dal “Bollettino di S. Nicola da Tolentino”, novembre 2006

 

SANT'AGOSTINO E L'EREMO DI CENTOCELLE

   C’è una straordinaria ricchezza di tradizioni legate al soggiorno di Sant’Agostino in Italia. La prima e la più nota riguarda l'eremo di Centocelle, dove si dice che Sant’Agostino abbia soggiornato e che vi abbia lasciato la sua Regola. Queste tradizioni sono nate, se vogliamo, dalla necessità di riempire circa un anno trascorso da Sant’Agostino a Roma prima del suo ritorno in Africa nel 388. I fatti sono noti. Battezzato a Milano il 24 aprile 387, partì quasi subito per Roma con l’intento di imbarcarsi a Ostia e fare ritorno in Africa, con una di quelle navi, dette frumentarie, perchè trasportavano il grano a Roma. Ma a Ostia si ammalò e morì sua madre Monica, e questo lo costrinse a fermarsi quasi un anno, perché una legge proibiva la navigazione verso l’Africa dopo il 10 novembre. Cosa fece Sant’Agostino in questo tempo? La curiosità di saperlo è stato un rompicapo e un fervido campo di fantasie per molti.

   Il primo che parli di questo è l'agostiniano tedesco Enrico di Friemar, il quale scrive verso il 1334. Questi si rifà a una tradizione che vuole che S. Agostino fosse frate eremita fin dal suo battesimo in quanto fu lo stesso S. Ambrogio a rivestirlo dell’abito nero e della cintura. Aggiunge poi che nel suo viaggio di ritorno in Africa “giunto nel selvaggio territorio toscano, trovò molti eremiti viventi secondo uno stile di vita santo. Egli arrivò infine al nostro luogo, denominato Centocelle. Questo fu, come è stato detto, il primo convento appartenente al nostro ordine, e in quel luogo e con quegli eremiti, Agostino visse per circa due anni e ad essi egli diede la regola e la forma di vita”.

   Giordano di Sassonia (che scrive vent’anni dopo), con più senso critico e basandosi sui dati delle Confessioni e non di semplici tradizioni, deve ammettere che S. Agostino dopo il battesimo si trattenne in Italia appena un anno. Tuttavia accetta la tesi che “di ritorno in Africa, visitò di passaggio i fratelli eremiti di Toscana e di Centocelle”. Da notare comunque che era chiamata "Tuscia" tutta la regione a nord del Tevere e quindi la traduzione di questa parola con "Toscana" non fa del tutto giustizia di un territorio che siamo abituati a pensare di un'altra regione.

   Per quanto poi riguarda la continuità dell’Ordine dopo la morte di Sant’Agostino, fra Giordano scrive: “ma in che maniera siano vissuti e che cosa abbiano fatto i nostri fratelli in quel lungo lasso di tempo, cioè dalla dispersione in Africa fino ai giorni di Innocenzo, non ho potuto trovarlo in alcuna scrittura autentica. Per questo non ho potuto scrivere nulla di quel periodo; una cosa però è certa: che quella benedetta schiera di seguaci di S. Agostino non si estinse mai del tutto, ma continuò in alcuni fratelli che vissero in santa semplicità fino all’anno del Signore 1215, quando si celebrò il Concilio Lateranense”.

   Certo gli Agostiniani soffrirono di qualche complesso di inferiorità rispetto ai Francescani e Domenicani, in quanto non avevano un fondatore in carne ed ossa e neanche potevano dire di conservare il suo sepolcro. Finchè nel 1327 il papa Giovanni XXII concesse loro di poter fondare un convento a Pavia, accanto al sepolcro di S. Agostino, accompagnando tale concessione con le parole: “Ci sembra degno e conveniente che nel medesimo luogo dove si dice sia sepolto il corpo di un così grande Dottore e Maestro, lo veneriate in modo speciale, perché, uniti come membra al capo, come figli al padre, come discepoli al maestro e come soldati al loro capitano, possiate vivere con la protezione apostolica in intimo godimento, uniti a Dio e allo stesso Santo (…) là dove sapete che si conservano le sue reliquie”. Queste parole del Papa, pur non toccando certamente il problema storico, confermavano tuttavia negli Agostiniani la convinzione di essere i continuatori del monachesimo di S. Agostino e di poterlo chiamare “Padre”. Divenne in questo modo credenza comune che Sant’Agostino avesse abitato con gli eremiti di Centocelle e avesse scritto per loro, e per gli altri della Toscana, la sua celebre Regola. Quindi la Santa Sede a questo primo nucleo avrebbe unito tutte le altre congregazioni di eremiti nella Grande Unione del 1256.

   Una lapide in caratteri gotici venne scritta a ricordo del soggiorno di Agostino nell'eremo di Centocelle e posta in quella che fu ritenuta la sua cella. Essa dice: VETUSTISSIMUM MONACHORUM EREMITARUM / COENOBIUM OLIM HIC FUIT A PROXIMA CIVI/TATE DE CENTUMCELLIS ET AB ADIACENTE / SACELLO SANCTAE SEVERELLAE VOCITATUM / IN QUO BEATUS AUGUSTINUS PRIUSQUAM / IN AFRICAM REVERTERETUR CUM EISDEM / DEI SERVIS ALIQUANDIU COMMORATUS EST / QUIBUS ETIAM COMUNIS VITAE PRAECEPTA / PRAESCRIPSIT QUAE SECUNDA REGULA APPELLATUR. (= Esistette qui un antichissimo cenobio di monaci Eremiti, che ebbe nome dalla vicina città di Centocelle e dalla vicina cappella di Santa Severella, nel quale il Beato Agostino prima di far ritorno in Africa dimorò alcun tempo con quei servi di Dio, ai quali pure tracciò quelle norme di vita in comune che vanno sotto il nome di Seconda Regola).

   La storia di questo eremo è fatta di alterne vicende. Sappiamo per certo che nel 1275 e nel 1278 vi furono tenuti due capitoli della Provincia Romana. Ma sappiamo anche che a metà del XV secolo era addirittura abbandonato e cadente. Scrive infatti nel suo registro il 29 agosto 1453 il Priore Generale, P. Giuliano di Salem: “Abbiamo visto il nostro convento di Centocelle che non è più abitato dai frati e che minaccia rovina. Pertanto vogliamo porre rimedio allo stato di questo luogo per rispetto del nostro santo padre Aurelio Agostino che vi abitò per due anni. Benchè il convento sia una grancia di quello di Corneto e benchè quei frati non se ne curino affatto, stabiliamo che venga dato a fra Carlo da Corneto, che ne ha fatto a noi richiesta più volte, e che ne sia priore a nome nostro".  Da quel tempo però, fino al 1782, appare sempre nei Registri della Provincia Romana come incorporato al Convento di Corneto ed affidato alla cura ora di un sacerdote e ora di un frate converso. Oggi, dopo un completo restauro, è abitato da una congregazione moderna. E' facilmente raggiungibile perchè si trova a circa due chilometri dal paese di Allumiere, sulla via che conduce alla Farnesiana.

  Una seconda tradizione agostiniana, anch'essa legata alla permanenza del santo dottore nell'eremo di Centocelle, riguarda l'inizio di una delle sue più celebri opere: il De Trinitate. Ma di questa ne parleremo nel prossimo numero.

 

P. Mario Mattei