da ANALECTA AUGUSTINIANA XXXIX (1976),
pp. 207-252
RICERCHE SULLA SOPPRESSIONE
DELL’ORDINE AGOSTINIANO NEL REGNO DI NAPOLI
DURANTE
L’OCCUPAZIONE NAPOLEONICA
di
CHERUBINO TESTA
[P.
209] Quando il 15 febbraio 1806
Giuseppe Napoleone, nominato da suo fratello l’Imperatore Napoleone Bonaparte
re di Napoli, prese possesso del regno (1),
l’Ordine Agostiniano aveva 105 conventi così divisi:
n.
22 della Provincia di TERRA DI LAVORO, conosciuta anche come Provincia di
Napoli
n.
27 della Provincia di PUGLIA
n.
10. della Provincia degli ABRUZZI
n.
11 della Provincia dell’AQUILA
n.
10 della Provincia di CALABRIA CITRA (2)
n.
10 della Provincia di CALABRIA ULTRA;
n.
12 della Congregazione di S. GIOVANNI A CARBONARA, conosciuta anche come
“Agostiniani Carbonaristi”.
Inoltre vi era il convento
di S. AGOSTINO MAGGIORE o alla Zecca in Napoli con le due “grancie” di S. MARIA
DEL SOCCORSO a S. Giovanni a Teduccio e di S. MARIA DI VALLESANA in Marano di
Napoli che, con sentenza della Curia
del Cappellano Maggiore del 20 luglio 1790, era stato dichiarato di Regio
Patronato e con Reale dispaccio del 28 maggio 1791 era stato dichiarato
indipendente sia dal Provinciale che dagli altri Superiori Monastici di Terra
di Lavoro (3).
[P. 210]
A questi 105 vi era da aggiungere quello di Benevento che apparteneva alla
Provincia di Roma (4).
__________________________________
(1) Questo
lavoro viene redatto con ricerche fatte nell’Archivio di Stato di Napoli.
Fonti: Ministero Ecclesiastico, Ministero delle Finanze, Patrimonio
Ecclesiastico, Intendenza Borbonica -fondo Culto-, Monasteri soppressi. Le
altre fonti verranno espressamente citate. Si tenga presente che questo lavoro
non è la storia dell’Ordine Agostiniano nel regno di Napoli in quel periodo;
esso contiene solo delle ricerche che potranno servire per una storia.
(2) La provincia
di Calabria Citra, a seguito del terremoto che sconvolse totalmente la regione,
nel 1784 era stata soppressa per un decennio dalla Corte Borbonica, con
l’assenso della S. Sede. Ripristinata, funzionava regolarmente come tutte le
altre provincie monastiche. L’ultimo capitolo provinciale era stato approvato
dal Ministro del Culto nell’agosto del 1806. Provinciale era stato eletto il P.
Francesco Saverio Amendola.
(3) Min. Eccl. 1651. Relazione del Card. Firrao,
Gran’elemosiniere del regno, che sostituiva il Cappellano Maggiore, dove
leggiamo: “S.R.M. Con solenne sentenza di questa Curia del 24 luglio 1790
dichiaratosi di Regio Padronato il monistero di S. Agostino Maggiore di questa
capitale insieme colle sue grancie, in seguito di rispettosa consulta di questa
Curia fu con R. Dispaccio ai 28 maggio 1791 sovranamente risoluto che il
monistero di S. Agostino con i conventini del Soccorso e di Marano fossero
nella totale indipendenza dal Provinciale e dagli altri Superiori monastici di
Terra di Lavoro del medesimo Ordine, e che il Priore eletto dalla conventualità
di S. Agostino precedente real permesso e confermato dal Regal Trono, avesse
governato nommeno il Monistero suddetto, che i divisati due conventini dal medesimo
dipendenti. Soppresso di regal ordine il convento di S. Agostino, e ripartiti
quei religiosi negli avvisati monisteri del Soccorso e di Marano, e divenuti
questi per l’incremento della famiglia mere conventualità, essendo ora mancato
di vita il Priore eletto in Marano, si è fatta istanza in questa Curia
all’oggetto di procedersi all’elezione del successore, onde quella
conventualità non fosse un corpo acefalo. Non vi ha dubbio che l’accennato
convento di Marano sia di Regio Padronato, e come tale è stato ed è nella
totale indipendenza dal Provinciale dell’Ordine. Veniva il medesimo regolato
dal superiore del monistero di S. Agostino il quale vi destinava il Priore.
Essendo ora per la soppressione del monistero suddetto passata la famiglia nel
convento di Marano ed in quello del Soccorso, sembra molto regolare la dimanda
fatta dalla conventualità di Marano, che per la mancanza del Priore si devenga
all’elezione del successore, onde non sia quella comunità priva del suo
superiore. Ciò posto, non dovendo il Regio Padronato soffrire minimo detrimento
per la soppressione del monistero di S. Agostino rispetto a quelli del Soccorso
e Marano, è questa Curia dell’umile sentimento che possa la M. V. degnarsi di
permettere a que’ religiosi di unirsi capitolarmente, ed a norma delle
Costituzioni dell’Ordine, per la scelta del proprio superiore, la quale però
non debba avere la sua esecuzione pria di essere dalla M. V. approvata, e
ricevere il nuovo eletto superiore le facoltà economiche e temporali, le quali
unicamente dovrà ripetere dal Regal Trono. 31 marzo 1808. Card. Firrao - Carlo
Rizzi.
(4) Il convento di Benevento apparteneva alla Provincia
di Terra di Lavoro da cui ne fu separato nel 1788. Divenne convento dipendente
dal P. Generale (vedi Atti Capitolo Generale del 1792 in Analecta
Augustiniana, 13
(1929-30), pp. 166-172), e da questi affidato alla Provincia Romana.
*****
Il Governo francese si era proposto un piano di
riforme da iniziare e portare avanti: la creazione di scuole ed ospedali, la
dotazione di locali adatti per il buon funzionamento dei pubblici uffici, il
miglioramento delle comunicazioni con la creazione di nuove strade, il
reperimento di locali spaziosi per le caserme, ecc. Per attuare tutto questo vi
era bisogno di locali e di molto danaro. Il re Giuseppe si rese subito conto
delle difficoltà sia per il reperimento di locali che di danaro, ed il 19 marzo
1806 scriveva all’Imperatore [P. 211] che la sola risorsa possibile la
vedeva nei beni dei RELIGIOSI e dei numerosi Vescovadi (5). Poichè gli Ordini Religiosi
erano considerati una sovrastruttura della Chiesa, e per la loro unità di
indirizzo erano ritenuti una forza contraria al nuovo stato di cose, se ne
poteva fare benissimo a meno. E con questa visione di cose, la macchina delle
soppressioni si mise ben presto in movimento e non si fermò più fino al ritorno
dei Borboni nel regno, 1815. Con circolare del 17 maggio 1806 diretta dal
Ministro del Culto a tutti gli Ordinari diocesani del Regno fu richiesto
“un’inventario completo dei monasteri, conventi e conservatori dell’uno e
dell’altro sesso, ... qual numero di religiosi ed oblati sostengano ed infine
quale sia la rispettiva rendita di ciascun monastero, convento o conservatorio,
cercando in tale appuramento quella esattezza che sia possibile” (6). Il
9 giugno 1806 un Dispaccio diretto al Delegato della Reale Giurisdizione
interdice ai Superiori di ammettere i Novizi alla Professione senza il Real
permesso e di vestire nuovi novizi (7). Il 2 luglio 1806 un decreto reale caccia i
Gesuiti dal regno, dove erano ritornati da poco (8). Il primo decreto però che colpisce
tutti gli Ordini Religiosi sia Mendicanti che Possidenti, riducendo il numero
dei conventi che un Ordine aveva nella stessa città, chiudendo i conventi con
meno di 12 religiosi professi e rimandando a casa i novizi, è del 14 agosto
1806 (9). “Giuseppe Napoleone, per la Grazia di Dio Re di Napoli e di
Sicilia, Principe Francese, Gran elettore dell’Impero. Considerando che la
soppressione avvenuta di quasi tutti gli Ordini Monastici ha richiamato in seno
ai Nostri Stati un numero eccessivo di Regolari che sono a carico dei nostri
popoli; Considerando che la miseria delle Parrocchie e lo scarso numero dei
Parroci ed il bisogno pressantissimo della Pubblica Istruzione sì nella
Capitale, che in tutte le Province del Regno esigono edifici, fondi, ed
individui, cui non si può altrimenti supplire che colla soppressione di una
parte delle case Religiose del Regno; [P. 212] Udito il nostro Consiglio di Stato,
abbiamo decretato e decretiamo quanto siegue:
ART. 1. Tutti i Regolari stranieri di qualunque Ordine
Monastico esistenti nel Regno saranno tenuti ad uscirne nel termine di giorni
quindici.
ART. 2. In tutte le città e luoghi del Regno ove si
troveranno più conventi di Monaci dello stesso Ordine, saranno questi riuniti
in maniera da non formare all’avvenire più della metà del numero attualmente
esistente.
ART. 3. I Regnicoli non Professi rientreranno nel secolo.
ART. 4. Gli individui di quei conventi ove non sono in maggior
numero di dodici Monaci professi, saranno riuniti al convento più vicino dello
stesso Ordine; a meno che non preferiscano di tornare nel secolo, ottenute le
debite permissioni.
ART. 5. Ci riserbiamo di accordare dei soccorsi a quei
conventi possidenti, i quali per la riunione ordinata dall’articolo 2
verrebbero a contenere un numero di Religiosi maggiore di quello che potrebbero
sopportare le rendite del convento; questi soccorsi saranno calcolati a ragione
di sei Ducati al mese per ciascun Religioso. Tal beneficio dei Ducati sei al
mese, sarà applicabile ai Monaci forestieri compresi nell’art. 1 che per la
loro età o altre circostanze saranno nel caso di meritare un’eccezione.
ART. 6. Tutti i Religiosi possidenti e non possidenti che
dovranno lasciare le loro case per passare in altre sia della stessa città o in
altro luogo del Regno, porteranno seco i mobili pertinenti al loro uso
personale.
ART. 7. Tutti quei Religiosi forestieri che devono partire
dal Regno in forza dell’art. 1 di questa Legge, avranno il viaggio per andare
nel loro paese un aiuto di un Ducato per posta, e goderanno dello stesso
beneficio dei Nazionali rispetto ai mobili personali.
Napoli, li 14 agosto 1806. Giuseppe Napoleone”.
Onde evitare ai Religiosi qualunque asportazione, sottrazione o
occultamento degli oggetti contenuti nei conventi, con decreto del 26 agosto
1806 fu ordinato agli Intendenti delle Provincie civili del Regno di fare un
diligente inventario di tutto ciò che si conservava nelle case religiose (10). La macchina delle soppressioni è in continuo cammino ed un nuovo
decreto, emanato il 13 febbraio 1807, colpisce i Benedettini (11). Di questo Decreto riportiamo il preambolo che ci aiuta a capire
i motivi delle soppressioni e l’articolo 17 perchè ci serve nel nostro studio. [P. 213] “Giuseppe
Napoleone, per la grazia di Dio Re di Napoli e di Sicilia, Principe Francese,
gran’Elettore dell’Impero etc. La forza delle cose obliga ogni nazione a
seguire più o men lentamente il movimento impresso dallo spirito di ciascun
secolo. Gli Ordini Religiosi, i quali han resi tanti servigi ne’ tempi di
barbarie, son divenuti meno utili per effetto del successo medesmo delle loro
istituzioni: la nostra Santa Religione, ormai gloriosa, e trionfante, non è più
ridotta a sfuggire la persecuzione nella oscurità dei chiostri; gli Altari sono
eretti anche nell’interno delle famiglie: il clero secolare corrisponde alla
nostra fiducia, ed a quella dei nostri popoli. L’amore delle arti e delle
scienze diffuso generalmente, lo spirito coloniale, commerciale e militare, han
forzati tutti i Governi d’Europa a rivolgere verso questi oggetti importanti il
genio, l’attività ed i mezzi delle loro nazioni; il mantenimento di forze
considerabili di terra e di mare porta la necessità di grandi riforme in altre
parti della economia generale dello Stato: il primo dovere de’ popoli e de’
Principi è di porsi in istato di difendersi contra le aggressioni de’ loro
nemici. Considerando, nulladimeno, che dobbiamo conciliare questi principi col
rispetto, da cui siam penetrati verso quei luoghi celebri, che ne’ tempi
barbari raccolsero, e conservarono il fuoco sacro della religione, ed il
deposito delle umane cognizioni; e verso quei Santuari cotanto rispettabili
agli occhi nostri per le adorazioni più speciali de’ nostri Popoli; E volendo
trattare con giustizia e benevolenza quelli tra’ nostri sudditi; che son oggi
membri degli Ordini Religiosi; Udito il nostro Consiglio di Stato,
abbiam’ordinato, ed ordiniamo quanto segue:
ART. 1. Gli Ordini Religiosi delle Regole di S. Bernardo e di
S. Benedetto, e le loro diverse affiliazioni conosciute sotto il nome di
“Cassinesi, Olivetani, Celestini, Verginiani, Certosini, Camaldolesi,
Cisterciensi e Bernardoni”, sono soppressi in tutta la estensione di questo
Regno. […]
ART. 17. Le case degli Ordini Mendicanti, che vorranno
consagrane il tempo dei loro individui ad insegnare ai fanciulli a leggere e
scrivere, ed i princìpi della Religione, ne faranno la dimanda al nostro
Ministro del Culto, sulla cui proposizione stabiliremo una sovvenzione da
pagarsi alle dette case dal nostro Tesoro”.
Ancora un nuovo decreto del 30 settembre 1807 colpisce tutti gli Ordini
Religiosi. E’ proibito ai superiori di trasferire i religiosi [P. 214] da
un convento all’altro senza il preventivo permesso del Ministro del Culto (12). Dopo
aver accennato ai decreti e dispacci che colpivano tutti gli Ordini Religiosi
ed i cui moventi erano ben chiari: la diminuzione dei conventi con
l’incameramento dei beni da parte dello stato e la conseguente morte sia pur
lenta degli Ordini stessi, passiamo a guardare le conseguenze pratiche nei
riguardi dell’Ordine Agostiniano. L’articolo 3 del decreto del 14 ottobre
obbligava i Superiori a rimandare a casa i Novizi. I Provinciali di Terra di
Lavoro, Abruzzi e Calabria Citra si attennero scrupolosamente al decreto,
mentre quello di Puglia vi contravvenne ed ammise alla professione il laico fr.
Luigi Sportella da Putignano. La conseguenza fu che al momento della
soppressione del 1809 il detto frate si vide negata la pensione perché il
governo non ritenne valida la professione (13). L’articolo 4 della stessa legge
prevedeva la chiusura dei conventi con meno di 12 religiosi professi. La
disposizione non fu mandata in esecuzione o per i ricorsi presso il Ministero (14) o perchè ci si accorse che
ordinariamente questi piccoli conventi erano poveri o di rendite o di locali.
Se la disposizione fosse stata eseguita categoricamente, dell’Ordine si
sarebbero salvati solo pochi conventi come si può vedere nell’appendice n. 1
dove riporteremo lo stato dei conventi al momento della chiusura dopo il 7
agosto 1809. Invece a seguito di particolari decreti e per i motivi più
disparati dal 27 aprile 1807, quando fu chiuso quello di Campagna, al 3 luglio
1809, quando fu chiuso quello di Salerno, ne furono chiusi 14. Ho detto per i
motivi più disparati. Difatti sappiamo che quello di Campagna (Salerno) fu
chiuso per adibire i locali ad ospedale militare, quello di Avellino per essere
trasformato in caserma, quello di Campobasso per essere demolito perchè doveva
tracciarsi una nuova strada, quello di Gaeta, perchè danneggiato dai
bombardamenti, fu adibito insieme alla chiesa a deposito di materiale bellico, [P. 215] quello
di Barletta per diventare ospedale civile, quello di Acquaviva delle Fonti
(Bari) affinchè il Prelato, occupandolo, potesse avere un’abitazione più
decente al suo stato, quello di Pescara per essere adibito a deposito di sale,
quello di Strongoli (Catanzaro) perchè durante la rivolta era stato devastato
dai briganti ed abbandonato dai frati che non vi erano più ritornati, quello di
Salerno per potervi trasferire gli uffici dell’Intendenza (15). Anche
quello dell’Aquila fu adibito per gli uffici dell’Intendenza, ma la comunità fu
mandata nel soppresso convento dei Celestini dove trasferì tutto quello che
possedeva (16). Il 12 gennaio 1808 fu soppresso quello di S. Agostino alla Zecca
(17). I religiosi ebbero l’ordine di lasciare immediatamente libero il
locale e trasferirsi nei conventi degli Agostiniani Scalzi di S. Nicola da
Tolentino in Napoli ed in quelli di Resina e Pimonte. Non si mossero, fecero
ricorsi, chiesero di rimanere, anche senza i beni ma con un semplice sussidio,
nello stesso locale. Tutto fu inutile. Il Ministro diede ordini perentori al P.
Giuseppe Rosano, Provinciale di Terra di Lavoro, di dividere e collocare tutti
nei diversi conventi delle provincie civili di Napoli e Terra di Lavoro,
tenendo conto di collocare i vecchi ed i malati nei conventi più vicino a
Napoli. Il Provinciale il giorno 25 febbraio inviò la divisione fatta facendo
notare però “che detta distribuzione non si dovrebbe mandare ad effetto perchè
in ciascuno dei conventi nominati o manca il locale per poter ricevere gli
individui collocati o il mezzo per potersi sostentare”. Il 10 marzo il Ministro
Pignatelli approva la distribuzione fatta dando ordini che venga subito
eseguita, e nel frattempo il P. M. Stefano Baldassarre possa ritornare
all’Aquila, di cui è figlio. Il locale fu occupato dai soldati e la chiesa fu
ceduta al Parroco di S. Maria a Piazza che vi trasferì la Parrocchia.
___________________________
(5) M. MIELE in Campania sacra, vol. 4, Napoli 1973. Il
lavoro a cui rimandiamo, ci sembra il più completo sulle ricerche generali
delle soppressioni napoleoniche nel decennio francese (1806-1815).
(6) Min. Eccl. 1389.
(7) Min. Eccl. 1389.
(8) Il decreto citato si può leggere in: GABRIELE CUOMO, Le
Leggi eversive del secolo XIX e le vicende degli ordini religiosi della
Provincia di Principato Citeriore,
Mercato Sanseverino 1971, pag. 22.
(9)
G. CUOMO, op. cit., pag. 23 e 24.
(10)
G. CUOMO, op. cit., pag. 39.
(11) L’intiero decreto si può leggere in G. CUOMO, op.
cit., pag. 31 e seg.
(12) Min. Eccl. 1391.
(13) Patrimonio Eccl. 822. Alla restaurazione del convento
di Giovinazzo (1821) fra i religiosi che formeranno la famiglia risulta fr.
Luigi Sportella “Senza pensione”. L’ultima professione nella Congregazione era
stata emessa nel 1804, mentre nelle provincie dell’Aquila e Calabria Ultra nel
1805.
(14) Il sindaco del comune di Montereale (L’Aquila) si
rivolge al Ministro del Culto affinchè il convento degli Agostiniani non sia
chiuso, anche se è formato da pochi religiosi. Il motivo? “perchè la chiesa è
santuario del Beato Andrea molto venerato”. Dice che il comune è disposto a
dare anche un sussidio di 100 ducati annui affinchè sia aumentato il numero dei
frati. Il 13 ottobre 1806 il Ministro risponde che si terrà conto dei
desiderata della popolazione affinchè il convento rimanga aperto. Min. Eccl.
1639.
(15) Oltre i citati furono chiusi i conventi di Vasto,
Altamura, Foggia e Reggio Calabria.
(16) Minist. Eccl. 1393. - Vedi pure: R. TRINCHERI, L’Ordine di S. Agostino nell’Abruzzo
Aquilano, in “Bollettino della
Deputazione Abruzzese di storia patria”, serie V, a. 32, 34, vol. 3 e 5
(1941, 43).
(17) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 746. - Min. Eccl.
1650. Per alcuni documenti vedi Appendice 2.
*****
Con l’articolo 17 del Decreto del 13 febbraio 1807, i Religiosi ebbero
la possibilità di dedicarsi all’insegnamento nelle scuole istituite dal
governo. Non sappiamo con esattezza in quali conventi e quanti religiosi vi si
dedicarono, sappiamo però che a S. Agostino alla Zecca [P. 216] i Padri Giovanni
Barbati, Antonio Mastromattei e Navigio Fezio, sia dal Vicario Generale della
Diocesi, Mons. Della Torre, sia dall’Intendente della Provincia, furono
accettati perchè “probi ed idonei” (18); a Sorrento il P. Filippo Labonia (19); a
Tempetelle (Salerno) il P. Giovanni Michele Quaranta che continuò anche dopo la
soppressione del convento (20); ad Andria i Padri Riccardo Regano,
Mariano Cocco e Celestino Santacroce (21); a Trani il P. Luigi Guerra (22); a
Bitonto il P. Domenico Ferraro (23); ad Acquaviva delle Fonti il P.
Aurelio Savoia (24).
____________________
(18) Min.
Eccl. 1649.
(19) Min.
Eccl. 1644.
(20) Archivio di Salerno, fondo Intendeaza,
busta 2485.
(21) Min.
Eccl. 1392.
(22) Min.
Eccl. 1393.
(23) Min.
Eccl. 1393.
(24) Min.
Eccl. 1392.
*****
La politica di intromissione nella vita interna dei conventi, già
pesante al tempo dei Borboni, si aggrava sempre più con l’avvento dei Francesi,
coadiuvati dai Ministri del Culto Pignatelli e Zurlo e dai Delegati della Reale
Giurisdizione Vecchione e Dragonetti. E’ il Ministro a decidere se uno può
ricevere i gradi scolastici, se uno può secolanizzarsi, se può essere
trasferito da un convento all’altro, se può essere eletto superiore, se si
possono celebrare i capitoli provinciali, ecc. Il 22 agosto 1805 si comunica al
Provinciale degli Abruzzi di essere autorizzato a nominare Maestro in Teologia
il P. Giuseppe Sibilio (25) e il 12 settembre la stessa
autorizzazione riceve il Provinciale di Puglia per il P. Mariano Cocco (26).
Il Provinciale di Calabria Citra è autorizzato a nominare Reggenti i Padri
Rosario Amendola e Giuseppe Maddalena, il primo in data 9 ottobre 1805 ed il
secondo l’8 febbraio 1806 e può nominare anche Baccellieri i Padri Nicola De
Rosa, Nicola Raimondi e Tommaso Amendola (27). Il Provinciale di Terra di Lavoro,
il 3 maggio 1806, è facoltato a spedire la patente di Maestro al P. Crescitelli
(28). A sua volta il Provinciale di Puglia il 28 maggio 1806 riceve il
permesso di riconoscere Baccellieri il P. Aurelio Savoia e Luigi Biondi e
Lettore il P. Giuseppe Ferrara, mentre il 23 maggio 1807 è autorizzato a
conferire il Magistero [P. 217] al P. Raffaele de Suricis (29).
Il superiore maggiore di S. Giovanni a Carbonara il 2 dicembre 1807 è facoltato
a spedire la patente di Maestro al P. Pier Luigi Delicteriis (30), cosa che può fare anche
il Provinciale dell’Aquila per il P. Ignazio Gallucci giusta il mandato del 26
aprile 1808 (31).
_________________________
(25) Min. Eccl. 1388.
(26) Min. Eccl. 1389.
(27) Min. Eccl. 1388 e 1389.
(28) Min. Eccl. 1389.
(29) Min. Eccl. 1644.
(30) Min. Eccl. 1392.
(31) Min. Eccl. 1653.
*****
Nel 1808 parecchi religiosi, favoriti e spinti anche dalle promesse del
governo, si decidono a lasciare l’ordine per entrare a far parte del clero
diocesano. A decidere però se possono inoltrare la domanda a Roma per ottenere
il relativo decreto è il Ministro del Culto. A tal fine sono autorizzati i
Padri Celestino Santacroce, Basilio Pastore, Giovanni Maggi, Celestino Pedone e
Vincenzo Moia della Provincia di Puglia; ed i Padri Arcangelo Lampi e Raffaello
Romano della Provincia di Terra di Lavoro. Il fratello converso Giuseppe
Bonnelli della Provincia dell’Aquila è autorizzato a laicizzarsi il 24 agosto
1808 (32). Il 30 settembre 1807 fu
comunicata a tutti i Superiori la proibizione del passaggio di un religioso da
un convento all’altro senza il permesso del Ministro. In conseguenza vediamo il
Provinciale degli Abruzzi ricorrere onde poter trasferire il laico fr. Nicola
Narducci a Pescara (33).
Il Provinciale di Puglia, richiamato dal Governo perchè, alle rimostranze del
Priore di Foggia, non aveva allontanato dal convento alcuni frati discoli,
rispose che non aveva agito perchè al momento del capitolo intermedio gli era
stato negato il permesso richiesto (34).
______________________
(32) Min. Eccl. 1393.
(33) Min. Eccl. 1392.
(34) Min. Eccl. 1392.
*****
L’interferenza del governo diventa sempre più opprimente quando si
tratta dell’elezione dei superiori e della celebrazione dei Capitoli, per
assicurarsi che siano promossi non solo i soggetti più capaci ma quelli più
fedeli al governo. Il 16 aprile 1806 viene autorizzata la celebrazione del
capitolo per l’elezione del Priore di S. Agostino alla Zecca facendo notare
però che a tale ufficio doveva essere scelto uno dei Padri Baccellieri [P. 218].della
famiglia religiosa: il 31 maggio è approvata l’elezione del P. Guglielmo
Orefice (35). Il 12 agosto 1807 è
approvata l’elezione del Priore del convento di Marano nella persona del P.
Bacc. Giuseppe Spinoso ritenuto “soggetto abile a sostenere con decoro del suo
istituto ed utile di quella popolazione una tale carica, tanto per
l’esemplanità della vita, quanto per le ottime sue qualità” (36). Nel capitolo della
Provincia di Terra di Lavoro del 1807 fu eletto Priore di Ascoli il P. Dionisio
Crisci. Nell’approvazione degli atti capitolari non fu approvata la scelta
fatta dal Provinciale perchè il P. Crisci fu accusato dal P. Fulgenzio Flumeri
di essere un uomo “ignorante e apostata dall’Ordine”. Il Delegato della Reale
Giurisdizione fece un’inchiesta accurata e scrupolosa per rendersi conto della
verità dei fatti. Quando si convinse che le accuse erano insussistenti e frutto
di invidia e gelosia, diede il parere favorevole affinchè il Crisci potesse
essere immesso nell’ufficio (37).
Nel febbraio 1809 il Priore di Sessa Aurunca, P. Eustachio Lucarelli, rinunziò
all’ufficio e fu sostituito dal P. Salvatore de Felice. Il Ministro personalmente
volle indagare sui motivi della rinunzia e sulla condotta morale e civile del
nuovo eletto dai superiori (38).
Quando nel maggio 1809 il P. Giuseppe Pezzella rinunziò al Priorato del
convento del Soccorso, il Ministro scrisse al Vicario Generale della diocesi di
Napoli chiedendo una dettagliata e precisa relazione per rendersi conto se i
motivi addotti per la ninunzia corrispondevano alla verità dei fatti. Quando la
risposta fu data, si era alla vigilia della soppressione (39).
Per quanto riguarda poi la celebrazione dei capitoli provinciali, più d’una
volta il Ministro interferì facendoli presiedere da persone di sua fiducia, di
regola un Arcivescovo di sua fiducia. Il metodo venne dettato da motivi
piuttosto gravi: ricorsi di frati contro frati o contro superiori; ricorsi di
laici o Vescovi contro singoli frati o contro intiere comunità, ecc. I fatti
che esponiamo ce lo mostrano chiaramente. Il 10 marzo 1806 fu nominato a
presiedere il capitolo della Provincia dell’Aquila, “quale messo domenico”
l’Arcivescovo della stessa città. Trovandosi questi in Napoli e non rientrato
in sede, il 2 luglio, con lo stesso titolo, fu nominato il Caporuota della
Curia. I motivi dell’intervento vanno ricercati in un ricorso presentato da
alcuni religiosi affinchè non avessero partecipato ai lavori del capitolo [P. 219] i
religiosi che non erano nativi del luogo e, segnatamente, i siciliani. Inoltre
con altra richiesta presentata dal P. Giuseppe Rosei, quale procuratore della
Provincia, era stato chiesto espressamente un presidente estraneo all’Ordine (40). Nello stesso anno 1806,
a presiedere il capitolo della Provincia di Puglia fu destinato Mons. de
Gemmis, vescovo di Listri e Prelato di Altamura. A questa decisione si era
arrivati a causa di alcuni inconvenienti piuttosto gravi verificatisi in
Provincia. Nel capitolo intermedio del 1804 era stato eletto Vicario Priore del
convento di Giovinazzo il P. Bacc. Nicola Marasco. La comunità non lo ricevette
e fece in modo che il vecchio Vescovo gli negasse le facoltà spirituali. Il P.
Marasco per non rimanere in mezzo alla strada fu costretto a chiedere
ospitalità alla comunità di Trani. Il Provinciale fece ricorso contro i
religiosi di Giovinazzo e contro il Vescovo. Il Ministro del Culto affidò
all’Arcivescovo di Trani di venire a conoscenza dei fatti e riferire. Questi in
una prima relazione fece notare che il P. Marasco realmente non era adatto per
superiore in una casa di Noviziato perchè dedito al giuoco del lotto, ma che
non gli sembravano vere le altre accuse fatte come “ignorante, ambizioso,
apostata dall’Ordine, ecc.”; deplorava la condotta tenuta dai religiosi e la
troppa credulità del Vicario della Diocesi, concludendo però col chiedere la
rimozione di tutti i frati dal convento ad eccezione del P. Maestro Zaccaria
Donnanno “ritenuto da tutti per un buon religioso dedito completamente al suo
dovere”. In una seconda relazione conferma il suo giudizio sul P. Zaccaria e
aggiunge che anche il Maestro dei Novizi, P. Emmanuele Orlando, merita rispetto
“per le sue doti e buone qualità”. Scusa il P. M. Andrea Casaburi dicendo che
risponde a verità che è tutto dedito alla caccia, ma lo fa “perchè è ammalato e
una tale distrazione è richiesta dalle sue condizioni fisiche”. Cerca di
scusare anche il P. Luigi Donnanno, mentre formula delle accuse contro il P.
Giancarlo de Mussi definendolo “uomo che non dà nessuno affidamento e lascia
parlare male di se”. Formula accuse gravi invece e ne richiede la immediata
rimozione contro il laico fr. Domenico Siciliano “il vero scandalo del convento
perchè ubriacone e per aver messo incinta per due volte una ragazza” (41). [P. 220] L’altro scandalo era
avvenuto a Massafra il 1805 dove un certo Giuseppe Rosario Nigro aveva accusato
il P. Michele Ferulli di vita scandalosa. Il Ministro, dopo aver conosciuta la
verità dei fatti per mezzo della Polizia, aveva ordinato, minacciando di
castighi il Provinciale, che il P. Ferulli venisse immediatamente trasferito in
un convento almeno 20 miglia lontano da Massafra (42).
Nel 1807 fu destinato a presiedere il capitolo della Congregazione di S.
Giovanni a Carbonara Mons. Camillo Cattaneo, Arcivescovo di Acerenza e Matera,
che era nipote dei defunti religiosi P. Ferdinando e Mons. Emmanuele Pignone
del Carretto. Anche qui i motivi vi erano. Nel 1805 vi era stato un’inchiesta
sulla condotta politica tenuta dal P. Giacomo Magdonato nel tempo in cui era
stato Priore di Tempetelle. La cosa era finita con l’essere privato della voce
attiva e passiva (43). Nello
stesso anno 1805 il P. Casimiro Pitocco, ex superiore maggiore della stessa
Congregazione aveva fatto ricorso alla Corte esponendo alcuni disordini sorti
nella sua comunità della Speranzella, disordini causati dall’attuale superiore
maggiore, P. Vincenzo Brencola, per non saper tenere a freno i Padri Tommaso ed
Antonio Muscella ed altri giovani che disturbavano la pace. Aveva inoltre
accusato il P. Antonio Muscella di averlo minacciato della vita. Il delegato
della Regia Giurisprudenza, Vecchione, dopo un’accurata inchiesta, il 31 agosto
aveva fatto una relazione al Re dicendo che realmente i due fratelli Muscella
erano elementi intriganti e che si erano mostrati ingrati verso il P. Pitocco
che li aveva ricevuti nella Congregazione e che il superiore maggiore usava
delle parzialità (44). In
conseguenza di ciò il Ministro del culto l’11 settembre 1805, aveva scritto:
“Al Preside Vecchione. - Avendo fatto sapere al Re quanto V. S. Ill.ma ha
riferito sugli esposti vari disordini surti nella Congregazione di S. G. a
Carbonara, S. M. uniformemente al di Lei parere, ha risoluto e vuole che al
Superiore Maggiore di essa Congregazione sia vietato di far da se solo
qualunque deliberazione senza il consenso del Diffinitorio o del maggior numero
di essi. Beninteso, che non trovandosi tutti i Diffinitori in Napoli [P. 221] debba
in assenza di costoro intervenire il P. Diffinitore in defectu, che attualmente
è il P. Giacomo Gentile e seguentemente ad supplendum numerum il Padre più
graduato dell’intera Congregazione. Che la Congregazione intermedia da tenersi
nel venturo novembre non si debba convocare a Sessa, dove i vecchi sarebbero
impediti d’intervenire, ma bensì nel monastero della Speranzella in Napoli; e
finalmente in quanto ai Padri Tommaso ed Antonio Muscella avendo il Re trovato
poco plausibile la loro condotta per lo spirito di partito sostenuto in
pregiudizio dei religiosi più vecchi e per l’ingratitudine usata al P. Pitocco,
ha risoluto e comanda che V. S. Ill.ma si chiami esso P. Pitocco ed i suddetti
Muscella ed insinui loro i doveri di pacifici, grati ed esemplari religiosi, e
di usare le parti di scusa e di subordinazione verso del P. Pitocco, onde
ritorni in essa Congregazione l’antica pace fraterna, senza dar luogo ad
ulteriori querele” (45).
Inoltre un mese prima della celebrazione del capitolo, ad aprile, il
definitorio aveva chiesto che venisse differito di sei mesi con la scusa che “i
Priori non avevano il danaro sufficiente per il viaggio e le altre spese
inerenti al capitolo stesso”. Il Ministro non riconoscendo giusto il motivo,
obbligò che senz’altro si celebrasse nel mese di giugno, come realmente fu
fatto. Fu approvato dal Ministro in data 20 giugno, dopo che Mons. Cattaneo
aveva fatto la seguente relazione: “S.R.M. Signore. Si è degnata V. M.
destinarmi ad intervenire qual Messo Domenico nel Capitolo de’ PP. Agostiniani
della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara, il che con altra carta del dì 5
del corrente giugno mi si è partecipato e nel tempo stesso mi ha imposto
ch’esamini prima il locale del convento della Speranzella se sia capace di contenere
i vocali e non trovandolo adatto a contenerli, riferisca subito. In adempimento
de’ sovrani ordini fo presente alla M. V. che avendo prima osservato il locale
del convento della Speranzella, l’ho trovato capace di contenere i vocali. Di
ciò è rimasto ben persuaso anche il Superiore Maggiore della Congregazione che
avea chiesto di convocare il capitolo nel convento di S. Agostino di Sessa; e
quindi col consenso di tutti i Padri della Congregazione medesima si è
convocato il capitolo per celebrarsi nel suddetto convento della Speranzella. [P. 222] Si
sono in seguito nel medesimo convento capitolarmente e nelle forme prescritte
dalle Costituzioni dell’Ordine congregati tutti i vocali, e in tre successive
sessioni sempre col mio intervento si è celebrato il capitolo con tutto il buon
ordine, tranquillità, ed a norme non meno delle Costituzioni dell’Ordine che
della Polizia del Regno. La elezione del Superiore Maggiore è seguita colla
pienezza de’ suffragi nella persona del P. Bacc. fr. Giuseppe Maria Gentile,
soggetto degno, e maggiore di ogni eccezione per la dottrina, integrità morale
e religiosa osservanza. Le altre elezioni sono seguite o colla maggioranza, o
colla pienezza dei voti. Ed ho ravvisato che nell’elezioni medesime fuori lo
spirito di partito, e ogni umano riguardo, non si è avuto altro scopo che di
premiare il merito, e di sostenere la disciplina monastica per lo miglior
servizio della Chiesa e dello Stato. Onde potrà degnarsi la M. V. impartire a
tal capitolo la sovrana approvazione e conferma, prevenendola che gli atti
capitolari si son da Religiosi presentati secondo il solito alla Delegazione
della V. Reale Giurisdizione. Il Signore Iddio lungamente conservi e sempre
prosperi la V. R. Persona. Di V.M. - Napoli 17 giugno 1807. Umilissimo e
devotissimo suddito Camillo Arc. di Acerenza e Matera” (46).
Nello stesso anno 1807, a presiedere il capitolo della Provincia di Terra di
Lavoro fu nominato l’Arcivescovo di Salerno, Mons. Fortunato Pinto. Anche qui
l’occasione fu data dai fatti che esponiamo. Nel capitolo intermedio del 1804
era stata presa la decisione di trasferire il Noviziato da Solofra a Nola. La
comunità di Solofra aveva fatto ricorso ed il Ministro aveva dovuto intervenire
approvando quanto stabilito dal capitolo e minacciando i frati di Solofra di
castigo, qualora non avessero smesso di fare altri ricorsi (47).
L’11 ottobre 1805 il P. Giuseppe Celentano aveva fatto ricorso contro il
Provinciale per gravi inosservanze e disordini sorti nel convento di Venafro.
Il Provinciale, dal Delegato della Reale Giurisdizione, [P. 223] era stato obbligato a
trasferire immediatamente in altri conventi i Padri Nicola Ianniello e Filippo
Lanna (48). Il capitolo avrebbe
dovuto celebrarsi ad aprile del 1806, ma per difficoltà sorte non fu possibile,
come pure non fu possibile celebrarlo a novembre. Nel frattempo ci furono
alcuni ricorsi accusando il Provinciale di volersi eternare nella carica. Il 7
luglio 1807 il Presidente della R. Giurisdizione con una relazione al Re
propose la deposizione immediata del Provinciale e la nomina di Mons. Pinto a
presidente del Capitolo da celebrarsi a novembre nel convento di Salerno. Il
ministro aderì a tutte le proposte fatte e diede ordini al riguardo in data 18
luglio (49). Vedere per tutta la
faccenda appendice 3. Il
capitolo radunato il 31 ottobre fu approvato il 25 novembre (50), dopo che Mons. Pinto aveva fatto la sua relazione e fra
l’altro aveva detto: “Posso assicurare V. M. di essere riuscito tutto con la
massima tranquillità ed armonia e senza la minima contradizione” (51). Nel mese di giugno 1809,
a Città Ducale, fu celebrato il capitolo della Provincia dell’Aquila. Prima
dell’approvazione il Ministro del Culto fece prendere dettagliate informazioni
dei singoli religiosi per mezzo del Procuratore Generale presso la Corte di
Cassazione, Giuseppe Raffaelli. Questi in data 1 agosto in riscontro faceva
notare che “i Padri Angelo Setola, Andrea Baiocco e Luigi Civarroni sono
caratterizzati per persone intriganti, di poca buona morale, di dubbio
attaccamento al governo e che non godono la pubblica opinione, mentre poi sono
stati lasciati da parte P. Maestro Gallucci, P. Innocenzi e P. Reggente
Giudice”. Quando la risposta arrivò sul tavolo del Ministro, non fu presa [P. 224] nessuna
decisione perchè si era alla vigilia della totale soppressione. Difatti il
Ministro annotò “si conservi” (52).
A maggio 1809 avrebbe dovuto celebrarsi anche il capitolo della Calabria Ultra
“autorizzato dal Re il 15-10-1808, ma all’invito del provinciale P. Agostino
Florino che risiedeva nel convento di Catanzaro, i monaci tutti risposero di
non poter pagare le spese di viaggio e di non volersi esporre a pericoli.
Sicchè il Ministro del Culto, il 21-6-1809 accordò al provinciale medesimo la
proroga della carica per un anno anzichè per tre come aveva domandato il
procuratore P. Gaetano Sica” (53).
________________________
(35) Min. Eccl. 1389.
(36) Min. Eccl. 1646.
(37) Min. Eccl. 1649.
(38) Intendenza Borbonica,
fondo Culto, 751.
(39) Min. Eccl. 1672.
(40) Min. Eccl. 1638.
(41) Min. Eccl. 1637, 1389
dove a foglio 57, il 9 aprile 1806 il Ministro impone che “nel prossimo
capitolo provinciale, da celebrarsi in Acquaviva, si destini al convento di
Giovinazzo per Priore un Padre graduato di esemplarità e dottrina, che possa
mantenere l’osservanza in quella religiosa famiglia, senza menomo pregiudizio
al P. Nicola Marasco, potendo il nuovo Diffinitorio (se lo crede giusto)
destinarlo superiore in altro chiostro dove non vi sia noviziato ... Che lo
stesso capitolo faccia subito sloggiare da Giovinazzo il laico fr. Domenico
Siciliano e disponga nelle forme della Costituzione il processo regolare per li
misfatti da quello commessi ... è altresì volontà di S. A. R. che il Vescovo di
Gioviaazzo si ponga d’accordo col Provinciale affinchè i religiosi del
monistero di Gioviaazzo siano osservanti e servano di esempio a quella
popolazione”. Il provinciale eletto, P. Innocenzo Briganti, nominò priore di
Giovinazzo il P. Maestro Zaccaria Doananno.
(42) Min. Eccl. 1388.
(43) Min. Eccl. 1387.
(44) Min. Eccl. 1632.
(45) Min. Eccl. 1645, 1632.
(46) Min. Eccl. 1645, dove nella
relazione fatta al Re dal Delegato della Regia Giurisdizione, Giacinto
Dragonetti, leggiamo: “di essersi fatti altresì de’ vari provvedimenti tendenti
all’economia dei monasteri ed al soccorso di taluni più bisognosi colle
sovvenzioni degli altri che sono in migliore fortuna”.
(47) Min. Eccl. 1387.
(48) Min. Eccl. 1633, 1634.
(49) Min. Eccl. 1391.
(50) Min. Eccl. 1392, dove leggiamo:
“Al Delegato della Giurisdizione. Rescrivo a V. S. Ill.ma in vista della sua
consulta de’ 16 del corrente mese di novembre che si lascino correre gli atti
del capitolo provinciale e successivo diffinitorio celebrato dalla Monastica
Provincia degli Agostiniani Calzati di Terra di Lavoro ai 31 del p. p. ottobre
nel convento di Salerno, accordandosi a tal oggetto le facoltà economiche e
temporali a norma del reale editto, nommeno al nuovo eletto provinciale P.
Maestro fr. Giuseppe Rosano, che ai Diffinitori, ai Priori, ed agli altri
ufficiali che abbiano i requisiti prescritti dalle Costituzioni dell’Ordine e
dalla Polizia del Regno, con ripetere le facoltà spirituali dai rispettivi
Ordinari diocesani; ben inteso che riguardo all’elezione del Priore del
convento di Ascoli di Puglia, seguita in persona del P. fr. Dionisio Crisci si
riserba S. M. le sovrane provvidenze in seguito a nuova consulta di codesta
Delegazione della R. Giurisprudenza, come si riserba pure di risolvere il
conveniente sull’articolo riguardante il passaggio de’ Religiosi in altri
conventi ed altri ufficiali, e l’essersi destinato il convento di Buccino per
casa di studio”.
(51) Min. Eccl. 1648.
(52) Min. Eccl. 1671.
(53) UMBERTO CALDORA, Calabria
Napoleonica, Fausto
Fiorentino editore, Napoli, pag. 124.
*****
Dopo i tanti interventi contro la vita degli Ordini religiosi, dopo le
continue richieste per conoscere i dati numerici dei conventi e dei religiosi,
e le condizioni economiche, certamente non colse di sorpresa quasi nessuno la
soppressione totale degli Ordini possidenti proclamata dal re Gioacchino Murat
il 7 agosto 1809. “Gioacchino Napoleone, Re delle Due Sicilie. Napoli 7 agosto
1809. Considerando che i motivi che determinarono il nostro augusto
Predecessore a sopprimere alcuni Ordini Religiosi colla legge del 13 di
febbraio 1807, hanno tuttavia luogo per le istituzioni religiose ancora
esistenti; Considerando che la soppressione degli ordini possidenti che
esistono ancora, è imperiosamente richiesta dalle circostanze, e che debba
farsi non solo senza danno degl’individui che gli compongono, ma anzi con
migliorare per quanto è possibile la loro sorte, accordando loro quelle
mansioni che permettono i bisogni dello stato e la quantità dei beni che al
medesimo vengono ad incorporarsi; Visto il rapporto del Gran Giudice nostro
Ministro della Giustizia e del Culto, e del nostro Ministro delle Finanze:
Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:
ART. 1. Sono soppressi in tutto il Regno i seguenti Ordini
Religiosi: Domenicani, comprese le loro riforme, cioè Gavoti, e della Sanità -
Minori Conventuali - Terzo Ordine di S. Francesco - Paolotti, o Minimi di S.
Francesco - Carmelitani calzati - Carmelitani scalzi - Frati del Beato Pietro
da Pisa, detti Bottizelli - Serviti - S. Giovanni di Dio - Trinitarj della
mercede, Spagnuoli e Italiani - Agostiniani calzati - Agostiniani scalzi - Di
S. Spirito, o sia Silvestrini - Basiliani - Teatini - Chierici minori
regolari - Crociferi - [P. 225] Chierici
della Madre di Dio - Barnabiti - Somaschi -Rocchettini, cioè Lateranensi, e del
Salvatore.
ART. 2. Tutte le proprietà appartenenti a detti Ordini sono
riunite al Demanio dello Stato. I creditori su queste proprietà diverranno
creditori dello Stato ed avranno diritto al pagamento a norma dei regolamenti
generali.
ART. 3. I Frati Spedalieri di S. Giovanni di Dio continueranno
a vivere in unione nelle case che attualmente occupano, per essere impiegati
secondo il loro instituto. Conserveranno a quest’oggetto tutto ciò che esiste
nelle loro case e chiese, e godranno delle pensioni qui appresso fissate.
ART. 4. La disposizione dell’art. precedente è applicabile ai
Religiosi Scolopj fino alla organizzazione dell’istruzione pubblica.
ART. 5. I religiosi degli Ordini compresi nell’art. 1, per
tutto il dì 15 d’ottobre prossimo, usciranno dai monisteri, e deporranno
l’abito dell’Ordine, salve le eccezioni contenute negli articc. 3 e 4. I
Sacerdoti e gli altri ordinati in sacris vestiranno l’abito dei preti,
formeranno parte del clero secolare, e potranno concorrere alle porzioni
laiche, ai beneficj ed a qualunque carica ecclesiastica.
ART. 6. I religiosi soppressi col presente Decreto,
conserveranno i mobili ed effetti di loro proprietà o uso personale. I mobili
appartenenti alla comunità saranno divisi ugualmente fra i religiosi, senza
distinzione di sacerdote, o laico. Sorgendo discordia nella divisione, essa
sarà fatta da due periti destinati dalle autorità incaricate della
soppressione. Non sono compresi in questa disposizione i metalli, le cose
preziose, i quadri, le biblioteche, gli archivi e simili oggetti di arte o di museo,
gli arredi sacri, le macchine, i vasi ed altri utensili esistenti nelle
spezierie, cantine, trappeti e simili.
ART. 7. I religiosi ordinati in sacris godranno di una
pensione di annui D. 96: i laici di annui D. 48. Queste pensioni saranno pagate
senza niuna deduzione sotto qualunque titolo; di quadrimestre in quadrimestre.
ART. 8. I Religiosi precedentemente soppressi seguiranno a
riscuotere gli antichi assegnamenti, ma colla deduzione del quinto, a cui
corrisponderebbe la contribuzione fondiaria.
ART. 9. Nel caso che alcuni Religiosi siano ammessi a
partecipare nelle loro chiese, o riceveranno altro beneficio ecclesiastico,
avranno luogo le disposizioni dei decreti del 28 settembre 1807 e 5 febbraio
1808, relativamente alle pensioni.
ART. 10. Il primo trimestre della pensione sarà pagato ai
Religiosi al momento che usciranno dal monistero, e comincerà a correre dal
primo del prossimo ottobre. Dal primo di gennaio venturo le pensioni saranno
loro pagate dalla cassa delle rendite; [P. 226] ma il Ministro delle Finanze darà le
disposizioni perché i pensionisti siano soddisfatti nelle province ove avranno
il loro domicilio.
ART. 11. I fondi necessarj per lo pagamento delle dette
pensioni saranno versati nella cassa delle rendite sul prodotto dei reali demanj,
di cui i beni dei monisteri soppressi debbono far parte.
ART. 12. Il pagamento non sarà soggetto ad altra formalità,
che all’esibizione del certificato di pensione che il Ministro delle Finanze
farà spedire a norma dei regolamenti generali, ed alla presentazione del
certificato di vita, in dorso del quale sarà fatta la quietanza. Questi
certificati saranno esenti da bollo e da registro. Il registro verrà accordato
gratis sotto la sola responsabilità del sindaco del domicilio del pensionista.
ART. 13. Il pensionista che cangerà domicilio, è tenuto di
farne pervenire la dichiarazione al Ministro delle Finanze, per mezzo
dell’Intendente della provincia del nuovo domicilio due mesi prima della
scadenza del quadrimestre corrente. Il Ministro delle Finanze darà ordini per
lo pagamento nel nuovo domicilio nei termini dell’art. 10.
ART. 14. In caso di morte del pensionista, il sindaco ne
preverrà il ricevitore incaricato del pagamento, il quale lo casserà dallo
stato delle pensioni, e ne renderà conto al Ministro delle Finanze.
ART. 15. La soppressione sarà eseguita sotto gli ordini e la
vigilanza degli Intendenti. Ciascuno di loro nel giorno che riceverà il
presente decreto, farà formare lo stato delle corporazioni religiose della
provincia che dovranno essere soppresse; e chiamerà presso di sé il presidente
del tribunale di prima istanza, il regio procuratore presso il medesimo ed il
direttore dei Demanj, affine di regolare di concerto con loro le misure da
prendere per le diverse soppressioni.
ART. 16. Dopo aver preso l’avviso dei nominati funzionarj,
l’Intendente affiderà l’incarico della soppressione a persona di sua fiducia.
Queste si potranno scegliere tra le autorità civili del luogo, e tra i membri
del Consiglio Provinciale o distrettuale, e del decurionato. Gl’Incaricati di
ogni soppressione dovranno essere al numero di tre, uno dei quali sarà, per
quanto sia possibile, un agente dei demanj. Il sindaco, ed in caso di
impedimento, un eletto sarà chiamato per assistere alla soppressione; e firmerà
tutti gl’inventarj, processi verbali ed altri atti che occorreranno. Gli stessi
incaricati potranno procedere alla soppressione di più monasteri; nel solo caso
però che siano situati nella stessa Comune, o quando l’Intendente crederà che
non possa risultare né ritardo nelle operazioni, né inconvenienti per gli
interessi del Governo.
ART. 17. Gl’Incaricati si trasferiranno sopra luogo; si
faranno esibire tutte le scritture e titoli, sia di crediti, sia di obblighi e [P. 227]
di pesi, i registri e i conti di amministrazione; gli riuniranno in luogo
sicuro; e gli chiuderanno sotto suggello. Faranno lo stesso pel denaro contante
e le derrate esistenti nei monasteri, e pei mobili di argento ed altri effetti
preziosi; e metteranno anche i suggelli sulle porte dei luoghi, ove sono
rinchiuse le biblioteche, i quadri ed altri oggetti riserbati allo Stato,
lasciando liberi gli appartamenti occupati dai religiosi.
ART. 18. Il giorno appresso faranno lo stato dei religiosi di
ciascun monastero, col loro nome, età, patria, stato nella religione, epoca
della loro professione, e luogo ove dichiareranno di voler fissare la loro
residenza dopo l’uscita dal monistero. Sulle basi di questo stato essi
preleveranno del denaro contante e delle derrate trovate nei monisteri, e
rimetteranno ai membri della corporazione soppressa una quantità sufficiente a
farli continuare a vivere in comunità fino al 10 del prossimo ottobre. Questa
non potrà essere maggiore del doppio della pensione fissata nell’art. 7 del
presente decreto.
ART. 19. Gl’incaricati procederanno in seguito alla levata dei
suggelli, e faranno di tutti gli oggetti esistenti nel monistero sette
inventarj dettagliati e distinti, cioè: 1.
Di tutti i titoli, scritture, libri di conti ed altre carte relative alle
proprietà e rendite ed agli obblighi e pesi del monistero; 2. Degli arredi ed oggetti del servizio del culto; 3. Dei libri, quadri ed oggetti di
scienze ed arti; 4. Del denaro
contante, degli utensili di argento, di altri oggetti preziosi, e di tutti i
mobili riserbati allo Stato; 5.
Delle derrate di ogni specie riserbate allo Stato dopo la prelevazione ordinata
nell’art. precedente; 6. Dei mobili
ed effetti che servono all’uso dei religiosi, e che debbono essere loro
lasciati in proprietà; 7. Dei locali
con una esatta descrizione. Ciascuno di questi inventarj conterrà la
valutazione approssimativa degli oggetti che vi sono compresi.
ART. 20. Tutti i libri, registri e conti di amministrazione
saranno chiusi e vistati dagli incaricati colle loro firme. Sopra questi
documenti, e su i titoli di cui i commisarj avranno fatto inventario, e sulle
dichiarazioni dei superiori e procuratori dei monisteri, essi formeranno due
stati separati di tutto ciò che compone la proprietà dei monisteri. Il primo
conterrà tutti gli immobili coll’indicazione del luogo della loro situazione,
della loro estensione, del nome dell’affittatore, se ve ne sia, e della fine
dell’affitto, del loro prodotto, dell’epoca in cui i prodotti saranno
percepiti, della contribuzione fondiaria e di tutti gli altri pesi intrinseci.
Il secondo stato indicherà tutti i crediti, censi ed altri diritti,
coll’indicazione del nome e del domicilio del debitore o reddenti, della
situazione della proprietà gravata o ipotecata a profitto del monistero, della
natura del credito o diritto, del capitale, del prodotto annuo, dell’epoca
della prestazione [P. 228] e del termine del pagamento del
capitale, ove debba seguirne la restituzione. Questi due stati saranno formati,
per quanto sarà possibile, su i modelli di quelli che l’amministrazione dei
demanj ha fatto formare per la descrizione dei beni dipendenti della medesima.
ART. 21. Dell’inventario tanto dei mobili quanto
degl’immobili, egualmente che dello stato dei religiosi saranno fatte tre copie
firmate dagl’incaricati; una per essere depositata all’Intendenza; una per
restare presso il direttore dei demanj della provincia, la terza per essere
inviata da lui all’amministrazione, la quale ne farà pervenire una copia al
Ministro delle Finanze. L’Intendente invierà al Ministro del Culto ed a quello
dell’Interno l’estratto di quest’inventario, per loro indicare il numero e la
natura dei locali; per far conoscere al primo gli arredi ed oggetti del Culto;
ed all’altro i libri, quadri ed oggetti di scienze ed arti. Egli invierà nello
stesso tempo al Ministro del Culto lo stato dei Religiosi.
ART. 22. Gli arredi ed effetti destinati al Culto, del pari
che le biblioteche, quadri ed altri oggetti di scienze ed arti, e tutti gli
altri mobili riserbati allo stato, che si lasceranno nei monisteri, egualmente
che i locali dei monisteri medesimi saranno messi dagli incaricati sotto la
custodia del sindaco e di uno dei principali proprietarj del luogo, i quali ne
rimarranno responsabili fino a che il Governo non ne abbia disposto. Niuno
potrà ricusarsi di questa sorveglianza. Gl’incaricati subitoché avranno
terminato la loro operazione, rimetteranno tutte le carte, scritture, documenti
e registri di contabilità ai direttori dei demanj, esigendone ricevuta che
resterà unita all’inventario.
ART. 23. Il denaro che resterà disponibile dopo la
prelevazione ordinata dall’art. 18, sarà versato nella cassa del ricevitore dei
demani del luogo. Le derrate che rimarranno egualmente disponibili, del pari
che i mobili riservati allo Stato, tranne gli oggetti preziosi, gli effetti del
Culto e delle arti e scienze, saranno venduti all’incanto colle regole
stabilite, ed il prodotto sarà versato nella cassa del ricevitore dei demanj.
ART. 24. Gli argenti e tutti gli altri oggetti preziosi
saranno inviati all’Intendente, il quale gli spedirà in Napoli al Governatore
del Banco di Corte, con uno stato che contenga l’indicazione della loro natura,
del peso e del valore, facendo pervenire nel tempo stesso il doppio di questo
stato al Ministro delle Finanze.
ART. 25. Il direttore dei demanj in ricevere gli stati
degl’immobili, dei crediti e diritti di
ciascun monistero soppresso, ne
invierà un estratto da lui certificato ai rispettivi ricevitori,
con ordine di prendere immediatamente possesso degli oggetti che vi sono
descritti.
ART. 26. Il ricevitore prenderà egualmente possesso di
qualunque [P.
229] altra proprietà o credito esistente nel suo circondario, ed
appartenente ad un monistero soppresso, quantunque non si trovasse descritto
nell’estratto rimessogli dal direttore. A questo oggetto egli si concerterà col
sindaco del Comune, il quale visterà tutti gli atti, per dinotare che non vi
sia alcuna opposizione alla pretensione del ricevitore. Ne darà
contemporaneamente avviso al direttore.
ART. 27. Le raccolte pendenti nei beni dei quali i ricevitori
prenderanno possesso, saranno vendute all’incanto colle formalità prescritte
dalla legge e regolamenti.
ART. 28. Se dopo la pubblicazione del presente decreto un
ricevitore avesse notizia che esistono nel suo circondario delle raccolte
appartenenti ad una corporazione soppressa, e che fossero esposte a
deteriorare, anche prima di ricevere l’ordine di prenderne possesso, egli
chiederà al giudice di pace del luogo l’autorizzazione di farle vendere
all’incanto. Il giudice non potrà negarla.
ART. 29. I superiori e procunatori dei monisteri soppressi che
avranno nascosto o lasciato sottrarre qualche porzione delle proprietà devolute
allo Stato, saranno privati di ogni pensione. I mobili e gli effetti lasciati
ai religiosi diverranno loro proprietà, tostoché l’Intendente, dietro l’avviso
del direttore dei demanj, ne avrà approvato lo stato.
ART. 30. Ogni quietanza o ricevuta di pagamento fatta per
anticipazione ai religiosi dai loro coloni, locatarj, o reddenti dei beni
riuniti allo Stato, è dichiarata nulla.
ART. 31. I Ministri dell’Interno e del Culto ci presenteranno
di accordo lo stato dei locali dei monisteri soppressi. Sul loro rapporto e
sulle proposte degli altri Ministri, noi fisseremo la destinazione di questi
locali, secondo i bisogni dei dipartimenti rispettivi. Il Ministro dell’interno
ci proporrà la destinazione delle biblioteche ed altri oggetti delle arti e
scienze ed il Ministro del culto quella degli arredi sacri ed altri effetti del
culto, onde destinargli alle chiese che ne hanno bisogno.
ART. 32. Il Ministro del culto darà gli ordini perché,
pendente la soppressione e dopo la medesima, i Santuarj di speciale venerazione
del popolo, e le chiese coadiutrici delle Cure non restino mai chiuse, e vi si
seguano ad esercitare tutte le solite sacre funzioni.
ART. 33. I nostri Ministri, ciascuno per la parte che gli
compete, sono incaricati della esecuzione del presente decreto. F.to Gioacchino
Napoleone”.
Il decreto reale che sconvolse la vita religiosa ed economica nel
regno, “per intoppi, di cui non è dato conoscere la natura, [P. 230] fecero
sì che fosse reso noto ufficialmente solo circa un mese dopo, e ciò mentre
tutti ne conoscevano i dettagli, forse anche prima della firma del re” (55). Gli incaricati a norma
del decreto si misero in movimento e si fermarono solo a lavoro ultimato. Il
giorno 10 settembre cominciarono le operazioni nel convento della Speranzella (56), ed il giorno dopo, 11
settembre, nei due conventi di S. Giovanni a Teduccio (57).
A questo punto sorge spontanea la domanda: quanti erano i religiosi Agostiniani
che furono costretti a dimettere l’abito? erano veramente ricchi i loro
conventi? cosa fecero i religiosi quando uscirono? Con i dati a disposizione
cerchiamo dare una risposta. Dopo lunghe e pazienti indagini possiamo affermare
che, quasi certamente, i religiosi che deposero l’abito furono 662 e cioè 457
sacerdoti e 205 fratelli laici. Di questi, 430 sacerdoti e 201 fratelli erano
regolarmente nei 91 conventi rimasti, mentre gli altri non sappiamo con
precisione dove fossero (58).
A questi bisogna aggiungere 5 sacerdoti
venuti da conventi fuori del regno ed a cui il governo assegnò la pensione (59). Diciamo che quasi
certamente questo dovrebbe essere il numero preciso, perchè da indagini più
accurate nei Registri delle Pensioni accordate agli ex religiosi del Ministero
delle Finanze potrebbe venir fuori qualche altro nome. Difatti non a tutti fu
assegnata la pensione immediatamente, ma ad alcuni solo dopo accurati
accertamenti fatti dal Ministro delle Finanze: citiamo il caso del P. Agostino
Scaramuzzi a cui venne riconosciuta solo il 27 aprile 1811 (60).
Ad altri non fu mai accordata, come al frate Luigi Sportella (61) che aveva professato
senza il permesso del governo.
_____________________________________
(54) CUOMO, op. cit., pag. 85 e seg.
(55) MIELE, Campania sacra, pag. 55.
(56) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
759.
(57) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
760.
(58) Il tutto è ricavato dal fondo Ministero delle Finanze, fasc. 2723,
2724, 2725, 2726, 2727, 2728, 2729. Gli Agostiniani Scalzi che deposero l’abito
erano 135 e cioè sacerdoti 85, fratelli laici 50, con 10 conventi.
(59) Min. Finanze, 27-27. Questi Padri
erano: P. Francesco Clericò, di anni 31, da Centrache in Calabria Ultra,
proveniente dal convento di S. Gemini; P. Pietro Tucci, di anni 34, da Palermo,
proveniente da Cori; P. Mariano Mazzola, di anni 54, da Sava proveniente da
Genazzano; P. Tommaso de Tommasi, di anni 47, da Sciacca, proveniente da Gualdo
Tadino; P. Giuseppe Chiacchio, di anni 54, da Grumo, proveniente da Foligno.
(60) Fra i Padri che ebbero tardi la
pensione troviamo il P. Clemente Monacelli da Vasto, Parroco nelle isole
Tremiti. Per il suo coraggio, durante l’assalto del forte da parte delle truppe
inglesi, era stato elogiato dal Ministro della Guerra Dumas e proposto al Re
per qualche ricompensa. Vedi: Min. Eccl. 1641, relazione al Re del 25 ottobre
1806.
(61) Vedi nota 13.
*****
[P. 231] Per quanto riguarda la ricchezza dei conventi
dell’Ordine, con i dati che abbiamo a disposizione, possiamo dire che la
maggior parte vivevano in strettezze. Vedi stato riportato in appendice. n. 4 (62) I superiori di Posillipo, dei conventi di S.
Giovanni a Teduccio, Marano, Sorrento, Gragnano, Buccino, Frattapiccola,
Tempetella, Celso, Gildone, Filadelfia, Torre, Paola, e quanti altri che non
conosciamo per non aver a disposizione i relativi documenti, dichiararono agli
incaricati della soppressione dei loro conventi di non aver denaro liquido.
Sappiamo che Teverola pagava le fondiarie col restringere i viveri ai
religiosi; Vairano era costretto a prendere denaro in prestito per soddisfare
ai pesi della fondiaria, cosa che era costretto a fare anche il convento di
Sessa, che pure era un convento abbastanza ricco (63). Paola che avrebbe dovuto
pagare 460 ducati annui di fondiaria, per non aver potuto pagare si era visto
sequestrare dal percettore delle tasse tutto il raccolto di grano, granone,
fichi, agrumi, ecc. (64). Morano Calabro “perchè era
stato saccheggiato dai briganti e perchè le rendite erano inferiori alle
fondiarie era in pratica stato abbandonato dai religiosi che si erano ritirati
nelle proprie case vivendo miseramente” (65).
Sorrento per pagare i debiti per tre volte in due anni era stato costretto a
vendere oggetti della chiesa (66).
La stessa cosa era stato costretto a fare il Soccorso che da circa 18 mesi
manteneva una comunità di 20 religiosi pur avendo una rendita di appena 415
ducati annui e che nel mese di agosto 1809 aveva un introito di soli 97 ducati!
(67). Il convento di Gildone con
8 religiosi aveva una rendita di soli 190 ducati! Solo alcuni conventi, ma non
troppi, vivevano in una certa agiatezza: La Speranzella, Sessa, Ischia,
Buccino, Nocera dei Pagani, Montoro, Andria, Lanciano, L’Aquila, Nocera in
Calabria, ecc. [P.
232] Per molti invece la pensione accordata ai religiosi superava di
gran lunga la rendita su cui potevano contare.
_________________________
(62) Le notizie sono ricavate da fondo:
Patrimonio Eccl., fasc. 555, 556, 557, 559, 560, 561, 562, 566, 567, 568, 570,
571. Vedi pure Intendenza Borbonica, fondo Culto, 772, relazione
dell’Intendente di Napoli in data 17 febbrio 1810.
(63) Min. Eccl. 1671, relazione
dell’Intendente di Terra di Lavoro al Ministro del Culto, 18 luglio 1809.
(64) Patrimonio Eccl. 562, dalle dichiarazioni
dei delegati per la chiusura del convento.
(65) Come nota precedente.
(66) Monasteri soppressi, 174 bis, dal
quale ci risulta anche che nei mesi precedenti la soppressione aveva “preso
danaro in anticipo dai creditori per il vitto ai religiosi”.
(67) Monasteri soppressi, 74, 75, 76,
da cui ci risulta che nel mese di luglio 1808 la comunità era stata costretta a
fittare una palude per 150 ducati all’anno, chiedendo però al fittuario
un’anticipo di 600 ducati “sia per soddisfare la fondiaria, sia i debiti
contratti in piazza per il vitto ai religiosi”.
*****
Prima che ai religiosi venisse intimato di lasciare definitivamente il
convento dove abitavano, a termine della legge si sarebbe dovuto dare ad ognuno
il trimestre di pensione anticipato. Poche volte fu fatto. Il più delle volte
veniva dato solo un acconto perchè gl’incaricati non riuscivano a trovare
denaro liquido sufficiente. Così sappiamo che ai religiosi di Posillipo furono
dati 28 ducati contro i 72 a cui avevano diritto; a quelli della Speranzella ne
furono dati 160 invece dei 480; a quelli del Soccorso 136 contro i 408; a
quelli di S. Maria di Costantinopoli 28 invece di 84 (68). Per questi motivi alcuni
protestavano, opponevano resistenza a lasciare il convento o a vestirsi da
preti perchè non avevano il denaro per provvedere ai propri bisogni (69). Per il momento non conosciamo casi di nostri religiosi che
vennero a trovarsi in queste condizioni, mentre sappiamo casi di chi non sapeva
dove andare ad abitare lasciando il convento. La legge dava facoltà ad ognuno
di scegliersi il proprio domicilio. Molti ritornarono nei paesi di origine o
dove avevano parenti, ma i più preferirono rimanere nei paesi dove si
trovavano. Chi poi non sapeva proprio dove andare chiese di rimanere in qualche
stanza del proprio convento. Così fece il Priore di Buccino, P. Giovanbattista
Castaldi (70) e quello di Leonessa, P.
Nicola Antonelli (71). I
religiosi del Soccorso e di S. Maria di Costantinopoli, tutti, senza eccezione,
chiesero di rimanere nel convento sia pur vestendo da preti e vivendo con la
pensione (72). 19 dei 24 religiosi
della Speranzella fecero uguale domanda, ma fu accordata solo ai P. Catalano
perchè di 85 anni “quasi cieco e malato di nervi”, al P. Domenico Ulmo perchè
“storpio” ed al P. Brencola, ma non sappiamo fino a quando vi rimasero perchè
ben presto il convento fu venduto e trasformato in albergo (73).
Il problema di un alloggio era veramente grave e preoccupante per i vecchi ed i
malati che non avevano parenti stretti presso cui potersi ritirare ed essere
accuditi. Il problema preoccupò anche il governo che volle provvedervi fissando
alcuni ex conventi per case [P. 233] di riposo o di alloggio. Ne furono
stabiliti in tutte le provincie civili, ma se riuscirono a funzionare e come,
non è stato possibile conoscere. Ogni Intendente ebbe l’ordine di segnalare al
Ministero del Culto i casi ritenuti più urgenti. Il Ministro poi vagliando le
circostanze dava il suo benestare (74).
L’Intendente di Napoli che già nel febbraio 1808 aveva richiamato l’attenzione
del governo sul problema, fece una lunga lista motivando il fatto che “il più
delle volte erano individui che avevano reso grandi servigi alla religione ...
e che il popolo sarebbe rimasto scandalizzato vedendoli andare raminghi in
cerca di un alloggio” (75).
Per gli Agostiniani ne propose 35 e cioè: 11 della Speranzella; 4 del Soccorso;
6 di Marano; 4 di Ischia; 4 di Gragnano; 3 di Sorrento ed 1 di Frattapiccola (76). L’Intendente di Chieti
ne propose solo 15, e fra questi due Agostiniani del convento di Chieti: P.
Tommaso Infantone, di 52 anni, da Varapodio in Calabria, perchè “i suoi
familiari restarono sepolti sotto le macerie dei terremoti delle Calabrie”, ed
il P. Provinciale P. Tommaso Credennino, di anni 45, da Afragola, “perchè in
patria non ha più abitazione” (77).
Dall’Intendente dell’Aquila per gli Agostiniani furono proposti il laico
settantenne fra Giacomo Cecca da Posta ed il P. Pietro Paolo Boccanera da
Leonessa perchè “affetto da podagra” (78).
P. Francesco Saverio Caputo, da Longobardi in Calabria, ma proveniente dal
convento di Nola, “perchè in patria non ha parenti ed abitazione” riesce ad
ottenere una stanza nell’ex convento di S. Domenico Maggiore dove si trovano
alloggiati altri ex religiosi (79).
A S. Domenico ottiene una stanza anche il P. Fulgenzio Saviano “perchè
proveniente dallo stato pontificio (=Benevento) è sotto il controllo della
Polizia e non può allontanarsi da Napoli” (80).
Il P. Lucio Laviosa da Palermo, ma proveniente dal convento di Venafro, riesce
ad ottenere una stanza nell’ex convento di S. Agostino alla Zecca (81). Il P. Tommaso Tuccillo,
ex provinciale, di 72 anni, che gli incaricati della soppressione definiscono “uomo rispettabile oltre che per la probità
di vita, per la buona morale ed ottimi costumi”, riesce a rimanere con
altri pochi vecchi religiosi nei locali del Soccorso (82).
Quando nel maggio 1810 il P. Giuseppe Gentile si ritira presso i parenti in
Corsica, la sua stanza alla Speranzella viene concessa al P. Michelangelo
Ceceri che viene nominato Rettore della Chiesa (83).
Il P. Rafaele Gaetani da Sessa riesce a farsi nominare Rettore del Santuario
del Crocefisso a Gaeta e vi rimarrà fino alla morte (84).
Il P. G. Michele Quaranta da Cava dei Tirreni rimane a Tempetelle e si dedica
alla scuola e all’apostolato (85).
Il P. Luigi Fiorelli da Ariano Irpino, rimane all’Aquila dedicandosi
all’insegnamento e all’apostolato (86).
Il P. Ignazio Celentano rimase rettore della chiesa di Posillipo (87). Il P. Giovanbattista
Valente rimase rettore della chiesa di S. Maria di Costantinopoli, e con lui
rimasero alcuni vecchi religiosi e cioè i fratelli Padri Giuseppe e Rodolfo
Gonzalez. A Gragnano fu nominato rettore il P. Pasquale Zacco stimato dal
Sindaco come “il più degno dei sacerdoti della Comunità” (88).
Al Soccorso fu nominato rettore il P. Guglielmo Orefice, che al dire dei
delegati per la soppressione era “uomo
di somma probità e dottrina che spende tutti i giorni nel confessare, predicare
ed istruire e qui ha sempre dimorato quasi in tutto il tempo del suo stato
monastico. E questa continua dimora senza alcun reclamo contesta per lui una
probità superiore a qualsivoglia invidia” (89).
A Frattapiccola fu nominato rettore il P. Gregorio La Greca. In suo favore
intervennero presso il Ministro i Parroci di Frattapiccola, Frattamaggiore e
Pomigliano d’Atella definendolo “uomo
di intera probità, di vita esemplare ed interamente edificante ... sommamente pacifico, che per molti anni ha assistito la chiesa con
estrema cura e piena soddisfazione della popolazione” (90). A Filadelfia rimasero nella chiesa i Padri Giuseppe Fazio e
Domenico di Francia (91).
A dir la verità per il momento ben poco sappiamo di come vissero e cosa fecero.
I buoni però aspettavano tempi migliori. Il P. Giuseppe Pezzella di 45 anni, da
Benevento, si ritirò insieme a qualche altro in una casa a via S. Agostino alla
Zecca. Cercò di mettersi in comunicazione col P. Generale in Roma. Dapprima, il
10 gennaio 1810, fu confermato Priore per un triennio ed il 12 dicembre 1812 fu
costituito Vicario Generale nel regno di Napoli (92).
E sarà lui, dopo il ritorno dei Borboni a Napoli, a lavorare instancabilmente
per la restaurazione dell’Ordine.
____________________________
(68) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(69) MIELE, Campania sacra, pag. 63 in nota.
(70) CUOMO, op. cit., pag. 656.
(71) Min. Eccl., 1678.
(72) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
758.
(73) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
760.
(74) MIELE, op. cit., pag. Per la Capitanata, più
o meno l’attuale provincia di Foggia, il 21febbraio 1810, fu stabilito come
casa di riposo il convento di Ascoli, Min. Eccl., 1395.
(75) Min.
Eccl., 1676.
(76) Min. Eccl., 1676.
(78) Min. Eccl., 1678.
(79) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(80) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(81) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
765.
(82) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(83) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
765.
(84) Libro dei Religiosi defunti del
monastero di S. Maria dei Miracoli di Andria dal 1838. Conservato nell’Archivio
della Provincia di Napoli.
(85) Elogio funebre del Rev.mo P. fra
Giovanni Michele Quaranta ... scritto
dal Rev.mo Mons. Tommaso Michele Salzano ... Napoli 1857.
(86) Archivio dell’Ordine Agostiniano,
Roma, Aa 26-2.
(87) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
765.
(88) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(89) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
765.
(90) Intendenza Borbonica, fondo Culto,
764.
(91) Patrimonio Eccl. fascio 822.
(92) Archivio dell’Ordine, Roma, Dd.
244, Aa 26-2. Con tale titolo troviamo firmati alcuni documenti nell’Archivio
di Stato di Napoli, Patrimonio Eccl. 952.
******************************************************
APPENDICE N. 1
STATO
PERSONALE DEI CONVENTI AL MOMENTO DELLA SOPPRESSIONE PER LA LEGGE 7 AGOSTO 1809, FATTO
DAGL’INCARICATI DELLA SOPPRESSIONE
Conventi
di Regio Patronato:
Soccorso a
S. Giovanni a Peduccio…14 Padri - 6 Laici
Marano di
Napoli…………………….11……….5
Provincia
di Terra di Lavoro:
Ischia………………..…...4
Padri - 2 Laici
Gragnano
(Napoli)…..…..6……….2
Nola
(Napoli)………..…...8……….3
Lauro
(Avellino)……..….1……….1
Candida
(Avellino)…..….3……….2
Solofra
(Avellino)…..….12……….3
Montecalvo
(Avellino)....3……….1
Ariano
(Avellino)……….5…….….2
Montoro
(Avellino)…….5………..3
Baselice
(Benevento).…3………..2
Ascoli
(Foggia)……….…6……..…2
Aversa
(Caserta)………16……….3
Arienzo
(Caserta)……...11…….…3
Vairano
(Caserta)……….3………..2
Venafro
(Isernia)………..5………..2
Buccino
(Salerno)……...12……….6
Nocera
(Salerno)………..3………..1
Padula
(Salerno)………...4………..5
Diano
(Salerno)………....2………..4
Provincia
di Puglia:
Bari……………………..…………13
Padri – 4 Laici
Andria
(Bari)………….….………10………...4
Trani
(Bari)……………..…………6…………1
Bisceglie
(Bari)……………..…….8…………3
Giovinazzo
(Bari)…….…….……...5…………0
Bitonto
(Bari)………………..…....8…………3
Modugno
(Bari)…………...………5…………2
Gravina
(Bari)………….….….…...5…………2
Cerignola
(Foggia)……..................3…….…..2
Lucera
(Foggia)…………..……..…3…………3
Melfi
(Potenza)…………………….4…………2
Matera………………………..…....7…………8
Montescaglioso
(Matera)……..….6…………4
Montepeloso
(oggi Irsina) (MT)…2…………1
Brindisi……………………………..5…………2
Lecce……………………….………6…………2
Sogliano (Lecce)…………….…….4………….1
Melpignano
(Lecce)…………..…..3………….2
Cursi
(Lecce)……….……………..2………….1
Taranto……………………..………6………….2
Manduria
(Taranto)...……………..8………….3
Massafra
(Taranto)……………..…3………….2
Ginosa
(Taranto)……………..……4………….2
Provincia
degli Abruzzi:
Chieti……………………....7
Padri – 3 Laici
Lanciano……………………6……….2
Città S.
Angelo (Pescara)…4……….0
Penne
(Pescara)………..….4……….3
Atri
(Teramo)…………..….3……….1
Tortoreto
(Teramo)……….4……….4
Gildone
(Campobasso)…...7………..1
Provincia
dell’Aquila:
L’Aquila…………………..9
Padri – 4 Laici
Montereale
(L’Aquila)…..2………..1
Sulmona
(L’Aquila)……...1………...1
Città Ducale
(Rieti)……...4………...3
Leonesa
(Rieti)…………..3………..2
Antrodoco
(Rieti)………..1………...1
Posta
(Rieti)……………...1………...1
Torano
(Rieti)……………1………...1
Amatrice
(Rieti)………….1………..0
Cantalice
(Rieti)………….2………..0
S. Valentino
(Pescara)……5……….2
Provincia
di Calabria Citra:
Cosenza…………………………6
Padri – 1 Laici
Paola…………………………….9………..5
Bocchigliero
(Cosenza)………..2………..3
Belvedere
(Cosenza)…………..2………..1
Terranova
(Cosenza)…………..3………..0
Morano (Cosenza)……………..2………..0
Nocera
(Catanzaro)…………….4………..1
Martirano
(Catanzaro)…………2………..0
Melissa
(Catanzaro)……………2………..0
Provincia
di Calabria Ultra:
Catanzaro…………………………….3
Padri - 2 Laici
Filadelfia
(Catanzaro)……………….4………..5
Soverato
(Catanzaro)……………….4………..5
Monteleone (Vibo Valentia) (CZ)…3………..3
Torre (Catanzaro)…………………..4………..1
Feroleto (Catanzaro)……………….3………..1
Vazzano (Catanzaro)……………..…1………..0
Terranova (Reggio Calabria)……...3………..0
Varapodio (Reggio Calabria)………2………..0
Congregazione
di S. Giovanni a Carbonara:
Napoli: la Speranzella………………………..14
Padri - 10 Laici
Napoli: Posillipo…………………………….…2………....2
S. M. Costantinopoli a S. Giov. a
Teduccio…3…………1
Sorrento (Napoli)……………………………...5…………1
Frattapiccola (Napoli)…………………………1…………1
Atripalda (Avellino)……………………………2………...1
Sessa (Caserta)………………………………12………..10
Teverola (Caserta)……………………………1………….1
Pietramelara (Caserta)……………………..…1………….0
Celso (Salerno)………………………………..1………….0
Tempetelle (Salerno)…………………………1…………..0
TOTALE:
Padri 430 - Laici 201
******************************************************
APPENDICE
N. 2
DOCUMENTI
CIRCA LA SOPPRESSIONE DI S. AGOSTINO ALLA ZECCA
Min. Eccl., 1645.
[P. 239] “S.R.M. Signore. Il Procuratore de Religiosi
Agostiniani, figli, e stanzianti componenti la Famiglia del Vostro Reale Monistero
di S. Agostino Maggiore di questa Capitale umiliati al trono clementissimo
della M. V. da sudditi fedeli e divoti venerano la Sovrana Vostra disposizione
ad essi loro comunicata per la soppressione di tal luogo, eretto da secoli
dalla pietà de’ Principi Francesi, che dominavano in questo Regno, per la
conservazione ed aumento del Culto, e per l’influenza de’ molti vantaggi, quali
derivavano dal lodevole instituto a miglioramento del costume e dell’istruzione
della Nazione. Dall’epoca di sua fondazione, e per lo corso progressivo di
sette secoli surti, dal fervore ed esemplarità de’ Religiosi di quest’Ordine,
ha sperimentato il Pubblico il frutto copioso di quegli utilissimi effetti, che
in parte han contribuito alla tranquillità e felicità del Regno; e la pruova
costante della Regolare osservanza ed irreprensibile condotta in ispecie della
famiglia di S. Agostino Maggiore, viene canonizzata dal fatto permanente nel
punto dell’esecuzione de’ V. R. ordini per la soppressione, giacchè il
Patrimonio di questa comunità s’è ritrovato non solamente intatto, e non
diminuito, ma creditore altresì di circa docati seimila di rendita attrassata
da reddenti e fittuari, verso de’ quali per le circostanze atuali ha usato
indulgenza per concorrere sempre più dal canto suo al sollievo de’ Vostri amati
sudditi. Riprotestano non per tanto venerazione ed ossequio alle supreme Vostre
disposizioni emanate per la soppressione, e soltanto con sentimenti di filiale
fiducia mettono in considerazione del vostro gran’animo, che in questa
Dominante non v’è altro convento del loro instituto, ove potessero i
supplicanti trasmigrare, e molto meno ne’ pochi luoghi della Provincia,
incapaci a ricoverarli ed angustiati per l’indigenza. Il locale del monistero
d’Ischia nella maggior parte trovas’ingombrato dall’abitazione del Comandante e
del Governatore politico di quell’isola, e la chiesa addetta alla Cattedrale
per la celebrazione de’ Divini offici. Rassegnano eziandio alla vostra pietà
che l’attuale Famiglia di S. Agostino Maggiore, ridotta a quel numero
d’individui che dimostra l’annessa nota, rappresenta Religiosi avanzati in età
e cagionevoli di quegl’incomodi di salute, che gli rende inabili a trasferirsi
altrove; ma che colla frequenza delle Confessioni, e di altri esercizi di pietà,
soddisfano alla divozione e pubblico concorso in quella Chiesa, che mantengono
con tutta decenza ed esemplarità. Se irreprensibile s’è sperimentata la
condotta de’ supplicanti. Se non altro desiderano essi che continuare a
prestarsi utili allo Stato ed a di loro concittadini per tutto ciò che gli
permette il loro zelo, per i giorni, che sovrastano al di loro vivere. Se nella
Vostra Augusta Persona gareggiano le virtù sublimi ed i pregi singolari che la
rendono a popoli amibili. Se la giustizia costituisce l’appoggio più saldo del
Trono, che lo perpetuerà a Vostro godimento, [p. 240] ed a nostra felicità,
come i supplicanti debbono diffidare di riportare dal magnanimo Vostro cuore la
grazia, che implorano, di permettere, che gl’individui figli del soppreso
monistero che ne compongono l’attuale famiglia, continuino la di loro
permanenza nella stanza del medesimo, prestandosi a’ bisogni spirituali del
pubblico nel servizio di quella frequentata Chiesa, e provveduti dalla Vostra
pietà di quel sussidio che stimerà proporzionato al di loro religioso
sostentamento? Signore. Si auguran essi di non rimanere delusi nella di loro
fiducia, fondata nel serto delle Vostre ammirabili prerogative e perfezioni. E
siccome l’indulgenza praticata coi rendenti del suppresso luogo forma il
soprammentovato credito d’esazione di più migliara, così sono i supplicanti
altrettanto sicuri che in su la riscossione di tali quantità debba degnarsi il
giustissimo Vostro animo di comandare che restino soddisfatti que’ vestiari a
Religiosi, vitalizi, ed onorari attrassati appunto per la commiserazione ed
indulgenza praticata con i debitori del luogo; e lo averà ut Deus etc.
P. Luigi Arena procuratore supplica come sopra.
___________________________________
S.R.M. Signore.
Il procuratore della comunità religiosa del soppresso monistero di S.
Agostino della Zecca umilmente espone a V. M. di aver trasentito, che la M. V.
prendendo in considerazione le circostanze infelici de’ principali del
ricorrente siasi degnata di abbassare i suoi Sovrani ordini all’Intendenza di
Napoli, onde la ricorrente comunità religiosa sia situata nel conventino di
Pietrabianca detto del Soccorso. Il ricorrente in nome de’ suoi principali
protesta a V. M. gli atti rispettosi della di loro più viva riconoscenza alla pietà
Sovrana, che prende cura di loro, ma è nel dovere di far presente alla Sovrana
intelligenza, che la comunità religiosa del soppresso monastero di S. Agostino
alla Zecca, giuste le rivele antecedentemente prodotte e le note passate al
zelantissimo Intendente di Gennaro nel momento della soppressione, ascende al
numero di circa sessanta individui, e che il conventino del Soccorso
all’opposto, il quale non era, che un Ospizio di S. Agostino Maggiore, o per
dir meglio un Infermeria, ove i religiosi infermi del convento grande andavano
a respirare aria migliore, appena è capace in quanto al locale di contenere
quattro o cinque individui, ed in quanto poi alla rendita difficilmente può
alimentarni due soltanto. Da tutto questo rileva l’alta intelligenza di V. M.
che non può avere esecuzione l’espediente preso d’inviare la comunità di S.
Agostino nel picciolo ospizio del Soccorso. E’ dunque necessario che la
clemenza sovrana prenda altri mezzi più convenienti, onde in qualche parte
riparare alla sventura dei ricorrenti. Il supplicante è incaricato di
rassegnare a V. M. che la maggior parte del soppresso monistero di S. Agostino
è composta di vecchi acciaccosi ed inabili a porre il piede anche fuori della
propria stanza, per lo più privi di ogni rapporto di amicizia e di parentela, e
quindi [p.
241] se fossero obbligati di uscire da quel locale non avrebbero
neanche il tetto ove potersi ricovrire. Sarebbero essi amanti di rimanere nel
monistero istesso, onde terminare il corso della vita in servizio del Signore
con un mensuale proporzionato assegnamento che fosse loro sufficiente a potersi
alimentare. Gli altri Religiosi, che sono nello stato meno deplorabile,
avrebbero l’istesso desiderio sì per prestare i convenienti aiuti ai di loro
confratelli, che han consumato il lungo periodo degli anni in servizio del
Santuario, come per non lasciare scarsa di operai quella Chiesa ove la
divozione è stata portata al miglior punto che si possa bramare, e secondare in
questo modo i pubblici voti di quei complateari. Sire. Per quanto siasi
esaminato il caso presente, non si è trovato che possa esservi un espediente
migliore di quello che si è suggerito ed escogitato dai Padri più ragguardevoli
della detta comunità. Sembra poi che questo espediente non apporti un gran
dissesto alle mire sempre sagge del Trono, perchè i principali del ricorrente
stante la di loro avanzata età, non potrebbero lungamente occupare quel locale,
e fra di tanto si darebbe la pace ad un numero non indifferente di religiosi, e
si riparerebbe all’amarezza della di loro circostanza. Il ricorrente dunque nel
nome come sopra, ricorre alla pietà del Trono sempre propenso al sollievo dei
sventurati, e supplica divotamente la M. V. a degnarsi permettere che la
comunità religiosa di S. Agostino alla Zecca possa continuare a rimanere nel
convento istesso col carico di ufficiare in quella Chiesa; e nel tempo medesimo
di stabilire che a ciascun religioso si faccia un congruo mensuale
assegnamento, sufficiente alla propria sussistenza, il tutto ut Deus. P. Luigi
Arena, procuratore supplica come sopra.
_____________________________________
S.R.M. Signore.
Il procuratore della comunità religiosa del soppresso monistero di S.
Agostino Maggiore di questa capitale umilmente espone a V. M. che sono già
terminate quelle picciole provviste che furono ad essa lasciate nel momento
della soppressione dall’incaricato Intendente di Gennaro. Incomincia dunque a
sorgere il bisogno di pensare al vitto cotidiano specialmente di tanti poveri
Padri vecchi che non sono in grado di sortire neppure dalla soglia della
propria stanza. All’incontro debbono essere giunti a V. M. i dettagliati
rapporti che nel monastero di S. Agostino altre di essersi trovata l’azienda
nello stato più perfetto, che si possa sperare, frutto dell’economia e della
buona fede di quella comunità, siasi di più trovata un esigenza attrassata di
circa ducati seimila. Se non si crede giusto che questa somma debba liberarsi a
beneficio della comunità medesima, è giusto senza dubbio che si pensi agli
alimenti di tanti infelici religiosi rimasti nel pericolo di perire d’inedia; e
che di più si soddisfà loro l’importo del vestiario, onorario e vitalizio fino
al giorno della soppressione; sicuro il ricorrente che la religione [p. 242] di
V. M. voglia risolvere l’occorrente sull’altra supplica prodotta al V. R. Trono
riguardo alla di loro situazione pel tempo successivo. L’oratore dunque
supplica vivamente la M. V. a prendere in considerazione l’esposte circostanze
e dare a tal effetto gli ordini opportuni onde ai principali del monistero si
faccia una provvisoria liberanza che basti a fargli sussistere fino al tempo
delle Sovrane risulte sul di loro destino, il tutto ut Deus. P. Luigi Arena
procuratore supplica come sopra.
_________________________________________
Nota
dei Religiosi figli e stanzianti del soppresso monastero di S. Agostino alla
Zecca di questa città.
P. Guglielmo Orefice, Confessore e
Priore, di anni 62
P. M. Tommaso Tuccillo, Confessore, di
anni 72
P. M. Michelangelo Latilla, Confessore,
di anni 62
P. M. Guglielmo Sorrentino, Confessore,
di anni 59
P. M. Pezzella, Confessore, di anni 46
P. Bacc. Felice Lufrani, di anni 82
P. Bacc. Felice Canale, di anni 80
P. Bacc. Agostino Novelli, di anni 60
P. Bacc. Nicola Signorelli, Confessore,
di anni 60
P. Bacc. Nicola Eschena, di anni 54
P. Bacc. Giovanni Barbati, di anni 48
P. Gaetano Sica, di anni 48
P. Bacc. Fedele Amalfi, Confessore, di
anni 44
P. Bacc. Raffaele Fortini, di anni 44
P. Bacc. Giuseppe Spinoso, Confessore,
di anni 40
P. Bacc. Arena, di anni 40
Laici professi:
fr. Salvatore Rossi
fr. Prospero Padano
fr. Nicola Savio
fr. Andrea Moselli
fr. Giuseppe di Maio
fr. Gregorio de Angelis
fr. Luigi Guadagno
fr. Giuseppe Riccardi
fr. Mariano Caporosso
fr. Tommaso Pizzorusso
fr. Michelangelo Guida
fr. Diodato Fanelli
fr. Bernardo di Siervo
fr. Sempliciano Veccia
fr. Giuseppe Schipani
fr. Isidoro Napolano
fr. Giuseppe Morsicato
fr. Croce Scianna
[p.
243] Padri stanzianti in detto monastero:
P. Bacc. Luigi Ragondino, figlio di
Marano
P. Bacc. Diodato Iovine, figlio di
Marano
P. Andrea Rieciardi, figlio di S. M. del
Soccorso
P. M. Tommaso Cristoforo, figlio della
Provincia Terra di Lavoro
P. M. Mariano Mascia, figlio della
Provincia Terra di Lavoro
P. Bacc. Michelangelo Perrotta,
Confessore, figlio della Provincia Terra di Lavoro
P. Carrella, figlio della Provincia
Terra di Lavoro
P. Nappi, figlio della Provincia Terra
di Lavoro
P. Siciliano, figlio della Provincia
Terra di Lavoro
P. Agostino Silvestri, figlio della
Provincia Terra di Lavoro
P. M. Baldassarre, figlio della Provincia
dell’Aquila
P. Regg. Xuereb, figlio della Provincia
di Sicilia
P. Laviosa, figlio della Provincia di
Sicilia
P. Caccavale, figlio della Provincia di
Chieti
P. Mastromattei, figlio della Provincia
di Puglia
P. Fezio, figlio della Provincia di
Sicilia
P. Mercurio, figlio della Provincia di
Calabria Ultra
Padri stanzianti con
ordine della Polizia:
P. Agostino Scaramuzzi, figlio di
Calabria Citra
P. Luigi M. Zacco, figlio di Roma
P. Fulgenzio Saviano, figlio di Roma
fr. Bruno Savino, ex camaldolese
******************************************************
APPENDICE N. 3
DOCUMENTI RELATIVI AL
CAPITOLO PROVINCIALE
DELLA PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO
Min. Eccl., 1645
[p. 244] Lettera del
Rettore Provinciale P. Maestro Guglielmo Sorrentino.
S.R.M. Dal momento in cui l’intiero Capitolo degli Agostiniani Calzati
della Provincia detta di Terra di Lavoro mi addossò colla Reale approvazione la
carica di Provinciale, ne sentii l’enorme peso. Il vantaggio del mio Istituto,
e l’amorevolezza con cui da’ miei confratelli fui eletto, mi furono di freno,
perchè non avessi io rinunciata la carica. Terminatone appena il corso, mi vidi
di bel nuovo dalle Costituzioni e dalla M. R. obbligato a rientrare nella
stessa carriera col titolo di Rettore Provincializio per l’immatura morte di
chi mi succedette nell’impiego. Risoluto nello aprile dello scorso anno di
riacquistare la primiera mia quiete e tranquillità, oprai ogni mezzo perchè si
adunasse il nuovo capitolo per la elezione del successore; spedii le lettere
convocatoriali, e per facilitarne vieppiù la esecuzione giunsi a chiedere nella
Delegazione della Reale Giurisprudenza la dispensa dal decreto diffinitoriale,
con cui vien destinato il convento di Salerno a tal celebrazione, e fissarsi
invece quello di Aversa: ma furono così veementi le opposizioni de’ Vocali a
tal determinazione, che con averne contestato formale giudizio nella medesima
Giurisdizione, la fecero svanire. Tutto fu da me con nuove rimostranze
rassegnato al Delegato di quel tempo; ed in seguito della di lui Consulta
umiliata al R. Trono, fu sovranamente risoluto come siegue: Copia - Il dì 2
ottobre 1806. E’ pervenuto il seguente R. Dispaccio - In conformità del parere
di cotesta Real Giurisdizione, nel Real Nome le riscrivo per sua intelligenza e
di chiunque convenga, esser Sovrana volontà, che il capitolo degli Agostiniani
Calzati di Terra di Lavoro debba indispensabilmente celebrarsi nella prima
Domenica del venturo mese di Novembre nel convento di Salerno, a norma del
decreto Diffinitoriale dell’anno 1787, e che l’attuale Rettore Provinciale
debba a tal uopo spedire le nuove lettere convocatoriali fra lo spazio di
giorni quindici, altrimenti si daranno le provvidenze che possa spedirle il
primo Diffinitore. E che dippiù lo stesso Rettore Provinciale coi mezzi prescritti
dalle costituzioni, obblighi i Priori a soddisfare le collette fra lo spazio di
un mese, e faccia lor sentire, che se non soddisfino alle indicate collette, a
norma delle Costituzioni, resteranno privati di voce attiva e passiva nel
prossimo capitolo; e che se per di loro colpa sorgeranno nuovi intoppi alla
celebrazione del capitolo, la M. S. prenderà contro di essi i dovuti
espedienti, che possono servire di esempio alla comunità religiosa. Primo
ottobre 1806. - Il duca di Cassano. - Alla Delegazione della Real Giurisdizione
- Si partecipa tal Sovrana disposizione al P. Provinciale degli Agostiniani di
Terra di Lavoro per l’adempimento. - Vecchione. - Izzo Cancelliere. -
L’originale esiste in questa Delegazione, Leopoldo Lattanzio archiviario. [p. 245] Le
adorabili egualmente forti espressioni con cui era concepita la Reale
determinazione, dovevano chiudere la porta ad ogni altro ostacolo. Ma non fu
così. Ad onta delle replicate convocatoriali da me spedite colla inserta forma
della riportata Sovrana risoluzione, il Capitolo non si è celebrato ne in
Novembre dello scorso anno, ne in Aprile corrente. I Priori spacciano di non
poter pagare le collette, e per tal motivo ricusano di eseguire la
celebrazione. Tutto in bocca loro è povertà e miseria. Rassegnai nuova
rappresentanza allo stesso Delegato; chiesi di darsi allo Arcivescovo di
Salerno di disporre colla sua autorità in quel convento quanto era necessario
per la divisata congrega capitolare, e fin ora non ne ho veduto alcun effetto.
Clementissimo Re, l’età, e la cagionevole sanità mia non sono più adatte a
portare il peso del Provincialato: i Priori dicono di esser impossibilitati
nelle presenti circostanze a pagare le collette destinate a soddisfare gli
obblighi della carica; ed io sono giornalmente tormentato per i debiti
contratti in piazza a tal uopo. Prostrato quindi al V. R. Trono umilio
formalmente la rinunzia del Provincialato, perché la M. V. per atto di Sua
clemenza si benigni accettarla, e dare le corrispondenti disposizioni per la
effettiva elezione del successore, con incaricarlo principalmente di esiggere
pria di ogni altro le collette attrassate da’ rispettivi conventi, e
passarmele, affinchè possa io estinguere i debiti di piazza senza veruno
pregiudizio di chi caritatevolmente mi ha somministrato il danaro. E pregando
dal cielo lunga serie di felicissimi anni alla M. V. con profondo rispetto mi
segno. Di S. S. Real M., umiliss.mo e fedel.mo suddito, F. Guglielmo
Sorrentino, Ret. Prov.le Ag.no
S. Agostino Maggiore - 16 maggio 1807
_____________________________
Relazione dell’Interino Cappellano
Maggiore, Mons. Rosini, vescovo di Pozzuoli e il Delegato della Real
Giurisdizione, Vecchione.
S.R.M. Signore.
Sulle rimostranze del Rettor Provinciale della Monastica Provincia
degli Agostiniani Calzati di Terra di Lavoro, colle quali pose in veduta le
difficoltà, che sorgevano per la celebrazione del capitolo, che dovea
effettuarsi nella fine di aprile del corrente anno, V. M., uniformemente al
parere di questa Delegazione della Real Giurisdizione, con Real carta de’ 14
dello stesso mese si degnò di permettere all’anzidetto Rettor Provinciale di
poter differire la celebrazione del capitolo per altri due mesi, oltre il tempo
stabilito dalla Costituzione. Nacquero però de’ nuovi ostacoli, che, malgrado
la convocatoria spedita dal Provinciale, non permisero la celebrazione del
capitolo, giacchè vari de’ Priori, che son pur vocali, si negarono
d’intervenirvi, altri per l’avanzata stagione estiva, e pel pericolo della
mutazione dell’aria; altri perchè non erano in grado di pagare le collette de’
rispettivi conventi espressamente inculcate dalla Costituzione dell’Ordine, [p. 246] colla
minaccia della privazione della voce attiva e passiva al Priore trasgressore;
ed altri finalmente per la poco sicurezza delle strade, e per le circostanze
de’ Monasteri, che non permettevano l’allontanamento de’ Superiori. L’ostacolo
maggiore per altro sorse dalla incertezza del luogo, ove il capitolo dovea
celebrarsi, imperciocchè il convento di Salerno, destinato alla celebrazione
de’ capitoli dai decreti diffinitoriali ammessi dalla Polizia del Regno, era
ingombro dalle truppe francesi, e l’altro di Aversa dal Provinciale sostituito
per quest’oggetto, non era capace di ricevere tutto il numero de’ vocali; ed
oltre a ciò era impossibilitato a sostenere una spesa così esorbitante.
Frattanto incominciarono de’ clamori diretti a diversi scopi secondo la
passione, e gl’interessi de’ ‘Religiosi, e sopratutto de’ Padri graduati della
Provincia. Alcuni di essi imputavano il Provinciale di ambizione, d’onde facean
nascere in lui l’impegno di eternarsi nella carica. Costui all’incontro, ed i
Priori suddetti attribuivano l’impazienza de’ primi al fine indiretto di
celebrare il capitolo in tempo, in cui e per la stagione avanzata, e per
l’attrasso delle collette, sarebbero mancati la maggior parte de’ vocali,
ond’essi per conseguenza, già uniti in partito, avrebbero potuto assicurare il
risultato del Capitolo a di lor piacimento. In queste circostanze e gli uni e
gli altri hanno implorato gli uffici di questa Delegazione. Signore. A
rimuovere ogni ulteriore ostacolo e difficoltà, questa Delegazione stima
rispettosamente, che V. M., se non le piaccia di risolvere altrimenti, possa
degnarsi di rescrivere sull’assunto di essere Sovrana volontà, che il Capitolo
degli Agostiniani di Terra di Lavoro debba indispensabilmente celebrarsi nella
prima domenica del venturo mese di novembre nel convento di Salerno, a norma
del decreto diffinitoriale dell’anno 1787, e che l’attuale Rettor Provinciale debba
a tal uopo spedire le lettere convocatoriali fra lo spazio di giorni quindici,
altrimenti si daranno le provvidenze che possa spedirle il primo Diffinitore. E
che di più lo stesso Rettor Provinciale, coi mezzi prescritti dalla
Costituzione, obblighi i Priori a soddisfar le collette fra lo spazio di un
mese, e faccia loro sentire, che se non soddisfino alle indicate collette, a
norma delle Costituzioni, resteranno privi di voce attiva e passiva nel
prossimo capitolo; e che se nell’avvenire per di loro colpa sorgeranno nuovi
intoppi alla celebrazione del capitolo, la M. V. prenderà contro di essi i
dovuti espedienti, che possino servire di esempio alle comunità religiose.
Restiamo proni al Regal Solio. Di V.R.M. Napoli il dì 8 agosto 1806. Umilissimi
e fedelissimi vassalli Rosini vesc. di Pozzuoli e Giovanbattista Vecchione
__________________________
[p. 247] Relazione
del Delegato della Real Giurisdizione, Dragonetti, al Re. La cosa si concluse
con la deposizione del P. Sorrentino, comunicata dal Ministro del Culto il 25
luglio 1807, e la celebrazione del capitolo il 31 ottobre.
S.R.M. Signore.
Nel 1803, seguita la morte del Provinciale degli Agostiniani di Terra
di Lavoro P. Luigi Manzi, ch’era stato eletto nel capitolo celebrato in aprile
dell’istesso anno, a norma della Costituzione con Real Carta de’ 26 di ottobre
dell’anno medesimo, fu scelto in Rettor Provinciale il P. Guglielmo Sorrentino,
come quello, che recentemente avea ultimato il suo provincialato. Or l’obbligo
di costui era quello di permanere in carica per tutto il tempo, che restava a
disimpegnarla al defonto Provinciale, e dovea in conseguenza devenire alla
celebrazione del nuovo capitolo ad aprile del prossimo scorso anno 1806.
Priachè si avvicinasse quest’epoca, il Rettor Provinciale Sorrentino ricorse a
V. M. ed espose, che non riusciva alla Provincia di celebrare il capitolo nel
mese di aprile, perché i conventi, dispendiati per le circostanze di quel
tempo, non erano nel grado di somministrare le collette, e perchè il convento
di Salerno, ove il capitolo dovea tenersi, era continuamente ingombrato dalle
truppe di V. M., che s’incamminavano alla volta di Calabria. Gli fu dunque con
altra Real carta de’ 14 aprile dell’espressato anno 1806, accordata la
dilazione di altri due mesi, oltre il tempo stabilito dalla Costituzione.
Scorse pur questo tempo, ma quando si credeva, che il capitolo fosse per
celebrarsi, sorse un nuovo ostacolo, che il convento di Salerno non era in
istato di ricevere il numero de’ vocali, cosichè con decretazione di questa
Delegazione della Real Giurisdizione fu stabilito che il capitolo avesse luogo
nel convento di Aversa; e poichè anche in esso vi furono delle difficoltà, con
altra decretazione si rimise ad arbitrio del Rettor Provinciale Sorrentino di
celebrarlo in quel convento, che meglio fosse creduto adatto a tal uopo dal
Diffinitorio. Erasi però avanzata la stagione estiva, ed i vocali ripugnavano
di amoversi dai rispettivi conventi; e perciò vi fu bisogno di esporre tutto a
V. M. con rimostranza degli 8 agosto dello scorso anno, e la M. V. con altra
Real Carta del dì primo di ottobre dell’anno medesimo si degnò sovranamente
ordinare che il capitolo dovesse indispensabilmente celebrarsi nella prima
domenica di novembre nel convento di Salerno, a norma del decreto Diffinitoriale
dell’anno 1787, e che il Rettor Provinciale Sorrentino dovesse a tal uopo
spedire le nuove lettere convocatoriali fra lo spazio di giorni quindici, colla
minaccia altrimenti di darsi le provvidenze che potesse spedirle il primo
Diffinitore; e che di più lo stesso Rettor Provinciale coi mezzi prescritti
dalla Costituzione obbligasse i Priori a soddisfare le collette fra lo spazio
di un mese; e facesse loro sentire che se mancassero a tal soddisfazione
sarebbero stati privati della voce attiva e passiva nel capitolo provinciale; e
che nell’avvenire per di loro colpa fossero insorti nuovi intoppi alla
celebrazione, la M. V. avrebbe presi contro di loro i dovuti espedienti, che
potessero servire di esempio alle Comunità Religiose. [p. 248] Tal ordine Sovrano fu
prontamente comunicato al Rettor Provinciale Sorrentino, ma costui con
relazione de’ 19 ottobre dell’anno suddetto 1806, rappresentò a V. M. che i
Priori de’ Conventi gli aveano fatto sapere, che col fatto mancava loro il
respiro de’ quindici giorni concessi dalla M. V. alla soddisfazione delle
collette subito chè troppo tardi era giunto l’ordine Sovrano; e che inoltre la
famiglia del convento di Salerno con una istanza a lui prodotta avea esposto
che quel convento non era nello stato di accogliere prontamente i vocali al
numero di circa settanta, perchè avea sofferti dei guasti, e per la fiera che
ricorrea, differita d’ordine Sovrano, non potea prendere in affitto i letti
come per lo innanzi si era praticato; e V. M. con Real carta de’ 13 dicembre
dell’anno scorso si degnò di ordinare a questa Delegazione della Real
Giurisdizione che facesse dell’esposto l’uso conveniente, a norma della Sovrana
risoluzione sull’assunto. Così rimase l’affare, ed intanto il Capitolo non fu
celebrato nè in quell’epoca, nè ad aprile del corrente anno, in cui comodamente
potea celebrarsi. Si è osservato un perfetto silenzio non solo per parte del
Rettor Provinciale Sorrentino, che per parte della Provincia; ed io essendo
novello nella carica, e non avendo ricevuto alcun richiamo da verun Religioso
della Provincia, non son venuto a giorno che adesso di tale inosservanza del
Rettor Provinciale agli ordini della M. V. Dall’altra parte scorgo dai fatti
premessi che il Rettor Provinciale Sorrentino sia un ambizioso che ama
eternarsi nella carica da lui occupata da sei anni, e che con questo disegno
abbia fatto sorgere tutti gli ostacoli di sopra rapportati per differire la
celebrazione del Capitolo Provinciale. Per apprestare i dovuti rimedi a tanta
oscitanza, siccome la stagione avanzata di està non permette che si possa
adesso celebrare il capitolo, così non è giusto che lui seguiti ad esercitare
contro le regole del proprio istituto ed in disprezzo de’ vostri Regali ordini
la carica di Rettor Provinciale; sono perciò di sentimento, che V. M. possa
degnarsi di prescrivere che si celebri indispensabilmente il capitolo ne’
princìpi del venturo mese di Novembre; e che fra di tanto il P. Sorrentino
resti sul momento privato non solo della carica di Rettor Provinciale che della
voce attiva e passiva, coll’inibizione d’intervenire al capitolo; e passi ad
assumere le redini del governo della Provincia il primo Diffinitore, a norma
della citata Sovrana risoluzione del dì primo di ottobre dello scorso anno; il
quale primo Diffinitore sia nell’obbligo di spedir prontamente le lettere
convocatoriali, e di obbligare i Conventi alla soddisfazione delle collette,
giusta gli ordini antecedenti, e debba dar conto alla M. V., e da questa
Delegazione di aver adempito a tal incarico per tutt’i princìpi del venturo
mese di settembre, acciò non sorgano nuove difficoltà per l’epoca in cui il
Capitolo dovrà celebrarsi. Ed a fine che il Capitolo riesca regolare e
tranquillo, può la M. V. compiacersi di ordinare che vi presieda l’Arcivescovo
della stessa città di Salerno, al quale potrà farne la corrispondente
prevenzione. Il Signore Iddio conservi la M. V. per una lunga serie di
felicissimi anni. Di V.M. umilissimo e fedelissimo vassallo Giacinto
Dragonetti.
Napoli il dì 7 di luglio 1807
******************************************************
APPENDICE N. 4
STATO DELLE RENDITE REDATTO
DAGLI INCARICATI
DELLA SOPPRESSIONE DEI CONVENTI
CONVENTO DUCATI DI RENDITA (1) DI FONDIARIA (2) DI PENSIONE (3)
1. S M. del
Soccorso in
S. Giovanni a Teduccio:……………415………………………?..........................1632
2.
Marano:…………………………..398……………………..36………………...1200
3.
Ischia…………………………….2955……………………128………………….480
4.
Gragnano………………………….976……………………...?............................672
5. Aversa
…………………………..1614…………….……..471…………………1680
6.
Arienzo…………………………..1391…………………….44………...……….1200
7. Lauro (4)………………………….138………………………?............................144
8. Nola
……………………………....789…………………...204……………….….912
9.
Vairano……………………………522…………………...267….……………….384
10.
Venafro………………………….474………………………?............................576
11. Buccino
…………..……………2484……………………...?...........................1440
12.
Padula………………………..…..568…………………...149…….…………….624
13.
Diano………………………..….. 584……………………103…………………..384
14. Nocera
(Salerno)………………1590……………………229…………………..336
15.
Monitoro……………………….1240……………………191 ………….………624
16.
Candida………………………….716……………………..42…………………..384
17. Solfora (5) ………………..……1474……………....……294…………………1296
18.
Montecalvo……………….…….391………………….….14………………….. 336
19. Ariano
Irpino…………………...707…………………....103…………………...576
20. Ascoli
(Foggia) ………………..1029…………………...208……………………672
21. Napoli:la
Speranzella (6) …..…9819……………………140………………….1920
22. Napoli:
Posillipo…………..……587……………………….?.............................288
23. S. Maria di
Costantinopoli
a S. Giovanni a
Teduccio……….….664……………………….?.............................366
24.
Frattapiccola (7)………………..518……………………….?.............................144
25. Sorrento
………………………..777……………………….?……………….…..528
26. Sessa
Aurunca (8)…………….8577…………………..2686…………………..1632
27. Teverola
………………………..779……………………151………………..…..144
28.
Pietramelara……………………417………………….…202……………………..96
29.
Atripalda………………………..707…………………….141………………...….240
30. Celso
(Salerno)………………...102…………………….. 72……………………..96
31. Tempetelle
(Salerno)………….175……………………….7……………………..96
32.
Lucera………………………….870……………………..272……………………432
33.
Cerignola………………………450………….…………….?..............................384
34.
Melfi……………………………274………………………..8……………………480
35.
Andria…………………………1692……………………….?.............................1152
36.
Trani……………………………757………………………..?...............................624
37.
Risceglie……………………...1188……………………….?................................912
38.
Giovinazzo…………………..….593……………….………?................................480
39.
Bari……………………………1390……………………….?..............................1440
40.
Modugno………….……………933……………………….?................................576
41. Bitonto
………..………………1182……………………….?................................912
42.
Lecce………………………….1127………………….…493……………………..672
43.
Melpignano………….…………528…………………….118……………………..384
44.
Cursi……………………………995…………………….109……………………..240
45. Ginosa
………………………….620……………………...99……………………..480
46. Gildone (9)……………………..190……………………….?.................................624
47.
Chieti…………………………...912……………….……174……………………..816
48. S.
Valentino…………………….526………………….……?................................576
49.
Lanciano………………………1137……………………….?................................676
50. Tortoreto
………………..……1032…………………….284…………………….490
51.
Atri………….…………………..240………………………70…………………….342
52. Penne…………….……………..367……………………..110…………..………..536
53. Città S.
Angelo…………………360……………………..167………………..…..392
54.
Sulmona…………………………193………………………..?..............................144
55. Leonessa
56. L’Aquila
57. Nocera
(Catanzaro)
58. Catanzaro
59. Varano
60. Noverato
61. Feroleto
62. Torre
63. Monteleone
64. Filadelfia
65. Cosenza
66.
Bocchigliero
67. Martorano
68. Belvedere
________________________________________
(1) La rendita era costituita da terreni dati in fitto o a
mezzadria o condotti direttamente dal convento, da case e da censi.
(2) La fondiaria veniva pagata principalmente sui terreni.
Inoltre vi erano delle tasse comunali. Perciò parlando di fondiaria si
intende l’una e l’altra. Gli incaricati della soppressione non sempre seppero
indicare la fondiaria e le altre tasse per mancanza di ruoli. In questo caso
abbiamo indicato col punto interrogativo.
(3) Per pensione intendiamo la somma assegnata e
pagata dal Governo ai singoli religiosi. Qui viene indicata la somma
complessiva pagata a tutti i religiosi del convento.
(4) Le condizioni del convento di Lauro erano veramente
misere. Delle stanze solo due erano abitabili, le altre erano cadenti.
(5) Il 4 gennaio 1808 il governatore e giudice di Solofra,
alloggiato in convento, aveva chiesto al Ministro del Culto la soppressione del
convento motivandola dal fatto che i frati “vivendo lautamente sciupano una
rendita di 4.000 ducati” (vedi Min. Eccl. 1652). Gli incaricati della
soppressione invece accertano l’esistenza di solo 1474 ducati. Detta somma,
detratta la fondiaria, era insufficiente a pagare la pensione.
(6) La rendita era costituita dai beni del convento e da
quelli della Panneria comune di tutta la Congregazione. La stessa
rendita era gravata di censi passivi per cui ogni anno il convento pagava
ducati 1361. Inoltre doveva pensare alla celebrazione di oltre 1000 Messe
all’anno.
(7) Ci ha sorpreso la rendita di 518 ducati. Dai registri
di amministrazione (vedi Monasteri soppressi n. 169 e 170) ci risulta che dal
1795 veniva aiutato dai conventi più ricchi, data l’estrema miseria in cui si
trovava. Nel 1799 era stato costretto a vendere oggetti sacri per far fronte ai
creditori. Nell’appendice n. 5 riportiamo la relazione fatta dagli incaricati
della soppressione.
(8) Questo convento oltre la rendita segnata aveva un
patrimonio zootecnico non indifferente e cioè: n. 51 bufale da latte, n. 2
tori, n. 4 bufali da tiro, n. 11 giovenchi, n. 40 asseccaticci (= giovenchi da
uno a due anni), n. 6 giumente, n. 1 puledra, n. 2 muli, n. 1 asino, n. 2 paia
di buoi da lavoro.
(9) Il convento di Gildone oltre che povero di rendite,
era quasi “dirupo” a causa del terremoto del 1805.
******************************************************
APPENDICE N. 5
RELAZIONE DELLA CHIUSURA DEL
CONVENTO DI FRATTAPICCOLA IL 7 OTTOBRE
1809
(AS.N., Intendenza Borbonica, 759)
Noi ricevitore della Registratura e de’ Demani del distretto di
Casoria, di unita al Giudice di pace di questo circondario e Sindaco di detta
Comune di Frattapiccola, abbiamo soppresso il Monastero di S. Maria della Consolazione
de’ PP. Agostiniani di S. Giovanni a Carbonara, ed ivi abbiamo trovato
esistenti, cioè nella contabilità, un libro di introito ed esito ed un
bastarduolo. Nella Sagrestia gli seguenti arredi ed oggetti a servizio di
culto, cioè due pianete vecchie di diversi colori con due camici. Nella
biblioteca niente. Denari contanti niente, un solo calice d’argento col piede
di rame ed una pisside di argento. Nel magazzino niente. Mobili ed effetti che
sono all’uso de’ Religiosi, un lettino con diverse sedie ed un tavolino per
ogni stanza dei religiosi. Ed infine un locale composto di nove stanze
superiori abitabili e dieci terranee non abitabili, ed un piccolo giardinetto
del valore di circa ducati 3.000. Quali suddette robe sonosi consegnate al
sindaco di detta comune di Frattapiccola.
Il ricevitore, Basile.
Raffaele Palma, giudice di pace del circondano di S. Arpino.
Raffaele Pellino, sindaco.