da: GUIDE DI GENOVA
CHIESA DI NOSTRA SIGNORA DELLA CONSOLAZIONE
a cura di Franco Boggero
La chiesa della Consolazione, fondata nel
borgo agricolo di San Vincenzo e presso la piana della Braëa (che a sud lambiva il colle di Carignano), deve la sua
accresciuta fortuna al fatto d’essere stata sempre più serrata in un nuovo
tessuto urbano. Linea maestra di tale sviluppo (a senso pressoché obbligato)
dell’abitato fu la strada che continuava Via Giulia fuori della cinquecentesca
Porta dell’Arco: strada degli ortolani, ancora nel Seicento; e del passeggio
dei genovesi con vista dei colli d’Albaro. La nostra chiesa, costruita sui
tratto che prendeva nome dal convento di Santa Maria della Pace, vedrà il
vicino piano stradale sollevarsi quando il tracciamento di Via xx Settembre
(1896-1902) cancellerà la vecchia arteria: una breve scalinata collega tuttora
i due livelli. Sorte peggiore incontrarono Santa Maria della Pace e la Porta
dell’Arco, sacrificate entrambe alla costruzione della via monumentale.
Gli Agostiniani che nell’ultimo quarto del
Seicento fondarono la nostra chiesa provenivano dal convento di Artoria, di
origini quattrocentesche e demolito nel 1681 per ragioni d’ordine strategico,
come si vedrà. La chiesa di Artoria (in Val Bisagno, sulle pendici dello
Zerbino, dove oggi passa Corso Monte Grappa) fu, con l’annesso monastero, uno
dei primi insediamenti degli Agostiniani di Nostra Signora della Consolazione;
si trattava di una congregazione “riformata”, una delle tante fiorite in quel
periodo sul ceppo eremitano, voluta (1473) da padre Giovanni Battista Poggi
genovese, priore del convento agostiniano di Alessandria, e sulle prime
condannata dall’autorità ecclesiastica (bolla di Sisto IV, 1475), in seguito tollerata, quindi approvata solennemente da Leone X.
Ansaldo Grimaldi curò nel 1512 l’ampliamento dell’intero complesso di Artoria;
la chiesa accolse poi (sec. XVII), nelle rispettive cappelle, le spoglie di
dogi delle famiglie Lercari e Durazzo. Il monastero si trasformerà
temporaneamente in lazzaretto con la peste del 1656-57; la sua
ubicazione determinò la scelta: era posto su di un colle ventilato, e si
trovava alla “giusta” distanza dalla città. La sua eccessiva vicinanza alla
cinta muraria del 1632 fu motivo di preoccupazione per le autorità militari
della Repubblica, in seguito minacciata da Luigi XIV: truppe nemiche avrebbero
potuto arroccarvisi pericolosamente. Nel 1681 venne così decisa (ed attuata in
dicembre) la demolizione dell’intero fabbricato. Risarciti in qualche modo del
danno subìto, gli Agostiniani nel 1682 si stabilirono nel borgo di San Vincenzo
(oltre un chilometro a sud-ovest di Artoria), in un palazzo di Francesco
Pinelli, con il permesso di celebrare gli uffizi nella vicina parrocchiale;
riusciranno poi, nel 1683-84, ad acquistare il palazzo, nonché una casa vicina
e gli orti all’intorno, sull’area dei quali monsignor Giulio Vincenzo Gentile
(1684) porrà la prima pietra della nuova chiesa, intitolata come l’antica a
Nostra Signora della Consolazione. Al 1699 risale l’inizio dei lavori per la
costruzione del convento, nel quale i Padri andranno ad abitare nel 1708: lo
stesso anno, vi sarà annesso un palazzo acquistato dalla famiglia Negroni.
L’Alizeri (1847) lamenta la mancata attuazione dell’intero, grandioso progetto
per il convento, concludendo che “inutile
è il coraggio quando alla volontà non precorrano i mezzi”. Ai suoi
tempi, una serie di “bottegucce o tane
che voglian dirsi” aveva sostituito il porticato del piano terreno,
murato. Il convento “prese l’aspetto di vasto caseggiato”; già in quegli anni,
gli Agostiniani ne abitavano solo una parte; il resto era, ed è tuttora,
adibito ad uffici ed abitazioni civili. Dal 1899, il grande chiostro (che, “interrotta la fabbrica”, era rimasto “quasi un membro isolato
dal corpo”) ospita il Mercato Orientale. Nella chiesa, aperta al culto nel
1693, un’impalcatura sostituì la cupola fino alla sua erezione nel 1769, su
disegno di Simone Cantone da Muggio. La famiglia Durazzo, che nel secolo XVII aveva
curato l’edificazione di coro e presbiterio (e dotato il primo degli stalli
lignei), contribuirà in seguito -coi Della Torre, i Canevaro e i
Lercari-Castiglione- ad opere varie di abbellimento. Ricordiamo infine Carlo
Biale da Celle Ligure, che realizzerà nel 1864 l’attuale facciata. Resta invece
sconosciuto il nome del seicentesco architetto della chiesa: l’attribuzione a
Pier Francesco Cantone da Cabbio ed al lombardo Giovanni Battista Grigo
-subentrato al primo, secondo il Ratti- è respinta come anacronistica
dall’Alizeri (pare che entrambi morissero già nella peste del 1636-37); né
convince quella a Pietro Antonio Corradi, più recente e fino ad ora priva di
conferme documentarie. Causa le soppressioni napoleoniche degli ordini
monastici, gli Agostiniani furono allontanati nel 1810 dalla loro sede;
rientreranno solo nel 1816: ma già da tre anni il parrocco di San Vincenzo
aveva ottenuto di trasferire alla Consolazione la parrocchialità della propria
chiesa. Ritornati gli Agostiniani, la cura della parrocchia (dai confini ormai
molto estesi) fu loro affidata, e definitivamente. In quell’occasione, secondo
titolare di Nostra Signora della Consolazione divenne San Vincenzo martire.
Una
serie d’interventi legati ad ambiti culturali diversi e ben distinti nel tempo
conferisce alla spazialità di questa chiesa (a tre navate, divise da arcate a
tutto sesto impostate su alti pilastri) un suo caratteristico aspetto
composito. Sono presenti le persistenze manieristiche di tanto Barocco genovese:
alla lucida spartizione verticale del corpo maggiore si contrappone, in pianta,
un ben demarcato transetto, che pure non possiede autonoma “realtà” (non è
infatti distinguibile sui muri esterni); e l’abside è chiaramente,
“correttamente” raccordata agli spazi che la precedono. In linea di massima,
l’ampia visibilità e la sostanziale unitarietà dell’interno ricordano il legame
instauratosi da tempo tra la spazialità di ville e palazzi, e quella di tante
chiese barocche genovesi: solo che qui il compito di interrompere il meno
possibile un vano sentito come unico, non è affidato a colonne, bensì a
pilastri (quasi “colonne quadrate”), la cui snellezza è già riferibile al
Settecento. Allo stesso secolo è facile riportare la fragilità della piccola
cupola. E’ relativamente recente (secolo XIX) la soluzione della balaustra
continua in margine alle navatelle, che determina un discutibile intervallo tra
queste ultime e la sopraelevazione di un artificioso settore-cappelle: in
effetti, è possibile che un tempo gli altari comunicassero con le navate in
modo meno mediato.
L’aspetto composito riapparirà puntualmente
nell’analisi di una singola cappella (dove un gruppo ligneo policromo
settecentesco può trovarsi accostato a bianche statue ottocentesche in stucco);
od in quella di tutti gli altari, di volta in volta integralmente
settecenteschi, o costruiti in parte con materiali dei secoli XVI-XVII, ed in
parte vistosamente restaurati nel secolo scorso. E’ probabile che le parti più
antiche di questi ultimi altari (frontoni e colonne, trattati
manieristicamente) provengano dalla chiesa di Artoria. Sempre da Artoria,
nonché dall’antico tempio eremitano di Sant’Agostino e dall’ex-parrocchiale di
San Vincenzo (adattata a caserma nel primo Ottocento, ed attuale sede del
Circolo Ufficiali del Presidio Militare) sono affluite nella nostra chiesa, in
tempi diversi, svariate opere pittoriche su tela e su tavola, e sculture
marmoree o in legno policromo. Quattro delle dieci cappelle laterali, ad
esempio, ospitano tuttora elementi di questo patrimonio “importato”, che
purtroppo i sequestri napoleonici dello scorso secolo ridimensionarono
notevolmente. La decorazione a fresco è stata compiuta, come vedremo, negli
ultimi decenni dell’Ottocento; unica grossa eccezione, la parte destra del
transetto, con scene affrescate da Paolo Gerolamo Piola (secolo XVIII) e
prospettive di Francesco Costa. Il programma decorativo delle superfici
maggiori è incentrato sulle figure della Madonna, di Sant’Agostino e di San
Vincenzo (secondo titolare della chiesa dal 1616), e su personaggi ed episodi
dell’Antico Testamento e dell’Apocalisse. Nelle volte delle navi minori è per
lo più raffigurato il Titolare delle rispettive cappelle. Stucchi ed ornati di
non eccelsa qualità sottolineano un po’ ovunque il massiccio intervento
ottocentesco; a compromettere ulteriormente l’equilibrio dell’impianto
decorativo si sono poi aggiunte nel nostro secolo le colorazioni accese delle
vetrate.
Nella facciata,
ottocentesca e baroccheggiante, spicca l’aggettante portale maggiore, con battenti bronzei del Mistruzzi
(1961) raffiguranti (da sin.) Sant’Agostino
e San Tommaso da Villanova. La soprastante statua marmorea della Madonna col Bambino (fine sec. XVI o
inizio sec. XVII) si trovava un tempo in Artoria (Alizeri). Nella parete
interna di facciata, sopra la porta maggiore, Giuditta rientra trionfante in Betulia, affresco di Giuseppe
Isola (1874). Le vetrate del finestrone (R. Albertella, 1948) raffigurano, da
sinistra: Santa Monica, Nostra Signora della
Consolazione e Sant’Agostino. Sulla
volta maggiore, affreschi di Giuseppe Isola (1874) ed ornati di Luigi Ferrario.
Dal fondo: Visione dell’Apocalisse (L’angelo
armato passa col mostro dalle sette teste davanti alla Madonna); Madonna in trono coi Santi Agostino e
Vincenzo, seconda Visione
dell’Apocalisse (L’anima sale in cielo davanti al mostro atterrito). Nei
peducci delle finestre, i profeti Ezechiele
e Geremia (a sin.), Isaia e Daniele (a destra). Di Francesco Semino (1878) l’affresco della
cupola (Caduta di Lucifero); di Antonio Brilla (sec. XIX) le statue in
stucco dei Dottori della Chiesa inserite
nel sottostante tamburo; gli Evangelisti nei
peducci, di G. Isola, risalgono al 1870-75. Filippo Alessio dipinse nel 1825 la
Gloria di San Vincenzo (volta del
presbiterio) e Nostra Signora di
Consolazione in adorazione del Figlio (catino del coro). Di Michele Canzio
gli ornati di questo settore. I Cori
d’angeli ai lati dell’organo (del
bergamasco Giacomo Locatelli, a. 1880) furono iniziati dall’Alessio, ma
completati e restaurati (1930) da Achille de Lorenzi. Alle pareti del
presbiterio, due affreschi di Cesare Maccari (1889): Il battesimo di Sant’Agostino (a destra) e La consacrazione episcopale di Sant’Agostino (di fronte). Sotto
quest’ultimo, un piccolo chiaroscuro dello stesso autore (Traslazione
della salma di Maria); il chiaroscuro di fronte (Sepoltura
di Cristo) è un frammento di muro asportato nel
sec. XVII dalla sacrestia di Artoria: prima di venir inserito, entro il 1875,
dov’è ora, era incastrato nella mensa dell’altare ligneo della sacrestia (vedi
più avanti). L’attribuzione a Perin del Vaga (sec. XVI) risale al Soprani; è
abbastanza accreditata anche quella dell’Alizeri, al Beccafumi. Le vetrate di
Francesco Angelo Monti (finestre del coro) raffigurano Agostino nella villa Verecondo, conquistato dalla grazia divina e Agostino con la madre in preghiera, presso
il mare di Ostia. Il coro ligneo settecentesco è adorno dei
busti di alcuni Santi, tra i quali Sant’Agostino e San Nicola da Tolentino. Sull’altar maggiore (fine sec. XVII o
inizio sec. XVIII), crocifisso ligneo policromo di Bernardo Schiaffino (sec.
XVIII).
La cappella
sul lato destro del transetto fu dedicata alla Vergine e a Sant’Agostino da
Domenico Torre, che la edificò nel 1718. Quattro colonne tortili in marmo di
Portovenere reggono l’arcatura, mossa da forti aggetti e rientranze e
sormontata da due statue del genovese Pellegro Olivari (sec. XVIII)
rappresentanti la Fede e la Purezza, e da un’elegante
cimasa. Nella grande nicchia tra le colonne, gruppo marmoreo di Bernardo
Schiaffino (sec. XVIII): La Madonna, con
Santa Monica e angeli, porge a Sant’Agostino la Cintola. Dello stesso, i
putti sotto la mensa dell’altare. Affreschi sulla volta, posteriori al 1722, di
Paolo Gerolamo Piola coadiuvato dal “prospettico” Francesco Costa: da sin., Sant’Agostino e il bambino della ciotola,
Battesimo di Sant’Agostino, L’Angelo appare a Santa Monica. Al Piola
appartengono pure i chiaroscuri color bronzo ai lati dell’altare: San Giovanni Battista (a sin.) e un Profeta (a destra); e San Pietro che riceve le chiavi da Gesù, sulla
parete che “chiude” la navatella. Nell’angolo a sinistra, tomba e busto
marmoreo del parroco Giuseppe Capecci. Nel pilastro tra questa e la seguente
cappella è murato un bassorilievo in maiolica della bottega di Luca della
Robbia (La Madonna in adorazione del Figlio), già ad Artoria, contornato da un baldacchino
tardo-seicentesco in broccatello di Spagna.
Cappella di
San Vincenzo martire: all’altare, Martirio del Santo (1605), tela della
scuola del Tavarone proveniente dall’altar maggiore della vecchia parrocchiale.
Il reliquiario antropomorfo di San
Pio Martire, nella mensa, presenta sulle braccia del manichino preziosi galloni
al tombolo. Statue ottocentesche in stucco alle pareti: San Pietro (a sin.) e San
Paolo. Nella volta adiacente, affresco di Giovanni Quinzio (del 1874, come
pure i successivi): Predicazione di San
Vincenzo.
Cappella di
San Nicola da Tolentino: nella nicchia sull’altare, statua lignea del Santo, di Agostino
Storace genovese (sec. XVIII), seguace del Maragliano. Nicchie laterali: statue
in stucco del sec. XIX (San Guglielmo re, a sin., e Sant’Elena
agostiniana. Del Quinzio il Transito
di San Nicola, nella volta.
Cappella
dell’Immacolata: all’altare, statua lignea policromata di Stefano
Valle genovese (1875 ca.). Statue in stucco (sec. XIX) alle pareti: Santa Caterina filosofa (a sin.) e Sant’Agnese. Volta adiacente: Fuga in
Egitto del Quinzio.
Cappella di
San Tommaso da Villanova: di Domenico Fiasella detto il Sarzana (sec. XVII)
l’ancona sull’altare, con Il Santo
dispensatore di elemosine (già ad Artoria). Sant’Agostino in gloria, nella volta, è sempre del Quinzio.
Cappella di
San Giovanni da San Facondo (di fronte alla precedente, nella navatella
sinistra): all’altare, San Giovanni da
San Facondo trae miracolosamente il bambino dal pozzo,
di Francesco Narice da Sestri (sec. XVIII). Volta adiacente: San Pietro tra i gentili del Quinzio.
Cappella di
San Lorenzo: di
Domenico Piola (sec. XVII) la tela all’altare (Martirio del Santo). Statua ottocentesca in stucco alla parete
sinistra (San Domenico). Del Quinzio l’Imprigionamento di San Lorenzo, nella
volta.
Cappella della
Madonna del Rosario: la statua lignea policroma è dell’urbinate G. E. Santacroce (sec.
XVII) e proviene da San Vincenzo. Due sculture pure seicentesche in legno alle
pareti: San Domenico (a sin.) e Santa Caterina da Siena. Volta esterna: Annunciazione affrescata dal Quinzio
(nei pennacchi, i restanti Misteri
gaudiosi).
Cappella di
Santa Rita: l’ovale con la Santa, all’altare, è
di Tito Troja (sec. XIX). Alle pareti, il Beato
Simone da Cascia, agostiniano
(a sin.) e la Beata Chiara da Montefalco,
statue in stucco (sec. XIX). Transito
e gloria di San Luigi Gonzaga (del Quinzio) nella volta esterna.
L’altare della cappella della Salute proviene dalla chiesa di San Camillo, e fu
adattato qui nel 1813. L’olio su tela raffigurante Nostra Signora della Salute è
copia recente dal Sassoferrato (sec. XVII). Di Giuseppe Paganelli (sec.
XIX), lombardo, i chiaroscuri ai lati dell’altare (San Gioacchino e Sant’Anna), Il serpente di bronzo (volta),
Ester al cospetto d’Assuero (parete
frontale della navatella). L’arredamento in noce della sacrestia risale al sec. XVIII e comprende, oltre agli armadi ed ai
due confessionali per uomini, un altare vivacemente
intagliato che racchiude nella parte superiore un olio su tela di ignoto del
Settecento (Consegna della Cintola a Sant’Agostino).
Nel soffitto, la Gloria di
Sant’Agostino è di G. E. Metano (sec. XVII).
Il piccolo battistero progettato (1933) da Luigi Fantini ed eretto nel locale
attiguo alla sacrestia consta di un’edicola marmorea ottagonale (con colonne
angolari in giallo di Siena e sette lati chiusi da cancelli di ferro), e di una
vasca battesimale in pavonazzetto e giallo di Siena, con coperchio bronzeo. In
capo al corridoio che piega a sinistra, una statua marmorea di Pasquale
Bocciardo (sec. XVIII), Sant’Agostino,
già nella omonima chiesa.
Nell’anticamera
del refettorio (al secondo piano dell’antico palazzo già Pinelli), busti in stucco di Agostiniani benemeriti, di Bernardo Schiaffino (sec.
XVIII). L’arredamento del contiguo refettorio,
in legno di noce, risale al primo Settecento. La sua prestigiosa quadreria è in attesa di una
sistemazione definitiva, che potrà attuarsi con il ritorno di alcune opere
temporaneamente ubicate altrove, e cioè di una Madonna col Bambino tra San Giuseppe e San Giovanni Evangelista,
di Orazio De Ferrari (sec. XVII), e di un’Ultima
Cena di Luca Cambiaso (sec. XVI), entrambe in restauro; nonché di un grande
Crocifisso trecentesco del “Maestro
di Santa Maria di Castello” (scuola senese), in deposito provvisorio presso la
Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. A quest’ultimo si vorrebbe riservare il
centro della parete destra del refettorio (tra le due tele di Antonio Gìolfi,
sec. XVIII, rappresentanti Il battesimo
di Sant’Agostino, a sin., e La traslazione dell’immagine di Nostra Signora del Buon Consiglio). La Cena del Cambiaso dovrebbe occupare la stessa posizione sulla
parete opposta, tra la Madonna col
Bambino e Santi del De Ferrari e la Deposizione
di Antonio Semino (su tavola, a. 1547). Sul lato minore della sala
prenderebbero posto il San Rocco in
adorazione della Madonna, di Domenico Bocciardo (sec. XVIII), e
la Madonna coi Santi Agostino, Rocco
e Sebastiano, olio su tavola di Antonio da Como
(1529).
R. SOPRANI - C. G. RATTI, Vite de’ pittori, scultori e
architetti genovesi, 2 voll., Genova 1768 (ediz. anastatica,
Genova 1965).
F. ALIZERI, Guida artistica per la città di Genova, Genova 1846-47, vol. II, parte II.
L. A. CERVETTO, Cenni storici ed inventario
della chiesa di N. S. della Consolazione, Genova 1920
(manoscritto, nell’Archivio della Consolazione).
A. CAPPELLINI, La chiesa di N. S. della
Consolazione, estratto dalla rivista municipale
“Genova”, a. 1933, n. 1.
L. DE SIMONI, Le chiese di Genova, I,
Ceretti, Genova 1948.
Descrizione
della città di Genova da un anonimo del 1818, a
cura di E. e F. POLEGGI, Sagep, Genova 1969.
AA.VV., La
pittura a Genova e in Liguria, Sagep,
Genova 1970-71.