IL CONVENTO DEGLI AGOSTINIANI A GRAVINA

di P. Tommaso Autiero

 

CHIESA E CONVENTO

Chi si inoltra in piazza Pellicciari, provenendo dal corso principale della città di Gravina, vede nella parte opposta, un grande complesso bianco che si staglia, deciso,  nell’azzurro cielo sconfinato. La costruzione è della metà del 1600, sede dei padri eremitani di S. Agostino. Il convento, la chiesa e i tanti ricordi presenti in essa sono le belle testimonianze della secolare presenza agostiniana in Gravina di Puglia. I religiosi furono costretti a lasciare il convento nel 1810 e non vi ritornarono più per il susseguirsi turbolento delle vicende politiche e culturali, religiose e rivoluzionarie. Dopo quasi due secoli di abbandono, è veramente difficile trovare, sia pur minimo, un ricordo della tradizione agostiniana in Gravina. Ma se la memoria degli uomini non dà affidamento, ci sono, però, ricordi di arte e di pensiero che tramandano nei secoli futuri, il bene realizzato. Il plesso agostiniano di Gravina -per la sua imponenza- testimonia l’attività dei frati, confessa la religiosità dei gravinesi, loda la generosità e il culto per l’arte dei signori di Gravina la quale si vanta d’essere “urbs opulenta” e madre feconda di “Grana et Vina”. La facciata della chiesa -come tutto il complesso- è di stile barocco e si rifà a quello napoletano. Rompono la continuità della facciata, una imponente entrata e due porte laterali di dimensioni modeste. Tutto il prospetto superiore è diviso da due listoni in rilievo che corrono orizzontalmente da un punto all'altro dando, in tal modo origine a due sezioni. La prima sezione ha al centro una finestra e due nicchie laterali; la parte superiore chiude a cuspide l'intera facciata. L'interno della chiesa è un vero scrigno di memorie agostiniane. Essa è ampia, solenne, divisa in tre navate con altari laterali; conserva ancora la doppia sacrestia. Seguendo la descrizione, fatta dal rappresentante del governo nel 1865 leggiamo: vi erano quadri e statue di S. Agostino, di S. Monica, di S. Rita, di S. Tommaso da Villanova, della Consolata, S. Nicola da Tolentino insieme con tanti altri santi. I due confessionali meritano d'esser ricordati perchè sulla porticina di accesso di ambedue, a forma rigonfia, è scolpito a rilievo lo stemma della famiglia principesca Castriota Scanderberg Orsini, formato da due aquile rampanti, che reggono una corona sotto cui c’è il simbolo dell’Ordine agostiniano (testimonianza sicura di una dipendenza del convento di Gravina dalla nobile famiglia Orsini Scanderberg). Completa l'insieme un grande campanile le cui campane furono fatte fondere da padre priore Samuele Caccavallo. L’esterno del convento è ben curato ed è stilisticamente in armonia con la facciata della chiesa.  L'interno del convento, malgrado le mutilazioni e gli adattamenti, conserva la linea architettonica originaria. Esso è “costituito di due piani, dotato di scantinati e orto, aveva chiostro quadrato con quattro arcate a tutto sesto per lato su pilastri e alto stilobate, conservato ancora su  un lato. Fu sede, oltre che dellasilo e scuole ricordate, del ginnasio ‘A. Scacchi’, dell’omonima scuola d’avviamento a tipo commerciale, ed è attualmente adibito ad abitazioni per civili”. Auguri al parroco sac. don Saverio Paternoster che con tanto impegno, cura la Chiesa di S. Agostino; congratulazioni all’Amministrazione Comunale di Gravina che tanto decorosamente conserva questa struttura agostiniana. Le citazioni storiche virgolettate sono tratte da: Gravina Urbs Opulenta di Giuseppe Lucatuorto, ediz. Arti Grafiche Savarese - Bari - anno 1975.

 

Ringraziamo il dott. Vito Niceforo di Gravina che mi ha procurato i documenti riguardanti la storia dei PP. Agostiniani in Gravina.

I documenti

Gli studiosi della storia di Gravina, nell’affrontare la questione intorno alla venuta in quella città dei frati dell’Ordine Eremitano di S. Agostino, si richiamano alla data indicata in un frammento: “Pochi passi distante dalla città, verso mezzogiorno, fuori dalla porta detta di basso è situato questo convento in cui nel 1633 trasferirono i PP. la loro abitazione, lasciato il vecchio posto in un luogo lontano, ad aria poco salubre, ove dimorarono solo 80 anni, giacchè fu quello fondato nel 1553” (Visita Apostolica alla città di Gravina del 1714). Possiamo accettare la data del 1553 -anche se non accertabile- perchè proprio in quel periodo di tempo, i conventi degli agostiniani presenti nel circondario Andria, Altamura, Matera godevano buona salute ed erano in grado di poter inviare dei religiosi in quella città, la quale per condizioni economiche, per livello religioso e culturale, non era per nulla inferiore alle città del territorio. Gli eremiti agostiniani, seguendo i suggerimenti spirituali comuni a tutte le comunità dei frati, non scelsero una sede comoda posta in pieno tessuto cittadino, ma si fermarono in periferia, forse al di là della cintura muraria, abitarono in una vecchia struttura dell’abazia benedettina, in un convento ampio ma poco sicuro, in una zona solitaria e mancante di conforti. Gestirono la chiesa dei benedettini dedicata ai santi Rocco e Vito la quale possedeva dei beni tra cui viene ricordato un gran numero di ovini, così ci riferisce il documento: “l’Ecclesia di S. Rocco e S. Vito, avevano 4000 pecore nella Selva”. Dalle notizie riferite, ci convinciamo sempre di più che la comunità ivi stanziatasi dovette adattarsi a una vita molto sacrificata e piena di umiliazioni. Forse fu proprio questa situazione così precaria che non invogliò altri religiosi a chiedere la sede di Gravina. La comunità, in quel convento, ebbe pochi frati i quali per sostenersi in vita erano costretti a cercare elemosine in paese. L'insalubrità del luogo rendeva ancora più difficile la convivenza. Gli stagni circostanti, gli insetti che prolificavano per l’ambiente malsano, certo non favorivano lo sviluppo di una vita ordinata e religiosamente accettabile. Le comunità agostiniane che si susseguirono nel tempo (per buona consuetudine un religioso non può rimanere a lungo nella stessa comunità) vissero con spirito di vero sacrificio una vita misera. Oltre tutto la mancanza di una vera vita serena corrispondente agli ordinati ritmi religiosi, era data dalla presenza di gente malavitosa. I malviventi (gente che rifiuta l'ordine civile stabilito e che, anche a livello di subconscio, distrugge la convivenza umana con rovine, morti e ruberie) sono sempre presenti in tutti i tempi e in ogni luogo. A Gravina, i delinquenti, per evitare il contatto con la società, si aggiravano nelle campagne della zona e il più delle volte si rifugiavano nel convento dei religiosi agostiniani per trascorrervi la notte. Non era quella una accoglienza gradita, perchè solamente sotto le minacce, i malavitosi, con prepotenza, occupavano il convento. Questi eventi si ripetevano molto spesso e si aggravavano quando si accompagnavano con le donne. Il convento, in tali situazioni, non era più un luogo di preghiera, i frati, condizionati e umiliati, perdevano ogni possibilità di raccoglimento e la paura era l’inseparabile compagna. Di questa situazione, tanto tragica ed amara, c’è ricordo, breve ma significativo in una relazione del 1615: “Il Monatero dei Padri Agostiniani e simile di distanza al sopradetto (quello di S. Sebastiano) da detta Città, ha una Chiesa grande sotto il titolo di S. Vito. Vi sono doi Padri Sacerdoti un professo et un Serviente. L’Habitatione non ha clausura, tale per la povertà che tengono, che parvie vi stanno con pochi frati, Vanno ancora mendicando per la Città per poter vivere et perchè ditta Clausura non riappraposito, alcune delle volte vi ricapitano di notte gente di mala vita et decto più per il pericolo che portano non possono far di meno a non riceverli”. Nonostante tante avversità la comunità resistette a tutti gli assalti micidiali del diavolo e degli uomini. I tempi bui finirono, i frati agostiniani si meritarono la stima dei cittadini, la provincia agostiniana di Puglia intervenne. La succitata relazione rappresenta una precisa presa di coscienza da parte della comunità dei frati, costrinse i religiosi ad uscire da quella insostenibile situazione. La prima decisione fu quella di abbandonare l’antica abbazia benedettina e la chiesa dei santi Vito e Rocco per scegliere un luogo all’interno della città che fosse più sicuro dalle scorrerie dei malavitosi, posto in un’area più salubre e vivibile. Fu scelta la località detta “porta di basso” entro la città, non troppo lontana dal centro cittadino. Il luogo prescelto possedeva una vecchia chiesa, dedicata a S. Antonio da Vienna. Gli agostiniani, entrati in possesso del territorio, prima di trasferirsi, pensarono di costruire una sede che desse loro la possibilità di vivere una vita a servizio del popolo e della propria santificazione. Misero a disposizione tutti i beni solidi ed immobili, ricorsero alla munificenza del popolo, chiesero aiuti particolari alla nobile famiglia “Tolfa” il cui emblema fu inserito in un punto eminente nella volta della chiesa; ricorsero, per la manovalanza, alla generosa volontà del popolo. La realizzazione durò parecchi anni e non mancarono difficoltà ed imprevisti che ne allungarono i tempi. Ancora oggi i gravinesi si interrogano, se la chiesa sia una costruzione tutta nuova o un rifacimento di quella chiesa di S. Antonio da Vienna; oppure se fu usato materiale della suddetta chiesa o materiale proveniente da altre parti. Questi interrogativi non interessano alla nostra curiosità. La chiesa fu costruita in stile barocco, secondo i canoni del tempo, piacque a tutti e tutti ne elogiavano la grandezza e la ricchezza monumentale. La chiesa fu pronta ad accogliere i fedeli ed i frati nell’anno 1633 e si chiamò “chiesa di S. Agostino”. Vicino alla chiesa fu costruita anche una prima parte di quello che poi sarà un grande convento. Da varie relazioni si rileva che la comunità dei frati è di molto mutata rispetto agli anni passati. Dai documenti del tempo: “Fondo Capitolare... Congregationes Capitulares, 17/11/1679. Concessione in Enfiteusi a Leonardo di Gesù della Tufara a S. Martino per il canone di carlini dodeci...”. Da quei documenti ci convinciamo che la comunità era numerosa, regolarmente guidata da un priore eletto canonicamente, si nota anche l’impegno dei religiosi nell’esercizio della vita pastorale. Tra i frati presenti non manca chi si fa notare per attività culturale. Indice sicuro di tanto mutamento è la disponibilità economica raggiunta dalla comunità. L’evento più significativo fu la risoluzione di costruire una dimora nuova, dignitosa, bella, accogliente, tale da poter accogliere una comunità numerosa finalizzata alla formazione spirituale e culturale dei giovani aspiranti religiosi. Finiti i lavori della chiesa, pagati tutti i debiti ad essa inerenti, i religiosi si decisero di costruire il nuovo convento. Iniziarono i lavori. A un certo punto venuta meno la disponibilità finanziaria, data l'emergenza dei lavori, i padri si rivolsero all’autorità diocesana per un aiuto finanziario. I propositi e le intenzioni dei padri religiosi sono ricordati nel documento del 1680: “Il Priore, e Frati dell’Ordine eremitico di S. Agostino di Gravina humilmente gli rappresentano, come havendo cominciato una fabbrica in quel Convento necessaria per l’habitatione de’ PP. e comodo d’officine, che non ponno proseguire per le miserie de’ gl’anni correnti; è stato considerato da Periti, che non terminandosi in breve ne seguirà danno grande, a quanto sin hora è stato fabbricato con molte spese, il che si rende impossibile poter adempiere così presto con l’entrate de sopravanzi del Monastero, essendovi necessario a giuditio de’ Periti spendervi da trecento ducati in circa. Ha il detto Convento in Deposito ducati cento quaranta da rinvestirsi, che stanno infruttuosi perchè non si ritrova comodità sicura, et havendo congiuntura di vendere sessanta tomole di terra nella contrada Gurgonia dalla quale ne retrahono ducati due (venti carlini) l’anno stimata ducati cento trenata conchè si sodisfarebbe al detto bisogno. Supplicano l’EE. VV. di compiacersi dargli facoltà di vendere la sopradetta Terra, et il ritratto d’essa con li ducati cento quaranta impiegarli per terminare detta fabrica, con l'obbligo di rimettere in Deposito in termine di quattr’anni tutta la somma sopradetta di ducati duecento sessanta per rinvestirli”. Costruirono un convento che si distinse fra tutti quelli già esistenti in città, per ampiezza di superficie, per armonia architettonica, per la felice coincidenza tra il gusto estetico e le spirituali aspirazioni della vita religiosa. Il convento acquistò rinomanza dovuta soprattutto al comportamento degli agostiniani in seno alla chiesa di Gravina. Ad aumentarne il prestigio furono due fatti: la nomina a vescovo della città di Gravina del Padre Generale dell’Ordine, padre Domenico Valvassori di Milano. Una lapide, posta nella chiesa di S. Agostino ne tramanda la memoria. L’autore ricorda ai posteri in uno stile di ricercato barocco, i pregi, le virtù spirituali, culturali e umane dell’illustre vescovo. L’altro fatto è ricordato dal documento, che è una risposta ad una precisa richiesta, fatta dall’autorità competente. Richiama, brevemente, il genere di vita vissuta dai religiosi in quei tempi, con un genere di vita molto migliorata dal momento che i frati danno esempio di vita comunitaria apprezzata per semplicità di costume e per zelo religioso. Epistola S. Congr., 1703-1707: “...la mia tardanza di rispondere n’è stata cagione che in questo Convento non ci stanno se non quattro religiosi Sacerdoti, il Padre Priore de’ quali è un tal Baccegliere fra Antonio Capone, nativo di questa Città, dal quale gli altri tre Padri hanno piena dipendenza, come che egli è anche stato Provinciale di questa Provincia, dove perciò fà qualche distinta figura e vi scrivo io per havere una certa notizia delle religiose procedure de’ medesimi Padri, havendo giudicato a proposito di attendere la congiontura, che fusse stato in questa Città di passaggio alcuno de’ religiosi figli di esso Convento, che furono mandati fuori sin da quando i detti quattro Religiosi si obbligarono alla osservanza, e vita Comune [...] che dentro il Convento si vive con qualche esattezza di regola, e costituzione dell’Ordine, senza abusi notabili contro di essa, che io habbia potuto sapere. E per quanto riguarda il di fuori del chiostro, posso io dar certa certezza che da che hanno accettata detta religiosa osservanza hanno dato di se medesimi maggior saggio, che non davano da prima, con qualche mia inquitudine. Detti religiosi fanno orazione mentale una nell’ora nel Coro il giorno, et a suo tempo il capitolo delle colpe, i digiuni, et alcuni esercizi spirituali prescritti dalla regola. Vi assiste da tutti al Coro, anche dal superiore, quando non sia occupato della carica. Sudetti quattro Padri solamente il menzionato Padre Baccegliere haveva qualche considerabil somma di denaro, poca un’altro Padre, e niuna gli altri due. E quando tutti si obligarono alla vita comune, misero il denaro, che havevano in una cassa di deposito comune insieme con gli altri denari del Convento, con notare in un libretto apparte quanto i sudetti religiosi havevano depositato. Et al vitto, e vestito, e Suppellettile di ciaschedun religioso si compolisce colle rendite comuni del Monistero in robba, secondo il loro bisogno di ciascheduno, conforme facevano prima in contanti, fra i limiti di certa somma e non ancora à fatto il caso di dar dimano al deposito de’ sudetti particolari, che suppongono di doversi fare nel solo caso, che non potessero corrispondere le rendite Comuni del Monistero. Tutti i religiosi mangiano alla tavola comune il medesimo pane, vino, e pietanza, eccettuato il padre Baccegliere, e Priore attuale, il quale essendo infermo per consulta de’ medici usa alle volte cibi distinti et in tali casi suol mangiare alla tavola comune ma in loco appartato dal Refettorio. Non vi è disordine circa il vestito, e suppellettile delle celle, essendo uniformi e non indecenti alla povertà religiosa fra i limiti pii tosto del necessario, che del superfluo. Novizij in questo Convento non vi sono, nè vi sono mai stati, et il numero de’ Padri e de’ suddetti quattro Sacerdoti presentemente et un Converso, che fa il Procuratore, oltre ad un oblato che accudisce alle cose di Campagna e per lo passato sono stati per lo più in qualche maggior numero. Le rendite certe del Convento si calculano a scudi 500, che quanto a religiosi particulari, figli del Convento, non si sa che alcuno habbia particulare rendita eccettuato il sudetto Padre Baccegliere, il quale intendo, habbia la rendita di scidi 30 annui che al presente si esiggono dal Procuratore del Monistero, il quale li mette nel Comune deposito, come gli altri, come sopra. I pesi della Chiesa assorbiscono la limosina di tre Messe il giorno di modo che essendo quattro li Sacerdoti giornalmente celebranti resta il beneficio della Sagristia la limosina di una Messa. La fabrica di detto Convento ha del magnifico qui di quanto ogn’altro Convento di questa Città, et in esso è stata chiusa parte di un dormitorio, destinato per nuovo Noviziato, il quale viene ad essere ben diviso, con clausura particolare, colle sue officine, celle distinte”. Per tutti gli altri anni del 1700 il convento e la chiesa degli agostiniani non trovano particolari menzioni, per cui è facile ritenere che la vita e l’attività dei frati si svolsero regolarmente, impegnati a dar testimonianza di figli di S. Agostino. I frati agostiniani furono costretti ad abbandonare la loro sede di Gravina nell’anno 1810, dopo più di duecentocinquant’anni di permanenza, a causa degli editti di esproprio emanati da Luigi Bonaparte e da Gioacchino Murat, mandati a dominare la cosa pubblica del regno di Napoli dal loro congiunto Napoleone Bonaparte. La chiesa di s. Agostino fu affidata alla cura della diocesi, mentre il convento divenne proprietà demaniale a servizio del comune di Gravina. Rientrato in possesso del regno di Napoli nel 1819, Ferdinando IV, volle restaurare l’autorità religiosa e permise il ritorno dei frati nelle loro sedi. I religiosi agostiniani non ritornarono a Gravina. La Curia Vescovile ottenne il complesso agostiniano per propria utilità. Nel 1864 la chiesa fu ceduta alla Congregazione dell'Addolorata. Così risulta dal verbale di consegna della Chiesa di S. Agostino con tutti gli arredi sacri alla Congrega della SS. Addolorata 1864: “L'anno milleottocentosessantaquattro il giorno dieci Maggio in Gravina nella Sagrestia della Chiesa del soppresso Monistero di S. Agostino sito fuori Porta Basilicata. Noi Luigi Tomacci del fu Gerardo Ricevitore del Demanio e Tassa nella qualità di Agente della Cassa Ecclesiastica di questo Mandamento e dietro incarico ricevuto dal Signor Direttore di Bari con nota de’ 26 Febbraio ultimo, Numero 1598, Sezione 4, d’onde risulta di divenirsi ad una regolare consegna alla Congregazione della SS.ma Addolorata di qui, sì del locale ad uso di Chiesa esistente in detto Monistero Soppresso di S. Agostino, come ancora di tutti gli Arredi Sacri, Quadre, Statue, Effigie, oggetti preziosi e tutt'altro che alla medesima sono inerenti...”. Nel 1865 il comune di Gravina chiese alla curia vescovile l’uso dell’edificio. Giuseppe Lucatuorto così ricorda nel libro: Gravina Urbs Opulenta, ediz. Grafiche Savarese - Bari - 1975 scrive: “Nel 1865 il Municipio, ‘diradatesi le orde dei malfattori ed evacuato dalle truppe che l’occupavano’, lo richiese in fitto alla cassa ecclesiastica, per adibirlo ad asilo e scuole elementari, ma ne ottenne definitivamente l’uso con la legge del 1886”.

 

P. Tommaso Autiero