R. Loconte
Seconda edizione
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Mancava
fino al 1958 una guida dell’insigne Santuario di S. M. dei Miracoli. Il prof.
Riccardo Loconte, amante di storia patria, volle provvedervi colmando così una
lacuna. Il volume, piccolo di mole, ma ricco di notizie, è stato di valido
aiuto ai visitatori del vetusto Santuario, vero tesoro di fede e di arte.
Auguro all’autore che la seconda edizione sia bene accolta ed abbia più larga
diffusione della prima onde contribuire ad una maggiore conoscenza del
Santuario e spingere ad amare sempre più la Celeste Madre dei Miracoli.
Andria, 10 maggio 1973
P. CHERUBINO TESTA
Agostiniano
Parroco del Santuario
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La Basilica di Santa Maria dei Miracoli è situata
nella parte sud-est dell’ameno territorio di Andria, città della provincia di
Bari. Essa è annessa al sontuoso edificio occupato dall’Istituto Tecnico
Agrario “Umberto I”, e insieme danno su uno spiazzale ben sistemato. Si
accede alla Basilica per mezzo di una strada asfaltata, che corre per circa un
miglio tra mandorli fioriti, verdi olivi e generosi vigneti, partendo dalla via
omonima. Su detto spiazzale, ricco di aiuole fiorite, si affacciano anche il
Convento dei Frati Agostiniani, che custodiscono la Basilica, ed una moderna
costruzione, quest’ultima adibita a Seminario Agostiniano.
Giunti sulla piazza antistante la Basilica,
notiamo subito la maestosa facciata che col campanile si staglia nel cielo
azzurro. La facciata, di pietra nostrana lavorata, è formata da un
portico coronato da un artistico parapetto. Sul portico vi è un loggiato, in
fondo al quale s’innalza la parte superiore del prospetto, anch’esso di pietra,
incorniciato alla toscana, su cui si ammira l’immagine in pietra della Vergine
dei Miracoli. Chiesa Superiore: si accede a questa per mezzo di
tre porte, poste sotto il porticato. Appena entrati, si resta impressionati nel
notare la luminosità e la snellezza del Tempio. Esso è composto da tre navate:
quella di centro, che è la più alta, è illuminata da ben tredici finestroni ed
ha un soffitto costruito nel 1633, in legno a cassettoni esagonali con rosoni,
il tutto ricoperto da una finissima doratura. Nel soffitto della navata
centrale si ammirano tre tele di discreta mano, ritoccate da inesperto
pennello; esse raffigurano S. Benedetto, la Vergine dei Miracoli e S.
Scolastica. Il soffitto a cassettoni termina con una grande cupola, che copre
l’abside a pianta quadrata. In detta abside era installato sino al 1808 un
bellissimo coro di noce massiccio scolpito, con arabeschi e santi, di grande
valore artistico, tuttora esistente nella Cattedrale di Bisceglie. In fondo
all’abside, sulla parete sovrastante lo stallo pniorale, è attaccata un’antica
orchestra del 1614, intagliata e dorata, su cui poggia un organo le cui canne
sono coperte da una tela sulla quale è dipinta la Vergine dei Miracoli tra S.
Riccardo e S. Agostino. Una balaustra di marmo bianco costruita nel 1757
circoscrive il presbiterio, in fondo al quale è situato un altare di marmo
pregiato, nel quale sono scolpiti S. Benedetto e le tre Virtù Teologali (una
volta altare maggiore della chiesa delle Benedettine di Andria). Sui muri
laterali del coro sono sospese due grandi tele di D. Elia (1757),
rappresentanti la Natività di Maria Santissima e di Gesù Cristo. Sull’ingresso
principale, ove era una volta una tela dell’Elia (tuttora esistente nella
chiesa di S. Nicola), si ammira un affresco del pittore foggiano Raffaele
Affaitato eseguito nel 1856, rappresentante S. Agostino che debella gli
eretici. Dalla navata centrale si accede alle due laterali per mezzo di dodici
archi a tutto sesto, sorretti da quattordici colonne dai capitelli corinzi. Le
navate laterali sono meno illuminate di quella centrale e in esse sono situati
sei altari di marmo pregiato. Il secondo ed il quinto sono collocati in
cappelloni, sui quali si ammirano due dipinti raffiguranti “il Sacro Cuore” (opera
di Umberto Colonna) e S. Benedetto che porge la Regola dell’Ordine a sovrani e
a frati. Sugli altri quattro altari, invece, si ammirano S. Nicola da Mira, San
Mauro, S. Michele e S. Placido: queste ultime cinque opere di D. Elia sono
belle, maestose, tendenti a rappresentazioni puramente scenografiche ma
manierate. Nelle navate laterali troviamo sei dipinti di Tito Troja eseguiti
negli anni che vanno dal 1902 al 1908, rappresentanti (cominciando dalla navata
sinistra): il Beato Alfonso d’Orosco, gli undici Beati Martiri Agostiniani del
Giappone, S. Chiara da Montefalco, il Beato Agostino Novelli, la Madonna della
Cintura (nel cappellone della navata destra) e la Beata Jnes, suora
agostiniana. Dalla cappella del S. Cuore si accede a un ampio salone dalla
volta affrescata di antico dai frati Benedettini. Al centro della volta balza
subito all’occhio del visitatore l’immagine maestosa di Maria SS. dei Miracoli,
che ha ai piedi S. Benedetto e S. Scolastica. Come l’occhio del visitatore s’è
appagato dei lavori pittorici del soffitto, si posa su una splendida collezione
di otto tele del Robortelli (appartenente alla scuola del Salvator Rosa).
Questa preziosa serie di quadri, incorniciati da splendide e massicce cornici
dorate, fu donata nel 1843 alla Basilica dalla baronessa Romagnosi di Napoli.
Sempre dalla cappella del Sacro Cuore, e sul lato destro, si accede ad alcuni
vani adibiti all’esposizione di quadri, che, quali simboli ardenti di fede,
stanno a dimostrare i miracoli e le grazie che la Vergine dei Miracoli ha
operati. Particolare attenzione desta nel visitatore il primo vano dedicato
esclusivamente ai militari di tutte le guerre. E’ proprio in questa sala che
riscontriamo con i nostri occhi illustrazioni e ricordi di strepitosi miracoli
che la Vergine operò sui campi di battaglia. In fondo alla navata sinistra v’è
una porta d’antico stampo che mena in una sala ben illuminata, ove risiede
l’ufficio parrocchiale. Nella navata destra e precisamente sul lato destro,
dopo la balaustra della scalinata, si ammira una tela di ottima fattura
rappresentante la Sacra Famiglia e dipinta da C. Curci (1898). In questa raffigurazione
c’è tutto quello che può far bello un quadro: il disegno, il colore,
l’espressione dei personaggi e tante altre cose, che all’occhio dell’esperto
non sfuggono. Dalle navate laterali si accede dapprima alla Chiesa media o
cappella della “Crocifissione” e poi alla Chiesa inferiore o “grotta”, per
mezzo di due ampie scalinate rivestite di marmo. Chiesa media o cappella
della Crocifissione. Vi si accede a metà delle due scalinate tramite due cancelletti
incorniciati da stipiti e architravi di marmo. E’ un tempietto la cui volta è
sorretta da quattro robusti pilastri; questi ultimi, i muri perimetrali e
l’altare sono affrescati da un mediocre ed anonimo pennello. Gli affreschi
rappresentano: Sibille, Profeti, varie scene della Passione Dolorosa del Salvatore
e terminano queste ultime con la scena centrale del Calvario, che si svolge su
un semplice ed unico altare. Il tempietto prende luce a occidente da tre
finestre: due piccole, corrispondenti ciascuna alle due navate laterali; e
l’altra grande corrispondente alla centrale, nella quale è sistemato un organo
armonioso e di antica data. Chiesa inferiore. Le due scalinate di marmo
al termine danno in un ampio vano, che è quello antistante la grotta, nella
quale sei svelti pilastri reggono due volte laterali e una cupola centrale.
Sulla parete situata di fronte alla grotta si ammira una bella tela dell’Elia,
raffigurante la Regina di Saba sbalordita dalla sapienza di Salomone. Su quella
sinistra è affrescata Giuditta che taglia il capo ad Oloferne e su quella destra
è affrescata Giaele che inchioda Sisara al suolo. Sulle porte che danno nella
valle si ammirano gli affreschi: Gesù nell’orto di Getsemani e la Samaritana
che incontra Gesù. Detti affreschi, di squisita fattura, hanno come autore
l’Elia. La grotta. Ha un prospetto ornato di stucchi leggermente
colorati e sovrapposto a una parete in pietra riccamente lavorata, che
raggiunge i tre archi sui quali il prospetto è poggiato. Detti archi formano
tre porte d’ingresso alla grotta che sono munite di cancelli. Non appena si
entra, subito di fronte troviamo l’altare della Vergine, di marmo semplice ed
elegante, circondato da una balaustra anch’essa di marmo. La volta che sovrasta
detto altare è rivestita di lamine di argento dorato. Tra l’altare e il cielo
di argento, su di una facciata di pregiato marmo colorato, troneggia in una
cornice argentea la figura maestosa della Madonna dei Miracoli col Bambino in
grembo, affresco bizantino del V secolo. L’altare, il cielo e la balaustra
furono fatti costruire da Ferdinando II, re di Napoli. A destra e sinistra
della porta che mena in sacrestia sono affrescati alla greca S. Nicola e S.
Margherita.
Dietro la Basilica di S. M. dei Miracoli c’è una vallata, nella quale un tempo scorreva un torrentello chiamato Lama; nei pressi di questo e (pare), ove è oggi la grotta della Vergine, vi erano delle rozze caverne scavate nel tufo. Dette caverne furon dapprima nascondiglio dei primi cristiani andriesi, chiamati dallo stesso S. Pietro alla Fede, e poi asilo dei monaci orientali di derivazione Basiliana, i quali le deconarono con dipinti. Al tempo dei Basiliani la grotta era munita di un sedile che tutt’intorno si estendeva a guisa di coro, mentre al centro troneggiava un piccolo altare su cui vi era un dipinto di Santa Margherita con i miracoli di questa intorno; mentre un arco metteva in un’altra grotta nella quale era dipinta la Madonna dei Miracoli su un altarino di rozzo tufo. Nel 944 i frati Cassinesi, a seguito di parecchie donazioni, vennero in Andria, stabilendo il loro eremo presso l’altare di S. M. dei Miracoli. Più in là, ladri e vagabondi scacciarono dalla grotta i frati per impossessarsi del posto, trasformandolo in un covo di malfattori. Così la bella Madonna fu dimenticata da tutti. Un giorno del 1451 il pio Duca di Andria Francesco II del Balzo, di passaggio da quel luogo, fermò il suo destriero e, per ispirazione divina, esclamò: In questa grotta vi è un gran tesoro; beato chi lo troverà! Nel 1561 moriva a Bitonto padre Angelo De Lellis dei Minori Conventuali e tra gli scritti di costui il Provinciale Cristoforo Palmieri da Tonte Saliso, rinvenne un cartellino su cui era scritto: “Andrai in Andnia, e ti porterai verso occidente, nell’antica Chiesa detta di Santa Margherita nella Lama, ove troverai due porte, una verso mezzogiorno e l’altra verso settentrione. Entra per quella che dà a settentrione, cerca alla tua sinistra e troverai un grande tesoro”. Il Provinciale scrisse ad un suo conoscente: fra’ Donato de Magistris andriese il quale, dopo averne parlato al sacerdote della Cattedrale don Prospero Ricca, mandò suo fratello alla ricerca di detto tesoro, ma ohimè!, come entrò con la torcia accesa in compagnia di fra’ Diaspero Guidala, agostiniano, e di Riccardo Sgarra, la torcia si spense e le percosse cominciarono a piovere da tutte le parti e così gli avidi di oro dovettero uscire da quel luogo sacro. Scappati via, raccontarono l’accaduto agli Andriesi, i quali denominarono quel luogo valle indemoniata. Nel 1575 a un carpentiere di nome Antonio Tucchio appare la Vergine, imponendogli di portarsi alla grotta per accenderle una lampada. Il Tucchio, dopo tante esitazioni, il 10 marzo 1576, in compagnia dei signori Annibale Palombino e Giulio da Torrito, con una fiaccola accesa penetrò nella grotta di S. Margherita e, dopo aver sgombrato da pietre ed arbusti l’arco che dava verso settentrione, entrò nella seconda grotta e scoprì la bella immagine di Maria Santissima; vi accese una lampada ad olio e vi fece promessa di andarla ad accendere ogni sabato. Palombino un sabato non andò a trovare la Vergine, come aveva promesso ma, quando tornò con Gian Antonio, la lampada era ancora accesa, anzi da questa traboccava olio. Il Palombino, visto tale miracolo, bagnò la mano nell’olio della lampada ed unse la gamba malata del suo cavallo, che in un attimo guarì. I due, visto il miracolo della lampada e la guarigione del cavallo, tornarono ad Andria gridando: Al miracolo! Al miracolo! In poco tempo migliaia e migliaia di bisognosi di grazie di Andria e dei paesi vicini accorsero alla grotta per pregare e per accendere lampade. Molti miracoli furono operati dalla Vergine Santissima, tanto che il popolo la chiamò Madonna dei Miracoli, nome confermato da Papa Gregorio XIII. Il 6 giugno Mons. Luca Fieschi, vescovo di Andria, si recò con il Duca Fabrizio III Carafa ed altre autorità in pellegrinaggio alla grotta. Per atto redatto dal notaio Federico de Colutiis, l’11 febbraio 1577, fu costituita una Confraternita formata da 25 signori e 25 ecclesiastici scelti dal Vescovo, che dovevano avere il compito di accrescere il culto alla Vergine, ricevere e custodire le offerte devolute alla costruzione di un grande tempio che incorporasse la grotta. In seguito Fabrizio Carafa e Mons. Fieschi si prodigarono affinché il nascente Santuario fosse retto dai Benedettini e non da una Congregazione laica. Il 13 gennaio 1580 il Pontefice Gregorio XIII approva e concede la fondazione della Badìa di Maria SS. dei Miracoli. Il 1581 l’amministratore dei Benedettini padre Severino Montella prese possesso della predetta nuova Badìa, alla presenza del Duca, del Vescovo e di una gran folla che dalla città fedele accorse per la circostanza. Insediatisi i Benedettini, fecero venire da Napoli il famoso architetto e scultore Bergamasco Cosmo Fanzaga, il quale progettò con maestrìa una badìa ed un meraviglioso tempio a tre navate. Nel 1606 le strutture murarie erano quasi allo stato attuale, mentre nel 1633 venne costruita la volta a cassettoni e il magnifico tempio fu consacrato. La città di Andnia, nonché i legati e le donazioni di ricchi devoti dotarono l’abazia di un vasto territorio circostante che si aggirava sui circa 1128 ettari di terreno (v. appendice). Re Filippo nel 1602 concesse il permesso per due fiere da celebrarsi presso detto Santuario: una il primo sabato di giugno e l’altra l’ultima domenica di agosto, anniversario della consacrazione della Chiesa. Le soldataglie francesi, il 23 marzo 1799, occuparono Andria, saccheggiarono l’Abazia, il Santuario e i frati furono malmenati e scacciati. Nel 1807 l’abazia fu soppressa, e i suoi beni confiscati dal Regio Demanio nel 1810. E così la Chiesa e l’Abazia restarono incustodite, alla mercè di tanti ladruncoli, che avevano intenzione di portarsi via perfino i marmi pregiati degli altari.
[…] Nel 1837 il Vescovo di
Andria Giuseppe Cosenza pregò l’Agostiniano Gian Michele Maria Quaranta di
avere nell’Abazia di S. M. dei Miracoli un convento di Agostiniani, e così il 6
ottobre 1838 i reverendi padri Luigi Castiglione, Ferdinando Cosenza, Francesco
Cappa e Tommaso Tasca presero possesso del Santuario e del Convento. Il 3
maggio dell’anno 1857, il Vescovo di Andria Giovanni Giuseppe Longobardi
incoronava la Vergine Santissima e le poneva nella mano destra una rosa d’oro
massiccio, donata da Ferdinando II Re di Napoli. Il 14 agosto 1858 la Sacra
Congregazione dei Riti elevò S. M. dei Miracoli a protettrice di Andria e
diocesi. In seguito alla legge del 12 luglio 1866 furono chiusi molti conventi.
Il 2 gennaio 1867 anche gli Agostiniani del Santuario di S. M. dei Miracoli
restarono senza convento; così l’Abazia, dopo sei anni d’abbandono, fu offerta
dal Comune di Andria alla Provincia di Bari con l’aggiunta di L. 4.000 annue
per dieci anni per l’impianto di una Colonia Agricola (oggi Istituto Tecnico
Agrario “Umberto I”). Gli Agostiniani, poi, ebbero una sede poco lontano, una
graziosa palazzina di due piani, costruita nel 1886. Il Santuario fu innalzato
al titolo di basilica minore da S. Pio X con bolla datata in Roma il 29
novembre 1907 e firmata dal Segretario di Stato Pontificio Cardinale Merry del
Val. Diventò Parrocchia il 1° febbraio 1930 in seguito all’istanza di Mons.
Macchi, Vescovo di Andria, a Pio XI.
Padre Aurelio Garofalo 1838
Padre Luigi Castiglione 1838-1842
Padre Luigi de Antonellis 1844
Padre Ferdinando Cosenza 1847
Padre Gianfranco Trojano 1848
Padre Vincenzo Fanella 1850-1853
Padre Tommaso Tasca 1856
Padre Cosma Lo Iodice 1859
Padre Francesco Saverio Iafanti 1880-1898
Padre Cosma Lo Iodice 1898-1908
Padre Mariano Feriello 1908
Padre Antonio Fontanarossa 1910
Padre Mariano Feriello 1912
Padre Clemente Caruso 1913
Padre Giovanni Simonetti 1919
Padre Mariano Feriello 1922-1931
Padre Michele Malcangi 1931
Padre Serafino Alicino 1934-1938
Padre Mariano Feriello 1938
Padre Michele Malcangi 1943
Padre Serafino Alicino 1948
Padre Nicandro Racanelli 1951
Padre Mariano di Molfetta 1956
Padre Cherubino Testa 1957-1963
Padre Mario Cinquepalmi 1963-1969
Padre Cherubino Testa 1969
Se il Santuario della Madonna dei Miracoli ha
chiamato a sé tanti fedeli di Maria SS., ciò è dovuto innanzitutto agli
strepitosi miracoli, che in continuità la Madre Divina ha operati, nonché allo
zelo instancabile che rifulse per la santità di vita, per l’apostolato e per la
cultura di alcuni illustri Religiosi, che hanno retto la Basilica. Tra questi
sono da ricordare Padre Luigi Castiglione, Padre Tommaso Tasca, Padre Cosma Lo
Iodice, Padre Francesco Saverio Iafanti. Si devono al rev.mo Parroco Padre
Cherubino Testa i recenti lavori di restauro della Basilica (1959-1966), ed in
particolar modo il rinnovo delle strutture di copertura della navata centrale,
affinché l’acqua piovana non rovinasse la bellissima, artistica e pregevole
volta a cassettoni. Al detto Padre va anche il merito di aver edificato un
bellissimo e moderno edificio che dà sul piazzale antistante la Basilica, che
egli stesso volle Seminario Agostiniano. Tante iniziative sono state ideate e
realizzate a costo di sacrifici notevoli da Padre Testa, per rendere la
Basilica di S. M. dei Miracoli mèta di continui pellegrinaggi da parte di
andriesi e forestieri, che hanno bisogno di grazie. Fra i numerosissimi
visitatori del Santuario, si annoverano: S. Francesco di Girolamo, S. Giuseppe
Labre, S. Giuseppe da Copertino e il Beato Giovenale Ancina. San Pio X, tanto
per concludere, così ebbe a dire della Basilica: “L’antico tempio di Andria
dedicato alla Beata Vergine Maria, la cui antica immagine, insigne per prodigi,
fu decorata col titolo dei Miracoli dal nostro antecessore Gregorio XIII, gode
del primato su tutte le Chiese della Regione per la grandezza e le opere
d’arte”.
BENI
POSSEDUTI DAL CONVENTO DEI FRATI CASSINESI DI S. MARIA DEI MIRACOLI.
Nel
secolo XVII il monastero possedeva all’incirca 1128 ettari […].