IL MONASTERO DEGLI AGOSTINIANI DI TRANI

Il mio pellegrinare di terra in terra, alla ricerca di memoria agostiniana nelle città di Puglia, mi ha condotto a Trani. Tante altre volte sono stato a Trani, ma non ho mai cercato il convento e la chiesa che un tempo furono sede di una comunità religiosa agostiniana. Un bel mattino dello scorso dicembre, accompagnato da padre Giovanni, priore del convento agostiniano di Noicattaro, ci recammo al nostro convento. Il sole illuminava tutto il prospetto centrale del complesso, mettendo prepotentemente in risalto la finezza della linea architettonica dell’edificio che, per la sua imponenza, troneggia e dà tono e sapore di arte alle vie, ai palazzi che lo abbracciano e la villa antistante, trova la sua ottima posizione nel concetto artistico dell’insieme. Se dico che fui preso da stupore, meraviglia, direi poco perchè le parole non esprimono la mia commozione. Girammo tutto attorno (la costruzione forma un vasto isolato), più volte, anche con la macchina in un’atmosfera di silenzio: silenzio nelle strade circostanti quasi addormentate; silenzio misterioso avvolge il convento; silenzio tra me e padre Giovanni. Muti ci guardammo, si affollavano tanti interrogativi nell’anima. Perchè tanta bell’opera è stata eliminata dal contesto cittadino? perchè le finestre, elemento fondamentale all’armonia del complesso, sono tanto brutalmente murate e porte con altre uscite provocatamente chiuse, forse per farci capire che quella struttura non ha più senso? perchè tanto disprezzo per il gusto artistico dei nostri antenati? Certo gli animi gentili si sentono offesi per tanta violenza e finanche le pietre, irate, si sentono umiliate per tanto disprezzo. Pare che una sentenza di morte sia stata decretata per il nostro convento, dal momento, che ai cittadini e ai visitatori è negata la possibilità di visitare anche l’interno. Inoltre fa meraviglia il fatto che l’Amministrazione Comunale di Trani non si sia servita di quella struttura per opere culturali, sociali o altro. Ben più accorte furono le autorità cittadine dei tempi passati che tennero viva l’utilità del convento - malgrado le torture di cucio e scucio - adibendolo ad ospedale e poi a scuola pubblica. Ancora un altro angoscioso interrogativo mi assale: fu veramente tutta colpa delle autorità politico-militari, la rovina del convento. Che diremo? la repressione statale dell’anno 1809 si appropriò dei beni ecclesiastici ma permise che le chiese continuassero a svolgere il loro impegno religioso. Perchè i frati agostiniani abbandonarono finanche la chiesa? e che dire, quando, passato il nubifragio napoleonico nessun religioso agostiniano si preoccupò di tornare in quella nobile struttura agostiniana di Trani? (nel 1809 la comunità religiosa era formata da sei sacerdoti e un converso). Il “Quaderno di cultura e formazione”, n° 5, edito dall’Istituto di scienze religiose di Trani, 1990, riporta uno studio di ricerca su: “Il monastero degli Agostiniani di Trani”. Lo studio è più che valido ausilio per conoscere l’attività degli agostiniani in quella città. La ricerca, infatti, si appoggia a non pochi documenti riguardanti la nascita, la chiusura e il patrimonio economico del convento. La storia di un così importante Monastero una volta al centro di intensa attività, non può ridursi ad una esposizione di attività lucratoria o soffermarsi solamente alle varie costruzioni di chiese e conventi. Ci auguriamo che un qualche attento studioso illumini lo spirito religioso e culturale, l’impegno sociale nel sociale svolto dai nostri sacerdoti agostiniani del tempo. Per la curiosità dei lettori, riporto alcune pagine prese dal testo suaccennato.

Il complesso conventule

Quando, nei primi decenni del sec. XVI, gli agostiniani si trasferirono in città, al sicuro dalle incursioni delle soldatesche nemiche, ottennero in concessione l’edificio, certamente più modesto di quello che ci è pervenuto, attiguo alla chiesa di S. Sebastiano eretta da pochi anni. Una tradizione, che non ha trovato alcuna conferma nella documentazione archivistica, vuole che in esso abbia dimorato Giuliano Gradenigo, che fu governatore veneto di Trani dal marzo 1502 al dicembre dell’anno successivo e che ebbe parte notevole nell’iniziativa della costruzione della chiesa di S. Sebastiano. Ma qual era la consistenza edilizia della presunta casa di Giuliano Gradenigo? La nota relazione sullo stato del convento nel 1650 descrive, tra l’altro, proprio quello che può considerarsi il primo nucleo della casa monastica, ovviamente ampliata nel corso del secolo XVI per assecondare le esigenze della comunità. Apprendiamo così che consisteva “il dormitorio in tre camere di sopra per celle dei frati, oltre detto dormitorio in tre altre, con camerone di sotto per refettorio, cucina e dispensa”. Ben poca cosa, dunque, soprattutto in rapporto alla struttura dell’edificio pervenutoci che, pur rimaneggiato dopo la soppressione del 1809, si presenta ampio, dotato di un bel chiostro, oltre che di un numero notevole di ambienti destinati ai servizi e agli usi più vari. Si può dire che il convento, partendo dal nucleo cinquecentesco, individuabile nel corpo di fabbrica che si affaccia su piazza Gradenigo, si sia andato ampliando sistematicamente nel corso dei secoli XVII e XVIII, in rapporto alle possibilità economiche della comunità agostiniana in progressivo e costante incremento. Così registriamo:

a) Nel 1640 la costruzione di un “casamento” seminterrato, nell’area ricavata dalla rimozione dei detriti appartenenti all’antica e “diruta” chiesa di S. Salvatore, accostato, su via Alvarez, alla facciata settentrionale del complesso cinquecentesco. La nuova fabbrica, che viene indicata successivamente come osteria, è così descritta nella relazione del 1650: “Attaccato a detto convento vi è un casamento con cortiglio, stalle e più camere di sotto e sopra con cocina serve per alloggiamento, le cui stalle sono di capacità di cavalli sessanta, fatta da dieci anni in qua dal medesimo convento da cui se ne riceve di piggione di netto moneta di Regno ducati 50”.

b) A conferma della costante volontà degli agostiniani di apportare miglioramenti e aggiunte al loro convento, la notizia, desunta dalla stessa relazione del 1650, dello stanziamento di una certa somma che “si pone in fabbrica di detto luoco per amplatione di quello”.

c) Verso la metà del secolo XVIII, esattamente tra il 1754 e il 1757, l’esecuzione di grossi lavori di ampliamento: la sopraelevazione del corpo di fabbrica dell’osteria su via Alvarez e il completamento del chiostro e degli ambienti che si affacciano nel lato settentrionale. La prima è documentata da un atto rogato dal notaio Marcantonio Andrisani del 7 agosto 1754 col la quale tra gli agostiniani, rappresentati dall’ex provinciale fra Vincenzo M. Montemurro, dal priore fra Vincenzo Boffilo, dal baccelliere fra Fulgenzio Brudaglia e dai frati Geronimo Viola e Innocenzo Bianco, e D. Giuseppe e D. Francesco Sarlo, padre e figlio, fu convenuto di comporre bonariamente la vertenza sorta a proposito “di alcune fabbriche a forma di casa abitabile” realizzate dai Sarlo accanto alla loro dimora, posta sull’attuale via M. Pagano sul lato settentrionale del convento. I Sarlo si obbligarono a non “dare nessun impedimento al detto convento, allora quando lo medesimo dovrà proseguire la fabbrica del dormitorio principiato sopra la loggia e sopra lo scaricaturo di detto loro osteria, qual dormitorio dovrà tirare al frontespizio di detta casa che si sta erigendo da detti signori di Sarlo”. Il completamento del chiostro, invece, è testimoniato da uno stemma pontificio datato 1757, collocato sull’arco dell’accesso al vano delle scale che portarono al piano superiore. Certo, in considerazione delle floride condizioni economiche della comunità monastica, è fondata la presunzione che i lavori di ampliamento siano continuati fino al 1809, anno, come abbiamo ricordato, della soppressione.

Beni della chiesa

Il convento nel 1799 possedeva:

- una casa posta nel vicinato di S. Giacomo consistente in due camere;

- una casa di tre stanze;

- una bottega sita nella pubblica piazza;

- un’osteria “consistente in un cortile grande con due stalle”;

- un’altra piccola casa nel vicinato di S. Sebastiano;

- infine una casa palazziata al luogo di Portanova;

Rilevante anche il patrimonio agricolo posseduto dal convento che risulta così costituito:

- un appezzamento di quattro vignali ... nella contrada di santa Maria di Giano;

- due versure con specchia alla contrada Molino, altrimenti chiamata di Madonna Ippolita;

- un mandorleto di vignali ventidue murati;

- un vigneto di sei vigne alla contrada Torre dei cavalli;

- un appezzamento a coltura mista, dell’estensione ventitrè vigne, alla contrada Palumbaro;

- un mandorleto di quattro vigne alla contrada Palumbaro;

- un vigneto di cinque vigne alla contrada santa Maria di Montedalba;

- due vigne e mezzo alla stessa contrada Palumbaro.

Sarebbe assai lungo elencare i numerosissimi contratti relativi ai censi redimibili, così come sono diligentemente registrati nella Platea, ma rimandando il lettore che volesse saperne di più alla consultazione del documento, ci è parso opportuno riassumere le risultanze del conteggio da noi operato, per accertare l'ammontare del capitale impiegato e degli interessi riscossi. Fino al 1799, il convento aveva investito un capitale di 11.712 ducati, che assicurava un reddito annuo di 641, necessario per soddisfare i bisogni della comunità ed anche gli obblighi assunti verso i donatori dei lasciti. Ma proprio per sgombrare il campo da giudizi limitativi, riteniamo meritevoli di testuale citazione le acute osservazioni sull’argomento di Lorenzo Palumbo che evidenziano gli aspetti positivi di un’attività che non fu mai nè vessatoria, nè condizionata da intenti usurari.

La chiesa di S. Sebastiano (oggi di sant'Agostino)

La chiesa -si rileva dalla Platea del 1753- aveva una pianta quadrata, con ogni lato della lunghezza di palmi cinquanta, un’altezza di palmi quaranta e la cupola ovata, con una superficie, quindi, di poco più di centosettantacinque metri quadrati. Era dotata  di un portale architravato con lunetta superiore e di un protiro munito di arco in aggetto, sostenuto da due colonne con leoni stilofori. Al di sopra dell’arco, presumibilmente, era posta la statua lapidea di S. Sebastiano, che trovò poi collocazione, nella ricostruzione del sec. XVIII, nella nicchia sottoposta alla cimasa della facciata principale. Nell’insieme il portale della chiesa di S. Sebastiano aveva forti analogie, per la struttura e per gli elementi costitutivi, con quello della chiesa di S. Francesco di Trani, che, come ognuno può notare, deve la sua eleganza formale proprio alla presenza dell’architrave, della lunetta traforata, dell’arco finemente decorato e delle agili colonne laterali poggiate su animali stilofori. Del portale della chiesa di S. Sebastiano ci sono pervenuti quattro cimeli, due dei quali reimpiegati nella ricostruzione dell’edificio avvenuta nel sec. XVIII: l’architrave, la statua di S. Sebastiano, la lunetta e uno dei leoni stilofori. L'architrave reca, equidistanti ed uguali nelle dimensioni, tre stemmi gentilizi. Il primo, a sinistra di chi guarda, è quello del Comune di Trani e riproduce nel campo un drago alato, una torre e una testa taurina; quello centrale è del governatore veneto Giuliano Gradenigo con i noti elementi araldici; il terzo appartiene alla famiglia Bonismiro e ha il campo partito orizzontalmente e interessato da motivi a scacchi. La documentazione d'archivio fornisce anche sufficienti notizie sulle cappelle e sugli altari che corredavano l’interno della chiesa di S. Sebastiano nel sec. XVII. Ci sembra opportuno ricordare:

a) la cappella fatta costruire nel 1604 da Giovanni Andrea Stampacchia;

b) l’altare della SS. Vergine delle Grazie;

c) l’altare della Madonna dell’Incoronata;

d) l’altare della Madonna di S. Nicolò da Tolentino;

e) infine l’altare maggiore dedicato a S. Sebastiano;

Nel 1708 la chiesa di S. Sebastiano crollò paurosamente, lasciando in piedi solo le pareti laterali, ma poi “colla industria dei religiosi del medesimo ordine in miglior forma fu reedificata, e non solamente in quanto alla lunghezza ingrandita e coll’edificio di forti pilastri resa più stabile, ma eziandio più vaga per gli ornamenti di molti intagli e quadri”. Il 1° novembre 1729 la chiesa, col sagrato restaurato e “abbellito dal buon genio dei religiosi con pietre lavorate”, venne solennemente consacrata dall’arcivescovo Giuseppe Davanzati, ma gl’interventi nel prospetto principale, così da realizzarlo nella forma che ci è pervenuta, furono successivamente ripresi e continuati fino al 1781, come testimonia un documento di quell’anno dell’archivio diocesano di Trani. Il real decreto del 7 agosto 1809 sulla soppressione delle corporazioni religiose prevedeva espressamente che le chiese da esse officiate continuassero ad essere aperte, così da assicurare la loro funzione culturale a favore dei fedeli. Avvalendosi di tale norma, la congrega di S. Giacomo apostolo, ospite della chiesa romanica di santa Maria de' Russis ritenuta “di costruzione agustissima et antiquata a segno che minaccia un continuo crollamento”, chiese con istanza dell’ottobre 1809, di poter trasferire nella chiesa di sant’Agostino, perchè fosse continuato il culto della Madonna dell’Incoronata e di s. Nicolò da Tolentino. Del sollecito accoglimento della richiesta da parte dell’Intendente di Bari, il segretario generale dell’organo amministrativo provinciale dette notizia all’arcivescovo Luigi M. Pirelli con la seguente lettera del 25 ottobre 1809: “La chiesa dei PP. Agostiniani già soppressi, ho disposto che resti aperta, come da voi descrittami Coadiutrice della Curia, ho creduto conducente farla passare in potere della congregazione di S. Giacomo, la quale si avea offerto del mantenimento coll’obbligo pure di far Coadiutrice. Ve lo prevengo per vostra intelligenza”. Entrando in possesso della chiesa di sant’Agostino, la confraternita di S. Giacomo divenne depositaria dell’intero arredo sacro descritto nelle pagine precedenti, compresi i quadri della Madonna della Consolazione con santa Monica e sant’Agostino, di S. Francesco Saverio, della Madonna dell’Incoronata e del Battesimo di sant’Agostino, dei quali, eccezion fatta per quest’ultimo, si è oggi purtroppo perduta ogni traccia.

 

P. Tommaso Autiero

(Gennaio - Febbraio 1998, n. 1)