P.
MARIANO FERRIELLO OSA
Congregationis S. Joannis ad Carbonariam
CDXXX - MCMXXX
____________________________________________________________________________________________________________
[P. 9] Andria, città antica, illustre, ridente, dopo Bari, la più popolata della provincia, fa da cavaliere a levante, alle sponde dell’Adriatico, da cui dista Km. 8. Essa, su di ogni altro, vanta la gloria, secondo un’antica tradizione, di aver ospitato l’Apostolo S. Pietro, dal quale ebbe i primi rudimenti della nostra santa fede, e di avere avuto, sotto S. Gelasio I, in modo straordinario, il primo vescovo nella persona di Riccardo d’Inghilterra. Tra i presuli illustri, successori di Riccardo, troviamo ben quattro vescovi dell’Ordine eremitano di S. Agostino: di essi daremo un breve cenno biografico, che servirà a farci conoscere i primordii, in Andria, di questo sacro Istituto, che fino ai nostri tempi, ha dato religiosi eminenti per santità e dottrina.
[P. 10] Il chiarissimo storico Ughelli, nella serie, che fa,
dei vescovi di Andria, dopo un anonimo, incomincia col presule Fra Placido,
omettendo l’anno, la città natale e l’Ordine a cui appartenne. Dal Milensio,
Herrera, Torelli, Crusenio, Berti (1) ed
altri viene annoverato tra i prelati dell’Ordine di S. Agostino. Questo dotto e
pio Frate, nell’anno 1274 prese parte al Concilio di Lione e nel 1290 fu creato
vescovo di Andria, nella Puglia. Zelò l’onore di Dio, accrebbe il patrimonio
ecclesiastico, e, dopo molte istanze, ottenne dal Re Carlo II la traslazione di
alcune decime a favore della chiesa di Andria. Nel 1295, sotto Bonifacio VIII,
fu fra i sette vescovi che assistettero alla consacrazione della chiesa
cattedrale di Bisceglie, fatta da Leone, vescovo di quella città. Concedeva nel
1304 indulgenze alla Chiesa di S. Maria del Mercato, in S. Severino (2). Visse fino all’anno 1315. Per
amore d’equità amiamo riportare la cronica dell’Ordine domenicano (3).
Volendo pure prendere in considerazione la cronica in parola, non confermata da
storico alcuno, dobbiamo dire che il Fra Placido da Solmone forse [p. 11] è quell’ignoto, predecessore del Fra
Placido Agostiniano, tanto più che passa un decennio dalla preconizzazione
dell’uno a quella dell’altro.
Fra Giovanni nella cronologia dei vescovi
andriesi chiamato Fra Giovanni II, ebbe a patria la città di Alessandria e
indossò le lane di Agostino distinguendosi tra i suoi coetanei per pietà e
sapere, tanto che fu eletto vescovo di Acerno dal clero di quella città, e
consacrato nel 1340 dall’arcivescovo di Salerno. Gli storici non ci hanno
tramandato il motivo, per cui Papa Clemente VI non volle riconoscere tale
elezione, però rimase in Acerno in qualità di Amministratore Apostolico fino a
che lo stesso Pontefice, a di 10 dicembre 1348, lo destinò come vescovo alla
sede di Andria, siccome risulta dai registri di Papa Clemente VI, nella
Vaticana. Questo vescovo, Fra Giovanni, occupò per un solo anno la sede
vescovile di Andria, essendo morto al principio del 1349 (4).
Nel detto anno 1349, venne preconizzato, dal
medesimo Papa Clemente VI, a dì 14 marzo, vescovo di Andria, Fra Andrea, come
risulta dai registri di detto Papa (5). [P. 12]
Anche di questo
inclito presule non ci sono giunte memorie. Di certo fu eremitano di S.
Agostino, e resse con zelo e fortezza la chiesa andriese, nel tempo in cui
venivano riparati gl’ingenti danni, cagionati dalle barbare orde. L’Ughelli,
Torelli, Berti, Gams, ed altri ne riportano la beata morte nel 1353 (6).
Frate Emilio, detto Melillo, nacque in Andria
dall’illustre e valente dottore in legge Giuseppe della nobile famiglia
Sabalice. Il giureconsulto, più che alla toga e allo spadino attendeva, da buon
cristiano, all’educazione dei figliuoli, i quali emularono l’amato genitore
nella pietà e nelle lettere. Due di essi abbandonarono il mondo e professarono,
nel patrio cenobio, la regola agostiniana, dai nomi Fra Emilio, detto Melillo e
Fra Matteo. A Fra Melillo a dì 18 giugno 1475 fu conferito il Lettorato d’onore
dal Rev.mo P. Generale Giacomo da Aquila (7), e
a dì 4 giugno 1485 fu, dal Rev.mo P. Generale Fra Ambrogio da Cori, nominato
suo Vicario del convento di Andria: “Abbiamo spedito lettere [p. 13] a detta provincia per il futuro
capitolo, nelle quali, in terzo luogo nominammo nostro Vicario Fr. Melillo
d’Andria, come si suole concedere con simili forme” (8). Fu preconizzato poi vescovo
della città natale da Bonifacio IX a dì 24 settembre 1390. Frate Matteo,
destinato di famiglia in altro convento, nel 1401 si portò in patria a visitare
il fratello vescovo, ove, resosi gravemente infermo, passò a miglior vita.
Dolente il buon vescovo, gli diede onorevole sepoltura, facendolo tumulare
nella chiesa cattedrale, e propriamente nel presbiterio, in cornu epistolae,
ove sulla lapide sepolcrale fu fatto scolpire l’immagine di Frate Matteo in
abito eremitano, con l’incisa epigrafe che riportiamo in nota (9). Fra
Melillo, dopo un lungo e laborioso governo di 28 anni, nel 1418 passò a
ricevere l’eterna mercede. I concittadini, grati e riconoscenti, vollero perpetuarne
la memoria dedicandogli una piazza lungo la strada Fravina, presso l’abitazione
[p. 14] della sua nobile famiglia,
già da tempo estinta, che ancora ai nostri giorni è chiamata “Piazza Melillo” (10).
Fra Adeodato Nuzzi, d’Altamura, dell’Ordine
eremitano di S. Agostino, fu preconizzato vescovo di Andria nel 1718. Questo
frate, celebre per santità e dottrina, giunse ad occupare le più alte cariche
dell’Ordine, fino a quella di Generale per più volte. Sentiva tanto bassamente
di sè stesso che si fece a supplicare il Sommo Pontefice, affinchè lo
dispensasse dalla degnità vescovile. Non essendo stato presto esaudito
incominciò preghiere e rigorosi digiuni fino a che non gli venne assicurato che
avrebbe potuto continuare la sua vita di umile religioso. A ricordo di sì
profonda umiltà ne fu eretto un marmoreo monumento nella chiesa di S. Agostino
in Roma. Ora se da tempo remotissimo detti prelati governarono la chiesa
andriese, certamente, avranno fatto conoscere il loro sacro Ordine, di cui
erano decoro e vanto.
Non è nostro intendimento estenderci nelle
vicende politiche, però, per dissipare non pochi dubbi circa i primordi
dell’Ordine Eremitano di S. Agostino in questa città, e molto più [p. 15] per precisare le date storiche,
dobbiamo premettere la narrazione della venuta di Ludovico, Re d’Ungheria, in
Andria. Questo Re, sul finire del dicembre del 1347, per vendicare la morte del
suo fratello Andrea, marito di Giovanna, regina del regno di Napoli,
barbaramente strangolato nella città di Aversa, vi scese con forte armata.
Entrato nell’illustre città partenopea, pose a sacco e a fuoco le case dei
reali. Di poi si diresse nelle Puglie, e propriamente in Andria, per avere
nelle mani il Signore di essa, il conte Bertrando del Balzo, perchè questi
insisteva nel dichiarare la Regina Giovanna innocente dell’assassinio del
marito, mentre egli la riteneva mandante principale. Gli Ungari entrarono
liberamente in città col favore di un rinnegato cittadino soprannominato
“malospirito”, il quale aprì loro la porta, che fino ai nostri giorni è
chiamata Porta Castello. I Magiari, quali lupi rapaci dalle unghie adunche, si
diedero a depredare case, chiese, conventi, e, fatta man bassa di ogni cosa, oro,
argento, oggetti preziosi ed artistici, vettovaglie ed altro, appiccarono il
fuoco a quanto non avevano potuto involare (11). Di tanto bottino ed ingenti danni, cagionati
a pacifici cittadini, i barbari non furono sazi, e unitisi agli Alemanni, quali
fiere, che “dopo il pasto hanno più fame che pria”, piombarono, di bel nuovo,
sù la devastata e desolata città, e vi rimasero finchè non si sottomise al
dominio [p. 16] dell’Ungheria (12).
Finalmente la Regina Giovanna si rappacificò col Re Ludovico, dal quale
ricevette il riconoscimento legale sul reame delle due Sicilie.
8. Francesco del
Balzo
Le prime disposizioni della Regina furono,
con ragione, a favore della provata Andria: la elevò a ducato e vi nominò primo
Duca il Sig. Francesco, figlio del conte Bertrando del Balzo. Questo Duca,
d’animo nobile e generoso, come il padre, non indugiò a riparare i danni
cagionati dai crudeli nemici, e primo suo pensiero fu quello di riedificare le
case del Signore, come fece per la chiesa di S. Onofrio, ora detta del
Purgatorio, per la SS. Annunziata, ed altre. Si prese cura anche dei conventi,
tra cui il monastero, abbandonato di recente, dei PP. Benedettini con l’annessa
chiesetta dedicata a S. Martino. Non essendo più possibile farvi ritornare i
suindicati padri così vandalicamente sbandati, conferì certamente col vescovo
onde allogarvi altra religiosa famiglia. In questo tempo, sulla cattedra di S.
Riccardo, sedeva, per un anno solo, Fra Giovanni d’Alessandria, e poscia Fra Andrea,
amendue dell’Ordine eremitano di S. Agostino, come già abbiamo narrato. Questi
santi presuli, conosciuta la volontà [p. 17] del
Duca, per accontentarlo, e molto più per l’amore che nutrivano al loro sacro
Ordine, proposero gli Agostiniani, e senz’altro ne fecero le pratiche
necessarie, che riuscirono felicemente. Questa mia asserzione è confermata dal
celebre e dotto storico Can.co D. Michele Agresti, il quale dice: “il nostro
buon Duca Francesco del Balzo... fece venire in Andria gli Agostiniani calzati
dotandogli di tutto ed assegnando loro il convento, sito presso l’attuale
chiesa di S. Agostino (13).
9. Gli
Agostiniani
Gli eremitani di S. Agostino, preso canonico
e legale possesso dell’ex monastero Benedettino, e dei beni già appartenenti al
medesimo, stabilirono una regolare ed osservante comunità affiliata alla
provincia di Puglia, sotto la giurisdizione del R.mo P. Generale,
come risulta dai registri dei medesimi. Infatti a dì 14 febbraio 1358, da
Napoli, il R.mo P. Generale G. da Rimini destinava di da famiglia
nel convento di Andria Frate Masella, Campania (14). Nello stesso anno e
mese, il giorno 6, [p. 18] imponeva
al Priore di Napoli, Fra Paolo di Aversa, ed al procuratore dello stesso
convento, Fra Masella Macca, di restituire a Fra Giovanni di Bisceglie, Priore
di Andria, il resto di quanto gli dovevano (15). Il
detto Generale, a dì 8 settembre 1359, da Padova, concedeva al P. Priore ed ai
frati di Andria la licenza di vendere i possedimenti e le case meno utili,
purchè il prezzo ricavato venisse speso integralmente per la fabbrica di detto
convento (16). Oltre ai registri in parola vi è
nell’Archivio dell’Ordine lo stato di famiglia che i conventi sogliono mandare
in ogni capitolo generale. Per buona ventura è pervenuta fino a noi una di queste
relazioni dell’anno 1650, che riportiamo.
10. Stato del
Convento nell’anno 1650
[P. 19] “Il convento di S. Agostino
della città di Andria, situato dentro della città, in mezzo la piazza pubblica
chiamata la piazza di S. Agostino, tiene alcune memorie, (che) da 300 anni in
circa essere stato posseduto da Padri Agostiniani, e per detto di alcuni Frati
vecchi mortisi là, essere stato de PP. Benedettini sotto il titolo di S.
Martino. Da chi sia stato et come concesso, non se n’ha notizia. La chiesa sotto
il titolo di S. Agostino; il convento tiene due chiostri; uno principiato,
l’altro finito; dormitorio con 20 celle, con buona parte delle dette fuora del
chiostro; la metà del detto dormitorio è al presente caduta e l’altra metà
minaccia rovina. Il numero dei religiosi al continuo è di 25, et
al presente questi. I nomi dei frati, sono:
Priore: Bacc. Fr. Tadeo, oriundo da Napoli
Maestro Adeodato Pastore di Andria
Reg. B. Giuseppe Granata da Messina,
sottopriore
P. Fulgentio Rocci, d’Andria
Lett. Daniele Caputo da Cosenza
P. Bonaventura Olmo di Mattera
Lett. P. Desiderio Campagnia, napolitano,
Maestro di studio
P. Alessandro Paparo, napolitano, studente
P. Basilio Iampedro da Basilice, studente
P. Carl’Antonio Iacobectis, oriundo da
Gravina, studente
Fr. Ambrosio Merodio da Taranto, studente
Fr. Michel’Angelo Bobba da Brindisi, studente
Fr. Tommaso Fontana da Montescaglioso,
studente [p. 20]
Fr. Francesco Greco, napolitano, studente
Fr. Fulgentio Buon Padrone da Montepeloso,
studente
Fr. Adeodato Cierno d’Altamura, oriundo
d’Andria, studente, sacristano
Fr. Angelo Franco d’Andria, professo
converso, procuratore
Fr. Celestino Girasole da Bisceglia, oriundo
da Queno, suddiacono
Fr. Nicola Campanile d’Andria, oriundo di
Mola, converso professo, Canovaro
Fr. Leonardo del Monaco d’Andria, professo
converso, portinaio
Alessio Sisto delle Noci, terziario,
serviente.
Dalla Relazione del 24 marzo 1650, Arch. Ord.
Relazioni 4, fol. 269-270.
In questo chiaro e sintetico documento viene
narrato e confermato quanto abbiamo dedotto dalle ricerche religiose, storiche
e politiche del tempo: il monastero, già dei PP. Benenettini sotto il titolo di
S. Martino, fu concesso ai PP. Agostiniani verso l’anno 1350, perciò la data
del 1387, riportata da tutti gli storici, fino ai nostri tempi, è erronea,
tanta più che quella da noi inserita e che sosteniamo, è proprio dell’epoca del
Duca del Balzo e dei Vescovi Fra Giovanni II e Fra Andrea. Stabilita così la
data della venuta degli Agostiniani in Andria, crediamo nostro dovere rivendicare
le opere e le glorie del nostro sacro Istituto, nell’accingerci a dimostrare
come i nostri Padri siano i veri fondatori non solo dell’attuale chiesa di S.
Agostino, ma ancora del convento.
11. La chiesa
[P. 21] Stabilitisi gli Agostiniani
in Andria, primo loro pensiero fu di gettare le fondamenta di un grande e
artistico tempio in onore del loro inclito Fondatore, S. Agostino. Gli ostacoli
che si frapponevano a tanta opera non erano lievi: la città estenuata in
finanze, e non meno di questa il convento; senza però perdersi di coraggio si
rivolsero al Rev.mo P. Generale, P. Bartolomeo da Venezia e questi da Lucca, a
dì 12 aprile del 1387, dava licenza al Priore ed ai Frati di Andria di alienare
parte dei loro poderi per dare principio alla fabbrica della chiesa, licenza
che riportiamo: “Abbiamo concesso licenza al convento di Andria, provincia di
Puglia, di vendere quei possedimenti poco utili e di scarsissimo rendimento, ed
il prezzo da essi ricavato convertirlo tutto ed intero nella fabbrica della nuova
chiesa da edificarsi, nonostante il generale divieto, e da noi trasmesso a
tutta la predetta provincia di Puglia, di vendere tali possedimenti ed altro,
dispensando con loro solamente per questa volta. Inoltre abbiamo ingiunto ai
frati tutti di detto convento, sotto pena di ribellione a noi, che avvenuta la
vendita di dette possessioni, al più presto possibile, ci notifichino con loro
lettera ufficiale, da ognuno di loro sottoscritta, qual prezzo si è ricavato [p. 22] ed hanno ricevuto, ed a quali o a chi
l’hanno venduto, e qual uso si è fatto o si dovrà fare del prezzo. In modo che
di ogni cosa ci scrivano la chiara e pura verità” (17).
12. Guerra,
terremoto e peste.
Era desiderio di tutti che la fabbrica procedesse febbrilmente, ma ebbe a durare circa un secolo, a causa delle guerriglie sorte da ambizioni e pretese dinastiche, specialmente per la lotta sostenuta tra i due rivali Renato d’Angiò ed Alfonso d’Aragona. Nell’anno 1432 il Patriarca Giacomo Vitelleschi, in favore degli Angioini, scese in Puglia e [p. 23] s’impossessò di Andria, di Ruvo, Terlizzi e Trani, prendendo quartiere in Andria. Gli Andriesi questa volta esasperati dalle lotte incalzantesi l’una all’altra, nè più sopportando tale immane depressione del Patriarca Alessandrino, a tutt’uomo impugnarono le armi e si replicò allora in Andria, al dire del Costanzo, il Vespro Siciliano (18). Accanita fu la lotta, nella quale lasciarono la vita più di 300 andriesi e oltre 700 militi del Patriarca. Per parecchi anni durò la guerra fra Angioini e Aragonesi; finalmente nel dì 2 giugno 1442 Alfonso d’Aragona rientrava vittorioso a Napoli (19). Questo Re si fece molto amare dai suoi popoli, verso dei quali largheggiò in concessioni e privilegi, e una considerazione speciale ebbe per la fedele e desolata Andria. Mentre la città prendeva un po’ di respiro, nel 1456 fu colpita da terribile peste, insieme agli altri paesi pugliesi, abruzzesi e napoletani. Alla peste tenne dietro il terremoto. Assediata, poi dal principe Orsini fu costretta ad arrendersi dopo 49 giorni di bellico valore, ma, sconfitti gli Orsini in un’altro fatto d’armi, tornò la pace nelle Puglie.
13. Il Duca
Francesco II del Balzo
[P. 24] Reggeva allora le sorti di Andria
il Duca Francesco II del Balzo, il quale, emulando per rettitutudine e
cristiana magnanimità il suo avolo Francesco I, si dedicò a riordinare la
città, a far rifiorire la pietà religiosa, a patrocinare la causa degli Ordini
religiosi. I nostri Padri non furono a niuno secondi nelle grazie del buon
Duca: i registri dei Rev.mi PP. Generali ci hanno tramandato memoria di una
speciale benevolenza del Principe verso gli Agostiniani, e la corrispondenza di
questi con la loro riconoscenza e gratitudine (20).
14. La
consacrazione
Gli Agostiniani, avvalendosi della
tranquillità della Cosa Pubblica e della generosità di Francesco II del Balzo,
si diedero premura di ultimare la chiesa, in modo che non trascorse tanto ad
esser pronta per l’ufficiatura. A corona poi degli ingenti sacrifici sostenuti,
fecero le consuete pratiche perchè venisse consacrata. Il sacro rito si celebrò
nella domenica II di ottobre del 1463, con solennità straordinaria, tra
l’esultanza del Duca, dei Padri e della cittadinanza, durante il generalato [P. 25] del Rev.mo Alessandro Oliva, (21) e
sull’inizio del governo di Mons. Rogerius de Atella. Una lapide
commemorativa si legge nel Coro: “Anno Incarnationis D. N. I. C. 1463 inditione
XI consacrata fuit haec Ecclesia S. Augustini de Andria et fuit secunda
dominica mensis octobris dies consecrationis huius Ecclesiae; nec non et per
octavam sunt mille anni indulgentiae et totidem quadrag.”.
15. Federico d’
Aragona
A compimento però della grande opera era
urgente il coprirne la sommità per difenderla dalle intemperie. La divina
Provvidenza non abbandona colui, il quale vi si affida! I nostri furono accetti
a Federico d’Aragona, a cui erano passati i feudi dei Del Balzo: Andria e
Castello del Monte (22). Questo
nuovo e generoso Principe fece costruire, del proprio, il grande tetto, come si
rileva dall’iscrizione a lettere maiuscole tinte di rosso, sulla trave maggiore
che sostiene il comignolo del palco: “Federico de Aragonia, illustrissimo
principi ac duci. Andriae imperante. – Appresso - Masullo notajo, Nardo Ceresio ac Marino de Mastro Iosiano procuratoribus -1493”.
16. Ultimi ornati
[P. 26] Con nostro sommo rammarico
dobbiamo ricordare la manìa del XVII secolo di sostituire agli antichi e artistici
ornati gli stucchi. Neppure questo nostro gioiello d’arte andò esente da simili
devastazioni. Il P. Maestro Ricatti, agostiniano, dopo che si ritirò da Roma
nell’anno 1770, stimando di fare un gran beneficio alla città natale,
rimordernò totalmente, con molta eleganza, questa chiesa, con fregi e
decorazioni di stucco che tuttora si vedono (23).
Ci risparmiamo di stendere dettagliata
descrizione di questa chiesa, perchè chi ne abbia vaghezza potrà leggerla nell’Andria sacra del signor Giacinto
Borsella, edita nell’anno 1918, dall’illustre dottore, peritissimo conservatore
delle patrie memorie, signor Raffaele Sgarra.
18. Il convento.
I PP. molto lieti per la bella ed artistica
chiesa, erano, però, dolenti che il romitaggio non gareggiasse con questa,
perciò decisero di gettare le fondamenta di un grandioso convento, giusta la [p. 27] norma dettata dal Sommo Pontefice Pio
V, come siamo per esporre. Bisogna por mente che i nostri Padri qua e là anche
dopo la nostra grande unione, voluta dai Papi Innocenzo IV ed Alessandro IV, abitavano
ancora quali Certosini, o Camaldolesi riformati, in gruppetti di due o tre
celle, tramezzati da piccoli giardini, per osservare rigoroso silenzio e vivere
una vita eremitica tra l’esercizio del sacro ministero (Torelli anno 1570).
Intanto volgeva il 15 maggio del 1570, e ai Padri rappresentanti ciascuna
provincia del nostro grande Ordine, radunati a Roma per il capitolo generale,
in numero di 1144, in una speciale seduta fu loro comunicato un breve apostolico
del 29 aprile del medesimo anno, in cui il S. Pontefice Pio V, fra gli altri
precetti disciplinari, comandava che ogni frate fosse contento di una sola
cella, e questa in comune dormitorio (24). Dal
grande consesso, eletto generale il P. M. Fra Taddeo Guidelli, questi non
indugiò a promulgare a tutti i suoi Frati le recenti disposizioni pontificie. I
nostri Padri quindi si accinsero alla fabbrica del convento, non solo perchè
questo corrispondesse alla grande e bella chiesa, ma ancora in virtù di santa
obbedienza. Gli anni occorsi per la nuova costruzione non ci sono pervenuti,
soltanto dallo stato del convento [p. 28] dell’anno
1650, già sopra citato, veniamo accertati che: “il convento tiene due chiostri,
uno principiato e l’altro finito; il dormitorio con venti celle, con buona
parte delle dette fuori del chiostro; la metà del detto dormitorio è, al
presente, caduta e l’altra metà minaccia rovina (25). Da questi documenti si vede chiaro che male si appongono coloro
i quali sostengono che la presente parte dell’antico convento sia opera dei
Teutonici.
19. Noviziato
Questo convento, tra quelli della provincia
di Puglia, fu sempre il più importante. Il termometro dello spirito di un
convento è la regolare osservanza, e questa non può essere duratura se non
viene vivificata dall’orazione. Ecco perchè i Superiori erano vigili
nell’ufficiatura, specie notturna, tanto che, per essere da essa dispensati, vi
occorreva il permesso del Rev.mo P. Generale. Infatti Frate Giovanni da Andria,
non potendo portarsi di notte tempo in coro, fu costretto a rivolgersi al
Rev.mo P. Generale Fra Ambrogio da Cori, che da Roma, a dì 12 aprile 1483,
rispondeva: Abbiamo dispensato dall’officio notturno Fra Giovanni d’Andria (26). [p. 29] L’altro
alimento dell’osservanza è la soggezione ai superiori, e perciò i Frati non
potevano disporre neppure dei libri, giusta le dichiarazioni dei Rev.mi PP.
Generali (27). Secondo
le nostre Costituzioni non si possono ricevere i giovani aspiranti allo stato
religioso se non nei conventi di osservanza ed ai superiori di questi se ne dà
facoltà. Nel dì 5 settembre 1452, da Napoli, il Rev.mo Fr. Giulio Salem
confermava in priore del convento di Andria il venerabile biblico Fra Clemente
da Barletta, affidandogli il convento in quanto al culto divino, al decoro
dell’Ordine e la recezione e istruzione dei giovinetti (28). Nel 1454 lo stesso Generale raccomandava al
detto Fra Clemente di fare la recezione di giovani e di istruirli nei costumi e
nelle lettere (29).
20. Sede dei PP.
Provinciali
[P. 30] Questo convento fu sede dei
Provinciali, i quali per consuetudine risiedono nelle case più importanti della
provincia, ma ancora, fu sempre luogo dei capitoli provinciali. Dai registri
dei Rev.mi P. Generali ne abbiamo una chiara conferma. Anno 1454, 3 luglio, il
Rev.mo P. Giulio de Salem scriveva: “E’ nostro intendimento che il futuro
capitolo della prefata provincia si celebri nel convento di Andria nella festa
di S. Luca 1455 (30). E nel 1455, 14
ottobre: “confermiamo in priore provinciale Frate Clemente da Barletta, eletto
unanimemente e concordemente testè, nel capitolo di Andria, celebrato con piena
autorità e potestà” (31). E nel 1458, 1°
Febbraio, da Napoli: “Abbiamo inviato lettera da leggersi nel convento di
Andria, nella quale commettemmo a Fra Bartolomeo da Roma, lettore, e a Fra
Antonio priore, del convento di Venosa, affinchè con nostra autorità [p. 31] debbano far la visita in quel convento
su ciò che riguarda il Priore, i frati, ed il Provinciale quando vi ebbe dimora
ecc.” (32). E da Roma, il Rev.mo P.
Ambrogio da Cori, a dì 9 ottobre: “Abbiamo fatto Vicario del nostro convento di
S. Agostino di Andria Frate Colella d’Andria conferendogli l’autorità che hanno
i Vicari provinciali (33). Da Vairano, 4
maggio 1487. Abbiamo prorogato il capitolo provinciale di questa provincia (di
Puglia) fino all’ultima domenica di giugno, e abbiamo decretato che lo stesso
capitolo venga tenuto in Andria, perciocchè quel convento è più importante non
solo, ma ancora perchè il provinciale aveva avuto, come asseriva, il consenso
di quasi tutti i definitori” (34).
21. Studio
generalizio
[P. 32] Nel celebre capitolo
generale del 1570, sotto l’auspicio di SS. Pio V, di cui dianzi facemmo
menzione dei sette decreti ivi emessi, il terzo riguarda esclusivamente questo nostro
convento di Andria, che intieramente riportiamo: “Fu il terzo decreto, che
fosse istituito lo studio generale ove s’insegnasse da un buon maestro la
logica e la filosofia nel convento di Andria nella provincia di Puglia” (35). In virtù di questo statuto il
nostro convento giunse al più alto fastigio, perchè veniva annoverato tra i più
rinomati dell’Ordine; conventi dipendenti direttamente dai Rev.mi PP. Generali,
e che perciò si chiamano generalizii. Veramente fino al detto capitolo generale
i priori di Andria rappresentavano il Rev.mo P. Generale e perciò da questi
erano eletti loro Vicari. Anno 1457: “Facemmo nostro Vicario, ovvero Rettore
del nostro convento di Andria, di questa provincia (di Puglia), Fra Clemente da
Barletta (36). 1482. Eleggemmo Priore e
nostro Vicario, nel nostro convento di Andria, Frate Colella (37). [P. 33] Talora il Priore di Andria reggeva a nome del Generale
tutta la provincia (38). 1479: “Nominammo Vicario del convento
nostro di S. Agostino di Andria, Frate Colella di Andria, conferendogli quella
autorità, che hanno i Vicarii Provinciali”. Dopo l’istituzione dello studentato
generalizio in questo convento, il priore di esso non solo era nominato, come
prima, Vicario del generale, ma ancor godeva l’alto onore di essere eletto nei
capitoli generali, come avveniva pei PP. Provinciali.
22. Padri
ragguardevoli
Le virtù, i meriti, le lettere danno lustro e
decoro al convento, non già il pingue patrimonio o la grandiosità
dell’edificio; sicchè a mostrare l’importanza della casa in parola, più che la
struttura di cui facemmo cenno, dobbiamo piuttosto riguardare quei figli che
l’illustrano. Però siamo dolentissimi che non siano pervenute fino a noi
memorie della vita santa e di quanto essi operarono di buono e di bello. Questo
sperpero d’ingenti tesori d’arte, di gloriosi e sacri fasti si deve attribuire
all’oscurantismo ed incuria dei tempi, delle persone e della cosa pubblica e
privata. Se non possiamo soddisfare interamente a questo nostro [p. 34] desiderio,
non dobbiamo rinunziare a ricordare qui quelle poche memorie tramandateci. Dai
registri dei Rev.mi PP. Generali, più volte citati, ci si presenta qualche
frate, e propriamente della città di Andria, che si distinse o nel governo o
negli studi. Oltre Fra Melillo, che governò, da Vescovo, la città natale, vi
sono di quei che ressero la provincia pugliese, o primeggiarono nelle
discipline filosofiche e teologiche: Fra Antonio da Andria, provinciale e
Lettore; Fra Simone da Andria, provinciale e Baccelliere; Fra Clemente Caletro,
provinciale e Maestro; Fra Andrea d’Andria e Fra Colella d’Andria, provinciali
e Baccellieri; Fra Tommaso d’Andria, Maestro; Fra Adeodato Pastore d’Andria,
Maestro; Fra Ricatti d’Andria, Maestro; Fra Taddeo d’Andria, Baccelliere; Fra
Giovanni d’Andria, Lettore ecc.
23. Soppressione
Napoleonica
Questo asilo di santità e di studio, dopo
circa 459 anni di florida vita, veniva travolto dalla marea Napoleonica. Nel dì
19 settembre 1809 i veri fondatori e padroni furono costretti dalla forza dei
nuovi dominatori stranieri, a prendere la via dell’esilio, senza speranza di
rivedere le sacre ed ospitali mura.
__________________________________________
(1) Ughelli, Italia sacra tomo VIII; Herrera, tomo II, pag. 592; Torelli
tomo IV ad annurn 1274, n. 16; Berti. Ep Aug. pagina 26.
(2) Cappelletti, Chiese
d’Italia, V, XXI.
(3) Bullarium V. P. Romae, tomo
I, pag. 77: “Fra Placido da Solmona, abruzzese, vescovo andriese nella prov. di
Bari, nel regno napoletano, sotto l’arcivescovo Tranese circa l’anno 1280, da
Nicola III creato”.
(4) Lanteri, Ep. Aug. pag. 27 -
Agresti, vol. I, pag. 137.
(5) Lanteri,
Ep. 106, foglio 16, anno VIII.
(6) Lanteri, Ep. Aug., pagina
27; D’ Urso, St. di Andria, pagina 92.
(7) Fecimus lectorem honoris
Fr. Melillum de Andria, cum graciis consuetis. Reg. Rev.mo Iac. de Aquila, Dd.
7, fol. 29.
(8) Alias dedimus litteras ad dictam provinciam pro futuro capitolo, in quibus fecimus Vicarium
nostrum, in tertio loco Fr. Melillum de Andria cum consuetis concedi in
similibus litteris Dd. 8, fol. 29.
(9) Hic jacet Pat. Mathe, Frat. Fratris Mililli De Andria, Ordinis S. Augustini, Episcopi
eiusdem civitatis. Orate pro eo. A. D.
MDCCCCI - Ughelli. It. Sacr. Com. VII Agresti V, I, pag. 146.
Monumento ora coperto dalla pavimentazione a mattonelle del presbiterio.
(10) Agresti. Luogo citato.
(11) Agresti V, I, pag. 133.
(12) Agresti, idem.
(13) Agresti, V, I, pag. 142.
(14) Anno 1358 febbr. 14 Neapoli - Fecimus conventualem in provincia Regni
Apulae Fratrem Masellum de Campania in hec verba: Certis ex causis, te per
nostras alias licteras removimus de Provincia Terre laboris, ponentes te
conventualem in Romana provincia, sed, quia instantibus precibus devicti
fuimus, ut te in provincia Apulee conventualem per nostras licteras poneremus,
ideo te conventualem fecimus in conventu nostro Andrie, provinciae Apuliae,
presentium tenore etc. Reg. R.mi P. G. de Arimino, Dd. L pag.
407.
(15) Eodem anno et mense, die 6 Ibidem. Mandavimus Fratribus Paolo de Aversa, priori Neapolim,
et Masello Macca procuratori dicti conventus, in hac forma: Cum Pr. Ioannes de
Vigiliis, prior loci Andria asserat coram nobis quod conventus neapolitanus
teneatur sibi dare provisionem pro III annis de qua quidem provisionem non
receperit nisi tarenos II, idcirco,
tenore presencium nobis mandamus per obedientiam salutarem, quatenus, si ita
est, sibi de residuo sit integraliter
satisfactum... ibidem pag. ead.
(16) Anno 1359, sept. 8. Paduae. Concessimus priori et fratribus conventus
Andrie licentiam vendendi possessiones et domos minus utiles dicti conventus
dummodo pretium inde habitum in hedifitio dicti conventus integraliter
expendatur; contrafacientis penam in nostris constitutionibus taxatam
incurrisse, ibid, pag. 197.
(17) Anno 1387 april. 12. Luce. Concessimus licentiam conventui de Andria,
provincie Apulee, ut possit libere vendere quasdam possessiones parum utiles,
parvissimique fructus, et pretium inde habitum convertere in fabricam nove
ecclesie hedificande, totum et integraliter non obstante nostro generali
precepto facto et per nos trasmisso in tota prefata provincia Apulee qua
prohibetur talium possessionum et rerum venditio, hac vice tantum modo secum
dispensantes. Insuper mandavimus fratribus omnibus dicti conventus, sub pena
nostre ribellionis, quatenus, facta dictarum possessionum venditione, nobis,
quam citius poterunt, significent per eorum patentes litteras, in quibus se
quilibet subscribat, quantum inde habitum est et receperunt, quando et quibus
vel cui vendiderunt, quid de pretio factum vel fiendum erit. Ita quod claram et nudam de singulis veritatem nobis scribant. Reg. R.mi P. Barth. de
Venetiis, Dd. 3, fol. II.
(18)
Costanzo,
libr. VII, pag. 403.
(19) Agresti, Vol. I, pag. 148.
(20) 1458, Reg. R.mi Iuliani de Salemi, Dd. 6, fol 31 – 1475, Reg. R.mi
Iac. de Aquila, Dd. 7. fol. 29v.
(21) Dd. fol. 31v.
(22) Agresti, fol. citato.
(23)
Borsella, pag.
153
(24) Bollario Agostiniano, fol. 311. 29 aprile 1570.
(25) Arch. Ord., Relazioni 11-4, fol. 269-270.
(26) Eximimus ab officio nocturno
fratrem Johannem de Andria. Reg. Rev.mi P. Ambr. de Cora. Dd. 8, fol v. 28.
(27) Anno 1479, oct. 9. Rome. Mandavimus fratribus conventus Andrie ut
nullus possit comprestare libros nec extrahere de conventu. Item a notitia
presentium quicumque habent libros per mensem debeant conventui Andrie
restituire. Reg. Rev.mi P. Generalis Ambr. de Cora. Dd. 7, fol. 31.
(28) Confirmavimus in Priorem conventus Andrie Ven.
biblicum Fratrem Clementem de Barulo... recommissusque ei conventum quantum ad
cultum divinum, Ordinis honestatem ac puerorum receptionem et eruditionem. Reg. R.mi P. Iulii de Salem, Dd.
(29) Iuvenes ad Ordinem recipiantur
et in moribus et doctrina instruantur. Ibidem, fol 29.
(30) Anno 1454, 3 Iul., Reg. Rev.mi P. Iul. de Salem. Intendimus quod capitulum
futurum prefate provincie celebretur in conventu Andrie, in festo S. Luce 1455. Dd. 6, fol. 29v.
(31) Anno 1455, oct. 14.
Rome. Confirmamus in Priorem Provincialem Clementem de Barulo electum
unanimiter et concorditer nuper in capitulo Andrie celebrato, cum omni
auctoritate et potestate etc, ibidem. fol 30.
(32) Anno 1458. febr. 1.
Neapoli. Misimus licteram legendam in conventu Andrie, in qua commisimus Fr.
Bartholomeo de Roma, lectori, et Fr. Antonio, Priori conventus Venusiensis, ut
auctoritate nostra debeant visitare in illo conventu super priorem, et fratres,
et super provincialem, dum ibi fuit. etc. ibidem, fol. 31.
(33) Anno 1479, 9 oct., Rome.
Fecimus Vicarium conventus nostri S. Augustini Andrie fr. Colellam
de Andria dantes sibi auctoritatem quam habent Vicari provinciales. Reg. Rev.mi Ambr. de Cora.
Dd. fol. 30.
(34) Anno 1487, 4 maji. Vairani.
Prorogavimus capitulum provinciale huius provincie (apulie) usque ad ultimam dominicam
junii, et decrevimus capitulum ipsum fieri Andrie, eo quia conventus ille
potens et principalis habuerat, ut asserebat consensum definitorum fere omnium.
Reg. Rev.mi P. Augustini de Montefalcone. Dd.
8, fol. 30v.
(35)
Torelli, anno 1570.
(36). Fecimus Vicarium
nostrum, sive Rectorem in conventu nostro Andrie, huius provincie (Apulie) Ven.
biblicum Fr. Clementem de Barulo etc. 1457, apr. 4, Neapoli. Dd. 6, fol 30v.
(37). Fecimus Priorem et
Vicarium nostrum in conventu nostro Andrie fratrem Colellam. 1482, jun. 3, Perusie. Dd. 8, fol. 12.
(38) 1479. Oct. Rome. Fecimus
Vicarium conventus nostri S. Augustini de Andria fratrem Colellam de Andria
dantes sibi auctoritatem quam habent Vicarii Provinciales. Dd. 7, fol. 30v.
*************************************************
[P. 35] Ma, “il Dio che atterra e
suscita, che affanna e che consola”, dopo
breve prova permise che gli agostiniani tornassero, non già nel loro S.
Agostino, ma nel celeberrimo e grandioso Santuario della Madonna! Volgeva
l’anno 1837, il servo di Dio Gian Michele Quaranta, della Congregazione di S.
Giovanni a Carbonara, dell’Ordine di S. Agostino, priore della Maddalenella
degli Spagnoli, in Napoli, eletto Superiore delle provincie meridionali, in
occasione della santa Visita, nel transitare per Andria, si recò ad ossequiare
quel Vescovo ed in tale felicissimo incontro fu deciso il ritorno degli
Agostiniani in Andria (39).
[P.
36] A due Km. dalla città,
agli estremi confini di amena e ridente pianura leggermente ondulata, si vede
sorgere, svelto e maestoso, il tempio di S. Maria dei Miracoli. Prospetta su
vasto piazzale la chiesa superiore, e l’inferiore sul fondo di ripida ed amena
valle. É un meraviglioso complesso non di due, ma di tre elegantissime chiese,
delle quali, i maggiori altari, sono eretti in modo da corrispondere
perpendicolarmente l’uno sopra l’altro. Il terzo è nella sacra Cripta. Su
questo ultimo, come in una nicchia, è dipinta, alla greca, una Immagine di
Nostra Signora maestosamente seduta sopra un trono, col Bambino sulle
ginocchia, coronata di dodici stelle, avendo a destra e a sinistra, in alto, il
sole e la luna. Immagine veramente taumaturga, per cui i devoti, a rammemorare
i continui e strepitosi prodigi, la vollero chiamare “Santa Maria dei Miracoli
di Andria”; specioso titolo piamente confermato dal Sommo Pontefice Gregorio XIII.
Il triplice tempio fu eretto nel secolo XVI dai PP. Benedettini, ed officiato
dai medesimi fino al 16 febbraio 1807, epoca in cui questi monaci, benemeriti
della Chiesa e della società in nome della libertà e tolleranza, furono
espulsi.
3. Dilapidazione
[P. 37] Scacciati dal monastero i
veri padroni, i monaci, le porte del Santuario furono chiuse alla pietà e
devozione dei fedeli, ma aperte a coloro che bramavano d’involare i tesori di
oggetti preziosi ed artistici. I grandi e ricchissimi possedimenti furono
confiscati e prodigamente venduti; denudate le pareti dagli ex voti di valore;
staccati gli eleganti bassorilievi d’argento dall’altare della cripta con il
soffitto di essa del medesimo metallo; tolte le campane, spogliata la sacra
Immagine delle auree e gemmate corone; la cattedrale di Andria chiuse nei suoi
armadii parecchi arredi sacri; la chiesa madre di Bisceglie trasportò nel
presbiterio il Coro, capolavoro d’architettura e d’intaglio, che, se mal non mi
appongo, potrebbe gareggiare con quello di Montecassino, e di più l’artistico
parato d’ottone dell’altare maggiore. Grumo faceva suoi i parati degli altari
minori; la collegiata di S. Nicola di Andria collocava sulla porta d’ingresso
un artistico e grande dipinto; la biblioteca del Seminario, per fortuna, si
procurò le opere di Cicerone, altrimenti sarebbero state distrutte dal fuoco,
come lo furono innumerevoli pregievolissimi e rari codici; i monelli fecero man
bassa delle canne dei due organi e delle chiavi di ferro che sostenevano il
dorato soffitto, a cassettoni ottangonali. [P. 38] Ancora le vicine città,
Barletta e Bitonto, volevano asportare i preziosi marmi, però questa volta gli
andriesi giustamente si opposero (40).
4. Mons. Cosenza
Nell’anno 1732 il sommo Pontefice mandò a
reggere la diocesi di Andria un vigile e santo Pastore, Mons. Giuseppe Cosenza,
promosso poi alla dignità cardinalizia e all’Arcivescovado di Capua. Questo
zelante Vescovo fin dell’inizio del suo governo, veduta la desolazione in cui
era stato ridotto uno dei più bei templi delle Puglie e dei più celebri
Santuari dell’Italia nostra, qual novello Esdra, ne fu accorato, fino alle
lacrime; e ne aveva ben donde. Il sacro luogo dilapidato e derelitto, era
divenuto ricovero dei gufi, delle civette e di altri animali. E poteva il cuore
di un apostolo, di un vigile custode del patrimonio ecclesiastico, poteva
tollerare più a lungo tanta devastazione di quel tempio, voluto dalla Madonna a
suo trono di grazia? Non fu la Vergine benedetta, che, dopo più secoli,
dimenticata nella spelonga di S. Margherita in Lamis, si fece rinvenire addì 10
marzo del 1576 [p. 39] da due andriesi, Antonio Tucchio e Annibale Palombino, in conformità
del comandamento loro dato nelle reitarate apparizioni? Non fu Nostra Signora
che il due giugno del seguente anno 1577, primo sabato del mese, fece trovare
la lampada mandante ancora vivissima luce, accesa dal Palombino quindici giorni
prima? Olio benedetto che guarì istantaneamente un cavallo ivi condotto,
affetto dal male del verme alla gamba! Fiamma che diradò le tenebre, rinsaldò i
cuori dei fedeli visitatori da sperimentare le più elette grazie e favori
celesti, per cui si ripeteva dai beneficati: chi vuole miracoli vada in Andria.
E ben 500 miracoli di primo ordine furono approvati da una commissione di
teologi e medici nel 1605 (41). Luce paradisiaca da fare struggere di puro e santo amore quelle anime
fervorose, quegl’illustri santi che ivi pellegrinarono: i servi di Dio Vincenzo
e Luigi Carafa, i santi Francesco Di Girolamo, Giuseppe Benedetto Labre, Giuseppe
da Copertino, e il beato Giovenale Ancina, che scrisse un’ode: “se pensando di
Te s’ infiamma il core, ecc.” (42). Il lodato pastore, giustamente, con maggior
lena, non solo si propose di riparare al troppo lungo abbandono del luogo
sacro, ma ancora rivendicarne l’antico lustro; da principio, però il cielo [p. 40] non si mostrò sereno,
poichè nella sua santa impresa non venne assecondato da alcuno, neppure dagli
Ordini e Congregazioni religiose, a cui ne aveva fatta l’offerta a causa di
gravi e non poche difficoltà da superare. Ma la Madonna non lo deluse. Gli si
presentò, un bel giorno, un ministro del Signore, dalla virtù e dallo spirito
di Simone, figliuolo di Onia, sommo sacerdote, che fu restauratore del tempio (43). Questi fu il nostro P.
Quaranta, di cui facemmo parola. Egli avrebbe preferito la riapertura del
convento di S. Agostino, più che aprire una nuova Casa; però trattandosi di un
celeberrimo Santuario di Maria SS. ed anche per le fervide istanze di Mons.
Vescovo, si esibì a ridurre l’antica Badia di S. Maria dei Miracoli in un
convento agostiniano e a restaurare il triplice tempio (44). Oltremodo lieto il santo
Presule, non dubitò di percorrere la città, la quale, edificata da sì efficaci
esempi, non mandò vuota la sacra destra (45), così potè offrire un saggio
d’incoraggiamento agli attesi religiosi.
5. Il ritorno
A dì 9 giugno 1837, con decreto della sacra
Congregazione dei vescovi e regolari, fu concesso all’Ordine Agostiniano l’ex
monastero in parola [p. 41] con la condizione d’accollarsi un canone annuo di
duecento ducati da passare agli Agostiniani Scalzi di Napoli, essendo stata
loro concessa in dote anche questa ex Badia. Il P. Quaranta, a dì 17 luglio
1838, eletto Vicario Generale dell’illustre Congregazione di S. Giovanni a Carbonara,
destinò subito i PP. Luigi Castiglione, Antonino Squillace, e Tommaso Tasca per
recarsi in Andria. Quivi giunti, nell’Agosto, si fermarono nell’episcopio fino
al di 6 ottobre del medesimo anno, giorno memorando, in cui, dal prelodato
Mons. Vescovo, ricevettero il solenne possesso del Santuario e del convento, in
mezzo alle più grandi dimostrazioni di gioia da parte del clero e del popolo.
Da quel dì, mercè lo zelo dei Padri o la sentita devozione degli andriesi, quel
Santuario, di giorno in giorno, andò riacquistando, come meglio potè, il suo
antico splendore (46). Di bel nuovo la taumaturga Immagine veniva ornata d’oro e di preziose
gemme, il Santuario provvisto di sacre suppellettili, il censo di ducati 4800,
che gravava sull’ex monastero, fu tolto; il ministro per gli affari
ecclesiastici, con ministeriale del 16 febbraio 1839, volle essere informato
del preventivo dei restauri al convento, e nel 18 marzo, comunicatagli la
perizia che ascendeva alla vistosa somma di ducati 173.269, senza
indugio alcuno furono versati. [P. 42] Il Sommo Pontefice Gregorio
XVI, con breve del 12 settembre 1840, concesse di celebrare la festa della
Madonna dei Miracoli nell’ultimo sabato di agosto, con ufficio proprio e Messa (47), in memoria della
dedicazione della chiesa, avvenuta nell’ultima domenica di detto mese (48).
6. Mons.
Longobardi
Al Vescovo Cosenza successe Mons. Giovanni
Giuseppe Longobardi, non meno devoto della nostra Madonna del suo predecessore.
Ogni sabato, devotamente si portava a visitarla, celebrava sul suo altare e,
con parole calde d’affetto, non cessava mai di infervorare tutti ad una tenera
devozione verso sì buona Madre. Avendo dato alle stampe il suo Sinodo
Diocesano, lo dedicò a Maria dei Miracoli, e volle che, ogni anno, il suo
clero, per gli esercizi spirituali, si radunasse all’ombra benefica del suo
santuario (49). Nella prima domenica di maggio, invenzione della S. Croce, con
solenne pompa, esultando d’insolita gioia da sembrare circondato di cherubica
luce, incoronava, con preziose corone, la celeste Madre e il Divin Figlio, per
facoltà a lui concessa dal Rev.mo Capitolo Vaticano. E nell’anno seguente gli
andriesi, grati e riconoscenti alla loro Madonna [p. 43] per essere stati liberi dal
colera e anche per vedere arrestata nei vigneti una dannossissima malattia,
incoraggiati dal loro Pastore, vollero altresì che fosse dichiarata la
principale Protettrice di Andria e Diocesi. Questa dichiarazione Pio IX,
Pontefice Massimo, previo esame della S. Congregazione dei Riti, ratificò e
confermò nel giorno 14 agosto 1858 (50). E l’anno seguente, nella storica prima
domenica del maggio, Andria, col suo Vescovo, solennemente si consacrava a
nostra Signora dei Miracoli. Questo Vescovo, che, durante il suo lungo governo,
zelò il culto e la magnificenza di detto santuario, in morte non se ne volle
allontanare, avendo già disposto che le sue mortali spoglie giacessero in
perpetuo, presso l’altare della Madonna e quivi, ogni sabato, si celebrasse una
Messa.
Questo piissimo monarca più volte ebbe a
dimostrare una tenera e filiale devozione alla Vergine dei Miracoli: donò
un’aurea rosa per la solenne incoronazione, che tuttora si ammira nella destra
della sacra Icone; offriva nel 1858 una grande campana; e nel 12 gennaio 1859
vi giungeva da pellegrino con la Reale Famiglia. [P. 44] Pregò a lungo, ammirò
l’artistico e singolare Santuario, e fece voto di ridurre la cripta al primiero
splendore, ma fu colto da immatura morte. Il di lui figlio Francesco II, benchè
detronizzato, non mancò di effettuare le paterne promesse; sborsò a tal fine
lire 80.000 (51) facendo costruire l’altare di marmo, la soffitta di argento e
rimettendo tutta la cripta nello stato come ora si ammira.
8. La nuova
soppressione del 1866
[P. 45] Erano decorsi ventinove anni,
dacchè i nostri Padri, con lena sempre maggiore indefessamente lavoravano, per
far ritornare il Santuario al primitivo splendore, quand’ecco sopravviene un
nuovo pericolo che lo fa ricadere nell’abbandono. Così sarebbe avvenuto, se un
figlio di Agostino, dalla robusta tempra e dal cuore di serafino, scacciati i
frati, a dì 31 dicembre 1866, in virtù della legge di soppressione degli Ordini
religiosi, a costo di ingenti sacrifici, esposto a villanie e minaccie, senza
tetto, non avesse continuato alla meglio, ad officiare il rispogliato tempio.
Nel 1876, ricorrendo il terzo centenario
dell’invenzione della sacra Icone, si celebrò con massima solennità. A perenne
ricordo fu dedicata una argentea, artistica e maestosa statua del valore di
lire 30 mila; il P. Di Iorio compose una nuova Messa alla Vergine e ne ottenne
l’approvazione dal S. Padre (52).
[P. 46] Incamerati i beni del
convento e mandati via i religiosi, a quelli che dovevano custodire il
Santuario, non fu lasciato neppure un piccolo locale da servire per loro
decente abitazione, ed al Padre, ivi rimasto, dopo molte istanze, fu concesso
di adattarsi, con qualche altro fratello converso, in un ambiente, annesso alla
chiesa, scomodo e quasi inabitabile. Per provvedere al miglior servizio del
Santuario, nell’anno 1886, rieletto Vicario Generale della nostra Congregazione
di S. Giovanni a Carbonara di Napoli il M. R. P. Luigi M. Candrian,
approfittando dei tempi alquanto tranquilli, benchè sprovvisto di mezzi, confidando
nell’aiuto del cielo e nella protezione della Vergine, fece gettare le
fondamenta di una nuova residenza a circa 100 metri lungi dall’antico convento
affine di stabilirvi una piccola comunità. E dopo breve tempo sorse un grazioso
conventino, dove abitano i religiosi, che con zelo incessante attendono ad
officiare il Santuario e a propagare la gloria della Vergine.
11.
Cinquantenario
Approssimandosi l’anno 1907, cinquantesimo
anniversario dell’incoronazione della sacra Icone, i nostri Padri vi si prepararono
con le seguenti opere: [p. 47]
Parati di candelieri d’ottone agli altari.
Pavimenti, scale, zoccoli rivestiti di ottimo
marmo.
Un artistico pergamo e grandiosa antiporta.
Dieci lampadari ben lavorati.
Otto grandi tele, di cui sei di Tito Troia.
Un paliotto
d’argento, vero pregio d’arte.
Una nuova campana e l’altra rifusa.
Infine il periodico mensile “La Vergine dei
Miracoli” che ridestò un santo entusiasmo. Le feste sia quelle indette dai
religiosi, dal 26 aprile al 23 maggio, sia quelle dal clero e popolo, nei
giorni 24, 25, 26 del detto mese, riuscirono veramente edificanti e solenni.
Una marmorea lapide ricorda le seconde, ma le prime non sono certamente
dimenticate dagli angeli e dalla loro Regina, e neppure dai fedeli, perchè
coronate da una nuova gloria ed onore al Santuario.
12. La Basilica
I nostri Padri, nell’escogitare i diversi
modi, affinchè le accennate feste potessero riuscire degne di tanta Signora,
stimarono bene di procurare al Santuario una maggiore gloria con ottenergli il titolo
di Basilica. Le pratiche durarono un anno, superate non poche difficoltà, a dì
29 novembre 1907, il Santo P. Pio X concesse la tanto attesa grazia col Breve
“ad perpetuam rei memoriam” [p. 48] in cui, in perpetuo inalza al titolo di Basilica
minore il Santuario della Beata Vergine dei Miracoli della città di Andria.
Breve che lo direste inno di lodi alla Madonna, di gloria al nostro Santuario;
ed in conferma ne riportiamo qualche cenno. “Nel numero delle quali (chiese
rispettabili per antichità, per arte, non meno che per divozione) meritamente,
e a buon diritto può annoverarsi l’antico tempio di Andria, dedicato alla Beata
Vergine Maria, la cui antica Immagine, insigne per prodigi, fu decorata col
titolo dei Miracoli dal nostro antecessore Gregorio PP. XIII, di sacra memoria,
con simili lettere apostoliche. Questo tempio costruito nel secolo XVI, ora è
affidato alla pietà e allo zelo della religiosa famiglia degli Eremiti di S.
Agostino. Certamente gode il primato su tutte le chiese di quella regione, sia
per grandezza ed opere d’arte, sia per le reliquie dei Santi, sia per la copia
e ricchezza degli arredi sacri ecc.”.
13. Parte antica
Nel secolo XVII si ebbe il barbaro fanatismo
di sostituire ornati di stucco, stile barocco, all’antica ed artistica arte
decorativa, stimando di fare un pregio il seppellire e demolire l’arte classica
dei veri geni in pittura, scultura, plastica e simili. La nostra chiesa non
andò esente. A ricuperare parte dei nascosti tesori artistici, nel 1911 a
proprie spese e iniziativa, si intrapresero i lavori di scrostamento, denudando
la ben lavorata [p. 49] pietra di travertino che sostiene la mole.
S’incominciò dalla terza chiesa, furono rimossi cautamente lo stucco, i
calcinacci ed i tufi dalla singolare facciata addossata alla grotta, cui da tre
archi romani si accede. Il frontone apparve tutto di pietra ornato e fregiato
d’alti e bassi rilievi e di torciglioni romani, affreschi ed altro di puro
stile del cinquecento. Per rendere più appariscente questo mirabile intreccio di
lavori, fu spostato l’organo e demolita la tribuna di esso, che sporgeva nel
mezzo della chiesa, sotto la quale, per avventura furono trovati dei pezzi di
pietra che facevano da puntelli sui quali si legge parte dell’antica
iscrizione. Essi ora giacciono in attesa di essere rimessi al posto dovuto. Per
non dilungarci troppo, ci risparmiamo di descrivere la semplicità, sveltezza,
(degne di particolare studio) dei pilastri a doppie colonne, che sorreggono la
cripta, e fuori di essa i due archi a sesto acuto su cui posa la ben
proporzionata cupola, come pure, nella chiesa superiore, quella fuga di eguali
pilastri che sorreggono archi a tutto sesto, a cui fanno corona quei del
maggiore arco, con vero ordine architettonico non così facile a riscontrarsi in
opere di simile genere.
14. XV Centenario
Ricorrendo il XV centenario della preziosa e
santa morte del N. S. P. Agostino ed approssimandosi ancora il XV lustro dalla
solenne Incoronazione [p. 50] di questa taumaturga Icone, abbiamo fatto precedere
opere durature a ricordo di sì memorabili date, giusta l’esempio dei nostri
maggiori. Abbiamo ingrandita la luce della nicchia della Madonna col sostituire
all’antica cornice in marmo una più grande d’argento in modo che la sacra
Immagine, illuminata elettricamente nell’interno, è del tutto visibile,
appagando così i voti dei fedeli, che prima partivano delusi per non aver
potuto ammirare lo specioso volto della loro celeste Madre. Rifatte a nuovo le
vetrate dei ventun finestroni, dai quali, il tempio maggiore, viene vagamente
inondato da una candidissima luce di giorno, e nelle ore notturne dalla luce
artificiale mediante un potente e grandioso impianto elettrico. Rifatta la
porta principale dallo stile cinquecentesco. Acquistati preziosi vasi ed arredi
sacri, e dato principio al Museo della Basilica.
15. La Parrocchia
Mons. Alessandro Macchi, già degnissimo
successore di S. Riccardo, promosso ora all’importante Chiesa di Como,
predilesse molto la nostra Basilica, qual vero devoto della Madre di Dio e del
S. P. Agostino. Oltre a recarsi spesso, specie nei giorni solenni, al
Santuario, a pontificare con omelia, e chiudere le sue feste giubilari
dell’ordinazione sacerdotale; ottenne dal regnante Pontefice Pio XI un
aspersorio d’argento, finemente cesellato, donò un’antica pianeta [p. 51] tessuta in oro, e volle, di
propria iniziativa, stabilirvi la parrocchia (53), già da tempo, vagheggiata
dai nostri Padri, specie dalla f. m. del P. Priore Lo Iodice, assorgendo il
Santuario a quella gloria di cui rifulse quando era Badia. Si benignò, nella
festa della Purificazione della B. V. Maria, investire solennemente del
ministero pastorale il primo parroco, ed amministrare la santa Eucaristia a
centinaia di baldi giovani e padri di famiglia.
16. I miracoli
Questa taumaturga Icone, appalesatasi per
mezzo dei miracoli, non cessa anche ai nostri giorni di versare i suoi celesti
favori a beneficio dei fedeli che l’invocano ai piedi del suo altare, ma ancora
a quelli che non hanno conoscenza di questo Santuario. Per amore di brevità ci dispensiamo
di riportare quelle grazie straodinarie che tutt’oggi registriamo, però ci
proponiamo, alla prima occasione, rendere di pubblica ragione le principali.
__________________________
(39) Merra. Lo Iodice. Madonna
dei Miracoli.
(40) Merra, La Madonna dei
Miracoli di Andria. Lo Iodice, S. Maria dei Miracoli di Andria.
(41) Lo Iodice, S. Maria dei
Miracoli di Andria.
(42) Merra. Lo Iodice, luogo
citato.
(43) Eccl. 50, 1.
(44) Merra. Lo Iodice. La
Madonna dei Miracoli.
(45) Merra. Lo Iodice. La
Madonna dei Miracoli.
(46) Merra, luogo citato.
(47) Merra. Lo Iodice, luogo
citato.
(48) Ordinario dei PP.
Benedettini, anno 1802.
(49) Merra, Madonna dei
Miracoli.
(50) Brev. II lez., 3 nott.
(51) Merra. Lo Iodice. S. Maria
dei Miracoli.
(52) Adm. R. P. Antoninus Maria Di Iorio suppliciter
petiit et obtinuit. Ex andientia SS. 1 Sept. 1879 Miss. Basil.
(53) Sacra Congregatio Concilii attentis expositis ab
Ordinario Andriensi, benigne tribuit eidem facultates iuxta preces, ita tamen
ut caram animarum dictis Fratribus concredita intelligatar ad nutum S. Sedis. Datum Romae die prima
feb.rii 1930 f.to Card. D. Sbarretti, praefectus.
*************************************************
[P. 52] Se questo Santuario, in
breve tempo e per giunta fortunoso, ha raggiunto l’antica importanza e
magnificenza, lo si deve allo zelo instancabile dei nostri Padri, che rifulsero,
quali astri luminosi, per santità di vita, apostolico ministero e vasto sapere.
Daremo un breve cenno di pochi di essi. Per avventura si presenta a noi un
servo di Dio mandato a riaprire al culto questo Santuario, e ne fu il primo
Priore.
Di questo insigne servo di Dio, in un bel
volume, ha scritto la vita il di lui già novizio, il P. Cosma Lo Iodice, ed
un’altro servo di Dio, il P. Quaranta, in tre parole, ne compendia il religioso
ritratto: “conoscendo abbastanza la tua prudenza, pietà e zelo della regolare
osservanza, ti confermiamo priore del convento di S. M. dei Miracoli di Andria (1). Fu celebre per i doni di
profezia, [p. 53] nello scrutare cuori e per solida dottrina. Oltre ai versi e alle
lettere, date alle stampe, conserviamo varie opere inedite.
2 - Il P. Tasca
Il P. Tommaso Tasca fu
compagno del detto P. Castiglione nell’apertura di questo convento, e vi rimase
fino alla morte, 20 gennaio 1865. Donò alla Madonna mente e cuore confermando
tale suo amore nell’accendere nei cuori degli Andriesi una filiale devozione
verso la celeste Madre, in modo che non solo frequentavano assiduamente il
Santuario, ma ancora non lasciavano mai vuota la mano del servo di Dio,
affinchè potesse restaurarlo e celebrarne le feste con solennità. Passò a
miglior vita santamente come era vissuto. I funerali riuscirono un trionfo. Il
suo sacro abito ancora va in giro portato agl’infermi, e molti di essi sono
stati graziati. Gli avanzi mortali giacciono nel sepolcro della Chiesa cattedrale
al campo del morti (2).
3 - Il P. Di
Iorio
Il P. Maestro Antonino Di Iorio, membro
dell’alma università pontificia teologica di Firenze ecc., fu versatissimo
nella patristica, predicatore [p. 54] eloquentissimo; di lui si
narra che predicando nella superba Genova, al termine del suo dire, gli si fece
incontro, pubblicamente, per congratularsi, il celebre Don Alimonda, poi
Arcivescovo di Torino e Cardinale di S. R. C.; chiarissimo scrittore ha dato
alla luce oltre sedici opere, tra le quali: Le bellezze del protestantesimo in
quattro volumi, Il sabato santificato, ed altre di soggetti diversi. Da
lui ereditammo la libreria, che tuttora conserviamo.
4 - Il P. Cosma
Lo Iodice
Il P. Cosma Lo Iodice fece il noviziato in
Andria sotto il Maestro P. Castiglione, di cui ne emulò quelle virtù per
divenire un religioso modello. Contava appena 28 anni e fu preposto come priore
in questa casa a Padri ragguardevoli. Coraggiosa fu la di lui protesta nella
soppressione degli ordini religiosi del 1866. Tornata un po’ di calma, vi fece
ritorno. Rieletto priore nel 1898, con maggior lena di prima, si diede a
promuovere il culto alla Vergine SS. fino al 13 maggio 1908, in cui andò a
ricevere lassù in cielo il premio dei servi fedeli. Quanto di bello e di buono
si operò per le feste cinquantenarie dell’Incoronazione della sacra Icone,
tutto si deve al vigilantissimo e zelantissimo P. Superiore, non escluse le
pratiche per ottenere al Santuario il titolo di Basilica. Fuggì sempre l’ozio,
e nei tempi liberi, attendendo allo studio, potè dare alla luce ben 22 volumi, [p. 55] oltre a voluminosi
manoscritti, come sarebbero “Le vite dei Santi dell’Ordine per ciascun giorno
dell’anno”, non completate; molti sermoni, panegirici ed altro. La di lui santa
memoria rimane in benedizione.
Il P. Francesco Saverio Iafanti fu un vero
esemplare di fedeltà alla religiosa vita professata. Giovane padre, nel
convento di S. Agostino di Giovinazzo, di lì espulso con gli altri frati,
anzichè prendere il volo per la sua Gildone (Campobasso), suo paesello nativo,
si portò senz’altro, in questo convento. Quivi incontrando la medesima mala
sorte, il nostro Padre, senza tetto e a costo d’ingenti sacrifizii, non
abbandonò il nostro Santuario, al cui servizio vi consacrò ben 50 anni! A lui si
deve se l’Ordine ha potuto conservare questo inclito Santuario. Oltre alla
carica di priore, occupò quella di Vicario Generale della nostra Congregazione.
Chi può numerare i copiosi frutti dell’apostolato del P. Iafanti sia nel clero,
nei monasteri e nel popolo? Con fama di santità passò a miglior vita nel dì 20
luglio 1914 d’anni 81. I funerali furono un vero trionfo a cui spontaneamente
presero parte il Capitolo della cattedrale ed il Municipio. La salma fu
benedetta dal Vescovo diocesano Mons. Giuseppe Staiti; la Messa fu celebrata da
[p.
56] Mons.
Troja, arcidiacono della cattedrale. Dai giornali venne riconosciuto quale
servo di Dio. Ha lasciato non poche prediche inedite, ripiene di sacra unzione;
la sua santa memoria ed i suoi detti sono ancora vivi tra i fedeli.
Poniamo termine, bene augurandoci di
rinvenire altri documenti, affine di far meglio conoscere ed apprezzare l’opera
santa e benefica dei nostri Confratelli nello spazio di circa sei secoli.
_________________________________________
(1) Nos pro nostris muneribus
auctoritatem et presentium litterarum virtute Nostri conventus S. Mariae
Miraculorum Andrien. existentis. Te P. Fr. Alojsium Castiglione, de cuius
prudentia, pietate, et zelo observantiae Regularis certiores sumus, Priorem
confirmamus. 15 feb. anno 1842. Fr. Michael Quaranta. Vic. G.lis O. S. A. Lib.
Defin. Anno 1842.
(2) Lo Iodice.
**************************************************************************
1. Lo storico
D’Urso
[P. 57] Il D’Urso nella storia di
Andria, dedica un intero capitolo per mostrare che l’attuale chiesa di S.
Agostino sia passata dai Tentonici al nostro Ordine nel 1387 (1). Prima di ogni altro l’illustre storico si
fonda sopra un errore di data, come si è dimostrato da quanto abbiamo detto;
poi seguita e dice: “sulla porta d’ingresso si scorge effigiata a rilievo, in
pietra bianca, l’immagine del Salvatore affiancata da due vescovi, vestiti
pontificalmente alla greca, stemma questo dei Teutonici”. Queste
affermazioni non hanno valore storico, perchè lo stemma dei Teutonici è una
croce bianca su manto nero, e i due vescovi, l’uno è S. Martino di Tours, già
titolare della primitiva Chiesa, il quale viene dipinto col Salvatore, che gli
apparve dicendogli: Martino catecumeno mi ha coperto con questa veste; l’altro
è il S. P. Agostino. Volendo pure ammettere che sia S. Remigio, ciò
confermerebbe la nostra tesi, perchè questo santo è molto venerato [P. 58] dai PP. Benedettini, avendo Papa
Leone IV fatto trasferire il sacro ed incorrotto corpo, nell’anno 1049,
nell’abbazia benedettina di Reims, che prese il nome del santo Vescovo. Gli
agostiniani lasciarono intatto l’antico portale ad rei memoriam. Il dire poi
che un’altare, una campana ed un podere abbiano preso il nome di S. Leonardo,
perché questi era il protettore dei Teutonici, non è una prova decisiva: i
nostri Padri, avendo trovato la divozione a S. Leonardo, anziché spengerla, la
diffusero di più. L’asserire che i Teutonici abbiano aperto una casa in Andria,
propriamente in quella lasciata dai Templiari, non esclude che ivi in tempo
posteriore siano stati eretti dalle fondamenta l’attuale Chiesa e Convento di
S. Agostino; tanto più che trattandosi di un tempio così grande e maestoso, non
si può supporre che un Ordine ospedaliere, che aveva l’obbligo di conservare i
suoi beni per curare gl’infermi, reduci dai Luoghi Santi, vi abbia speso buona
parte di detti fondi. L’argomento più poderoso del D’Urso e del Borsella è una
lapide che ai loro tempi fu trovata in una delle cisterne (del convento) dove
si leggono i seguenti versi: “Belligerum Ordo haec construxit templa sacrata, /
Inque aegris curam struxit et ille Domum / His dein depulsis, pietas suprema
Dinastae / Fratribus Eremi haec ipsa colenda dedit, / Ut fidei nitor et sanctae
observantia legis / Cresceret, et staret Principis altus amor”. [P. 59] Ora la contradizione è
manifesta: Se Federigo II morì improvvisamente nel 13 dicembre 1250, e nel 1269
terminò la dominazione Sveva in Italia, non poteva certamente concedere agli
Agostiniani il convento e la chiesa dei Teutonici. Quelli che seguono il D’Urso
male si appongono, tanto più che ora è stata ritrovata una seconda lapide, a
soglia di una casa, nei pressi della chiesa di S. Agostino, incisa nei
caratteri del tempo, è più breve della precedente, che forse dev’essere il
ricordo e l’ampiamento della primitiva, la quale parla dei Frati dell’Eremo e
di Federico II. I Frati dell’Eremo, se non si vuole incorrere in errore, non
sono gli Agostiniani, ma i Benedettini; i primi succeduti ai secondi, giusta la
sopracitata memoria del 1650.
____________________________
(1) D’Urso. Storia di Andria,
cap. IV, cap. VI.
2. Tommaso Maria
De Liso
Per amore di equità ci facciamo a riportare ancora
l’opinione dell’Avv. Tommaso Maria De Liso del 10 marzo 1792 (arch.
capitolare). “Questo monastero di S. Agostino, abolito l’Ordine dei Teutonici
(succeduto ai Templari) andò devoluto agli antichi dinasti di Andria, che lo
cedettero, poscia agli Agostiniani, restando però sotto l’immediata protezione
dei Dinasti e dei Sovrani del Regno che ne esercitavano il giuspatronato, e
perciò su quel fabbricato si vedono gli stemmi degli Svevi, degli Angioini,
degli Aragonesi e dei Dinasti di Andria (i Del Balzo e i Carafa). L’opinione
del De Liso non è attendibile perchè:
1) Gli Agostiniani non
successero ai teutonici secondo i documenti già riportati.
2) Non troviamo tracce del
privilegio di diritto di patronato dei dinasti e dei sovrani in altri
scrittori.
3) Gli stemmi non solo possono
affermare diritto di giuspatronato, ma ancora riconoscenza, data storica, ecc.
Sotto questi ultimi rispetti debbono, nel caso nostro, essere intesi, cioè di
gratitudine per il bene ricevuto, e per tramandare la loro memoria ai posteri.
4) Se i sovrani avessero
vantato patronato, ancora Carlo VI, imperatore d’Austria e re di Napoli, i
sovrani Borbonici, ed altri avrebbero esercitato il loro diritto facendovi
apporre i loro stemmi, il che non risulta.