colpite nell’Isola 43 Case di Ordini Mendicanti...” (44). Nelle mie ricerche sono riuscito ad individuare i libri contabili del solo convento di Alghero, dai quali risulta il momento della requisizione a firma del delegato regio: si tratta del mese di luglio dello stesso anno, segno che l’applicazione della legge fu pressoché immediata per i frati agostiniani. I religiosi vennero lasciati quasi soli, protetti più a parole che nei fatti dall’Episcopato Sardo, con le solite difficili comunicazioni con le curie generalizie, etc. Per gli agostiniani non ci fu niente da fare: in un primo tempo riuscirono soltanto ad ottenere la “rettoria” di alcune delle loro chiese, ma persero in una sola volta tutte le case religiose. Tra l’altro, a peggiorare le cose ci si mise anche il colera che, come ricorda il Filia, ricomparso nell’isola dopo duecento anni circa, sulla fine del 1854 e con maggior violenza nell’agosto e settembre del ‘55, falciava religiosi e preti nell’esercizio della carità” (45). Ne troviamo notizia sempre nelle carte del convento di Alghero, laddove si annota al 6 ott. 1854 che si fa spesa di “Oglio solo per le lampade di cucina per esserci il permesso di mangiar di grasso per il cholèra” (45). [pag. 228] I religiosi sardi, nel complesso, vennero colti impreparati dalle leggi eversive e non seppero o non furono in grado di porre argini alla situazione: alcuni accettarono la secolarizzazione o il passaggio nelle file del clero diocesano, pochi cercarono di restare in qualche modo uniti e fedeli al proprio Istituto religioso. Per gli agostiniani la Curia generalizia, dopo un iniziale periodo di sconcerto, cercò di salvare il salvabile. C’è un lettera del P. Simone Sanna del 1872 che, rispondendo a precisi quanto imbarazzanti quesiti del Priore Generale, lo informa sulla situazione della Provincia e sulla condizione dei religiosi in quegli anni:

 

“Fuori: Nota de’ PP. di Sardegna.

Dentro: 1872 - Conventi e Religiosi

Prov. Sardegna-Genova.

Reverendissimo Padre.

Assente dalla Capitale (Cagliari, nda) per la Predicazione Quaresimale, non ho avuto ricapito della Sua Venerabilissima del l° p. p. Marzo, che il Martedì in Albis. Avrei -come di dovere- riscontrato alla Paternità Vostra Rev.ma appena rimpatriatomi, se fossi stato a giorno del numero de’ nostri Religiosi tuttora viventi in questa Provincia; come però nulla di certo ho potuto conoscere da questo Rettore Provinciale P. Gregorio Virdis, mi è convenuto attendere prima risposta dalle diverse persone, cui sonomi diretto nell’interno dell’Isola. Le umilio quindi la desiata nota de’ nomi, cognomi, e residenze de’ Religiosi quivi esistenti, avendo saputo in seguito alla indagine presa, che due Laici sono già deceduti da guari senzacché tuttora siasi spedita circolare per i suffragi. Solo mi dispenso dal pronunciarmi sul merito ed entità di alcun Sacerdote, sì perché eccettuatine i PP. Virdis, e Pesce mio contemporaneo, gli altri sono tutti posteriori e nel fior degli anni; sì ancora perché tutti sono stati abbandonati, e senza istruzione di sorta. Se ne eccettua il P. Nicola Cossu che avendo percorso la carriera degli studi nel Convento di Giovinazzo, sa un po’ di Morale, cui solo ha atteso per motivi di salute. Qualora però la Paternità Vostra Rev.ma volesse saperne meglio, potrebbe dirigersi al Senatore e Commendatore Don Francesco Maria Serra Presidente di questa Corte d’Appello, a’ Deputati Cav. Salans, ed Avvocato Gavino Fara tutti e tre ora in Roma, ovvero al Prof. Emerito P. Giorgio Piga, Procuratore Generale de’ Minori Osservanti, ed al di lui Segretaro Padre Ex-Provinciale Pistis nel Convento di Ara Coeli. Avrebbe inoltre potuto prevalersi [pag. 229] del nuovo Vescovo di Bosa Mons. Eugenio Cano. Tutti i menzionati conoscono bene gl’individui, e l’entità di essi. Io non voglio, né debbo sapere il fine inteso dalla Paternità Vostra Rev.ma nello essiggere da me la nota in parola, non solo, ma quel che più mi ha sorpreso di voler sentire da me qual sia tra i Sacerdoti il più degno. A dirgliela schiettamente, la seconda dimanda mi è sembrata insidiosa; non di meno nel caso piacesse alla Paternità Vostra Rev.ma di provvedere -com’è di necessità- alle cose nostre, io La pregherei caldamente di darmi il permesso di accedere a Roma per soli pochi giorni, tanto da tener un abboccamento con la Paternità Vostra Rev.ma, anche per quiete di mia coscienza, perché vorrei a tutto provvedere in tempo, e rendere l’anima a Dio senza scrupolo di sorta, quando tutto io faccia col consentimento di chi ha in mano la mia volontà. Diversamente si prenderanno de’ granchi, e si farà più male. La Paternità Vostra Rev.ma non conosce gl’individui, né le cose nostre, né i nostri bisogni, quindi è d’uopo che venga coscienziosamente informata, anche per quiete di sua coscienza, ed i limiti di una lettera sono abbastanza circoscritti. Si desidera una norma da seguirsi alla cieca e nessuno può darla se non colui che ne regge e governa, né questo può prescriversi alla cieca e senza cognizione delle cose. Non vuole acconsentire, almeno si compiaccia di aprirmi il suo cuore, e si persuada che Sanna nol tradirà, che mai ha tradito alcun Superiore. Oltre ciò i tempi così anormali dissuadono ogni ben pensante, dall’attribuire ad altro fine, fuorché a zelo le pratiche sin qui tenute. Abbiamo tutti un forte timore di un pessimo avvenire, ed ognuno se potesse, vorrebbe uscire anche fuori d’Italia, perché siamo troppo vessati, né si può vivere che stentatamente. Finisco chiedendole compatimento, se mai abbia ecceduto, e raffermandomi col più profondo rispetto. Della Paternità Vostra Rev.ma. Umilissimo ed Obbligatissimo Suddito

P. Fr. SIMONE SANNA Agostiniano

Cagliari, 13/04/1872.

 

Nome de’ Religiosi          Cognome          Residenza

P. Fr. Gregorio                 Virdis               Cagliari          Rettore Prov.le

P. Fr. Simone                    Sanna               Cagliari

P. Fr. Antonio                   Faedda             Sassari

P. Fr. Domenico                Pesce                Sassari [pag. 230]

P. Fr. Giovanni                 Spiga                Cagliari

P. Fr. Luigi                       Demontis          Samassi

P. Fr. Patrizio                   Demontis          Corciano (47)

P. Fr. Nicola                      Cossu                Pabillonis

P. Fr. Luigi                        Cau                   Sanluri

Fr. Alipio                           Vacca                Cagliari

Fr. Effisio                          Norfo                 Cagliari

Fr. Giuseppe                     Piu                     Pozzomaggiore

Fr. Antonio Luigi             Selis                   Usini (48)

 

Dalle residenze dei religiosi si intuisce che forse a Cagliari e a Samassi si continuava ad officiare le chiese agostiniane. I religiosi sardi vennero aggregati, almeno ufficialmente, alla Provincia Ligure che era stata ricostituita, ma ben pochi rimasero legati all’Ordine fino alla fine. Oltre a P. Patrizio Demontis a Corciano, rimasero nell’Ordine i seguenti frati:

 

1) P. Domenico Pesce. Dal P. Generale Belluomini venne collocato di famiglia nel convento della Consolazione di Genova il 1 febb. 1873. Qui fu anche maestro dei novizi liguri. Morì a Genova, l’11 nov. 1893, all’età di 79 anni.

2) P. Cossu Nicola. Dopo aver peregrinato in diversi conventi italiani, venne inviato dal P. Generale alla Consolazione di Genova (1882?). Insieme a P. Sanna e a P. Cau riceve l’obbedienza di recarsi a Cagliari per rifondare la prima comunità agostiniana dopo la soppressione. Sempre dall’anno 1882 non si hanno più sue notizie.

3) P. Cau Luigi. Arrivato nel 1883 a Genova, venne inviato a Cagliari per dare avvio ad una nuova comunità presso la primitiva chiesa di S. Agostino. Sempre a partire da quell’anno non si hanno più notizie di lui.

4) P. Sanna Simone. Era nato a Pozzomaggiore (SS) e si era laureato in Teologia. Come abbiamo visto, era stato anche l’ultimo Provinciale della Sardegna. Fu il più convinto e tenace assertore della possibilità di ricostituire la presenza agostiniana nella regione. [pag. 231] Inviato dal P. Generale di famiglia a Genova, nel 1880 riuscì a diventare custode della Chiesa di S. Agostino a Cagliari (22/07/1880); l’8 giugno 1886 ebbe la nomina di priore di S. Agostino fuori le mura a Cagliari e di Rettore della chiesa di S. Leonardo. Accanto a sé in comunità aveva, come abbiamo visto, P. Luigi Cau e P. Nicola Cossu. Morì a Cagliari, forse rimasto solo, il 25 luglio 1889. L’ultimo agostiniano sardo, dunque, moriva come custode di quel sepolcro, a motivo del quale, nel 1491, avevano messo piede nell’Isola i suoi primi confratelli, con la grande sofferenza di non vedere nuovi religiosi abbracciare la Regola di S. Agostino in Sardegna e con la consapevolezza che con lui stava terminando ormai una storia plurisecolare.

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(36) D. FILIA, La Sardegna cristiana, cit., p. 308.

(37) T. CABIZZOSU, Chiesa e società..., cit., pp. 139-42.

(38) Archivio di Stato di Sassari, Segreteria di Stato, cit.

(39) FLORIS B. Gelasio, Componimento topografico storico dell’Isola di Sardegna, Biblioteca Universitaria di Cagliari, Ms. S.P.6, BIS 3.7.9 ( micr. pos. 219), c. 262-263.

(40) FLORIS B. Gelasio, Ibidem, c. 249.

(41) Archivio di Stato di Cagliari, Segreteria di Stato, cit.

(42) AGA, Acta Capitularia Italia et Malta, 1821-1901, cc. 569-574.

(43) T. CABIZZOSU, Chiesa e società..., p. 143.

(44) C. DEVILLA, I frati Minori…, cit., p. 135.

(45) D. FILIA, Lo Sardegna cristiana..., cit., p. 425.

(46) Archivio di Stato di Sassari, Agostiniani Alghero, Busta n. 2.

(47) P. Patrizio Demontis si trovava nel convento agostiniano di Corciano, dove resterà anche dopo la soppressione di quest’ultimo, in qualità di rettore della chiesa, fino alla morte.

(48) AGA, Ff. 58, Acta Capitularia Italia et Malta, 1821-1901, cc. 593-596.

 

 

4. IL CONVENTO DI S. AGOSTINO EXTRA MUROS DI CAGLIARI

Si tratta, in assoluto, della prima fondazione realizzata dall’Ordine dei Frati Eremitani di Sant’Agostino in Sardegna. Il motivo è stato più volte ricordato e rimanda all’evento della traslazione delle spoglie del Santo da Ippona a Cagliari, quando, dietro la spinta delle persecuzioni vandaliche nei confronti delle chiese cristiane del nord-Africa, molti vescovi, preti, monaci e fedeli di quei centri vennero esiliati o furono costretti a rifugiarsi nell’isola. Il momento in cui accadde il fatto è stato egregiamente ricostruito da Mons. Luigi Cherchi: “Il re vandalo e ariano Trasamondo dall’Africa del Nord esiliò in Sardegna, e a Cagliari in particolare, molti vescovi e monaci e cristiani con a capo S. Fulgenzio da Ruspe, consacrato vescovo nel 507 (Bibl. Sanct. Vol. V, col. 1306, giù). La deportazione dovette avvenire dunque non prima del 507-08. Il Baronio, nei suoi famosi “Annales” fissa la data al 504 (Tomo IX, col. 46) e così altri autori. Ma la critica attuale sta per la data 507-508”: (49) Tuttavia, sull’avvenuto trasporto delle reliquie di S. Agostino, lo stesso Mons. Cherchi avanza dei dubbi, peraltro legittimi: “Fulgenzio, accolto amabilmente dall’arcivescovo di Cagliari Brumasio [pag. 232] (altri scrivono Primasio) ebbe la possibilità di far vita in comune con altri esiliati vescovi, monaci, ecclesiastici. Tra gli altri, il suo biografo ricorda “Illustrem et Januarium, coepiscopos suos” (cap. XX, n. 43). Poi fu invitato in Africa dallo stesso re Trasamondo, che voleva conoscere per scritto il pensiero del giovane e dotto vescovo su alcune questioni religiose. Rimasto a Cartagine (Ferrando, cap. XXI, n. 45) per circa due anni, rientrò a Cagliari e fondò a sue spese, presso la basilica di S. Saturnino, un ampio cenobio “procul a strepitu civitatis”, favorito ancora dall’arcivescovo Brumasio (Ferrando, Vita Fulgentii, P.L. LXV, col. 138-143). In quel monastero conviveva con oltre 40 “fratelli” seguendo una regola cenobitica (cap. XXVII, n.51). L’esilio finì nel 523 quando, morto Trasamondo, gli succedette nel trono Ilderico, che richiamò in patria gli esiliati (Bibl. Sanctorum, vol. V, col. 1307). Erano passati oltre 15 anni e non fu senza un influsso benefico di religiosità, di liturgia, di apostolato per Cagliari e per altri centri, più o meno vicini alla città. In quel tempo era Papa di Roma un sardo, S. Simmaco (Papa dal 498 al 514) e non mancò di consolare ed aiutare gli esiliati con scritti, con indumenti e viveri di ogni genere (Mansi, vol. VII, col. 217-218). Il “Liber Pontificalis” scrive al riguardo: Hic omni anno per Africam vel Sardiniam ad episcopos, qui exilio erant retrusi, pecunias et vestes ministrabat” (MGH, ed. Theodorus Mommsen, 1898, p. 125). Questa è storia autentica, attinta alla vita di Fulgenzio, scritta da Ferrando, suo discepolo e (pare) parente; e da altri autori antichi. È facile supporre che questi vescovi e monaci venendo dall’Africa avranno portato reliquie, immagini, libri, qualche piccola statua, etc. Sono cose che noi pensiamo e che sono, del resto, naturali, ma la storia non ce lo dice in modo esplicito. Portarono con loro anche le reliquie (ossia le ossa) di S. Agostino? Questa domanda riguarda in particolare S. Fulgenzio, capo e guida degli esiliati a Cagliari. Ferrando, la fonte diretta che racconta la storia di quell’esilio, non ne fa alcun cenno. Anzi ci riporta due circostanze che rendono meno probabiie la traslazione di dette reliquie. Per il primo esilio, Fulgenzio è a Ruspe, nella sua provincia, la Bizacena, allorché i ministri del re lo presero “repente” (all’improvviso) e lo aggregarono agli altri esiliandi da deportare in Sardegna (cap. XX, n. 40). Egli “navim crucifixo corde et corpore nudus ascendit, habens secum plurimas divitias scientiae salutaris” (id. cap. XX, n. 40). [pag. 233] La seconda volta, a Cartagine, fu strappato dalla sua abitazione “in tempesta nocte, populo ignorante” (id. cap. XXV, n. 49): nel cuore della notte e all’insaputa del popolo. Come in tali contingenze, lontanissimo da Ippona, abbia potuto dare opera o, a dire meglio, abbia potuto dirigere il trasporto delle reliquie di Agostino, è un problema senza termini di soluzione. Anche la lettura dei capitoli XXV e XXVII della stessa vita ci persuadono di escludere tale asserita traslazione delle dette reliquie del grande santo ad opera di Fulgenzio. Eppure, come vedremo più innanzi, gli autori della storia sarda dal 1500 al 1900 attribuiscono a Fulgenzio la traslazione del corpo di S. Agostino a Cagliari. (50). Tra i vescovi esiliati avrebbe potuto esserci anche il vescovo di Ippona e nulla toglie che questi poteva portare con sé in salvo le spoglie del Santo, ma siamo sempre nel campo delle ipotesi più o meno plausibili: la verità storica resta difficile da accertare. Comunque siano andate le cose, resta il fatto che si determina un profondo legame tra la figura di S. Agostino e la Sardegna, al punto che l’Ordine Agostiniano si sente spinto a fondare una casa religiosa proprio nei pressi del luogo dove si credeva fossero stati sepolti i resti del Santo, fino alla loro traslazione a Pavia attorno al 722. Questo avviene nel 1491, allorché il P. Generale Fr. Anselmo da Montefalco acquisisce il sepolcro di S. Agostino e ne spedisce lettera informativa a tutto l’Ordine:

Frater Anselmus de Montefalcone Sacrae Paginae Professor et Prior Generalis Ordinis Fratrum Heremitarum Sancti Augustini licet immeritus.

Prioribus provintialibus et ceteris patribus et fratribus ordinis nostri ac universis ad quos praesentes pervenerint salutem atque comendationem in domino.

Informati qualiter in insula Sardiniae Civitate Callaritanensi esset quoddam oratorium cum aliquali habitaculo sub titulo sancti Augustini in quo ultra ducentos annos corpus beati Augustini translatum de Ipponia quievisset, et in quo fratres nostri ordinis jam per longa tempora licet aliquando interrupta resedissent et illud coluissent, non tamen sive propter antiquitatem sive qualibet alia causa robur aliquod sedis apostolicae monstraretur. Cupientes ad gloriam Dei et tanti doctoris Augustini ac pro debito et augumento nostri ordinis praedictum locum stabiliri et firmiter ordini nostro incorporatum esse [pag. 234] ac superaedificari et magnificari cum divino auxilio supplicavimus S. D. Nostro Innocentio pp. VIII pro illius loci aedificatione ratificatione et firmitate et obtinuimus super ea re apostolicas litteras in forma brevis eujus tenor talis est.

 

INNOCENTIUS PP. VIII

Dilecte filii salutem et apostolicam benedictionem. Desideras ut nuper exponi fecisti quoddam oratorium extra muros Callaritanenses sub invocatione sancti Augustini institutum et diversis vicibus per fratres tui ordinis habitatum in quo corpus beati Augustini post illius a civitate Ipponensi translationem ducentos et quinquaginta annos requievit et ad quod propter miracula quae ibidem altissimus ostendere dignatur magnam fideles illarum partium gerunt devotionem per fratres tui ordinis augere et unam domum inibi pro uso et habitatione fratrum dicti ordinis edificare. Nobisque humiliter supplicasti ut cum id in augumentum fidei et religionis cedat dignaremur paterna benignitate tibi licentiam desuper impartiri. Nos hujusmodi supplicationibus inclinati tibi ut oratorium praedictum illiusque ecclesiam ut prefertur ampliare et augere et inibi unam domum eum campanili humili campana claustro refectorio dormitorio hortis hortalitiis et aliis necessariis officinis pro perpetuis usu et habitatione fratrum dicti ordinis sine praejuditio juris alieni construere et aedificare illamque perpetuo inhabitare possis tenore praesentium licentiam concedimus. Et nichilominus ut domus praedicta et fratres in ea pro tempore degentes omnibus et singulis privilegiis, immunitatibus, libertatibus, exemptionibus, indulgentiis, concessionibus, gratiis, favoribus et indultis aliis domibus et fratribus ejusdem ordinis per sedem apostolicam vel alias in genere quomodolibet concessis et in posterum concedendis uti potiri et gaudere libere et licite valeant harum serie indulgemus. Non obstantibus constitutione fe. Re. Bonifatii pp. VIII praedecesoris nostri qua inter alia cavetur ne qui mendicantium ordinum fratres nova loca ad habitandum recipere praesumant absque sedis apostolicae licentia speciali non faciente plenam et expressam de verbo ad verbum de hujusmodi prohibitione mentionem et aliis constitutionibus et ordinationibus apostolicis nec non statutis et consuetudinibus dicti ordinis juramento confirmatione apostolica vel quavis firmitate alia roboratis ceterisque contrariis quibuscumque. Datum Romae apud Sanctum Petrum sub annulo piscatoris die XXV februarii pontificatus nostri anno septimo. [pag. 235]

 

A tergo. - Dilecto filio Anselmo de Montefalcone generali Magistro ordinis heremitarum sancti Augustini. - B. de Gavionibus.

 

Per supradictum igitur breve auctoritate apostolica nobis concessa accipimus illum locum et acceptamus incorporari et incorporatum esse ordini nostro et aggregamus illum provintiae Cathaloniae et Aragoniae ordinis nostri usquequo per generale capitulum determinatum fuerit ad quam provintiam debeat pertinere. Et insuper constituimus locum et vices gerentem prioris fratrem Johannem Avignon de Valentia quousque per dictam provintiam vel per generalem priorem fuerit de priore dispositum, dantes ei auctoritatem quam locales priores nostri ordinis in suis locis habent et habere solent. Et quia Magister Jacobus de Montano de Genua illuc missus est a nobis et sicut informati sumus dicto loco perutilis et oportunus est volumus ut quousque ibi fuerit in casibus pertinentibus ad priorem provintialem fungatur vice provintialis et quousque vel per generale capitulum vel per provintiale provintiae Cathaloniae constiterit aliter esse ordinatum. Hortamur igitur dictum Reverendum Magistrum et dictum fratrem Johannem ut promotioni ipsius loci praecipue in spiritualibus tum in temporalibus oportunis totis viribus insistant religiose vivendo bonis exemplis aedificantes populum. Et in primis per sanctitatem vitae placentes Deo prostremo loco primaria tamen intentione commendamus ipsum locum Reverendissimo domino episcopo et Magnifico domino gubernatori et universae Civitati Callaritanensi pro quorum felicitate nos et fratres nostros offerimus oratores. Datum Romae Anno Domini MCCCCLXXXXI. Die V Kal. Martii Generalatus nostri offitii sub sigillo (51).

 

I primi due responsabili dell’Ordine nell’isola, dunque, sono il P. Maestro Giacomo Montano di Genova, con l’ufficio di vice provinciale, e P. Giovanni Aninion di Valenza in qualità di priore che, come abbiamo visto in precedenza (52), apparteneva alla Congregazione di S. Giovanni a Carbonara, della quale facevano parte anche gli altri religiosi fondatori della provincia. La nuova casa religiosa viene per il momento aggregata alla Provincia di Catalogna ed Aragona, fino al prossimo Capitolo Generale che ne avrebbe deciso la destinazione definitiva: il nuovo convento, come s’è visto, andrà a far parte dell’erigenda nuova provincia di Sardegna. [pag. 236] Nella lettera del P. Anselmo da Montefalco si accenna alla forte devozione che i cagliaritani avevano per il luogo della sepoltura del Santo e dei miracoli che gli si attribuivano. Secondo un’antica leggenda, infatti, S. Agostino, di ritorno da Ostia verso l’Africa nel 388, sarebbe approdato a Cagliari e vi avrebbe fondato una comunità religiosa. La fantasia popolare faceva risalire a quel momento il cosiddetto “miracolo della trave”, che riporto qui di seguito così come lo riferisce l’agostiniano spagnolo Joseph Massot: El mismo año de 388, dexando alli en Hostia enterrada a la S. M. Monica se embarcò para Africa acompañado de su Religiosa familia; aportò a Callèr Metropoli de la Isla de Cerdeña; donde fabricò una Hermita, que con la poca ostentacion, que pedia su Apostolica pobreza, en breves dias se acabò, fuera de la Ciudad, à 70 passos de la orilla del mar. Hechas las paredes, subieron una biga, y estando ya arriba, vieron que era corta, con que fue forcoso el baxarla, con muy desconsuelo de nuestros Hermitanos; pero el grande Padre Agustino, lleno de fé viva; con ayuda de sus Religiosos, bolviò à levantar la biga, y subiendola, los Oficiales la sentaron, hallando tener el largo que se requeria, y aun sobraba de la una, y otra parte, mas de lo que pedian las paredes; y se conserva en estos nuestros años incorrupta, es de 4 varas de largo, y ancho poco mas de una quarta en esquadra. Este mismo año de 388 se partiò de Serdeña, y llegò à Africa...” (53) Oltre alla trave miracolosamente allungata da S. Agostino, altri prodigi venivano proprio dal luogo in cui era stato sepolto il Santo, luogo che si trovava dietro l’altare della cripta del piccolo oratorio: qui, nel vuoto lasciato dall’urna asportata, filtrava dal terreno un’acqua che i cagliaritani credevano miracolosa e che perciò veniva fatta bere ai malati. La chiesa che gli agostiniani costruirono venne demolita, insieme al convento, tra il 1563 e il 1576, per consentire l’ampliamento ed il rafforzamento delle mura e dei bastioni della città. “Sulla chiesa che venne demolita si sanno pochissime cose: pare comunque certo che avesse aula a tre navate e la si deve perciò credere d’una certa imponenza; che le sue forme fossero improntate allo stile gotico-catalano, garantisce la cappella sovrastante la cripta dove per duecento anni stettero le spoglie mortali di Sant’Agostino; tale cappella, infatti, una vera e propria chiesa ad unica navata, risparmiata dalle demolizioni cinquecentesche, si conservò fino all’ultimo decennio [pag. 237] del secolo scorso...” (54). Che lo stile della chiesa, e con ogni probabilità dello stesso convento, fosse il gotico-catalano risulta evidente e naturale, anche perché fu proprio la Provincia Catalano-Aragonese dell’Ordine ad occuparsi della fase iniziale della progettazione e della costruzione del nuovo complesso monastico. Per volere del re Filippo II venne risparmiato il sacello con la cripta del sepolcro di S. Agostino: nel 1576 Giorgio Palearo Fratino, l’architetto ticinese autore, insieme al fratello Jacopo, delle fortificazioni cinquecentesche di Cagliari e di Alghero, nel dare disposizioni perché s’avvertissero i frati agostiniani “de como conviene de presente ruinar il monastero e chiessia” (risultando questi esclusi dal nuovo tracciato delle mura della Marina), precisasse che doveva farsi eccezione per “la cappella dove stetto il corpo di Sancto agostino che cossì si accontenta S. Magestat” (55). Interessante è anche la testimonianza del Fara, in quanto praticamente contemporanea ai lavori di sbancamento del convento di S. Agostino: templum S. Augustini, ubi ossa divi Augustini diu conquieverunt, insigne monasterium ordinis eremitarum S. Augustini, nunc maioris tuitionis castri Calaris praetextu, a regiis ministris magna ex parte dirutum” (56). Lo storico sardo riferisce che il convento veniva “in gran parte fatto abbattere”, ma evidentemente non del tutto, per cui i religiosi poterono continuare a gestirlo. Lo stesso Filippo II, come vedremo, finanzierà la costruzione del nuovo convento di S. Leonardo dentro la città, nel quartiere detto della Marina. I frati agostiniani continuarono sempre a nominare un’apposita famiglia religiosa per questo convento che, in realtà, non esisteva più: i frati componenti la comunità vivevano infatti nel convento di S. Leonardo, insieme al loro priore, il quale era tale, cioè superiore della comunità religiosa, solo durante il giorno, quando si trovavano a S. Agostino vecchio per il normale servizio liturgico al santuario-sepolcro del Santo. Per il resto, il priore di S. Leonardo era un’altra persona e pertanto, trovandosi due priori in una stessa casa, quello di S. Agostino vecchio lo era con la limitazione “sine praecedentia et cura animarum, sed ad servanda jura dumtaxat”, allo scopo cioè di mantenere soltanto l’antico diritto. Il convento di S. Agostino vecchio fu sede del governo della provincia fino all’inaugurazione del nuovo convento di S. Leonardo che [pag. 238] avvenne, come già accennato, dopo il 1601. Qui, con il P. Simone Sanna, nel 1889, l’Ordine cessò definitivamente di esistere in Sardegna. La piccola chiesetta venne demolita verso la fine del secolo scorso e oggi ne resta soltanto la cripta. La descrizione di come era questo oratorio nel 1861, ossia non molti anni prima della sua demolizione, ce la fornisce lo storico sardo Giovanni Spano: “La facciata della Chiesa è assai moderna, perché fu aggiunta per conservare a memoria del sito dove riposarono le reliquie del Santo. Nella sommità vi è un piccolo Crocifisso di marmo, e dietro vi è scolpita la Madonna: opera del secolo XI. Sopra il portone avvi la seguente iscrizione, che ricorda come per lo spazio di 221 anni vi riposò il corpo di S. Agostino: Per annos circiter CCXXI hoc sacro in loco Mag. Patris Augustini exuviae conditae fuere - Defecit corpus Saracenorum tirannide, mansit tamen mirifica aqua ad infirmorum levamen. Siste et tanti Patris loculum venerare viator. L’interno di questa Chiesa è di forma gotica ad archi acuti, ed ha la lunghezza di 10 metri. In fondo all’altare avvi una tela rappresentante il Santo, di pennello spagnolo, sostituito ad un’antica tavola giottesca, che per salvarla dall’umidità, fu trasportata al Convento Maggiore. A man diritta si scende al piccol Santuario dove si venera il loculo nel quale fu riposta la cassa che conteneva le sacre spoglie. In fondo vi sta un altare di marmo con una nicchia ove è riposta una statua di marmo del Santo, opera del secolo XVII. Nel paliotto intarsiato di marmi di diverso colore, avvi un bassorilievo che rappresenta il transito del Santo assistito da due Angeli. Al di sotto poi si legge un’iscrizione spartita dall’arma gentilizia della Marchesa di Villacidro cui si deve la riforma della Cappella: Locum hunc qui sacros Divi Augustini cineres ab Africa per B. Fulgentium Episc. Rusp. translatos usque ad barbarorum devastationem diu exceperat, anno MDCXXXVIII - Dona Elena Brondo et Gualpes Marchionissa de Villacidro in tanti Ecclesiae Doctoris memoriam et suae erga Divos et patriam testimonium in sacellum erexit. Dietro quest’altare vi è un vuoto (loculus) che forma lo speciale oggetto di venerazione dei fedeli, perché secondo la non mai interrotta tradizione, è quello dove riposò la cassa del Santo. Questo sito è sempre pieno d’acqua che filtra dal terreno, per essere sotto il livello del mare, e tanta è la fede del popolo che la crede miracolosa, cui allude l’iscrizione, e perciò la portano nelle case per la guarigione degl’infermi. L’attuale chiesetta è attraversata in alto da una trave di ginepro coperta di assite, della quale raccontano molti miracoli, perché la credenza popolare è che sia quella che allargò lo stesso Santo, [pag. 239] quando fu in Sardegna la prima volta, onde unirla da una all’altra estremità del muro. Il fatto è che servì sempre per mettervi la fiorata, e per sospendervi le lampade nel dì della festa che si fa nel settembre dai Conciatori. Quella pia tradizione è confortata dagli Annali Agostiniani che accennano chiaramente al fatto miracoloso. Dirimpetto a questa Chiesa si trova una porta, detta di Sant’Agostino, che conduce al quartiere della Marina...” (57). Da quest’ultima annotazione si capisce quanto l’oratorio fosse niente affatto distante dal nuovo convento di S. Leonardo. Il canonico Spano ci informa inoltre che presso la cappella di S. Agostino vecchio aveva la sua sede il Gremio dei Conciatori, i quali si occupavano delle spese della loro festa in settembre e di tutte le altre incombenze proprie delle confraternite religiose. Circa la pala d’altare della chiesa di S. Agostino vecchio resta da dire che “il retablo dell’altare maggiore, cui apparteneva lo straordinario dipinto di Pietro Cavaro col Sant’Agostino in trono, ora nella Pinacoteca Nazionale della nostra città (Cagliari, nda), costituiva, per il brillio degli sfondi aurei, per la ricchezza dei sontuosi paramenti rappresentati, per lo splendore perlaceo della materia pittorica, un arredo quanto mai consono alle architetture tardo gotiche della chiesa”. Una certa importanza, infine, aveva il culto di S. Barbara, poi trasferito alla nuova chiesa di S. Leonardo dove, come vedremo, venne istituita la cosiddetta Confraternita dei Bombardieri, che aveva nella Santa la sua protettrice. Nelle carte dell’Archivio Generale Agostiniano è contenuto il documento, senza data, relativo a quella che probabilmente è una delle ultime comunità dell’antico convento prima del trasferimento a S. Leonardo: lo si intuisce dal fatto che risulta ancora aperto il convento di Scolca e che vi si trova di famiglia il P. Salvatore Mameli, provinciale dal 1598 e priore di Alghero nel 1607. Penso, quindi, che questa comunità doveva essere anteriore al 1598; del resto, la firma del provinciale, a piè di pagina, non aiuta a capire meglio. Comunque, il fatto stesso che si parli di “provinciale” e non di “vicario provinciale” sta a significare che siamo nel periodo precedente all’applicazione dei decreti del visitatore apostolico Antonio Marzen, che sono appunto del 1601: [pag. 240]

 

Familia Conventus Calaritani

Adm. Rev.mus Prior Prov.lis

Ven. Prior erit fr. Ioseph Cau eius Provinciae Visitator

Ven. mag. Salvator Manmelli

Fr. Jo. Antonius Porcella.

Fr. Egidius Blancarinus, Procurator eius Provinciae visitator

Fr. Honofrius Cardona

Fr. Prosperus Rasci

Fr. Nicolaus Pinus

Fr. Filippus Diana

Fr. Laurentius Archinbau

 

Professi

Fr. Battista Rascis

Fr. Hieronimus Bilengerius

Fr. Bartholomeus de domo

Fr. Battista de domo

 

Novitij

Fr. Michael

Fr. Anthiocus

 

Amoti

Ven. P. Mag. Antonius Bemat eat ad suam provinciam.

Fr. Mattheus Ortega eat Scolcam.

 

Fr. Io. JACOBUS – Provincialis indignus. (59)

__________________________________________________

 

(49) L. CHERCHI, La traslazione di Sant’Agostino dall’Africa a Cagliari, in “S. Agostino e la tradizione agostiniana a Cagliari e in Sardegna”, a cura della Rettoria di S. Agostino, Tip. Aldo Trois, Cagliari 1987, p. 34.

(50) L. CHERCHI, La traslazione di Sant’Agostino…, cit., pp. 35-36.

(51) Vedi Analecta Augustiniana, I (1905-06), pp. 205-206.

(52) Vedi Analecta Augustiniana, LXII (1999), pp. 362-67.

(53) J. MASSOT, Compendio historial de los Hermitanos de nuestro Padre San Agustin del Principado de Cataluna; desde los anos de 394... hasta los anos de 1699, Imprenta de Juan Jolis, Barcelona 1699, prefacio.

(54) R. SERRA, La chiesa di Sant’Agostino nel contesto artistico di Cagliari e della Sardegna, in “S. Agostino e la tradizione agostiniana...”, cit., p. 20.

(55) Ibidem, p. 19.

(56) G. F. FARA, In Sardiniam Chorographiam libri duo, (1585), a c. di E. Cadoni, traduz. di M.T. Laneri, Ed. Gallizzi, Sassari 1992, vol I, p. 208.

(57) G. SPANO, Guida della Città e dintorni di Cagliari, Tip. A. Timon, Cagliari 1861, pp. 189-192.

(58) R. SERRA, La chiesa di Sant’Agostino..., cit., p. 21.

(59) AGA, Aa. 8, Notitiae Provinciae Sardiniae, cit., c. 175.

 

 

5. IL REGALE CONVENTO DI S. LEONARDO INTRA MUROS DI CAGLIARI

Edificato nell’ultimo quarto del XVI sec. il convento di S. Leonardo, o di S. Agostino nuovo, come venne presto denominato, fu inaugurato ai primi del Seicento; come già osservato in precedenza, divenne sede del priore provinciale, centro di formazione e primo convento per grandezza, per importanza, per numero di religiosi, per le attività pastorali e per i beni artistici che lo arricchirono. [pag.241] Il titolo di “regalis conventus” gli deriva, com’è ovvio, dall’essere stato voluto e finanziato nella sua costruzione dal re Filippo II di Spagna: “In luogo della vecchia fu costruita una nuova chiesa a S. Agostino, entro la muraglia spagnola della Lapola, a spese del re Filippo II. Seguendo la politica culturale artistica del tempo, in contrapposizione alle forme gotiche tradizionali, ritenute troppo popolari e prive di segno del potere, si impose per questo edificio, come per altri, la forma classicista. In quel tempo si davano la mano il razionalismo manieristico voluto dalla nuova egemonia culturale di impero spagnolo e di chiesa cattolica “romana”. (...) Il nuovo S. Agostino fu collocato presso il bastione omonimo, lungo la via di S. Leonardo (poi di S. Agostino, e ora via Baylle). Il gusto era quello che, sulla fine del ‘500, nella stessa Cagliari trovava esemplari manifestazioni (come scrive R. Senna) nella distrutta chiesa del Carmine e nella Cappella del Rosario in S. Domenico. Un clima “rinascimentale” che sostituiva il rigore e la razionalità dei volumi alla luce gotica, senza peraltro negare del tutto certi arcaismi tradizionali. A S. Agostino, osserva sempre la Serra, i costruttori che lo realizzarono seguirono un più deciso accento classico, sul modello aulico. Fu messa in essere una costruzione di pianta a croce greca con volte a botte percorse da archi traversi, in una lontana reminiscenza del S. Saturno. R. Delogu e R. Serra pensano addirittura a derivazioni della chiesa dallo schema allora presentato dal S. Saturno, come lo descrive l’Esquirro, prima che le parti laterali fossero demolite per usarne la pietra nella ristrutturazione della Cattedrale, opera del genovese Spotorno, del 1674. A S. Saturno sono state avvicinate anche le scuffie di raccordo della cupola di S. Agostino (con voltine coniche anziché cilindriche). La cifra classicista si dimostra soprattutto nella lineare e proporzionata calotta della cupola, risolta come nel S. Eligio degli Orefici di Raffaello. L’intonazione decisamente classica emerge inoltre nei dentelli, nelle trabeazioni, nei timpani dell’incorniciatura delle nicchie, con reminiscenze “palladiane”. Classico è infine il cassettonato della volta del presbiterio, simile a quello della cappella del Rosario a S. Domenico e del Cappellone della Vergine del Carmine nella distrutta chiesa omonima, opera di Gaspare e Michele Barrai. Sono forme ornamentali d’arte tra ‘500 e ‘600, caratteristiche del periodo controriformistico che se hanno legami con la Spagna dalla quale giunsero per così dire le istruzioni politiche e canoniche, hanno pure rapporto col territorio italiano donde veniva la sostanziale ispirazione di radice” (60). [pag.242] Sempre a proposito dell’architettura della chiesa, la dott.ssa Renata Serra la definisce “l’unica architettura isolana del Cinquecento interamente classicista” ed aggiunge che “questa chiesa rappresenta certamente uno fra gli esempi di maggiore e più fedele adesione all’orientamento classicista di stretta marca purista costantemente osservato nelle architetture sorte per volontà di Filippo II, il quale, com’è noto, nell’Escorial attuò la formula d’un manierismo rigido e misurato, con un rigorismo del tutto alieno da esuberanze ornamentali e da eccessi decorativi” (61). La chiesa venne costruita al posto o nelle vicinanze di una preesistente chiesa dedicata a S. Leonardo, che fu quindi abbattuta: essa era parte di un complesso ospedaliero e lazzaretto, a cui assicurava il normale servizio liturgico e di assistenza ai malati. Mi affido sempre alla descrizione del can. Giovanni Spano per esplorare l’interno della chiesa ed esaminare le opere ivi racchiuse intorno al momento della soppressione, nel 1861: “L’esterno della Chiesa non presenta alcuna cosa di rimarchevole salvo che l’architrave del portone, lavorato con ingegnosi arabeschi: l’interno poi presenta una croce greca sormontata da una calotta con bella proporzione. La Chiesa apparisce spogliata di marmi, ma è abbellita di buone pitture, e di tappezzeria sebbene molto usata che la rendono molto gaia e festevole. Ouesta chiesa era prima chiamata di S. Leonardo, perché si crede che in questo sito fosse lo spedale detto S. Leonardo de Bagnara, menzionato nelle antiche carte, e dipendente dallo spedale di S. Leonardo di Pisa, al tempo dei Pisani (Martini, Stor. Eccl. Col. 3, p. 437); ma il Della Marmora opina che il medesimo fosse vicino al porto di Bagnara, verso S. Bardilio (...) Incominciando la nostra guida di questa chiesa dall’ingresso, si osserveranno i quattro grandi dipinti a colla sulla tela e riguardanti la vita di Sant’Agostino: i due collocati alla destra sono di qualche merito per l’invenzione. Il primo rappresenta il Salvatore in forma di pellegrino presentatosi al Santo che con molta espressione vedesi maravigliato nello scorgere, asciugando i piedi al Divin Maestro, le piaghe nei piedi e nelle mani. Nel secondo avvi il Santo che consegna la regola a diversi Monaci ivi dipinti di altri Istituti. Il pittore prese per modello i ritratti dei frati del Convento di quel tempo. Negli altri due collocati alla sinistra vi è il Santo patriarca al quale apparisce la Vergine con G. Cristo; e nell’altro si vedono i quattro Eresiarchi saettati dalla penna del Santo, idea molto comune, ma espressiva. [pag.243] Sono tutti opera di Domenico Tonelli, come gli altri due ai lati della facciata del coro, cioè Gesù che cade sotto la croce, e Gesù nell’orto. Nel primo altare, seguitando a man diritta, sacro alle Anime del Purgatorio, si vede un quadretto ch’è una copia di quel bizzarro quadro grande di Gesù che gira colla Croce nel torchio, come abbiam visto nella Chiesa di Santa Teresa (p. 214). Passando indi diritti alla crociata destra si trova la cappella di Santa Rita, in cui dentro una nicchia si vede il simulacro della Santa del Lonis; come pure di questo scultore sono le statue di Sant’Agostino, e di S. Nicolò da Tolentino che conservansi in questa Chiesa. L’Assunta che sta sotto la nicchia è opera del Pili. Ai lati dell’altare vi sono due tele di grande dimensione, quello a sinistra è di S. Giovanni Bono, e l’altra di Santa Chiara, opera del nostro Scaleta. Ambe sono ben disegnate e di qualche merito, sebbene un po’ manierate, come accadde ai tempi della decadenza. Ma l’oggetto che più ci può trattenere in questa Crociera è quell’altare che trovasi a man sinistra, dove è il più prezioso dipinto di questa Capitale. Volgarmente è detto Madonna del Buon Cammino, ma non è altro che un riposo in Egitto. L’originalità è la più singolare. Vedesi la SS. Vergine posata all’ombra di un albero col Divino Infante, il quale tutto nudo si tiene colla destra afferrato ad una treccia dei capelli della Madre, e sporgendo il corpicino, ed appoggiando i piedi sopra le ginocchia della Madonna, sorride verso lei, sostenendo colla sinistra il braccio quasi in atto di sollevarsi più in alto. I pregi di questa tavola sono indescrivibili; tanto è perfetta in tutte le sue parti! Gli intelligenti non si stancano di lodarla. Quell’angelico volto della Vergine ti commuove, né ti lascia staccare così in fretta l’occhio. Chiunque contempli l’insieme, non può far a meno di ripeter le parole dell’Algarotti, ammirando un dipinto del Correggio, Tu solo mi piaci! In lontananza vedesi una fuga in Egitto in piccolissime figure, che sono graziosissime. Il paesaggio è finitissimo, vi è una naturalezza di panni, ed una gran forza di chiaro oscuro. Può dirsi insomma un complesso di bellezze da non trovarsi così unite in quanti altri dipinti esistono in Cagliari. Secondo il Diana ed altri intelligenti, si può credere di appartenere al Correggio del suo primo stile Mantagnesco. Anche i frati ne hanno conosciuto il pregio, ed è molto! Perché l’hanno custodito con una vetrina a piccole lastre, ben conservato e ben pulito. Si arriva alla crociata di fronte dov’è l’ampio altar maggiore di legno dorato con quattro colonne spirali. In mezzo vi è un gran nicchione col simulacro della Vergine d’Itria colossale. Ai lati altre due nicchie dove sono collocati, a sinistra S. Leonardo, ed alla destra [pag.244] S. Guglielmo ch’era Duca d’Aquitania, e perciò ai suoi piedi si vede una corona. La volta di questa crociata è tutta ornata di differenti medaglioni a stucco che farebbero una bellissima figura se fossero dorati. Nella sacristia che viene appresso, non vi è altro da osservare che alcune tele ordinarie rappresentanti alcuni Santi dell’Ordine. Il quadro delle anime è del Tonelli, quello di S. Leonardo coll’elmo ai piedi è dello Scaleta, e quello di S. Priamo col cane appresso è dell’Altomonte, che è il più ben inteso, conforme il buon gusto di questo romano pittore. Ma il più curioso da osservare è che questi quadri sono stati fatti a spese dei Laici del convento, perché hanno l’epigrafe Laicorum expensis, a lettere majuscole. I loro digiuni sarebbero stati più meritevoli per il gusto alle buone arti, se avessero raccomandato queste opere ad altri più valenti artisti! Nell’uscire dalla Sacristia si trova a destra un altarino in cui vi è una tela del Caboni, la quale rappresenta la Vergine seduta col bambino in grembo, detta comunemente la Madonna del Parto. Nella sinistra crociera vi è la cappella dedicata al Santo Fondatore. L’altare è di legno dorato, ed in mezzo avvi la gran nicchia, dove sta la bella statua semicolossale del Santo in legno tutta dorata, molto antica. Elle annonce la main d’un bon artiste, dice il Della Marmora (Itin. vol. I, p. 31). E’ probabile che questo simulacro esistesse nell’antico monastero per esser opera del medio evo. Il Santo è rappresentato in abiti pontificali, cioè con mitra e piviale. Lateralmente vi sono due dipinti di Pantaleone Calvo Genovese, cioè il Precursore a sinistra, e S. Caterina alla destra. Al di sopra, ossia nel finimento dell’altare in piccola dimensione vi sono rappresentati Sant’Agostino e Santa Monica che ricevono la cintura dalla B. Vergine. Finalmente nelle due lunette, una per parte, vi è dipinto in una l’Arcangelo Gabriele, e nell’altra la Vergine Annunziata, dello stesso autore. In questi quadri vi sono molti pregi, solo è da notare la ripetizione dei medesimi volti, che era il caratteristico di questo pittore. Ritornando alla prima crociera dove siamo entrati, occorrono due altari, il primo è dedicato alla Vergine della Consolata, di cui si vede il simulacro di legno dorato; ed il secondo è di Santa Barbara di cui vi si vede la tela che sembra dipinta dallo Scaleta (62). Ora il dipinto della Madonna del Buon Cammino che, secondo R. Serra, è attribuibile al Van Hemesen, pittore fiammingo prediletto da Filippo II, si trova nella Pinacoteca Nazionale di Cagliari, insieme alla pala di S. Barbara eseguita nel 1611 da B. Castagnola. [pag. 245] A questo dipinto “succede nei 1646 un retablo, firmato dal genovese P. Calvi, rutilante d’ori e di colori, che ora invade l’intera testata del transetto sud, ma che in origine doveva nascondere la sobria nicchia rinascimentale in fondo al capocroce; per essere soppiantato nel ‘700 dall’ancora più ricco e dorato attuale retablo maggiore” (63). Veniamo quindi a parlare delle principali devozioni promosse dagli agostiniani in questa chiesa. Esse furono: il culto della Madonna d’Itria, la venerazione per S. Barbara e quella per S. Agostino. A proposito della Vergine d’Itria, abbiamo già visto come questa devozione, tramandata dai bizantini, sia stata fatta propria dagli agostiniani e diffusa in tutte le loro chiese (64), ma a Cagliari venne promossa con maggiore incisività, grazie anche alla edificazione di un apposito oratorio accanto a S. Leonardo e all’istituzione di una confraternita da parte del Papa Paolo V il 2 giugno 1607. Ecco il testo del Breve pontificio:

 

Ad perpetuam rei memoriam. Coelestes ecclesiae thesauros etc. conspicimus expedire. Cum itaque sicut accepimus dilectorum filiorum prioris et fratrum domus ordinis Eremitarum Sancti Augustini civitatis Calaritanae piis hortationibus in ipsorum ecclesia, atque adeo in universa insula Sardiniae magna fidelium utriusque sexus pietas et veneratio erga Beatissimam Virginem Mariam excitata fuerit, et si in ecclesia et cappella Beatae Mariae de Itria una utriusque sexus Christifidelium Confraternitas sub invocatione eiusdem Beatae Mariae de Itria erigeretur, spiritualis ipsorum Christifidelium solatio, religioque et animarum salus magis magisque in dies augeretur. Nos itaque eorumdem Christifidelium piis votis benigne annuere, animarumque saluti paterna charitate prospicere volentes, supplicationibus dictorum prioris et conventus nomine super hoc humiliter porrectis inclinati in praedicta ecclesia unam utriusque sexus Christifidelium Confraternitatem sub invocatione eiusdem Beatae Mariae de Itria cum habitu et insigniis per Confraternitatem Beatae Mariae de Itria, seu de Costantinopoli in Urbe instituta gestari solitis, auctoritate apostolica, tenore praesentium, sine cuiusque praeiudicio, perpetuo erigimus et instituimus. Ut autem praedicta Confraternitas maiora in dies suscipiat incrementa, de Omnipotentis Dei misericordia, et Beatorum Petri et Pauli Apostolorum eius auctoritate confisi, [pag. 246] omnibus et singulis utriusque sexus Christifidelibus, qui dictam Confraternitatem per nos, ut praefertur, erectam in posterum ingredientur, die primo eorum ingressus, si vere poenitentes et confessi Sanctissimum Eucharestiae Sacramentum sumpserint, plenariam, ac tam ipsis, quam pro tempore existentibus confratribus, et consororibus in cuiuslibet eorum mortis articulo, si pariter vere poenitentes, et confessi, ac Sacra Communione refecti, vel quatenus id facere nequiverint, saltem contriti nomen Jesu, ore, si potuerint, sin autem corde devote invocaverint, etiam plenariam: necnon eisdem confratribus et consororibus similiter vere poenitentibus et confessis, ac Sanctissima communione refectis, qui praedictae confraternitatis ecclesiam, vel capellam seu oratorium in secundo festo Pentecostes, quo die festum Beatae Mariae de Itria celebratur, a primis etc. preces effuderint, plenariam similiter omnium peccatorum etc. concedimus. Insuper eisdem confratribus et consororibus etiam vere poenitentibus et confessis, ac Sacra Communione refectis, qui praedictam ecclesiam vel Capellam seu Oratorium feria secunda Paschatis resurrectionis, necnon in Purificationis, Annunciationis et Assumptionis Beatae Mariae festis diebus similiter a primis etc. visitaverint, septem annos et totidem quadragenas. Quoties vero contriti missis et aliis divinis officiis etc. in forma solita, toties pro quolibet predictorum operum sexaginta dies etc. relaxamus. Volumus autem, quod si alias Christifidelibus praemissa peragentibus aliqua alia Indulgentia perpetuo vel ad tempus nondum elapsum duratura per nos concessa fuerit, praesentes nullae sint; quodque si praedicta Confraternitas alicui Archiconfraternitati aggregata iam sit, vel in posterum aggregetur, seu etiam quomodolibet instituatur, priores seu quaevis aliae littere Apostolicae illis nullatenus suffragentur, sed ex tunc eo ipso prorsus nullae sint. Datum Romae apud Sanctum Petrum etc. die 2a Junii 1607, anno tertio” (65).

 

Sempre dal canonico G. Spano ricaviamo la descrizione dell’oratorio ed alcune notizie sulla confraternita: “Attiguo a questa chiesa (di S. Leonardo, nda) vi è l’Oratorio appellato di Nostra Signora d’Itria, dove è una Confraternita istituita nel 1608 (come abbiamo visto, la data è il 1607, nda), con Bolla Pontificia di Paolo V, essendo Arcivescovo di Cagliari Francesco d’Esquivel che ne approvò le costituzioni. Nel 1625 Urbano VIII le accordò tutti i privilegi che gode la confraternita di S. Monica ed Arciconfraternita [pag. 247] della Cintura di Sant’Agostino in Roma. Scopo della pia istituzione è, oltre di adempiere ai Divini Uffizii nei dì festivi, di sovvenire le povere famiglie, distribuendo abiti nel corso di ogni Quaresima per poter adempiere all’obbligo Pasquale, e perciò viene giustamente chiamata la società di beneficenza, pei larghi legati laicali che amministra. La divisa dei confratelli è abito bianco semplice col cordone di color celeste, guanti bianchi di tela, cappetta e cappello parimenti celeste, scarpe bianche, calzette nere, rosario bianco d’avorio guernito in seta di color celeste, placa di tela coll’effigie della SS.ma Vergine d’Itria. La chiesuola è d’una navata formata a botte. Sopra l’altar maggiore, ed unico, di marmo, avvi un bellissimo dipinto in tela di grande dimensione. Vi è figurata la Vergine d’Itria che sta sopra una cassa, come è solita rappresentarsi sotto questo titolo, portata sopra gli omeri da due sacerdoti vestiti alla greca. Allude al fatto, quando i Sacerdoti Greci in Costantinopoli salvarono il simulacro miracoloso della Vergine contro l’invasione dei Turchi. Hanno un manto rosso allacciato al petto, tunicella nera sopra l’abito bianco. Nelle mani portano il turibolo, ed i ritratti sono molto ben espressi, e forse originali. L’arca è preceduta dalla confraternita con la croce, ed una gloria d’angeli al di sopra con altri due che sostengono una corona in testa della Vergine. Una copia di questo quadro in piccolo esiste nella Chiesa di S. Benedetto. L’autore è ignoto, ma l’opera è molto espressiva, e di qualche merito artistico. Le pitture della volta a bei rosoni, uno diverso dall’altro, sono del Crespi, padre e figlio, eseguite nel 1859” (66). Altra importante devozione era quella riservata a S. Barbara. Da sempre, fin da quando vivevano solo nel primitivo convento, i frati agostiniani avevano curato la venerazione di questa santa presso i cagliaritani. Esiste una serie di documenti nell’Archivio Generale Agostiniano, che ci permette di ricostruire molti aspetti di questo culto. Agli inizi del Seicento i Bombardieri e gli artiglieri della città si riunirono in confraternita e chiesero agli agostiniani di poter partecipare a titolo del tutto speciale al culto, ai festeggiamenti e alla processione della Santa, in quanto loro protettrice. I frati accolgono volentieri la richiesta. Dopo qualche decennio, i Bombardieri trovarono un oratorio per le loro riunioni e, verso il 1640, cominciarono a pretendere di gestire autonomamente la festa della loro Santa. Ne nacque una lite tra la Confraternita e gli agostiniani, che venne portata dinanzi alla Sacra Congregazione dei Riti. [pag. 248] I religiosi vantavano tanto di antichi documenti e di pluriennali diritti, al punto che riuscirono a vincere la causa. La festa e la processione della Santa, che si snodava da S. Agostino vecchio a S. Leonardo, continueranno quindi ad essere gestite dai padri agostiniani. Infatti, come ribadiscono le carte dell’epoca, “da tempo antichissimo, e prima, che essi frati fabricassero la nuova Chiesa, che di presente offitiano havevano una antica imagine, o Statua di S.Barbara” (67). Per quanto concerne il culto di S. Agostino, si è già detto abbastanza; resta da rilevare come tale culto, in Sardegna, non si sia diffuso e radicato solo grazie agli agostiniani o solo nei luoghi dove essi furono presenti, ma come abbia invece fatto presa in diverse parti dell’isola: “la diffusione di un culto che ancora persiste lungamente e tenacemente fino a diventare caratteristica di talune zone: per esempio la zona di Abbasanta e nella zona dell’alto oristanese la festa di S. Agostino celebrata, come patrono, è sicuramente la festa di maggiore attrazione. Ma sono molti altri i paesi e le città che conservano la memoria ed il culto di S. Agostino e non solo quelle dove furono nel tempo conventi agostiniani come Cagliari, Alghero e Sassari (anche Alghero e Sassari hanno la chiesa di S. Agostino) ma anche altri dove il culto evidentemente si era radicato per ragioni proprio esclusivamente di devozione. Da Pauli Arborei a Belvì a Villaspeciosa a Sorso, Ala dei Sardi, Muravera, Armungia, etc.” (68). Mi sembra utile riportare anche la testimonianza dello storico della Sardegna Francisco de Vico che, nel 1639, dava un resoconto della presenza dei frati agostiniani in Cagliari, di entrambi i conventi, con le parole che seguono:

 

Del Convento de San Agustin de Caller.

Hemos dicho del Arcobispado, y Obispados de Caller, y de los Conventos que tuvo, aora trataremos de los que tiene, y permanecen dentro y fuera de su Castillo, el qual està rodeado de muchos, y muy Religiosos, e insignes. Y el primero que parece se fundò de las Religiones en Caller, es el de san Agustin, pues por tradicion de los Anales, y Historias de esta santa Religion, se refiere, que quando destruyeron los Vandalos a Africa, y traxeron los Obispos Catolicos el cuerpo de san Agustin a Sardeña, vinieron Religiosos suyos de los [pag. 249] que ya avia fundado en Africa con el cuerpo del Santo, y le servian, guardavan, y assistian: y viniendo san Fulgencio, diximos ya como fundò Convento desta santa Religion en el Templo de san Saturnino; pero aunque esto pruevan los Padres Maestros fray Iuan Marquez, en el defensorio de su Religion, y el Padre Maestro fray Thomas de Herrera, no nos consta que esta santa Religion continuasse su habitacion en Caller, ni en otra parte del Reyno; porque el Templo de san Saturnino, como vimos, vino a ser de padres de san Benito, y Priorato que permutaron por otras possessiones al Arcobispo de Caller. Y aunque se conservò, y conserva en Caller la Iglesia en que estuvo el cuerpo de san Agustin, con la viga del milagro, y fuente que hemos dicho; y aunque faltò el cuerpo del Santo trasladado a Pavia en los anos 715, como vimos en el cap. (?) de la 4a par. no faltò la devocion al Santo, ni quien frequentarà su sepulcro, no sabemos que sus Religiosos le assistieran, hasta que por los años 1400 se restituyò al Reyno, y à la casa que fue sepulcro de su santo Patriarca. Y en el año de 1480 se reformaron en este Reyno todos los Conventos de esta santa Religion, con la ocasion que dexamos dicha en esta 6a par. cap. 21. y se reduxeron a observancia, en la qual viven, y conservan hasta oy. Este Convento, y casa en que estuvo el cuerpo del santissimo Patriarca S. Agustin, està al pie del monte sobre que se funda el Castillo, y ciudad de Caller orillas del mar. Y como para fortificar el arrabal de la marina, se edificasse un lienco de muralla con sus baluartes, quedò defuera este Convento, y expuesto à ias invasiones continuas de enemigos. Por lo qual la Magestad del senor Rey Filipo Segundo los mandò señalar otro sitio para Convento, y se le edificò, permanecendo la Iglesia antigua, que es sumamente venerada de los Fieles, en el lugar que estuvo el cuerpo del Santo, y està la viga; pero los Religiosos viven en el otro Convento, y son hasta 25, cuydando de acudir a la antigua, y viven con muy gran observancia, y exemplo. El sello que usa esta Provincia, es la sepuitura del Santo abierta, y encima una casulla en medio de dos Dalmaticas, que son las que, como hemos dicho, traxeron los Obispos de Africa con su cuerpo, y de que usavan los Pontificales quando celebrava, que se guardan, y conservan. En el monasterio del san Francisco de Claustrales desta Ciudad de Caller, de que queda dicho en la 3a par. desta historia cap. 57, y de la parte que goza Sacer de las Reliquias deste gran Santo, adonde remito ai Letor” (69).

 

[pag. 250] Dopo la soppressione del 1855, come abbiamo visto, gli agostiniani tennero la rettoria della chiesa fino al 1889; poi incuria ed abbandono. Nel 1923 l’allora Mons. Angelo Giuseppe Roncalli, Delegato delle Opere Missionarie Pontificie, scelse il pulpito di S. Leonardo per la predicazione missionaria a Cagliari. La chiesa venne poi eretta in parrocchia e conobbe una certa ripresa, almeno fino al 1943, quando i bombardamenti aerei la rovinarono seriamente; dopo il conflitto fu adibita a magazzino di legnami, sede di bande musicali e ricreatorio domenicale. Solo a partire dagli anni Ottanta, grazie soprattutto al sac. Don Fulgenzio Fois, attuale rettore della chiesa, S. Leonardo ha ripreso a vivere come centro di aggregazione culturale e religiosa e l’edificio ha conosciuto restauri e rifacimenti. Per quanto riguarda il convento, esso è tuttora sede del Distretto Militare.

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(62) G. SPANO, Guida della Città..., cit., pp. 223-227.

(63) R. SERRA, La chiesa di Sant’Agostino..., cit., p. 21.

(64) Vedi Analecta Augustiniana, vol. LXI (1998), pp. 161-164.

(65) D. SCANO, Codice diplomatico delle relazioni fra la Santa Sede e la Sardegna, parte II, da Gregorio XII a Clemente XIII, Arti Grafiche B.C.T., Cagliari 1941, vol. II, pp. 410-411.

(66) G. SPANO, Guida della Città..., cit., pp. 227-29.

(67) AGA, Aa. 8, Notitiae..., cit., cc. 95 e ss.

(68) P. DE MAGISTRIS, L’Ipogeo, in “S. Agostino e la tradizione agostiniana...”, cit., p. 24.

(69) F. DE VICO, Historia General de la Isla y reyno de Serdeña, Barcelona 1639, parte VI, cap. 49.

 

 

6. IL CONVENTO DI S. AGOSTINO DI SASSARI

Il convento di S. Agostino di Sassari rappresenta la seconda fondazione degli Agostiniani Eremitani in Sardegna. Al di là delle datazioni fornite dal Vico, dal Costa, dal Martini e da tutti gli altri storici che non fanno altro che ripetere quanto scritto da quelli, c’è una precisa indicazione cronologica nel registro del priore generale agostiniano, P. Egidio da Viterbo, che fuga ogni dubbio sulla reale data della fondazione religiosa: si tratta, in sintesi, del 1517 e non, come affermato dagli storici di cui sopra, del 1477 o del 1471, oppure ancora del 1480. L’appunto presente nel registro del superiore dell’Ordine è il seguente: “Fratrem Iohanni Xarch facultatem facimus construendi duo pro sua provincia monasteria alterum Valentiae, alterum in Saxari Sardiniae, cum licentia ordinariorum, et obedientia provincialis” (70). I religiosi agostiniani potevano essere presenti in loco anche da qualche anno prima, ma l’autorizzazione ufficiale della fondazione è questa.

Il Convento. - Il convento e la chiesa vennero costruiti fuori della città di Sassari, nella zona in cui si trovava la fontana delle “Concie”, la zona cioè in cui operavano le botteghe artigiane dei conciatori, una delle attività maggiormente diffuse nella Sassari dell’epoca. Il complesso monastico, infatti, venne costruito sopra una “dragonaia”, ossia una fonte di acqua che scorreva sotto il terreno; questo fatto, con il tempo, procurò non pochi fastidi alla costruzione, [pag. 251] minacciandola continuamente con l’umidità e rendendone insicura la staticità. I primi problemi si ebbero già nel 1604, quando la città intervenne con una spesa di lire sarde 100 per la ricostruzione della chiesa che era crollata. Un altro intervento simile venne effettuato, ma questa volta soprattutto per il convento, nel 1613. Vediamo la descrizione del complesso religioso lasciataci dal Vico nel 1639:

 

De la fundacion del Monasterio de los frailes Agustinos de Sacer.

En tercer lugar entra el Monasterio delos frailes de san Agustin, del qual aunque no tenemos entera noticia del año de su fundacion, por aver andado los primeros Padres que le fundaron con poca curiosidad; pero podremos afirmar que su fundacion fue ante de los años mil quatrocientos ochenta, por lo que refiere frai Geronimo Roman en la centuria II desta Religion en los successos deste año 1480, fol. 96, en el capitulo final, que dize assì: En este tiempo hallamos que comencò la Provincia de la Observancia de Sardeña por un padre venerable llamado frai Exarco natural de la ciudad de Lerida, el qual aviendo tomado el habito en Italia (71) pidio licencia para fundar algunos Conventos de Observancia, particularmente para reparar los de Sardeña, la qual le fue concedida de buena voluntad; y porque sus cosas llevassen buen principio le fueron dados los Conventos de la isla de Sardeña, que eran de la Provincia de Lombardia, etc. Y prosigue, diziendo: Al fin fue allà, y los hizo vivir al estilo de la Observancia: y passando adelante en su historia, dize: Que passò a Sicilia, y a las islas Balearias; esto es, Mallorca y Menorca, y fundò muchos Monasterios, y a todos ellos se les da nombre de la Provincia de Sardeña. De lo que dize este Padre se enfiere, que si en estos años de 1480 fue el Padre frai Exarco a Sardeña, y avia Monasterios que eran debaxo la Provincia de Lombardia, y los reduxo a la Observancia, se presupone que ya de antes avia Monasterios, y assi podemos con firmeza assegurar, que este de Sacer es mas antigo de los demas Monasterios que ai en esta Ciudad de las Religiones que adelante se diràn. Es pues la Iglesia deste Convento dedicada al mismo Patriarca S. Agustin, puesto en un lindo sitio a las murallas de la Ciudad; y entre otras ai en ella dos singulares devociones: la una es de la Virgen del Remedio, que corresponde a la Virgen del Socors, que refiere frai Geronimo Roman; [pag. 252] y la otra es de nuestra Senora de Itria, donde acude en sus dias muchissimo concurso del pueblo. Tiene este Convento dentro de el una cueva por donde passa un torrente de agua cristalina y saludable, que sale de una parte de la cueva, y se entra por la otra, que dà admirable gusto a los que entran en ella para su recreo, y sirve de alivio y regalo a los Religiosos que viven en este Convento con mucha observancia de su Regla” (72).

Alcune notizie presenti in questo testo del Vico sono davvero di fantasia, come quella secondo la quale esistevano già prima del 1480 dei conventi agostiniani in Sardegna e che si trovavano sotto l’obbedienza della provincia di Lombardia. Probabilmente, ad alimentare tale confusione concorreva la credenza secondo la quale, dal tempo di S. Agostino e di S. Fulgenzio in poi, vi erano sempre state delle comunità religiose agostiniane nell’isola, che vennero quindi riformate e ricondotte all’osservanza; ma, come abbiamo visto (73), le cose stavano diversamente. Altre notizie sugli agostiniani di Sassari si desumono dalle “Noterelle sugli Agostiniani” del Costa, nel suo testo sulla storia di Sassari: “Il 4 luglio 1596 ricorrono alla città, esortandola a nominare un sindaco che attendesse all’amministrazione del convento. Il 12 novembre 1574 il Municipio paga l’elemosina di tres iscudos a Fra Antoni Piquella, Priore de su Monasteriu de S. Austinu per essere i frati poveros y mult lazerjados, et tenent necessidade de remediu (Am.). 1597 (8 maggio) - Strumento col quale si nomina Fr. Giuseppe Cau, Vicario e procuratore del convento di S. Agostino, costructu foras, Cappellano per dire le Messe quotidiane nella Casa Comunale durante l’anno, per Ls. 80, come elemosine. E così trovo nel 1598. Col 6 maggio 1599 P. G. è il sacerdote Nicolau Sanna, agostiniano (Am.). (....). 1686 (15 aprile) - Ignoti ladri entrati in chiesa fecero man bassa sulla custodia degli arredi sacri del Convento di S. Agostino, e per maggior sacrilegio sparsero per l’altare le ostie consacrate...” (74).

Il convento di Sassari divenne secondo, per importanza, nella provincia, al punto che, come abbiamo avuto modo di vedere, fece da centro di riferimento per i conventi del cosiddetto Capo di Sopra della regione. In esso vi furono quasi sempre sia il noviziato che il professorio, [pag. 253] come pure un centro di studio per i giovani religiosi. Nei momenti di maggiore sicurezza del convento, la comunità raggiunse un numero di frati oscillante tra i 12 e i 15, fino anche a 20. Molti religiosi turritani furono persone veramente all’altezza per la loro preparazione culturale e per la loro testimonianza religiosa. Vediamo in proposito la nota lasciataci da uno storico sassarese del XVIII sec., il francescano Antonio Sisco:

 

Convento di Santo Agostino della Città di Sassari.

Questo Convento di Santo Agostino della Città di Sassari, fu fondato dal Venerabile Padre Fr. Giovanni Exarch di nazione spagnolo, figlio del Convento di S. Giovanni di la Carbonara nella Città di Napoli, dove si vestì il Santo Abbito. Questo santo Religioso, stella risplendente della Religione Augustiniana, dopo alcuni anni di Religione, con licenza del suo Padre Reverendissimo Generale, qual era il Reverendissimo Padre Maestro Ambrogio Coriolano, venne in Sardegna per reformare, ed introdurvi la Regolare osservanza, ed allora fu che fundò il Convento di Sassari. Sono queste le parole in linguagio spagnolo: “En el año 1477 fue un Padre Catalano natural de Lerida, llamado fray Exarch, varòn de aprovada Religion, el qual haviendo tomado el habito en Italia, pidio licencia al Padre Maestro Fray Ambrosio Coriolano General de la Orden de San Agustin para fundar algunos Monasterios de Observancia, particularmente para reparar los de Sardeña, que por la antiguidad no tenian muestra de lo passado, lo que le fue concedido de buena voluntad, por verle varòn de tanta Religion, y virtud. Y porque sus cosas llevassen buenos principios le fueron dados los Conventos de la Isla de Sardeña, que eran de la Provincia de Cicilia, donde fundò el Monasterio de la Ciudad de Saser. Fue allà, y tratò las cosas con tanto exemplo, y vyrtud, que les hizo vivir al estilo de la observancia”. Il Padre Maestro Fr. Giuseppe Pamphilo Agostiniano, che fu poi vescovo Segnino, nella sua Cronica fol. 90, pag. 1, dell’anzidetto Padre Exarch così parla: Exarcus Hispanus, patria Ilerdensis, vir multum venerabilis vita santimonia, qui in Hispania, non tantum istauravit, sed nova quaedam a fundamentis extruxit. Hinc observantia Sardiniae, etc. Lo stesso dice il Padre Nicolò Crusenio Agostiniano nel suo Monasticon f. 177, par. 3, cap. 30, lin. 47: Tempore huius Generalis (Ambrogio Coriolano) fuit Exarcus quidam Hispanus, qui Neapoli assumpsit Ordinis Habitum, et disciplinam, illam praecipue, quae apud Congregationem Carbonariae, adhuc erat integra, eamque in Sardiniam et Valentinum Regnum perduxit, etc. [pag. 254] E anche nella margine del suo Monasticon già citato, si ritrova: Pater Exarcus Illerdensis Reformator Sardiniae, et Valentiae. Dal sudetto si vede chiaramente che il sudetto Padre Exarco fu Reformatore di quei Conventi che ritrovavansi in Sardegna, ma però fu fondatore del Convento della Città di Sassari, che attualmente esiste sotto l’invocazione di Santo Agostino. In questo Convento vi sono sempre stati Religiosi, riguardevoli per dotrina e pietà, ed al presente vi sono due lucidissime stelle, che sono il molto Reverendo Padre Nicolò Murru più volte ex Provinciale, ed il Padre Maestro Murtas, ambi Sassaresi, e lustro della Patria, sì nella Scolastica, che nella predicazione, non discorrendo delle virtù religiose, che li vedono più rispettabili. Furono ricavate queste memorie dal libro intitolato Compendio Historial de los Hermitanos del P. San Agustin, compuesto por el M. R. P. Maestro Fray Joseph Massot, pag. 250. y 51. Bisogna che la Chiesa di Santo Agostino nella fundazione di questo Convento fosse diversa da quella che è al presente, poicchè nei rigistri della Città di Sassari, ritrovassi così: Limosina de cien libras que se dà a los Religiosos Agustinos para la fabbrica de su nueva Iglesia, para haver arrojado la que estava. Consejo mayor de 19 febrero 1604 (75).

Si tratta, come si può vedere, di un testo compilato sulla base di altri testi e, in questo senso, non fa altro che aumentare la confusione, soprattutto quando afferma che i conventi sardi erano, questa volta, sotto il governo della Sicilia. Ma non sta qui l’importanza dello scritto, quanto nel lusinghiero giudizio che dà degli agostiniani del tempo. Soprattutto i due religiosi citati erano elementi davvero validi: il P. Murro fu più volte provinciale, consigliere provinciale, reggente degli studi a Cagliari e priore a Sassari, a motivo della sua statura di religioso e di teologo. Il P. Gavino Demurtas, invece, fu conosciuto soprattutto come predicatore. Su di lui ci resta una raccolta di poesie e di cosiddetti “Applausi Poetici” alle sue prediche quaresimali, tenute nella Cattedrale di Sassari in occasione dell’anno santo 1775 (76). Il convento sassarese, come è stato riferito in altra parte del presente studio, venne soppresso per motivi disciplinari nel 1833, a margine della visita apostolica Ranaldi-Bellenghi. Il convento di S. Domenico dei Padri Domenicani di Sassari venne destinato ad orfanotrofio cittadino, [pag. 255] i Padri Domenicani vennero trasferiti nel convento di S. Agostino e i beni dei frati agostiniani furono assegnati all’orfanotrofio. Da questo momento in poi, la storia del convento e della chiesa riguarderà, quindi, i frati predicatori. Ovviamente, né i frati agostiniani, né i frati domenicani accettarono di buon grado le nuove disposizioni e fecero quanto in loro potere per ostacolarne l’esecuzione, ma non ci fu nulla da fare. Una sintesi di questi ultimi eventi occorsi alla fondazione religiosa è contenuta in una copia conforme delle disposizioni dettate dall’Arcivescovo Giovanni Maria Bua, delegato Apostolico per i Regolari di Sardegna, il 3 febbraio 1839:

Noi Don Giovanni Maria Bua per grazia di Dio, e della S. Sede Arcivescovo d’Oristano, vescovo di Santa Giusta nello spirituale e Temporale Amministratore Apostolico della Diocesi di Galtellì-Nuoro, Cavaliere di Gran Croce, Delegato Apostolico per i Regolari di Sardegna.

Allo stabilimento del Conservatorio delle povere donzelle nella Città di Sassari và unita la dismessione dei Religiosi Agostiniani dal Convento che abitavano fuori, ma in vicinanza della stessa città, e la dismessione dei Religiosi Domenicani dal loro convento sito dentro la stessa città, e la loro traslazione al Convento di S. Agostino per stabilirvi l’Orfanatrofio, quali disposizioni sono consignate negli articoli 1, 2 e 3 dei Decreti della Sacra Congregazione sulli Affari Ecclesiastici Straordinari del 4 Dicembre 1831, che sono stati inseriti, e fanno parte del Breve Apostolico del 17 Luglio 1832, e sono del tenore seguente:

1. Dimittendos esse Fratres Eremitas Ordinis Sancti Augustini a cenobio extra civitatem Turritanam posito, eis assignati alio cenobio eiusdem Ordinis in eadem Provincia, in cuius cenobii familia adscripti censeantur pro arbitrio et prudentia Superioris Provincialis.

2. Item dimittendos esse Regulares Ordinis S. Dominici a Cenobio intra eadem Civitatem posito, eosque transferendos esse ad illud extra eamde Civitatem quod prefati fratres Eremitas Ordinis Sancti Augustini relicturi sunt.

3. Cenobium autem sive Domum quam nunc Regulares S. Dominici intra eamdem Civitatem incolunt reservandam esse pro erectione orphanatrophii pauperum puellarum ipsius Civitatis.

Trovatosi indi dalla Sede Apostolica non poter avere effetto lo stabilimento dell’orfanotrofio per difetto di dotazione, onde non venisse ulteriormente dilatata l’apertura dell’orfanotrofio provvidde [pag. 256] la stessa Sede Apostolica per mezzo della Sacra Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari con Decreto del 3 Dicembre 1833:

1. che i beni del soppresso Convento di S. Agostino si dovessero aggregare all’orfanotrofio coi pesi seguenti:

2. che dovessero rimanere ai Domenicani i beni che si trovassero espressamente lasciati alla Sacristia della Chiesa del Convento di S. Agostino.

3. che si dessero ai Religiosi agostiniani ossia ai Conventi che riceverebbero i Religiosi dimessi i frutti che si trovassero nel Convento soppresso, dedotte le spese di amministrazione, di colletta e di traslocamento dei Religiosi.

4. che per ciascuno dei Religiosi agostiniani sacerdoti che si fossero trovati di famiglia all’atto della soppressione si pagassero loro vita e stato regolare durante, dai beni dello stesso soppresso Convento scudi Romani sessanta, e cinquanta della stessa moneta per ciascuno dei laici professi, fossero o non fossero nativi di Sassari o figli di qualunque dei conventi dello stesso ordine come porta il tenore del decreto:

ad quartum affirmative ad primam partem traditis nempe fructibus existentibus in cenobio, et aliis perceptis hoc anno deductis deducendis juxta formam petitionis. Ad secundam pariter affirmative juxta modum nempe ut singulis Cenobiis quibus adjunguntur Religiosi viri Ordinis S. Augustini dimissi a Cenobio Turritano solvantur quotannis ex redditus ipsius Cenobii scuta sexaginta valore monetae Romanae pro uno quoque viro regulari in Sacris Ordinibus costituto, et scuta quinquaginta pro unoquoque viro solemniter professo quem laicum sive conversum appellant quos constat pertinuisse ad ipsius Cenobii familiam quae ex eo dimissa fuit, sublata quacumque exceptione de eorum origine sive nativitate cujus pensionis solutio tamdiu pro uniuscuiusque rata percipienda erit quamdiu eorum quilibet viverit.

In secondo luogo viene proveduto che dai beni dello stesso convento si dovesse prima riparare discrettamente il convento e chiesa di S. Agostino, onde non fosse disadatto e pregiudiziale ai nuovi abitanti. Delle quali disposizioni essendo stata a Noi commessa l’esecuzione col precitato Breve Pontificio e Decreto della Congregazione prelodata abbiano tutta la sollecitudine di portare ad effetto le prime ordinazioni della dismessione cioè dei Religiosi Agostiniani con Nostro Decreto del 23 Gennaio 1833, e la traslocazione dei Religiosi Domenicani al Convento di S. Agostino con Decreto delli 25 Gennaio 1834, come pure di riattare il Convento e chiesa di S. Agostino per cui con Nostra lettera delli 17 Gennaio 1833 abbiamo autorizzato il Signor Avvocato Don Pasquale Tola a venire coi [pag. 257] Religiosi Domenicani ad una trattativa per la fissazione della somma che sarebbe richiesta per le stesse riparazioni; rimaneva tuttavia l’applicazione dei beni del soppresso convento al già eretto orfanotrofio. Servendoci pertanto delle facoltà apostoliche conferiteci col precitato Apostolico Breve e Decreto successivo precalendato del 3 Dicembre 1833, col tenore delle presenti applichiamo i beni che appartenevano al soppresso Convento di S. Agostino sito fuori ed in vicinanza della Città di Sassari all’Orfanotrofio, ossia Conservatorio delle figlie di Maria già eretto nel Convento che lasciarono vacuo i Padri Domenicani esistenti dentro la stessa Città di Sassari, ed al medesimo orfanotrofio applichiamo, e dichiariamo applicati tutti, e singoli i frutti percevuti, e da perceversi negli, e per gli scorsi anni dal sovra enunciato giorno della dismessione dei Religiosi, secondo il tenore dell’inscrito decreto, e non altrimenti. Perciò dichiariamo e stabiliamo: 1° che la somma o già consegnata, o da consegnarsi ai Padri Domenicani per il ristauro del convento e Chiesa resti validamente sborzata, o si debba sborzare secondo i termini stabiliti nella convenzione seguita per Nostra autorizzazione. 2° che in qualunque tempo venga a scuoprirsi qualunque capitale investito a censo, o predio rustico sia, od urbano legato alla Sacristia di Sant’Agostino debba immantinente lasciarsi alla stessa Sagristia, ed a dominio dei Padri Domenicani che la ufficiano, ai quali perciò diamo ora per allora il diritto a ripeterlo. 3° che durante la vita e lo stato regolare dei Religiosi agostiniani che sono stati dimessi dal loro convento di Sassari si paghi annualmente dall’orfanotrofio sessanta scudi Romani per ogni Religioso Sacerdote, e cinquanta della stessa moneta per ogni laico professo senza diminuzione, e senza ritardo, e per loro ai conventi nei quali saran destinati di famiglia.

Dato in Oristano li 3 Febbraio 1839. Luogo del suggello

+ Giovanni Maria Arcivescovo Delegato Apostolico

Concordat, et in fidem

Secretarius Anthiocus Sulas Notarius Apostolicus (77).

I Domenicani, però, vi restarono pochi anni, perché costretti anche loro a lasciare in seguito alle leggi di soppressione. Il Convento venne requisito e adibito ad uso di ospedale-infermieria militare. I Padri Domenicani ritornarono a Sassari nel 1936, ma non poterono riprendere possesso dell’antico convento; così, a partire dal 1957 fino al 1965, edificarono una nuova casa religiosa, allineata sulla parte sinistra della facciata della chiesa rispetto a chi guarda. [pag. 258]

 

La Chiesa

Per quanto concerne l’edificio sacro, un ampio resoconto storico ed artistico ce lo fornisce lo scritto del padre domenicano Gerolamo Caratelli, morto nel 1983, intitolato La chiesa di S. Agostino in Sassari, (con cenni storici), Sassari 1950. Secondo il religioso, che aveva fatto dei sopralluoghi di persona e degli studi sulle fondamenta della chiesa e sulla parte sottostante la cappella della Vergine del Buon Cammino, la chiesa agostiniana forse era stata costruita sopra un antico oratorio di epoca bizantina: questo spiegherebbe, almeno in parte, il proseguimento del culto della Madonna di Costantinopoli, o Madonna d’Itria. I due culti principali presenti nella chiesa, almeno fino al 1639, come abbiamo visto per la testimonianza del Vico, furono quello della Vergine del Rimedio, versione locale della Madonna del Soccorso, e quello appunto della Vergine d’Itria. Con il tempo la devozione alla Madonna del Rimedio venne meno, ma anche quella della Vergine d’Itria conobbe una particolare evoluzione. Per un disaccordo con i frati agostiniani, la Confraternita della Madonna d’Itria lasciò la chiesa di S. Agostino e si stabilì presso la chiesa dello Spirito Santo. Gli Agostiniani rimpiazzarono il culto della Vergine d’Itria con quello a loro noto della Madonna del Buon Cammino. Ma più tardi, i confratelli della Madonna d’Itria vollero tornare dai Padri agostiniani, i quali acconsentirono e affidarono loro la cappella della Madonna del Buon Cammino, fondendo così le due diverse devozioni mariane:

“... Padre Sisco afferma: Anticamente la Confraternita d’Itria era nella chiesa degli Agostiniani, come oggi (1785), ma per le controversie nate tra i Religiosi e i Con fratelli andarono ad ufficiare nella chiesa dello Spirito Santo, con beneplacito del capitolo. Trovo infatti - continua il Costa - una deliberazione del 2 settembre 1617, con la quale il Capitolo concede alla Confraria di Nostra Signora d’Itria, la chiesa dello Spirito Santo per uso temporaneo, purché la Confraria dipenda dal Capitolo e paghi ogni anno lire 40 di pensione e lire 10 per Vespro e Messa, che vi celebreranno il giorno della festa. Dopo alcuni anni, per essere la chiesa troppo piccola, e mancante dello spazio necessario per seppellire i Confratelli, cercarono di far ritorno a S. Agostino, dove vennero ricevuti. Siccome, però, nella chiesa degli Agostiniani erasi stabilita un’altra Confraternita,sotto l’invocazione di Santa Monica, così i confratelli [pag. 259] dell’una e dell’altra, col consenso dei frati, convennero di unirsi per fondarne una sola col titolo della Madonna d’Itria; l’atto di tale unione fu disteso dal notaio Viglino, il 23 febbraio 1632. La nuova Confraternita doveva indossare la Cappetta della Vergine d’Itria, e cingere la cintura di S. Agostino. Il Costa conclude: La Confraternita oggi non esiste più, per quanto la Madonna d’Itria sia sempre tenuta in devozione. (76).

In sintesi, la devozione alla Madonna d’Itria e quella per la Madonna del Buon Cammino si fusero e la Confraternita che restò fu sempre poi detta del Gremio dei Viandanti, o “Biandantes”: una confraternita o corporazione che raggruppava i commercianti itineranti, o “viaggianti”, oggi poco importanti, ma non a quel tempo, quando molti centri potevano essere raggiunti dal commercio solo attraverso queste figure professionali. Il Costa asserisce: “Anch‘essi, nelle processioni, vestono alla spagnuola, col caratteristico cappello dei Gesuiti; hanno ancora la Cappella nella Chiesa di S. Agostino, festeggiano la Vergine del Buon Cammino, la domenica successiva al 2 agosto. La loro bandiera è rossa. L’istituzione risale al 1784, ed è la stessa che, sotto il nome di Cavallanti, il 30 giugno 1633, riformò i suoi statuti, stipulati in Sassari dal notaio Gavino Tola, tra la Confraternita di S. Maria dei Viandanti e il Convento dei frati agostiniani”. Quest’ultimo dato è confermato da un Atto di Convenio stipulato fra il Gremio dei Cavallanti ed i Padri Agostiniani, il 30 giugno 1633:

Primieramente dichos Reverendos Padres por si y sus sucessores dellos endichos Convento y Orden de su grado y cierta sciencia, dan e conceden y entregan ala dicha Cofadria de Biandantes presentes y acceptantes la Capilla de nuestra Señora de Buen Camino, tienen en la dicha Iglesia accostada de arriba con la de San Agustin, y parte de baxo con la de San Leonardo hasi hecha come se està hoy con su altar y adorna con Imagen de Nuestra Señora de Buen Camino...”. Dovremo quindi dedurre che i Viandanti ebbero in uso una Cappella già esistente all’interno della chiesa di S. Agostino, dove era collocata la statua della Vergine di Buon Cammino” (79).

Nella cappella della Madonna del Buon Cammino, sopra l’altare, vi è la nicchia con la pregevole statua lignea del sec. XVI della Vergine e, all’inizio di essa, sul pavimento, si può notare la lapide che chiudeva il sepolcro dei confratelli, con su scritto: B.V.M  - D.B.C. - F.A.D. 1784 - Sepoltura de Viandanti (Beata Vergine Maria del Buon Cammino, fatta Anno Domini 1784, etc.).

Dal 1941 il Gremio dei Viandanti ha ereditato il Candeliere dei “carradori”, e in forza di ciò partecipa alla omonima festa sassarese dei “Candelieri” il 14 agosto. Per quanto riguarda l’interno della chiesa, occorre dire che ha subìto diverse modifiche apportatevi dai padri domenicani, i quali vi hanno realizzato delle cappelle dedicate ai culti del loro Ordine. Comunque, da quel che si può sapere, gli agostiniani nelle dieci cappelle della chiesa, oltre al culto della Madonna del Buon Cammino, promuovevano la devozione a S. Leonardo, alle Anime del Purgatorio, al Crocifisso, a S. Guglielmo, a S. Vittoria, alla Beata Rita, a Nostra Signora della Consolazione (cappella con patronato del Marchese di Montemuros) e a S. Nicola da Tolentino (cappella con patronato del Marchese della Planargia). A S. Agostino era dedicato l’altare maggiore sopra il quale campeggiava la statua lignea del Santo. Molte cose, come dicevo, sono cambiate all’interno della chiesa ad opera dei frati predicatori, i quali vi hanno realizzato la Cappella del Rosario, rinnovata tra il 1942-50. Negli anni 1948-50 venne aperto un grande finestrone a trifora nell’abside per rendere più luminoso il presbiterio e venne realizzato un nuovo altare maggiore, spostato in avanti rispetto al precedente; un nuovo coro per la preghiera dei frati completava questo ciclo di interventi. I quali riprendevano subito, proprio nel 1950, con i lavori di consolidamento e di rafforzamento dei pilastri della chiesa e della facciata: fu in questa occasione che venne costruito il discusso porticato d’ingresso alla chiesa. Tra il 1956-57 venne dato avvio ad un nuovo lotto di lavori: il rifacimento in marmo del pavimento, il restauro delle cappelle e la costruzione di 4 nuovi altari: le Anime, S. Agostino (spostato dall’altare maggiore ad un altare laterale), S. Domenico e S. Vincenzo Ferrer. Gli ultimi interventi sull’altare maggiore e sul presbiterio sono stati effettuati nel 1976: è stata tolta la balaustra, è stato rifatto il pavimento in marmo, vi è stato collocato un nuovo altare rivolto verso il popolo, con un tabernacolo e un ambone, il tutto in pietra gialla di Genova intonata al resto della chiesa. Infine, occorre ricordare che dal 1939 la chiesa era stata eretta in parrocchia.

Un’ultima nota sulla presenza dell’Ordine a Sassari nei secc. XVII-XIX riguarda i vescovi agostiniani che ressero l’arcidiocesi: essi furono due: Giuseppe Siccardo (1702). Spagnuolo ed eremitano di S. Agostino. Venne assunto a questa sede il 12 maggio del 1702, [pag. 261] per la morte del religioso servita Giorgio Sotgia, arcivescovo eletto, il quale cessò di vivere prima di prender possesso dell’arcidiocesi” (80). Il secondo presule è: “Giacinto della Torre (1790-97). De’ conti di Lucerna e Valle, nacque in Saluzzo. Ascrittosi fin dalla più giovane età all’ordine agostiniano, vi ottenne i gradi di dottore, di maestro e di vicario generale della Congregazione di Lombardia, nonché la fama di dotto teologo, di eloquente oratore e di valentissimo letterato. Fu creato arcivescovo di Sassari nel 1790 e consacrato nello stesso anno, addì 29 marzo. Dopo circa due lustri, il 24 luglio 1797, venne traslato alla sede d’Acqui, ritenendo il titolo di Arcivescovo” (81).

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(70) AEGIDII VITERBIENSIS OSA, Registrum Generalatus II (1514-1518), Romae 1984, doc. 728.

(71) Per la figura di Fr. Juan Exarch vedi: Analecta Augustiniana, vol. LXII (1999), pp. 362-365.

(72) F. DE VICO, Historia Generale..., cit., parte VI, cap. XXI.

(73) In proposito, cfr. Analecta Augustiniana, vol. LXII (1999), pp. 359-389.

(74) E. COSTA, Sassari, Ed. Gallizzi, Sassari 1967, vol. II, t. II, parti VI-X, pp. 388-389.

(75) Biblioteca Universitaria di Sassari, Manoscritto 52, A. SISCO, Notizie che il P. Antonio Sisco, sassarese, ricavò da antichi documenti, sec. XVIII, carte 113, cc. 7r-8r.

(76) Biblioteca Universitaria di Sassari, Sala Sarda, Pos. Misc. S.D. 1256.

(77) Biblioteca Universitaria di Sassari, Soppresse Corporazioni Religiose, S. 5, ms. 814.

(78) C. A. SANNA, Sassari, Storia dei Gremi e dei Candelieri, Ed. A.A.S., Sassari, 1992, p. 170.

(79)  Ibidem, p. 170.

(80) S. PINTUS, Vescovi e Arcivescovi di Torres, oggi Sassari, in “Archivio Storico Sardo”, vol. I, fasc. I, Cagliari 1905, p. 82.

(81) PINTUS, Ibidem, p. 83.

 

 

7. IL CONVENTO DI S. SEBASTIANO DI ALGHERO

Sulla fondazione del convento algherese un ottimo studio èquello del sac. Antonio Nughes (82), che ha definitivamente chiarito alcuni aspetti controversi circa la data della fondazione. Pur non pervenendo ad alcuna precisa datazione, si è chiarito che gli agostiniani arrivarono in Alghero ancor prima del 1518, come si ricava da questa nota presente nel registro del Priore Generale dell’epoca: “27 decembris 1525. Facultas fratri Antonio Frugon de Bonifatio a nostris predecessoribus facta fuerat cuiusdam conventus in civitate Algueria capiendi atque administrandi” (83). L’annotazione è del priore generale Gabriele della Volta, il quale aveva iniziato a governare l’Ordine nel 1518: è evidente quindi che, riferendosi ai suoi predecessori, sposti in addietro la data d’inizio della prima comunità algherese. I frati in un primo tempo si stabilirono presso la chiesa di S. Maria degli Angeli, edificio sacro molto antico e che secondo la tradizione conservava i resti di alcuni dei primi martiri cristiani della zona, come risulta da un documento presente nell’Archivio Comunale di Alghero: “Copia d’uno scritto esistente nell’Archivio dei RR. PP. Agostiniani della Città di Alghero. ‘Alguer. La deposiciòn de S. Golobert M [pag. 262] que confessò publicamente la fé de Xsto delante del Presidente Barbaro por lo qual padeciò graves tormentos, y en fin hechado en la hoguera acabò su martirio. Año 300. Imperando Diocletiano. Està enterrado en la Iglesia de nuestra Señora de los Angeles” (84). Gli agostiniani presero quindi dimora in un luogo molto significativo per la comunità cristiana locale, ma non per lungo tempo, giacché furono costretti da cause di forza maggiore a lasciare sia la chiesa che la casa religiosa per le necessità della città. Vi fu un breve lasso di tempo, durante il quale i religiosi vissero probabilmente in una casa privata e continuarono ad officiare la Chiesa di S. Maria degli Angeli anche dopo la sua ricostruzione. La primitiva chiesa era vicinissima alla città: “a un tiro di pietra da Porta-terra in direzione della croce, a destra uscendo dalla città” (85). Più tardi, certamente dopo il 1526, gli agostiniani ottennero una nuova chiesa, del titolo di S. Rocco e S. Sebastiano, più lontano dall’abitato cittadino e in aperta campagna, in direzione della strada che portava al famoso santuario mariano di Valverde. Negli atti ufficiali della provincia di Sardegna il convento manterrà sino all’ultimo il titolo di S. Sebastiano, anche se per gli algheresi divenne presto “S. Agustì nou” (S. Agostino nuovo), per distinguerlo dalla prima fondazione conosciuta come S. Agustì vell” (S. Agostino vecchio). Nei registri del Superiore Generale viene annotata l’autorizzazione concessa ai frati di Alghero, di poter continuare a godere dei diritti di cui erano titolari nel primo convento: “cum vero cives Alguerii pro maiori civitatis commodo praefatum conventum sibi repetissent, ut alienis nec minus necessariis usibus deputarent, cuiusque vice domum aliam eidem dedissent, statuimus sicut equitati par erat ut in eadem domo nuper illi resignata eisdem omnibus praerogativis ac privilegiis potiretur, quibus in pristino conventu potiri eum decreverant nostri praedecessores” (86). Anche in questa nuova chiesa vi era sepolta una santa martire del tempo di Diocleziano, santa Florentina, convertita alla fede dal presbitero Sisinnio ed uccisa dal re Barbaro. Nella chiesa agostiniana le due principali devozioni furono pertanto quella rivolta a S. Sebastiano e quella indirizzata a S. Agostino. Per quanto riguarda la prima, essa coincideva con una delle feste più sentite in Alghero: Nell’elenco dei voti fatti dalla città [pag. 263] in occasione della peste nel 1583 e successivamente ridotti dal vescovo Baccallar, troviamo: “lo die de Sant Sebastià à 20 jener van en processò los consellers i houen missa en Sant Agustì” (87). Il comune si accollava le spese della festa, fino al pagamento degli strumenti musicali per la processione e le varie cerimonie. Dal Vico veniamo a sapere che nel 1600 vi erano nella chiesa anche due confraternite: “la tercera es la Iglesia de san Agustin con un Convento de frailes de la misma Orden poco lexos de la Ciudad; pero su puesto y camino es muy apacible, y deleitable; tiene dos Cofadrias, la una de los blancos, que son del Confallon, y la otra de los negros, que son de la Oraciòn; tiene en su distrito una Iglesia de mucha devocion con la invocaciòn de Nuestra Señora de Vallvert, a la cual acude gente de muchas partes del Reino” (88). Come già notato in altre parti del presente studio, gli agostiniani in Alghero promossero anche altre devozioni: alla Madonna d’Itria, alla Madonna della Salute, alla Beata Rita e a S. Nicola da Tolentino. Una citazione a parte merita il fatto che in questa città si parlava, e ancora oggi si parla, la lingua catalana, per quanto leggermente diversa da quella in uso in Catalogna, per ovvi motivi. I religiosi erano sottoposti ad un vero e proprio disorientamento linguistico, dal momento che usavano parlare e scrivere in catalano, conoscevano il latino, in parte anche l’italiano e avevano una naturale domestichezza con gli idiomi propri dell’isola. Questa babele linguistica si riflette nei pochi documenti scritti che ci sono rimasti, quando, ad es., riferiscono che i frati “aont intervinguts ad sonu de campanedda” in capitolo, si sono cioè radunati in capitolo al suono della campanella; come si può notare, in sei parole sono presenti contaminazioni di tre lingue: latino, catalano e sardo. Riproduco qui di seguito il breve atto di vendita di una vigna in catalano-algherese, datato al 7 aprile 1607:

“Io frà Augustì Coco Vicari Provincial y difinidor de la provincia de Serdegna del horde de nuestre pare Sanct Augustì abla fuit confirme la venda que afet lo pare prior mestre Salvador Mameli ab tota la Comunitat delas vigna che era de patro Pedru Murgia a Juan Costanzia genoues abitant en la ciutat delalguer asì con costa en lo estrumento rebut del noctari M.o Antoni Giame en lo mesos pasats en lo aign de 1607; axì considerant dita venda eser feta autil y profit del conuent y perque la dita venda y acte tinga mas forso fas la present de ma mia. Huoy en lalguer a los 7 del mes de abril de 1607. [pag. 264]

Frà Augustì Coco Vicari Provincial”. (89)

Un tentativo di resa in lingua italiana potrebbe essere il seguente: “Io fr. Agostino Coco, Vicario provinciale e consigliere della provincia di Sardegna dell’Ordine del nostro Santo Padre Agostino dichiaro conforme la vendita che il padre priore maestro Salvatore Mameli ha fatto della vigna del padre Pietro Murgia, a Giovanni Costanzia genovese, abitante nella città di Alghero. Tutto ciò, così come consta dall’atto redatto dal notaio maestro Antonio Giame nei trascorsi mesi dell’anno 1607. Così detta vendita è da considerarsi fatta a utilità e profitto del convento e affinché la detta vendita ed atto abbiano maggior forza, scrivo (faccio) la presente di mia mano. Oggi, in Alghero, ai 7 del mese di aprile 1607.” Il convento algherese fu terzo per importanza e numero di religiosi, oltretutto possedeva un consistente numero di appezzamenti di terreno, case e lasciti vari. Tuttavia, la non sempre oculata amministrazione portò, via via, la casa religiosa verso la rovina. Soprattutto nel XIX sec. assistiamo ad un continuo deterioramento delle strutture, sia della chiesa che del convento, al punto da costringere l’autorità pubblica ad intervenire. E’ del 20 dicembre 1843 una perizia del complesso monastico fatta eseguire dalle autorità cittadine:

“Dietro invito di questo Illustrissimo e Reverendissimo Monsignore Don Pietro Rafaele Ardoino, e dei Reverendi Padri Agostiniani, avendo quest’Illustrissimo Consiglio Civico dato incarico al suo Capo Mastro Muratore Sebastiano Guerino di visitare, e di riconoscere lo stato del convento e chiesa dei medesimi Padri posto fuori della città. Esso Capo Mastro riferisce che essendosi portato sul luogo, ed avendo attentamente perlustrato quel fabbricato, ha riconosciuto che la facciata del convento che guarda il levante trovasi in istato di prossima rovina, cagionata da diffetto di costruzione di essa facciata, la quale non può in alcun modo sostenere la spinta della volta della scala, non che quella della volta del corridoio terreno che dal convento conduce alla Chiesa, così che anche la scala e volta minacciano di rovinare, e sarebbero già rovinate, se non fossero alquanto sostenute dagli appositi appoggi, quali però non potranno impedire la rovina crescendo la pendenza della medesima facciata. Alla spinta di questa volta terrena arroga ancora quella del corridoio superiore la quale trovasi appoggiata alla medesima facciata, e siccome più elevata agisce con più forza sullo stesso punto, [pag. 265] cosiché tutto quel fabbricato deve da un momento all’altro rovinare, né potrebbe oggi senza grave pericolo abitarsi. Visitata anche la Chiesa si è osservato essere pericolosissimo il muro laterale di essa che guarda Mezzogiorno, posto sulla frequentatissima strada di Valverde. La volta della Cappella a man diritta entrando situata tra il coro e la Cappella del Santissimo che viene appoggiata alla detta muraglia è anche rovinosa, ed il coro stesso segna delle aperture che indicano un cedimento ed una mancanza di appoggio nel fianco, per lo che anche questa dovrebbe essere chiusa, onde evitare ogni qualunque disgrazia. Questo è quanto il predetto Capo Mastro dice aver osservato in quel fabbricato, e per essere questo il suo asserto lo sostiene, di che etc.” (90). Il convento e la chiesa vennero riparati alla meglio e la comunità potè tornare ad abitarvi, ma la struttura subì diverse modifiche nel tempo, in relazione ai diversi usi a cui venne adibita dopo la sua requisizione da parte del Demanio dello Stato. Gli agostiniani furono di aiuto alla popolazione algherese e prestarono la loro opera di assistenza spirituale nei modi consueti, ma la posizione così decentrata del convento, unita al continuo assottigliamento del numero dei religiosi, finì col rendere sempre più marginale la loro presenza. Pur tuttavia, fino al momento in cui abitarono il convento, e anche dopo la soppressione, la loro opera doveva essere apprezzata, se lo stesso vescovo Pietro Raffaele Arduino, nel 1863, nel relazionare alla Santa Sede lamentava il loro allontanamento: “Il vescovo denuncia la chiusura di due case degli Eremitani di S. Agostino, una in Alghero, convertita in carcere giudiziario, l’altra in Pozzomaggiore” (91). L’ultima visita del Superiore provinciale alla comunità avvenne nel marzo del 1855, 3-4 mesi prima della requisizione del convento da parte dello Stato, ma i religiosi non davano grattacapi, anzi sembra che vivessero certamente in modo degno la loro vocazione religiosa. Nella visita del priore provinciale fatta nel 1850 risulta invece qualche “pecca”, che però oggi farebbe sorridere; la riporto qui di seguito a titolo di documento d’epoca:

“Fr. Agostino Podestà Bacc. in Sacra Teologia, Provinciale dell’Ordine Eremitano del Santo Padre Agostino di questa Provincia di Sardegna. [pag. 266] Personalmente visitato questo nostro Convento di S. Sebastiano d’Alghero, abbiamo dato principio a questa nostra visita con visitare il SS.mo Sagramento, Olio Santo, Chiesa, Sacristia, Officine, etc., e fatto il debito scrutinio siam passati ad esaminare i libri d’Entrata ed esito generale del Convento... Prima di chiudere questa nostra Visita includiamo questo seguente decreto: avendo osservato in questa nostra dimora di pochi mesi che i Religiosi abusano delle nostre Regole e Costituzioni, cioè di non potersi stare senza tonaca né fuori né dentro la cella; ordiniamo che d’ora in avanti, nessun Religioso possa comparire senza il nostro Santo Abito e particolarmente fuori di porteria e di quanto ordiniamo, se ne incarica la sorveglianza del Padre Priore, perché in caso contrario si serva della sua autorità dando i gastighi che crederà opportuni a seconda delle circostanze. In fede di che diamo le presenti da Noi sottoscritte, munite col sigillo minore della Provincia, e referendate dal nostro infrascritto Provinciale Segretaro. Alghero, S. Sebastiano, 15 marzo 1850. - Fr. AGOSTINO PODESTÀ Provinciale (92).

I libri di spesa del convento si chiudono al 31 luglio 1855 con la firma dell’ufficiale regio incaricato dell’incameramento dei beni. L’edificio venne dapprima adibito a carcere, poi, dal 1885, venduto dal Demanio al Comune di Alghero per farne un lazzaretto. Nel 1938 il Comune permutava l’ex Convento di S. Agostino col vecchio Seminario della Diocesi: da allora divenne Ricovero di Mendicità. Oggi, dopo aggiunte, ampliamenti e rifacimenti, è diventato la “Casa di riposo S. Agostino” per la cura e l’assistenza delle persone anziane. I vescovi agostiniani che ressero la diocesi algherese nel periodo che stiamo esaminando furono i seguenti:

1. Andrea Aznar. Nato a Zaragoza nel 1612, divenne vescovo di Alghero il 15 gennaio 1663, per poi essere di nuovo trasferito in Spagna nelle diocesi di Jaca e Teruel. Su di lui esiste uno studio completo ed esauriente messo a punto da Juan José Polo Rubio, Fray Andrés Aznar Naves (1612-1682), Obispo de Alguer, Jaca y Teruel, Editorial Revista Agustiniana, Madrid 1996.

2. Francisco Lopez de Urraca. “Spagnuolo e religioso agostiniano. Già vescovo di Bosa, il 13 settembre 1677 venne trasferito a questa sede. In seguito passò alla Chiesa di Barbastro” (93).

[pag. 267]

3. Giuseppe di Gesù Maria. “Spagnuolo e religioso agostiniano scalzo. Eletto predicatore di corte dal Re Cattolico, fu dal medesimo nominato vescovo di questa Diocesi, consenziente il Pontefice, il 18 maggio 1693. Ma passò a miglior vita prima d’esser consacrato” (94).

A chiusura di questo contributo sulla storia degli agostiniani nell’isola, mi sembra indicato e significativo proporre una poesia sulla chiesetta di S. Agostino di Alghero, scritta in catalano dal poeta algherese Rafael Sari: una poesia che rievoca con nostalgia un passato fatto di fede, di cultura, di profonda umanità, a ricordo di persone che, nel bene e nel male, hanno fatto sicuramente la loro parte nei cammino della gente di Sardegna.

 

Iglesieta de Sant’Agostì

Horts entorn i la pedrera: / verd i or / com la gran bandera del gremit. / En fons blau de marina / i la platja de plata. / A mig tu, Sant’Agostì, / iglesieta de res / sola i blanca / a una vora de camì. / Una bandera de pau. / Passant-te davant / a la tardeta suaual / saluts i pregàries / te donava la gent. / A juliol la festa. / Alegria de campanyes, / plenes de sol, / arbres colorits de fruites / i meses aparelladese / sota parres de raim primerene. / Vi a rius / entre esclats de risa. / I gran que fe / a l’hort de l’obrer: / foc rabent / a les calderes, / banyes al caliu / i crabits a l’ast / damunt a les brases. / Missa gran i processò / i cada hort beneit. / Fins a nit / beure i mengiar a tot arreu. / I l’iglesieta plena de llumera, / de cants i de paraules de Déu. / Temps passat, finit. / Horts ara estreinyts de cases; / prepotenta la ciutat és vinguda / a degollar en aquìa / verd i pau. / Una pena, o Sant’Agostì! / A la tardeta encara / faixa el sol l’iglesieta / i abraca les pedres velles. / Passa encara la gent / no saluda però, no prega. / Va en pressa en pressa. / I la nit davalla / trista i obscura, aixì. / Les parets caigudes / ja plenes de herbes salvatges / pareix alhora que plorin, / o Sant’Agosti.

 

Chiesetta di Sant’Agostino

Orti intorno e la petraia: / verde e oro / come la grande bandiera del gremio. / In fondo azzurro di mare / e la spiaggia d’argento. / In mezzo tu, Sant’Agostino, / chiesetta da nulla / sola e bianca / al margine della strada. / Una bandiera di pace. / Passandoti davanti / tramonto soave / saluti e preghiere / t’offriva la gente. / A luglio la festa. / Allegria di campagne / piene di sole, / alberi coloriti di frutta / tavole imbandite / sotto pergolati d’uva primaticcia. / Vino a ruscelli / fra scoppi di riso. / E gran da fare / nell’orto dell’obriere: / fuoco rovente / sotto le caldaie, / sughi al caldo e capretti allo spiedo / sopra le braci. / Messa grande e processione. / E ogni orto benedetto. / Fino a notte / bere e mangiare in abbondanza. / E la chiesetta piena di luci, / di canti e di parole di Dio. / Tempo passato, finito. / Orti ora stretti dalle case; / prepotente la città è venuta / a disperdere qui / verde e pace. / Una pena, Sant’Agostino! / Al tramonto ancora / fascia il sole la chiesetta / e abbraccia le pietre antiche. / Passa ancora la gente, / non saluta però, non prega. / Va in fretta in fretta. / E la notte scende / Triste e oscura, così. / I muri caduti / già pieni di erbe selvagge / sembra allora che piangano, / o Sant’Agostino” (95).

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(82) A. NUGHES, Alghero: Chiesa e società nel XVI sec., Ed. Del Sole, Alghero 1990, pp. 102-103; 106-108; 253-254.

(83) AGA, Dd. 15, Registri PP. Generalium, f. 25v.

(84) Archivio Comunale di Alghero, G. 49/ 846, fasc. 36, n. 3.

(85) A. NUGHES, Alghero..., cit., p. 103.

(86) AGA, Dd. 15, Registri PP. Generalium, f. 52v.

(87) A. NUGHES Alghero..., cit., p. 108.

(88) F. DE VICO, Historia General..., cit., parte VI, cap. 12.

(89) Biblioteca Universitaria di Sassari, Manoscritti Corporazioni Religiose Soppresse, sub voce Agostiniani/Alghero, n. 815-826.

(90) Archivio Comunale di Alghero, Busta n. 823/134, ff. 1-1v.

(91) T. CABIZZOSU, Chiesa e società..., cit., p. 123.

(92) Archivio di Stato di Sassari, Corporazioni Religiose Soppresse, Agostiniani-Alghero (dal 1829 al 1855), Busta n. 2.

(93) S. PINTUS, Vescovi di Ottana e di Alghero, in “Archivio Storico Sardo”, vol. V, fasc. 1-2, Cagliari 1909, p. 117.

(94) S. PINTUS, Ibidem, p. 117.

(95) R. SARI, da Ombra i sol, Ed. della Torre, Cagliari 1980.