da un articolo:
GLI AGOSTINIANI A GIOVINAZZO (BA)
di Filippo Roscini
La chiesa di S. Agostino a
Giovinazzo non é molto antica, contando appena 250 anni di vita, di cui circa
40 come parrocchia. Ma la sua storia originaria comprende l’intero secondo
millennio e risale alla venuta degli Agostiniani a Giovinazzo sin dal secolo XII.
Tali religiosi vennero a
Giovinazzo e vi costruirono il loro piccolo monastero, detto appunto di S.
Agostino vecchio, seu iuxta muros, o
sopra i fossi (1), perché era ubicato
nelle vicinanze delle mura di levante, non molto lungi dalla attuale chiesa di
Santa Maria degli Angeli, seu de lo muro.
Detto monastero dovette essere costruito fra il X ed XI secolo, al tempo cioè
in cui dappertutto pullulavano tanti monasteri agostiniani. Ed anche quello di
Giovinazzo visse il suo momento di grande notorietà sulla fine del secolo XI,
fra il 1090 ed il 1098, quando, secondo la tradizione locale, ebbe l'onore di
ospitare il papa Urbano II, venuto per “ordinare” al dotto monaco e poeta
giovinazzese Guglielmo Appulo la composizione del poema epico sulle Gesta di
Roberto il Guiscardo (2). A nostro parere
quindi, un primo pensierino sulla necessità di darsi una nuova Cattedrale, i
giovinazzesi lo dovettero fare proprio in quella circostanza, sulla fine del
secolo XI, quando cioè il papa, sceso a Bari verso il 1090 per la consacrazione
dell'arcivescovo Elia, e nel 1098 per la celebrazione del Concilio di Bari,
visitò nel monastero di S. Agostino il monaco Guglielmo Appulo, e nella piccola
primitiva Cattedrale di Santa Maria fu ricevuto dal vescovo Pietro II. Quella
visita fu senz'altro un avvenimento strepitoso nella vita della piccola
Giovinazzo, e certamente richiamò festanti le popolazioni dei Casali, ma allo
stesso tempo mise in grave disagio il vescovo, costretto ad accogliere il
pontefice in un tempio così piccolo. Bisogna attendere però il secolo XII per
avere del nostro monastero le prime vaghe notizie documentate nelle Bolle dei
Metropoliti di Bari (3), che parlano di “monasteriis servorum Dei, seu virorum,
riferendosi chiaramente agli Agostiniani, giacché a quel tempo a Giovinazzo non
c'erano altre comunità religiose maschili. Nel secolo XIII poi, le notizie
diventano più precise e particolareggiate, e lo stesso cronista cinquecentesco
Bisanzio Lupis, riportato più tardi da Ludovico Paglia (4), ne parla diffusamente e racconta alcuni
miracoli compiuti dal santo domenicano giovinazzese Nicolò Paglia, il quale,
passando per Giovinazzo, “alloggiò al loco vecchio di S. Agostino (5). Giunse però il 1460 e, purtroppo, come tanti
altri edifici di Giovinazzo, anche il monastero di S. Agostino conobbe la fine,
una fine tanto più tragica quanto più penosa. In quell'anno infatti, il nemico
più detestato dai giovinazzesi fu il principe di Taranto Giovanni Antonio
Orsini, testardo e deciso a voler impadronirsi di Giovinazzo con l'assedio (6). I nostri antenati però, si mostrarono
altrettanto fieri, irriducibili e coraggiosi, e per sottrarre la campagna e la
città alla furia devastatrice del nemico, “usando pietosamente la crudeltà; si
diedero ad appianare gli edifici vicini per non lasciare alcun ricovero ai
nemici..., per cui gettarono a terra la chiesa ed il convento di S.
Agostino...”(7).
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(1) B. LUPIS, Cronache, 55.
(2) F. ROSCINI, Guglielmo
Appulo e le Geste di Roberto il Guiscardo, p. 49.
(3) F. ROSCINI, Giovinazzo e i
suoi Casali, 27-29.
(4) L. PAGLIA, Istorie di
Giovinazzo, p. 51.
(5) B. LUPIS, Cronache, 39:
“Narrerò quel che d'antichi di questo Beato huomo ho sentito..., passando per
Jovinazzo alloggiò al loco vecchio di S. Agostino presso il fosso...”.
(6) B. LUPIS, Cronache, 57-58.
(7) L. PAGLIA, op. cit., p.
128.
Conclusione di tanto
disastro fu tra l'altro l'annessione degli Agostiniani alla chiesa di S.
Giacomo della Pescara, e da allora cominciò il periodo di un secondo monastero
agostiniano, chiamato anche “S. Agostino della Pescara”, o sopra i fossi, ove
sino a 70 anni addietro si vedevano ancora i ruderi di una piscina, o cisterna,
detta appunto “la Pescara” (8). Si
trattava di una chiesa collocabile tra la fine del sec. XII e gli inizi del
secolo XIII, perchè, come ricorda il Paglia (9),
già sin dai primi decenni del 1300 ne figurava Rettore l'abate Leone Sasso,
erroneamente ritenuto da qualche storiografo locale, elevato alla sede
arcivescovile di Siponto (10). Ma nemmeno
di questo secondo periodo conosciamo molto intorno alla comunità agostiniana,
perché fu un periodo piuttosto breve, e durò appena 70 anni, sino al 1529,
quando il principe di Melfi Giambattista Caracciolo compì una sistematica
distruzione di Giovinazzo, per cui anche il monastero della Pescara fu
abbattuto (11). Nell'Archivio della
Cattedrale si conserva la Bolla di papa S. Pio V, del 21 maggio 1566, con cui,
dopo quella distruzione, la Chiesa riprese l'antico nome di S. Giacomo della
Pescara, o extra muros, e divenne
beneficio di ius patronato
dell'Arcidiacono don Pietro De Grandis; mentre gli Agostiniani si allontanarono
dalla città per circa mezzo miglio nella campagna, ossia si stabilirono sulle
rovine della chiesetta di S. Tommaso Apostolo (12),
ove per concessione di papa Clemente VII, poco più tardi diedero inizio ad un
terzo convento ed all'attuale chiesa parrocchiale di S. Agostino (13).
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(8) Si trovava sul versante occidentale
dell'attuale piazza Vitt. Em. II, quasi alla convergenza di via Molfetta e
corso Amedeo, ove c'era una grande cisterna pubblica detta la Pescara. Il
termine Pescara, detto meglio “Piscaia", era trasformazione dialettale di
un latino medioevale piscaria, come
luogo ove si vendevano i pesci, o piscarius
come costruzione di palizzate e di muri, atti a contenere le acque, per
ottenere un fondale adatto all'approdo delle barche da pesca. In altre parole
quel sito avrebbe indicato l'estremo limite del greto della insenatura
portuale.
(9) L. PAGLIA, op. cit., 83.
(10) La elevazione di Leone
Sasso ad Arcivescovo di Siponto non risulta molto chiara dalle carte
dell'Archivio della Cattedrale, le quali si esprimono chiaramente in altro
senso, come questo: “In anno Domini millesimo tricentesimo quadragesimo quinto,
mensis novembris, die quintodecimo eiusdem Indictionis XII. Reverendus Dominus
Jacobus (Giacomo II, Carruba) Juvenacensis Episcopus et Capitulus eius dederunt
seu locaverunt et concesserunt in vita Abbati Leoni Archydiacono garganico
ecclesiam sanctae Catharinae in casali suo cum jardinello. Ita quod ipse faciat
qualibet ebdomata celebrari ibi tres Missas et ministret oleum lampadarum
ipsius, de voluntate et consensu dicti domini episcopi dedit et resignavit
auctoritate nostra loco et procurationem dicti casalis beneficia videlicet”.
(Cfr. I. LUDOVISI, Consuetudini e Privilegi della chiesa di Giovinazzo, p. 35).
Senonché nemmeno tale testo é esente da errori che seminano dubbi, e tutto il
suo contenuto è poco chiaro, senza tener conto della Indizione, che nel 1345
non era 12a, ma 8a, dimostrando che il documento doveva essere del 1449.
(11) B. LUPIS, Cronache, 68.
(12) Anonimo giovinazzese del
1581, Origine e Descrizione della città di Giovenazzo, p. 44.
(13) F. ROSCINI, Giovinazzo
nella storia, 245.
Tale chiesetta dedicata
all'apostolo S. Tommaso, ed ubicata “a poca distanza dalla città, in mezzo ai
sobborghi più ridenti, in via di Santa Lucia, o di Corsignano” (14), era una delle più antiche chiese di
Giovinazzo , risalente secondo la tradizione addirittura al secolo V, quando
dopo la conversione di Costantino Magno e la concessione della libertà alla
chiesa cristiana, anche la parte della popolazione giovinazzese rimasta ancora pagana,
aprì gli occhi al Vangelo, rigettò il culto degli dei ed eresse fra le altre,
una chiesa a S. Tommaso. Oggi purtroppo nessuna traccia resta di tanta storia,
e quasi al centro di un nuovo e vasto rione cittadino, formatosi nel secolo XX,
troneggia maestosa la bella chiesa di S. Agostino. Sono scomparse “le
cocevoline” di Pietro de Turcolis del secolo XIV, le quali furono piazze d'armi
delle truppe angioine ed aragonesi (15);
non ci sono più le terre bruciate dalle truppe del Vitelleschi nel secolo XV (16) e trasformate alcuni anni dopo in terras seminatorias da Stefano Saraceno;
non c'è più alcuna traccia delle devastazioni compiute nel 1459 dai bitontini,
terlizzesi e molfettesi, istigati dal principe Orsini (17). Non si parla più del “giardino Pontremoli, della cocevola di S. Agostino” del secolo
scorso (18), la cui estensione era
valutata a 7 vigne e ordini 5; ed è sparito ogni richiamo alla cocevola del
Duca di Giovinazzo, ed alla nota “piscina a muracchio” sulla via di S. Agostino
(19). Oggi anche una nuova toponomastica
si è sovrapposta alla antica nel linguaggio del popolo. Tutta la zona è
chiamata S. Agostino, mentre le vecchie denominazioni ormai e sistono soltanto
nelle carte dell'Archivio della Cattedrale, nel Libro dei Censi di Giovannello
Sasso e negli Atti notarili. Via S. Agostino, insomma, era una autentica
arteria rurale, che partiva dal borgo costeggiando a levante la proprietà dei
Domenicani e raggiungeva ed oltrepassava quella che più tardi sarebbe stata la
ferrovia. Era l'attuale via Marconi, che dalla piazza saliva, costeggiando a
levante la proprietà del Duca (chiamata Casino, o via del Casino), ed a ponente
quella dei frati domenicani ed agostiniani. Tale diversità di proprietari, e
soprattutto la creazione della villa comunale poi, fecero scomparire la
dicitura via S. Agostino, sostituita da via Marconi, mentre via Casino divenne
via Agostino Gioia. Gli Agostiniani dunque si stabilirono in un punto
strategico del futuro abitato cittadino, e per nulla scoraggiati, attesero
tempi migliori per realizzare la loro grandiosa opera del monastero e della
chiesa.
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(14) L. MARZIANI, Istorie di
Giovenazzo, p. 156.
(15) F. ROSCINl, 150 anni di
vita e di storia dell'Ist. Vitt. Em. II, p. 30, in nota 8.
(16) B. LUPIS, Cronache, 56.
(17) F. ROSCINI, Giovinazzo
nella storia, 199.
(18) F. ROSCINI, 150 anni di
vita e di storia dell'Istituto Vitt. Em. II.
(19) Atto del notaio Angelo
Valente di Molfetta ai 3 di settembre 1653, ricordato nella Platea dell'Arcipretura
di Giovinazzo del secolo XVIII.