da ANALECTA AUGUSTINIANA XXXIX (1976), pp. 207-252

 

RICERCHE SULLA SOPPRESSIONE DELL’ORDINE AGOSTINIANO NEL REGNO DI NAPOLI

DURANTE L’OCCUPAZIONE NAPOLEONICA

di CHERUBINO TESTA

 

[P. 209] Quando il 15 febbraio 1806 Giuseppe Napoleone, nominato da suo fratello l’Imperatore Napoleone Bonaparte re di Napoli, prese possesso del regno (1), l’Ordine Agostiniano aveva 105 conventi così divisi:

n. 22 della Provincia di TERRA DI LAVORO, conosciuta anche come Provincia di Napoli

n. 27 della Provincia di PUGLIA

n. 10. della Provincia degli ABRUZZI

n. 11 della Provincia dell’AQUILA

n. 10 della Provincia di CALABRIA CITRA (2)

n. 10 della Provincia di CALABRIA ULTRA;

n. 12 della Congregazione di S. GIOVANNI A CARBONARA, conosciuta anche come “Agostiniani Carbonaristi”.

Inoltre vi era il convento di S. AGOSTINO MAGGIORE o alla Zecca in Napoli con le due “grancie” di S. MARIA DEL SOCCORSO a S. Giovanni a Teduccio e di S. MARIA DI VALLESANA in Marano di Napoli che, con sentenza della Curia del Cappellano Maggiore del 20 luglio 1790, era stato dichiarato di Regio Patronato e con Reale dispaccio del 28 maggio 1791 era stato dichiarato indipendente sia dal Provinciale che dagli altri Superiori Monastici di Terra di Lavoro (3). [P. 210] A questi 105 vi era da aggiungere quello di Benevento che apparteneva alla Provincia di Roma (4).

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(1) Questo lavoro viene redatto con ricerche fatte nell’Archivio di Stato di Napoli. Fonti: Ministero Ecclesiastico, Ministero delle Finanze, Patrimonio Ecclesiastico, Intendenza Borbonica -fondo Culto-, Monasteri soppressi. Le altre fonti verranno espressamente citate. Si tenga presente che questo lavoro non è la storia dell’Ordine Agostiniano nel regno di Napoli in quel periodo; esso contiene solo delle ricerche che potranno servire per una storia.

(2) La provincia di Calabria Citra, a seguito del terremoto che sconvolse totalmente la regione, nel 1784 era stata soppressa per un decennio dalla Corte Borbonica, con l’assenso della S. Sede. Ripristinata, funzionava regolarmente come tutte le altre provincie monastiche. L’ultimo capitolo provinciale era stato approvato dal Ministro del Culto nell’agosto del 1806. Provinciale era stato eletto il P. Francesco Saverio Amendola.

(3) Min. Eccl. 1651. Relazione del Card. Firrao, Gran’elemosiniere del regno, che sostituiva il Cappellano Maggiore, dove leggiamo: “S.R.M. Con solenne sentenza di questa Curia del 24 luglio 1790 dichiaratosi di Regio Padronato il monistero di S. Agostino Maggiore di questa capitale insieme colle sue grancie, in seguito di rispettosa consulta di questa Curia fu con R. Dispaccio ai 28 maggio 1791 sovranamente risoluto che il monistero di S. Agostino con i conventini del Soccorso e di Marano fossero nella totale indipendenza dal Provinciale e dagli altri Superiori monastici di Terra di Lavoro del medesimo Ordine, e che il Priore eletto dalla conventualità di S. Agostino precedente real permesso e confermato dal Regal Trono, avesse governato nommeno il Monistero suddetto, che i divisati due conventini dal medesimo dipendenti. Soppresso di regal ordine il convento di S. Agostino, e ripartiti quei religiosi negli avvisati monisteri del Soccorso e di Marano, e divenuti questi per l’incremento della famiglia mere conventualità, essendo ora mancato di vita il Priore eletto in Marano, si è fatta istanza in questa Curia all’oggetto di procedersi all’elezione del successore, onde quella conventualità non fosse un corpo acefalo. Non vi ha dubbio che l’accennato convento di Marano sia di Regio Padronato, e come tale è stato ed è nella totale indipendenza dal Provinciale dell’Ordine. Veniva il medesimo regolato dal superiore del monistero di S. Agostino il quale vi destinava il Priore. Essendo ora per la soppressione del monistero suddetto passata la famiglia nel convento di Marano ed in quello del Soccorso, sembra molto regolare la dimanda fatta dalla conventualità di Marano, che per la mancanza del Priore si devenga all’elezione del successore, onde non sia quella comunità priva del suo superiore. Ciò posto, non dovendo il Regio Padronato soffrire minimo detrimento per la soppressione del monistero di S. Agostino rispetto a quelli del Soccorso e Marano, è questa Curia dell’umile sentimento che possa la M. V. degnarsi di permettere a que’ religiosi di unirsi capitolarmente, ed a norma delle Costituzioni dell’Ordine, per la scelta del proprio superiore, la quale però non debba avere la sua esecuzione pria di essere dalla M. V. approvata, e ricevere il nuovo eletto superiore le facoltà economiche e temporali, le quali unicamente dovrà ripetere dal Regal Trono. 31 marzo 1808. Card. Firrao - Carlo Rizzi.

(4) Il convento di Benevento apparteneva alla Provincia di Terra di Lavoro da cui ne fu separato nel 1788. Divenne convento dipendente dal P. Generale (vedi Atti Capitolo Generale del 1792 in Analecta Augustiniana, 13 (1929-30), pp. 166-172), e da questi affidato alla Provincia Romana.

 

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Il Governo francese si era proposto un piano di riforme da iniziare e portare avanti: la creazione di scuole ed ospedali, la dotazione di locali adatti per il buon funzionamento dei pubblici uffici, il miglioramento delle comunicazioni con la creazione di nuove strade, il reperimento di locali spaziosi per le caserme, ecc. Per attuare tutto questo vi era bisogno di locali e di molto danaro. Il re Giuseppe si rese subito conto delle difficoltà sia per il reperimento di locali che di danaro, ed il 19 marzo 1806 scriveva all’Imperatore [P. 211] che la sola risorsa possibile la vedeva nei beni dei RELIGIOSI e dei numerosi Vescovadi (5). Poichè gli Ordini Religiosi erano considerati una sovrastruttura della Chiesa, e per la loro unità di indirizzo erano ritenuti una forza contraria al nuovo stato di cose, se ne poteva fare benissimo a meno. E con questa visione di cose, la macchina delle soppressioni si mise ben presto in movimento e non si fermò più fino al ritorno dei Borboni nel regno, 1815. Con circolare del 17 maggio 1806 diretta dal Ministro del Culto a tutti gli Ordinari diocesani del Regno fu richiesto “un’inventario completo dei monasteri, conventi e conservatori dell’uno e dell’altro sesso, ... qual numero di religiosi ed oblati sostengano ed infine quale sia la rispettiva rendita di ciascun monastero, convento o conservatorio, cercando in tale appuramento quella esattezza che sia possibile” (6). Il 9 giugno 1806 un Dispaccio diretto al Delegato della Reale Giurisdizione interdice ai Superiori di ammettere i Novizi alla Professione senza il Real permesso e di vestire nuovi novizi (7). Il 2 luglio 1806 un decreto reale caccia i Gesuiti dal regno, dove erano ritornati da poco (8). Il primo decreto però che colpisce tutti gli Ordini Religiosi sia Mendicanti che Possidenti, riducendo il numero dei conventi che un Ordine aveva nella stessa città, chiudendo i conventi con meno di 12 religiosi professi e rimandando a casa i novizi, è del 14 agosto 1806 (9). “Giuseppe Napoleone, per la Grazia di Dio Re di Napoli e di Sicilia, Principe Francese, Gran elettore dell’Impero. Considerando che la soppressione avvenuta di quasi tutti gli Ordini Monastici ha richiamato in seno ai Nostri Stati un numero eccessivo di Regolari che sono a carico dei nostri popoli; Considerando che la miseria delle Parrocchie e lo scarso numero dei Parroci ed il bisogno pressantissimo della Pubblica Istruzione sì nella Capitale, che in tutte le Province del Regno esigono edifici, fondi, ed individui, cui non si può altrimenti supplire che colla soppressione di una parte delle case Religiose del Regno; [P. 212] Udito il nostro Consiglio di Stato, abbiamo decretato e decretiamo quanto siegue:

ART. 1. Tutti i Regolari stranieri di qualunque Ordine Monastico esistenti nel Regno saranno tenuti ad uscirne nel termine di giorni quindici.

ART. 2. In tutte le città e luoghi del Regno ove si troveranno più conventi di Monaci dello stesso Ordine, saranno questi riuniti in maniera da non formare all’avvenire più della metà del numero attualmente esistente.

ART. 3. I Regnicoli non Professi rientreranno nel secolo.

ART. 4. Gli individui di quei conventi ove non sono in maggior numero di dodici Monaci professi, saranno riuniti al convento più vicino dello stesso Ordine; a meno che non preferiscano di tornare nel secolo, ottenute le debite permissioni.

ART. 5. Ci riserbiamo di accordare dei soccorsi a quei conventi possidenti, i quali per la riunione ordinata dall’articolo 2 verrebbero a contenere un numero di Religiosi maggiore di quello che potrebbero sopportare le rendite del convento; questi soccorsi saranno calcolati a ragione di sei Ducati al mese per ciascun Religioso. Tal beneficio dei Ducati sei al mese, sarà applicabile ai Monaci forestieri compresi nell’art. 1 che per la loro età o altre circostanze saranno nel caso di meritare un’eccezione.

ART. 6. Tutti i Religiosi possidenti e non possidenti che dovranno lasciare le loro case per passare in altre sia della stessa città o in altro luogo del Regno, porteranno seco i mobili pertinenti al loro uso personale.

ART. 7. Tutti quei Religiosi forestieri che devono partire dal Regno in forza dell’art. 1 di questa Legge, avranno il viaggio per andare nel loro paese un aiuto di un Ducato per posta, e goderanno dello stesso beneficio dei Nazionali rispetto ai mobili personali.

Napoli, li 14 agosto 1806. Giuseppe Napoleone”.

Onde evitare ai Religiosi qualunque asportazione, sottrazione o occultamento degli oggetti contenuti nei conventi, con decreto del 26 agosto 1806 fu ordinato agli Intendenti delle Provincie civili del Regno di fare un diligente inventario di tutto ciò che si conservava nelle case religiose (10). La macchina delle soppressioni è in continuo cammino ed un nuovo decreto, emanato il 13 febbraio 1807, colpisce i Benedettini (11). Di questo Decreto riportiamo il preambolo che ci aiuta a capire i motivi delle soppressioni e l’articolo 17 perchè ci serve nel nostro studio. [P. 213] “Giuseppe Napoleone, per la grazia di Dio Re di Napoli e di Sicilia, Principe Francese, gran’Elettore dell’Impero etc. La forza delle cose obliga ogni nazione a seguire più o men lentamente il movimento impresso dallo spirito di ciascun secolo. Gli Ordini Religiosi, i quali han resi tanti servigi ne’ tempi di barbarie, son divenuti meno utili per effetto del successo medesmo delle loro istituzioni: la nostra Santa Religione, ormai gloriosa, e trionfante, non è più ridotta a sfuggire la persecuzione nella oscurità dei chiostri; gli Altari sono eretti anche nell’interno delle famiglie: il clero secolare corrisponde alla nostra fiducia, ed a quella dei nostri popoli. L’amore delle arti e delle scienze diffuso generalmente, lo spirito coloniale, commerciale e militare, han forzati tutti i Governi d’Europa a rivolgere verso questi oggetti importanti il genio, l’attività ed i mezzi delle loro nazioni; il mantenimento di forze considerabili di terra e di mare porta la necessità di grandi riforme in altre parti della economia generale dello Stato: il primo dovere de’ popoli e de’ Principi è di porsi in istato di difendersi contra le aggressioni de’ loro nemici. Considerando, nulladimeno, che dobbiamo conciliare questi principi col rispetto, da cui siam penetrati verso quei luoghi celebri, che ne’ tempi barbari raccolsero, e conservarono il fuoco sacro della religione, ed il deposito delle umane cognizioni; e verso quei Santuari cotanto rispettabili agli occhi nostri per le adorazioni più speciali de’ nostri Popoli; E volendo trattare con giustizia e benevolenza quelli tra’ nostri sudditi; che son oggi membri degli Ordini Religiosi; Udito il nostro Consiglio di Stato, abbiam’ordinato, ed ordiniamo quanto segue:

ART. 1. Gli Ordini Religiosi delle Regole di S. Bernardo e di S. Benedetto, e le loro diverse affiliazioni conosciute sotto il nome di “Cassinesi, Olivetani, Celestini, Verginiani, Certosini, Camaldolesi, Cisterciensi e Bernardoni”, sono soppressi in tutta la estensione di questo Regno. […]

ART. 17. Le case degli Ordini Mendicanti, che vorranno consagrane il tempo dei loro individui ad insegnare ai fanciulli a leggere e scrivere, ed i princìpi della Religione, ne faranno la dimanda al nostro Ministro del Culto, sulla cui proposizione stabiliremo una sovvenzione da pagarsi alle dette case dal nostro Tesoro”.

Ancora un nuovo decreto del 30 settembre 1807 colpisce tutti gli Ordini Religiosi. E’ proibito ai superiori di trasferire i religiosi [P. 214] da un convento all’altro senza il preventivo permesso del Ministro del Culto (12). Dopo aver accennato ai decreti e dispacci che colpivano tutti gli Ordini Religiosi ed i cui moventi erano ben chiari: la diminuzione dei conventi con l’incameramento dei beni da parte dello stato e la conseguente morte sia pur lenta degli Ordini stessi, passiamo a guardare le conseguenze pratiche nei riguardi dell’Ordine Agostiniano. L’articolo 3 del decreto del 14 ottobre obbligava i Superiori a rimandare a casa i Novizi. I Provinciali di Terra di Lavoro, Abruzzi e Calabria Citra si attennero scrupolosamente al decreto, mentre quello di Puglia vi contravvenne ed ammise alla professione il laico fr. Luigi Sportella da Putignano. La conseguenza fu che al momento della soppressione del 1809 il detto frate si vide negata la pensione perché il governo non ritenne valida la professione (13). L’articolo 4 della stessa legge prevedeva la chiusura dei conventi con meno di 12 religiosi professi. La disposizione non fu mandata in esecuzione o per i ricorsi presso il Ministero (14) o perchè ci si accorse che ordinariamente questi piccoli conventi erano poveri o di rendite o di locali. Se la disposizione fosse stata eseguita categoricamente, dell’Ordine si sarebbero salvati solo pochi conventi come si può vedere nell’appendice n. 1 dove riporteremo lo stato dei conventi al momento della chiusura dopo il 7 agosto 1809. Invece a seguito di particolari decreti e per i motivi più disparati dal 27 aprile 1807, quando fu chiuso quello di Campagna, al 3 luglio 1809, quando fu chiuso quello di Salerno, ne furono chiusi 14. Ho detto per i motivi più disparati. Difatti sappiamo che quello di Campagna (Salerno) fu chiuso per adibire i locali ad ospedale militare, quello di Avellino per essere trasformato in caserma, quello di Campobasso per essere demolito perchè doveva tracciarsi una nuova strada, quello di Gaeta, perchè danneggiato dai bombardamenti, fu adibito insieme alla chiesa a deposito di materiale bellico, [P. 215] quello di Barletta per diventare ospedale civile, quello di Acquaviva delle Fonti (Bari) affinchè il Prelato, occupandolo, potesse avere un’abitazione più decente al suo stato, quello di Pescara per essere adibito a deposito di sale, quello di Strongoli (Catanzaro) perchè durante la rivolta era stato devastato dai briganti ed abbandonato dai frati che non vi erano più ritornati, quello di Salerno per potervi trasferire gli uffici dell’Intendenza (15). Anche quello dell’Aquila fu adibito per gli uffici dell’Intendenza, ma la comunità fu mandata nel soppresso convento dei Celestini dove trasferì tutto quello che possedeva (16). Il 12 gennaio 1808 fu soppresso quello di S. Agostino alla Zecca (17). I religiosi ebbero l’ordine di lasciare immediatamente libero il locale e trasferirsi nei conventi degli Agostiniani Scalzi di S. Nicola da Tolentino in Napoli ed in quelli di Resina e Pimonte. Non si mossero, fecero ricorsi, chiesero di rimanere, anche senza i beni ma con un semplice sussidio, nello stesso locale. Tutto fu inutile. Il Ministro diede ordini perentori al P. Giuseppe Rosano, Provinciale di Terra di Lavoro, di dividere e collocare tutti nei diversi conventi delle provincie civili di Napoli e Terra di Lavoro, tenendo conto di collocare i vecchi ed i malati nei conventi più vicino a Napoli. Il Provinciale il giorno 25 febbraio inviò la divisione fatta facendo notare però “che detta distribuzione non si dovrebbe mandare ad effetto perchè in ciascuno dei conventi nominati o manca il locale per poter ricevere gli individui collocati o il mezzo per potersi sostentare”. Il 10 marzo il Ministro Pignatelli approva la distribuzione fatta dando ordini che venga subito eseguita, e nel frattempo il P. M. Stefano Baldassarre possa ritornare all’Aquila, di cui è figlio. Il locale fu occupato dai soldati e la chiesa fu ceduta al Parroco di S. Maria a Piazza che vi trasferì la Parrocchia.

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(5) M. MIELE in Campania sacra, vol. 4, Napoli 1973. Il lavoro a cui rimandiamo, ci sembra il più completo sulle ricerche generali delle soppressioni napoleoniche nel decennio francese (1806-1815).

(6) Min. Eccl. 1389.

(7) Min. Eccl. 1389.

(8) Il decreto citato si può leggere in: GABRIELE CUOMO, Le Leggi eversive del secolo XIX e le vicende degli ordini religiosi della Provincia di Principato Citeriore, Mercato Sanseverino 1971, pag. 22.

(9) G. CUOMO, op. cit., pag. 23 e 24.

(10) G. CUOMO, op. cit., pag. 39.

(11) L’intiero decreto si può leggere in G. CUOMO, op. cit., pag. 31 e seg.

(12) Min. Eccl. 1391.

(13) Patrimonio Eccl. 822. Alla restaurazione del convento di Giovinazzo (1821) fra i religiosi che formeranno la famiglia risulta fr. Luigi Sportella “Senza pensione”. L’ultima professione nella Congregazione era stata emessa nel 1804, mentre nelle provincie dell’Aquila e Calabria Ultra nel 1805.

(14) Il sindaco del comune di Montereale (L’Aquila) si rivolge al Ministro del Culto affinchè il convento degli Agostiniani non sia chiuso, anche se è formato da pochi religiosi. Il motivo? “perchè la chiesa è santuario del Beato Andrea molto venerato”. Dice che il comune è disposto a dare anche un sussidio di 100 ducati annui affinchè sia aumentato il numero dei frati. Il 13 ottobre 1806 il Ministro risponde che si terrà conto dei desiderata della popolazione affinchè il convento rimanga aperto. Min. Eccl. 1639.

(15) Oltre i citati furono chiusi i conventi di Vasto, Altamura, Foggia e Reggio Calabria.

(16) Minist. Eccl. 1393. - Vedi pure: R. TRINCHERI, L’Ordine di S. Agostino nell’Abruzzo Aquilano, in “Bollettino della Deputazione Abruzzese di storia patria”, serie V, a. 32, 34, vol. 3 e 5 (1941, 43).

(17) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 746. - Min. Eccl. 1650. Per alcuni documenti vedi Appendice 2.

 

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Con l’articolo 17 del Decreto del 13 febbraio 1807, i Religiosi ebbero la possibilità di dedicarsi all’insegnamento nelle scuole istituite dal governo. Non sappiamo con esattezza in quali conventi e quanti religiosi vi si dedicarono, sappiamo però che a S. Agostino alla Zecca [P. 216] i Padri Giovanni Barbati, Antonio Mastromattei e Navigio Fezio, sia dal Vicario Generale della Diocesi, Mons. Della Torre, sia dall’Intendente della Provincia, furono accettati perchè “probi ed idonei” (18); a Sorrento il P. Filippo Labonia (19); a Tempetelle (Salerno) il P. Giovanni Michele Quaranta che continuò anche dopo la soppressione del convento (20); ad Andria i Padri Riccardo Regano, Mariano Cocco e Celestino Santacroce (21); a Trani il P. Luigi Guerra (22); a Bitonto il P. Domenico Ferraro (23); ad Acquaviva delle Fonti il P. Aurelio Savoia (24).

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(18) Min. Eccl. 1649.

(19) Min. Eccl. 1644.

(20) Archivio di Salerno, fondo Intendeaza, busta 2485.

(21) Min. Eccl. 1392.

(22) Min. Eccl. 1393.

(23) Min. Eccl. 1393.

(24) Min. Eccl. 1392.

 

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La politica di intromissione nella vita interna dei conventi, già pesante al tempo dei Borboni, si aggrava sempre più con l’avvento dei Francesi, coadiuvati dai Ministri del Culto Pignatelli e Zurlo e dai Delegati della Reale Giurisdizione Vecchione e Dragonetti. E’ il Ministro a decidere se uno può ricevere i gradi scolastici, se uno può secolanizzarsi, se può essere trasferito da un convento all’altro, se può essere eletto superiore, se si possono celebrare i capitoli provinciali, ecc. Il 22 agosto 1805 si comunica al Provinciale degli Abruzzi di essere autorizzato a nominare Maestro in Teologia il P. Giuseppe Sibilio (25) e il 12 settembre la stessa autorizzazione riceve il Provinciale di Puglia per il P. Mariano Cocco (26). Il Provinciale di Calabria Citra è autorizzato a nominare Reggenti i Padri Rosario Amendola e Giuseppe Maddalena, il primo in data 9 ottobre 1805 ed il secondo l’8 febbraio 1806 e può nominare anche Baccellieri i Padri Nicola De Rosa, Nicola Raimondi e Tommaso Amendola (27). Il Provinciale di Terra di Lavoro, il 3 maggio 1806, è facoltato a spedire la patente di Maestro al P. Crescitelli (28). A sua volta il Provinciale di Puglia il 28 maggio 1806 riceve il permesso di riconoscere Baccellieri il P. Aurelio Savoia e Luigi Biondi e Lettore il P. Giuseppe Ferrara, mentre il 23 maggio 1807 è autorizzato a conferire il Magistero [P. 217] al P. Raffaele de Suricis (29). Il superiore maggiore di S. Giovanni a Carbonara il 2 dicembre 1807 è facoltato a spedire la patente di Maestro al P. Pier Luigi Delicteriis (30), cosa che può fare anche il Provinciale dell’Aquila per il P. Ignazio Gallucci giusta il mandato del 26 aprile 1808 (31).

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(25) Min. Eccl. 1388.

(26) Min. Eccl. 1389.

(27) Min. Eccl. 1388 e 1389.

(28) Min. Eccl. 1389.

(29) Min. Eccl. 1644.

(30) Min. Eccl. 1392.

(31) Min. Eccl. 1653.

 

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Nel 1808 parecchi religiosi, favoriti e spinti anche dalle promesse del governo, si decidono a lasciare l’ordine per entrare a far parte del clero diocesano. A decidere però se possono inoltrare la domanda a Roma per ottenere il relativo decreto è il Ministro del Culto. A tal fine sono autorizzati i Padri Celestino Santacroce, Basilio Pastore, Giovanni Maggi, Celestino Pedone e Vincenzo Moia della Provincia di Puglia; ed i Padri Arcangelo Lampi e Raffaello Romano della Provincia di Terra di Lavoro. Il fratello converso Giuseppe Bonnelli della Provincia dell’Aquila è autorizzato a laicizzarsi il 24 agosto 1808 (32). Il 30 settembre 1807 fu comunicata a tutti i Superiori la proibizione del passaggio di un religioso da un convento all’altro senza il permesso del Ministro. In conseguenza vediamo il Provinciale degli Abruzzi ricorrere onde poter trasferire il laico fr. Nicola Narducci a Pescara (33). Il Provinciale di Puglia, richiamato dal Governo perchè, alle rimostranze del Priore di Foggia, non aveva allontanato dal convento alcuni frati discoli, rispose che non aveva agito perchè al momento del capitolo intermedio gli era stato negato il permesso richiesto (34).

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(32) Min. Eccl. 1393.

(33) Min. Eccl. 1392.

(34) Min. Eccl. 1392.

 

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L’interferenza del governo diventa sempre più opprimente quando si tratta dell’elezione dei superiori e della celebrazione dei Capitoli, per assicurarsi che siano promossi non solo i soggetti più capaci ma quelli più fedeli al governo. Il 16 aprile 1806 viene autorizzata la celebrazione del capitolo per l’elezione del Priore di S. Agostino alla Zecca facendo notare però che a tale ufficio doveva essere scelto uno dei Padri Baccellieri [P. 218].della famiglia religiosa: il 31 maggio è approvata l’elezione del P. Guglielmo Orefice (35). Il 12 agosto 1807 è approvata l’elezione del Priore del convento di Marano nella persona del P. Bacc. Giuseppe Spinoso ritenuto “soggetto abile a sostenere con decoro del suo istituto ed utile di quella popolazione una tale carica, tanto per l’esemplanità della vita, quanto per le ottime sue qualità” (36). Nel capitolo della Provincia di Terra di Lavoro del 1807 fu eletto Priore di Ascoli il P. Dionisio Crisci. Nell’approvazione degli atti capitolari non fu approvata la scelta fatta dal Provinciale perchè il P. Crisci fu accusato dal P. Fulgenzio Flumeri di essere un uomo “ignorante e apostata dall’Ordine”. Il Delegato della Reale Giurisdizione fece un’inchiesta accurata e scrupolosa per rendersi conto della verità dei fatti. Quando si convinse che le accuse erano insussistenti e frutto di invidia e gelosia, diede il parere favorevole affinchè il Crisci potesse essere immesso nell’ufficio (37). Nel febbraio 1809 il Priore di Sessa Aurunca, P. Eustachio Lucarelli, rinunziò all’ufficio e fu sostituito dal P. Salvatore de Felice. Il Ministro personalmente volle indagare sui motivi della rinunzia e sulla condotta morale e civile del nuovo eletto dai superiori (38). Quando nel maggio 1809 il P. Giuseppe Pezzella rinunziò al Priorato del convento del Soccorso, il Ministro scrisse al Vicario Generale della diocesi di Napoli chiedendo una dettagliata e precisa relazione per rendersi conto se i motivi addotti per la ninunzia corrispondevano alla verità dei fatti. Quando la risposta fu data, si era alla vigilia della soppressione (39). Per quanto riguarda poi la celebrazione dei capitoli provinciali, più d’una volta il Ministro interferì facendoli presiedere da persone di sua fiducia, di regola un Arcivescovo di sua fiducia. Il metodo venne dettato da motivi piuttosto gravi: ricorsi di frati contro frati o contro superiori; ricorsi di laici o Vescovi contro singoli frati o contro intiere comunità, ecc. I fatti che esponiamo ce lo mostrano chiaramente. Il 10 marzo 1806 fu nominato a presiedere il capitolo della Provincia dell’Aquila, “quale messo domenico” l’Arcivescovo della stessa città. Trovandosi questi in Napoli e non rientrato in sede, il 2 luglio, con lo stesso titolo, fu nominato il Caporuota della Curia. I motivi dell’intervento vanno ricercati in un ricorso presentato da alcuni religiosi affinchè non avessero partecipato ai lavori del capitolo [P. 219] i religiosi che non erano nativi del luogo e, segnatamente, i siciliani. Inoltre con altra richiesta presentata dal P. Giuseppe Rosei, quale procuratore della Provincia, era stato chiesto espressamente un presidente estraneo all’Ordine (40). Nello stesso anno 1806, a presiedere il capitolo della Provincia di Puglia fu destinato Mons. de Gemmis, vescovo di Listri e Prelato di Altamura. A questa decisione si era arrivati a causa di alcuni inconvenienti piuttosto gravi verificatisi in Provincia. Nel capitolo intermedio del 1804 era stato eletto Vicario Priore del convento di Giovinazzo il P. Bacc. Nicola Marasco. La comunità non lo ricevette e fece in modo che il vecchio Vescovo gli negasse le facoltà spirituali. Il P. Marasco per non rimanere in mezzo alla strada fu costretto a chiedere ospitalità alla comunità di Trani. Il Provinciale fece ricorso contro i religiosi di Giovinazzo e contro il Vescovo. Il Ministro del Culto affidò all’Arcivescovo di Trani di venire a conoscenza dei fatti e riferire. Questi in una prima relazione fece notare che il P. Marasco realmente non era adatto per superiore in una casa di Noviziato perchè dedito al giuoco del lotto, ma che non gli sembravano vere le altre accuse fatte come “ignorante, ambizioso, apostata dall’Ordine, ecc.”; deplorava la condotta tenuta dai religiosi e la troppa credulità del Vicario della Diocesi, concludendo però col chiedere la rimozione di tutti i frati dal convento ad eccezione del P. Maestro Zaccaria Donnanno “ritenuto da tutti per un buon religioso dedito completamente al suo dovere”. In una seconda relazione conferma il suo giudizio sul P. Zaccaria e aggiunge che anche il Maestro dei Novizi, P. Emmanuele Orlando, merita rispetto “per le sue doti e buone qualità”. Scusa il P. M. Andrea Casaburi dicendo che risponde a verità che è tutto dedito alla caccia, ma lo fa “perchè è ammalato e una tale distrazione è richiesta dalle sue condizioni fisiche”. Cerca di scusare anche il P. Luigi Donnanno, mentre formula delle accuse contro il P. Giancarlo de Mussi definendolo “uomo che non dà nessuno affidamento e lascia parlare male di se”. Formula accuse gravi invece e ne richiede la immediata rimozione contro il laico fr. Domenico Siciliano “il vero scandalo del convento perchè ubriacone e per aver messo incinta per due volte una ragazza” (41). [P. 220] L’altro scandalo era avvenuto a Massafra il 1805 dove un certo Giuseppe Rosario Nigro aveva accusato il P. Michele Ferulli di vita scandalosa. Il Ministro, dopo aver conosciuta la verità dei fatti per mezzo della Polizia, aveva ordinato, minacciando di castighi il Provinciale, che il P. Ferulli venisse immediatamente trasferito in un convento almeno 20 miglia lontano da Massafra (42). Nel 1807 fu destinato a presiedere il capitolo della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara Mons. Camillo Cattaneo, Arcivescovo di Acerenza e Matera, che era nipote dei defunti religiosi P. Ferdinando e Mons. Emmanuele Pignone del Carretto. Anche qui i motivi vi erano. Nel 1805 vi era stato un’inchiesta sulla condotta politica tenuta dal P. Giacomo Magdonato nel tempo in cui era stato Priore di Tempetelle. La cosa era finita con l’essere privato della voce attiva e passiva (43). Nello stesso anno 1805 il P. Casimiro Pitocco, ex superiore maggiore della stessa Congregazione aveva fatto ricorso alla Corte esponendo alcuni disordini sorti nella sua comunità della Speranzella, disordini causati dall’attuale superiore maggiore, P. Vincenzo Brencola, per non saper tenere a freno i Padri Tommaso ed Antonio Muscella ed altri giovani che disturbavano la pace. Aveva inoltre accusato il P. Antonio Muscella di averlo minacciato della vita. Il delegato della Regia Giurisprudenza, Vecchione, dopo un’accurata inchiesta, il 31 agosto aveva fatto una relazione al Re dicendo che realmente i due fratelli Muscella erano elementi intriganti e che si erano mostrati ingrati verso il P. Pitocco che li aveva ricevuti nella Congregazione e che il superiore maggiore usava delle parzialità (44). In conseguenza di ciò il Ministro del culto l’11 settembre 1805, aveva scritto: “Al Preside Vecchione. - Avendo fatto sapere al Re quanto V. S. Ill.ma ha riferito sugli esposti vari disordini surti nella Congregazione di S. G. a Carbonara, S. M. uniformemente al di Lei parere, ha risoluto e vuole che al Superiore Maggiore di essa Congregazione sia vietato di far da se solo qualunque deliberazione senza il consenso del Diffinitorio o del maggior numero di essi. Beninteso, che non trovandosi tutti i Diffinitori in Napoli [P. 221] debba in assenza di costoro intervenire il P. Diffinitore in defectu, che attualmente è il P. Giacomo Gentile e seguentemente ad supplendum numerum il Padre più graduato dell’intera Congregazione. Che la Congregazione intermedia da tenersi nel venturo novembre non si debba convocare a Sessa, dove i vecchi sarebbero impediti d’intervenire, ma bensì nel monastero della Speranzella in Napoli; e finalmente in quanto ai Padri Tommaso ed Antonio Muscella avendo il Re trovato poco plausibile la loro condotta per lo spirito di partito sostenuto in pregiudizio dei religiosi più vecchi e per l’ingratitudine usata al P. Pitocco, ha risoluto e comanda che V. S. Ill.ma si chiami esso P. Pitocco ed i suddetti Muscella ed insinui loro i doveri di pacifici, grati ed esemplari religiosi, e di usare le parti di scusa e di subordinazione verso del P. Pitocco, onde ritorni in essa Congregazione l’antica pace fraterna, senza dar luogo ad ulteriori querele” (45). Inoltre un mese prima della celebrazione del capitolo, ad aprile, il definitorio aveva chiesto che venisse differito di sei mesi con la scusa che “i Priori non avevano il danaro sufficiente per il viaggio e le altre spese inerenti al capitolo stesso”. Il Ministro non riconoscendo giusto il motivo, obbligò che senz’altro si celebrasse nel mese di giugno, come realmente fu fatto. Fu approvato dal Ministro in data 20 giugno, dopo che Mons. Cattaneo aveva fatto la seguente relazione: “S.R.M. Signore. Si è degnata V. M. destinarmi ad intervenire qual Messo Domenico nel Capitolo de’ PP. Agostiniani della Congregazione di S. Giovanni a Carbonara, il che con altra carta del dì 5 del corrente giugno mi si è partecipato e nel tempo stesso mi ha imposto ch’esamini prima il locale del convento della Speranzella se sia capace di contenere i vocali e non trovandolo adatto a contenerli, riferisca subito. In adempimento de’ sovrani ordini fo presente alla M. V. che avendo prima osservato il locale del convento della Speranzella, l’ho trovato capace di contenere i vocali. Di ciò è rimasto ben persuaso anche il Superiore Maggiore della Congregazione che avea chiesto di convocare il capitolo nel convento di S. Agostino di Sessa; e quindi col consenso di tutti i Padri della Congregazione medesima si è convocato il capitolo per celebrarsi nel suddetto convento della Speranzella. [P. 222] Si sono in seguito nel medesimo convento capitolarmente e nelle forme prescritte dalle Costituzioni dell’Ordine congregati tutti i vocali, e in tre successive sessioni sempre col mio intervento si è celebrato il capitolo con tutto il buon ordine, tranquillità, ed a norme non meno delle Costituzioni dell’Ordine che della Polizia del Regno. La elezione del Superiore Maggiore è seguita colla pienezza de’ suffragi nella persona del P. Bacc. fr. Giuseppe Maria Gentile, soggetto degno, e maggiore di ogni eccezione per la dottrina, integrità morale e religiosa osservanza. Le altre elezioni sono seguite o colla maggioranza, o colla pienezza dei voti. Ed ho ravvisato che nell’elezioni medesime fuori lo spirito di partito, e ogni umano riguardo, non si è avuto altro scopo che di premiare il merito, e di sostenere la disciplina monastica per lo miglior servizio della Chiesa e dello Stato. Onde potrà degnarsi la M. V. impartire a tal capitolo la sovrana approvazione e conferma, prevenendola che gli atti capitolari si son da Religiosi presentati secondo il solito alla Delegazione della V. Reale Giurisdizione. Il Signore Iddio lungamente conservi e sempre prosperi la V. R. Persona. Di V.M. - Napoli 17 giugno 1807. Umilissimo e devotissimo suddito Camillo Arc. di Acerenza e Matera” (46). Nello stesso anno 1807, a presiedere il capitolo della Provincia di Terra di Lavoro fu nominato l’Arcivescovo di Salerno, Mons. Fortunato Pinto. Anche qui l’occasione fu data dai fatti che esponiamo. Nel capitolo intermedio del 1804 era stata presa la decisione di trasferire il Noviziato da Solofra a Nola. La comunità di Solofra aveva fatto ricorso ed il Ministro aveva dovuto intervenire approvando quanto stabilito dal capitolo e minacciando i frati di Solofra di castigo, qualora non avessero smesso di fare altri ricorsi (47). L’11 ottobre 1805 il P. Giuseppe Celentano aveva fatto ricorso contro il Provinciale per gravi inosservanze e disordini sorti nel convento di Venafro. Il Provinciale, dal Delegato della Reale Giurisdizione, [P. 223] era stato obbligato a trasferire immediatamente in altri conventi i Padri Nicola Ianniello e Filippo Lanna (48). Il capitolo avrebbe dovuto celebrarsi ad aprile del 1806, ma per difficoltà sorte non fu possibile, come pure non fu possibile celebrarlo a novembre. Nel frattempo ci furono alcuni ricorsi accusando il Provinciale di volersi eternare nella carica. Il 7 luglio 1807 il Presidente della R. Giurisdizione con una relazione al Re propose la deposizione immediata del Provinciale e la nomina di Mons. Pinto a presidente del Capitolo da celebrarsi a novembre nel convento di Salerno. Il ministro aderì a tutte le proposte fatte e diede ordini al riguardo in data 18 luglio (49). Vedere per tutta la faccenda appendice 3. Il capitolo radunato il 31 ottobre fu approvato il 25 novembre (50), dopo che Mons. Pinto aveva fatto la sua relazione e fra l’altro aveva detto: “Posso assicurare V. M. di essere riuscito tutto con la massima tranquillità ed armonia e senza la minima contradizione” (51). Nel mese di giugno 1809, a Città Ducale, fu celebrato il capitolo della Provincia dell’Aquila. Prima dell’approvazione il Ministro del Culto fece prendere dettagliate informazioni dei singoli religiosi per mezzo del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, Giuseppe Raffaelli. Questi in data 1 agosto in riscontro faceva notare che “i Padri Angelo Setola, Andrea Baiocco e Luigi Civarroni sono caratterizzati per persone intriganti, di poca buona morale, di dubbio attaccamento al governo e che non godono la pubblica opinione, mentre poi sono stati lasciati da parte P. Maestro Gallucci, P. Innocenzi e P. Reggente Giudice”. Quando la risposta arrivò sul tavolo del Ministro, non fu presa [P. 224] nessuna decisione perchè si era alla vigilia della totale soppressione. Difatti il Ministro annotò “si conservi” (52). A maggio 1809 avrebbe dovuto celebrarsi anche il capitolo della Calabria Ultra “autorizzato dal Re il 15-10-1808, ma all’invito del provinciale P. Agostino Florino che risiedeva nel convento di Catanzaro, i monaci tutti risposero di non poter pagare le spese di viaggio e di non volersi esporre a pericoli. Sicchè il Ministro del Culto, il 21-6-1809 accordò al provinciale medesimo la proroga della carica per un anno anzichè per tre come aveva domandato il procuratore P. Gaetano Sica” (53).

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(35) Min. Eccl. 1389.

(36) Min. Eccl. 1646.

(37) Min. Eccl. 1649.

(38) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 751.

(39) Min. Eccl. 1672.

(40) Min. Eccl. 1638.

(41) Min. Eccl. 1637, 1389 dove a foglio 57, il 9 aprile 1806 il Ministro impone che “nel prossimo capitolo provinciale, da celebrarsi in Acquaviva, si destini al convento di Giovinazzo per Priore un Padre graduato di esemplarità e dottrina, che possa mantenere l’osservanza in quella religiosa famiglia, senza menomo pregiudizio al P. Nicola Marasco, potendo il nuovo Diffinitorio (se lo crede giusto) destinarlo superiore in altro chiostro dove non vi sia noviziato ... Che lo stesso capitolo faccia subito sloggiare da Giovinazzo il laico fr. Domenico Siciliano e disponga nelle forme della Costituzione il processo regolare per li misfatti da quello commessi ... è altresì volontà di S. A. R. che il Vescovo di Gioviaazzo si ponga d’accordo col Provinciale affinchè i religiosi del monistero di Gioviaazzo siano osservanti e servano di esempio a quella popolazione”. Il provinciale eletto, P. Innocenzo Briganti, nominò priore di Giovinazzo il P. Maestro Zaccaria Doananno.

(42) Min. Eccl. 1388.

(43) Min. Eccl. 1387.

(44) Min. Eccl. 1632.

(45) Min. Eccl. 1645, 1632.

(46) Min. Eccl. 1645, dove nella relazione fatta al Re dal Delegato della Regia Giurisdizione, Giacinto Dragonetti, leggiamo: “di essersi fatti altresì de’ vari provvedimenti tendenti all’economia dei monasteri ed al soccorso di taluni più bisognosi colle sovvenzioni degli altri che sono in migliore fortuna”.

(47) Min. Eccl. 1387.

(48) Min. Eccl. 1633, 1634.

(49) Min. Eccl. 1391.

(50) Min. Eccl. 1392, dove leggiamo: “Al Delegato della Giurisdizione. Rescrivo a V. S. Ill.ma in vista della sua consulta de’ 16 del corrente mese di novembre che si lascino correre gli atti del capitolo provinciale e successivo diffinitorio celebrato dalla Monastica Provincia degli Agostiniani Calzati di Terra di Lavoro ai 31 del p. p. ottobre nel convento di Salerno, accordandosi a tal oggetto le facoltà economiche e temporali a norma del reale editto, nommeno al nuovo eletto provinciale P. Maestro fr. Giuseppe Rosano, che ai Diffinitori, ai Priori, ed agli altri ufficiali che abbiano i requisiti prescritti dalle Costituzioni dell’Ordine e dalla Polizia del Regno, con ripetere le facoltà spirituali dai rispettivi Ordinari diocesani; ben inteso che riguardo all’elezione del Priore del convento di Ascoli di Puglia, seguita in persona del P. fr. Dionisio Crisci si riserba S. M. le sovrane provvidenze in seguito a nuova consulta di codesta Delegazione della R. Giurisprudenza, come si riserba pure di risolvere il conveniente sull’articolo riguardante il passaggio de’ Religiosi in altri conventi ed altri ufficiali, e l’essersi destinato il convento di Buccino per casa di studio”.

(51) Min. Eccl. 1648.

(52) Min. Eccl. 1671.

(53) UMBERTO CALDORA, Calabria Napoleonica, Fausto Fiorentino editore, Napoli, pag. 124.

 

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Dopo i tanti interventi contro la vita degli Ordini religiosi, dopo le continue richieste per conoscere i dati numerici dei conventi e dei religiosi, e le condizioni economiche, certamente non colse di sorpresa quasi nessuno la soppressione totale degli Ordini possidenti proclamata dal re Gioacchino Murat il 7 agosto 1809. “Gioacchino Napoleone, Re delle Due Sicilie. Napoli 7 agosto 1809. Considerando che i motivi che determinarono il nostro augusto Predecessore a sopprimere alcuni Ordini Religiosi colla legge del 13 di febbraio 1807, hanno tuttavia luogo per le istituzioni religiose ancora esistenti; Considerando che la soppressione degli ordini possidenti che esistono ancora, è imperiosamente richiesta dalle circostanze, e che debba farsi non solo senza danno degl’individui che gli compongono, ma anzi con migliorare per quanto è possibile la loro sorte, accordando loro quelle mansioni che permettono i bisogni dello stato e la quantità dei beni che al medesimo vengono ad incorporarsi; Visto il rapporto del Gran Giudice nostro Ministro della Giustizia e del Culto, e del nostro Ministro delle Finanze: Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:

ART. 1. Sono soppressi in tutto il Regno i seguenti Ordini Religiosi: Domenicani, comprese le loro riforme, cioè Gavoti, e della Sanità - Minori Conventuali - Terzo Ordine di S. Francesco - Paolotti, o Minimi di S. Francesco - Carmelitani calzati - Carmelitani scalzi - Frati del Beato Pietro da Pisa, detti Bottizelli - Serviti - S. Giovanni di Dio - Trinitarj della mercede, Spagnuoli e Italiani - Agostiniani calzati - Agostiniani scalzi - Di S. Spirito, o sia Silvestrini - Basiliani - Teatini - Chierici minori regolari  - Crociferi - [P. 225] Chierici della Madre di Dio - Barnabiti - Somaschi -Rocchettini, cioè Lateranensi, e del Salvatore.

ART. 2. Tutte le proprietà appartenenti a detti Ordini sono riunite al Demanio dello Stato. I creditori su queste proprietà diverranno creditori dello Stato ed avranno diritto al pagamento a norma dei regolamenti generali.

ART. 3. I Frati Spedalieri di S. Giovanni di Dio continueranno a vivere in unione nelle case che attualmente occupano, per essere impiegati secondo il loro instituto. Conserveranno a quest’oggetto tutto ciò che esiste nelle loro case e chiese, e godranno delle pensioni qui appresso fissate.

ART. 4. La disposizione dell’art. precedente è applicabile ai Religiosi Scolopj fino alla organizzazione dell’istruzione pubblica.

ART. 5. I religiosi degli Ordini compresi nell’art. 1, per tutto il dì 15 d’ottobre prossimo, usciranno dai monisteri, e deporranno l’abito dell’Ordine, salve le eccezioni contenute negli articc. 3 e 4. I Sacerdoti e gli altri ordinati in sacris vestiranno l’abito dei preti, formeranno parte del clero secolare, e potranno concorrere alle porzioni laiche, ai beneficj ed a qualunque carica ecclesiastica.

ART. 6. I religiosi soppressi col presente Decreto, conserveranno i mobili ed effetti di loro proprietà o uso personale. I mobili appartenenti alla comunità saranno divisi ugualmente fra i religiosi, senza distinzione di sacerdote, o laico. Sorgendo discordia nella divisione, essa sarà fatta da due periti destinati dalle autorità incaricate della soppressione. Non sono compresi in questa disposizione i metalli, le cose preziose, i quadri, le biblioteche, gli archivi e simili oggetti di arte o di museo, gli arredi sacri, le macchine, i vasi ed altri utensili esistenti nelle spezierie, cantine, trappeti e simili.

ART. 7. I religiosi ordinati in sacris godranno di una pensione di annui D. 96: i laici di annui D. 48. Queste pensioni saranno pagate senza niuna deduzione sotto qualunque titolo; di quadrimestre in quadrimestre.

ART. 8. I Religiosi precedentemente soppressi seguiranno a riscuotere gli antichi assegnamenti, ma colla deduzione del quinto, a cui corrisponderebbe la contribuzione fondiaria.

ART. 9. Nel caso che alcuni Religiosi siano ammessi a partecipare nelle loro chiese, o riceveranno altro beneficio ecclesiastico, avranno luogo le disposizioni dei decreti del 28 settembre 1807 e 5 febbraio 1808, relativamente alle pensioni.

ART. 10. Il primo trimestre della pensione sarà pagato ai Religiosi al momento che usciranno dal monistero, e comincerà a correre dal primo del prossimo ottobre. Dal primo di gennaio venturo le pensioni saranno loro pagate dalla cassa delle rendite; [P. 226] ma il Ministro delle Finanze darà le disposizioni perché i pensionisti siano soddisfatti nelle province ove avranno il loro domicilio.

ART. 11. I fondi necessarj per lo pagamento delle dette pensioni saranno versati nella cassa delle rendite sul prodotto dei reali demanj, di cui i beni dei monisteri soppressi debbono far parte.

ART. 12. Il pagamento non sarà soggetto ad altra formalità, che all’esibizione del certificato di pensione che il Ministro delle Finanze farà spedire a norma dei regolamenti generali, ed alla presentazione del certificato di vita, in dorso del quale sarà fatta la quietanza. Questi certificati saranno esenti da bollo e da registro. Il registro verrà accordato gratis sotto la sola responsabilità del sindaco del domicilio del pensionista.

ART. 13. Il pensionista che cangerà domicilio, è tenuto di farne pervenire la dichiarazione al Ministro delle Finanze, per mezzo dell’Intendente della provincia del nuovo domicilio due mesi prima della scadenza del quadrimestre corrente. Il Ministro delle Finanze darà ordini per lo pagamento nel nuovo domicilio nei termini dell’art. 10.

ART. 14. In caso di morte del pensionista, il sindaco ne preverrà il ricevitore incaricato del pagamento, il quale lo casserà dallo stato delle pensioni, e ne renderà conto al Ministro delle Finanze.

ART. 15. La soppressione sarà eseguita sotto gli ordini e la vigilanza degli Intendenti. Ciascuno di loro nel giorno che riceverà il presente decreto, farà formare lo stato delle corporazioni religiose della provincia che dovranno essere soppresse; e chiamerà presso di sé il presidente del tribunale di prima istanza, il regio procuratore presso il medesimo ed il direttore dei Demanj, affine di regolare di concerto con loro le misure da prendere per le diverse soppressioni.

ART. 16. Dopo aver preso l’avviso dei nominati funzionarj, l’Intendente affiderà l’incarico della soppressione a persona di sua fiducia. Queste si potranno scegliere tra le autorità civili del luogo, e tra i membri del Consiglio Provinciale o distrettuale, e del decurionato. Gl’Incaricati di ogni soppressione dovranno essere al numero di tre, uno dei quali sarà, per quanto sia possibile, un agente dei demanj. Il sindaco, ed in caso di impedimento, un eletto sarà chiamato per assistere alla soppressione; e firmerà tutti gl’inventarj, processi verbali ed altri atti che occorreranno. Gli stessi incaricati potranno procedere alla soppressione di più monasteri; nel solo caso però che siano situati nella stessa Comune, o quando l’Intendente crederà che non possa risultare né ritardo nelle operazioni, né inconvenienti per gli interessi del Governo.

ART. 17. Gl’Incaricati si trasferiranno sopra luogo; si faranno esibire tutte le scritture e titoli, sia di crediti, sia di obblighi e [P. 227] di pesi, i registri e i conti di amministrazione; gli riuniranno in luogo sicuro; e gli chiuderanno sotto suggello. Faranno lo stesso pel denaro contante e le derrate esistenti nei monasteri, e pei mobili di argento ed altri effetti preziosi; e metteranno anche i suggelli sulle porte dei luoghi, ove sono rinchiuse le biblioteche, i quadri ed altri oggetti riserbati allo Stato, lasciando liberi gli appartamenti occupati dai religiosi.

ART. 18. Il giorno appresso faranno lo stato dei religiosi di ciascun monastero, col loro nome, età, patria, stato nella religione, epoca della loro professione, e luogo ove dichiareranno di voler fissare la loro residenza dopo l’uscita dal monistero. Sulle basi di questo stato essi preleveranno del denaro contante e delle derrate trovate nei monisteri, e rimetteranno ai membri della corporazione soppressa una quantità sufficiente a farli continuare a vivere in comunità fino al 10 del prossimo ottobre. Questa non potrà essere maggiore del doppio della pensione fissata nell’art. 7 del presente decreto.

ART. 19. Gl’incaricati procederanno in seguito alla levata dei suggelli, e faranno di tutti gli oggetti esistenti nel monistero sette inventarj dettagliati e distinti, cioè: 1. Di tutti i titoli, scritture, libri di conti ed altre carte relative alle proprietà e rendite ed agli obblighi e pesi del monistero; 2. Degli arredi ed oggetti del servizio del culto; 3. Dei libri, quadri ed oggetti di scienze ed arti; 4. Del denaro contante, degli utensili di argento, di altri oggetti preziosi, e di tutti i mobili riserbati allo Stato; 5. Delle derrate di ogni specie riserbate allo Stato dopo la prelevazione ordinata nell’art. precedente; 6. Dei mobili ed effetti che servono all’uso dei religiosi, e che debbono essere loro lasciati in proprietà; 7. Dei locali con una esatta descrizione. Ciascuno di questi inventarj conterrà la valutazione approssimativa degli oggetti che vi sono compresi.

ART. 20. Tutti i libri, registri e conti di amministrazione saranno chiusi e vistati dagli incaricati colle loro firme. Sopra questi documenti, e su i titoli di cui i commisarj avranno fatto inventario, e sulle dichiarazioni dei superiori e procuratori dei monisteri, essi formeranno due stati separati di tutto ciò che compone la proprietà dei monisteri. Il primo conterrà tutti gli immobili coll’indicazione del luogo della loro situazione, della loro estensione, del nome dell’affittatore, se ve ne sia, e della fine dell’affitto, del loro prodotto, dell’epoca in cui i prodotti saranno percepiti, della contribuzione fondiaria e di tutti gli altri pesi intrinseci. Il secondo stato indicherà tutti i crediti, censi ed altri diritti, coll’indicazione del nome e del domicilio del debitore o reddenti, della situazione della proprietà gravata o ipotecata a profitto del monistero, della natura del credito o diritto, del capitale, del prodotto annuo, dell’epoca della prestazione [P. 228] e del termine del pagamento del capitale, ove debba seguirne la restituzione. Questi due stati saranno formati, per quanto sarà possibile, su i modelli di quelli che l’amministrazione dei demanj ha fatto formare per la descrizione dei beni dipendenti della medesima.

ART. 21. Dell’inventario tanto dei mobili quanto degl’immobili, egualmente che dello stato dei religiosi saranno fatte tre copie firmate dagl’incaricati; una per essere depositata all’Intendenza; una per restare presso il direttore dei demanj della provincia, la terza per essere inviata da lui all’amministrazione, la quale ne farà pervenire una copia al Ministro delle Finanze. L’Intendente invierà al Ministro del Culto ed a quello dell’Interno l’estratto di quest’inventario, per loro indicare il numero e la natura dei locali; per far conoscere al primo gli arredi ed oggetti del Culto; ed all’altro i libri, quadri ed oggetti di scienze ed arti. Egli invierà nello stesso tempo al Ministro del Culto lo stato dei Religiosi.

ART. 22. Gli arredi ed effetti destinati al Culto, del pari che le biblioteche, quadri ed altri oggetti di scienze ed arti, e tutti gli altri mobili riserbati allo stato, che si lasceranno nei monisteri, egualmente che i locali dei monisteri medesimi saranno messi dagli incaricati sotto la custodia del sindaco e di uno dei principali proprietarj del luogo, i quali ne rimarranno responsabili fino a che il Governo non ne abbia disposto. Niuno potrà ricusarsi di questa sorveglianza. Gl’incaricati subitoché avranno terminato la loro operazione, rimetteranno tutte le carte, scritture, documenti e registri di contabilità ai direttori dei demanj, esigendone ricevuta che resterà unita all’inventario.

ART. 23. Il denaro che resterà disponibile dopo la prelevazione ordinata dall’art. 18, sarà versato nella cassa del ricevitore dei demani del luogo. Le derrate che rimarranno egualmente disponibili, del pari che i mobili riservati allo Stato, tranne gli oggetti preziosi, gli effetti del Culto e delle arti e scienze, saranno venduti all’incanto colle regole stabilite, ed il prodotto sarà versato nella cassa del ricevitore dei demanj.

ART. 24. Gli argenti e tutti gli altri oggetti preziosi saranno inviati all’Intendente, il quale gli spedirà in Napoli al Governatore del Banco di Corte, con uno stato che contenga l’indicazione della loro natura, del peso e del valore, facendo pervenire nel tempo stesso il doppio di questo stato al Ministro delle Finanze.

ART. 25. Il direttore dei demanj in ricevere gli stati degl’immobili, dei crediti e diritti di ciascun monistero soppresso, ne invierà un estratto da lui certificato ai rispettivi ricevitori, con ordine di prendere immediatamente possesso degli oggetti che vi sono descritti.

ART. 26. Il ricevitore prenderà egualmente possesso di qualunque [P. 229] altra proprietà o credito esistente nel suo circondario, ed appartenente ad un monistero soppresso, quantunque non si trovasse descritto nell’estratto rimessogli dal direttore. A questo oggetto egli si concerterà col sindaco del Comune, il quale visterà tutti gli atti, per dinotare che non vi sia alcuna opposizione alla pretensione del ricevitore. Ne darà contemporaneamente avviso al direttore.

ART. 27. Le raccolte pendenti nei beni dei quali i ricevitori prenderanno possesso, saranno vendute all’incanto colle formalità prescritte dalla legge e regolamenti.

ART. 28. Se dopo la pubblicazione del presente decreto un ricevitore avesse notizia che esistono nel suo circondario delle raccolte appartenenti ad una corporazione soppressa, e che fossero esposte a deteriorare, anche prima di ricevere l’ordine di prenderne possesso, egli chiederà al giudice di pace del luogo l’autorizzazione di farle vendere all’incanto. Il giudice non potrà negarla.

ART. 29. I superiori e procunatori dei monisteri soppressi che avranno nascosto o lasciato sottrarre qualche porzione delle proprietà devolute allo Stato, saranno privati di ogni pensione. I mobili e gli effetti lasciati ai religiosi diverranno loro proprietà, tostoché l’Intendente, dietro l’avviso del direttore dei demanj, ne avrà approvato lo stato.

ART. 30. Ogni quietanza o ricevuta di pagamento fatta per anticipazione ai religiosi dai loro coloni, locatarj, o reddenti dei beni riuniti allo Stato, è dichiarata nulla.

ART. 31. I Ministri dell’Interno e del Culto ci presenteranno di accordo lo stato dei locali dei monisteri soppressi. Sul loro rapporto e sulle proposte degli altri Ministri, noi fisseremo la destinazione di questi locali, secondo i bisogni dei dipartimenti rispettivi. Il Ministro dell’interno ci proporrà la destinazione delle biblioteche ed altri oggetti delle arti e scienze ed il Ministro del culto quella degli arredi sacri ed altri effetti del culto, onde destinargli alle chiese che ne hanno bisogno.

ART. 32. Il Ministro del culto darà gli ordini perché, pendente la soppressione e dopo la medesima, i Santuarj di speciale venerazione del popolo, e le chiese coadiutrici delle Cure non restino mai chiuse, e vi si seguano ad esercitare tutte le solite sacre funzioni.

ART. 33. I nostri Ministri, ciascuno per la parte che gli compete, sono incaricati della esecuzione del presente decreto. F.to Gioacchino Napoleone”.

Il decreto reale che sconvolse la vita religiosa ed economica nel regno, “per intoppi, di cui non è dato conoscere la natura, [P. 230] fecero sì che fosse reso noto ufficialmente solo circa un mese dopo, e ciò mentre tutti ne conoscevano i dettagli, forse anche prima della firma del re” (55). Gli incaricati a norma del decreto si misero in movimento e si fermarono solo a lavoro ultimato. Il giorno 10 settembre cominciarono le operazioni nel convento della Speranzella (56), ed il giorno dopo, 11 settembre, nei due conventi di S. Giovanni a Teduccio (57). A questo punto sorge spontanea la domanda: quanti erano i religiosi Agostiniani che furono costretti a dimettere l’abito? erano veramente ricchi i loro conventi? cosa fecero i religiosi quando uscirono? Con i dati a disposizione cerchiamo dare una risposta. Dopo lunghe e pazienti indagini possiamo affermare che, quasi certamente, i religiosi che deposero l’abito furono 662 e cioè 457 sacerdoti e 205 fratelli laici. Di questi, 430 sacerdoti e 201 fratelli erano regolarmente nei 91 conventi rimasti, mentre gli altri non sappiamo con precisione dove fossero (58). A questi bisogna aggiungere 5 sacerdoti venuti da conventi fuori del regno ed a cui il governo assegnò la pensione (59). Diciamo che quasi certamente questo dovrebbe essere il numero preciso, perchè da indagini più accurate nei Registri delle Pensioni accordate agli ex religiosi del Ministero delle Finanze potrebbe venir fuori qualche altro nome. Difatti non a tutti fu assegnata la pensione immediatamente, ma ad alcuni solo dopo accurati accertamenti fatti dal Ministro delle Finanze: citiamo il caso del P. Agostino Scaramuzzi a cui venne riconosciuta solo il 27 aprile 1811 (60). Ad altri non fu mai accordata, come al frate Luigi Sportella (61) che aveva professato senza il permesso del governo.

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(54) CUOMO, op. cit., pag. 85 e seg.

(55) MIELE, Campania sacra, pag. 55.

(56) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 759.

(57) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 760.

(58) Il tutto è ricavato dal fondo Ministero delle Finanze, fasc. 2723, 2724, 2725, 2726, 2727, 2728, 2729. Gli Agostiniani Scalzi che deposero l’abito erano 135 e cioè sacerdoti 85, fratelli laici 50, con 10 conventi.

(59) Min. Finanze, 27-27. Questi Padri erano: P. Francesco Clericò, di anni 31, da Centrache in Calabria Ultra, proveniente dal convento di S. Gemini; P. Pietro Tucci, di anni 34, da Palermo, proveniente da Cori; P. Mariano Mazzola, di anni 54, da Sava proveniente da Genazzano; P. Tommaso de Tommasi, di anni 47, da Sciacca, proveniente da Gualdo Tadino; P. Giuseppe Chiacchio, di anni 54, da Grumo, proveniente da Foligno.

(60) Fra i Padri che ebbero tardi la pensione troviamo il P. Clemente Monacelli da Vasto, Parroco nelle isole Tremiti. Per il suo coraggio, durante l’assalto del forte da parte delle truppe inglesi, era stato elogiato dal Ministro della Guerra Dumas e proposto al Re per qualche ricompensa. Vedi: Min. Eccl. 1641, relazione al Re del 25 ottobre 1806.

(61) Vedi nota 13.

 

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[P. 231] Per quanto riguarda la ricchezza dei conventi dell’Ordine, con i dati che abbiamo a disposizione, possiamo dire che la maggior parte vivevano in strettezze. Vedi stato riportato in appendice. n. 4 (62) I superiori di Posillipo, dei conventi di S. Giovanni a Teduccio, Marano, Sorrento, Gragnano, Buccino, Frattapiccola, Tempetella, Celso, Gildone, Filadelfia, Torre, Paola, e quanti altri che non conosciamo per non aver a disposizione i relativi documenti, dichiararono agli incaricati della soppressione dei loro conventi di non aver denaro liquido. Sappiamo che Teverola pagava le fondiarie col restringere i viveri ai religiosi; Vairano era costretto a prendere denaro in prestito per soddisfare ai pesi della fondiaria, cosa che era costretto a fare anche il convento di Sessa, che pure era un convento abbastanza ricco (63). Paola che avrebbe dovuto pagare 460 ducati annui di fondiaria, per non aver potuto pagare si era visto sequestrare dal percettore delle tasse tutto il raccolto di grano, granone, fichi, agrumi, ecc. (64). Morano Calabro “perchè era stato saccheggiato dai briganti e perchè le rendite erano inferiori alle fondiarie era in pratica stato abbandonato dai religiosi che si erano ritirati nelle proprie case vivendo miseramente” (65). Sorrento per pagare i debiti per tre volte in due anni era stato costretto a vendere oggetti della chiesa (66). La stessa cosa era stato costretto a fare il Soccorso che da circa 18 mesi manteneva una comunità di 20 religiosi pur avendo una rendita di appena 415 ducati annui e che nel mese di agosto 1809 aveva un introito di soli 97 ducati! (67). Il convento di Gildone con 8 religiosi aveva una rendita di soli 190 ducati! Solo alcuni conventi, ma non troppi, vivevano in una certa agiatezza: La Speranzella, Sessa, Ischia, Buccino, Nocera dei Pagani, Montoro, Andria, Lanciano, L’Aquila, Nocera in Calabria, ecc. [P. 232] Per molti invece la pensione accordata ai religiosi superava di gran lunga la rendita su cui potevano contare.

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(62) Le notizie sono ricavate da fondo: Patrimonio Eccl., fasc. 555, 556, 557, 559, 560, 561, 562, 566, 567, 568, 570, 571. Vedi pure Intendenza Borbonica, fondo Culto, 772, relazione dell’Intendente di Napoli in data 17 febbrio 1810.

(63) Min. Eccl. 1671, relazione dell’Intendente di Terra di Lavoro al Ministro del Culto, 18 luglio 1809.

(64) Patrimonio Eccl. 562, dalle dichiarazioni dei delegati per la chiusura del convento.

(65) Come nota precedente.

(66) Monasteri soppressi, 174 bis, dal quale ci risulta anche che nei mesi precedenti la soppressione aveva “preso danaro in anticipo dai creditori per il vitto ai religiosi”.

(67) Monasteri soppressi, 74, 75, 76, da cui ci risulta che nel mese di luglio 1808 la comunità era stata costretta a fittare una palude per 150 ducati all’anno, chiedendo però al fittuario un’anticipo di 600 ducati “sia per soddisfare la fondiaria, sia i debiti contratti in piazza per il vitto ai religiosi”.

 

*****

Prima che ai religiosi venisse intimato di lasciare definitivamente il convento dove abitavano, a termine della legge si sarebbe dovuto dare ad ognuno il trimestre di pensione anticipato. Poche volte fu fatto. Il più delle volte veniva dato solo un acconto perchè gl’incaricati non riuscivano a trovare denaro liquido sufficiente. Così sappiamo che ai religiosi di Posillipo furono dati 28 ducati contro i 72 a cui avevano diritto; a quelli della Speranzella ne furono dati 160 invece dei 480; a quelli del Soccorso 136 contro i 408; a quelli di S. Maria di Costantinopoli 28 invece di 84 (68). Per questi motivi alcuni protestavano, opponevano resistenza a lasciare il convento o a vestirsi da preti perchè non avevano il denaro per provvedere ai propri bisogni (69). Per il momento non conosciamo casi di nostri religiosi che vennero a trovarsi in queste condizioni, mentre sappiamo casi di chi non sapeva dove andare ad abitare lasciando il convento. La legge dava facoltà ad ognuno di scegliersi il proprio domicilio. Molti ritornarono nei paesi di origine o dove avevano parenti, ma i più preferirono rimanere nei paesi dove si trovavano. Chi poi non sapeva proprio dove andare chiese di rimanere in qualche stanza del proprio convento. Così fece il Priore di Buccino, P. Giovanbattista Castaldi (70) e quello di Leonessa, P. Nicola Antonelli (71). I religiosi del Soccorso e di S. Maria di Costantinopoli, tutti, senza eccezione, chiesero di rimanere nel convento sia pur vestendo da preti e vivendo con la pensione (72). 19 dei 24 religiosi della Speranzella fecero uguale domanda, ma fu accordata solo ai P. Catalano perchè di 85 anni “quasi cieco e malato di nervi”, al P. Domenico Ulmo perchè “storpio” ed al P. Brencola, ma non sappiamo fino a quando vi rimasero perchè ben presto il convento fu venduto e trasformato in albergo (73). Il problema di un alloggio era veramente grave e preoccupante per i vecchi ed i malati che non avevano parenti stretti presso cui potersi ritirare ed essere accuditi. Il problema preoccupò anche il governo che volle provvedervi fissando alcuni ex conventi per case [P. 233] di riposo o di alloggio. Ne furono stabiliti in tutte le provincie civili, ma se riuscirono a funzionare e come, non è stato possibile conoscere. Ogni Intendente ebbe l’ordine di segnalare al Ministero del Culto i casi ritenuti più urgenti. Il Ministro poi vagliando le circostanze dava il suo benestare (74). L’Intendente di Napoli che già nel febbraio 1808 aveva richiamato l’attenzione del governo sul problema, fece una lunga lista motivando il fatto che “il più delle volte erano individui che avevano reso grandi servigi alla religione ... e che il popolo sarebbe rimasto scandalizzato vedendoli andare raminghi in cerca di un alloggio” (75). Per gli Agostiniani ne propose 35 e cioè: 11 della Speranzella; 4 del Soccorso; 6 di Marano; 4 di Ischia; 4 di Gragnano; 3 di Sorrento ed 1 di Frattapiccola (76). L’Intendente di Chieti ne propose solo 15, e fra questi due Agostiniani del convento di Chieti: P. Tommaso Infantone, di 52 anni, da Varapodio in Calabria, perchè “i suoi familiari restarono sepolti sotto le macerie dei terremoti delle Calabrie”, ed il P. Provinciale P. Tommaso Credennino, di anni 45, da Afragola, “perchè in patria non ha più abitazione” (77). Dall’Intendente dell’Aquila per gli Agostiniani furono proposti il laico settantenne fra Giacomo Cecca da Posta ed il P. Pietro Paolo Boccanera da Leonessa perchè “affetto da podagra” (78). P. Francesco Saverio Caputo, da Longobardi in Calabria, ma proveniente dal convento di Nola, “perchè in patria non ha parenti ed abitazione” riesce ad ottenere una stanza nell’ex convento di S. Domenico Maggiore dove si trovano alloggiati altri ex religiosi (79). A S. Domenico ottiene una stanza anche il P. Fulgenzio Saviano “perchè proveniente dallo stato pontificio (=Benevento) è sotto il controllo della Polizia e non può allontanarsi da Napoli” (80). Il P. Lucio Laviosa da Palermo, ma proveniente dal convento di Venafro, riesce ad ottenere una stanza nell’ex convento di S. Agostino alla Zecca (81). Il P. Tommaso Tuccillo, ex provinciale, di 72 anni, che gli incaricati della soppressione definiscono “uomo rispettabile oltre che per la probità di vita, per la buona morale ed ottimi costumi”, riesce a rimanere con altri pochi vecchi religiosi nei locali del Soccorso (82). Quando nel maggio 1810 il P. Giuseppe Gentile si ritira presso i parenti in Corsica, la sua stanza alla Speranzella viene concessa al P. Michelangelo Ceceri che viene nominato Rettore della Chiesa (83). Il P. Rafaele Gaetani da Sessa riesce a farsi nominare Rettore del Santuario del Crocefisso a Gaeta e vi rimarrà fino alla morte (84). Il P. G. Michele Quaranta da Cava dei Tirreni rimane a Tempetelle e si dedica alla scuola e all’apostolato (85). Il P. Luigi Fiorelli da Ariano Irpino, rimane all’Aquila dedicandosi all’insegnamento e all’apostolato (86). Il P. Ignazio Celentano rimase rettore della chiesa di Posillipo (87). Il P. Giovanbattista Valente rimase rettore della chiesa di S. Maria di Costantinopoli, e con lui rimasero alcuni vecchi religiosi e cioè i fratelli Padri Giuseppe e Rodolfo Gonzalez. A Gragnano fu nominato rettore il P. Pasquale Zacco stimato dal Sindaco come “il più degno dei sacerdoti della Comunità” (88). Al Soccorso fu nominato rettore il P. Guglielmo Orefice, che al dire dei delegati per la soppressione era “uomo di somma probità e dottrina che spende tutti i giorni nel confessare, predicare ed istruire e qui ha sempre dimorato quasi in tutto il tempo del suo stato monastico. E questa continua dimora senza alcun reclamo contesta per lui una probità superiore a qualsivoglia invidia” (89). A Frattapiccola fu nominato rettore il P. Gregorio La Greca. In suo favore intervennero presso il Ministro i Parroci di Frattapiccola, Frattamaggiore e Pomigliano d’Atella definendolo “uomo di intera probità, di vita esemplare ed interamente edificante ... sommamente pacifico, che per molti anni ha assistito la chiesa con estrema cura e piena soddisfazione della popolazione” (90). A Filadelfia rimasero nella chiesa i Padri Giuseppe Fazio e Domenico di Francia (91). A dir la verità per il momento ben poco sappiamo di come vissero e cosa fecero. I buoni però aspettavano tempi migliori. Il P. Giuseppe Pezzella di 45 anni, da Benevento, si ritirò insieme a qualche altro in una casa a via S. Agostino alla Zecca. Cercò di mettersi in comunicazione col P. Generale in Roma. Dapprima, il 10 gennaio 1810, fu confermato Priore per un triennio ed il 12 dicembre 1812 fu costituito Vicario Generale nel regno di Napoli (92). E sarà lui, dopo il ritorno dei Borboni a Napoli, a lavorare instancabilmente per la restaurazione dell’Ordine.

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(68) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(69) MIELE, Campania sacra, pag. 63 in nota.

(70) CUOMO, op. cit., pag. 656.

(71) Min. Eccl., 1678.

(72) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 758.

(73) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 760.

(74) MIELE, op. cit., pag. Per la Capitanata, più o meno l’attuale provincia di Foggia, il 21febbraio 1810, fu stabilito come casa di riposo il convento di Ascoli, Min. Eccl., 1395.

(75) Min. Eccl., 1676.

(76) Min. Eccl., 1676.

(78) Min. Eccl., 1678.

(79) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(80) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(81) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 765.

(82) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(83) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 765.

(84) Libro dei Religiosi defunti del monastero di S. Maria dei Miracoli di Andria dal 1838. Conservato nell’Archivio della Provincia di Napoli.

(85) Elogio funebre del Rev.mo P. fra Giovanni Michele Quaranta ... scritto dal Rev.mo Mons. Tommaso Michele Salzano ... Napoli 1857.

(86) Archivio dell’Ordine Agostiniano, Roma, Aa 26-2.

(87) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 765.

(88) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(89) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 765.

(90) Intendenza Borbonica, fondo Culto, 764.

(91) Patrimonio Eccl. fascio 822.

(92) Archivio dell’Ordine, Roma, Dd. 244, Aa 26-2. Con tale titolo troviamo firmati alcuni documenti nell’Archivio di Stato di Napoli, Patrimonio Eccl. 952.

 

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APPENDICE N. 1

STATO PERSONALE DEI CONVENTI AL MOMENTO DELLA SOPPRESSIONE PER LA LEGGE 7 AGOSTO 1809, FATTO DAGL’INCARICATI DELLA SOPPRESSIONE

 

Conventi di Regio Patronato:

Soccorso a S. Giovanni a Peduccio…14 Padri - 6 Laici

Marano di Napoli…………………….11……….5

 

Provincia di Terra di Lavoro:

Ischia………………..…...4 Padri - 2 Laici

Gragnano (Napoli)…..…..6……….2

Nola (Napoli)………..…...8……….3

Lauro (Avellino)……..….1……….1

Candida (Avellino)…..….3……….2

Solofra (Avellino)…..….12……….3

Montecalvo (Avellino)....3……….1

Ariano (Avellino)……….5…….….2

Montoro (Avellino)…….5………..3

Baselice (Benevento).…3………..2

Ascoli (Foggia)……….…6……..…2

Aversa (Caserta)………16……….3

Arienzo (Caserta)……...11…….…3

Vairano (Caserta)……….3………..2

Venafro (Isernia)………..5………..2

Buccino (Salerno)……...12……….6

Nocera (Salerno)………..3………..1

Padula (Salerno)………...4………..5

Diano (Salerno)………....2………..4

 

Provincia di Puglia:

Bari……………………..…………13 Padri – 4 Laici

Andria (Bari)………….….………10………...4

Trani (Bari)……………..…………6…………1

Bisceglie (Bari)……………..…….8…………3

Giovinazzo (Bari)…….…….……...5…………0

Bitonto (Bari)………………..…....8…………3

Modugno (Bari)…………...………5…………2

Gravina (Bari)………….….….…...5…………2

Cerignola (Foggia)……..................3…….…..2

Lucera (Foggia)…………..……..…3…………3

Melfi (Potenza)…………………….4…………2

Matera………………………..…....7…………8

Montescaglioso (Matera)……..….6…………4

Montepeloso (oggi Irsina) (MT)…2…………1

Brindisi……………………………..5…………2

Lecce……………………….………6…………2

Sogliano (Lecce)…………….…….4………….1

Melpignano (Lecce)…………..…..3………….2

Cursi (Lecce)……….……………..2………….1

Taranto……………………..………6………….2

Manduria (Taranto)...……………..8………….3

Massafra (Taranto)……………..…3………….2

Ginosa (Taranto)……………..……4………….2

 

Provincia degli Abruzzi:

Chieti……………………....7 Padri – 3 Laici

Lanciano……………………6……….2

Città S. Angelo (Pescara)…4……….0

Penne (Pescara)………..….4……….3

Atri (Teramo)…………..….3……….1

Tortoreto (Teramo)……….4……….4

Gildone (Campobasso)…...7………..1

 

Provincia dell’Aquila:

L’Aquila…………………..9 Padri – 4 Laici

Montereale (L’Aquila)…..2………..1

Sulmona (L’Aquila)……...1………...1

Città Ducale (Rieti)……...4………...3

Leonesa (Rieti)…………..3………..2

Antrodoco (Rieti)………..1………...1

Posta (Rieti)……………...1………...1

Torano (Rieti)……………1………...1

Amatrice (Rieti)………….1………..0

Cantalice (Rieti)………….2………..0

S. Valentino (Pescara)……5……….2

 

Provincia di Calabria Citra:

Cosenza…………………………6 Padri – 1 Laici

Paola…………………………….9………..5

Bocchigliero (Cosenza)………..2………..3

Belvedere (Cosenza)…………..2………..1

Terranova (Cosenza)…………..3………..0

Morano (Cosenza)……………..2………..0

Nocera (Catanzaro)…………….4………..1

Martirano (Catanzaro)…………2………..0

Melissa (Catanzaro)……………2………..0

 

Provincia di Calabria Ultra:

Catanzaro…………………………….3 Padri - 2 Laici

Filadelfia (Catanzaro)……………….4………..5

Soverato (Catanzaro)……………….4………..5

Monteleone (Vibo Valentia) (CZ)…3………..3

Torre (Catanzaro)…………………..4………..1

Feroleto (Catanzaro)……………….3………..1

Vazzano (Catanzaro)……………..…1………..0

Terranova (Reggio Calabria)……...3………..0

Varapodio (Reggio Calabria)………2………..0

 

Congregazione di S. Giovanni a Carbonara:

Napoli: la Speranzella………………………..14 Padri - 10 Laici

Napoli: Posillipo…………………………….…2………....2

S. M. Costantinopoli a S. Giov. a Teduccio…3…………1

Sorrento (Napoli)……………………………...5…………1

Frattapiccola (Napoli)…………………………1…………1

Atripalda (Avellino)……………………………2………...1

Sessa (Caserta)………………………………12………..10

Teverola (Caserta)……………………………1………….1

Pietramelara (Caserta)……………………..…1………….0

Celso (Salerno)………………………………..1………….0

Tempetelle (Salerno)…………………………1…………..0

 

TOTALE: Padri 430 - Laici 201

 

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APPENDICE N. 2

DOCUMENTI CIRCA LA SOPPRESSIONE DI S. AGOSTINO ALLA ZECCA

Min. Eccl., 1645.

[P. 239] “S.R.M. Signore. Il Procuratore de Religiosi Agostiniani, figli, e stanzianti componenti la Famiglia del Vostro Reale Monistero di S. Agostino Maggiore di questa Capitale umiliati al trono clementissimo della M. V. da sudditi fedeli e divoti venerano la Sovrana Vostra disposizione ad essi loro comunicata per la soppressione di tal luogo, eretto da secoli dalla pietà de’ Principi Francesi, che dominavano in questo Regno, per la conservazione ed aumento del Culto, e per l’influenza de’ molti vantaggi, quali derivavano dal lodevole instituto a miglioramento del costume e dell’istruzione della Nazione. Dall’epoca di sua fondazione, e per lo corso progressivo di sette secoli surti, dal fervore ed esemplarità de’ Religiosi di quest’Ordine, ha sperimentato il Pubblico il frutto copioso di quegli utilissimi effetti, che in parte han contribuito alla tranquillità e felicità del Regno; e la pruova costante della Regolare osservanza ed irreprensibile condotta in ispecie della famiglia di S. Agostino Maggiore, viene canonizzata dal fatto permanente nel punto dell’esecuzione de’ V. R. ordini per la soppressione, giacchè il Patrimonio di questa comunità s’è ritrovato non solamente intatto, e non diminuito, ma creditore altresì di circa docati seimila di rendita attrassata da reddenti e fittuari, verso de’ quali per le circostanze atuali ha usato indulgenza per concorrere sempre più dal canto suo al sollievo de’ Vostri amati sudditi. Riprotestano non per tanto venerazione ed ossequio alle supreme Vostre disposizioni emanate per la soppressione, e soltanto con sentimenti di filiale fiducia mettono in considerazione del vostro gran’animo, che in questa Dominante non v’è altro convento del loro instituto, ove potessero i supplicanti trasmigrare, e molto meno ne’ pochi luoghi della Provincia, incapaci a ricoverarli ed angustiati per l’indigenza. Il locale del monistero d’Ischia nella maggior parte trovas’ingombrato dall’abitazione del Comandante e del Governatore politico di quell’isola, e la chiesa addetta alla Cattedrale per la celebrazione de’ Divini offici. Rassegnano eziandio alla vostra pietà che l’attuale Famiglia di S. Agostino Maggiore, ridotta a quel numero d’individui che dimostra l’annessa nota, rappresenta Religiosi avanzati in età e cagionevoli di quegl’incomodi di salute, che gli rende inabili a trasferirsi altrove; ma che colla frequenza delle Confessioni, e di altri esercizi di pietà, soddisfano alla divozione e pubblico concorso in quella Chiesa, che mantengono con tutta decenza ed esemplarità. Se irreprensibile s’è sperimentata la condotta de’ supplicanti. Se non altro desiderano essi che continuare a prestarsi utili allo Stato ed a di loro concittadini per tutto ciò che gli permette il loro zelo, per i giorni, che sovrastano al di loro vivere. Se nella Vostra Augusta Persona gareggiano le virtù sublimi ed i pregi singolari che la rendono a popoli amibili. Se la giustizia costituisce l’appoggio più saldo del Trono, che lo perpetuerà a Vostro godimento, [p. 240] ed a nostra felicità, come i supplicanti debbono diffidare di riportare dal magnanimo Vostro cuore la grazia, che implorano, di permettere, che gl’individui figli del soppreso monistero che ne compongono l’attuale famiglia, continuino la di loro permanenza nella stanza del medesimo, prestandosi a’ bisogni spirituali del pubblico nel servizio di quella frequentata Chiesa, e provveduti dalla Vostra pietà di quel sussidio che stimerà proporzionato al di loro religioso sostentamento? Signore. Si auguran essi di non rimanere delusi nella di loro fiducia, fondata nel serto delle Vostre ammirabili prerogative e perfezioni. E siccome l’indulgenza praticata coi rendenti del suppresso luogo forma il soprammentovato credito d’esazione di più migliara, così sono i supplicanti altrettanto sicuri che in su la riscossione di tali quantità debba degnarsi il giustissimo Vostro animo di comandare che restino soddisfatti que’ vestiari a Religiosi, vitalizi, ed onorari attrassati appunto per la commiserazione ed indulgenza praticata con i debitori del luogo; e lo averà ut Deus etc.

P. Luigi Arena procuratore supplica come sopra.

___________________________________

 

S.R.M. Signore.

Il procuratore della comunità religiosa del soppresso monistero di S. Agostino della Zecca umilmente espone a V. M. di aver trasentito, che la M. V. prendendo in considerazione le circostanze infelici de’ principali del ricorrente siasi degnata di abbassare i suoi Sovrani ordini all’Intendenza di Napoli, onde la ricorrente comunità religiosa sia situata nel conventino di Pietrabianca detto del Soccorso. Il ricorrente in nome de’ suoi principali protesta a V. M. gli atti rispettosi della di loro più viva riconoscenza alla pietà Sovrana, che prende cura di loro, ma è nel dovere di far presente alla Sovrana intelligenza, che la comunità religiosa del soppresso monastero di S. Agostino alla Zecca, giuste le rivele antecedentemente prodotte e le note passate al zelantissimo Intendente di Gennaro nel momento della soppressione, ascende al numero di circa sessanta individui, e che il conventino del Soccorso all’opposto, il quale non era, che un Ospizio di S. Agostino Maggiore, o per dir meglio un Infermeria, ove i religiosi infermi del convento grande andavano a respirare aria migliore, appena è capace in quanto al locale di contenere quattro o cinque individui, ed in quanto poi alla rendita difficilmente può alimentarni due soltanto. Da tutto questo rileva l’alta intelligenza di V. M. che non può avere esecuzione l’espediente preso d’inviare la comunità di S. Agostino nel picciolo ospizio del Soccorso. E’ dunque necessario che la clemenza sovrana prenda altri mezzi più convenienti, onde in qualche parte riparare alla sventura dei ricorrenti. Il supplicante è incaricato di rassegnare a V. M. che la maggior parte del soppresso monistero di S. Agostino è composta di vecchi acciaccosi ed inabili a porre il piede anche fuori della propria stanza, per lo più privi di ogni rapporto di amicizia e di parentela, e quindi [p. 241] se fossero obbligati di uscire da quel locale non avrebbero neanche il tetto ove potersi ricovrire. Sarebbero essi amanti di rimanere nel monistero istesso, onde terminare il corso della vita in servizio del Signore con un mensuale proporzionato assegnamento che fosse loro sufficiente a potersi alimentare. Gli altri Religiosi, che sono nello stato meno deplorabile, avrebbero l’istesso desiderio sì per prestare i convenienti aiuti ai di loro confratelli, che han consumato il lungo periodo degli anni in servizio del Santuario, come per non lasciare scarsa di operai quella Chiesa ove la divozione è stata portata al miglior punto che si possa bramare, e secondare in questo modo i pubblici voti di quei complateari. Sire. Per quanto siasi esaminato il caso presente, non si è trovato che possa esservi un espediente migliore di quello che si è suggerito ed escogitato dai Padri più ragguardevoli della detta comunità. Sembra poi che questo espediente non apporti un gran dissesto alle mire sempre sagge del Trono, perchè i principali del ricorrente stante la di loro avanzata età, non potrebbero lungamente occupare quel locale, e fra di tanto si darebbe la pace ad un numero non indifferente di religiosi, e si riparerebbe all’amarezza della di loro circostanza. Il ricorrente dunque nel nome come sopra, ricorre alla pietà del Trono sempre propenso al sollievo dei sventurati, e supplica divotamente la M. V. a degnarsi permettere che la comunità religiosa di S. Agostino alla Zecca possa continuare a rimanere nel convento istesso col carico di ufficiare in quella Chiesa; e nel tempo medesimo di stabilire che a ciascun religioso si faccia un congruo mensuale assegnamento, sufficiente alla propria sussistenza, il tutto ut Deus. P. Luigi Arena, procuratore supplica come sopra.

_____________________________________

 

S.R.M. Signore.

Il procuratore della comunità religiosa del soppresso monistero di S. Agostino Maggiore di questa capitale umilmente espone a V. M. che sono già terminate quelle picciole provviste che furono ad essa lasciate nel momento della soppressione dall’incaricato Intendente di Gennaro. Incomincia dunque a sorgere il bisogno di pensare al vitto cotidiano specialmente di tanti poveri Padri vecchi che non sono in grado di sortire neppure dalla soglia della propria stanza. All’incontro debbono essere giunti a V. M. i dettagliati rapporti che nel monastero di S. Agostino altre di essersi trovata l’azienda nello stato più perfetto, che si possa sperare, frutto dell’economia e della buona fede di quella comunità, siasi di più trovata un esigenza attrassata di circa ducati seimila. Se non si crede giusto che questa somma debba liberarsi a beneficio della comunità medesima, è giusto senza dubbio che si pensi agli alimenti di tanti infelici religiosi rimasti nel pericolo di perire d’inedia; e che di più si soddisfà loro l’importo del vestiario, onorario e vitalizio fino al giorno della soppressione; sicuro il ricorrente che la religione [p. 242] di V. M. voglia risolvere l’occorrente sull’altra supplica prodotta al V. R. Trono riguardo alla di loro situazione pel tempo successivo. L’oratore dunque supplica vivamente la M. V. a prendere in considerazione l’esposte circostanze e dare a tal effetto gli ordini opportuni onde ai principali del monistero si faccia una provvisoria liberanza che basti a fargli sussistere fino al tempo delle Sovrane risulte sul di loro destino, il tutto ut Deus. P. Luigi Arena procuratore supplica come sopra.

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Nota dei Religiosi figli e stanzianti del soppresso monastero di S. Agostino alla Zecca di questa città.

P. Guglielmo Orefice, Confessore e Priore, di anni 62

P. M. Tommaso Tuccillo, Confessore, di anni 72

P. M. Michelangelo Latilla, Confessore, di anni 62

P. M. Guglielmo Sorrentino, Confessore, di anni 59

P. M. Pezzella, Confessore, di anni 46

P. Bacc. Felice Lufrani, di anni 82

P. Bacc. Felice Canale, di anni 80

P. Bacc. Agostino Novelli, di anni 60

P. Bacc. Nicola Signorelli, Confessore, di anni 60

P. Bacc. Nicola Eschena, di anni 54

P. Bacc. Giovanni Barbati, di anni 48

P. Gaetano Sica, di anni 48

P. Bacc. Fedele Amalfi, Confessore, di anni 44

P. Bacc. Raffaele Fortini, di anni 44

P. Bacc. Giuseppe Spinoso, Confessore, di anni 40

P. Bacc. Arena, di anni 40

Laici professi:

fr. Salvatore Rossi

fr. Prospero Padano

fr. Nicola Savio

fr. Andrea Moselli

fr. Giuseppe di Maio

fr. Gregorio de Angelis

fr. Luigi Guadagno

fr. Giuseppe Riccardi

fr. Mariano Caporosso

fr. Tommaso Pizzorusso

fr. Michelangelo Guida

fr. Diodato Fanelli

fr. Bernardo di Siervo

fr. Sempliciano Veccia

fr. Giuseppe Schipani

fr. Isidoro Napolano

fr. Giuseppe Morsicato

fr. Croce Scianna

[p. 243] Padri stanzianti in detto monastero:

P. Bacc. Luigi Ragondino, figlio di Marano

P. Bacc. Diodato Iovine, figlio di Marano

P. Andrea Rieciardi, figlio di S. M. del Soccorso

P. M. Tommaso Cristoforo, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. M. Mariano Mascia, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. Bacc. Michelangelo Perrotta, Confessore, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. Carrella, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. Nappi, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. Siciliano, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. Agostino Silvestri, figlio della Provincia Terra di Lavoro

P. M. Baldassarre, figlio della Provincia dell’Aquila

P. Regg. Xuereb, figlio della Provincia di Sicilia

P. Laviosa, figlio della Provincia di Sicilia

P. Caccavale, figlio della Provincia di Chieti

P. Mastromattei, figlio della Provincia di Puglia

P. Fezio, figlio della Provincia di Sicilia

P. Mercurio, figlio della Provincia di Calabria Ultra

Padri stanzianti con ordine della Polizia:

P. Agostino Scaramuzzi, figlio di Calabria Citra

P. Luigi M. Zacco, figlio di Roma

P. Fulgenzio Saviano, figlio di Roma

fr. Bruno Savino, ex camaldolese

 

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APPENDICE N. 3

DOCUMENTI RELATIVI AL CAPITOLO PROVINCIALE

DELLA PROVINCIA DI TERRA DI LAVORO

Min. Eccl., 1645

[p. 244] Lettera del Rettore Provinciale P. Maestro Guglielmo Sorrentino.

S.R.M. Dal momento in cui l’intiero Capitolo degli Agostiniani Calzati della Provincia detta di Terra di Lavoro mi addossò colla Reale approvazione la carica di Provinciale, ne sentii l’enorme peso. Il vantaggio del mio Istituto, e l’amorevolezza con cui da’ miei confratelli fui eletto, mi furono di freno, perchè non avessi io rinunciata la carica. Terminatone appena il corso, mi vidi di bel nuovo dalle Costituzioni e dalla M. R. obbligato a rientrare nella stessa carriera col titolo di Rettore Provincializio per l’immatura morte di chi mi succedette nell’impiego. Risoluto nello aprile dello scorso anno di riacquistare la primiera mia quiete e tranquillità, oprai ogni mezzo perchè si adunasse il nuovo capitolo per la elezione del successore; spedii le lettere convocatoriali, e per facilitarne vieppiù la esecuzione giunsi a chiedere nella Delegazione della Reale Giurisprudenza la dispensa dal decreto diffinitoriale, con cui vien destinato il convento di Salerno a tal celebrazione, e fissarsi invece quello di Aversa: ma furono così veementi le opposizioni de’ Vocali a tal determinazione, che con averne contestato formale giudizio nella medesima Giurisdizione, la fecero svanire. Tutto fu da me con nuove rimostranze rassegnato al Delegato di quel tempo; ed in seguito della di lui Consulta umiliata al R. Trono, fu sovranamente risoluto come siegue: Copia - Il dì 2 ottobre 1806. E’ pervenuto il seguente R. Dispaccio - In conformità del parere di cotesta Real Giurisdizione, nel Real Nome le riscrivo per sua intelligenza e di chiunque convenga, esser Sovrana volontà, che il capitolo degli Agostiniani Calzati di Terra di Lavoro debba indispensabilmente celebrarsi nella prima Domenica del venturo mese di Novembre nel convento di Salerno, a norma del decreto Diffinitoriale dell’anno 1787, e che l’attuale Rettore Provinciale debba a tal uopo spedire le nuove lettere convocatoriali fra lo spazio di giorni quindici, altrimenti si daranno le provvidenze che possa spedirle il primo Diffinitore. E che dippiù lo stesso Rettore Provinciale coi mezzi prescritti dalle costituzioni, obblighi i Priori a soddisfare le collette fra lo spazio di un mese, e faccia lor sentire, che se non soddisfino alle indicate collette, a norma delle Costituzioni, resteranno privati di voce attiva e passiva nel prossimo capitolo; e che se per di loro colpa sorgeranno nuovi intoppi alla celebrazione del capitolo, la M. S. prenderà contro di essi i dovuti espedienti, che possono servire di esempio alla comunità religiosa. Primo ottobre 1806. - Il duca di Cassano. - Alla Delegazione della Real Giurisdizione - Si partecipa tal Sovrana disposizione al P. Provinciale degli Agostiniani di Terra di Lavoro per l’adempimento. - Vecchione. - Izzo Cancelliere. - L’originale esiste in questa Delegazione, Leopoldo Lattanzio archiviario. [p. 245] Le adorabili egualmente forti espressioni con cui era concepita la Reale determinazione, dovevano chiudere la porta ad ogni altro ostacolo. Ma non fu così. Ad onta delle replicate convocatoriali da me spedite colla inserta forma della riportata Sovrana risoluzione, il Capitolo non si è celebrato ne in Novembre dello scorso anno, ne in Aprile corrente. I Priori spacciano di non poter pagare le collette, e per tal motivo ricusano di eseguire la celebrazione. Tutto in bocca loro è povertà e miseria. Rassegnai nuova rappresentanza allo stesso Delegato; chiesi di darsi allo Arcivescovo di Salerno di disporre colla sua autorità in quel convento quanto era necessario per la divisata congrega capitolare, e fin ora non ne ho veduto alcun effetto. Clementissimo Re, l’età, e la cagionevole sanità mia non sono più adatte a portare il peso del Provincialato: i Priori dicono di esser impossibilitati nelle presenti circostanze a pagare le collette destinate a soddisfare gli obblighi della carica; ed io sono giornalmente tormentato per i debiti contratti in piazza a tal uopo. Prostrato quindi al V. R. Trono umilio formalmente la rinunzia del Provincialato, perché la M. V. per atto di Sua clemenza si benigni accettarla, e dare le corrispondenti disposizioni per la effettiva elezione del successore, con incaricarlo principalmente di esiggere pria di ogni altro le collette attrassate da’ rispettivi conventi, e passarmele, affinchè possa io estinguere i debiti di piazza senza veruno pregiudizio di chi caritatevolmente mi ha somministrato il danaro. E pregando dal cielo lunga serie di felicissimi anni alla M. V. con profondo rispetto mi segno. Di S. S. Real M., umiliss.mo e fedel.mo suddito, F. Guglielmo Sorrentino, Ret. Prov.le Ag.no

S. Agostino Maggiore - 16 maggio 1807

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Relazione dell’Interino Cappellano Maggiore, Mons. Rosini, vescovo di Pozzuoli e il Delegato della Real Giurisdizione, Vecchione.

 

S.R.M. Signore.

Sulle rimostranze del Rettor Provinciale della Monastica Provincia degli Agostiniani Calzati di Terra di Lavoro, colle quali pose in veduta le difficoltà, che sorgevano per la celebrazione del capitolo, che dovea effettuarsi nella fine di aprile del corrente anno, V. M., uniformemente al parere di questa Delegazione della Real Giurisdizione, con Real carta de’ 14 dello stesso mese si degnò di permettere all’anzidetto Rettor Provinciale di poter differire la celebrazione del capitolo per altri due mesi, oltre il tempo stabilito dalla Costituzione. Nacquero però de’ nuovi ostacoli, che, malgrado la convocatoria spedita dal Provinciale, non permisero la celebrazione del capitolo, giacchè vari de’ Priori, che son pur vocali, si negarono d’intervenirvi, altri per l’avanzata stagione estiva, e pel pericolo della mutazione dell’aria; altri perchè non erano in grado di pagare le collette de’ rispettivi conventi espressamente inculcate dalla Costituzione dell’Ordine, [p. 246] colla minaccia della privazione della voce attiva e passiva al Priore trasgressore; ed altri finalmente per la poco sicurezza delle strade, e per le circostanze de’ Monasteri, che non permettevano l’allontanamento de’ Superiori. L’ostacolo maggiore per altro sorse dalla incertezza del luogo, ove il capitolo dovea celebrarsi, imperciocchè il convento di Salerno, destinato alla celebrazione de’ capitoli dai decreti diffinitoriali ammessi dalla Polizia del Regno, era ingombro dalle truppe francesi, e l’altro di Aversa dal Provinciale sostituito per quest’oggetto, non era capace di ricevere tutto il numero de’ vocali; ed oltre a ciò era impossibilitato a sostenere una spesa così esorbitante. Frattanto incominciarono de’ clamori diretti a diversi scopi secondo la passione, e gl’interessi de’ ‘Religiosi, e sopratutto de’ Padri graduati della Provincia. Alcuni di essi imputavano il Provinciale di ambizione, d’onde facean nascere in lui l’impegno di eternarsi nella carica. Costui all’incontro, ed i Priori suddetti attribuivano l’impazienza de’ primi al fine indiretto di celebrare il capitolo in tempo, in cui e per la stagione avanzata, e per l’attrasso delle collette, sarebbero mancati la maggior parte de’ vocali, ond’essi per conseguenza, già uniti in partito, avrebbero potuto assicurare il risultato del Capitolo a di lor piacimento. In queste circostanze e gli uni e gli altri hanno implorato gli uffici di questa Delegazione. Signore. A rimuovere ogni ulteriore ostacolo e difficoltà, questa Delegazione stima rispettosamente, che V. M., se non le piaccia di risolvere altrimenti, possa degnarsi di rescrivere sull’assunto di essere Sovrana volontà, che il Capitolo degli Agostiniani di Terra di Lavoro debba indispensabilmente celebrarsi nella prima domenica del venturo mese di novembre nel convento di Salerno, a norma del decreto diffinitoriale dell’anno 1787, e che l’attuale Rettor Provinciale debba a tal uopo spedire le lettere convocatoriali fra lo spazio di giorni quindici, altrimenti si daranno le provvidenze che possa spedirle il primo Diffinitore. E che di più lo stesso Rettor Provinciale, coi mezzi prescritti dalla Costituzione, obblighi i Priori a soddisfar le collette fra lo spazio di un mese, e faccia loro sentire, che se non soddisfino alle indicate collette, a norma delle Costituzioni, resteranno privi di voce attiva e passiva nel prossimo capitolo; e che se nell’avvenire per di loro colpa sorgeranno nuovi intoppi alla celebrazione del capitolo, la M. V. prenderà contro di essi i dovuti espedienti, che possino servire di esempio alle comunità religiose. Restiamo proni al Regal Solio. Di V.R.M. Napoli il dì 8 agosto 1806. Umilissimi e fedelissimi vassalli Rosini vesc. di Pozzuoli e Giovanbattista Vecchione

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[p. 247] Relazione del Delegato della Real Giurisdizione, Dragonetti, al Re. La cosa si concluse con la deposizione del P. Sorrentino, comunicata dal Ministro del Culto il 25 luglio 1807, e la celebrazione del capitolo il 31 ottobre.

 

S.R.M. Signore.

Nel 1803, seguita la morte del Provinciale degli Agostiniani di Terra di Lavoro P. Luigi Manzi, ch’era stato eletto nel capitolo celebrato in aprile dell’istesso anno, a norma della Costituzione con Real Carta de’ 26 di ottobre dell’anno medesimo, fu scelto in Rettor Provinciale il P. Guglielmo Sorrentino, come quello, che recentemente avea ultimato il suo provincialato. Or l’obbligo di costui era quello di permanere in carica per tutto il tempo, che restava a disimpegnarla al defonto Provinciale, e dovea in conseguenza devenire alla celebrazione del nuovo capitolo ad aprile del prossimo scorso anno 1806. Priachè si avvicinasse quest’epoca, il Rettor Provinciale Sorrentino ricorse a V. M. ed espose, che non riusciva alla Provincia di celebrare il capitolo nel mese di aprile, perché i conventi, dispendiati per le circostanze di quel tempo, non erano nel grado di somministrare le collette, e perchè il convento di Salerno, ove il capitolo dovea tenersi, era continuamente ingombrato dalle truppe di V. M., che s’incamminavano alla volta di Calabria. Gli fu dunque con altra Real carta de’ 14 aprile dell’espressato anno 1806, accordata la dilazione di altri due mesi, oltre il tempo stabilito dalla Costituzione. Scorse pur questo tempo, ma quando si credeva, che il capitolo fosse per celebrarsi, sorse un nuovo ostacolo, che il convento di Salerno non era in istato di ricevere il numero de’ vocali, cosichè con decretazione di questa Delegazione della Real Giurisdizione fu stabilito che il capitolo avesse luogo nel convento di Aversa; e poichè anche in esso vi furono delle difficoltà, con altra decretazione si rimise ad arbitrio del Rettor Provinciale Sorrentino di celebrarlo in quel convento, che meglio fosse creduto adatto a tal uopo dal Diffinitorio. Erasi però avanzata la stagione estiva, ed i vocali ripugnavano di amoversi dai rispettivi conventi; e perciò vi fu bisogno di esporre tutto a V. M. con rimostranza degli 8 agosto dello scorso anno, e la M. V. con altra Real Carta del dì primo di ottobre dell’anno medesimo si degnò sovranamente ordinare che il capitolo dovesse indispensabilmente celebrarsi nella prima domenica di novembre nel convento di Salerno, a norma del decreto Diffinitoriale dell’anno 1787, e che il Rettor Provinciale Sorrentino dovesse a tal uopo spedire le nuove lettere convocatoriali fra lo spazio di giorni quindici, colla minaccia altrimenti di darsi le provvidenze che potesse spedirle il primo Diffinitore; e che di più lo stesso Rettor Provinciale coi mezzi prescritti dalla Costituzione obbligasse i Priori a soddisfare le collette fra lo spazio di un mese; e facesse loro sentire che se mancassero a tal soddisfazione sarebbero stati privati della voce attiva e passiva nel capitolo provinciale; e che nell’avvenire per di loro colpa fossero insorti nuovi intoppi alla celebrazione, la M. V. avrebbe presi contro di loro i dovuti espedienti, che potessero servire di esempio alle Comunità Religiose. [p. 248] Tal ordine Sovrano fu prontamente comunicato al Rettor Provinciale Sorrentino, ma costui con relazione de’ 19 ottobre dell’anno suddetto 1806, rappresentò a V. M. che i Priori de’ Conventi gli aveano fatto sapere, che col fatto mancava loro il respiro de’ quindici giorni concessi dalla M. V. alla soddisfazione delle collette subito chè troppo tardi era giunto l’ordine Sovrano; e che inoltre la famiglia del convento di Salerno con una istanza a lui prodotta avea esposto che quel convento non era nello stato di accogliere prontamente i vocali al numero di circa settanta, perchè avea sofferti dei guasti, e per la fiera che ricorrea, differita d’ordine Sovrano, non potea prendere in affitto i letti come per lo innanzi si era praticato; e V. M. con Real carta de’ 13 dicembre dell’anno scorso si degnò di ordinare a questa Delegazione della Real Giurisdizione che facesse dell’esposto l’uso conveniente, a norma della Sovrana risoluzione sull’assunto. Così rimase l’affare, ed intanto il Capitolo non fu celebrato nè in quell’epoca, nè ad aprile del corrente anno, in cui comodamente potea celebrarsi. Si è osservato un perfetto silenzio non solo per parte del Rettor Provinciale Sorrentino, che per parte della Provincia; ed io essendo novello nella carica, e non avendo ricevuto alcun richiamo da verun Religioso della Provincia, non son venuto a giorno che adesso di tale inosservanza del Rettor Provinciale agli ordini della M. V. Dall’altra parte scorgo dai fatti premessi che il Rettor Provinciale Sorrentino sia un ambizioso che ama eternarsi nella carica da lui occupata da sei anni, e che con questo disegno abbia fatto sorgere tutti gli ostacoli di sopra rapportati per differire la celebrazione del Capitolo Provinciale. Per apprestare i dovuti rimedi a tanta oscitanza, siccome la stagione avanzata di està non permette che si possa adesso celebrare il capitolo, così non è giusto che lui seguiti ad esercitare contro le regole del proprio istituto ed in disprezzo de’ vostri Regali ordini la carica di Rettor Provinciale; sono perciò di sentimento, che V. M. possa degnarsi di prescrivere che si celebri indispensabilmente il capitolo ne’ princìpi del venturo mese di Novembre; e che fra di tanto il P. Sorrentino resti sul momento privato non solo della carica di Rettor Provinciale che della voce attiva e passiva, coll’inibizione d’intervenire al capitolo; e passi ad assumere le redini del governo della Provincia il primo Diffinitore, a norma della citata Sovrana risoluzione del dì primo di ottobre dello scorso anno; il quale primo Diffinitore sia nell’obbligo di spedir prontamente le lettere convocatoriali, e di obbligare i Conventi alla soddisfazione delle collette, giusta gli ordini antecedenti, e debba dar conto alla M. V., e da questa Delegazione di aver adempito a tal incarico per tutt’i princìpi del venturo mese di settembre, acciò non sorgano nuove difficoltà per l’epoca in cui il Capitolo dovrà celebrarsi. Ed a fine che il Capitolo riesca regolare e tranquillo, può la M. V. compiacersi di ordinare che vi presieda l’Arcivescovo della stessa città di Salerno, al quale potrà farne la corrispondente prevenzione. Il Signore Iddio conservi la M. V. per una lunga serie di felicissimi anni. Di V.M. umilissimo e fedelissimo vassallo Giacinto Dragonetti.

Napoli il dì 7 di luglio 1807

 

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APPENDICE N. 4

STATO DELLE RENDITE REDATTO DAGLI INCARICATI

DELLA SOPPRESSIONE DEI CONVENTI

 

CONVENTO   DUCATI DI RENDITA (1)   DI FONDIARIA (2)   DI PENSIONE (3)

1. S M. del Soccorso in

S. Giovanni a Teduccio:……………415………………………?..........................1632

2. Marano:…………………………..398……………………..36………………...1200

3. Ischia…………………………….2955……………………128………………….480

4. Gragnano………………………….976……………………...?............................672

5. Aversa …………………………..1614…………….……..471…………………1680

6. Arienzo…………………………..1391…………………….44………...……….1200

7. Lauro (4)………………………….138………………………?............................144

8. Nola ……………………………....789…………………...204……………….….912

9. Vairano……………………………522…………………...267….……………….384

10. Venafro………………………….474………………………?............................576

11. Buccino …………..……………2484……………………...?...........................1440

12. Padula………………………..…..568…………………...149…….…………….624

13. Diano………………………..….. 584……………………103…………………..384

14. Nocera (Salerno)………………1590……………………229…………………..336

15. Monitoro……………………….1240……………………191 ………….………624

16. Candida………………………….716……………………..42…………………..384

17. Solfora (5) ………………..……1474……………....……294…………………1296

18. Montecalvo……………….…….391………………….….14………………….. 336

19. Ariano Irpino…………………...707…………………....103…………………...576

20. Ascoli (Foggia) ………………..1029…………………...208……………………672

21. Napoli:la Speranzella (6) …..…9819……………………140………………….1920

22. Napoli: Posillipo…………..……587……………………….?.............................288

23. S. Maria di Costantinopoli

a S. Giovanni a Teduccio……….….664……………………….?.............................366

24. Frattapiccola (7)………………..518……………………….?.............................144

25. Sorrento ………………………..777……………………….?……………….…..528

26. Sessa Aurunca (8)…………….8577…………………..2686…………………..1632

27. Teverola ………………………..779……………………151………………..…..144

28. Pietramelara……………………417………………….…202……………………..96

29. Atripalda………………………..707…………………….141………………...….240

30. Celso (Salerno)………………...102…………………….. 72……………………..96

31. Tempetelle (Salerno)………….175……………………….7……………………..96

32. Lucera………………………….870……………………..272……………………432

33. Cerignola………………………450………….…………….?..............................384

34. Melfi……………………………274………………………..8……………………480

35. Andria…………………………1692……………………….?.............................1152

36. Trani……………………………757………………………..?...............................624

37. Risceglie……………………...1188……………………….?................................912

38. Giovinazzo…………………..….593……………….………?................................480

39. Bari……………………………1390……………………….?..............................1440

40. Modugno………….……………933……………………….?................................576

41. Bitonto ………..………………1182……………………….?................................912

42. Lecce………………………….1127………………….…493……………………..672

43. Melpignano………….…………528…………………….118……………………..384

44. Cursi……………………………995…………………….109……………………..240

45. Ginosa ………………………….620……………………...99……………………..480

46. Gildone (9)……………………..190……………………….?.................................624

47. Chieti…………………………...912……………….……174……………………..816

48. S. Valentino…………………….526………………….……?................................576

49. Lanciano………………………1137……………………….?................................676

50. Tortoreto ………………..……1032…………………….284…………………….490

51. Atri………….…………………..240………………………70…………………….342

52. Penne…………….……………..367……………………..110…………..………..536

53. Città S. Angelo…………………360……………………..167………………..…..392

54. Sulmona…………………………193………………………..?..............................144

55. Leonessa

56. L’Aquila

57. Nocera (Catanzaro)

58. Catanzaro

59. Varano

60. Noverato

61. Feroleto

62. Torre

63. Monteleone

64. Filadelfia

65. Cosenza

66. Bocchigliero

67. Martorano

68. Belvedere

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(1) La rendita era costituita da terreni dati in fitto o a mezzadria o condotti direttamente dal convento, da case e da censi.

(2) La fondiaria veniva pagata principalmente sui terreni. Inoltre vi erano delle tasse comunali. Perciò parlando di fondiaria si intende l’una e l’altra. Gli incaricati della soppressione non sempre seppero indicare la fondiaria e le altre tasse per mancanza di ruoli. In questo caso abbiamo indicato col punto interrogativo.

(3) Per pensione intendiamo la somma assegnata e pagata dal Governo ai singoli religiosi. Qui viene indicata la somma complessiva pagata a tutti i religiosi del convento.

(4) Le condizioni del convento di Lauro erano veramente misere. Delle stanze solo due erano abitabili, le altre erano cadenti.

(5) Il 4 gennaio 1808 il governatore e giudice di Solofra, alloggiato in convento, aveva chiesto al Ministro del Culto la soppressione del convento motivandola dal fatto che i frati “vivendo lautamente sciupano una rendita di 4.000 ducati” (vedi Min. Eccl. 1652). Gli incaricati della soppressione invece accertano l’esistenza di solo 1474 ducati. Detta somma, detratta la fondiaria, era insufficiente a pagare la pensione.

(6) La rendita era costituita dai beni del convento e da quelli della Panneria comune di tutta la Congregazione. La stessa rendita era gravata di censi passivi per cui ogni anno il convento pagava ducati 1361. Inoltre doveva pensare alla celebrazione di oltre 1000 Messe all’anno.

(7) Ci ha sorpreso la rendita di 518 ducati. Dai registri di amministrazione (vedi Monasteri soppressi n. 169 e 170) ci risulta che dal 1795 veniva aiutato dai conventi più ricchi, data l’estrema miseria in cui si trovava. Nel 1799 era stato costretto a vendere oggetti sacri per far fronte ai creditori. Nell’appendice n. 5 riportiamo la relazione fatta dagli incaricati della soppressione.

(8) Questo convento oltre la rendita segnata aveva un patrimonio zootecnico non indifferente e cioè: n. 51 bufale da latte, n. 2 tori, n. 4 bufali da tiro, n. 11 giovenchi, n. 40 asseccaticci (= giovenchi da uno a due anni), n. 6 giumente, n. 1 puledra, n. 2 muli, n. 1 asino, n. 2 paia di buoi da lavoro.

(9) Il convento di Gildone oltre che povero di rendite, era quasi “dirupo” a causa del terremoto del 1805.

 

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APPENDICE N. 5

RELAZIONE DELLA CHIUSURA DEL CONVENTO DI FRATTAPICCOLA IL 7 OTTOBRE 1809

(AS.N., Intendenza Borbonica, 759)

 

Noi ricevitore della Registratura e de’ Demani del distretto di Casoria, di unita al Giudice di pace di questo circondario e Sindaco di detta Comune di Frattapiccola, abbiamo soppresso il Monastero di S. Maria della Consolazione de’ PP. Agostiniani di S. Giovanni a Carbonara, ed ivi abbiamo trovato esistenti, cioè nella contabilità, un libro di introito ed esito ed un bastarduolo. Nella Sagrestia gli seguenti arredi ed oggetti a servizio di culto, cioè due pianete vecchie di diversi colori con due camici. Nella biblioteca niente. Denari contanti niente, un solo calice d’argento col piede di rame ed una pisside di argento. Nel magazzino niente. Mobili ed effetti che sono all’uso de’ Religiosi, un lettino con diverse sedie ed un tavolino per ogni stanza dei religiosi. Ed infine un locale composto di nove stanze superiori abitabili e dieci terranee non abitabili, ed un piccolo giardinetto del valore di circa ducati 3.000. Quali suddette robe sonosi consegnate al sindaco di detta comune di Frattapiccola.

Il ricevitore, Basile.

Raffaele Palma, giudice di pace del circondano di S. Arpino.

Raffaele Pellino, sindaco.