da ANALECTA AUGUSTINIANA LXI (1998)
I
CONVENTI AGOSTINIANI DELLA CONGREGAZIONE
DEGLI
ZUMPANI IN CALABRIA
di Foca Accetta
1. Premessa
La
congregazione degli zumpani, fondata alla fine del secolo XV da p. Francesco Marino
da Zumpano, ebbe un ruolo di fondamentale importanza per lo sviluppo
dell’Ordine agostiniano in Calabria nei secoli XVI-XVII. Al nucleo originario,
costituito dai conventi di Aprigliano (1490), Soverato (1490), Nocera (1500),
Francavilla (1502) e Bombile (1506), sorti per iniziativa del fondatore e dei
suoi compagni, si aggiunsero, tra il 1518 e la fine del secolo, altri 34
conventi, tra cui quello di Cosenza fondato nel 1426 e aggregato agli zumpani
nel 1522. Altre 3 nuove fondazioni si ebbero poi nei primi decenni del secolo
XVII. Nel 1650 la congregazione contava 42 conventi che rappresentavano il
58,8% degli insediamenti agostiniani in Calabria (Tab. 1).
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Tab. 1
- FONDAZIONE DEI CONVENTI
(anno) (città) (titolo) (diocesi)
1426-1522 Cosenza S. Agostino Cosenza
1490 Aprigliano S. M. delle Grazie Cosenza
1490
Soverato S. M. della
Pietà Squillace
1500 Nocera S. M. di Loreto Tropea
1502 Francavilla
S. M. della Croce
Mileto
1506 Bombile S. M. della Grotta Gerace
1518 Crucoli S. M. Annunziata Umbriatico
1524 Rovito S. M. delle Grazie Cosenza
1526 Casole
S. Michele Arc. Cosenza
1527 Spadola S. M. del Carmine Squillace
1530 Castelvetere
S. M. del Carmine
Gerace
1531 Terranova
S. M. del Soccorso
Oppido
1531 Scigliano S. Agostino Martirano
1535 Belvedere S. Venere Cariati
1539 Montepaone
S. M. degli Angeli Squillace
1544 Bruzzano
S. M. delle Grazie
Gerace
1546 Acquaro S. M. del Soccorso Mileto
1547 Cortale S. M. del Soccorso Nicastro
1553 Dasà S. M. della Pietà Mileto
1559 Zumpano
S. M. degli Angeli
Cosenza
1561 Gioia S. Sebastiano Mileto
1563 Stilo S. Antonio Abate Squillace
1565 Davoli S. M. del Trono Squillace
1569 Gioiosa S. M. del Soccorso Gerace
1570 Albi S. M. della Misericordia Catanzaro
1570 Sellia S. M. delle Grazie Catanzaro
1571 S. Stefano S. M. Annunziata Cosenza
1571 Varapodio
S. M. delle Grazie
Oppido
1572 Castiglione S. M. della Pietà Tropea
1574 Martirano S. M. Annunziata Martirano
1580 Brancaleone
S. Sebastiano
Bova
1580 Magli S. M. della Croce Cosenza
1588 Paterno S. Marco Cosenza
1590 Stalittì S. M. del Soccorso Squillace
1590 Macchia S. M. della Sanità Cosenza
1590 Reggio S. M. di Melissa Reggio
1591 Nicastro
S. M. della Sanità Nicastro
1593 Agrusto S. M. della Sanità Squillace
1593 Borgia S. Leonardo Squillace
1607 Papanice S. M. Annunziata
Crotone
1612 Cotronei S. Marco Santa Severina
1617 Bovalino S. Leonardo Gerace
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La rapida espansione del movimento zumpano, concentrata soprattutto
nell’area centro-settentrionale della regione, venne ad interessare medi e
piccoli centri rurali piuttosto che i grossi centri urbani e finì col creare
una rete di piccoli insediamenti con una dimensione demografica in media di 5,7
unità per ogni singolo convento. A favorire le forme e la tipologia
dell’insediamento zumpano, erano le università (comuni), che, per far fronte
all’inadeguata assistenza spirituale del clero secolare, furono promotrici
della fondazione di numerosi conventi, concepiti come centri d’irradazione di
attività pastorali (predicazione, sacramenti, suffragi). Le università si
dimostravano disposte a contribuire con donazioni ed elemosine sia alla
costruzione dei complessi conventuali che al sostentamento dei frati,
ottenendone in cambio una serie di prestazioni cultuali, devozionali e
caritative. Da una indagine comparativa emerge che le richieste variano dal
semplice obbligo di “dir messa” ad impegni più specifici quali ad esempio il
tenere “l’hospitale per li poveri pellegrini” (S. Stefano 1571, Martirano
1574), il mantenere in famiglia “un predicatore per il tempo delle
predicazioni” (Scigliano 1531), o un numero preciso e determinato di religiosi
(Albi 1570, Reggio 1590) oppure un insegnante per istruire “i figlioli di
quando in quando” (S. Stefano 1571). Alcune università come Rovito (1524),
Zumpano (1559), Papanice (1607) pur di avere la presenza stabile dei frati non
chiesero impegni formali e i rispettivi conventi furono fondati “senza esservi
stato patto o numero prefisso di frati, ma gratis et libero”. Significativo è
stato anche il contributo di esponenti della nobiltà e borghesia locale, a
conferma del largo consenso suscitato dal movimento zumpano nei diversi ceti
sociali. Un esempio sono i D’Aquino che furono promotori della fondazione dei
conventi di Castiglione e Nicastro loro feudi. Le richieste di nobili e
borghesi, a differenza di quelle delle comunità locali, sottintendono l’aspetto
privato della devozione, la preoccupazione di assicurare la celebrazione di
messe in suffragio delle anime del benefattore e dei suoi congiunti più
prossimi. Rivelano inoltre l’esigenza di manifestare il rapporto privilegiato
che si veniva ad instaurare tra la congregazione e la famiglia del fondatore,
la posizione sociale e giuridica che quest’ultima ricopriva all’interno della
comunità. Funzionale a questa operazione erano il diritto di esporre “l’arme et
epitafio dentro e fuori la chiesa”, la scelta dell’altare, quasi sempre quello
maggiore, che assicurava rispetto a quelli laterali preminenza liturgica, il ius sepulchri. Al di là degli obblighi
spirituali contratti per la fondazione dei singoli conventi era la
consapevolezza di agire in un ambiente dove inefficienza del clero secolare,
devozionismo e superstizione costituivano i tratti essenziali. Nel contesto di
una strategia tesa al recupero spirituale e all’assistenza morale e materiale
delle popolazioni locali si pone l’istituzione di confraternite e monti di pietà,
gestione di ospizi per i pellegrini e gli ammalati, indispensabili strumenti di
vita religiosa, penetrazione sociale, attività caritativo-assistenziale.
Nel 1584 il priore generale
Anguisciolo autorizzò la fondazione di sette confraternite sotto il titolo di
S. Monica (Acquaro, Condianni, Cosenza, Crucoli, Dasà, Martirano, Terranova).
Altri tredici sodalizi chiesero e ottennero dall’Anguisciolo il privilegio di
essere aggregati all’arciconfraternita dei cinturati di Bologna al fine di
“godere l’indulgenze, gratie et prerogative che detta arciconfraternita gode”.
Inoltre le istanze spirituali della popolazione erano soddisfatte attraverso
l’attività missionaria e la predicazione periodica, soprattutto quando la
presenza stabile dei frati non era possibile. Infine è importante ricordare che
gli zumpani favorirono lo sviluppo di culti locali come quello di San Foca
Martire in Francavilla Angitola e di S. Maria della Grotta in Bombile d’Ardore
(Cfr. F. ACCETTA, S. Foca Martire patrono di Francavilla Angitola, in “Calabria Letteraria”,
XL, luglio-settembre 1992, pp. 53-57;
S. GEMELLI, Il santuario di S. M. della Grotta, Chiaravalle 1979).
Circa la dislocazione dei
conventi è da rilevare che la maggior parte di essi sorgevano a breve distanza
dai centri abitati, lungo le principali vie di comunicazione allora esistenti.
Questo tipo di distribuzione territoriale rispondeva sia all’esigenza di un
rapido collegamento tra i diversi conventi sia alla necessità di indirizzare
l’azione di apostolato ai centri vicini a quello prescelto quale sede
conventuale.
Per quanto riguarda la
struttura dei conventi non si differenziava dai modelli utilizzati dagli altri
Ordini religiosi. Quasi tutti i conventi si disponevano su due piani: al primo
piano erano situate le cosidette “officine”, che si aprivano direttamente sul
chiostro, e cioè la cucina, il refettorio, la dispensa, il deposito per gli
attrezzi agricoli. Al piano superiore erano i dormitori con le rispettive celle
per i frati, il guardaroba, le stanze riservate agli ospiti, la biblioteca.
Particolari accorgimenti per garantire l’incolumità dei frati si segnalano
nella struttura dei monasteri delle località costiere frequentemente sottoposte
alle incursioni turchesche. Ad esempio il convento di S. Maria della Pietà di
Soverato, “più volte bruggiato dai Turchi”, era costruito “a modo di castello
con balestrieri attorno”. Lo stato di avanzamento dei lavori, da quanto risulta
dalle relazioni del 1650, procedeva molto a rilento, per le difficoltà
economiche, il terremoto del 1638, le citate incursioni. Così ad esempio i
conventi di Brancaleone (1580): “si sta in atto fabricando et al mio parere
detto convento potrà essere finito fra otto anni”, di Bovalino (1617): “sta
fabricandosi per la penuria dei tempi compito solamente un quarto del disegno”.
Tuttavia l’attenzione dei
frati si rivolgeva in modo particolare alle chiese spesso completate prima
degli altri locali conventuali e abbellite con statue, quadri ed altre opere
d’arte. Curata in ogni minimo particolare la chiesa veniva a costituire la
prima fonte di sostentamento della comunità, attraverso le “rendite spirituali”
ovvero i proventi ricavati dalle messe, elemosine, oltre che a permettere lo
svolgimento dell’opera di apostolato e l’attivazione dei culti legati
all’Ordine agostiniano. Risultato di donazioni, lasciti e acquisizioni
verificatisi in tempi successivi, era l’asse patrimoniale dei conventi
costituito prevalentemente da terreni seminativi e arborati, dislocati in
località diverse e distanti tra di loro, da giardini e fondi, che, posti nelle
immediate vicinanze dei chiostri, coltivati in genere a frutteto, vigneto o
uliveto, potevano rispondere alle esigenze quotidiane dei religiosi. Il sistema
di conduzione era per i piccoli conventi la gestione diretta in economia,
mentre quelli più grandi e di antica fondazione non escludevano l’affitto, in
denaro o in natura, e il ricorso a locazioni perpetue o all’enfiteusi.
Per quanto riguarda le
biblioteche esistenti nei vari conventi, le notizie sono molto scarse; in
genere gli inventari danno molto spazio a tutto ciò che permetteva ai religiosi
un tenore di vita accettabile, e il patrimonio librario ove si fa accenno viene
liquidato con la generica formula di “libri”. Così ad esempio in un inventano
relativo al convento di Cosenza del 1668 è registrata la presenza di “40 pezzi
di libri”. Le uniche notizie finora emerse riguardano la biblioteca del
convento di Francavilla Angitola. Nel 1728 il priore generale autorizzò il
priore del convento Fulgenzio Marinari ad ordinare i libri esistenti in una
stanza “per ridurla in forma di libreria” e dispose che “qualunque libro si
ritroverà dopo la morte di qualunque religioso [...] debba porsi dal priore pro
tempore nella libreria predetta”. Le biblioteche venivano incrementate non solo
con acquisti periodici ma anche facendo confluire nel loro corpus i
volumi appartenenti ai religiosi defunti. È probabile quindi che nella
biblioteca di Cosenza fossero conservati i libri rinvenuti il 29 ottobre 1610
nella cella di p. Claudio da Cortona. Si tratta di autori gesuiti (Francesco
Toledo, Maldonado) e domenicani (Domenico Soto, Girolamo Osorio) ispirati alla
teologia della riforma cattolica, alla riflessione sul peccato, alla
predicazione.
Lo sviluppo della
congregazione degli zumpani e la necessità di garantire il suo governo nei
primi anni del secolo XVII imposero la definizione di un nuovo assetto
giuridico-amministrativo e cioè la creazione nell’ambito della suddivisione
civile della regione di due circoscrizioni zumpane. Infatti il decreto di
divisione, emanato dal priore generale Ippolito Fabriani il 29 maggio 1603 e
ratificato da Clemente VIII con il breve Ex iniuncto nobis del 30
ottobre successivo, sanciva la nascita della congregazione di
Calabria Citra e di Calabria Ultra governate da vicari generali autonomi.
2. I conventi della congregazione zumpana di Calabria Citra.
La congregazione di Calabria Citra nel 1650 contava 20 conventi
distribuiti nelle diocesi calabresi secondo la tabella 2.
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Tab. 2 - DISTRIBUZIONE DEI
CONVENTI NELLE DIOCESI
Cosenza n. 9
Catanzaro n. 2
Martirano n. 2
Tropea n. 2
Caniati n. 1
Santa
Severina n. 1
Umbriatico n. 1
Crotone n. 1
Nicastro n. 1
_______________
Totale n. 20
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Le notizie relative ai conventi sono tratte quasi esclusivamente dalle
relazioni del 1650 conservate nell’archivio generale agostiniano di Roma (AGA),
Ii, vol. VI, ff. 161-296, nel caso in cui la fonte è diversa verrà indicata in
nota. I singoli conventi sorgevano nelle cittadine di:
ALBI
Fu fondato nel febbraio 1570 dall’università locale con il consenso del
vescovo di Catanzaro mons. Angelo Horabona. Agli zumpani furono assegnati la
chiesa di S. Maria della Misericordia e un contributo annuo di scudi 23,7½ “per
vitto et vestiario” dei religiosi, coll’obbligo che il loro numero fosse sempre
di tre sacerdoti e un serviente. Nel 1650 la struttura del convento, posto a
breve distanza dall’abitato, un “tiro di pietra”, era completata nelle sue
parti essenziali: chiesa, “officine” e un dormitorio con 7 stanze; nonostante
ciò si stava provvedendo ad aumentare la ricettività costruendo un altro
dormitorio.
APRIGLIANO
Il convento di S. Maria delle Grazie “fu fondato in tempo che vivea il Nostro P. Beato Francesco di Zumpano per haverlo fondato lui, che sarà da 160 anni in circa”, cioè nel 1490. Nota era la data di consacrazione della chiesa, che preesisteva al complesso religioso: “fu fatta l’anno 1355 ai 10 di Gennaro da mons. Vincenzo Ferraro vescovo di Montepoluso”. Il p. Felice da Napoli, nella visita compiuta nel 1576, a proposito di questo convento, scrive: “have una bella chiesa e quasi la più bella della congregatione per essere lastricata et bianchegiata; ha un dormitorio fatto quest’anno; si è finita la sacrestia sopra la quale verranno due belle camere per forestierj, ma questa fabrica non si fa dell’intrati del convento, ma di una gabella che ha donato l’università sopra la carne al convento per la fabrica” (AGA, Aa, vol. XI, f. 508). Dal terremoto del 1638 la struttura conventuale fu gravemente danneggiata e i frati a distanza di qualche decennio erano costretti a vivere in baracche: “Il terremoto lo rovinò persino dalli fondamenti tanto che la chiesa è scaricata d’altezza e coperta con riparatione di fabrica poco più della metà et li frati habitano a certe camere terrane fatte per baracche; però è chiuso tutto di mura dell’istessa fabrica vecchia rovinata in alcune parti, et si sta in fabrica”. Nel 1650 la famiglia conventuale era di quattro sacerdoti e un serviente.
BELVEDERE
Fu fondato nel 1535 dal feudatario del luogo senza “patti alcuni” e col
consenso del vescovo pro tempore di Cariati. Nel 1561 il vescovo cardinale
Alessandro Cribello rinnovò il decreto poiché quello originale conservato
nell’archivio del convento di Soverato venne perduto a seguito di una
incursione dei Turchi. La chiesa, sotto il titolo di S. Venere, era nel 1650
già completata, mentre il convento era in “fabrica”. All’epoca la famiglia
conventuale era costituta da un sacerdote, un chierico e un converso laico.
CASOLE
Sull’origine di questo convento nella relazione del 1650 si leggono
notizie confuse e contrastanti: “era una chiesa di ius patronato del q.
Giovanni Lupinato e fu dato a frati nostri di S. Agostino della nostra
Congregatione per aggregatione del monastero di Cosenza confirmata
dall’arcivescovo, e questo fu l’anno 1526 a tempo della felice memoria di papa
Martino quinto”. Si può osservare subito che i dati cronologici non coincidono,
poiché il pontificato di Martino V si ebbe tra gli anni 1417-1431, mentre nel
1526 era pontefice Clemente VII (1523-1534). È probabile una svista del
trascrittore della relazione, e cioè che questi abbia confuso il 1526 con il
1426, anno della fondazione del convento di Cosenza. Tuttavia non si può
trascurare un altro dato fornito dalla citata relazione e cioè l’aggregazione
nel 1522 del convento di Cosenza alla congregazione zumpana. Tenendo conto di
questo elemento, può risultare accettabile l’anno 1526, ritenendolo epoca in
cui l’oratorio di S. Michele Arcangelo fondato nel 1487 (Cfr. F. Russo, Regesto
vaticano per la Calabria, vol. III, p. 17, n. 13104) e già dipendenza del
convento di Cosenza, venne elevato alla dignità di sede conventuale autonoma.
Il convento era dotato di un dormitorio con sei camere e di tutti gli altri
ambienti necessari. Nel 1650 la famiglia religiosa era formata da due sacerdoti
e un chierico professo.
CASTIGLIONE
Il convento di S. Maria della Pietà di Castiglione fu fondato nel 1572 con “consenso del magnifico principe di detta Terra [Cesare D’Aquino] e dell’università”; nel 1576 anche il vescovo di Tropea mons. Geronimo De Rusticis diede la sua approvazione. Era ubicato al di fuori della cittadina “che è murata, distante 100 passi in circa, e in strada publica”. Nel 1650 il complesso conventuale, esclusa la chiesa, doveva essere completato: “sta in fabrica, ma non è claustrato a forma di monastero”. Tuttavia, la riservatezza dei religiosi era tutelata “poichè ha un braccio di dormitorio attaccato con la chiesa, dove ha cinque camere sopra per habitatione dei frati, e cucina e refettorio sotto; poi ha un’altra camera per habitatione dei frati, e dispensa, e cellaro, e conservatorio di legna, et un altro luogo dove è il forno, ha la sacristia et ha un cortile”. La famiglia conventuale nel 1650 era costituita da 2 sacerdoti, un chierico e un serviente “per la scarsezza dei frati”.
COSENZA
Il convento di S. Agostino fu fondato da p. Americo Di Domenico a tempo
della felice memoria di Martino quinto sommo pontefice nell’anno nono del suo
pontificato”, cioè nel 1426. Di antica fondazione, apparteneva alla provincia
di Terra di Lavoro, quando nel 1522, su richiesta della città, venne
incorporato alla congregazione degli zumpani, che aveva rifiutato tutti gli
altri conventi della provincia napoletana esistenti in Calabria. Posto
all’interno dell’abitato, il convento era sede di noviziato, che però nel 1650
era soppresso; se ne chiedeva il ripristino per poter soddisfare le istanze
spirituali delle popolazioni: “in nessuna altra comunità n’habbiamo in questa congregatione,
[…] son mancati sacerdoti e chierici e si patisce per l’insoddisfatione delle
chiese e suffragi”. Con i brevi apostolici Nuper ex parte del 16 e 17
aprile 1630 Urbano VIII concedeva al p. Daniele da Cosenza la facoltà di
erigere una infermeria nel convento ((Cfr. F. Russo, Regesto vaticano per la
Calabria, vol. VI, p. 245, nn. 30660 e 30661). Nel 1650 la famiglia
conventuale era formata da nove sacerdoti, quattro chierici e tre conversi.
COTRONEI
Sotto il titolo di S. Marco fu fondato nel 1612, con l’assenso
dell’arcivescovo di Santa Severina, dalla baronessa Anna Morena, che diede il
terreno necessario alla costruzione del convento “et elemosine per la fabrica”
con l’obbligo che fosse sempre abitato da tre sacerdoti. Nel 1650 era già
completato, si presentava “chiuso di fabrica” con tre camere per l’abitazione
dei frati più gli altri ambienti necessari. Dimoravano tre sacerdoti e un
converso professo.
Situato fuori le mura della città “distante un tiro di pietra in strada
publica”, fu fondato nel 1518, con il consenso di mons. Desiderio Filiolo
vescovo di Umbriatico, dal barone del luogo. Questi concesse agli zumpani la
chiesa di S. Maria dell’Annunziata di ius patronato e alcuni beni immobili con
l’obbligo che si celebrasse ogni giorno una messa a suffragio dei propri
congiunti. Il complesso conventuale nel 1650 non era ancora finito e vi
dimoravano tre sacerdoti e due servienti.
MACCHIA
Fu fondato nel 1590, con il consenso dell’arcivescovo di Cosenza
cardinale Pallotta Evangelista, dall’università di Macchia. Per favorire
l’insediamento ai frati vennero concessi una chiesa, sotto il titolo di S.
Maria della Sanità, sede della confraternita di S. Giovanni Battista, e alcuni
terreni con l’obbligo di “celebrarsi messe, senza altri patti”. Nel 1650 la
struttura del convento era completata in tutte le sue componenti. La famiglia
religiosa era composta da due sacerdoti e un chierico.
MAGLI
Il convento fu fondato nel 1580, con il consenso dell’arcivescovo di
Cosenza, dall’università locale, la quale assegnò ai frati una chiesa sotto il
titolo di S. Croce, ubicata “un tiro di scopetta” dall’abitato, senza nessun
obbligo specifico. Nel 1650 dimoravano un sacerdote e un serviente.
MARTIRANO
Il convento sotto il titolo di S. Maria dell’Annunziata fu fondato nel 1574, con il consenso del vescovo della città mons. Gregorio De Cruce, con l’obbligo di mantenere in attività l’ospedale esistente nei locali destinati a sede conventuale, e di intervenire “al vespo e festa dell’Assunta” nella cattedrale portando un “cereo d’una libra”. Il terremoto del 1638 provocò gravi danni all’intero complesso religioso. I lavori di ricostruzione nel 1650 non erano ancora ultimati: “la chiesa sta in fabrica et sono alzate le mura a metà altezza in circa. Il monastero sta in fabrica però è chiuso di mura”. Esisteva “un filo di camere, cioè cinque sopra e cinque sotto” per abitazione dei frati, due sacerdoti e un chierico professo, e per le altre necessità.
NICASTRO
Come quella di Castiglione anche la fondazione del convento di Nicastro
si deve al principe Cesare D’Aquino feudatario della città. Questi nel 1591
mise a disposizione “un palazzo in due camere alli frati della nostra
Congregatione”. Per la fondazione, avvenuta con il consenso del vescovo mons. Teodosio
Montefalco (1585-1595), non ci furono “patti o oblighi, ma sono gratis”. Nel
1650, la chiesa, sotto il titolo di S. Maria della Sanità, e il convento
dovevano essere completati: “la chiesa sta in fabrica; il monastero ha tre
camere finite e tre altre non finite, ma si sono alzate le mura e coperte”. La
famiglia religiosa era composta da un sacerdote e un serviente.
NOCERA
TERINESE
Secondo il visitatore p. Felice da Napoli, dal convento di S. M. di
Loreto iniziò lo sviluppo del movimento zumpano; infatti negli atti della
visita, compiuta nel 1576, si legge: “Alli 6 febraro gionsi nel convento di S.
Maria di Campo d’Arato; questo convento è
in campagna in un bello e ameno luogo, lontano dall’habitatione due
miglia, et il primo convento della Congregatione et che pigliasse il Beato
Francesco, et delle celle antique che furno fatte nel suo tempo ne venimo a
cognitione (AGA, Aa, vol. XI, f. 505). Testimonianza autorevole che avvalora
quanto viene riportato nella relazione del 1650, e cioè che il convento venne
aperto intorno al 1500: “Nella diocesi di Tropea [...] fu fondato et eretto dal
B. Francesco di Zumpano ad istanza dell’università di Nocera mentre lui proprio
vivea, che sono da 150 anni in circa, ancorche non se ne trovi scrittura di
fondatione, perché mentre visse lui era chiamato nella Patria et pregato perché
fondasse Monasterij”. Documentata era la consacrazione della chiesa, sotto il
titolo di S. Maria di Loreto fatta il 23 aprile 1525 dal vescovo di Martirano
mons. Francesco Cirenoto. Il convento, “con claustro grande, tutto chiuso con
torrette attorno”, era dotato di tre dormitori di cui uno non agibile perché
rovinato dal terremoto del 1638. I frati dimoranti nel convento erano tre
sacerdoti, un chierico e due laici.
PAPANICE
Fu fondato nel 1607, con il consenso del vescovo di Crotone mons.
Tommaso De Monti, dall’università locale. Per facilitare l’insediamento dei
frati, una confraternita concesse la propria chiesa sotto il titolo della SS.ma
Annunziata “con tutte le entrate e messe che havea et senza altri patti et
osservationi”. Nel 1650, escluse cinque camere di un dormitorio e le “officine,
l’edificio conventuale non era completato; vi dimoravano quattro sacerdoti, un
serviente e un garzone.
PATERNO
Sotto il titolo di S. Marco fu fondato nel 1588 da f. Paolo da
Castiglione su richiesta dell’università e col consenso dell’arcivescovo di
Cosenza. Nel 1650 erano presenti due sacerdoti e un serviente.
ROVITO
Il convento di S. Maria delle Grazie fu aperto nel 1524 senza “esservi stato
patto, o numero prefisso di frati, ma gratis e libero”. Completo nelle
strutture essenziali, era abitato da due sacerdoti e un converso.
SCIGLIANO
Fu fondato nel 1531 dall’università, con il consenso del vescovo di
Martirano mons. Angelo Papparo. L’obbligo principale assunto dagli zumpani al
momento della stipula dell’accordo con le autorità locali fu che nel monastero
“vi stij di famiglia un predicatore per il tempo della predicatione”. Nel 1650
tale clausola era caduta. Dotato degli ambienti necessari ed idonei alla vita
conventuale, vi risiedevano tre sacerdoti e un serviente.
SELLIA
Il convento di S. Maria delle Grazie fu fondato nel 1570, con il
consenso del vescovo di Catanzaro mons. Angelo Horabona, dal barone e
dall’università locale. Ognuna delle due parti si impegnò ad assegnare ai frati
un contributo di 19 ducati annui. I frati accettarono l’obbligo di mantenere
una famiglia religiosa di quattro sacerdoti e due servienti con l’impegno che
“due sacerdoti dovessero per ogni giorno celebrare per loro, cioè per il detto
barone e università e loro discendenti”. Per sopragiunte difficoltà economiche
la prima parte di questa clausola rimase inapplicata; nel 1650 dimoravano nel
convento tre sacerdoti e un serviente, che soddisfavano le esigenze spirituali
della popolazione: “di questo sta contenta l’università e barone, vedendo la
necessità, et questo ha moltissimo anni che è così”.
S.
STEFANO
Fu fondato nel 1571 dall’università locale con l’obbligo che i frati mantenessero l’ospedale e “imparassero li figlioli di quando in quando. La fondazione venne confermata dall’arcivescovo di Cosenza nel 1572. Nel 1576 il visitatore p. Felice da Napoli descrive il convento nei termini: “questo è un luogo il quale è solo hospitio, è stato hospitale; la chiesa è piccolissima et vi è una casetta a ceramidi discosta dalla chiesa tal che la via in mezzo et si sta incomodissimanente perché vi stanno li frati senza niuna comodità et poverissimi et ha poco da vivere”. Situazione precaria che a distanza di circa un secolo non era mutata, ma peggiorata per gli effetti del terremoto del 1638. Nel 1650 la chiesa, sotto il titolo di SS.ma Annunciazione, e il convento presentavano molte “fabriche dirute”. Erano di famiglia tre sacerdoti e due servienti.
ZUMPANO
Il convento di S. Maria degli Angeli, situato fuori dal centro abitato
un “tiro di scopetta […] era una chiesa la quale l’Università di detto casale
la diede alli padri di S. Agostino della nostra Congregatione che ne facessero
monasterio et habitassero l’anno 1559 gratis senza patto o obligo veruno”.
Dotato degli ambienti necessari il complesso conventuale era abitato da tre
sacerdoti e un chierico professo.
3. I conventi della congregazione zumpana in
Calabria Ultra.
La congregazione di Calabria Ultra nel 1650 contava 22 conventi
distribuiti nelle diocesi calabresi secondo la tabella 3.
__________________________________________________________
Tab. 3 - DISTRIBUZIONE DEI
CONVENTI NELLE DIOCESI
Squillace n. 8
Gerace n. 5
Mileto n. 4
Oppido n. 2
Bova n. 1
Nicastro n. 1
Reggio n. 1
_______________
Totale n. 22
__________________________________________________________
I singoli conventi sorgevano nelle cittadine di:
AGRUSTO
Sotto il titolo di S. Maria della Sanità fu fondato da p. Simone da S.
Vito il 29 maggio 1593, con il consenso del vescovo di Squillace mons. Marcello
Sirleto. Per avviare la costruzione del complesso religioso l’università di
Agrusto offrì cento scudi; poi si “continuò in dette fabriche con l’agiuto
universale et particolare di detta terra d’Agrusto e della terra di
Chiaravalle, luogo convicino a detto convento un miglio”. Nel 1650 era
completato nelle strutture essenziali, anche se erano necessari altri lavori
per migliorare la ricettività: “nel quarto verso tramontana vi è un camerone finito et
restano da fare le tramezze fra le camere che sono altre tre”. La chiesa era
dotata di quattro altari, oltre quello maggiore, dedicati all’Angelo Custode, a
S. Monica, all’Annunciazione, a S. M. del Carmine. La famiglia religiosa era
composta da due sacerdoti e un laico.
ACQUARO
Il monastero di S. Maria del Soccorso, “sito e posto
nelli circunferentj d’Acquaro e Seminatore”, diocesi di Mileto, fu fondato nel 1546
con Breve di Paolo III. La relazione del 1650 fornisce una interessante
descrizione sia del convento e della chiesa, che della loro posizione rispetto
ai centri abitati; infatti, si legge: “è in luogo pratticabile tanto per
sentirsi li divini officij quanto per il passaggio continuo delli cittadini
dello Stato di Arena et altri con grandissimo concorso de popoli dell’uno e
l’altro, così in giorni festivi come di lavoro. [...] La chiesa è 67 palmi di
lunghezza e di larghezza 28, l’altare maggiore ornato con bellissimi quadri
dorati, con bellissima custodia, tutti posti dentro la lamia, con coro mediocre
tuttorno per cantar vespro nella festività et altri giorni, con arco di pietra
et due cappelle fuori dell’arco, benissimo ornate, con altre X cappelle parte
ornate e parte mediocre, con bellissimo organo nella parte sinistra della
chiesa, et sopra la porta un coro mediocre per li divini ufficij e continui
esercitij spirituali delli frati, con una sacristia dove è posta una cappella
della SS.ma Annunciata che corrisponde al chiostro. Il convento è serrato con
due quarti di colonne di pietra finite lunghe ogn’una palmi 9; di fabrica nova
due altri si hanno di fare; vi è una bona cucina con due camerette dentro;
un’altra nel forno, una cantina per il vino, un refettorio con la cascia del
deposito et altre cose in forma d’entrata; dentro li quarti finiti vi è una
scala molto commoda per le stanze, con due passeggiatori finiti con collane
tonde di pietra quanto ne sono necessarie, et un dormitorio finito con sette
camere, et un altro con altre che stanno quasi per finirsi; il chiostro quadro
di 46 palmi in circa con un basso d’acqua quanto vi è necessario; dalla parte di fuora attaccato al detto
monasterio tiene un certo commodo per il frati di foglie fiche, cetrangoli,
uva, et altri pochi frutti de’ tumulate due in circa”. La famiglia conventuale
era composta da cinque sacerdoti, un laico professo, due servienti. (Cfr. anche
A. TRIPODI, il convento di S. M. del Soccorso di Acquaro, in “Brutium” LXX, ott.-dic.
1991, pp. 6-7).
BOMBILE
Il monastero di S. Maria della Grotta di Bombile fu fondato dal p.
Giacomo di Tropea, compagno del B. Francesco di Zumpano, nel 1506, senza
“assignamento ne obligo ne patto alcuno”, e con il consenso di Giovanni
Capodiferro vicario generale del vescovo di Gerace. Ubicato “sotto una rupe
alta di 200 palmi”, il complesso religioso era scavato nella roccia: “Ha la
chiesa sotto il titolo et invocatione della B. V. della Grotta, è di struttura
di rupe scavata senza fabrica, solo la porta di detta chiesa; è di lunghezza
palmi 49 larga 24, il sancta sanctorum palmi 14, largo 12 dove sta situato
l’altare maggiore con una bella imagine della B. V. scolpita di bianco marmo,
di grandissima divotione e veneratione, fatta l’anno 1509. Detta chiesa di rupe
cavata è di altezza di
palmi 60. In detta rupe al presente si trovano due stanze cavate che dimora un
frate; vi erano diverse altre cavate in detta rupe e servivano per dormitorio,
et l’anno 1629 si precipitarono affatto e sepellirono nelle proprie ruine i
frati che vi habitavano”. Per “tal causa di rovina”, e cioè il crollo del 1629,
i frati ricostruirono sopra la rupe il convento, che “è di circuito di meza
tumolata, tutto il vaso attorno di fabrtca. […] Dal principio di detta
fondatione per la divotione di detta B. V. vi concorrevano molte elemosine”,
che permettevano di mantenere tre sacerdoti, tre laici professi, un serviente.
(Cfr. anche S. GEMELLI, Il santuario di S. M. della Grotta, Chiaravalle 1979).
BORGIA
La decisione di fondare il convento di S. Leonardo fu adottata dal
definitorio della congregazione degli zumpani il 10 maggio 1593 dietro
richiesta dell’università. A tal fine fu inviato a Borgia p. Cesare di Davoli,
mentre le autorità locali destinavano un contributo di 150 ducati per la
costruzione del complesso religioso. La fondazione venne ratificata dal vescovo
di Squillace mons. Tommaso Sirleto il 3 giugno 1600. Nella chiesa, “finita di
fabrica”, erano eretti otto altari, quattro per ogni lato. A destra erano
l’altare del Carmine fondato da Ciantio Colocchia, di S. Maria della
Consolazione con una “confraternita eretta alli 26 aprile [...] dall’istessa
università con procuratore e confrati quali con li elemosina fanno celebrare in
detto altare due messe la settimana”, di S. Caterina fondato da Bernardino e
Aquilio Arcaro, di S. Maria del Soccorso fondato da Francesco Menica. A
sinistra erano l’altare della Pietà fondato da Giovanni Pietro Pilò, della
SS.ma Concezione fondato da Delio Mazza, della SS.ma Annunziata fondato da
Giovanni Stilo, infine seguiva un altare fondato da Pietro Giovanni
Chirichella. Nel 1650, il convento dotato di tutti gli ambienti necessari, era
abitato da due sacerdoti, un converso e due servienti.
BOVALINO
Il monastero di S. Leonardo fu fondato il 28 marzo
1617, con il consenso di mons. Orazio Mattei vescovo di Gerace, “a pia dimanda
e supplica dell’università di dicta terra più volte a detto prelato fatta per
utilità dell’anime et honor di Dio”. I pp. Giacomo Antonio di Petrizzi lettore
e Vincenzo di Condianni “per bolle spedite al sopradetto signor vescovo,
presero e principiarono detto santo loco”. Nel 1650 la costruzione del convento
non era ancora finita: “sta fabricandosi havendosi per la penuria de tempi
compito solamente sin hoggi un quarto del disegno, trovandosi al presente una
chiesa con tre altari, e sopra cinque stanze per uso dei frati; sotto di più vi
è una cantina per rimedio fin che si compirà la debita fabrica”. La famiglia
religiosa era composta da due sacerdoti e un serviente.
BRANCALEONE
Il convento di S. Sebastiano fu fondato nel 1580. I primi contatti e le
fasi successive della fondazione sono nella relazione del 1650 riassunti nei
termini: “A richiesta di detta terra hanno mandato il P. Vicario Antonino da Montesoro,
a quel tempo Vicario Generale della Congregatione del B. Francesco di Zumpano
della Provincia di Calabria Ultra, che venisse in detta terra a fondare detto
convento, et non havendo possuto venire detto vicario di presenza, mandò il p.
Alonso di Castelmonardo con autorità di fondare detto convento, come in effetto
fondò. Detto convento è stato fondato alli 23 di marzo 1580 con l’assenso et
consenso di Monsignor Vescovo di Bova Marcello Franco, che per obligo costituì
che pagasse detto convento ogn’anno in perpetuo grana dodici e mezo alla mensa
episcopale di Bova. E per tal fondatione si obligò detta Università di pagare
ogn’anno ducati 20, quali pagò; molti anni doppo desistì detta università di
pagarli, et haverà 40 anni in circa che non l’ha voluto pagare”. Il complesso
conventuale si presentava completo nelle strutture essenziali, ma i lavori non
erano ancora ultimati: “Il convento sta in atto fabricando, et al mio parere
[…] potrà essere finito fra ott’anni di fabrica per la gran devotione che vedo
in detta chiesa”. La chiesa conventuale, “molto frequentata dalli popoli”, era
dotata di cinque altari; quello maggiore sotto il titolo di S. Sebastiano,
della Madonna della Consolazione, di S. Nicola di Tolentino, di S. Biagio e
dell’Angelo Custode. La famiglia conventuale dimorante nel convento era di tre
sacerdoti, un laico professo e un serviente.
BRUZZANO
Il convento di S. Maria delle Grazie fu fondato nel 1544
dall’università locale. A tal proposito interessanti sono le notizie contenute
nella relazione del 1650: “ad istanza del mag.co Bruno Bova sindaco, Giuseppe
Morando et Bernardino di Lorenzo eletti li quali con gran desiderio supplicarno
all’Ill.mo e Rev.mo Mons. F. Vincenzo Bonardo all’hora vescovo della città di
Jeraci che dovesse loro consolare per salute dell’anime loro lasciar venire li
RR. PP. dell’Ordine di S. Agostino et concederli la chiesa chiamata S. Maria
delle Gratie jus patronato di detta università, alle cui pie voglie
acconsentendo il detto vescovo diede potestà al molto Rev. Padre F. Domenico di
Marturano, vicario generale di detta congregatione, di erigere convento con
clausura in detta chiesa et fare habitare frati dello medesimo Ordine,
il quale per infermità non potendosi personalmente conferire, diede potestà di
pigliare detto convento alli RR. PP. sacerdoti Fra Benedetto Luca e Fra Giovan
Battista della Roccella con Fra Giovan Domenico Raimondo laico tertiario di
Castelvetere, li quali con buon esempio a Bruzzano havendosi conferiti,
furono amorosamente abbracciati, et fabricarono il convento come consta per
bolla, il quale si ritrova nella piazza di detta terra et anco per commune
utilità ogni anno sopra il pulpito universale si predica la parola di Dio, et
li […] sopradetti sindaco et eletti a nome di tutta l’università hanno dato et
danno anno quolibet scudi quindici si essigono ogn’anno per soccorso di detti
frati”. Nella chiesa, di estensione palmi 64 x 36, erano erette diverse
cappelle; a destra quella del SS.mo Rosario, di S. Nicola Tolentino, di S.
Michele Arcangelo, di S. Maria del Carmine e di S. Maria della Vittoria; a
sinistra la cappella della Madonna della Neve, di S. Giuseppe, di S. Maria
dell’Istria, della Natività, di S. Maria della Consolazione. Sopra la porta
maggiore era sistemato il coro “ove si lauda Iddio nostro Signore con
l’organo”. Inoltre i pp. avevano un’altra chiesa, fuori dal perimetro del
convento, assegnatagli dal Duca di Bruzzano con l’obbligo di celebrare una
messa quotidiana “et un’altra ogni settimana a beneplacito dell’heredi del
detto Signor Duca”. Il convento ultimato nelle sue componenti era dotato di due
dormitori con otto stanze e delle “officine” necessarie (cucina, magazzini,
refettorio, stalla). Nel 1650 la famiglia religiosa era formata da quattro
sacerdoti, un chierico e un terziario.
CASTELVETERE
(CAULONIA)
Il monastero di S. Maria del Carmine, situato dentro le mura della
città, fu fondato nel 1530, col consenso del vescovo di Gerace, dal q.m. D.
Giovan Caraffa marchese di Castelvetere. Possedeva diversi terreni e cinque case.
Teneva una “Granchia nella montagna con un sacerdote per dir messa le feste e i
sabbati con un serviente, quali sostiene detto convento in ogni occorrenza e
necessità, quale granchia la fondò il B. Francesco da Zumpano sotto il titolo
di S. M. di Crochi”, e inoltre possedeva in comproprietà con il “monastero di
donne di detta città” un mulino, assegnatogli dal feudatario. La chiesa, di
struttura “di pietra e calce”, aveva una estensione di palmi 102 x 34. Nel 1650
la famiglia religiosa era di sei sacerdoti, cinque novizi e tre laici professi.
CORTALE
Il convento di S. Maria del Soccorso del “castello di Cortale” fu
fondato fuori dall’abitato nel 1547. L’università s’impegnò a versare un
contributo annuo di 25 scudi fino a quando il complesso religioso non fosse
stato ultimato. “Si finì detto monasterio, con dormitorio con cinque celle,
refettorio, chiesa, sacristia, precura, e cellaro”, ma venne distrutto dal
terremoto del 1638. Avviati i lavori di riedificazione, vennero successivamente
sospesi poichè l’università e i frati, con il consenso del vescovo di Nicastro,
decisero di trasferire la sede conventuale nell’abitato, “dove hoggi si sta con
grande divotione per esser nella piazza publica; et il detto vescovo donò [sia]
la chiesa sotto il titolo di S. Nicola che tutto quello che detta chiesa tenea.
Li PP. stanno in due palazzi con cellaro, precura, stalla, molino d’olivi”. Nel
1650 la famiglia religiosa era composta da due sacerdoti e un converso.
DASÀ
Il convento di S. Maria della Pietà e S. Giovanni in
Laterano di Dasà, in diocesi di Mileto, secondo quanto si legge nella relazione
del 1650, “fu fondato et eretto al 1503 alli 13 di gennaro”. Tuttavia,
trapelano dubbi e perplessità. Nel documento viene precisato che “[av]viata
ogni diligenza non s’ha potuto trovare la fondatione per trovar li patti et
conventioni tanto dell’una parte quanto dell’altra”, ma soprattutto che il dato
cronologico era ricavato da una concessione dei canonici di S. Giovanni in
Laterano a Pietro D’Amello fondatore del convento: “ma in virtù di una
concessione delli Canonici di S. Giovanni Laterano in Roma concessa a Giovan
Pietro D’Amello fondatore che li concessero che possa edificare la detta
chiesa, et doppo fabricata possa mettere in quella frati di S. Agostino, et
questa concessione è stata fatta al 1503 come di sopra alli 13 di genaro. L’ha
data al M. Rev.do P. (...) vicario nostro generale di questa congregatione con
patto che si pagassero anno quolibet libre tre di pepe a S. Giovanni Laterano
in Roma, et per quanto alle scritture si han viste dona d’obligo tre messe la
settimana per l’anima sua, [...] et dal fundatore sono state assegnate
l’infrascritte robbe: un horto circum circa il convento; censi bullari scudi
37; censi enfiteutici scudi 31; diversi piedi d’olivi in diversi luoghi
publici”. Studi recenti dimostrano che la decisione di fondare il convento
venne adottata dal capitolo della congregazione tenuto a Francavilla il 1
maggio 1552. In quella occasione il notaio Desiato Senatora di Castelmonardo
stipulò i “capitoli” di fondazione e dotazione tra Gian Pietro D’Amello e gli
zumpani (Cfr. A. TRIPODI, Notizie e documenti sul convento agostiniano di S. M.
della Croce di Francavilla Angitola, in “Analecta Augustiniana”, LIX (1996), p. 372). Nel 1554 il
vicario generale Geronimo da Scigliano andò a Roma “ut summus Pontifex
donationem factam a domino Ioanne Petro de Amello calabro de multis bonis
stabilibus applicandis ecclesiae de iure sui patronatus, ex quibus fieret
monasterium sub titulo S. Mariae ad Pietatem pro Congregatione Calabriae,
apostolicae autoritatis munimine roboraret” (T. DE HERRERA, Alphabetum
Augustinianum, Madrid,
1644, p. 426). La chiesa, sotto il titolo di S. Maria della Pietà e S. Giovanni
in Laterano, di palmi 28 x 45, aveva quattro altari, escluso quello maggiore,
dedicati a S. Nicola di Tolentino, a S. Monica “dipinta al muro”, al SS.mo
Rosario e a S. Michele Arcangelo. Nel 1650 la famiglia religiosa era formata da
due sacerdoti, un laico professo e un serviente.
DAVOLI
Il convento di S. Maria del Trono fu fondato il 7 giugno 1565, con il
consenso del vescovo di Squillace mons. Alfonso de Villalobos (1549-1568) dagli
“habitanti di detta terra di Davoli, li quali alla fundatione hanno dato per
loro divotione quello [che] bisognava per la fabrica”. La chiesa era lunga
palmi 80, larga palmi 40 e alta 50. Nel convento “serrato con claustro attorno”
dimoravano “per mancamento di frati” tre sacerdoti, un laico professo e un
serviente.
FRANCAVILLA
ANGITOLA
La data di fondazione del convento di S. Maria della Croce ai frati che
sottoscrissero la relazione del 1650 non
era nota: “non si sa certo l’anno che fu fondato, bensì il suffitto
antico della chiesa fu fatto l’anno 1521, come stà nella tabella”. In uno
studio pubblicato dal Serrao viene riportato l’anno 1502, verosimile se si
considera che intestati al convento sono un censo e una bolla pontificia datati
rispettivamente 1517 e 1518 (G. SERRAO,
Castelmonardo e Filadelfia nella loro storia, Filadelfia 1983, p. 22; A. TRIPODI, Notizie e documenti..., cit., p. 371). Il complesso religioso, nella visita del 1576, viene
descritto nei termini: “doppo una pessima strada giunsi al nostro convento di
Franchavilla. Questo convento è in campagna lontano dall’habitationi da dui
miglia di via; gli è una
bella chiesa con tribuna e sacrestia, campanile con tre belle campane. Il
convento serrato, con due parti di dormitorio, fatto con claustro in mezzo con
molti piedi di malangoli; le cammerate assai comode; [...] la chiesa et altari
et stuccano sono al solito di Calabria” (AGA, Aa, vol. XI, f. 504). La chiesa,
con undici altari compreso il maggiore, conservava una statua in marmo bianco
di S. Maria della Croce, commissionata nel 1542 dal priore p. Giovan Matteo
Mileto allo scultore Giovan Battista Mazzolo, attivo in Messina negli anni
1515-1550 (Il contratto per la realizzazione della statua è riportato in F. ACCETTA, Il convento di S.
M. della Croce dei pp. agostiniani in Francavilla Angitola, in “Analecta Augustiniana”,
LVII (1994), pp. 159-160). Altre opere segnalate sono le statue lignee di S.
Nicola da Tolentino e del Crocifisso, le tele raffiguranti Francesco da
Zumpano, la Natività, la fuga in Egitto, S. Nicola da Tolentino, la SS.ma
Trinità, la Vergine Addolorata, S. Tommaso di Villanova, la Madonna degli
Afflitti, S. Agostino, la Madonna del Buon Consiglio. Proporzionata
all’importanza e alla funzione del convento, sede di noviziato e di studio, era
la sua ricettività: 26 stanze distribuite in quattro dormitori, più “tre
camerate per li conversi” e gli ambienti destinati alle “officine” (refettorio,
cucina, forno, ect.). Nel 1650 la famiglia conventuale era composta da sette
sacerdoti, un chierico, nove conversi professi, tre servienti e due garzoni,
per un totale di 22 unità.
GIOIA
TAURO
Del monastero di S. Sebastiano di Gioia, in diocesi di Mileto, nella
relazione del 1650 si legge che “non si può saper l’anno della fondatione e con
che autorità fosse eretto a causa che detto convento fu saccheggiato et
abbruggiato dalle Galere di Biserta l’anno 1625, et per quello che li più
antichi huomini si raccordano, giudicano che fosse eretto più d’ottanta anni
sono”. Le bolle di Pio IV Dum post quam nos del 17 marzo e del 1
dicembre 1561 confermano l’esistenza del convento in quell’anno. Infatti il
pontefice concedeva “indulgentia plenaria in forma hubilaei [...] visitantibus
ecclesiam monasterii S. M. de Populo O.S.A. in oppido de Gioia, Militen. dioc.”
(F. RUSSO, cit., vol. IV, pp. 332 e 340, nn. 20931 e 21005). Le strutture del
convento a distanza di molti anni portavano i segni delle incursioni
turchesche: “Attaccati a detta chiesa le mura del claustro dalla parte della
marina et della montagna vi erano cinque stanze terrane, che servivano per
cantina, furno, dispensa e foresteria, adesso sono distrutte; solo vi sono le
mura disfatte dalli Turchi l’anno 1625. Vi è un dormitorio fatto a lamia sopra
il quale vi sono cinque camere con tre stanze di sotto”. Le difficoltà
economiche impedivano non solo di rimediare ai danni subiti, ma anche di mantenere
il numero prefissato della famiglia religiosa: “Ci stavano dalla fundatione di
detto convento di famiglia quattro sacerdoti, due professi, et un laico
serviente, et il garzone che attendea alla masseria. Dopo per rifarsi il detto
convento vi sono stati due soli sacerdoti et un laico professo”.
GIOIOSA
IONICA
Il monastero di S. Maria del Soccorso fu fondato nel 1569 da Diana
Aroncia, con il consenso del vescovo di Gerace. Nel complesso religioso, dotato
di un dormitorio con cinque stanze e “due terranee”, dimoravano due sacerdoti,
due laici professi e un serviente, che si sostenevano mediante le elemosine
raccolte poichè “detto monastero non possiede terre che perciò non ha grano,
non possiede nè biada, nè legumi, nè caravi, nè lino, nè legna grossi nè minuti”.
MONTEPAONE
Il monastero di S. Maria degli Angeli, ubicato “in piano fuori di detta
terra in luoco aperto distante da detta terra spatio meno d’un quarto di miglia
nella strada publica, quale terra è murata attorno et dall’uscir da detta terra
si vede in piano detto convento”, fu fondato nel 1539 con il consenso del
vescovo di Squillace mons. Alonso Fajardo. La chiesa, di estensione palmi 100 x
30, era dotata di 14 altari, compreso quello maggiore. In essa aveva sede una
confraternita di S. Monica. Il convento era dotato di due dormitori con sette
stanze complessive, uno “fornito con l’altare de’ Morti”, l’altro “con una
torretta”. Nel 1650 la famiglia religiosa era composta da tre sacerdoti e un
laico professo.
REGGIO
CALABRIA
Nella relazione del 1650, il priore p. Sempliciano di
Davoli sostiene che della “fondatione non se ne può havere notitia a causa che
la città fu più volte saccheggiata de’ Turchi et si sono perse le scritture a
causa che li PP. esistenti in quel tempo lasciarono il convento, et doppo molti
anni, alli 14 di maggio 1639, per richiesta di detta città, col consenso del
capitolo, sede vacante, fu reintegrato”. A compensare la dispersione
dell’archivio conventuale è la documentazione conservata nell’AGA di Roma nel
vol. XI (AGA, Aa, vol. XI, ff. 130-137, 158-170. Cfr. F. ACCETTA, La
presenza agostiniana a Reggio Calabria. Fondazione (1589-90) e integrazione
(1639) del convento, di prossima pubblicazione in “Rivista storica
caiabrese”). Dall’esame di quei documenti si apprende che nel capitolo della
congregazione del 1589, celebrato nel convento di S. Maria della Pietà di
Soverato, p. Agostino della Roccella, già vicario della congregazione nel 1569,
ai pp. convenuti riferì che da molti anni i cittadini di Reggio desideravano
avere “un monasterio et edificarlo dell’Ordine Eremitanj del P. S.to Augustino
del Beato Francesco de Zumpano”, e domandò “licenza et loro benedittione
d’andare alla città di Rheggio, et contrattare et negotiare per detto
monasterio, et si fosse di bisogno a dire messa et confessare iusta la forma
del Sacro Santo Concilio di Trento con un altro padre associato, et quando sarà
necessario per beneficio di quello loco”. Il 24 aprile 1589 il vicario della
congregazione p. Matteo da S. Caterina e i
componenti del definitorio concessero “licentiam et benedictionem ut
R.dus pater Augustinus associatus ire possit in civitate Rhegij [...] coenobium
percepiendi causa”. Raggiunta Reggio, p. Agostino ottenne dal vicario
dell’arcivescovo mons. Gaspare del Fosso, con decreto del 28 maggio 1589,
l’autorizzazione a svolgere la missione ministeriale e di apostolato nella
città e diocesi reggina. Nel frattempo le autorità locali chiesero alla curia
arcivescovile che agli agostiniani fosse assegnato un luogo di culto, in
particolare la chiesa di S. Maria della Melissa che nel frattempo era stata
abbandonata dai pp. della Trinità della Redenzione de’ Cattivi. La richiesta
non fu disattesa; infatti, nel luglio del 1589 l’arcivescovo del Fosso diede il
suo assenso.
Nella documentazione esaminata,
conservata nell’archivio generale agostiniano di Roma, purtroppo, non è
reperibile il relativo decreto. Tuttavia le condizioni e i termini della
concessione della chiesa possono essere ricavati dalle disposizioni impartite
dal vicario degli zumpani p. Matteo da S. Caterina. Questi, il 26 luglio 1589,
autorizzava il citato p. Agostino a “provvedere de uno o duo diaconi e due
sacerdoti della nostra congregatione che servano in quella chiesa di S.ta Maria
de Melissa quale è stata assegnata dalli Ill.mo et Rev.mo Mons. di Rheggio e
del molto Rev.do suo vicario, sincome contiene la sua licenza scritta in questo
mese di luglio”, e a riconoscere l’autorità dell’arcivescovo: “habbia da
eseguire quanto sua signoria ill.ma et rev.ma et suo molto rev.do vicario le
sarà comandato”. Da ciò risultano le condizioni imposte dalla curia: gli
zumpani dovevano mantenere una famiglia conventuale composta da un minimo di
cinque/sei membri, di cui due sacerdoti; e rinunciare al privilegio
dell’esenzione episcopale. Circa un mese dopo, il 29 agosto 1589, il vicario
diocesano promulgava un decreto che costituiva un ulteriore passo all’apertura
del convento. Infatti, sotto pena di scomunica, ordinava alla confraternita di
S. M. della Melissa, che aveva sede nella chiesa, di destinare al p. Agostino
della Roccella tutto il necessario per dimorare in città e per officiare le
sacre funzioni. A seguito di questi provvedimenti furono stipulati i capitoli
che dovevano regolare i rapporti tra la confraternita e i frati. Nel
documento, approvato dall’arcivescovo Gaspare del Fosso il 17 gennaio 1590, gli
aspetti spirituali e temporali sono specificati e distinti in 19 punti.
Innanzitutto, la confraternita e i frati tengono a precisare la loro reciproca
autonomia nelle pratiche devozionali, opere di culto, rapporti con il clero
locale: “in primis che detta confraternita possa esercitare le solite sue
devotioni nella detta chiesa [...]; quanto ai culto divino et servitio di detta
chiesa li padri l’haveranno da fare secondo lo rito de loro religione”. Seguono
poi i rispettivi obblighi e concessioni. La congregazione doveva garantire:
1. La presenza di tre sacerdoti per la celebrazione di
tre messe quotidiane presso l’altare maggiore, dove “se habbia da tenere la immagine
di essa Santa Maria della Concettione”.
2. Mantenere il titolo della chiesa con l’obbligo di
estenderlo al convento.
3. La partecipazione della confraternita, unitamente al
capitolo e al clero della città, alla celebrazione della festa della titolare.
4. L’esenzione della confraternita da qualsiasi
contributo economico relativo alle messe e agli “officij divini”.
5. Il diritto di ogni confratello e dei suoi familiari
ad essere sepolto nella chiesa “franchi d’ogni pagamento”.
In caso d’inadempienza la
confraternita si riservava il diritto/dovere di far fronte alle necessità della
chiesa, come ad esempio chiamare altri sacerdoti, acquistare paramenti e altro,
sempre e comunque a spese del convento.
Da parte sua la confraternita
assegnava ai frati, per “loro vitto et vestiario” e per “servitio di cera et
oglio per lo culto divino”, tutte le entrate e il patrimonio della chiesa,
riservandosi le elemosine della “cascietta”, i proventi del “crocifisso a tempo
delli morti”, una rendita annua di 12 ducati sul patrimonio ceduto.
Inoltre la confraternita
s’impegnava a “consegnare et relassare a detti padri li vestiti, paramenti et
giogali della detta chiesa quale habbiano dare con inventario”.
Infine, sono elencate le
clausole che dovevano regolare l’identificazione, la conservazione e la
restituzione del patrimonio, delle rendite e degli arredi sacri, qualora gli
agostiniani fossero stati costretti a lasciare Reggio. Redatte sulla base delle
esperienze passate tali forme di assicurazione e di tutela prevedevano la
compilazione di inventari e coinvolgevano nelle responsabilità i singoli
religiosi e l’Ordine.
A seguito delle incursione
dei Turchi del 1594 che distrussero Reggio, i religiosi abbandonarono il
convento di S. Maria della Melissa, ma mantennero con la città un rapporto
saltuario e occasionale regolato da esigenze pastorali. Per la quaresima del
1639 venne chiamato a predicare nel duomo di Reggio il p. Deodato Solera,
“deffinitore generale apostolico perpetuo, qualificatore del Sant’Officio del
Regno di Sicilia, teologo deputato et esaminatore perpetuo della curia
arcivescovile di Palermo e di Monreale”. Questi, abilissimo predicatore,
produsse nell’opinione pubblica un movimento favorevole affinchè gli
agostiniani fossero reintegrati in Reggio. A tal proposito è significativo
quanto il Solera, in una lettera del 20 ottobre 1639, scrive al cardinale
protettore: “predicando io questa quaresima, risvegliai quel fuoco di devotione
verso la Religione [di S. Agostino] che acceso stava sotto le ceneri della
nostra solita negligenza, onde i cittadini, quasi dal letargo isvegliati, fanno
istanza alli sindaci che dovessero domandare al mons. vicario capitolare la
reintegrazione della Religione e riceverla com’era prima. I sindaci proposero
questa petitione al consiglio il quale, nemine discrepante, annuit e [la] fece
sua. Per mezzo de’ sindaci e suo procuratore chiesero ciò al vicario, il quale
propose il partito al Capitolo e si commonò un decreto che reintegrentur Patres
Divi Augustini sicut prius erant. Et il vicario e il Capitolo mandarno l’abbate
Pontio col notaio apostolico e mi diermo il possesso della chiesa di S. Nicolò
de’ Miracoli vicino le muraglie della città attaccata al quartiero de’
Spagnoli, quale sette mesi sono possiedo e ufficio con quattro sacerdoti et
altri quattro diaconi con esempio e comune soddisfatione de’ popoli”.
L’apostolato degli
agostiniani, se da una parte aveva eccitato l’entusiasmo dei cittadini sfociato
nella decisione di chiedere al vicario capitolare un decreto di reintegrazione
(14 maggio 1639), dall’altra aveva provocato il risentimento e le proteste
degli altri Ordini mendicanti presenti nella città dello stretto. Infatti i
domenicani, i minimi, i riformati e i cappuccini il 5 agosto 1639 presentarono
alla congregazione dei vescovi un ricorso affinché fosse impedita la riapertura
del convento agostiniano: “in verun modo possono detti religiosi fondare
convento in questa città senza il nostro consenso, et mons. vicario capitolare
accettandoli e mantenendoli ci fa molto aggravio [...], le Vostre Emminenze
restino servite ordinare a detto mons. vicario capitolare che faccia partire
detti religiosi di S. Agostino, et non l’ammettano all’erettione di novo
monasterio senza il nostro consenso, nè vengano a processioni, che oltre tutto
ciò è di giustizia lo riceveranno a somma gratia [...]”.
Il p. Deodato Solera, riuscl
a raccogliere documenti e testimonianze con cui dimostrare che nel passato gli
agostiniani avevano avuto un convento a Reggio e rendere inconsistente il
ricorso: “I domenicani con gli altri regolari hanno trepitato non potendo
soffrire l’applauso col quale siamo stati ricevuti e reintegrati, della quale
reintegratione e non fondatione ho mandato le scritture autentiche al
procuratore generale, dove appare il gran mandace asserto de’ padri domenicani
che giammai la Religione Agostiniana fosse stata per la dietro in questa città
di Reggio e perché appaia maggiormente questa bugia s’è presa sommaria via
juris, ed i più seniori e seniori della città testificarono de visu l’essere
stata habitante la Religione per gran pezza d’anni nella chiesa di S. Maria
della Melissa”.
Lo scopo del ricorso sembra
che andasse oltre la semplice violazione delle disposizioni apostoliche circa
l’assenso che bisognava chiedere alle altre famiglie religiose già dimoranti in
un luogo per procedere a una nuova fondazione. In una lettera del 23 giugno
1639, inviata al priore generale, il p. Solera propone una chiave di lettura
che mette in ombra i protagonisti della vicenda e in particolare i domenicani.
Questi ultimi avrebbero iniziato e sostenuto la querelle al solo fine di
ammorbidire la rigida opposizione degli agostiniani all’apertura di un loro
convento a Pizzo (Per i contrasti tra agostiniani e domenicani per la
fondazione di nuovi conventi cfr: M.
MARIOTTI - E. ACCETTA, Per uno studio della riforma agostiniana in Calabria
(secc. XV-XVIII), in
Geronimo Seripando e la chiesa del suo tempo nel V centenario della nascita, convegno di Salerno 1994,
Roma 1997, pp. 291-378).
Nel frattempo p. Solera si
adoperava al fine di ottenere un’altra chiesa poiché quella di S. Nicolò de’
Miracoli, concessagli dal vicario capitolare, era ubicata in un luogo
sfavorevole con gravi ripercussioni al comodo sostentamento dei religiosi: “se
ne sta attaccata al quartiere de’ Spagnoli nel fine della città e circondata di
batteria, il perché le signore divote, dalle quali potiamo havere heredità,
lassiti, elemosine, recusano di venire”. In particolare la sua attenzione si
rivolgeva alla chiesa di S. Maria di Porto Salvo “la quale è più grande e più
bella, nel mezzo d’un piano vicino la piazza, alla riva del mare, dentro le
muraglie della città et vicino alla Porta Reale di questa città, et tiene
concorso et elemosine molte”. Tuttavia, nonostante il consenso delle varie
componenti sociali, e soprattutto del vicario capitolare, vi erano delle
difficoltà: la confraternita dei pescatori, che nella chiesa aveva sede, si
opponeva sostenendo di avere un “breve che qualsivoglia Religione o Preti non
possino mandare via la loro confraternita”. Al fine di superare le resistenze
ed aggirare l’ostacolo, p. Solera sollecitò il procuratore generale dell’Ordine
e il cardinale protettore a richiedere alle autorità pontificie “un breve
perché possino pigliare questa chiesa [...] senza che ne possano contradire i
confratri, nè qualsivoglia Religione”. Le iniziative intraprese non diedero il
risultato sperato e nel 1647 i frati avviarono la costruzione di una nuova
chiesa sotto il titolo di S. Maria della Consolazione.
Riguardo la situazione
economica del convento, nella relazione del 1650 si legge che “d’elemosine di
funicelli, pane, vino, oglio, carne, denari, mobili per la chiesa, legumi,
elemosine di messe manuali et altre elemosine incerte, ma consuete de’ diversi
nostri benefattori l’un anno per l’altro ne può conseguire dedotta la spesa per
ridurre il detto funicello a seta annui romani scudi 530”. Le uscite
assommavano a scudi 524. La voce più significativa era l’impegno di 100 scudi
annui “per compirsi la fabrica di detta chiesa [che] si potrà finire fra sei o
otto anni”. In quell’anno la famiglia religiosa era composta da quattro
sacerdoti, un chierico e tre laici.
SOVERATO
Il monastero di S. Maria della Pietà, situato “fra la terra di Soverato
e di Petrizzi”, fu fondato dal B. Francesco di Zumpano. L’anno di fondazione
non era noto perché “è stato più volte bruggiato da Turchi et tutte le
scritture si persero, et per quanto ricordano li vecchi delli luoghi vicini
dicono che fu fondato da 160 anni [or] sono”, cioè nel 1490 circa. A causa
delle incursioni turchesche l’edificio conventuale era “chiuso d’ogni torno con
alte mura tutti eguali, con tre torri e porta di ferro; ha il campanile alto
che serve per ritirata e fortezza del monastero, formato a modo di castello con
balestieri attorno”. Nella chiesa conventuale venne sepolto, nel 1519, il
fondatore della congregazione, il ven. Francesco da Zumpano. Il 28 aprile 1577
il vescovo di Squillace mons. Marcello Sirleto “per sua divotione si ritrovò
presente alla traslatione delle ossa del corpo del B. Francesco di Zumpano
nostro fondatore”, che ricomposte in un’urna, furono collocate sotto l’altare
del principe di Squillace (D. CIRILLO, Soverato 1577, notizie storiche sul
culto pubblico reso al Beato Francesco da Zumpano nella chiesa del monastero
della Pietà di Soverato, Chiaravalle
1979). Nel 1650 la famiglia conventuale era formata da sei sacerdoti, un
chierico, due laici professi.
SPADOLA
Il monastero di S. Maria del Carmine fu fondato nel 1527 dal p.
Giovanni Apa compagno del Beato Francesco di Zumpano su richiesta
dell’università locale e con il consenso del vescovo di Squillace. La chiesa,
di palmi 136 x 30, era frequentata “con divotione grande di tutto il popolo”.
L’edificio conventuale era completato nelle sue strutture essenziali, ma per il
terremoto del 1638 “5 camere dalla parte di dentro il claustro si diruparono
per essere malfatte, con il campanile”. Nel 1650 la famiglia religiosa era
formata “per la scarsezza di frati” da quattro sacerdoti, un chierico, tre
laici professi e un serviente.
STALITTI’
Del convento di S. Maria del Soccorso ai frati che sottoscrissero la
relazione del 1650 non era noto l’anno di fondazione: “Intorno al tempo o
licenza della fondatione di detto monasterio non si può assegnar certa notitia,
mentre l’anni passati il casale sopradetto insieme col monastero fu
saccheggiato da Turchi due volte, furono abbruggiate molte scritture del
monastero; ad ogni modo per relatione datici da huomìni antichi degni di
credito fu fondato detto monastero l’anno del signore 1590”. La chiesa sotto il
titolo di S. Maria del Soccorso, con “gagliarde fabriche di struttura per longo
15 passi et per lato 5 1/2, era molto frequentata per la devozione “della
Cintura di S. Agostino e per la consecutione dell’indulgenze”. A causa delle
incursioni dei turchi il monastero era “in atto di fabrica, con 6 stanze
habitabili in actu, et molte altre non finite, circundate per tutto da
gagliarde mura di quattro palmi di grossezza; si seguita tuttavia la fabrica
con diligente agiuto di patrioti sì per la devotione come anco perché servisse
loro per fortezza in caso de’ Turchi”. Nel 1650 dimoravano due sacerdoti, un
chierico professo e due terziari.
STILO
Il convento di S. Antonio Abbate, ubicato lontano “dall’habitatione da
cento passi in circa”, fu fondato da p. Alfonso Russo nel 1563. La chiesa,
“frequentata con devotione et concorso de’ popoli particolarmente per la
frequenza de’ miracoli che si dispensano alla giornata dal glorioso S. Nicolò
di Tolentino, posto in una cappella eretta dentro detta chiesa a devotione de’
particolari”, preesisteva al convento, essendo stata costruita dalla
confraternita di S. Antonio Abbate e poi ceduta ai frati, i quali con il
contributo dei fedeli la restaurarono e l’ampliarono “in modo che hoggi in
tutto è di palmi 43 di lunghezza et 20 larga col profitto fatto da devoti di S.
Nicolò di Tolentino”. Era dotata di quattro altari, compreso quello maggiore,
dedicati a S. Maria della Consolazione, raffigurata nella pala con S. Agostino
e S. Antonio; a S. Nicolò di Tolentino “quale sta dipinto nel muro, et intorno
vi stanno dipinti li miracoli in tela”; a S. Maria della Sanità rappresentata
in un quadro di tela con S. Agostino e S. Monica; infine l’altare di S. Andrea
dove era una tavola con la Madonna delle Grazie, S. Andrea Apostolo e S.
Antonio. Nel 1650 la famiglia religiosa era formata da due sacerdoti e un
serviente.
TERRANOVA
Il monastero di S. Maria del Soccorso di Terranova fu fondato il 20
luglio 1531 con consenso “universale di tutti li cittadini [...] con l’assenso
di mons. vescovo d’Oppido sotto il pontificato di Clemente VII, essendo vicario
della congregatione il p. f. Ludovico Bosco”. L’università si impegnò a versare
50 scudi l’anno per dieci anni per la costruzione della chiesa “qual’è finita
senza obligo, [...] di struttura di larghe e grossa mura di lunghezza di palmi
107, larga palmi 33, alta palmi 54 1/2”. Il monastero era “chiuso attorno con
due dormitorij in quattro con 17 stanze et con sue officine commode per li
bisogni”, era abitato da sette sacerdoti, tre laici professi, due servienti e
un garzone.
VARAPODIO
Il monastero di S. Maria delle Grazie fu fondato il 19 aprile 1571
dall’università con il consenso del vescovo di Oppido mons. Giovanni Maria
D’Alexandris. Nel complesso religioso, dotato di due dormitori e “officine”
necessarie, dimoravano quattro sacerdoti e due laici.
4. L’inchiesta innocenziana e la fine della congregazione.
La bolla instaurandae regularis disciplinae emanata da Innocenzo
X per abolire le case religiose che, per carenza di persone o di beni, non
fossero in grado di garantire la “regularis obeservantia”, interessò il 69%
degli insediamenti zumpani. Nella congregazione di Calabria Citra furono chiusi
15 conventi su 20, mentre nella congregazione di Calabria Ultra la soppressione
intervenne per 14 conventi su 22 (tab. 4).
__________________________________________________________
Tab. 4 - CONVENTI SOPPRESSI
NEL 1652
Calabria Citra Calabria
Ultra
Albi Agrusto
Aprigliano Bombile
Belvedere Borgia
Casole Bovalino
Cotronei Brancaleone
Crucoli Castelvetere
Macchia Cortale
Magli Dasà
Nicastro Davoli
Paterno Gioia
Rovito Gioiosa
S. Stefano Montepaone
Scigliano Stalittì
Sellia Stilo
Zumpano
__________________________________________________________
Giudicato eccessivamente severo, il provvedimento innocenziano provocò
in generale la protesta delle autorità civili e l’opposizione dei religiosi. La
Congregazione sullo stato dei Regolari riconsiderò la posizione di molti
conventi giungendo per alcuni alla revoca della soppressione. Agli zumpani
furono restituiti i conventi di Castelvetere e Zumpano. Gli effetti della
soppressione del 1652 sulla congregazione degli zumpani emersero negli anni
successivi allorquando il priore generale si rese conto che non era possibile
mantenere con un ridotto numero di conventi la preesistente struttura
dell’Ordine in Calabria e prospettò la possibilità di fondere i superstiti
conventi della provincia di Calabria e della congregazione in un unico
organismo. Per definire il nuovo assetto organizzativo, nel 1662 ordinò la
convocazione di un “capitolo privato” a Catanzaro. Le decisioni adottate in
quella occasione, e cioè l’abolizione della congregazione degli zumpani e della
provincia di Calabria, e la creazione di due province con il nome di Calabria
Ultra e di Calabria Citra, furono ratificate da Alessandro VII con il breve Militantis
ecclesiae del 30 settembre 1662.
APPENDICE
CAPITOLI PER LA FONDAZIONE DEL CONVENTO
DI REGGIO CALABRIA
da AGA, Aa, XI, ff. 130-131v
Capituli e fatti con li quali li maestri e confrati della ecclesia di
Santa Maria della Melissa della città di Rheggio lassano cedino donano e
ridonano alli R.di Padri dell’Ordine di Santo Agustino li quali sono stati
introdutti a detta chiesa dalli maestri et confrati dell’ecclesia con volontà,
intervento e consenso dell’Ill.mo e Rev.mo monsignore Gaspare del Fosso
arcivescovo di detta città et assentimento delli maestri et confrati a servitio
de’ nostro Signore Iddio, augumento del culto divino et salute dell’anime de’
suoi fedeli beneffatori et defunti nella detta chiesa, quali capitoli fra de
loro se hanno da osservare semper et in perpetuum ut infra.
1. In primis che detta confraternita possa esercitare le solite sue
devotioni nella detta chiesa come faceva prima, e che goda dell’entrate et
elemosine lassate o da lassarsi alla dispositione della cascietta della detta
chiesa et allo modo infrascritto, per la rata infrascritta quali si declara
nelli presenti capitoli per non succedere discordia et cose inconvenienti fra
di loro.
2. Item che quanto a culto divino et per servitio di detta chiesa li
padri dello detto Ordine l’haveranno da fare secondo lo rito de loro Religione,
all’onore d’Iddio et edificatione del popolo, et che si tenghino quello numero
de’ padri che conforme alla possibilità del convento si possino trattenere per
complire detto servitio et divino culto, e fra quelli ne tenghino almeno tre sacerdoti
per soddisfare alle messe di essa chiesa de’ Santa Maria de Melissa ogni giorno
dell’anno, talmente che in detta chiesa di S. M. de Melissa ci siano ogni
giorno tre misse; quali tre misse se havranno da celebrare nell’altare maggiore
di quella, oltre di quelle che si celebreranno nello detto monasterio per
devotione d’altre persone in altro altare; per la celebratione delle quali
misse et officij divini essi maestri et confratri non ci habbiano di
contribuire cosa alcuna ne oglio per lampe ne candele per misse et officij
divini, ma l’habbiano de mettere essi padri de Santa Maria de Melissa, et
mancandosi alla celebratione di quelle […] possono mettere e chiamare preiti de
fuori et far detto servitio alle spese delli padri di detto convento quando dette
misse non si celebrassero per mancamento di detti padri.
3. Item in detta chiesa di Santa Maria de Melissa li confratri faranno
liberamente quelli officij et pregheri che solevano prima fare; nell’hore et in
quelli huorni che le faranno non siano quell’hore quali li frati staranno
dicendo l’officio, misse loro et sempre che voleranno entrare per dir loro
devotione aprirle le porte della chiesa et non impedirli lo loro officio, overo
andare alle loro devotioni et consuete processioni, ma più presto lo debbiano
favorire et aggiutare et similmente quando voleranno fare alcuno legato con la
campana per congregarsi essi confratri che lo possano fare, et il Crocifisso
resti per li confrati delli quali se ne possono servire a loro piacere et il
provento del Crocifisso a tempo delli morti sia delli confratri per servitio
dell’altare di detta chiesa.
4. Item che tanto la chiesa come il convento se habbia chiamare et
intitulare si come al presente si chiama sotto l’invocatione et nome di Santa Maria
della Melissa et non d’altro Santo o Santa; et all’altare maggiore se habbia da
tenere la immagine di essa Santa Maria della Concettione et alla parte sinistra
dove al presente si trova il Crocifisso se habbiano et possono tenere il
Crocifisso et quando dalle prime vespere et messe del giorno della sua
festività per farse con più sollennità et devotione li confrati presenti
voleranno chiamare il capitolo et clero della madre ecclesia acciò giontamente
con li padri del convento faccino et celebrino la festività della detta chiesa
sia permesso ad essi confrati chiamare quanti a loro parerà, et essi padri del
convento li accetteranno a celebrare la detta sollennità insieme con loro et
potranno nella detta festività detti confrati delle elemosine et appatimenti
alla dispositione dare da mangiare a poveri et far simili opere di charità
distribuendo quello che li parerà comperare et distribuire secondo loro
costume.
5. Item che tutte le entrate et beni della chiesa et confraternita quali
al presente se tratta possedere siano pleno iure delli padri del detto
monasterio per loro vitto et vestiario, delle quali entrate essi maestri et
confrati anno quolibet ne habbiano et possono havere docati dodici quali
possono spendere per la festa della detta chiesa et per distributione di dette
elemosine et altri bisogni occorreranno a detta Confraternita come a detti
maestri et confrati parerà conforme all’antiquo solito; delli quali docati
dodici li maestri che si troveranno ne habbiano da donare conto alli maestri
che saranno eletti per l’altra annata seguente et al canonico deputato per
Monsignore Ill.mo Arcivescovo di Rheggio o suo R.do Vicario Generale; quali
docati dodici detti maestri annuatim et in perpetuum se li possono pigliare de
qualunque sorte de entrata di detta chiesa in lo mese di augusto et in specie
dalle entrate della terra et giardino della detta chiesa a beneplacito d’essi
maestri, e li monaci non possono interraggiare la terra ne esiggere la entrata
di detto giardino senza l’intervento di detti maestri, li quali maestri se
habbiano da eliggere ogni anno per li confratri di detta confratria come si
facia per il tempo passato.
6. Item che detti docati dodici li detti maestri se li possono pigliare
dalle entrate ut supra et in specie della detta terra quale è nello tenimento
di Rheggio in contrata Fiumiturbali, et quelli anni che detta terra vieni
seminata luppinu se la possono pigliare dalle entrate delli censi, overo dalli
luochi delle case della detta chiesa, overo dove piacerà ad essi maestri.
7. Item che
tutto lo resto dell’intrate presente se li possono esiggere essi monaci di
detto monasterio et quelle convertire in beneficio delli detti padri et monaci
per lo vitto et vestito et per servitio di cera et oglio per lo culto divino.
8. Item che ogni lassito tanto temporaneo quanto perpetuo si farà alla
cascitta et confraternita della detta chiesa che sia pieno iure di essa
confraternita et non ne habbiano da fare cosa alcuna essi padri del detto
monasterio.
9. Item che tutte quelle entrate tanto temporanee quanto perpetue quali
saranno lassate o se lasseranno in futurum alla detta chiesa overo alli detti
padri et convento per loro vitto et vestiario et servitio del culto divino
della detta chiesa.
10. Item che detti padri dello detto convento semper e in perpetuum delle
entrate di detta chiesa habbiano da tenere fornito l’altare di giogali et
paramenti per lo culto divino conveniente alle entrate e qualità della detta
chiesa.
11. Item che detti maestri habbiano da consignare et relassare a detti
padri tutti li vestiti paramenti et giogali della detta chiesa quale habbiano
dare con inventario fatto per atto pubblico.
12. Item che essi maestri li promettino consignare alli detti padri la
platea de tutte le robbe et entrate della detta chiesa di Santa Maria de la
Melissa quali sono descritte in detta platea nelli atti di notar Giov. Petro
Mallino, della quale ce ne promettono dar copia in pergamena a di spese di
detta chiesa.
13. Item che se per alcuno futuro tempo per qualsivoglia causa et in
specie per invasionj de infedeli o inemici di sua Maestà et per peste da detta
chiesa de Santa Maria de Melissa si partissero detti padri di detta Religione
et non torneranno fra termino di uno o doi anni che dementre non torneranno che
non possano nè in tutto nè in parte portar con loro nè rendite nè giogali nè
paramenti di detta chiesa, ma restino ditte rendite et giogali et paramenti et
robbi in detta chiesa et confratria come erano prima.
14. Item che essi padri habbiano da fare notificare lo presente capitolo
dal Reverendo padre Provinciale seu Vicario di detta Religione con tutte quelle
sollennità che in simile ratificatione si ricercano.
15. Item che ogni uno confrate presente e futuro della detta chiesa et confratria
et gente di casa sua sempre et in perpetuum si possano atterrare entro detta
chiesa franchi d’ogni pagamento et essi padri non le possano domandare cosa
alcuna per la ragione della sepoltura.
16. Item che mancando essi padri tenere fornito l’altare predetto di
giogali et vestimenti necessari che possano essi maestri et confrati
liberamente pigliare autorità propria et de fatto delle entrate della detta
chiesa donare ad essi padri tutto quello che sarà necessario per accomodare
detto altare e chiesa.
17. Item che in omnibus et per alia se intenda semper salvo assensu et
consensu Sanctissimi Ponteficis et non alter nec aliis.
18. Item fu di patto che perdendosi qualche vestimento calice o altra
robba delli giogali di detta chiesa che essi padri ne habbiano dar conto, et
obligati in ampia forma la Religione di rifarli o pagarli et questo si fa acciò
si habbia più pensiero de conservare et non portarli a torno come hanno fatto
altri religiosi che si sono partiti hanno alientato alcuni giogali.
19. Item detta chiesa de Melissa si dona a li padri di Santo Augustino per
essersi partiti i padri della Trinità della Redentione de’ Cattivi et lasciando
la chiesa ad essi confrati per non ci havere volontà di habitare et stare in
essa.
CONVENTI
ZUMPANI IN CALABRIA
1. Acquaro (1546) - S. M. del Soccorso - dioc. di Mileto
2. Agrusto (1593) - S. M. della Sanità - dioc.
di Squillace
3. Albi (1570) - S. M. della Misericordia -
dioc. di Catanzaro
4. Aprigliano
(1490) - S. M. delle Grazie - dioc. di Cosenza
5. Belvedere (1535) - S. Venere - dioc. di
Cariati
6. Bombile (1506) - S. M. della Grotta - dioc.
di Gerace
7. Borgia (1593) - S. Leonardo - dioc. di
Squillace
8. Bovalino (1617) - S. Leonardo - dioc. di
Gerace
9. Brancaleone (1580) - S. Sebastiano - dioc.
di Bova
10. Bruzzano
(1544) - S. M. delle Grazie - dioc. di
Gerace
11. Casole (1526) - S. Michele Arcangelo - dioc. di
Cosenza
12.
Castelvetere (1530) - S. M. del Carmine - dioc. di Gerace
13.
Castiglione (1572) - S. M. della Pietà - dioc. di Tropea
14. Cortale
(1547) - S. M. del Soccorso - dioc. di Nicastro
15. Cosenza (1426-1522) - S. Agostino - dioc. di
Cosenza
16. Cotronei
(1612) - S. Marco - dioc. di Santa Severina
17. Crucoli
(1518) - S. M. Annunziata - dioc. di Umbriatico
18. Dasà (1553) - S. M. della Pietà - dioc. di Mileto
19. Davoli
(1565) - S. M. del Trono - dioc. di Squillace
20. Francavilla (1502) - S. M. della Croce - dioc. di
Mileto
21. Gioia (1561) - S. Sebastiano - dioc. di Mileto
22. Gioiosa
(1569) - S. M. del Soccorso - dioc. di Gerace
23. Macchia (1590) - S. M. della Sanità - dioc. di
Cosenza
24. Magli
(1580) - S. M. della Croce - dioc. di Cosenza
25.
Martirano (1574) - S. M. Annunziata - dioc. di Martirano
26.
Montepaone (1539) - S. M. degli Angeli - dioc. di Squillace
27. Nicastro (1591) - S. M. della Sanità - dioc. di
Nicastro
28. Nocera (1500) - S. M. di Loreto - dioc. di Tropea
29. Papanice (1607) - S. M. Annunziata - dioc. di
Crotone
30. Paterno
(1588) - S. Marco - dioc. di Cosenza
31. Reggio (1590) - S. M. di Melissa - dioc. di Reggio
32. Rovito
(1524) - S. M. delle Grazie - dioc. di Cosenza
33. Santo Stefano (1571) - S. M. Annunziata - dioc. di Cosenza
34. Scigliano (1531) - S. Agostino - dioc. di
Martirano
35.
Sellia (1570) - S. M. delle Grazie - dioc. di Catanzaro
36. Soverato (1490) - S. M. della Pietà - dioc. di
Squillace
37. Spadola
(1527) - S. M. del Carmine - dioc. di Squillace
38. Stalittì
(1590) - S. M. del Soccorso - dioc. di Squillace
39. Stilo
(1563) - S. Antonio Abate - dioc. di Squillace
40.
Terranova (1531) - S. M. del Soccorso - dioc. di Oppido
41.
Varapodio (1571) - S. M. delle Grazie - dioc. di Oppido
42. Zumpano
(1559) - S. M. degli Angeli - dioc. di Cosenza
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