P. MARIO MATTEI
agostiniano
Bergamo 22 novembre 2002
Cap. I -
L’EREDITA’ DI S. AGOSTINO
B. COSA RIMASE DEL
MONACHESIMO E DELLA REGOLA DI S. AGOSTINO
C. LA PRETESA DI UNA
CONTINUITA’
Cap. II - L’ORIGINE DELL’ORDINE AGOSTINIANO
A. LA
PICCOLA UNIONE DEL 1244
B. IL PRIMO CAPITOLO DEI TOSCANI
C. LA
GRANDE UNIONE DEL 1256
Cap. III - L’ORIGINALITA’ DELL’ORDINE AGOSTINIANO
A.
L’ORDINE AGOSTINIANO COME FRANCESCANI E DOMENICANI
B. IL
RUOLO DELLA SANTA SEDE
C. LA
RIFORMA DELLA CHIESA
D. IL
COMPITO AFFIDATO DALLA CHIESA E L’INGRESSO NELLE CITTA’
E. GLI
STUDI NELL’ORDINE AGOSTINIANO
F. LA
CUSTODIA DEL CORPO DI S. AGOSTINO
Cap. IV -
L’EPOCA DELLA DECADENZA E LA NASCITA DELLE OSSERVANZE
A. LA
DECADENZA
B. LE
CONGREGAZIONI DI OSSERVANZA
Cap. V -
LA CONGREGAZIONE DI LOMBARDIA
A.
L’ORIGINE DELLA CONGREGAZIONE
B. GLI
INTERVENTI SULL’ORGANIZZAZIONE DELLE OSSERVANZE
C. IL CAPITOLO DI MONTE SPECCHIO DI TUTTE LE OSSERVANZE
D.
L’AUTONOMIA E LE CONTROVERSIE
E. LA
CONGREGAZIONE DI LOMBARDIA A TOLENTINO
F.
L’APICE E LA FINE
Nel mio
Ordine non esiste nessuno studio specifico sulla storia della Congregazione di
Lombardia e tutti coloro che se ne sono interessati hanno citato quasi
esclusivamente l’opera del Calvi[1].
Dopo la soppressione napoleonica gli Agostiniani sono quasi spariti dall’Italia
del nord e nessuno di loro si è più interessato di fare ricerche sulla storia
dell’Ordine in queste terre. Un primo tentativo di portare a conoscenza degli
studiosi la ricchezza delle fonti archivistiche, relative alla Congregazione di
Lombardia che si conservano presso l’Archivio Generale di Roma, fu fatto dal
mio confratello olandese Van Luijk nel 1968[2].
Si deve poi alla Gatti Perer una ripresa di interesse e di studi sulla
Congregazione[3].
Sono certo
che le interessanti relazioni di questo Convegno porteranno ulteriori
approfondimenti e permetteranno di affrontare in un prossimo futuro uno studio
ad ampio raggio sulla storia della Congregazione. La mia relazione vuole
collocare l’esperienza della Congregazione Lombarda all’interno dell’esperienza
più vasta dell’Ordine agostiniano, coglierne la spiritualità e delinearne la
specificità, ma anche le diversità e i contrasti rispetto all’Ordine da cui è nata.
Cap. I
L’EREDITA’ DI S. AGOSTINO
A.
L’ORDINE AGOSTINIANO E S. AGOSTINO
La storia
dell’Ordine agostiniano è particolarmente complessa ed è facile incorrere in
imprecisioni, se non in errori. Credo quindi sia necessario incominciare con il
chiarire quale rapporto ci sia tra l’Ordine agostiniano e S. Agostino.
Gli storici agostiniani del passato hanno posto quasi sempre all’inizio
delle loro opere una introduzione sulle fondazioni monastiche di S. Agostino,
con un compendio più o meno esteso della sua dottrina sulla vita religiosa. Con
questo gli autori cercavano un vincolo di unione tra i monasteri fondati in
Africa da S. Agostino fin dal 391 e l’Ordine costituito nel 1256. Inoltre
miravano anche a dimostrare, con il compendio della sua dottrina monastica, che
gli Agostiniani erano -senza interruzione- i continuatori del monachesimo
agostiniano del IV secolo.
Per quanto
riguarda le fondazioni monastiche dovute a S. Agostino sappiamo che nel V
secolo c’erano in Africa 35 monasteri maschili e non meno di dieci femminili[4].
Il centro principale dei primi monasteri fu il monasterium virorum fondato da S. Agostino a Ippona nel 391.
Dal 430 al
570 molti vescovi, chierici e monaci africani, costretti all'esilio dai
Vandali, trasferirono il monachesimo agostiniano in Europa, contribuendo così
alla sua conoscenza, “non solo in altre regioni dell'Africa, ma anche in altre
terre al di là del mare”, come scrive S. Possidio, il primo biografo di
Agostino[5].
Sappiamo di vescovi africani a Napoli, Capua ed in altri centri italiani, ma
anche in Francia e Spagna. Di rilievo la presenza di Fulgenzio da Ruspe in
Sardegna. Durante il suo primo esilio in quest'isola, verso il 502, condusse
vita comune con chierici e monaci venuti con lui dall'Africa. In seguito fondò
un monastero fuori Cagliari dove governò una numerosa comunità[6].
Interessante è anche la vicenda del corpo di S. Agostino[7].
Verso il 504 gli esuli africani portarono le reliquie del Santo a Cagliari e
possiamo credere che con esse giungessero in Sardegna anche gli scritti che
Agostino comandava sempre che fossero custoditi diligentemente: “Ecclesiae
bibliothecam omnesque codices diligenter posteris custodiendos semper iubebat”[8].
Verso il 720, quando i Saraceni conquistarono l’isola, Liutprando, re dei
Longobardi - ci racconta Paolo Diacono - riscattò dai Saraceni “magno pretio”
le reliquie del Santo e le traslò a Pavia[9].
B. COSA RIMASE DEL MONACHESIMO E DELLA
REGOLA DI S. AGOSTINO
Non si può provare storicamente che vi sia una sopravvivenza, per diretta successione, della vita monastica ideata e istituita da S. Agostino. Anche in Europa le possibili orme agostiniane si andarono rarefacendo fino al prevalere lentamente di una concezione della vita religiosa alquanto diversa da quella di Agostino e al prevalere della regola benedettina.
Se cerchiamo una continuità
con Agostino attraverso la Regola, troviamo un silenzio di quasi due secoli:
dal Concilio di Aquisgrana dell’816 al 975, quando probabilmente essa tornò a
rivivere in Reims per opera del suo vescovo Adalberto. Tuttavia cominciò a riapparire e ad
imporsi quando si sentì la necessità di introdurre la riforma nei capitoli
(come nel 1063 a Milano) e nei monasteri (come nel 1108 nella celebre abbazia
di S. Vittore a Parigi). Ma è soprattutto il Concilio Lateranense IV (1215) che
ne facilitò la diffusione obbligando coloro che volevano fondare una nuova
comunità religiosa ad “assumere la Regola di uno degli ordini già approvati”[10].
Così nel 1216 S. Domenico la scelse per i suoi frati Predicatori, altrettanto
fecero poco dopo i Mercedari, i Servi di Maria e la maggior parte degli Ordini
Ospedalieri e Cavallereschi. Era chiaro che nessun’altra Regola si adattava
come quella agostiniana alle nuove istanze e al nuovo orientamento di vita
religiosa. La ragione del successo della regola agostiniana era già indicata
sin dal 1258 da uno dei suoi migliori interpreti, Humberto de Romans, il quinto
superiore generale dei Domenicani, secondo il quale consisteva innanzitutto
“nella santità, nella profondità della dottrina e nella autorità del suo
autore”, ma anche nella severità con cui prescrive l'essenziale della vita
religiosa: l'amore di Dio e del prossimo, l'unione dei cuori e la perfetta vita
comune, e nella sua moderazione per le norme secondarie, che dà campo libero
alle costituzioni dei nuovi fondatori[11].
C.
LA PRETESA DI UNA CONTINUITA’
Ad un certo punto troveremo,
nel panorama ecclesiale medievale, un Ordine religioso che rivendicherà la
diretta eredità dal Santo, i cui membri considereranno perciò S. Agostino come
loro fondatore e Padre.
Nonostante gli
oltre otto secoli trascorsi dalla morte del Vescovo di Ippona, gli eremiti
agostiniani, tra la fine del secolo XIII e la prima metà del secolo XIV, misero
un grande impegno nel dimostrare che, tra tutte le famiglie religiose che
professavano la regola di S. Agostino, essi erano i continuatori del suo
monachesimo e i suoi veri discepoli.
Così per Enrico da Friemar (che scrive nel 1334), S. Agostino fu frate eremita
fin dal suo battesimo in quanto fu lo stesso S. Ambrogio che lo rivestì
dell’abito nero e della cintura. Aggiunge poi che nel suo viaggio di ritorno
in Africa “incontrò in Toscana molti frati eremiti di santa vita, ed essendo
arrivato nel nostro eremo di Centocelle che, come si dice, fu il primo convento
del nostro Ordine, dimorò per due anni con quei frati, dando loro la Regola e
la forma di vita”[12].
Giordano di
Sassonia (che scrive vent’anni dopo)[13],
con più senso critico e basandosi sui dati delle Confessioni, deve ammettere
che S. Agostino dopo il battesimo si trattenne in Italia appena un anno.
Tuttavia accetta la tesi che “di ritorno in Africa, visitò di passaggio i
fratelli eremiti di Toscana e di Centocelle”[14].
Per quanto poi riguarda la continuità dell’ordine dal 430 fino all’inizio del
secolo XIII scrive: “ma in che maniera siano vissuti e che cosa abbiano fatto i
nostri fratelli in quel lungo lasso di tempo, cioè dalla dispersione in Africa
fino ai giorni di Innocenzo, non ho
potuto trovarlo in alcuna scrittura autentica. Per questo non ho potuto
scrivere nulla di quel periodo; una cosa però è certa: che quella benedetta
schiera di seguaci di S. Agostino non si estinse mai del tutto, ma continuò in
alcuni fratelli che vissero in santa semplicità fino all’anno del Signore
1215, quando si celebrò il Concilio Laterano sotto il suddetto signor papa
Innocenzo III”.[15]
Nell’iconografia agostiniana in seguito non é raro trovare S. Agostino che visita gli eremiti della Tuscia, come nel chiostro dell’Eremo di Lecceto (Siena) in cui S. Agostino sbarca nel porto di Pisa.
Cap.
II
L’ORIGINE DELL’ORDINE AGOSTINIANO
A. LA PICCOLA
UNIONE DEL 1244 TRA GLI EREMITI DELLA TUSCIA
L’Ordine agostiniano ha inizio
nel 1244. Infatti in data 16 dicembre 1243 il papa Innocenzo IV invia la bolla Incumbit nobis “a tutti i diletti figli Eremiti, che vivono nella Tuscia[16],
esclusi i frati di S. Guglielmo”. Essa dice: “informati diligentemente sul
vostro genere di vita dai diletti figli, i fratelli eremiti Stefano, H, G, P.[17],
vi manifestiamo la nostra volontà di non volervi come un gregge errante senza
pastore; e pertanto, che vi conformiate ad un solo regolare proposito,
prendendo la Regola e l’Ordine del beato Agostino, e confessando di vivere
d’ora in avanti secondo esso. Le Osservanze o Costituzioni saranno opera
vostra, senza contraddire tuttavia alle finalità istitutive dello stesso
Ordine. Eleggerete anche, secondo le norme dell’elezione canonica, un priore
generale adatto, a cui presterete obbedienza e il dovuto rispetto. Se, su quanto stabilito sopra,
sorgesse qualche difficoltà, ricorrerete al diletto figlio il card. diacono
Riccardo di S. Angelo, che é stato da noi nominato vostro correttore e
provveditore”[18].
Innocenzo
IV lo stesso giorno 16 dicembre invia una seconda bolla, la Praesentium vobis. Essa dice: “Con la
presente autorità vi ordiniamo di inviare alla Sede Apostolica, nel tempo
stabilito dal nostro diletto figlio il cardinale Riccardo di S. Angelo, che
abbiamo nominato vostro correttore e provveditore, uno o due frati di ogni
singola comunità perché obbediscano alla nostra volontà riguardo alla riforma
del vostro Ordine”[19].
Elemento
importante per la storia dell'Ordine agostiniano è la nomina del Card. Riccardo
degli Annibaldi come protettore. Fu lui che rese possibili tanto l’Unione degli
eremiti della Tuscia nel 1244 quanto la Grande Unione del 1256. Fu lui che, a
servizio di nove papi (1237-1276), guidò la politica della S. Sede nei riguardi
del nuovo Ordine. Tutti i Capitoli generali, celebrati fino alla sua morte, si avvalsero
del suo consiglio e della sua esperienza. Approfittò delle circostanze della
politica europea, come i suoi buoni rapporti con la corona inglese, per
promuovere l’espansione degli Agostiniani non solo in Italia, ma anche nel
nord Europa. Nel 1250 fece sgombrare ai Minori il convento di S. Maria del
Popolo per insediarvi i Toscani e fu sempre dentro ad ogni avvenimento della
storia agostiniana dalla Grande Unione in poi, con un potere praticamente
assoluto, anche al di sopra del Generale.
Non c'è dubbio che nelle intenzioni del
Papa, e questo lo si vedrà con l'evolversi dei fatti, c'era certamente la
volontà di fondare un nuovo Ordine sul tipo dei Francescani e dei Domenicani.
Anche la nomina del Card. Riccardo degli Annibaldi come protettore (corrector) e provveditore lo conferma[20].
E’ quindi comprensibile come la S. Sede
abbia seguito con particolare interesse il crescere di questo nuovo Ordine e
gli abbia inviato dal 1244 al 1256 circa quaranta bolle. Tra queste ve ne sono
alcune con i contenuti tipici di quelle riservate ai Francescani e Domenicani:
come la Religiosam vitam del 26
aprile 1244, con la quale riconosce al nuovo Ordine l’esenzione dai Vescovi e
la sottomissione diretta alla S. Sede.
B. IL PRIMO CAPITOLO DEI TOSCANI
Nel marzo del 1244 si riunirono a Roma, sotto la presidenza del cardinale Annibaldi[21], due rappresentanti di ognuna delle case degli Eremiti della Tuscia (eccetto i Guglielmiti). In obbedienza al canone 12 del Concilio Lateranense IV, che decretava la presenza di due abati cistercensi nei nuovi Capitoli, vi assistettero anche gli abati di Fossanova e di Falleria, per offrire aiuto e consiglio, data la loro esperienza al riguardo. Si elesse un priore generale per un triennio, si stabilì la celebrazione annuale del Capitolo e si redassero le Costituzioni. Purtroppo non conserviamo più gli Atti originali di quel Capitolo[22]. Nonostante la carenza di fonti dirette, possiamo supporre il contenuto delle decisioni prese e il tenore delle prime Costituzioni dell’Ordine attraverso le bolle papali posteriori, come la Pia desideria del 31 marzo di quell’anno, con la quale il Papa ratificò le disposizioni capitolari[23].
C.
LA GRANDE UNIONE DEL 1256
Dopo la
“piccola unione” del 1244 con la quale gli eremiti della Tuscia ricevettero “la
Regola e l’Ordine di S. Agostino”, con la bolla Cum quaedam salubria[24] del 15 luglio 1255 Alessandro IV chiamò
a raccolta alcune congregazioni di eremiti, quasi tutte con la regola
agostiniana, perché si riunissero in un Ordine religioso sul tipo dei
Francescani e dei Domenicani. L'atto ufficiale di fondazione venne approvato da
un Capitolo che si svolse nel convento di S. Maria del Popolo nel marzo del
1256, sotto la guida del card. Riccardo Annibaldi. Il Papa con la bolla Licet Ecclesiae Catholicae[25]
del 9 aprile 1256 sancì l’unione di queste congregazioni eremitiche, “alcune
delle quali -dice la bolla- si chiamano dell’Ordine di S. Guglielmo, altre
dell’Ordine di S. Agostino, altre di fra Giovanni Bono, altre di Favale e altre
infine di Brettino”. Ecco quindi l’elenco delle congregazioni di eremiti che
formarono il nuovo Ordine:
La prima
congregazione di cui parla la bolla Licet
Ecclesiae Catholicae del 9 aprile 1256 ebbe origine verso il 1158 presso la
tomba di S. Guglielmo di Malvalle ad opera dei suoi discepoli. Poco si conosce
di questo santo eremita. Si sa che nacque in Francia, che andò pellegrinando
come penitente verso molti santuari e che al ritorno da un pellegrinaggio in
Terra Santa si fermò in un luogo solitario chiamato Malvalle, vicino a
Castiglione della Pescaia, in provincia di Grosseto, dove passò i suoi ultimi
anni nella preghiera e nella penitenza fino alla sua morte che avvenne nel
1157. Non fondò un Ordine e non lasciò una Regola, ma ben presto si ebbero
l’uno e l’altra per opera del suo discepolo Alberto. Attorno alla sua tomba i
suoi discepoli incominciarono a imitarne la vita eremitica e penitente, ma si
diffusero presto in Toscana, Lazio e Marche. Nel 1244 avevano già valicato le
Alpi con il nome di Ordine di S.
Guglielmo e nel 1256 erano presenti in Francia, Belgio, Germania e
Ungheria. Non tutti i monasteri di questa Congregazione confluirono nell’Ordine
Agostiniano in quanto molti preferirono continuare a vivere la loro vita
primitiva di rigoroso ascetismo[26].
2. Gli Eremiti della Tuscia
La Toscana
era la regione dove maggiormente si era diffuso il movimento eremitico nei sec.
XI e XII. I Toscani si possono dividere in due gruppi: uno, nelle provincie di
Lucca e di Pisa, e l’altro nella provincia di Siena e dintorni. Gli eremiti del
primo gruppo si svilupparono verso nord, quelli del secondo gruppo si diffusero
invece verso il Lazio e nel 1250 ricevettero dal Papa il convento di S. Maria
del Popolo in Roma. Si diffusero anche all’estero. Nel 1256 aderirono tutti
alla Grande Unione[27].
3. Gli Eremiti
di Fra Giovanni Bono
Questi
eremiti, a differenza di tutti gli altri, non ebbero una origine anonima o
collettiva, ma si formarono attorno alla personalità di questo santo eremita.
Citati al terzo posto nella bolla di Alessandro IV, costituiscono il gruppo
meglio conosciuto e uno dei gruppi di vita più vivace. Per una conoscenza più
profonda di questo beato (e dei suoi eremiti) rimando alla mia pubblicazione
sul suo processo di canonizzazione[28].
4. Gli Eremiti
di Brettino
Il quarto
gruppo chiamato a far parte della Grande Unione furono gli eremiti di Brettino,
un luogo solitario a circa sei chilometri a nord-ovest di Fano (Pesaro). Era
una Congregazione nata per comune accordo di alcuni uomini devoti che,
all’inizio del sec. XIII, avevano incominciato a riunirsi nella Chiesa di S.
Biagio di Brettino per pregare e fare penitenza. Congregazione uniforme e
simile a quella dei Giamboniti, aveva costruito accanto alla Chiesa di S.
Biagio un eremo e aveva incominciato a diffondersi con la fondazione di altri
eremi dove si osservava la vita comune, una estrema povertà e si viveva un duro
ascetismo. Il 26 novembre 1227 il papa Gregorio IX dirige loro una bolla in cui
mette sotto la sua protezione la Congregazione; con un’altra bolla dell’8
dicembre 1228 ne conferma le costituzioni. Parecchie sono le bolle che i papi
rivolgono loro. Dalla scuola di vita degli eremiti di Brettino possiamo dire
che è uscito S. Nicola da Tolentino (1245-1305)[29].
5. Gli Eremiti
di Monte Favale e Altri
Sebbene
citati nella bolla della Grande Unione del 1256, gli eremiti di Favale o Monte
Favale (Pesaro) nel 1255 avevano ottenuto di essere incorporati ai Cistercensi.
Probabilmente, trovandosi tra i partecipanti alla Grande Unione, qualcuno dei
suoi eremiti o forse qualche casa, avevano aderito all’invito di Alessandro IV. Con la Grande Unione non
si esaurì la spinta di aggregazione. Un altro gruppo di eremiti, che si unirono
al nuovo Ordine nel luglio del 1256, furono i Pauperes catholici. Questi avevano delle case in Lombardia e verso
il 1238 professavano già la regola agostiniana. Un altro gruppo che
contribuirono all’espansione dell’Ordine agostiniano furono i Frati del Sacco o
“de poenitentia Jesu Christi”, che
ebbero origine in Francia verso il 1248 e che avevano la regola agostiniana.
Soppressi dal Concilio di Lione del 1274, diversi loro conventi passarono
all’Ordine agostiniano[30].
Cap.
III
L’ORIGINALITA’ DELL’ORDINE AGOSTINIANO
A. GLI AGOSTINIANI COME FRANCESCANI E DOMENICANI
Kasper Elm
parla giustamente di una storia e di una preistoria agostiniana[31].
La storia incomincia con la Grande Unione del 1256. La
preistoria è il periodo delle Congregazioni degli Eremiti di Toscana, degli Eremiti di fra Giovanni Bono e dei Brettinesi. In altre parole gli Agostiniani nascono insieme ai Francescani[32]
e ai Domenicani, attraversano come loro i travagli del tempo e contribuiscono
alla riforma della Chiesa con il loro
originale contributo. Originale contributo che la S. Sede riconosce e trasforma
in compito con la Grande Unione nel 1256. Questa preistoria, ricca di fermenti ed estremamente
affascinante è ancora per lo più trascurata. Non solo per la scarsità di
documenti, ma anche perché gli
storici agostiniani, preoccupati di
dimostrare una continuità diretta con S. Agostino, hanno sorvolato abbbondantemente su questo periodo,
preferendo gli insediamenti urbani dopo la Grande Unione.
B. IL RUOLO DELLA SANTA SEDE
La Piccola Unione prima, e la Grande Unione
poi, furono il frutto di una iniziativa della S. Sede. D’altronde già il
Concilio Lateranense IV (1215) aveva tentato di mettere ordine nel proliferare
di una vita religiosa senza regole e disciplina. Tuttavia questi cambiamenti,
che incisero così profondamente negli Ordini uniti nel 1256 (tanto che vennero
assorbiti in una nuova entità), non suscitarono sorprese né ribellioni. Ad
eccezione dei Guglielmiti, che ritornarono presto alla loro vita di austero
ascetismo. Dal Processo di canonizzazione di fra Giovanni Bono si capisce molto
bene che c'era fra i suoi eremiti il comprensibile desiderio di assomigliare a
Francescani e Domenicani, che avevano un indiscusso successo e la stima della
Chiesa. Ma questo spirito di emulazione guiderà anche il nuovo Ordine unito nel
1256. Infatti nel giro di pochi anni gli Agostiniani potevano competere alla
pari con Francescani e Domenicani, soprattutto nel campo degli studi.
Per quanto riguarda la Grande Unione del
1256, sembra evidente che nelle intenzioni della S. Sede si volesse
semplicemente allargare l'unione del 1244, portando a compimento quel disegno
di fondare un nuovo grande Ordine. Infatti non solo rimase il nome di Ordine Eremitano di S. Agostino, ma vi
era anche nei progetti di Alessandro IV che fra Filippo da Parrana, il generale
dei Toscani, fosse il generale del nuovo Ordine. Difatti un codice, scritto
attorno al 1322, dice: papa Alexander […]
fratrem Phylippum volens, ut antea erat, priorem dicti Ordinis preficere, qui
obmissis huius rei gratia multis lacrimis fere recusare obtinuit. Et tunc
fratrem Lanfrancum de Mediolano, virum prudentem, eis priorem instituit
generalem[33].
C. LA RIFORMA DELLA CHIESA
Movimenti
pauperistici ed ereticali, come quelli dei Catari e dei Patari, in vaste zone
d’Italia venivano ad occupare il vuoto lasciato da una cura d’anime sempre più
assente e da un clero a dir poco impreparato. La riforma della Chiesa sempre
più invocata, languiva in un immobilismo senza speranza; essa non poteva venire
dall'alto perchè i vescovi erano per lo più interessati alle loro prebende e
molti erano spesso lontani dalla loro sede; non poteva venire dal basso perché
il clero non ne aveva la formazione e la capacità.
Il
pullulare delle eresie e delle forme religiose in aperto contrasto con la
Chiesa ufficiale, ponevano quindi drammaticamente l’esigenza di una riforma che
da un lato salvasse l’ortodossia e dall’altra ponesse mano ad una azione
pastorale energica e credibile.
Si deve a
Innocenzo III l'inizio di un’opera di rinnovamento che non fosse solo
repressiva, ma tentasse il recupero all'ortodossia dei movimenti ereticali e
l'utilizzo dei nuovi fermenti religiosi per una coraggiosa ripresa
dell'attività pastorale della Chiesa. E’ in questa prospettiva che si deve
leggere l'origine degli Ordini Mendicanti. Essi salvavano l'ortodossia con la
preparazione teologica e con la credibilità della vita e ponevano il tutto al
servizio della predicazione e della cura
animarum. Il privilegio dell'esenzione poi, sganciandoli da ogni autorità
che non fosse il Papa, faceva sì che la loro opera fosse libera da
condizionamenti ed estremamente incisiva.
Per quanto
riguarda la nascita dei Francescani e dei Domenicani non è difficile cogliere
come la Chiesa abbia accettato con la sua autorità ciò che il carisma di S.
Francesco e di S. Domenico avevano fatto nascere nel suo interno. La nascita
dell'Ordine agostiniano, invece, fu espressamente guidata e progettata dalla
Santa Sede.
D. IL COMPITO AFFIDATO DALLA CHIESA E L’INGRESSO NELLE CITTA’
La Santa
Sede diede al nuovo Ordine il compito entrare nel vivo della società del tempo
e di contribuire alla riforma della Chiesa con il suo originale contributo.
Questo segnò il passaggio dalla vita eremitica alla vita apostolica. Passaggio
che non fu semplice e scontato, perché resistenze ci furono, tuttavia tutto
l’Ordine si adeguò rapidamente alle nuove disposizioni. Anche se si trattava di
mettere insieme congregazioni eterogenee per storia e formazione, tuttavia
attuarono l’ingresso nelle città con sorprendente rapidità. Segno questo che i fermenti
già presenti (e lo vediamo bene attraverso il Processo di canonizzazione di fra
Giovanni Bono) erano giunti a maturazione. Per rimanere attorno al territorio
occupato dai Giamboniti, a Rimini, Faenza e Città di Castello entrarono in
città l’anno stesso della Grande Unione. Di Città di Castello conosciamo 15
documenti del 1256, in rapida successione cronologica da luglio a settembre,
che ci permettono di seguire quasi giorno per giorno l’ingresso in città[34].
Sappiamo inoltre che in altri luoghi furono procrastinati i tempi solo per la
mancanza di spazio o per l’ostilità del clero secolare.
E. GLI STUDI NELL’ORDINE AGOSTINIANO
Il Card.
Franz Ehrle, editore degli Statuti originari della facoltà di teologia
dell'Università di Bologna, scrisse che la cosa più sorprendente riguardo agli
Agostiniani fu la rapidità con cui entrarono nel mondo culturale di allora[35].
Fu veramente uno sviluppo sorprendente, perché l’Ordine agostiniano era un
insieme di congregazioni che fino a qualche anno prima avevano i loro eremi
fuori delle mura cittadine e la loro principale attività era la preghiera e la
penitenza. In pochi anni si misero alla pari di Francescani e Domenicani. Il
passaggio alla vita apostolica venne effettuato dal primo priore generale
dell'Ordine unito, Lanfranco da Milano. Dopo tre anni dalla Grande Unione, egli
aveva già acquistato una residenza a Parigi, la quale doveva servire proprio
come casa di studio per gli studenti dell'Ordine destinati a laurearsi come
maestri di teologia all'Università[36].
Significativa è la prima decisione presa nel Capitolo generale di Orvieto nel
1284, essa dice: “A causa della moltitudine di studenti che sono a Parigi,
definiamo che, fino al prossimo Capitolo generale, non vi si mandi più di uno
studente per Provincia”[37].
F.
LA CUSTODIA DEL CORPO DI S. AGOSTINO
Papa Giovanni XXII il 20
gennaio del 1327 inviò al priore generale fra Guglielmo da Cremona la bolla Veneranda sanctorum Patrum, che fu
quella che contribuì maggiormente a consolidare nell’animo dei frati
il sentimento di filiazione agostiniana. Infatti, dando agli Agostiniani la
facoltà di fondare un convento a Pavia, vicino al sepolcro di S. Agostino, il Pontefice dichiarava: “Ci sembra
degno e conveniente che nel medesimo luogo dove si dice che è sepolto il corpo
di un così grande Dottore e Maestro, lo veneriate in maniera speciale in modo
che, uniti come membra al capo, come figli al padre, come discepoli al maestro e come soldati al proprio capitano,
possiate vivere con la protezione apostolica in intimo godimento, uniti a Dio e
allo stesso Santo [...] là dove sapete che si conservano le sue reliquie”[38].
Nel 1331 il convento era già costituito.
La custodia della tomba di S. Agostino fu data in compagnia dei Canonici Regolari, che fino ad allora ne erano stati gli unici custodi. Ci vollero naturalmente anni di contese, prima che si raggiungesse un modus vivendi tra i due Ordini. Tuttavia la mossa del Papa sottolinea una volta di più il riconoscimento della S. Sede verso i meriti degli Agostiniani. Giunti infatti più tardi rispetto ai Francescani e Domenicani, in poco più di 50 anni avevano rivaleggiato con successo con loro nel campo degli studi, della predicazione e della disciplina religiosa.
E’ chiaro che la citata bolla
di Giovanni XXII, col suo tono e i suoi
termini di paragone, confermò in quei frati la convinzione di essere i continuatori del monachesimo di S.
Agostino e di sentirsi i suoi figli spirituali; ma è anche evidente che non
toccava in alcun modo la questione storica.
Cap. IV
L’EPOCA DELLA
DECADENZA E LA NASCITA DELLE OSSERVANZE
A. LA DECADENZA
I primi cento anni di vita del
nuovo Ordine furono segnati da un grande fervore nelle opere e nell’osservanza
regolare. A partire dalla metà del secolo XIV iniziò un periodo di decadenza. La
causa principale fu dovuta alla peste
nera, che desolò l’Europa e troncò tante vite. La rovina causata da tale
peste fu molto grande. Il priore generale Ambrogio Massari da Cori nel 1481
scrive: “in questo tempo l’Ordine fu invaso da una peste gravissima, al punto
che in un triennio morirono 5.084 frati del nostro Ordine”[39].
I vuoti nei conventi vennero colmati con soggetti di non provata vocazione o
comunque impreparati.
Una seconda causa che aggravò
la decadenza fu lo scisma d’Occidente (1378-1449) che con le divisioni e le
accuse reciproche, creò gravi turbamenti in tutta la cristianità. Una terza
causa fu il tarlo dell’Umanesimo che fiaccò la tempra dell’uomo medievale e ne
incominciò a scardinare le certezze. Tuttavia insieme alla decadenza, tutto
l’Ordine visse anche una grande ansia di rinnovamento e i PP. Generali
cominciarono a rendere indipendenti dalla giurisdizione dei PP. Provinciali,
sottoponendoli a se stessi o attraverso un rettore delle case di Osservanza,
quei conventi che desideravano vivere conforme alla vera osservanza.
B. LE CONGREGAZIONI
DI OSSERVANZA
Nacquero così le congregazioni
di Osservanza. Quella di Lecceto viene considerata tradizionalmente come
fondata nel 1387 e rimase in vita fino al 1782, quando venne unita alle province
toscane. Quella di Germania o Sassonia dal 1419 al 1560: di essa fu membro
Martin Lutero. Quella di S. Giovanni a Carbonara (Napoli), fondata verso il
1428, durò fino al 1947. Quella di Spagna (1431-1505) riuscì a incorporare
tutta la provincia d’origine, giungendo a costituirsi (1505) nella
continuatrice provincia di Spagna o di Castiglia, attraverso la quale passarono
all’Osservanza tutte le province di Spagna e Portogallo con i loro territori.
Quella di Monte Ortone, nel Veneto, durò dal 1436 al 1810. Quella di Perugia
dal 1436 al 1770, anno in cui i suoi conventi vennero incorporati alla
provincia Umbra e a quella dell’Aquila. Quella di Lombardia, 1439-1815, fu la
più illustre di tutte le congregazioni di Osservanza dell’Ordine per la sua
estensione e per i nomi illustri che le appartennero e per la vita religiosa in
essa praticata: in un catalogo redatto verso il 1539, essa compare come
costituita di 77 conventi. Quella di Genova, 1473-1822, fu esemplare nelle sue
relazioni con i priori generali dell’Ordine. Quella di Deliceto (Foggia) rimase
in vita dal 1487 al 1662, quando i suoi conventi passarono alle province di
Napoli e degli Abruzzi. Quella degli Zampani o di Calabria durò dal 1501 al
1662, quando, per il suo sviluppo e per favorire un migliore governo, si
suddivise in due: Calabria citeriore e Calabria ulteriore, venendo quest’ultima
considerata la nuova, fondata nel 1546 e continuata fino al 1662. Tanto l’una
come l’altra vennero unite, nel 1662, alle omonime province (ivi). Nel 1511 si era formata la
congregazione Dalmata, su territori soggetti alla signoria veneta,
principalmente nell’isola di Lesina, che sopravvisse fino al 1786[40].
Cap. V
LA CONGREGAZIONE DI LOMBARDIA
A. L’ORIGINE DELLA CONGREGAZIONE
Alcune relazioni del Convegno tratteranno
delle origini di questa Congregazione anche alla luce di nuove acquisizioni
archivistiche[41]. Pertanto
mi limiterò ad alcune considerazioni relative alla peculiarità della
Congregazione, già ben delineata fin dagli inizi, e ai rapporti con tutto
l’Ordine. Ne fu fondatore il beato Giovanni Rocco da Pavia. Il titolo di Beato
gli è stato attribuito dai suoi confratelli, non dalla Chiesa. Nacque a Pavia
nel 1389 e vestì l’abito agostiniano nel convento della sua città natale nel
1408. Nel 1419 fu mandato a Padova dove conseguì il titolo di Maestro in
Teologia. Ritornato a Pavia, fu priore del convento e ricoprì incarichi di
rilievo nella sua Provincia. Godette la stima del generale dell'Ordine Gerardo
da Rimini, tanto che fu scelto da lui nel 1434 come compagno e assistente per
le visite ai conventi dell'Ordine.
Secondo il
Calvi fra Rocco aveva in mente una riforma dell'Ordine fin dai primi anni del
suo ingresso nell'Ordine. Ma se ne convinse maggiormente quando poté ammirare
la vita del convento di S. Giovanni a Carbonara di Napoli, dove l'osservanza
era stata introdotta da qualche anno dal piemontese Cristiano da Villafranca.
Si innamorò subito di quella vita -dice il Calvi- e chiese di poter entrare a
far parte di quella comunità, ricevendone però un rifiuto. Non sappiamo quale
ne fosse la motivazione, probabilmente il convento aveva già un numero
sufficiente di frati. Il Calvi vede comunque in questo rifiuto la mano
provvidenziale di Dio che voleva il beato Rocco come riformatore dell'Ordine in
Lombardia. Accompagna poi questa sua interpretazione con le profezie di un suo
zio eremita e di una santa donna di Rimini.
Ma quale
era la riforma che sognava? La possiamo cogliere nelle parole del Calvi quando
ne descrive la vita: “Fin con l'arti mecaniche andava strali fabricando per
l'otio saettare, onde quell'hore che da studij maggiori, et suoi spirituali
essercitij gl'avanzavano, in tagliare, et cucir panni di lana, et lino, rader
membrane, et pergamene, rigarle, notarle, segnarle, trasciver libri, tracopiar
canti fermi, adropar lime, martelli, e tenaglie consumava, onde con tali forme
da se tenendo l'Accidia lontana. Godeva nel vedersi vestito dell'abito che fu
di S. Agostino e di tanti santi, ma era dispiaciuto nel vedere che molti suoi
confratelli non onoravano l'abito e che nell'Ordine era scaduta l'antica
osservanza. Quindi meditava di continuo la riforma”.
Dopo un
pellegrinaggio in Terra Santa nel 1437, si delineò la possibilità di realizzare
la Riforma a partire proprio dalla sua Provincia. L'occasione gli venne dalla
celebre eredità Vimercati a favore dell'Ordine agostiniano, subordinata alla
fondazione di un convento nella città di Crema.
Quando
seppe che la costruzione del convento di Crema era già iniziata, si rivolse al
priore generale Gerardo da Rimini, e il 4 aprile 1439 ottenne la facoltà di
costituire l’Osservanza di Lombardia ottenendo di esserne il suo Vicario[42].
Dice il
Calvi che il Beato Giovanni Rocco era giunto alla persuasione che “la
coabitazione di osservanti e inosservanti non permetteva alcuna riforma”.
Pertanto l’occasione di Crema gli permetteva di iniziare la Riforma con coloro
che avrebbero accettato il nuovo modo di vita. Infatti, licenziati quei pochi
frati che non volevano sottoporsi al giogo dell’Osservanza, si circondò di
soggetti che condividessero il suo disegno, come Giovanni da Novara e Giorgio
di Cremona, che furono poi le colonne della nuova Osservanza.
L’avvio
del convento osservante di Crema fu piuttosto avventuroso. Il convento
consisteva in un agglomerato di casupole: nella cucina era stato impiantato un
oratorio dove celebrare la Messa e l’Ufficio divino, mentre il camino serviva
da campanile. Intanto si andava fabbricando la chiesa. Certamente la precarietà
del luogo, la povertà materiale e l’ostilità degli eredi Vimercati crearono
notevoli disagi, ma –dice il Calvi- c’era l’entusiasmo tipico degli inizi: “E
nonostante la grande povertà, con giocondo cuore e lieto viso, giorno e notte a
Dio servivano”.
La nascita
della Congregazione dovette creare discussioni e divisioni nella Provincia,
tanto che nel Capitolo di Alessandria del 1440 Giovanni Rocco venne eletto
Provinciale, probabilmente per evitare una spaccatura e forse per rendere
inoffensiva la Riforma. Intanto però, dopo aver guadagnato all’Osservanza frati
come Giovanni da Novara, priore di S. Marco, e il beato Giorgio da Cremona,
guadagnò anche i conventi di Genova (1441), Bergamo (1443) e Milano (1444).
Come
abbiamo già fatto notare, in tutto l’Ordine si viveva un’ansia di rinnovamento,
ma anche tutto il movimento osservante era in effervescenza. La Congregazione
di Carbonara chiese di unirsi alla Congregazione Lombarda. Giovanni Rocco si
oppose, mentre Giovanni da Novara e Giorgio da Cremona erano favorevoli. Ci fu
anche un tentativo di unione con la Congregazione di Monteortone, ma la cosa
non andò in porto[43].
Questa effervescenza sottolinea che si era imbroccata la stata buona e che la
funzione delle congregazioni osservanti era molto chiara, non altrettanto lo
era il tipo di organizazzione che si voleva dare a tutto il movimento
osservante.
B. GLI INTERVENTI SULL’ORGANIZZAZIONE
DELLE OSSERVANZE
La nascita delle Osservanze
impose inevitabili interventi da parte dei Superiori dell’Ordine. In
particolare fin dagli inizi si pensò ad un Vicario che le seguisse nel loro
sviluppo a nome del generale dell’Ordine. Il 23 aprile 1423 il priore generale
Favaroni concesse ampi poteri al suo vicario Fr. Matteo da Antrodoco affinchè
“governasse in suo nome i conventi dove era in vigore l’Osservanza, o dove la
si volesse introdurre; potesse ricevere i religiosi conventuali che
desiderassero passare tra i riformati, tasferirli di comunità secondo le
necessità di ciascuna casa o la convenienza di ciascuno”[44].
Nel Capitolo celebrato dagli Osservanti d’Italia nel maggio del 1424, Matteo da
Antrodoco rinunciò al suo ufficio e gli successe il Piemontese Cristiano
Franco, al quale il Generale confermò le facoltà concesse al suo predecessore.
Con il Capitolo generale di
Montpellier del 1430 cambiò l’atteggiamento dell’Ordine nei confronti delle
Osservanze. Infatti incominciò a prevalere il governo di un Vicario per ogni
Congregazione. Questo probababilmente aveva la giustificazione delle grandi
distanze, ma era anche il profilarsi di un atteggiamento di indipendenza.
A questo pericolo cercò di porre rimedio il
papa Eugenio IV con la bolla Laudabilem
in Domino del 18 dicembre 1445. Questi scrive che “per consiglio e volontà
del Cardinale protettore e del Priore Generale […] tutte le comunità osservanti
d’Italia obbedissero a un solo vicario”. Per tale motivo con la bolla convocò
un capitolo generale, che venne celebrato a S. Maria del Popolo di Roma nel
1446. Venne eletto Vicario di tutte le Osservanze P. Remigio de Maceriis.
Tuttavia i problemi non erano
risolti con l’avere un solo Vicario. Il Calvi descrive così le diversità in
atto nelle Congregazioni: “non tantopoco i nomi eran vari, ma d’avantggio di
color bigio le vesti portavano, altri bianco, altri negro; a chi toccava con il
lembo il piede, a chi a pena la metà della gamba, gl’uni andavano scalzi,
gl’altri calzati; chi sopraponeva alla veste il mantello, chi lo rigettava;
variavano nella forma dello scapolare, della tonaca, della cappa, fin della
cintura, et scarpe; non ostante […] tutti indifferentemente professassero la
regola et instituito del Patriarca S. Agostino. […] Diverse ancora osservando
le cerimonie Ecclesiastiche, diversi tenendo i riti”[45].
C. CAPITOLO DI MONTE SPECCHIO DI TUTTE
L’OSSERVANZE DITALIA
In questa situazione il priore generale Giuliano di Salem convocò nel convento di Monte Specchio (Siena) un capitolo generale di tutte l’osservanze d’Italia. Il Capitolo si svolse il 10 Maggio 1449 e per la Congregazione di Lombardia vi parteciparono fra Giovanni Rocco da Pavia, fra Giovanni da Novara e fra Giorgio da Cremona. Immancabilmente ritornò a galla la vecchia questione se fosse meglio unire tutte le congregazioni sotto un solo Vicario o se fosse più opportuno avere un Vicario per ogni Congregazione.
A dire del Calvi fra Giovanni Rocco
convinse tutti i partecipanti e lo stesso Generale che la cosa migliore era
ritornare alla prassi di un Vicario per ogni Congregazione. Certamente la
scelta di un unico Vicario non era gradita alla maggioranza delle
Congregazioni, perchè ognuna teneva alla propria peculiarità e alla propria
autonomia.
L’unico che si oppose fu fra
Alessandro Oliva, futuro Generale e Cardinale, il quale capì che questo era
l’avvallo definitivo alle divisioni già in atto.
D. L’AUTONOMIA E
LE CONTROVERSIE
Il Capitolo di Montespecchio
terminò con attestazioni di buona volontà per salvare l’unità dell’Ordine. Di
fatto per circa 15 anni le Congregazioni inviarono gli atti dei loro Capitoli
al priore generale il quale confermava le elezioni e approvava o correggeva gli
atti capitolari stessi. Con il tempo questa usanza decadde e l’autonomia fu
piena. Iniziarono quindi le controversie tra i Superiori dell’Ordine e i
Vicari. Da una parte i Generali miravano a conservare l’autorità che davano
loro le leggi dell’Ordine su ogni sua parte, per evitare la costituzione di uno
stato autonomo dentro un altro stato. I Vicari con il pretesto dell’Osservanza
cercavano invece di scrollarsi di dosso tale autorità. Per questo motivo oltre
a non inviare più gli atti dei Capitoli al Generale per l’approvazione, non
vollero più pagare la quota stabilita per il sostentamento della Curia, si
divisero dai loro confratelli conventuali nelle processioni e occuparono spesso
i loro conventi anche con metodi violenti. Nel 1469 il priore generale Becchi e
fra Agostino Cazzuli, Vicario della Congregazione di Lombardia, in casa del
Cardinale protettore Estouteville, cercarono di ristabilire relazioni
improntate a maggior comprensione e fratenità[46].
Ma questo non dovette bastare, perchè il Capitolo generale del 1470 stabilisce: “Siccome i Religiosi dell'osservanza hanno già
occupato molti conventi delle
provincie, perché questo male non si diffonda oltre, disponiamo che il nostro Padre Generale con il suo procuratore richiedano una bolla,
come quelle che hanno ottenuto i Domenicani e i Francescani, perché le case dei religiosi conventuali non
siano occupate dai cosiddetti osservanti”[47].
Infine con il Capitolo
generale del 1497 si consumano gli ultimi scampoli di questa triste contesa[48].
I conventuali, tra l’altro, lamentano che i frati della Congregazione di
Lombardia vanno a trattare per loro conto gli affari con la Curia Romana e che
nel loro convento di S. Maria del Popolo vi è un Procuratore in opposizione a
quello dell’Ordine[49].
Per ovviare a questo stato di cose il Capitolo decreta che il Generale doveva
essere il superiore delle Congregazioni di osservanza come delle Province; che
quindi gli competeva il diritto di visitarle, di presiedere i loro Capitoli, di
nominarne il Presidente, di confermare il Vicario eletto, di approvare o
correggere i loro Atti capitolari, in conformità con le leggi dell’Ordine.
Questi decreti furono confermati dal papa Alessandro VI con un breve del 26
maggio 1497. Ma a riprova che l’autonomia era già cosa fatta, il Papa con un
altro breve del 26 gennaio 1498 revocò il precedente[50],
ammettendo esplicitamente nel breve stesso che gli osservanti di Lombardia
erano ricorsi a personaggi illustri e alle autorità di molte città per ottenere
che il Papa annullasse il primo breve[51].
E. CONGREGAZIONE DI
LOMBARDIA A TOLENTINO
Le questioni fin qui riportate
hanno un esempio paradigmatico nell’occupazione del celebre convento di
Tolentino, nelle Marche, da parte della Congregazione di Lombardia.
L’11 dicembre 1484 il papa Innocenzo
VIII emanava un Breve con il quale, “aderendo alle devote suppliche dei diletti
figli della comunità di Tolentino, i quali desideravano introdurre l’osservanza
regolare nel convento di S. Nicola”, chiedeva al Vicario generale
dell’Osservanza, fra Taddeo d’Ivrea, di mandare uno o più religiosi nel
suddetto luogo. Premesso comunque il consenso del Cardinale Protettore e del
Generale dell’Ordine. Consenso che non poteva a questo punto che essere
positivo.
Il 14 gennaio 1485 verso
mezzanotte notte i religiosi della Congregazione, accompagnati dal Conte
Antonio Mauruzi, rappresentante l’autorità militare, e da altri notabili del
Comune, presero possesso del convento scacciando i frati che vi abitavano.
Rappresentavano la Congregazione il Vicario generale, Taddeo d’Ivrea, fra
Severino da Bergamo, fra Alfonso da Como, fra Desiderio e fra Secondo del
Piemonte.
L’orario notturno nasconde
probabilmente la volontà di tenere all’oscuro dell’operazione la popolazione e
pone in luce che le “devote suppliche del popolo tolentinate”, di cui parla il
Breve, erano in realtà i maneggi di qualche notabile del luogo. Non si
capirebbe altrimenti la presenza del rappresentante l’autorità militare e la
probabile presenza di gente armata.
Vent’anni dopo, nel 1505, veniamo
a sapere che il Comune ha fatto venire segretamente i frati conventuali a
Tolentino e scaccia gli Osservanti che nel frattempo erano rimasti in pochi a
causa della peste. L’occupazione durò poco perché gli Osservanti ricorsero al
papa Giulio II, il quale con un Breve diretto alle autorità comunali ordinò che
venissero reintegrati i frati della Congregazione Lombarda.
I conventuali se ne andarono,
ma portarono con sé libri e argenteria, tanto che Giulio II nel 1507 intervenne
minacciando la scomunica per i frati conventuali se non avessero restituito al
più presto il mal tolto. A partire da questa data finirono le contese e i frati
della Congregazione rimasero a Tolentino fino alla soppressione del 1810.
A
Tolentino profusero tutte le loro energie per valorizzare e incrementare il
culto di S. Nicola, ma soprattutto per abbellire con splendide opere d’arte la
chiesa e il convento. Occorre riconoscere che solo loro avevano le capacità e i
mezzi per questi interventi. Rifecero la facciata della chiesa e sistemarono in
essa uno splendido soffitto a cassettoni in legno dorato e ingrandirono e
abbellirono il convento. Maneggiarono molti soldi e furono ottimi
amministratori, ma evitarono, con frequenti cambiamenti del priore e
dell’economo, di attaccarsi al danaro[52].
F. L’APICE E LA
FINE
La
Congregazione di Lombardia fu certamente la Congregazione più importante e
superò di gran lunga le altre Congregazioni per estensione, attività e numero
di uomini illustri. Nel 1650, al tempo della grande inchiesta innocenziana,
contava 84 conventi sparsi in tutta l’Italia del centro-nord. I suoi uomini, e
questo convegno lo dimostra, curarono gli studi con competenza e caparbietà.
Hanno lasciato importanti e numerose opere a stampa e gli archivi sono ricchi
di opere manoscritte ancora per lo più inesplorate. Le chiese e i conventi
della Congregazione sono ricchi di opere d’arte e dimostrano come abbiano
saputo incidere nella vita religiosa, sociale e artistica dei centri in cui
vivevano.
Ma la loro grandezza fu anche
il loro limite. Con il tempo caddero in un intellettualismo aristocratico che,
narcisisticamente finì per specchiarsi solo in se stesso. Quando giunsero le
soppressioni non solo avevano smarrito lungo la strada lo smalto e l’entusiasmo
dell’osservanza, ma non avevano più né l’appoggio dei potenti, né la vicinanza
della gente. Una fine melanconica per una congregazione che per oltre tre
secoli aveva lasciato impronte considerevoli di santità e di cultura. Nel 1815
i pochi frati e conventi sopravvissuti alla bufera napoleonica ritornarono nel
seno dell’Ordine.
Nel
1815 P. Giuseppe Mascheroni, Vicario generale della Congregazione, rileva che è
moralmente impossibile ripristinare la Congregazione sia per mancanza di
soggetti che dei conventi dopo la soppressione napoleonica. Pertanto chiede di
unire la Congregazione all’Ordine Eremitano di S. Agostino. La richiesta,
presentata al Papa il 15 settembre
1815, viene accettata[53].
[1]
DONATO CALVI, Delle memorie istoriche
della Congregazione Osservante di Lombardia dell’Ordine Eremitano di S.
Agostino, Milano 1669.
[2] BENIGNUS VAN LUIJK, Les Archives de la Congrégation de Lombardie
et du convent de S. Maria del Popolo, in “Augustiniana”, XVIII (1968), pp.
100-115.
[3]
MARIA LUISA GATTI PERER, Umanesimo a
Milano. L’Osservanza agostiniana all’Incoronata, in “Arte Lombarda”, 1980;
M. L. GATTI PERER e MARIO MARUBBI, L’Osservanza
agostiniana nella Lombardia orientale (1439-1507) , I. S. U., Milano, 1992.
[4] L'opera più completa su
questo argomento è quella di JOHN GAVIGAN, De
vita monastica in Africa septentrionali inde a temporibus sancti Augustini
usque ad invasiones Arabum, Roma-Torino 1962.
[5]
POSSIDIUS, Sancti Augustini Vita, cap. 11.
[6] FERRANDO, PL 65, 138 e 143.
[7] STANISLAO BELLANDI, Le
vicende del corpo di S. Agostino attraverso 15 secoli, in “Monografie
storiche Agostiniane” n. 3, Firenze 1929.
[8] POSSIDIUS, o. c., cap. XXI.
[9] S. BEDA nel suo Chronicon
riporta la testimonianza tramandataci da Paolo Diacono: “Liutprand quoque
audiens quod Saraceni, depopulata Sardinia, etiam loca illa ubi ossa sancti
Augustini Episcopi propter vastationem barbarorum olim traslata
et honorifice fuerant condita, foedarent, misit, et dato magno pretio, accepit
et transtulit ea in urbem ticinensem, ibique cum debito tanto Patri honore recondit”.
[10] Il canone 13 dice: “temendo che
una varietà eccessiva di Ordini religiosi porti grave confusione nella Chiesa
di Dio, proibiamo formalmente per il futuro qualsiasi altro Ordine di nuova
fondazione; chiunque si senta chiamato alla vita religiosa, deve scegliere uno
degli Ordini già approvati. Allo stesso modo, chi desidera fondare una nuova
casa religiosa, deve prendere la Regola e la Istituzione di uno degli Ordini
già approvati”.
[11] Cfr. AA. VV., Sanctus Augustinus vitae spiritualis magister, I, pp. 260-263, Roma
1959.
[12]
EUSTASIO ESTEBAN, Tractatus de origine et
pregressu ordinis eremitarum et de vero ac de proprio titulo eiusdem, in
“Analecta Augustiniana”, III (1909-1910), pp. 279-283; IV (1911-1912), pp.
298-307 e 321-328. Inoltre RUDOLPHUS ARBESMANN, Henry of Friemar’s ‘Treatise on the Origin and Development of the Order
of the Hermit Friars and its true and real Title, in “Augustiniana”, 6
(1956), pp. 37-145.
[13]
GIORDANO DI SASSONIA, Liber Vitasfratrum, ed. critica a cura di Rudolphus Arbesmann e
Winfridus Hümpfner, New York 1943.
[14]
Ibid., Liber
Vitasfratrum, I, 7.
[15]
Ibid., Liber
Vitasfratrum, I, 14.
[16]
Il territorio della Tuscia corrispondeva alla Toscana, all’alto Lazio e a parte
dell’Umbria.
[17]
Così nel testo. Il Van Luijk (Bullarium,
cit. infra, p. 32) ha voluto arbitrariamente completare i nomi con “fra Stefano di Cataste, fra Ugo di Corbaria, fra
Guido di Rosia e fra Pietro di Lupocavo”.
[18]
B. VAN LUIJK, Bullarium Ordinis
Eremitarum S. Augustini, Periudus formationis 1187-1256, Wuerzburg 1964, pp. 32-33.
[19]
Ibid., Bullarium, cit., p. 33.
[20]
La figura del cardinale protettore, così
come la troviamo in quest’epoca, si deve a S. Francesco d’Assisi il quale, nel
1220, chiese e ottenne dal Onorio III
la nomina del cardinale Ugolino da Segni (futuro Gregorio IX) come “pastore”
del movimento francescano, perché lo assistesse col suo aiuto e la sua guida, e
fosse il suo patrocinatore presso il Papa e la Curia.
[21] La
famiglia degli Annibaldi fin dagli inizi del XIII secolo era una delle più
potenti e ricche famiglie di Roma. Nel 1237
Gregorio IX nominò Riccardo cardinale diacono di S. Angelo in Pescheria
e da questa data, per 39 anni, fu a servizio di nove papi. Nel 1252 Innocenzo
IV lo scelse come vicario di Roma e nel 1254 Alessandro IV come arciprete di S.
Pietro. Poco dopo fu nominato arcidiacono della Chiesa, incarico che
comportava l’esercizio del governo durante la Sede vacante. Ricco e influente,
il cardinale Annibaldi mise sempre la sua grande esperienza di governo, la sua
abilità diplomatica e la sua inesauribile energia a servizio della Chiesa, la
cui libertà e il cui bene cercò in ogni circostanza. Morì probabilmente nel
settembre del 1276. Cfr. FRANCIS ROTH, Cardinal Richard Annibaldi first protector of the
Augustinian Order, in “Augustiniana” II (1952) e III (1953).
[22] Almeno fino al secolo XVI erano custoditi nel convento di S. Agostino di
Lucca. Conserviamo solo pochi frammenti, copiati e riassunti da Maurizio Terzi
di Parma (+1594) per la sua Historiarum Fratrum Eremitarum S. Augustini
Epitome.
[23]
B. VAN LUIJK, Bullarium, cit., p. 36.
[24]
B. VAN LUIJK, Bullarium, cit., pp.
109-110.
[25]
B. VAN LUIJK, Bullarium, cit., pp.
128-130; ALBERIC DE MEIJER - RAFAEL KUITERS, Licet Ecclesiae Catholicae, in “Augustiniana” 6 (1956), pp. 9-36.
[26] KASPER ELM, Beitrage zur Geschichte des
Wilhelmitenordens, Koln-Graz 1962. E’ l’opera più completa per conoscere la
storia di questa Congregazione.
[27] B. VAN LUIJK, Gli eremiti neri nel Dugento, Pisa 1968;
Lecceto e gli eremi agostiniani in terra
di Siena, Ed. Monte dei Paschi di Siena, 1990.
[28]
MARIO MATTEI, Il processo di canonizzazione di fra Giovanni Bono
(1251-1253/54) fondatore dell’Ordine degli Eremiti, Roma 2002.
[29] NICOLA OCCHIONI (a cura
di), Il Processo di Canonizzazione di S.
Nicola da Tolentino, Roma 1984; San
Nicola, Tolentino, le Marche, Atti
del Convegno internazionale di studi sul Processo per la Canonizzazione di S.
Nicola, Tolentino 1985; Arte e
spiritualità negli Ordini Mendicanti: gli Agostiniani e il Cappellone di S.
Nicola a Tolentino, Tolentino 1992; Arte
e spiritualità nell’Ordine Agostiniano: gli Agostiniani e il Convento S. Nicola
a Tolentino, Tolentino 1992; FEDERICA ANDREOLI, Gli eremitani di Brettino nel Duecento, Tesi di Laurea, Facoltà di
Lettere e Filosofia, Università di Bologna, aa. 1995-1996.
[30]
CARLO SIGONIO, De episcopis bononiensibus
libri quinque, Bologna 1586, p. 119: secondo il Sigonio nel 1256 il vescovo
di Bologna, Giacomo Boncambio, Fratres
poenitentiae Jesu Christi a sacco vocatos ad portam S. Mamae locavit, qui
deinde fratribus Eremitis S. Augustini adiuncti sunt.
[31]
K. ELM, Italianische
Eremitengemeinschaften des 12 und 13 Jahunderts, in “L’eremitismo in
occidente nei secoli XI e XII” (Atti delle seconda settimana internazionale di
studio, Meldola 1962), Milano 1965, pp. 481- 494.
[32]
Famosa fu la lunga e vivace polemica tra Francescani e Agostiniani sul fatto
che S. Francesco abbia ricevuto l’abito eremitico dal beato Giovanni Bono. Vedi
M. MATTEI, oc., pp. 28-29.
[33] BALBINO RANO, Las dos primeras obras conocidas sobre el
origen de la Orden agustiniana, in “Analecta Augustiniana” XLV (1982), p.
345.
[34]
GIOVANNA CASAGRANDE (a cura di), Chiese e
conventi degli ordini mendicanti in Umbria nei secoli XIII e XIV, Perugia 1989.
[35]
FRANZ EHRLE, I più antichi statuti della
facoltà teologica dell’Università di Bologna, Bologna 1932.
[36] EELCKO YPMA, La formation des professeurs chez les Ermites de Saint Augustin,
Paris, l956, pp. l-9.
[37] Analecta Augustiniana, II (1907-1908), p. 25.
[38]
RODOLFO MAIOCCHI e NAZZARENO CASACCA, Codex
diplomaticus Ord. E. S. Augustini Papiae, Papiae 1905, vol. I, pag. 13ss.
[39]
AMBROGIO MASSARI, Cronica S. Ordinis fratrum heremitarum S. Augustini, Roma 1481, f.
105v.
[40] Cfr. B. RANO, voce “Agostiniani”, in “Dizionario degli
Istituti di perfezione”, Roma 1974, coll. 324 e 325.
[41]
Presso la Biblioteca “Angelo Mai” di Bergamo si conservano due manoscritti
sulle origini della Congregazione: uno di fra Benigno Peri (codice MA 74) e uno
di Agostino Cazzuli (MA 316). Cfr. M. L. GATTI PERER e M. MARUBBI, L’osservanza..
cit., I. S. U., Milano, 1992.
[42]
Archivio Gen. Agostininiano, Registro di Gerardo da Rimini, Dd. 5.
[43]
Il Generale Becchi nel 1466 scrive nel suo Registro: “Autorizziamo Fr.
Simonetto da Camerino ad unire i conventi che sono sotto la sua giurisdizione
con quelli della Congrgazione di Lombardia” (Dd. 6,110v).
[44]
Analecta Augustiniana, VII (1917-1918), p. 76.
[45]
D. CALVI, o. c., p. 54.
[46]
DAVID GUTIERREZ, Gli Agostiniani nel
medioevo (1357-1517), II, Roma
1987, p. 166.
[47]
Analecta Augustiniana, VII (1917-1918), p. 167.
[48] Analecta Augustiniana, VIII (1919-1920), pp. 7-17.
[49] Analecta Augustiniana, VIII (1919-1920), pp. 52-54.
[50] Analecta Augustiniana, VIII (1919-1920), pp. 54-58.
[51]
Analecta Augustiniana, XVIII (1941-1942), p. 308.
[52] GABRIELE RAPONI, Appunti per una
storia del Convento di S. Nicola nei secoli XIII-XV, in “Arte e
Spiritualità nell’Ordine agostiniano e il Convento di S. Nicola a Tolentino”,
Tolentino 1992, pp. 155-168.
[53] Analecta
Augustiniana, XIII (1929), pp. 350-351.