da ANALECTA AUGUSTINIANA, LXVII (2004), pp. 183-254

 

L’ORDINE AGOSTINIANO E LE CONGREGAZIONI DI OSSERVANZA IN CALABRIA (SECC. XV - XIX)

di Foca Accetta

 

PREMESSA

   Nel tracciare un bilancio critico dei contributi storiografici sulla chiesa e le istituzioni ecclesiastiche in Italia nell’età moderna lo storico Gaetano Greco sottolinea che la stridente opposizione fra i due universi e stili clericali - quello secolare e quello regolare - si è riverberata persino nella ricerca storica, che, quando ha affrontato la storia delle diocesi italiane nell’età della controriforma, ha di fatto trascurato gli ordini regolari, la loro organizzazione, i loro mutamenti interni, il loro ruolo (1). Valide a livello generale le osservazioni del Greco sono evidenti anche per la storiografia religiosa calabrese, sostanzialmente priva di ricerche che indagano e documentano il contributo dei regolari alla riforma e al rinnovamento della vita cristiana in Calabria (2). Per colmare gli spazi vuoti sono utili indagini specifiche presso gli archivi centrali degli Ordini religiosi, soprattutto perché la documentazione locale sui regolari nell’età moderna non presenta in genere la stessa completezza e omogeneità delle fonti delle altre istituzioni ecclesiastiche diocesane. Un’ampia indagine condotta nell’archivio generale dell’Ordine agostiniano in Roma ha permesso di documentare e valutare l’attività degli agostiniani in Calabria a partire dal XV secolo.

   Il materiale conservato nel fondo “Aa (voll. VII-IX)” è stato utile per delineare uno spaccato della vita religiosa e comunitaria all’interno dei conventi, per verificare l’insofferenza verso la disciplina religiosa e, infine, per seguire, tra il XVI e XVIII secolo, le fasi alterne della recezione e attuazione di una riforma morale e disciplinare in linea con le norme dettate dal concilio di Trento. Inoltre, questo fondo archivistico è risultato essenziale per valutare i rapporti che gli agostiniani intrattenevano con le comunità locali, le autorità ecclesistiche secolari e gli altri Ordini religiosi.

   Altro fondo interessante è stato quello indicato con l’ordinamento “Ii”, che nei volumi III-VI raccoglie le relazioni del 1650 della congregazione zumpana e della provincia di Calabria; nel volume XI conserva documenti della seconda metà del XVI secolo riguardanti la congregazione degli zumpani, in particolare: la corrispondenza fra il priore generale e il vicario, le disposizioni del visitatore p. Donato da Benevento per adeguare gli statuti originali del movimento, purtroppo dispersi, alla normativa tridentina.

   Infine, l’archivio custodisce nella sezione “Ff” gli atti dei capitoli della provincia di Calabria e della congregazione degli zumpani che coprono un arco temporale di circa due secoli: dal 1568 al 1781. Attraverso le dispositiones familiarum, contenute nei singoli atti capitolari, è possibile ricostruire cronologicamente l’andamento demografico dei conventi, la serie dei vicari, provinciali e priori. Tuttavia, l’importanza di questo fondo è nella possibilità di conoscere le decisioni localmente adottate per affrontare e risolvere i problemi che di volta in volta si presentavano. Per quanto riguarda i rapporti tra gli agostiniani di Calabria e superiori dell’Ordine, di notevole interesse sono stati i registri dei priori generali: Egidio da Viterbo, Girolamo Seripando e Cristoforo da Padova, nelle edizioni curate rispettivamente da Alberico de Meijer, da David Gutiérrez e da Arnolfo Hartemann, e quelli dei loro successori conservati nel fondo “Dd” dell’archivio generale (3).

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(1) G. GRECO, La chiesa in Italia nell’età moderna, Bari 1999, p. 94.

(2) M. MARIOTTI, Linee di orientamento e sviluppo negli studi di storia religiosa della Calabria Moderna e contemporanea, in Ricerca storica e chiesa locale in Italia, atti del IX convegno di studio dell’associazione italiana dei professori di storia della chiesa, Grado 9-13 settembre 1991, Roma 1995, p. 337, 343.

(3) A. DE MEIJER, Aegidii Viterbiensis OSA., res gestae generalatus, voll. I-II, 1506-1518, Roma 1984-1988; D. GUTIERREZ, Hieronymi Seripando OSA., Registrum Generalatus, voll. I-VI, 1538-1554, Roma 1982-1990; A. HARTMANN, Cristophori Patavini OSA., Registrum Generalatus, voll. I-V et VII, 1551-1558, Roma 1985-1997 et 2002.

 

1 - ORIGINE E SVILUPPO DELL’ORDINE AGOSTINIANO IN CALABRIA.

LA CONGREGAZIONE DEGLI ZUMPANI E LA PROVINCIA DI CALABRIA

   L’introduzione e lo sviluppo degli Ordini mendicanti in Calabria e nel Mezzogiorno rispetto al resto della penisola avviene con modalità e tempi diversi, sia per l’ostilità nutrita da Federico II nei confronti dei mendicanti, considerati strumenti della politica papale di contestazione e contrasto aperto alla sua attività di governo (4), sia per la “occupazione di campo” dei preesistenti monasteri greci e latini (5). Esclusi i francescani (6), non è possibile per le età precedenti il secolo XV accertare la presenza dei mendicanti in regione, anche se non mancano documenti e indizi che opportunamente vagliati possano anticipare se non l’inserimento quanto meno il tentativo. Così rimane isolata nella storia dei domenicani (7) la concessione, nel 1240, d’una chiesa “iuxta Cusentia” a favore dell’Ordine da parte del vescovo della città, e incerta resta la datazione dell’insediamento carmelitano di Corigliano, fondato secondo il Pugliese (8) nel 1295, mentre altri lo pongono al 1470, a spese dei prìncipi di Bisignano, o al 1492-1493. La questione della data rimane aperta anche se il titolo dell’Annunziata ha indotto studiosi come Emanuele Boaga e Giorgio Leone a guardare con preferenza l’anno 1295 (9).

   Riguardo all’inserimento degli agostiniani in Calabria è diffilice stabilire delle date precise; seguendo le relazioni del 1650 dei conventi di Paola (1145) e di Fuscaldo (1162) si può ipotizzare che già nel secolo XII, prima della canonica istituzione dell’Ordine – 1256 - esistessero degli insediamenti monastici o eremitici che s’ispiravano alla regola del S. Patriarca, incorporati dall’Ordine nei secoli successivi; infatti il p. Benigno Van Luijk indica per Paola il 1433 e per Fuscaldo l’anno 1300 (10). Certo è che alla fine Quattrocento l’Ordine agostiniano in Calabria non aveva ancora una sua precisa identità e fisionomia. I conventi esistenti: Paola (1145/1433), Fuscaldo (1162/1300), Tarsia (1400), Acri (1408), Monteleone (1423), Cosenza (1426), Belvedere (1446), Terranova (1461), Bucchigliero (1470), Amantea (1490), ricadevano sotto la giurisdizione della provincia di Terra di Lavoro o Napoletana.

   Elemento fondamentale per lo sviluppo e diffusione degli agostiniani in Calabria è la penetrazione del movimento di “Riforma” che, nel dialettico rapporto tra “conventuali” e “osservanti”, proponeva di vivere coerentemente la Regola di S. Agostino e le Costituzioni dell’Ordine. Già avviata nel secolo XIV in altre regioni d’Italia, la “riforma” era favorita dai superiori dell’Ordine, che approvavano e sostenevano il sorgere di Congregazioni di Osservanza, svincolate dalla giurisdizione dei provinciali e sottoposte alla propria giurisdizione diretta tramite un vicario (11).

   In Calabria l’esigenza di una più genuina fedeltà agli ideali delle origini si riscontra tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, grazie all’opera di p. Francesco Marino da Zumpano (1455-15l9) (12), nei conventi di Aprigliano (1490), di Soverato (1490), di Nocera (1500), di Francavilla (1502), di Bombile (1506). Noto con il nome di Congregazione di Calabria o degli Zumpani, il movimento di riforma fu approvato dal priore generale Egidio da Viterbo il 24 maggio 1509 (13). L’affiliazione all’Ordine e gli statuti della congregazione furono confermati dal pontefice Paolo III, con il breve Pastoralis officii del 2 gennaio 1539 (14). L’importanza e il ruolo che nel giro di pochi anni la congregazione venne ad assumere, nel più vasto progetto dell’Ordine di ripristinare la regularis observantia, sono contenuti nella proposta avanzata nel 1522 dal priore generale Gabriele della Volta di costituire la Provincia Osservante di Calabria, unendo i conventi calabresi appartenenti alla provincia di Terra di Lavoro con quelli dell’osservanza zumpana. Per la perplessità e il timore di essere influenzata negativamente dall’indisciplina e corruzione esistente nella provincia, la congregazione non aderì alla richiesta del priore generale e sotto la spinta popolare accolse soltanto il convento di Cosenza (15). La successiva autonoma sistemazione giuridico-amministrativa dei conventi calabresi della provincia napoletana, sancita nel 1539 dal capitolo generale di Napoli, ebbe come punto di riferimento la riforma zumpana. La decisione di costituire la Provincia di Calabria rispondeva all’esigenza di promuovere anche tra i conventuali un’osservanza rigida e coerente della Regola di S. Agostino e delle Costituzioni dell’Ordine, in armonia con lo spirito di riforma perseguito dagli zumpani. Infatti, il priore generale Girolamo Seripando nella lettera Ad nationem Calabriae, del 1 settembre 1539, scrive: “hortantes eos ad talem vitae reformationem, ut comparatione fratrum congregationis fratris Francisci de Zampano ipsi reputarentur observantes et non illi. Commendavimus insuper eis efficacissime observantiam Regulae divi Augustini ac definitiones capituli generalis(16).

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(4) Cfr. L.G. ESPOSITO, I domenicani in Calabria. Ricerche archivistiche, Edizioni domenicane italiane, Napoli-Bari 1997, p. 15; P. DALENA, Federico II e gli ordini monastici nel Regno, in Chiesa e società nel Mezzogiorno. Studi in onore di Maria Mariotti, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999, vol. I, pp. 135-170.

(5) M. MARIOTTI - F. ACCETTA, Per uno studio sulla riforma agostiniana in Calabria (secc. XV-XVIII), in A. CESTARO (a cura), Geronimo Seripando e la Chiesa del suo tempo, (Salerno, 14-16 ottobre 1994), Ed. di Storia e Letteratura, Roma 1997, p. 328.

(6) E. ZINZI, Calabria. Insediamento e trasformazioni territoriali dal V al XV secolo, in A. PLACANICA (a cura), Storia della Calabria medievale. Culture, Arti, Tecniche, Gangemi, Reggio-Roma 1999, p. 64-66.

(7) F. ACCETTA, Insediamenti e strategie dell’Ordine domenicano in Calabria (secc. XV-XIX), in “Rivista Storica Calabrese”, n. s., XXI (2000), n. 1-2, pp. 223-259.

(8) P.T. PUGLIESE, Antiquae Calabrensis Provinciae Ordinis Carmelitarum…, Napoli 1690, p. 148.

(9) E. BOAGA, La presenza dei carmelitani in Calabria e il convento di S. Elia di Curinga, in “Carmelus” 42, 1995, pp. 197-236; G. LEONE, L’iconografia della Madonna del Carmine e la committenza confraternale in Calabria dal XVI al XIX secolo, in L. BERTOLDI LENOCI (a cura), Confraternite chiesa e società, Schena editore, Fasano 1994, pp. 717-754.

(10) B. VAN LUIJK, Le monde augustinien, pp. 37-38.

(11) P. BELLINI, Le congregazioni di osservanza, in “Presenza Agostiniana”, n. 3-5, maggio-ottobre 1994, pp. 18-26; A. MARTINEZ CUESTA, Il contesto storico-ecclesiale della riforma agostiniana, in “Presenza Agostiniana”, n. 2-4, marzo-agosto 1992, pp. 66-68; M. ROSA (a cura), Clero e società nell’Italia moderna, Bari 1995; G. GRECO, La chiesa in Italia, cit.

(12) D. CIRILL0, Soverato 1577. Notizie storiche sul culto pubblico reso al beato Francesco da Zumpano nella chiesa del monastero della Pietà in Soverato, Chiaravalle 1977.

(13) A. DE MEIJER, Aegidii Viterbensis, cit., vol. I, Roma 1988, p. 104, n. 241: “Confirmavimus electionem vicarii nationis Calabrie fratris Antonii Cosentini, mandamusque ei ut definitiones et leges alias servari faceret sub pena privationis officii, confirmavimus et acta omnia capituli”. Lo stesso priore generale, Egidio da Viterbo nel 1515 riconosce l’autorità e il prestigio di p. Francesco da Zumpano e apre la strada all’espansione del movimento. IDEM, vol. II, p. 146, n. 470.

(14) AGA, CB - 1- 31. La bolla è edita in F. ACCETTA, La congregazione agostiniana del ven. Francesco da Zumpano in Calabria (secc. XV-XVII), in “Analecta Augustiniana”, LX (1997), pp. 83-130.

(15) B. VAN LUIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma monastica, in “Augustiniana”, XIX (1969), pp. 350.

(16) D. GUTIERREZ (a cura), Hieronymi Seripando, cit. vol. I, 1982, p. 125.

 

 

2 - GLI STATUTI ZUMPANI DEL 1569

   Nonostante la stima accreditata presso i superiori dell’Ordine, anche nella congregazione degli zumpani cominciarono a comparire abusi, indisciplina, sintomi di un declino dell’osservanza religiosa. Da qui le esortazioni del Seripando al vicario p. Ludovico da Petrizzi “ut reformare conventus et fratres suos omnes studeat, ut quandoque fratrum observantium sit congregatio, potius opere quam solo titulo” (17). Nel tentativo di reintrodurre la disciplina regolare, di eliminare le relazioni troppo strette con i laici e di sopire divisioni e rivalità, i superiori dell’Ordine non esitano a minacciare la soppressione della congregazione e l’attribuzione dei conventi zumpani alla provincia di Calabria (18). Il 14 luglio 1568, il priore generale Cristoforo da Padova inviò ai vertici della congregazione le rinnovate Costituzioni dell’Ordine, per una organica azione di rilancio e riqualificazione della vita religiosa in sintonia con i decreti tridentini (19). Dopo aver superato resistenze e problemi organizzativi, nell’agosto del 1569 il vicario della congregazione, p. Agostino della Roccella, diede le opportune disposizioni affinché la Riforma sancita dal Concilio e dal Capitolo Generale fosse applicata in ogni singolo convento da tutti i religiosi indistintamente: “Volendo noi osservare et far osservare da tutti li padri della Congregatione li statuti fatti dal nostro capitolo di Padua confirmati per sua P. R.ma Maestro Tadeo da Perusa, li quali statuti furono ordinati e fatti in Padua dalla bona memoria del R.mo P. Generale M.ro Christophoro da Padua; et acciò tale constitutioni non siano incognite dalli nostri inferiori et che non fussino ripresi per negligenti, pertanto ci è parso provvedere et fare osservare le predette deffinitioni da tutti li priori et che loro le facciano ancora dalli loro suditi osservare ad unguem, si come per il Sacro Santo Concilio di Trento siamo reformati, et ciasched’uno priore voglia ponere la mano et sottoscrivere come li presenti ordini l’hanno ricevuti, letti et promulgati, aggiungendo anco al ultimo di questi alcune constitutioni estratte per noi, et questo ordiniamo che tutti quelli che receveranno dette constitutioni le facciano leggere, osservare et fare osservare, e questo restando certi che farete quanto si comanda non altro [...]. Dal nostro monasterio de Francavilla a dì 15 agosto dell’anno 1569. Delle presenti constitutioni se ne piglia copia ogni priore, altrimenti incorrerà alla pena debita(20). I principi spirituali, teologici e pastorali stabiliti nel capitolo generale di Padova furono sintetizzati nelle Ordinationi et Constitutioni fatte per me frate Agostino della Roccella nel presente anno del nostro vicariato 1569 (21). Tra i punti fondamentali inseriti nel documento  - rappresenta il primo testo normativo della congregazione degli zumpani, dopo che gli statuti originali sono andati dispersi - sono l’adozione del breviario romano e il principio della povertà personale. Infatti, è proibita qualunque forma di proprietà privata, mentre è riconosciuta quella comunitaria: “Ordiniamo et comandiamo da parte del P. R.mo che nessun frate di qualsivoglia sorte tenga denari, bestiami, tanto de mobili come stabili [...], fra lo spazio d’un mese habbiano da acogliere li detti denari et ponerli in deposito”. L’amministrazione dei beni dell’unico soggetto riconosciuto quale proprietario, e cioè il convento, è attribuita al procuratore. Il priore, invece, è tenuto a vigilare sulla corretta gestione, ad assicurare il “vestiario” ai sacerdoti e agli altri membri della famiglia conventuale, oltre che curare tutti gli altri aspetti della vita comunitaria e la preparazione culturale degli aspiranti sacerdoti. I singoli religiosi sono richiamati al senso di responsabilità, a condurre una vita esemplare, al fine di tutelare l’onore della religione e di garantire la pacifica esistenza della congregazione. Alle Ordinationi del vicario p. Agostino della Roccella sono legate le disposizioni del visitatore generale per la Calabria p. Donato da Benevento, inserite nella lettera Per non mancare del 16 agosto 1569 (22). Non si tratta di un legame esclusivamente burocratico e temporale, i due documenti furono pubblicati a distanza di 24 ore l’uno dall’altro e controfirmati dal visitatore generale; la loro affinità va al di là di questi segni esteriori, che pur esistono e dei quali si deve tenere conto per una più completa comprensione della riforma. Essi, infatti, per i contenuti e le reciproche integrazioni costituiscono un unico testo normativo che ha come fine l’osservanza religiosa: “havendo [...] noi veduto e toccato con le mani molti disordini in questa vostra congregatione, ci è parso farv’intendere in molte cose qual sia la nostra volontà sopra la riforma, e tutto a honor di Dio et splendor di nostra Religione, et a beneficio et quiete publica”. Il tono e il contenuto della lettera rilevano che la situazione in cui versava la congregazione non era eccellente. La vita comune non sempre era praticata, le norme relative la povertà eluse da dispense, frati spinti “dalla ambitione di regnare et dominare et essere superiori” organizzati in fazioni completavano il quadro e rafforzavano nel visitatore la convinzione che gli zumpani fossero osservanti solo di nome. Al fine di porre un freno a questo stato di cose (“desideriamo ancora che al nome corrispondano le opere e li fatti”) nel documento sono indicate forme e modalità d’attuazione della riforma. In linea con gli statuti dell’Ordine e con le Ordinationi del vicario della congregazione è ribadito il principio della povertà personale: “quale opera può corrisponder al nome d’osservante, più illustre, et grata a Dio et al mondo, quanto quella che ci priviamo di proprietà delle cose si stabili come mobili, siano patrimoniali o acquistate”. I religiosi sono invitati a far “rinuncia reale d’ogni proprietà di stabili e mobili”. Per eliminare gli altri abusi è introdotto il principio della mobilità dei frati; nessuno poteva dimorare in un luogo per più di due anni, tranne coloro “che hanno [...] gratia particulare”, poiché le famiglie conventuali sarebbero state formate “secondo il volere di padri deffinitori et vicario, et non secondo il volere de’ priori de luoghi” (art. 4). Così pure la concessione degli ordini sacri “da qui in poi” rientra nelle competenze dei pp. deffinitori e visitatori, che su proposta del vicario generale dovevano valutare i requisiti dei candidati (età, moralità, preparazione culturale). Per ridurre il gran tumulto dei capitoli ad un dialettico confronto ed evitare di attribuire responsabilità di governo a persone non idonee è stabilito: “che habbin voce in capitolo altro che i padri deffinitori et i padri visitatori del precedente capitolo, i priori dei luoghi et i discreti, et questi vogliamo che siano o possino essere eletti se non saranno persone, et di giudicio, et di età, et di costume mature, et tali che mai dalla Religione siano stati apostati o di notabili vitio notati”. Nella prospettiva di garantire la vita comunitaria, di pacificare la congregazione, superando contrasti e divisioni, s’iscrive il divieto di denunciare fatti e persone senza prove a carico: “Nessuno habbi ardire di querelare persona alcuna che prima non si oblighi di stare alla pena del taglione, cioè a quella che meriterebbe il querelato se non proverà la querela per testimoni degni di fede”. Le disposizioni promulgate dal vicario generale p. Donato da Benevento furono approvate dal priore generale Taddeo da Perugia il 29 ottobre 1569 (23).

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(17) Ivi, vol. II, p. 44, lettera del 30 agosto 1540.

(18) A. HARTMANN (a cura), Cristofori Patavini OSA., Registra generalatus, vol. V, Roma 1997, n. 718, lettera del 3 giugno 1558, p. 323: “imprecavimus graviter fratres congregationis nostrae Calabriae, quod non nisi ambitioni et proprio commodo studerent et viderentur prorsus in suam ipsorum ruinam coniurasse et omnia implerent rixis contentionibus et publica bona iam aperte dilapidarent. Interminati sumus, quod, nos desperata eorum correptione, congregationem ipsam Provinciae esse unituros”.

(19) AGA, Ii, vol. XI, ff. nn.

(20) Ivi.

(21) Appendice 1.

(22) Appendice 2.

(23) Ivi.

 

 

3 - LA VITA RELIGIOSA NEI CONVENTI: LE RELAZIONI DEI VISITATORI GENERALI E LA RIFORMA DELLA CONGREGAZIONE ZUMPANA DEL 1584

Nei superiori dell’Ordine esisteva il timore che il tentativo di ripristinare la regularis observantia nella sua pratica applicazione si rilevasse un fallimento. La corrispondenza intercorsa tra il priore generale e il vicario della congregazione, nel periodo immediatamente successivo, conferma tale preoccupazione. Ad esempio, il 3 marzo 1570 il priore generale diede precise istruzioni per eliminare durante la celebrazione del capitolo comportamenti che suscitavano scandalo tra i laici e confusione tra i religiosi: “perché nel tempo del capitolo della congregatione tal’hora li frati sogliono per loro particolari affetti scordarsi et del bene et dell’honore delli monasterij et del commodo pubblico et ben spesso lasciano li conventi senza frati onde spesso tra il popolo cagionasi scandalo et si da occasione di mormarationi, et in capitulo sono causa di confusione et disturbo, per questo acciò et all’uno et all’altro si dia giusto et opportuno rimedio, ordiniamo [...] et commandiamo [...] sotto pena di ribellione et di escomunicatione che nessuno vadi al capitolo eccepto il priore et il discreto; et dove sono tre sacerdoti uno debba restare, et dove ne sono due soli, il priore vada et l’altro resti. Et quelli come discoli poco temeranno delli superiori li commandamenti, non havendo licentia, da se veniranno, ordiniamo che in capitolo non habbino altrimenti voce; et quando altrimenti si faccia oltre che ci sarà molesto non mancheremo anco di procedere col rigore della giustitia contro quelli che così meriteranno(24). In un’altra successiva lettera del 26 febbraio 1571 i toni sono molto più distesi, ma sostanzialmente fermi nel ribadire il concetto di riforma: “il più efficace segno d’amor ci potreste mostrare et che voi stiate in pace et non consumate l’uno all’altro con insidie, calunnie et false imputationi et che attendiate a vivere religiosamente con timor di Dio et con li esempi con le buone opere; il che doviate fare voi per essere religiosi et far professione de’ vita più riformata; lasciate stare le gare, le contestationi, le conventicole che parturiscono se non inimicitie, odi, sdegni. Daremo ordine di quello che si haverà da fare nel capitolo vostro de la Congregatione, che non volemo altro se non che la Congregatione sia ben governata, la quale sarà governata da voi altri, non ce manderemo forestieri, ma facciate altramente saremo sforzati servirci da quelli che la govemeranno bene(25). Per verificare la reale osservanza delle costituzioni agostiniane nei conventi calabresi sono interessanti gli atti delle visite compiute dal p. Felice da Napoli e dal priore generale Spirito Anguisciolo, rispettivamente nel 1576 e nel 1584. Infatti, i visitatori, dopo aver ispezionato chiesa e locali conventuali, sottoponevano ai singoli frati un questionario, poi sottoscritto dall’interessato, tendente ad accertare lo stato e il tono della vita religiosa della comunità. Le domande erano formulate in questi termini:

1. “se il priore o altro frate di questo convento fosse persona scandalosa o di cattiva vita”;

2. “se il priore faceva servir bene la chiesa et trattava bene li frati”;

3. “se lui sapeva che frate alcuno facesse faccende di bestiame o havesse dinari fuora dati a secolari”;

4. “se lui haveva robbe stabili o mobili o dinari”;

5. “se lui haveva a dar querela ad alcuno et si l’occorreva dirmi cosa alcuna”.

La visita compiuta dal visitatore generale p. Felice da Napoli nel 1576 è mutila, non è possibile stabilire da quale convento prese l’avvio; rimane solo la parte finale relativa ai conventi di Francavilla, Castiglione, Nocera, Mormanno, Scigliano, Stilo, S. Stefano, Aprigliano, Cosenza. Tuttavia, riveste una certa importanza nei giudizi espressi e nelle proposte avanzate dal p. Felice per eliminare il rilassamento della congregazione degli zumpani: “l’intento del beato Padre era d’introdurre nella Nostra Religione una Osservantia tale che fosse come quella de’ Cappuccini nella religione di S. Francesco, et questo si vidde hanco nell’habito che introdusse et nel concederli la barba, ma questa cattiva sementa di Calabresi non solo fruttificò frutto buono, ma marciò subito dentro l’ambitione et havaritia, poiché altro qui non si ritrova in abondantia [...]. Del resto della riforma non so che dire poiché mai avrà acquisizione finché non sono mandati via questi frati et venghino de’ forestieri et se ne vestano piccolini, et incominciano dalla fanciullezza alli comuni costumi della Religione; per ora giudico savio espediente et necessario [che] S. P. Rev.ma faccia ordine che in tutti i modi a spese comune si faccia un Novitiato in Cosanza, dove gli anderà poca spesa, et vi mandi un Maestro de’ fora, poiché qui non ce nissuno che sappia né cantare né leggere(26). Viceversa le autorità laiche, nel tentativo d’influenzare la vita dei conventi e la scelta dei priori, ponevano in primo piano la necessità di sostituire i vicari forestieri con frati del luogo. Ciò è testimoniato da due lettere del 1568 del cardinale Guglielmo Sirleto che, su indicazione del duca di Nocera e del marchese di Fuscaldo, patrocina presso il priore generale degli agostiniani il trasferimento del provinciale forestiero e la nomina del p. m. Andrea da Paola “soggetto degnissimo(27). E’ compiuta dal priore generale Spirito Anguisciolo la visita del 1584 (28) che riguarda i conventi di Terranova, Monteleone (29), Belforte, Spadola, Soverato e Montepaone. Sulla base del questionario precedentemente illustrato, sono interessanti i giudizi che gli stessi frati esprimono sullo stato della vita religiosa all’interno della provincia di Calabria e della congregazione degli zumpani. Ad esempio il p. m. Giovanni Battista da Monteleone (29), residente nel convento di quella città, dichiara: “li frati alle volte si fanno pregare e sforzare ad andare a dir le messe. Et è intervenuto che tal giorno non ne siano state dette più di due, essendovi di molti oblighi. Non c’è lampada anche nella solennità maggiore davanti l’altare grande [...]; il priore l’anno passato per relazione del sagrestano che era allora, ha celebrato rare volte stando 15-20 giorno senza celebrarsi. Et le hore canoniche si dicono troppo in fretta; il priore ha prattica stretta d’un frate Agostino di Catania, professo fuggito di Sicilia et un frate di Satriano, giovinotto di tredici anni in circa, con vestirlo tutto, fuori dalli trattamenti che agli altri professi usa; ha dato sospetto di se di vitii tristi(30). Riguardo alla situazione nella congregazione degli zumpani, p. Angelo da Chiaravalle del convento di Spadola sostiene: “questa congregatione ha gran bisogno di riforma perché molto rilasciata et non tiene maniera né forma di vivere religioso et regolato et questo particolarmente per difetto di superiori(31). Il p. Antonio d’Acquaro del convento di Terranova conferma, con dovizia di particolari, il rilassamento morale, culturale e religioso del movimento d’osservanza; infatti, dice: “nella congregatione non vi è cura alcuna degli infermi, così è per tutto. Et così similmente si trattano gli hospiti. Vi è grande ignorantia. Et li priori fanno ogni cosa pro arbitrio et imperio et maltrattano li conventi et li frati. Si sono fatti capituli sempre con gran tumulto et si danno uffici a persone indegne et immeritevoli et questo per lucro [...]; si legge qualche volta alla mensa tra la settimana il caso morale, ma non sempre [...]; non si tiene mai il capitulo de Culpis, ne si fa l’onere per i benefattori vivi et morti [...]; li novitii et professi pratticano tutto senza altra cura di costumi nè di lettere(32). La necessità di riformare la congregazione degli zumpani, dove la corruzione e l’indisciplina avevano raggiunto tutti i livelli gerarchici, divenne una questione non più prorogabile. Lo stesso priore generale Anguisciolo ebbe modo di constatare che “in questa Congregatione (salvo sempre l’honore de’ buoni, ma pochi) non v’è quasi vestigio di virtù, non di bontà, non di santità, nè di disciplina monastica nè regolare, ma bene colmo de’ vitii et d’ignorantia [...]; tra le tanti imperfetioni et gravi le quali ritroviamo [...] sono le partialità [...] sicché in questa Congregatione i suoi religiosi [...] si sentono nominar Levantini et Ponentini, come già per l’Italia al tempo delle fattioni tra gli suoni di guerra s’udivano chiamare li Guelfi et Ghibellini(33). La riforma della congregazione si realizzò nel capitolo celebrato il 4 ottobre 1584 nel convento di S. Maria della Pietà di Soverato. Le decisioni adottate in quell’occasione, pubblicate nel 1586, ribadiscono e integrano gli statuti del 1569 alla luce dell’esperienza e delle costituzioni dell’Ordine del 1581: “ordiniamo che le costitutioni riformate dell’Ordine nostro siano di bene in meglio osservate, come quelle dalle quali dipende la vera osservanza, et la vera riforma di ogni Provincia et d’ogni Congregatione, fin dal principio che forono publicate sono state accettate da questa venerabile Congregatione et hora più che mai prontamente e con ogni humiltà et obedientia accettiamo(34). In questa prospettiva sono da considerare le norme circa il culto divino, la proprietà personale, la gestione del patrimonio comunitario. Rispetto alla legislazione precedente, la Riforma del 1584 riserva maggiore attenzione alla preparazione culturale e teologica dei religiosi. Per l’ammissione agli ordini minori si esige che si sappia “leggere distintamente e bene”; per il subdiaconato, oltre agli altri requisiti, che si sappia “cantare canto fermo” e “mediocremente grammatica”. La generica prescrizione del 1569: “ordiniamo a tutti li priori che facciano imparare li diaconi, subdiaconi et novitij”, è riformulata in modo più preciso, nella consapevolezza che la formazione culturale e teologica dei singoli religiosi serva a renderli idonei ad affrontare tanto le istanze spirituali della società, quanto la penetrazione delle idee protestanti in Calabria: “si leggano continuamente casi di conscientia nella Congregatione per istitutione e ammaestramento non solo della pueritia et gioventù, ma anco di tutti i sacerdoti, li quali tutti n’hanno bisogno”. La necessità di conciliare la vita comunitaria e i tempi richiesti dallo studio, suggerisce di concedere “tempo, giorno et hore determinate, et deputate per poter imparare a leggere et scrivere” a “li fratini et professi atti a passare agli ordini”, dispensandoli dai lavori faticosi; di contro “a quelli che non sono atti, né habili ad imparare non li si conceda cappuccio, ma si occupino alla cerche et altri tali negotii”. Finalizzata a fornire un bagaglio di conoscenze teologiche, pastorali e culturali ai religiosi, avviati al sacerdozio o già ordinati, è l’istituzione di due noviziati e quattro luoghi di studio.

   Infine, il problema che la vita comunitaria, gli ideali dell’osservanza (umiltà e uguaglianza dei frati) e le varie componenti della pastorale (predicazione, sacramenti, devozioni) risultassero compromessi dai privilegi di cui potevano godere i graduati (lettore, baccelliere, maestro) è affrontato e risolto in maniera molto semplice, nel senso che i privilegi circa il modo di vestire, dormire e viaggiare sono riconosciuti e godibili a discrezione dei singoli, mentre nessuna esenzione è prevista per tutto ciò che investiva la sfera spirituale e l’impegno pastorale; infatti, all’articolo 27 della Riforma si legge: “accettiamo et ammettiamo il breve di Nostro Signore Gregorio XIII in materia di maestri et magisterio, ma pregamo il Padre Reverendissimo, che detti maestri che verranno attendano a leggere casi di conscientia et predicare altrimenti non godano l’essentioni magistrali”.

   Vicario generale fu eletto il p. Damiano da Bevagna della provincia umbra, personaggio che ben rispondeva al “bisogno di persona savia, prudente, da bene, di buono esempio, prattica de’ governi, osservante da vero de’ precetti della Regola di S. Agostino e delle nostre costitutioni et soprattutto che non sia partiale […] ma governi con equità et carità questa Congregatione, questi religiosi indifferentemente(35).

   Ulteriori provvedimenti per garantire la vita comune, la formazione non solo spirituale, ma anche culturale degli aspiranti sacerdoti, il governo delle varie componenti dell’Ordine in Calabria furono emanati dai priori generali nella prima metà del secolo XVII. In questo contesto s’inserisce la definizione del nuovo assetto giuridico e amministrativo della congregazione, e cioè la creazione nell’ambito della suddivisione civile della regione di due circoscrizioni zumpane. Infatti, nel decreto di divisione, emanato dal priore Ippolito Fabriani il 29 maggio 1603 e ratificato da Clemente VIII con il breve Ex iniuncto nobis del 30 ottobre successivo, si legge: “Auctoritate itaque nobis [...] praefatam zampanorum congregationem in duas partes dividimus et divisam declaramus: una Congregatio Zampanorum superioris Calabriae nuncupanda, altera vero Congregatio Zampanorum Calabriae inferioris appellanda; ita ut unaquaeque potestatem in posterum habeat suum canonice eligere vicarium, ne unus se immisceat in officio alterius(36).

   In concreto le conseguenze del provvedimento furono che dei 39 conventi esistenti 18 costituirono la Congregazione di Calabria Citra e 21 la Congregazione di Calabria Ultra. Tuttavia, il provvedimento più significativo è quello contenuto nel decreto In utilitatem et bonum regimen Provinciae nostrae Calabriae, emanato il 29 maggio 1616 dal priore generale Nicola Giovannetti. Oltre a riordinare le tasse e le collette a carico di ogni singolo convento, il decreto stabiliva la creazione di un nuovo noviziato a Catanzaro, da aggiungersi a quello già esistente in Monteleone, istituito nel 1584; vietava ai priori di accogliere nei conventi nuovi novizi senza l’autorizzazione del provinciale, che doveva valutare l’età e i requisiti morali del candidato (37).

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(24) Ivi.

(25) Ivi.

(26) AGA, Aa XI, f. 505v.

(27) F. Russo, Regesto vaticano per la Calabria, vol. IV, Roma 1974, p. 430, n. 21888.

(28) AGA, Aa XI, ff. 473-497v. I1 diario di viaggio dell’Anguisciolo, compilato da Angelo Rocca, fondatore della biblioteca Angelica di Roma, è conservato il AGA, Dd 41, ff. 53-55/75-97. Copre un arco temporale che va dal 16 al 26 marzo e, dopo il ritorno dalla Sicilia, dal 31 luglio al 19 novembre 1584.

(29) A. TRIPODI, Il convento dell’Annunziata, poi di Sant’Agostino, di Monteleone ora Vibo Valentia, in “Analecta Augustiniana”, LXII, (1999), pp. 213-244.

(30) AGA, Aa XI, f. 173.

(31) Ivi, ff. 476-85v.

(32) Ivi, f. 457.

(33) Ibidem, Dd 41, f. 88.

(34) Appendice 3: Riforma della Congregatione del beato Francesco da Zumpano dell’Ordine eremitano di S. Agostino in Calabria, in Roma, nella stamperia di Vincenzo Accolti, in Borgo, 1586, art. 1.

(35) AGA, Dd 41, f. 89.

(36) Archivio Segreto Vaticano (ASV), Secr. Brevi, vol. 338, ff. 361-362r; edit.: in Analecta Augustiniana 60 (1997) 122-123.

(37) AGA, Dd 16, ff. 202-207.

 

 

4. LA CONGREGAZIONE DI S. MARIA DI COLLORETO

L’altra congregazione d’osservanza nata in Calabria è quella di S. Maria di Colloreto, fondata nel 1545 da p. Bernardo Milizia da Rogliano (1519-1602) e approvata da Pio IV, con la bolla Cum a nobis petitur del 23 marzo 1561 (38). L’aggregazione all’Ordine agostiniano, richiesta nel 1592, fu accolta il 15 aprile 1604 dal priore generale Ippolito Fabriani (39)  e confermata da Paolo V con la costituzione Ad ea pro nostri del 27 aprile 1606 (40). La congregazione, sviluppatasi in Calabria e Basilicata (41), ebbe un rapporto molto contrastato con i superiori dell’Ordine dovuto soprattutto all’indisciplina e corruzione che presto erano subentrate ai primi comprensibili fervori. Un riscontro relativamente al tono e allo stato dell’osservanza religiosa nella congregazione viene da una dichiarazione sottoscritta da alcuni religiosi: “Le ordinationi lasciate dal sudetto loro fondatore si obligarono tutti quei primi religiosi osservarle e farle in posterum con puntualità osservare da tutti quelli [che] professeranno in detta Congregatione; ma non essendo trascorsi molti anni, pur tuttavia si vive al giorno di hoggi con largezza si perniciosa e larga che di tutto che sta in quelle ordinato se ne osserva cosa niuna; anzi ne’ luoghi, ove si è loro convento che sono al numero di dieci e questi in Calabria, Basilicata, uno in Napoli et un altro nello stato di Madalone, si portano si scioccamente che in vece di essere di edificatione, son di molto scandalo a popoli, andando soli per gli habitati, usando vesti e cammiscie di lino, calzetti, lenzuoli, materassi e maneggiando denari, fatti a fatto proibiti dalle suddette ordinationi; e (che è peggio) non vivendosi con quella carità si doveria nelle maggiori necessità; [...] atteso penitus non si cura di provvedere i padri e i frati se non di stima, delle vesti necessarie e di scarpe; ne tampoco i poveri infermi di medici e necessarie medicine, in guisa che si prattica alla giornata comunemente, che è d’uopo ad ogni frate procurarsi vesti e scarpe fuori della Congregatione, e nell’infermità o patire non poco, o spendere del suo, chi ne ha, o ritirarsi a casa di parenti; a segno che molti frati sino al giorno d’hoggi sono stati astretti da tal forma di vivere ad apostatare dalla detta Congregatione. Ne essendovi persona di lettere giammai in questo misero giardino cavar potrarsi frutto alcuno per l’anime, né figura veruna nella chiesa di Dio [...]. E di più i religiosi di detta Congregatione molti pochi, in guisa che non arrivano al numero di 40 sacerdoti; alcuni che sono eletti priori per mezzo di signori secolari vi si mantengono per più e più anni in modo che sembrano piuttosto perpetui Abbati che Priori con discapito grande ed evidenza d’inosservanza de’ nostri instituti (42).

   Falliti i tentativi di una riforma il priore generale si vide costretto a rinunciare alla congregazione ed inoltrò richiesta alla Santa Sede per essere dispensato. Il relativo decreto, emanato dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari il 20 dicembre 1629, confermato da Urbano VIII con breve del 20 marzo 1630, nel quale specificava che il priore generale degli agostiniani aveva rinunciato, di sua spontanea iniziativa, all’aggregazione della congregazione di Colloreto al suo Ordine e che il papa, ammettendo tale rinuncia, sottoponeva i membri del movimento alle dipendenze dei vescovi nelle cui diocesi ricadevano i conventi, con la proibizione ai superiori di ammettervi alla vestizione dell’abito e alla professione altre persone senza il permesso dell’ordinario (43). I membri della congregazione compresero la gravità del decreto pontificio e le conseguenze che poteva avere sull’esistenza stessa del movimento, perché non assicurava, da parte dei vescovi, l’adozione di una comune linea di condotta. Così, il 24 aprile 1631, decisero di inviare a Roma il vicario generale p. Giosefatto da Nucera “per trattare cose necessarie, utili et importantissime per detta congregatione, costituendolo sopra di ciò procuratore et che possa trattare tanto la nova unione con la Religione Agostiniana appresso il Padre Rev.mo Generale di detta Religione quanto in ogni altra cosa che li parerà espediente appresso la sacrosanta sedia apostolica(44). La missione del padre vicario ebbe come risultato il breve Inter coeteras del 24 aprile 1632, con il quale Urbano VIII decise che la congregazione di S. Maria di Colloreto fosse sottoposta all’unica giurisdizione del vescovo di Anglona “cum facultatibus necessariis et opportunis, pro maiore dictae Congregationis utilitate(45). Tuttavia i colloretani non si rassegnarono all’idea di rimanere al di fuori dell’Ordine scelto dal fondatore. Alla Congregazione dei Vescovi e Regolari venne inviata una supplica, sottoscritta da numerosi religiosi, con la quale si domandava un “Breve da Sua Santità, che tutti li frati di detta Congregatione possìno unirsi nella sacra Religione di 5. Agostino sotto la di cui Regola professano(46). L’iniziativa ebbe successo; infatti, Urbano VIII con il breve Romanus pontifex del 23 dicembre 1634 di nuovo concedeva alla congregazione di S. Maria di Colloreto di aggregarsi all’Ordine agostiniano (47). La pubblicazione nel 1636 degli Statuti seu Costitutioni della Congregatione di S. M. di Colorito, scritti dal fondatore p. Bernardo Milizia, alla luce degli eventi sopra descritti, assume un significato più profondo del semplice fatto in sé, vuole significare l’identificazione del movimento nello spirito del suo fondatore e il tentativo di riportare la congregazione al primitivo fervore (48). Confrontando la Riforma degli zumpani e gli Statuti dei colloretani è possibile cogliere le principali caratteristiche, le affinità e le distanze che connotavano le congregazioni d’osservanza nate in Calabria. Le affinità che si possono rinvenire riguardano in particolare l’osservanza religiosa, poiché le norme contenute nei due testi sono uniformate a quanto stabilito dalle costituzioni dell’Ordine del 1581 e dalle disposizioni di Clemente VIII, circa la vita in comune, la recita dell’Ufficio, la povertà, la castità, l’ubbidienza, la cura degli infermi, la formazione dei sacerdoti, e infine l’adozione dell’abito nero. Le differenze, invece, sono dovute al tipo di organizzazione interna e alle particolari forme cultuali e devozioni adottate dalle due congregazioni (49).

 

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(38) F. RUSSO, Il beato Bernardo di Rogliano e la Congregazione Agostiniana di Colloreto, in “Calabria Nobilissima”, XXXV, n. 78-79, pp. 51-62. Inoltre Cfr. L. TUFARELLO, Vita del P. Bernardo a Rogliano, Cosenza 1610; D. MARTIRE, Calabria sacra e profana, vol. II, Cosenza 1878, pp. 136-143; A. GUARASCI, Fra Bernardo Milizia da Rogliano e gli Agostiniani, in “Cronache di Calabria”, IX (1969), pp. 41-58; B. CAPPELLI, Il monastero di Colloreto, in “Magna Grecia”, VII, n. 3, pp. 7-8.

(39) AGA, Aa VII, f. 214 e seg.

(40) B. VAN LUIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma, cit., vol. XIX (1969), p. 361.

(41) M. A. RINALDI, Gli ordini religiosi nell’area salernitana-lucana al tempo di Seripando, in A. CESTARO (a cura), Geronimo Seripando, cit. pp. 539-63.

(42) AGA, Aa VII, f. 200rv.

(43) F. Russo, Regesto, cit., vol. VI, 1982, p. 243, n. 30633; C. ALONSO, Bullarium Ordinis Sancti Augustini. Regesta, vol. VI (1621-1644), p. 138, n. 391.

(44) AGA, Aa VII, f. 208.

(45) F. Russo, Il beato, cit., p. 57.

(46) AGA, Aa VII, f. 200v.

(47) F. Russo, Il beato, cit., p. 57; C. ALONSO, Bullarium, vol. VI, p. 210, n. 603.

(48) Appendice 4.

(49) Per le affinità e le specificità dei due movimenti Cfr.: M. MARIOTTI - F. ACCETTA, Per uno studio della riforma agostiniana in Calabria, cit.

 

 

5. LA CONGREGAZIONE DEGLI AGOSTINIANI SCALZI

Alle altre componenti dell’Ordine già esistenti in regione si aggiunse nel 1614 la Congregazione degli Agostiniani Scalzi (50). Il 22 aprile di quell’anno fu sottoscritto l’accordo per la fondazione “d’un loco et chiesa sotto il titolo di S. Carlo Borromeo” in Castiglione (frazione di Falerna - CZ) tra il priore del convento di S. Maria della Verità di Napoli e il principe Carlo D’Aquino. Quest’ultimo s’impegnava a sostenere finanziariamente la realizzazione del complesso religioso e a cedere il terreno necessario. Tuttavia, il convento di S. Carlo ebbe vita breve; a seguito del terremoto del 1638 fu abbandonato e perciò non risulta tra quelli censiti in occasione dell’inchiesta innocenziana. Nel 1656 gli scalzi, per soddisfare le numerose richieste degli abitanti, decisero di ripristinarlo, ma furono costretti a rinunciare nel 1659 poiché la famiglia religiosa presente non rispondeva alle disposizioni pontificie che prevedevano un organico di almeno sei frati per ciascun convento (51). Il secondo convento in ordine di tempo aperto in Calabria è quello di Tropea, fondato nel 1619. In una relazione del 19 marzo 1658, sottoscritta da p. Matteo di S. Eustachio, sulla fondazione del convento si legge: “per rispondere a quello che P. M. R. mi domanda nella sua circa la fundatione di questo convento dico che qui non vi sono scritture autentiche come V.S. desidera haver certezza, per quel che si ritrova, e per quanto ho possuto far diligenza, il convento [fu] fondato nel 1619 nel mese di marzo, con l’occasione della predica del nostro p. Bonaventura, si stabilì detta fundatione benché prima li Padri erano venuti. Il fundatore principale fu l’Ill.mo Vescovo di questa città chiamato D. Fabrizio Caracciolo cavalier napoletano per devotione antica al suo habbito (52). Il convento fu abolito nel 1809. L’edificio conventuale acquistato dalla famiglia Toraldo fu poi trasformato in abitazione privata; la chiesa dedicata a S. Maria della Libertà è attualmente una delle parrocchiali di Tropea.

   Nello stesso anno 1619 gli agostiniani scalzi s’insediarono in Monteleone, oggi Vibo Valentia. Un memoriale, intitolato Origine della fondazione del nostro monasterio nella città di Monteleone, sottoscritto da p. Leone di Santo Gesualdo e datato 25 marzo 1658, fornisce nella prima parte molte notizie circa l’erezione del convento di S. Maria della Pietà: le disposizioni testamentarie del fondatore Scipione Candiota, l’accettazione del testamento da parte degli agostiniani scalzi, il beneplacito delle autorità religiose locali e la presa di possesso del luogo (53). La seconda parte del documento citato riguarda, invece, lo sviluppo della comunità, l’attività di apostolato dei frati e i rapporti con la città di Monteleone: “si diede principio facendo accomodare l’habitationi per li frati e farci la chiesa da potersi celebrare, e piano piano ad accomodare le altre cose nicessarie per potervi abitare. Vi corse di tempo sino all’anno 1621 quale per il capitolo generale vi assegnarono sei frati di famiglia, cioè tre sacerdoti e tre frati conversi, e così stette per cinque anni continui. Trovandosi molto soddisfatta la città dalli loro santi e dotti documenti si affettionò tanto alli detti RR. PP. che di giorno in giorno andò criscendo la devotione et insieme la carità per potervi fabricare e sostenersi [...]. Et havendo li superiori vista la divotione delli popoli permisero [...] chiamarsi priorato, come fé l’anno 1625, a primo giugno, dove assignarono dodeci frati di famiglia; vedendosi soddisfatta la signoria e tutto il popolo di detta città dalla carità e servitù che a loro da essi [padri è] fatta, e scorgendosi che il loco ove erano fondati era assai angusto et improprio alle loro qualità per essere poco honorato d’habitationi gli propose e offerse la chiesa di S. Giuseppe con tutte le sue entrate e parendo alli RR. PP. bono il sito [...] accettarono il partito e vi fecero parola alli superiori dalli quali [...] vi fu fatta parola alla Sacra Congregazione, dove mostrato il consenso della città e religiosi, la donatione de’ mastri di detta chiesa gli concesse licenza da poter passare in S. Giuseppe. Non fu possibile [...] havendo imposto Sua Maestà che li frati havissero da stantiare al primo luoco lasciato dal sig. Scipione e non in S. Giuseppe; del che avvisato li superiori fu per il capitolo detto che non si levasse la prima fundatione et che li frati stantiassero nelle case prese e lasciate dal sig. Scipione Candiota, e così restò per Deo Gratia e sta al presente(54). Il convento fu abolito nel 1809 a seguito dei provvedimenti adottati da Gioacchino Murat contro gli Ordini religiosi esistenti nel regno di Napoli.

   L’ultimo convento degli agostiniani scalzi in Calabria è quello di Lago, fondato nel 1632 sotto il titolo di S. Maria degli Angeli. La documentazione esaminata (55) dimostra che le trattative per l’apertura di questo cenobio, voluto dalla famiglia Longo e dall’università di Lago, erano state avviate nel 1614, contemporaneamente a quelle per il convento di Castiglione, ma una serie di difficoltà pratiche impedirono la concreta realizzazione. Il 10 settembre 1614, le autorità cittadine inviarono all’arcivescovo di Cosenza mons. Costanzo una petizione nella quale si legge: “essendo venuti qua li padri Gesimondo e fra Bernardo dell’Ordine degli Scalzi di S. Agostino, et di quella Santa Vita che V.S. Ill.ma creduno sia stata informata, ci han commosso con le loro sante opre a pigliare convento il questa terra della loro religione, et per agiuto di quella terra universale e particolare, ci havemo agiustato in si brevissimo tempo ducati cento d’intrata, oltre molta altra quantità di denari per la fabrica; resta solo che V.S. Ill.ma con la sua solita gentilezza et bontà si degni farci gratia darci la sua benedittione et consenso, et la supplichiamo oltre sia servita di farne doi righi al P[ad]re R.mo loro Vicario Generale dal quale senza dubio speramo con l’agiuto del Signore ricevere questa gratia, et che tra tanto sia lecito a quelli padri [...] mettere la croce, poiché speramo in breve tempo per la grande affettione che havemo pigliare questo convento”. All’approvazione dell’arcivescovo, concessa il giorno successivo, seguirono il consenso dei francescani del convento di S. Maria del Soccorso, l’erezione della croce nel luogo designato al “novo monasterio”, e infine private e pubbliche elargizioni. La famiglia Longo (Epadimonda e Sartorio), con due atti stipulati rispettivamente il 20 e 21 dicembre 1614, destinò a sostegno dell’erigendo convento 200 ducati, diversi beni fondiari e capi di bestiame, con l’obbligo che fossero celebrate tre messe quotidiane e fosse pagato un vitalizio di 24 ducati annui ad Artemisia Longo. Da parte sua anche l’università (comune) di Lago avvertì la necessità di sostenere la fondazione del convento “perché dette annue entrate date ut supra non sono sufficienti a detto monasterio e padri”. Il 26 dicembre 1614, in un “publico parlamento” si trattò la questione e si decise di assegnare ai frati 600 ducati in tre anni, a partire dall’agosto 1615, e che alla costituzione delle singole rate “habbiano di contribuire tutte le persone franche, cioè ogni uno”. Tuttavia, a compromettere l’iniziativa e frenare gli entusiasmi contribuirono la morte del p. Bernardo dello Spirito Santo - sepolto “con molta riverenza e devozione del popolo nella chiesa parrocchiale” di Lago - e la decisione dei superiori di non accettare il convento. Le rendite assegnate furono ritenute insufficienti “per lo giusto sostentamento dei frati” e per la costruzione del complesso religioso. Successivamente, nel 1630, il dottor Sartorio Longo, “per sua devotione a quella religione ex nunc mediante donatione irrevocabiliter inter vivos”, assegnò agli scalzi una rendita annua di 700 ducati. A seguito della donazione, accettata dai religiosi, sembrava che tutti gli impedimenti per la fondazione del convento fossero stati eliminati, ma non fu così. I frati del 3° Ordine di S. Francesco, infatti, negarono il consenso, che in precedenza avevano concesso. La loro opposizione, giustificata dal timore di subire un decurtamento degli introiti spirituali (messe, elemosine, cerche), fu giudicata non sufficientemente valida, sia dalla curia di Cosenza sia dalla congregazione dei vescovi. Quest’ultima con un decreto del 2 aprile 1632 stabiliva che gli scalzi potessero fondare il convento “iuxsta decretum” dell’arcivescovo di Cosenza del 1614. Per la positiva risoluzione della vertenza la popolazione di Lago, che finalmente vedeva realizzarsi un sogno che durava da circa 20 anni, “ne ha fatto festa con universale allegrezza con sonar li campani a gloria, fattosi luminarie et altri segni, lodandosi il nostro Signore di tanta gratia ricevuta, d’haver questa santa religione in questa Terra”. Da parte sua anche la congregazione degli agostiniani scalzi adottò i provvedimenti necessari, che in una memoria, anonima e non datata, dal titolo: Fondatione del convento di S. Maria degli Angeli nella Terra del Lago della Diocesi di Cosenza, Calabria Citra, sono descritti nei termini: “il P.N. Vicario generale con gli altri padri del definitorio dell’istesso anno 1632 determinarono che venissero li nostri padri al Lago et fu eletto per primo presidente e superiore [...] il padre Giulio di Santa Agnese napolitano, il quale arrivò in detta Terra alli 20 settembre del medesimo anno 1632; il quale fu ricevuto con gran allegrezza e giubilo di tutto il popolo di Lago, et considerando il sito dove al presente stà fondato il monasterio commodo per li religiosi che vi doveano habitare et per la gente di detta Terra essendo li vicino benedisse sollennemente la prima pietra alli 4 di maggio dell’anno 1633 e così si diede principio alla fabrica di questo monasterio (56). Il convento fu soppresso nel 1809. Rimane ancora viva la memoria di p. Bernardo dello Spirito Santo tra la popolazione di Lago, tanto che nel luogo dove prima sorgeva la chiesa è stato innalzato un monumento a ricordo, benedetto il 26 ottobre 1957 dal priore generale p. Gabriele M. Raimondo.

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(50) La Congregazione dei Frati Scalzi dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino venne costituita 16 novembre 1593, con il decreto Cum Ordinis nostri splendorem emanato dal priore generale Andrea Securani, e confermata da Clemente VIII con il breve Docet romanum pontifìcem del 5 novembre 1599. Sulle vicende degli agostiniani scalzi in Calabria Cfr. M. CAMPANELLI, Gli agostiniani scalzi nell’Italia meridionale attraverso l’inchiesta innocenziana, in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno moderno, a cura di B. PELLEGRINO - F. GAUDIOSO, Galatina 1987, vol, I, pp. 231-255; M. GENCO, I conventi agostiniani scalzi. La provincia napoletana, in “Presenza Agostiniana”, 1991, n. 3, pp. 23-26; F. ACCETTA, Gli agostiniani scalzi in Calabria, in “Presenza Agostiniana”, XXIII, marzo-agosto 1996, pp. 71-77.

(51) M. CAMPANELLI, Gli agostiniani scalzi, cit.

(52) Archivio di Stato di Roma (ARS), Congregazioni soppresse, agostiniani scalzi, Maria e Gesù, b. 131, fasc. XI, ff. nn.

(53) Ibidem.

(54) Ibidem.

(55) Ibidem.

(56) Ibidem.

 

 

6. CRONOLOGIA E DIFFUSIONE DEGLI INSEDIAMENTI

Seguendo l’andamento cronologico indicato nelle relazioni del 1650, rapportato ai principali atti giuridici dell’Ordine e delle autorità pontificie, ai provvedimenti restrittivi contro la moltiplicazione dei conventi, è possibile cogliere e distinguere le fasi che hanno caratterizzato l’immissione dell’Ordine agostiniano in Calabria. La prima fase 1145-1539 (tab. 1), corrispondente alla fondazione dei primi cenobi agostiniani, al riconoscimento della congregazione zumpana da parte dell’Ordine (1509) e alla creazione della Provincia di Calabria (1539), comprende quindici conventi zumpani, tra cui quello di Cosenza fondato nel 1426 e aggregato alla congregazione nel 1522, e dodici fondazioni dell’Ordine da Paola (1145-1433) a Rocca di Neto (1539).

 

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TAB. I - FONDAZIONE DEI CONVENTI NEL PERIODO 1145-1539

Anno            Provincia     Zumpani  Colloretani   Scalzi   Titolo                         Diocesi

1145/1433    Paola                                                                  S. Caterina               Cosenza

1162/1300    Fuscaldo                                                            S. Gio. Battista         Cosenza

1400             Tarsia                                                                 S. Giacomo Ap.        Rossano

1408             Acri                                                                     S. Caterina               Bisignano

1423             Monteleone                                                        S. Agostino                Mileto

1426                                   Cosenza                                        S. Agostino               Cosenza

1446             Belvedere                                                           Ss.ma Annunziata    S. Marco

1461             Terranova                                                          S. M. del Socc.          Rossano

1470             Bucchigliero                                                       Ss.ma Annunziata    Rossano

1490             Amantea                                                             S. M. della Calcata  Tropea

1490                                    Aprigliano                                   S. M. delle Grazie    Cosenza

1490                                    Soverato                                      S. M. della Pietà       Squillace

1500                                    Nocera                                         S. M. di Loreto         Tropea

1502                                    Francavilla                                  S. M. della Croce      Mileto

1504             Belforte                                                               Ss.ma Annunziata    Mileto

1506                                    Bombile                                        S. M. della Grotta    Gerace

1518                                    Crucoli                                         Ss.ma Annunziata    Umbriatico

1520             Curinga                                                               S. M. delle Grazie    Nicastro

1524                                    Rovito                                           S. M. delle Grazie    Cosenza

1526                                    Casole                                           S. Michele Arc.        Cosenza

1527                                    Spadola                                         S. M. del Carmine   Squillace

1530                                    Castelvetere                                 S. M. del Carmine    Gerace

1531                                    Terranova                                    S. M. del Soccorso    Oppido

1531                                    Scigliano                                       S. Agostino                Martirano

1535                                    Belvedere                                      S. Venere                   Cariati

1539             Rocca di Neto                                                      S. M. delle Grazie     S. Severina

1539                                    Montepaone                                 S. M. degli Angeli      Squillace

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La seconda fase 1542-1600 (tab. 2), che registra la massima espansione dell’Ordine in Calabria con la fondazione di 37 conventi (24 zumpani e 13 della provincia), si caratterizza per l’apertura contemporenea di due o più sedi negli anni 1546 (Melissa, Acquaro), 1561 (Catanzaro, Tropea, Gioia), 1570 (Pannaconi, Albi, Sellia), 1571 (Varapodio, S. Stefano), 1580 (Brancaleone, Magli), 1590 (Mesiano, Macchia, Reggio, Stalittì), 1591 (S. Floro, Nicastro), 1593 (Agruso, Borgia); inoltre è da segnalare la fondazione del convento di Morano (1545) da cui prese avvio la congregazione dei colloretani.

 

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TAB. 2 - FONDAZIONE DEI CONVENTI NEL PERIODO 1542-1600

Anno   Provincia       Zumpani       Colloretani    Scalzi   Titolo                        Diocesi

1542    Feroleto                                                                     S. Giovanni Batt.    Nicastro

1544                            Bruzzano                                           S. M. delle Grazie   Gerace

1545                                                     Morano                     S.M. di Colloreto    Cassano

1546    Melissa                                                                       Ss.mo Salvatore      Umbriatico

1546                            Acquaro                                             S. M. del Soccorso   Mileto

1547                            Cortale                                               S. M. del Soccorso   Nicastro

1553                            Dasà                                                    S. M. della Pietà      Mileto

1555    Pizzo                                                                           S. M. del Soccorso   Mileto

1559                            Zumpano                                           S. M degli Angeli     Cosenza

1561    Catanzaro                                                                  S. M. del Soccorso   Catanzaro

1561    Tropea                                                                        S. M. del Soccorso  Tropea

1561                            Gioia                                                   S. Sebastiano            Mileto

1563                            Stilo                                                     S. Antonio Abate    Squillace

1565                            Davoli                                                  S. M. del Trono       Squillace

1568    Benvicino                                                                    S. Giovanni Batt.    S. Marco

1569                            Gioiosa                                                S. M. del Soccorso   Gerace

1570    Pannaconi                                                                   S. M del Bosco         Mileto

1570                            Albi                                                      S. M. Misericordia  Catanzaro

1570                            Sellia                                                    S. M. delle Grazie   Catanzaro

1571                            Varapodio                                           S. M. delle Grazie   Oppido

1571                            S. Stefano                                            Ss.ma Annunziata   Cosenza

1572                            Castiglione                                          S. M. della Pietà      Tropea

1574                            Martirano                                           Ss.ma Annunziata    Martirano

1579    Polistena                                                                      Santo Spirito            Mileto

1580                            Brancaleone                                        S. Sebastiano            Bova

1580                            Magli                                                   S. M. della Croce     Cosenza

1585    Rose                                                                             S  M. degli Angeli    Bisignano

1588                            Paterno                                                S. Marco                  Cosenza

1590    Mesiano                                                                       S.  Agostino              Mileto

1590                            Stalittì                                                  S. M. del Soccorso   Squillace

1590                            Macchia                                               S. M. della Sanità    Cosenza

1590                            Reggio                                                  S. M. della Melissa   Reggio

1591    S. Floro                                                                        S. Anna                     Squillace

1591                            Nicastro                                               S. M. della Sanità     Nicastro

1593                            Agrusto                                                S. M. della Sanità     Squillace

1593                            Borgia                                                  S. Leonardo              Squillace

1598    Strongoli                                                                      S. M. del Popolo       Strongoli

1600    S. Mauro                                                                      Ss.mo Salvatore       S. Severina

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La terza fase 1603-1650 (tab. 3), i cui termini temporali corrispondono da un lato alla decisione del priore generale di dividere la congregazione zumpana in Calabria Ultra e Citra e dall’altro alla bolla Instaurandae regularis disciplinae, segna per il movimento zumpano e la provincia un periodo di ristagno e di difficoltà, dovuto alle disposizioni pontificie contro la proliferazione degli insediamenti mendicanti. Infatti, oltre il ripristino del convento di Reggio (1639), si segnala la fondazione di otto conventi: tre zumpani e cinque della provincia di Calabria. Al contrario, per le altre componenti dell’Ordine in Calabria questo è un periodo di sviluppo poiché registra l’immissione e la diffusione degli agostiniani scalzi e la fondazione di due cenobi colloretani nella diocesi di Cassano.

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TAB. 3 - FONDAZIONE DEI CONVENTI NEL PERIODO 1603-1650

Anno   Provincia       Zumpani       Colloretani    Scalzi             Titolo                         Diocesi

1607                            Papanice                                                      Ss.ma Annunziata   Crotone

1611    Grisolia                                                                                Ss.mo Salvatore       S. Marco

1612                            Cotronei                                                       S . Marco                  S. Severina

1614                                                                        *Castiglione     S. Carlo Tropea

1616    Vazzano                                                                               Spirito Santo             Mileto

1617                            Bovalino                                                       S. Leonardo              Gerace

1618    Serrastretta                                                                         Ss.ma Annunziata    Nicastro

1619                                                                          Monteleone    S. M. della Pietà       Mileto

1619                                                                          Tropea            S. M. della Libertà   Tropea

1619                                                    Mormanno                                                              Cassano

1620    Mormanno                                                                           S. M. di Costantin.   Cassatso

1622    Colavati                                                                                Ss.ma Annunziata    Rossano

1632                                                                           Lago               S. M. degli Angeli     Cosenza

1640 Cassano                                                                                                                       Cassano

 

* Il convento di Castiglione fu abbandonato nel 1638 a seguito di un terremoto, per questo motivo non risulta tra quelli censiti dall’inchiesta innnocenziana.

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La tipologia dell’insediamento agostiniano in rapporto al territorio non si discosta da quelle che erano le caratteristiche degli altri Ordini Mendicanti presenti nella regione. In tutto l’arco di sviluppo dell’Ordine viene privilegiata la penetrazione e la diffusione in zone rurali piuttosto che la concentrazione nei grossi centri urbani. Prevale una rete di piccoli insediamenti in borghi rurali dell’area centro meridionale (tab. 1-3). Ciò appare chiaro se la tipologia dell’insediamento è confrontata con le circoscrizioni ecclesiastiche delle due province storiche della Calabria; infatti, nel 1650 il 60,25% dei conventi è concentrato e distribuito nelle diocesi di Calabria Ultra, ad eccezione di quelle di Belcastro, Isola e Nicotera; mentre nelle diocesi dì Calabria Citra si registrano 31 conventi (39,7%), situati prevalentemente in quella di Cosenza. Rapportando gli insediamenti alle varie componenti dell’Ordine si nota per la Calabria Ultra il predominio delle sedi zumpane (61,7%), rispetto a quelle della provincia (34%) e degli scalzi (4,2%), l’assenza della congregazione di S. Maria di Colloreto che, concentrata nella diocesi di Cassano, rappresentava, invece, il 9,6% dei conventi di Calabria Citra. In quest’ultima circoscrizione amministrativa il rapporto tra i conventi dell’osservanza zumpana (4 1,9%) e quelli della provincia (45,1%) è fondamentalmente equilibrato; gli agostiniani scalzi hanno, invece, un’esigua rappresentanza (3,2%) (tab. 4).

 

 

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TAB. 4 - CONVENTI AG.NI NELLE DIOCESI DI CALABRIA ULTRA E CITRA NEL 1650

Diocesi Calabria Ultra   Provincia   Zumpani   Colloretani    Scalzi   Totale

Belcastro                                                                                                        0

Bova                                                           1                                                  1

Catanzaro                               1                 2                                                  3

Crotone                                                      1                                                  1

Gerace                                                        5                                                  5

Isola                                                                                                                0

Mileto                                      7                 4                                     1         12

Nicastro                                   3                 2                                                  5

Nicotera                                                                                                          0

Oppido                                                        2                                                  2

Reggio                                                         1                                                  1

Santa Severina                        2                 1                                                  3

Squillace                                  1                 8                                                  9

Tropea                                     2                 2                                     1           5

 

Totale                                    16                29                                     2         47                   

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Diocesi Calabria Citra   Provincia   Zumpani   Colloretani    Scalzi   Totale

Bisignano                                2                                                                     2

Cariati                                                       1                                                   1

Cassano                                  1                                       3                             4

Cosenza                                  2                 9                                      1         12

Martirano                                                 2                                                   2

Rossano                                  4                                                                      4

S. Marco                                 3                                                                     3

Strongoli                                1                                                                      1

Umbriatico                             1                 1                                                   2

 

Totale                                    14               13                    3                1        31                   

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Circa la dislocazione dei conventi è da rilevare che la maggior parte di essi sorgevano a breve distanza dai centri abitati, lungo le principali vie di comunicazioni allora esistenti. Questo tipo di distribuzione territoriale rispondeva sia all’esigenza di un rapido collegamento tra i diversi conventi, sia alla necessità d’indirizzare l’azione di apostolato ai centri vicini a quello prescelto quale sede conventuale. D’altro canto i frati non mancano di sottolineare i vantaggi dell’ubicazione extra urbana soprattutto per quest’ultimo aspetto. Ad esempio il sito del convento di S. Maria del Soccorso di Acquaro viene descritto nei termini: “luogo comodo per sentirsi li Divini Officij e Sacrificij dalli popoli [...] per il passaggio continuo delli cittadini dello Stato d’Arena et altri con grandissimo concorso de’ populi dell’uno e dell’altro così in giorno festivi come di lavoro(57). Tuttavia, la localizzazione extra moenia non sempre è stata accolta con favore dalle popolazioni rurali, poiché usufruivano dei servizi spirituali e materiali offerti dai religiosi in maniera insufficiente. Nel 1637 l’università di Melissa, “riconoscendo il puoco benessere” che i cittadini ricevevano dal convento del SS.mo Salvatore (1546), ubicato “dentro montagne e selve”, domandò al provinciale di trasferirlo nel centro abitato. Questi, considerato “la giusta dimanda et gli esclami et insulti che facevano gli huomini di mala vita [...] dentro la chiesa”, diede il suo consenso (58).

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(57) AGA, Ii, vol. VI, f. 219.

(58) Ibidem f. 93.

 

 

7. STRATEGIA INSEDIATIVA

Un ruolo decisivo ai fini dell’insediamento degli agostiniani nelle aree rurali calabresi venne svolto dalle università locali (comuni), che, per far fronte all’inadeguata assistenza spirituale del clero secolare, furono promotrici di numerosi conventi, concepiti come centri d’irradiazione di attività pastorali da cui trarre benefici spirituali (predicazione, amministrazione dei sacramenti, suffragi). Le università intervenivano non solo nella concessione di chiese e nella costruzione dei complessi conventuali, ma erano disposte a contribuire al sostentamento dei frati, attraverso donazioni ed elemosine. Ad esempio nel 1570 l’università di Albi, con il consenso dell’ordinario diocesano, concedeva agli zumpani la chiesa di S. Maria della Misericordia e un contributo annuo di 23 scudi al fine di fondare un convento (59). Così l’università di Benvicino nel 1568 s’obbligava a versare ai frati 16 ducati annui e a “fabricare tumuli 100 di calce infino che sarà finito il convento” (60). In cambio le autorità locali chiedevano una serie di prestazioni culturali, devozionali e caritative a beneficio della collettività. Da un’indagine comparativa emerge che le richieste variano dal semplice obbligo di “dir messa” (Macchia, 1590) ad impegni più specifici quali la partecipazione alle processioni “senza protestare et percepire elemosina alcuna” (S. Mauro, 1600); il tenere “l’hospitale per li poveri pellegrini” (Terranova, 1461; S. Stefano, 1571; Martirano, 1574); il mantenere in famiglia “un predicatore per il tempo delle predicationi” (Scigliano, 1531), o un numero preciso e determinato di religiosi (Albi, 1570; S. Floro, 1591), oppure un insegnante per istruire “i figlioli di quando in quando” (S. Stefano, 1571) (61). Alcune università come Rovito (1524), Zumpano (1559) e Papanice (1607) pur di avere la presenza stabile dei frati non chiesero impegni formali e i rispettivi conventi furono fondati “senza esservi stato patto, o numero prefisso di frati, ma gratis et libero” (62). Alle volte erano le autorità diocesane, che avevano accordato il loro assenso, a richiedere obblighi pecuniari. Ad esempio i conventi di Feroleto (1542) e di Serrastretta (1618) dovevano pagare “alla vigilia de’ Ss. Apostoli Pietro e Paolo, titolo della Cathedrale, una libra di cera l’anno alla mensa episcopale” di Nicastro; mentre i frati del convento di Martirano (1574) erano “obligati ad intervenire al vespro et festa dell’Assunta nel vescovado et habbino di portare un cereo d’una libra(63). Significativo è stato anche il contributo di personaggi appartenenti all’aristocrazia. A Crucoli (1518) i feudatari avevano concesso agli agostiniani la chiesa di S. M. dell’Annunziata e alcuni fondi “col peso di celebrare ogni giorno una messa per l’anima de’ loro morti(64). A Sellia (1570) il barone aveva offerto la chiesa e un contributo annuo di 19 ducati per la fondazione del convento con l’obbligo di “tenere di famiglia 4 sacerdoti et due servienti, et che due sacerdoti dovessero ogni giorno celebrare per loro (65). A Cotronei (1612) era stata la baronessa Anna Morana ad offrire agli agostiniani il terreno dove erigere il convento, “et elomisine per la fabrica” con l’obbligo che fosse sempre abitato da tre sacerdoti (66). Anche esponenti della borghesia, a conferma del largo consenso suscitato dagli agostiniani, diedero il loro apporto alla fondazione di alcuni conventi. A Tarsia (1400) il notaio Nicolò Grimaldi, “per la trasmutatione di un voto, che doveva andare a S. Giacomo di Galizia”, aveva donato una serie di appezzamenti di terra e alcuni immobili allo scopo di permettere ai frati di insediarsi nel paese e svolgere serenamente il loro apostolato, senza problemi economici (67). A Strongoli (1598) la signora Persia Pica e il figlio Agostino Simonetta avevano assegnato agli agostiniani 500 ducati, cioè 100 per la costruzione dell’edificio religioso e 400 per acquistare beni immobili. I due benefattori si riservavano “l’altare maggiore futuro di detta chiesa con l’obbligo di celebrare due messe pro defunctis dalli frati pro tempore esistenti per l’anima dell’antipassati di detta Persia(68). Le richieste di nobili e borghesi a differenza di quelle delle comunità contadine sottintendono l’aspetto privato della devozione, la preoccupazione di assicurarsi la celebrazione di messe in suffragio delle proprie anime. Rivelano anche l’esigenza di manifestare il rapporto privilegiato che si era instaurato tra l’Ordine e la famiglia del benefattore, la posizione sociale e giuridica che quest’ultima ricopriva all’interno della comunità. Funzionale a questa operazione erano il diritto di esporre “l’armi et epitafio dentro e fuori la chiesa”, la scelta dell’altare, quasi sempre quello maggiore ché assicurava preminenza liturgica rispetto a quelli laterali. Significativi a tal proposito sono i capitoli per la fondazione del convento di Castiglione (frazione di Falerna - CZ), stipulati il 22 aprile 1614 tra il principe Carlo D’Aquino e il p. Gregorio del S. Spirito priore del convento di S. M. della Verità di Napoli; infatti, si legge: “se conviene che sia lecito al detto principe come fundatore di detto luoco fundando sopra la porta et arco dell’altare maggiore di detta chiesa effigere e ponere l’arme et insigne et descrittioni d’esso principe di quello modo che li parerà et alla tribuna, et all’altare maggiore di detta chiesa se conceda al detto principe per se et suoi heredi et successori il ius sepulchri et seppellendi di modo tale che in detti luochi non si possono seppellire altri, ne concedere ad altre persone restando detta tribuna et altare maggiore per servitio et beneficio di detto principe et suoi heredi et successori(69). Tuttavia, le obbligazioni connesse ai legati e alle donazioni, che contribuivano a rendere solide le basi economiche dei conventi, erano soddisfatte nella misura in cui non ostacolavano l’azione pastorale a beneficio dell’intera comunità. Dalla documentazione relativa alla fondazione del citato convento di Castiglione risulta che dopo due anni dalla firma dell’accordo gli scalzi chiesero e ottennero la revisione del medesimo circa l’onere dei suffragi da celebrare quotidianamente. L’esiguo numero di frati presenti e la necessità di operare a favore di tutta la popolazione impedivano di celebrare “ogni giorno due messe et una per esso principe et l’altra per Laura sua sorella vita durante pro peccatis et poi le loro morti per le anime loro (70). Nel riformulato accordo del 10 agosto 1616 veniva riconosciuta la facoltà di sospendere la celebrazione dei suffragi nei giorni in cui si verificava la malattia o il decesso di uno dei frati; la morte di “altra persona o gentilhuomo” di Castiglione; nel giorno delle “esequie o aniversario” e in quello dell’“aniversario della Religione”. Era, comunque, una concessione temporanea che non inficiava la validità degli oneri pattuiti nel 1614 che sarebbero stati soddisfatti senza ulteriore dilazione “quando non ci sarà tal impedimento, cioè quando detti padri saranno più di quattro(71). Al di là degli obblighi spirituali contratti per la fondazione dei singoli conventi era la consapevolezza di agire in un ambiente dove l’inefficienza e l’ignoranza del clero secolare, devozionismo e superstizione, costituivano i tratti essenziali. Nel contesto di una strategia tesa al recupero spirituale e all’assistenza morale e materiale delle popolazioni locali si pone l’istituzione di confraternite e monti di pietà, indispensabili strumenti di vita religiosa, penetrazione sociale, attività caritativo-assistenziale. Nel 1584 il priore generale Anguisciolo autorizzò la fondazione di sette confraternite sotto il titolo di S. Monica (Acquaro, Condoianni, Cosenza, Dasà, Martirano, Terranova). Altre tredici confraternite chiesero e ottennero il privilegio di essere aggregate all’arciconfraternita dei Cinturati di Bologna al fine di “godere l’indulgenze, gratie, et prerogative che detta arciconfraternita gode” (Castelvetere, Castiglione, Cosenza, Melissa, Montepaone, Pedace, Pietrafitta, Pizzo, Ravello, Rose, S. Angelo di Celico, Spezano, Zumpano). Inoltre le istanze spirituali delle popolazioni erano soddisfatte attraverso l’attività missionaria e la predicazione periodica, soprattutto, quando la richiesta di avere la presenza stabile dei frati non poteva al momento essere soddisfatta. In una dichiarazione del 6 novembre 1631, sottoscritta dal clero e dalle autorità civili di Lago, il rapporto che si era instaurato tra quella comunità e gli scalzi dopo il fallimento del primo tentativo di fondare il convento (1614), è descritto nei termini: “di quando in quando son venuti li detti Padri Scalzi a visitare la predetta Santa Croce, con mantener la divozione nella Terra predetta […]. Per opra loro da quel tempo insino alla giornata d’oggi non s’è occasionato tumulto o rumore alcuno o distintione fra persone secolari e ecclesiastici o tra secolari et religiosi. Ma sempre hanno aumentato grandezza di devotioni, et donato veri e sant’esempij con haver agiutato queste anime con li loro confessioni sacramentali, con l’haver fatto l’officio di visitar l’infermi et agiutar li morienti (72). Infine è importante ricordare che gli agostiniani favorivano la sviluppo di culti locali come quello di San Foca Martire in Francavilla Angitola e di S. Maria della Grotta in Bombile d’Ardore (73).

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(59) Ibidem, f. 183.

(60) AGA, Ii, vol. III, f. 88.

(61) AGA, Ii, vol. III, f. 91, 114; vol. VI, ff. 168, 172, 292.

(62) AGA, Ii, vol. VI, ff. 164, 166, 185.

(63) AGA, Ii, vol. III, ff. 70, 99; vol. VI, f. 176.

(64) AGA, Ii, vol. VI, f. 189.

(65) Ivi, f. 181.

(66) Ivi, f. 175.

(67) AGA, Ii, vol. III, f. 75.

(68) Ivi, f. 110.

(69) ASR, Congregazioni soppresse, agostiniani scalzi, Gesù e Maria, b. 131, fasc. XI, ff. nn.

(70) Ivi.

(71) Ivi.

(72) Ivi.

(73) F. ACCETTA, Francavilla Angitola. Ricerche e Documenti, comune di Francavilla Angitola, tip. Mapograf 1999, pp. 89-101; S. GEMELLI, Il santuario della Madonna della Grotta in Bombile d’Ardore, Chiaravalle 1979.

 

 

8. I RAPPORTI CON GLI ALTRI ORDINI RELIGIOSI

La penetrazione agostiniana in Calabria è stata, invece, contrastata dagli altri Ordini religiosi. Alla base di questo atteggiamento ostile contro i nuovi insediamenti, soprattutto dove la presenza dei mendicanti era più forte, erano motivi pastorali e economici. Infatti, la fondazione di un nuovo convento aveva come conseguenza immediata la riduzione dell’azione pastorale, il decurtamento delle entrate e l’instabilità economica dei conventi già esistenti. Emblematico è il caso di Reggio Calabria dove gli agostiniani si erano insediati nel 1590: “per beneficio di quello loco e quando si ha passare a Messina per accomodamento degli padri e [per] quello che troveranno de’ bisogno(74). Costretti a lasciare la città, perché “più volte saccheggiata e bruggiata de’ Turchi”, ritornarono nel 1639 suscitando le proteste degli altri regolari; infatti, i domenicani, i minimi, i riformati e i cappuccini il 5 agosto dello stesso anno presentarono alla Congregazione dei Vescovi un ricorso per impedire la riapertura del convento agostiniano: “mesi addietro sono venuti in questa città di Reggio di Calabria alcuni frati di S. Agostino per fondare un convento dell’Ordine loro et mons. Vicario Capitolare con passione (con riverenza) l’accettò, et non obstante la nostra protesta l’ha ammesso che vengano alle processioni pubbliche, senza il nostro consenso di noi mendicanti, che è contro alle disposizioni delli Brevi Apostolici, sotto pretesto che detta Religione, cinquanta anni in circa sono, havesse havuto convento in questa città, il che è falsissimo perché vennero dui frati ad agitare una lite e per quella finita si partirono senza mai havessero retto convento […]. Oltre che dato e non concesso havessero allora eretto convento non sono in tempo di ripigliarlo senza il nostro consenso essendo trascorsi cinquant’anni in circa che detti padri mancano da qui, et in verun modo possono detti religiosi fondare convento in questa città senza il nostro consenso, et mons. Vicario Capitolare accettandoli e mantenendoli ci fa molto aggravio [...]. Le Vostre Emminenze restino servite ordinare a detto mons. Vicario Capitolare che faccia partire detti religiosi di S. Agostino, et non l’ammettano all’erettione di novo monasterio senza il nostro consenso, ne vengano a processioni(75) . Tuttavia, l’iniziativa non ebbe l’esito desiderato: gli agostiniani riuscirono a provare l’inattendibilità delle rimostranze degli altri regolari e a documentare la loro precedente residenza a Reggio Calabria: “I Domenicani con gli altri Regolari hanno strepitato non potendo soffrire l’applauso col quale siamo stati ricevuti e reintegrati, della quale reintegrazione e non fondatione ho mandato le scritture autentiche al Procuratore Generale dove appare il gran mandace asserto da Padri Domenicani, che giammai la Religione Agostiniana fosse stata per la dietro in questa città di Reggio e perché appaia maggiormente questa bugia s’è presa sommaria via juris, ed i più seniori e saniori della città testificarono de visu l’essere stata habitante la Religione per la gran pezza d’anni nella chiesa di S. Maria della Melissa(76). Quale era il vero scopo del ricorso? Probabilmente andava al di là della salvaguardia delle disposizioni apostoliche circa l’assenso che bisognava chiedere alle altre famiglie religiose già dimoranti in un luogo per procedere ad una nuova fondazione. In una lettera del 23 giugno 1639, inviata al priore generale, p. Deodato Solera propone una chiave di lettura che mette in ombra i protagonisti della vicenda e in modo particolare i domenicani. Questi ultimi avrebbero iniziato e sostenuto la querelle al solo fine di ammorbidire la rigida opposizione degli agostiniani all’apertura di un loro insediamento a Pizzo Calabro (77). I contrasti per l’apertura di nuove sedi non sempre venivano portati avanti in modo leale e corretto, potevano trascendere in atti di vero e proprio sabotaggio. A Vallelonga, nel 1634, i domenicani, che avevano abbandonato la sede poi assegnata agli agostiniani dalle autorità locali, penetrarono nottetempo nei locali conventuali e portarono via tutti i mobili (78). Il tribunale diocesano di Mileto, investito della questione, con decreto del 29 luglio 1641, stabiliva che gli agostiniani potessero mantenere la chiesa di S. Maria di Monserrato e il convento, ordinava ai domenicani di astenersi da qualsiasi azione di rivalsa “sub poenis et censuris ecclesiasticis a sacris canonibus inflictis”, infine, concedeva agli agostiniani la facoltà di ricorrere al “brachium saeculare” in caso di nuovi contrasti e molestie (79). Tuttavia è utile ricordare che in queste vicende gli agostiniani non furono solo soggetti passivi. Al contrario si opposero ai riformati di S. Francesco e ai domenicani in occasione della fondazione dei conventi di Bucchigliero e di Pizzo. Al pari degli altri Ordini mendicanti anche gli agostiniani erano preoccupati di subire una diminuzione delle entrate e di vivere nell’incertezza economica: “Non solo perderiemo li elemosine, ma anco la frequenza della chiesa, di maniera perderiemo li elemosine, la divotione, perché oggedì il mondo si compiace di novità; come già per esperienza che prima questo convento faceva quattro, cinque e più ducati il mese adesso non passa dui ducati, perché il Rosario lo recitano nella parrocchiale sicché di questa maniera tanto è fondare Ospitio quanto Convento, che mentre vanno a fondare Ospitio non devono [i domenicani] fare stare sacerdoti, è quello che ci leva il pane”. Così il priore del convento di Pizzo p. Dionisio da Catanzaro in una lettera del 28 agosto 1642 indirizzata al priore generale Ippolito Monti (80).

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(74) F. ACCETTA, La presenza agostiniana a Reggio Calabria. Fondazione (1589-90) e reintegrazione (1639) del convento, in “Rivista storica calabrese”, n.s., XVII (1996), pp. 305-329.

(75) Ivi.

(76) Ivi, lettera di p. Solera al cardinale protettore del 20 ottobre 1639.

(77) AGA, vol. XI, f. 462. L’avversione e le motivazioni degli agostiniani all’insediamento domenicano a Pizzo sono indicate in una missiva del 21 gennaio 1640 spedita da Napoli dal provinciale di Calabria p. Giovan Pietro da Tarsia al priore generale: “Ritrovandomi in Napoli mi è sopragiunto un avviso dal p[adre] nostro Giovanni da Fuscaldo il quale risiede nel nostro convento nel Pizzo, nel quale dice essere andati in detta Terra li padri domenicani, e pigliatosi un luogo, con consenso de’ cittadini, sotto nome di ospitio. E perché è solito a questi padri entrar sotto nome d’ospitio e poi impatronirsi del tutto con darsi nome di convento, com’han fatto in molti luoghi, senza domandar assenso a niun capo di conventi che ivi si ritrovano; e già attualmente, tutti se oppongano, e mi viene di più havisato qualmente han incominciato a predicare et erger congregationi, del che può giudicare V.P.R. si è modo di ergere Ospitio o Convento, e nessuno ne viene più interessato di noi essendo che stà in mezzo la strada, dove sarà l’ultima mina del nostro monasterio, perché a fatto si leverà quella poca frequenza che vi è. Priego dunque V.P.R. di far quanto può in nostro beneficio alla Sacra Congregazione acciò si impedisca l’esecutione et vedere quanto s’estenda la loro autorità nelli Ospitii”. Cfr.: AGA, Aa XI, f. 426. Sull’insediamento domenicano in Pizzo Calabro Cfr. F. ACCETTA, I conventi domenicani nella diocesi di Mileto, in “Calabria Letteraria”, XXXVIII, aprile-giugno 1990, pp. 43-46; C. LONGO, Conventi domenicani della provincia di Vibo Valentia, in I beni culturali del vibonese. Situazione attuale - Prospettive future, Atti convegno Nicotera 27-29 dicembre 1995, Vibo Valentia 1998, pp. 166-169.

(78) AGA, Aa XI, f. 101.

(79) Ivi.

(80) Ivi.

 

 

9. ORGANIZZAZIONE E STRUTTURA DEI COMPLESSI CONVENTUALI

I complessi conventuali agostiniani non si differenziavano dai modelli utilizzati dagli altri Ordini religiosi. Quasi tutti i conventi si disponevano su due piani: al primo piano erano situate le cosiddette “officine”, che si aprivano direttamente sul chiostro, e cioè la cucina, il refettorio, la dispensa, il deposito per gli attrezzi agricoli. Al piano superiore erano i dormitori con le rispettive celle per i frati, il guardaroba, le stanze riservate agli ospiti, la biblioteca. Particolari accorgimenti, per garantire l’incolumità dei religiosi, si segnalano nella struttura dei conventi delle località costiere frequentemente sottoposte alle incursioni turchesche. Ad esempio il convento di S. Maria della Pietà di Soverato, “più volte bruggiato da’ Turchi”, era costruito “a modo di castello con balestrieri attorno(81). Il convento di S. Maria del Soccorso di Stalittì per contenere gli attacchi corsari era circondato “per tutto da gagliarde mura di quattro palmi di grandezza(82). Lo stato di avanzamento dei lavori, da quanto risulta dalle relazioni del 1650, procedeva molto a rilento, sia per le difficoltà economiche, che per le citate incursioni. Risultano in fase di completamento i conventi di Bovalino (1617): “sta fabricandosi havendosi per la penuria de’ tempi compito solamente un quarto del disegno(83); di Brancaleone (1580): “si sta in atto fabricando et al mio parere detto convento potrà essere finito fra otto anni(84); di Rocca di Neto (1539): “per compirsi il modello del convento vi bisognano da 1000 ducati in circa(85). Il convento di Gioia (1561), “a causa che detto convento fu sacchegiato e abbruggiato dalle galere di Biserta nell’anno 1625”, presentava venticinque anni dopo le “mure disfatte” (86). Tuttavia l’attenzione dei frati si rivolgeva innanzitutto alle chiese, spesso completate prima degli altri locali conventuali e abbellite con statue, quadri ed altre opere d’arte. In particolare nel convento di Francavilla Angitola era la statua marmorea di S. Maria della Croce, commissionata dal priore p. Giovan Matteo Mileto allo scultore Giovan Battista Mazzolo, attivo in Messina negli anni 1515-1550. Il contratto (87), stipulato dal notaio Francesco Calvo il 29 giugno 1542, indica i modelli cui l’artista doveva ispirarsi, le proporzioni, le decorazioni del basamento. La statua della Vergine doveva essere della stessa altezza (m. 1,58) di quella esistente nel convento di S. Maria del Gesù in Messina, rappresentata con il bimbo in braccio, nella stessa posizione in cui era la statua della Madonna conservata nella chiesa di S. Agostino di quella città, eccettuato “chi lu pedi seu gamba dexstera sia dritta et la mano voltata cum uno mundo in mano”. Lo scannello doveva essere istoriato con un bassorilievo della Pietà al centro, di S. Giovanni Battista a destra, di S. Agostino a sinistra. La consegna doveva essere effettuata al p. Matteo Mileto nella prima settimana della quaresima del 1543. Attualmente la statua si conserva nella chiesa del Carmine in Filadelfia. Altre opere segnalate nel complesso conventuale di Francavilla sono le statue lignee di S. Nicola da Tolentino e del Crocifisso; le tele raffiguranti il beato Francesco da Zumpano, la Natività, la Fuga in Egitto, S. Nicola da Tolentino, la SS.ma Trinità, la Vergine Addolorata, S. Tommaso di Villanova, la Madonna degli Afflitti, S. Agostino, la Madonna del Buon Consiglio. La relazione del 1650 del convento di Bombile informa che nell’altare maggiore della chiesa era “una bellissima imagine della B.V. scolpita di marmo bianco di grandissima devotione e veneratione fatta l’anno 1509(88); mentre in quella del convento di Acquaro si legge che l’altare maggiore era decorato con “bellissimi quadri dorati con bellissime custodie tutte poste dentro la lamia(89). Infine, nella chiesa di S. Maria di Colloreto a Morano erano tre opere marmoree di Pietro Bernini, padre di Lorenzo, cioè il tabernacolo, le statue di S. Caterina e di S. Lucia (90). Curata in ogni minimo particolare, la chiesa veniva a costituire la prima fonte di sostentamento della comunità religiosa, attraverso le cosiddette “rendite spirituali”, ovvero i proventi ricavati dalle messe, elemosine ecc., oltre a permettere lo svolgimento dell’opera di apostolato e l’attivazione dei culti legati all’Ordine. Per quanto riguarda le biblioteche esistenti nelle sedi conventuali, le notizie sono molto scarse. In genere gli inventari danno spazio a tutto ciò che permetteva ai religiosi un tenore di vita accettabile, e il patrimonio librario ove si fa accenno viene liquidato con la generica formula di “libri”. Così ad esempio in un inventario relativo al convento di Cosenza del 1668 è registrata la presenza di “40 pezzi di libri” (91). Le uniche notizie finora emerse riguardano la biblioteca di S. Maria della Croce di Francavilla Angitola. Nel 1728 il p. Fulgenzio Marinari “ritrovandosi in uso tanti libri per il valore di 270 ducati, e meditando con il principio di questi ordinare una libreria per maggior decoro del monastero a cui è aggregato” chiese e ottenne dal priore generale Fulgenzio Bellelli l’autorizzazione ad utilizzare “una stanza contigua a quelle che era da lui si abitato per ridurla in forma di libreria”. La biblioteca, “mediocre libreria universale, non di quantità, ma di qualità. Piena di libri di ogni specie, di scienza così di Sacra Scrittura, Theologia Speculativa, Morale, di Prediche, Filosofia, Astrologia, Geografia, come anche di Legge Civile e Canonica, Medicina, Poesia, Rettorica, Istoria, Belle Lettere”, si disperse a seguito del terremoto del 1783 con l’istituzione della Cassa Sacra, istituto delegato a censire e alienare i beni della manomorta ecclesiastica, per provvedere poi alla ricostruzione dei centri sinistrati (92). Le biblioteche erano incrementate non solo con acquisti periodici, ma anche facendo confluire nel loro corpus i volumi appartenenti ai religiosi defunti. È probabile quindi che nella biblioteca di Cosenza fossero conservati i libri rinvenuti il 29 ottobre 1610 nella cella del p. Claudio da Cortona. Si tratta di testi di autori gesuiti (Francesco Toledo, Maldonado), e domenicani (Domenico Soto, Girolamo Osorio) ispirati alla teologia della controriforma, alla riflessione sul peccato, alla predicazione (93).

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(81) AGA, Ii. vol. VI, f. 217.

(82) Ivi, f. 243.

(83) Ivi, f. 263.

(84) Ivi, f. 250.

(85) Ivi, f. 106.

(86) Ivi, f. 267.

(87) F. ACCETTA, Il convento di S. Maria della Croce in Francavilla Angitola, in “Analecta Augustiniana”, LVII (1994), pp. 143-160; il contratto è alle pp. 159-160; A. TRIPODI, Notizie e documenti sul convento agostiniano di S. Maria della Croce di Francavilla Angitola, “Analecta Augustiniana”, LIX (1996), pp. 367-398.

(88) F. ACCETTA, I conventi agostiniani della congregazione degli zumpani in Calabria, in “Analecta Augustiniana”, LXI (1998), p. 22.

(89) Ivi, p. 21. Sulla storia del convento cfr. A. TRIPODI, Il convento di S. Maria del Soccorso di Acquaro, in “Brutium”, LXX, ottobre-dicembre 1991, pp. 6-8.

(90) F. Russo, Il beato, cit., p. 53.

(91) AGA, Aa XI, f. 32v.

(92) F. ACCETTA, Francavilla Angitola. Ricerche e documenti, cit.

(93) AGA, Aa XI, ff. 27-29.

 

 

10. LA SOPPRESSIONE INNOCENZIANA

La bolla Instaurandae regularis disciplinae emanata da Innocenzo X nel 1652 per abolire i parva conventus esistenti in Italia, interessò il 60,2% dei conventi agostiniani calabresi, in particolare 19 conventi su 30 della Provincia di Calabria, 15 conventi su 20 della congregazione degli zumpani di Calabria Citra, 14 su 22 della congregazione degli zumpani di Calabria Ultra, mentre la congregazione di S. Maria di Colloreto, coinvolta solo nelle sedi poste fuori dei confini regionali, e gli scalzi mantennero i loro conventi (tab. 5).

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TAB. 5 - CONVENTI SOPPRESSI DALLA RIFORMA INNOCENZIANA NEL 1650

 

Provincia di Calabria   Zumpani di Calabria Ultra   Zumpani di Calabria Citra

Acri                                            Agrusto                                       Albi

Amantea                                    Bombile                                       Aprigliano

Belforte                                      Borgia                                         Belvedere

Benvicino                                   Bovalino                                      Casole

Colavati                                     Brancaleone                                Cotronei

Curinga                                     Castelvetere                                 Crucoli

Grisolia                                      Cortale                                         Macchia

Mesiano                                     Dasà                                              Magli

Mormanno                                Davoli                                           Nicastro

Pannaconi                                 Gioia                                             Paterno

Polistena                                    Gioiosa                                         Rovito

Rocca di Neto                            Montepaone                                S. Stefano

Rose                                           Stalittì                                           Scigliano

S. Floro                                      Stilo                                               Sellia

S. Mauro                                                                                          Zumpano

Serrastretta

Strongoli

Tropea

Vazzano

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Il motivo della soppressione, come ha chiaramente dimostrato il Boaga, non è stato il rilassamento morale, ma l’esiguo numero di religiosi dimoranti nei conventi che non permetteva l’osservanza religiosa (94). I dati ricavati dalle relazioni del 1650 (95) confermano che dei 78 Conventi agostiniani in Calabria solo il 7,6%, prevalentemente le sedi di Studio e Noviziato, vantava un numero di religiosi compreso tra 14-25 membri (96); il 23%, annoverava un organico variabile tra 7-12 religiosi (97); il 10,2% rientrava nel limite fissato dalla bolla innocenziana delle 6 unità (98); e infine il 57,6%, aveva una dimensione demografica con un margine di oscillazione compreso tra 1-5 unità. Tra i religiosi significativa è la presenza dei sacerdoti pari al 51,6% dell’intera popolazione agostiniana calabrese (tab 6). Sorprendono invece l’esigua presenza di chierici e professi che rappresentano il 9,3%, e lo scarso numero di novizi, pari soltanto al 2,3%. Quest’ultimo dato, al di là delle giustificazioni inserite in alcune relazioni (99), colpisce perché solo in parte l’esiguo numero di coloro che erano avviati al sacerdozio è riconducibile al divieto innocenziano di ammettere nuovi giovani alla professione, dal momento che il lasso di tempo intercorso fra la bolla e la stesura delle relazioni è molto breve. Del resto già 10 anni prima Thoma De Herrera nel suo Alphabetum Augustinianum (Madrid, 1644), riferendo della congregazione degli zumpani, denunciava: “Sunt omnia huius Congregationis Monasteria triginta Fratres vero centum nonaginta quatuor. Dolendum sane, praecipue in Congregatione, quae observantiae titulo gloriatur, in tanta Fratrum penuria tantam Coenobiorum multitudinem reperiri. Vix enim sunt quatuor, aut quinque, quae sufficientem numerum alant ad vitae regularis reformationem observandam. Quae enim vitae austeritas, quae regulae, et costitutionum observantia poterit aut introduci, aut permanere ubi tantum quatuor, aut sex Fratres in terris et casalibus vitam agunt? Satius sane esset in minori domorum numero plura esse Monasteria(100). Consistente è infine la presenza “laica”, incidendo sulla popolazione agostiniana per circa il 37% (il 23,1% costituito da laici professi e conversi e il 13,7% da servitori).

 

 

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TAB. 6 - FRATI AGOSTINIANI IN CALABRIA NEL 1650

 

                        Sacerdoti    Chierici     Novizi    Laici professi    Servitori    Totale

                                            Professi                      Conversi

 

Provincia              112            25               5                  44                     23          209          

Zumpani di

Calabria Ultra       76             8                5                  42                     19          150

Zumpani di

Calabria Citra       56            11               -                   11                     12            90

Colloretani              7               4               2                    6                     11            30            

Scalzi                      16              -                -                   17                       6            39

 

Totale                   267             48             12                120                     71          518

 %                           51,6         9,3            2,3                  23,1               13,7

 

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Il provvedimento innocenziano, giudicato eccessivamente severo, provocò la protesta delle autorità locali e l’opposizione dei frati, sanzionata dalle autorità pontificie con provvedimenti coercitivi nei confronti dei religiosi ribelli. Nella provincia di Calabria i disordini furono provocati da uno dei definitori, p. Alessandro Mannarino, che, nonostante il parere contrario del provinciale, fece eleggere i priori dei conventi soppressi. In una lettera del 5 maggio 1653, inviata a Prospero Fagnani, segretario della congregazione sullo stato dei regolari, il priore generale degli agostiniani Filippo Visconti descrive l’accaduto nei termini: “Nella provincia di Calabria essendovi assegnati tutti li conventi soppressi, il p. Alessandro Mannarino da Catanzaro, uno dei Definitori, essendosi fatta la congregatione per l’elezione dei priori rimasti, fece istanza con alcuni altri [bacc. Antonio da Belforte, p. Tommaso da Belvedere, p. Francesco da Paola, p. Fabio da Melissa, p. Nicola da Fuscaldo] al Padre Provinciale, che si eleggessero li priori anco de’ conventi soppressi sub conditione, che Sua Santità li confermasse, e non volendo il Padre Provinciale con altri membri acconsentire a questa elettione come repugnante agli ordini di Sua Santità, non di meno detto p. Alessandro Mannarino chiamando altri tre frati per compiere il numero prescritto del Definitorio, in luogo del p. Provinciale e due altri frati, che non vollero acconsentirvi, venne, senza l’intervento del p. Provinciale e l’altri due vocali legittimi, a eleggere li Priori de’ conventi soppressi sub conditione, et perché questo fatto ha partorito molto disturbo in quella Provincia, il medesimo Generale supplica dichiarare se, oltre la nullità dell’elettione, debba procedere ad altre pene(101). Il Fagnani rispose di dichiarare nulla l’elezione e di privare i responsabili della voce attiva e passiva. In calce alla citata lettera si legge che il religioso che portava l’ordine del priore generale, giunto in Calabria, venne brutalmente percorso. Tuttavia, se inquadrata all’interno delle attività religiose e devozionali che gli agostiniani svolgevano nelle aree rurali, anche attraverso i piccoli insediamenti, ricoprendo gli spazi lasciati scoperti dalle istituzioni diocesane e parrocchiali, l’iniziativa di p. Mannarino perde la connotazione di ribellione e si configura come preoccupazione di abbandonare le istanze spirituali e assistenziali delle popolazioni locali nelle mani di un clero secolare incapace di soddisfarle, poiché privo di un elementare indottrinamento e di dedizione alla cura delle anime. D’altro canto anche i procuratori generali degli Ordini mendicanti nel confronto con la congregazione dei regolari insistevano su questo aspetto fondamentale del rapporto popolazione/clero regolare. Il timore era di non poter fornire alle comunità quell’assistenza fino allora assicurata dai conventini. Le autorità pontificie e la congregazione dei regolari non rimasero insensibili a queste esigenze e alle istanze delle comunità nel cui territorio sorgevano i piccoli conventi oggetto del provvedimento di soppressione. Nel 1654, dopo due anni dalla promulgazione della bolla di soppressione, si ottenne la riapertura dei conventi di Belforte, Belvedere, Castelvetere, Melissa, Strongoli, Vazzano e Zumpano.

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(94) E. BOAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli conventi in Italia, Roma 1971, p. 44.

(95) Per una analisi dei dati relativi alla popolazione agostiniana nel Mezzogiorno Cfr. M. CAMPANELLI, La popolazione ecclesiastica nel Mezzogiorno d’Italia alla metà del XVII secolo. Gli eremitani di Sant’Agostino e le congregazioni agostiniane osservanti, in “Bollettino di Demografia Storica”, n. 22, 1995, pp. 43-68.

(96) Morano 25, Monteleone 24, Francavilla 22, Paola 21, Cosenza 16, Castelvetere 14.

(97) Castelvetere, Terranova, Spadola, Soverato, Acquaro, Reggio, Varapodio, Bombile, Tarsia, Catanzaro, Belvedere, Belforte, Strongoli, Melissa, Terranova, Feroleto, Pizzo, Monteleone e Tropea.

(98) Papanice, Nocera, Bruzzano, Bucchigliero, Fuscaldo, Rocca di Neto, Mesiano e Mormanno.

(99) Ad esempio in quella di Cosenza si legge: “s’è levato il novitiato, che in nessun altra comunità n’habbiamo in questa congregatione, per il che sono mancati sacerdoti e chierici e si patisce per l’insoddisfazione delle chiese e dei suffragi”.

(100) T. DE HERRERA, Alphabetum Augustinianum, vol. II, Madrid 1644, p. 427.

(101) AGA, Cc 25.

 

 

11. LA RIORGANIZZAZIONE DELL’ORDINE E LA FINE DELLE CONGREGAZIONI D’OSSERVANZA

Un altro problema che i superiori dell’Ordine dovettero affrontare subito dopo l’attuazione della bolla del 1652 fu quello di definire il tipo di organizzazione nel quale inquadrare i conventi superstiti, perché non era possibile mantenere la preesistente struttura con un ridotto numero di conventi. A tal fine nel 1662 il priore generale ordinò la convocazione di “Un capitolo privato da chiamarsi in Catanzaro coll’intervento del provinciale e de’ due vicari generali, insieme con altri padri di più maturo giudizio, sotto la direzione del p. maestro Antonio Visconti [...] col consiglio di fra Filippo Visconti, altre volte generale dell’Ordine ed allora vescovo di Catanzaro” (102). Le decisioni adottate dal capitolo, e cioè l’abolizione della congregazione degli zumpani e la creazione di due province con il nome di Provincia di Calabria Citra e di Calabria Ultra, furono approvate da Alessandro VII con il breve Militantis ecclesiae del 30 settembre 1662 (103). Le due province erano formate complessivamente da 29 conventi; in particolare 16 costituivano la Provincia di Calabria Ultra e 13 la provincia di Calabria Citra (tab. 7).

 

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TAB. 7 - CONVENTI AGOSTINIANI IN CALABRIA NEL 1662

Provincia di               Provincia di

Calabria Ultra           Calabria Citra

Acquaro                      Belvedere

Belforte                       Bucchigliero

Bruzzano                    Castiglione

Castelvetere               Cosenza

Catanzaro                  Fuscaldo

Feroleto                      Martirano

Francavilla                 Melissa

Monteleone                Nocera

Papanice                     Paola

Pizzo                           Strongoli

Reggio                        Tarsia

Soverato                     Terranova

Spatola                       Zumpano

Terranova                  Varapodio

Vazzano                      Varapodio

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Nuovi sintomi di rilassamento, antichi abusi, lotte e intrighi per ottenere incarichi di primo piano riemersero nella seconda metà del secolo XVII nelle due province. Il priore Fulgenzio Travillone, per contenere il decadimento morale della provincia di Calabria Citra, il 15 ottobre 1687 emise un decreto che, oltre a determinare le tasse e le collette a carico dei Conventi, ordinava “inviolabili observantia Decretum Capituli generalis anni 1685 tum quo ad ea quae Divum cultum, Religionis Observantias, tum quae gubernationem spectaverint, sub poenis quae iisdem ipsis decretis praescribuntur (104). Nella provincia di Calabria Ultra la situazione era molto più complessa; al suo interno erano divisioni e rivalità che nel corso dei capitoli provinciali tenuti tra il 1690 e il 1697 si concretizzarono in scontri tra opposte fazioni, pressioni di signori laici, intervento di armati (105). Il priore generale con il breve Ex commissae nobis del 17 aprile 1703 ottenne l’autorizzazione a nominare il provinciale e il definitorio (106). Tuttavia la nomina del napoletano p. Guglielmo Aniello a provinciale di Calabria Ultra venne contrastata dal p. Tommaso Carnevale che, autoproclamatosi “Procuratore dei Padri Zelanti della Provincia di Calabria Ultra”, produsse ricorso presso la Congregazione sullo Stato dei Regolari (107). Circa la situazione in Calabria Ultra dopo l’elezione del p. Aniello il procuratore generale dell’Ordine, a cui la congregazione pontificia aveva chiesto chiarimenti, in una lettera del 2 ottobre 1703, scrive: “per ubbidire ai benegnissimi comandi dell’EE. VV. […] devo riverentemente rappresentarle che il qualificarsi che fa l’orante [il p. Carnevale] d’essere Procuratore de’ Padri Zelanti della Provincia di Calabria Ultra è una sua vanità senza fondamento [...]; nella detta Provincia non vi sono religiosi non Zelanti e Zelanti, ma tutti sono vissuti da alcuni anni in qua in santa pace et unione in cui si viverebbe ancora se non fussero stati turbati dall’orante insieme con due o tre huomini inquieti sollevati da lui per suoi fini particolari et in questi consiste tutta la massa de’ Padri Zelanti, essendosi ricevute lettere dai religiosi più qualificati della Provincia, et anche universalmente dagli altri, che detestano la mossa et operationi dell’orante e si dolgono acremente d’essere da lui maltrattati con li sopranomi di scandalosi e processati(108). Negli stessi anni in cui si verificavano questi scontri poco edificanti si registrano anche iniziative tendenti ad aumentare il numero delle sedi di noviziato e a provvedere più efficacemente alla formazione di nuovi sacerdoti. Nelle lettere inviate al priore generale, i priori di Calabria Ultra sottolineavano la necessità di avere “un altro luogo di Noviziato, mentre per la lontananza del convento di Catanzaro destinato all’educazione de’ novitii, [la provincia] viene a restar priva di molti buoni soggetti che desiderebbero essere ammessi all’abito della religione” e indicavano quale sede dell’istituendo noviziato i conventi di Francavilla, Soverato e Terranova, poiché “più commodi e più conformi alli decreti e costitutioni apostoliche(109). Per quanto riguarda l’osservanza religiosa all’interno dei conventi un certo interesse suscitano la visita compiuta nel gennaio 1700 e le richieste d’informazione avanzate dalla Congregazione sullo Stato dei Regolari ai priori di Feroleto e di Morano. Dall’esame degli atti della visita, eseguita da p. Giovan Battista di Melfi provinciale di Puglia e da p. Raffaele Agostino Loyola da Altamura, si nota che essa si svolse seguendo le modalità precedentemente illustrate e con il medesimo questionario sottoscritto dai religiosi, mentre più articolata appare l’indagine informativa della congregazione pontificia (110). Nel complesso lo stato e il tono della vita religiosa sembrano più elevati rispetto a quanto riscontrato nelle altre visite, anche se non mancano frati accusati di concubinato o di eresia (111). Al contrario la congregazione di S. Maria di Colloreto versava in “un cronico rilassamento”, per l’intromissione dei baroni locali che imponevano superiori di loro gradimento. Nel 1675 il papa, con il breve Cum sicut pro parte, autorizzava il priore generale Nicola Oliva a nominare direttamente il vicario e il definitorio, perché il capitolo non si poteva celebrare “libere et rite propter baronorum et aliarum personarum protectionem(112). Il provvedimento non assicurò un miglioramento dell’osservanza all’interno della congregazione colloretana, anzi la situazione diventava sempre più difficile per l’indisciplina, i soprusi e la mancanza di un minimo impegno religioso. In un memoriale, presentato il 7 gennaio 1697 da p. Tommaso da Saracena al visitatore p. Vincenzo Mormile, si legge: “in nessun nostro convento si dice di continuo il Divino Officio [...]; li padri e frati non si confessano come comandano le nostre Costitutioni; non si osserva nessuna carità circa la cura degli infermi e poi alcuni religiosi vi à tutto quello è di necessario et alcuni per non morire da disperati si ni sono annati nelle loro case [...]; nessuno osserva il digiuno come comandano le nostre costitutioni il mercodì, il venerdì e il sabato; [...] vi è ignoranza crassa atteso li superiori non hanno vigilato sopra li studenti, nemmeno ci hanno ammessi quelli abili; hanno occupato in luogo di studente [quelli] che non hanno studiato e nemmeno hanno li principi, oggi intendono la teologia; li studenti che vi sono non intendono il latino; [...] il loro studio non è stato altro che fare l’amure a si puntani; [...] li priori si fanno per aver il voto in Capitolo mentre nelli loro Priorati non ci vanno, oppure li fanno priore per dominare chi si fa [...]. Nella congregazione non vi è altro che fumo, ignoranzia, superbia, maldicenze, abonda di vitij e li nostri padri e frati non attendono ad altro che a dare male esempio atteso [che] pochi religiosi sono che non hanno avuto e tengono il morbo gallico; vi sono religiosi che tengono figli [...]. In nessun modo si fa conto delli bolli e decreti pontifici con trasgredirle tutti senza fare conto delli scomuniche. [...] La nostra congregazione poi è ridotta fabola e ludibrio de’ secolari per la mala vita de’ religiosi e scandali sortiti alla giornata di ogni genere e siamo mostrati a dito in tutte le parti e precise dove sono nostri conventi(113). Per non interrompere definitivamente ogni rapporto con l’Ordine agostiniano - nel 1727 il priore generale aveva ventilato la possibilità di abolire la congregazione - venne presentato un piano di riforma, in occasione del capitolo intermedio celebrato il 18 aprile 1728 nel convento di S. Agostino di Benevento (114). Nel documento, elaborato dal delegato apostolico mons. Giovanni di Nicastro vescovo di Claudiopoli, si sottolinea la necessità di applicare la normativa post-tridentina sulla formazione dei novizi e di non ammettere al noviziato “se non chi esaminato diligentemente almeno nella grammatica e nell’artemetrica sia stimato idoneo per apprendere poscia le altre scienze nella Congregazione Coloritana” (115). Per superare le difficoltà pratiche, connesse al problema della preparazione e formazione dei novizi, quale la “scarsezza di Lettori”, si prospetta la possibilità di domandare al priore generale di “concedere ad tempus due idonei lettori, uno di teologia e l’altro di filosofia(116). Inoltre, si fa obbligo al vicario generale di garantire e di provvedere che vi sia “in ogni convento, ed in ispecie ne’ conventi destinati allo studio, un religioso perito nel canto gregoriano, il quale possa ben insegnarlo ai giovani(117). Il completamento degli studi è considerato condizione indispensabile al fine di ricoprire in futuro incarichi di governo “anche di semplice priore”. In tal modo si cerca di porre un freno alle ingerenze dei signori laici che facevano eleggere personaggi culturalmente impreparati e di dubbia reputazione. Per quanto riguarda l’indisciplina e gli abusi, si chiede una maggiore sorveglianza da parte dei priori e del vicario generale e una pronta ubbidienza dei singoli frati “virtutis amore e non già formidine poenae”. Tuttavia, questi provvedimenti non migliorarono la vita conventuale e l’osservanza religiosa all’interno della congregazione di S. Maria di Colloreto. Il priore generale Agostino Gioia non trovò altro rimedio che chiedere l’immediata soppressione, decretata da Benedetto XIV con il breve Assidua pastoralis officii del 6 ottobre 1751 (118). A seguito della soppressione gli elementi migliori passarono alla provincia di Calabria e alla congregazione Napoletana (119).

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(102) G. FIORE, Calabria illustrata, Napoli 1743, vol. II, p. 385. Sulla figura di Filippo Visconti già priore generale degli agostiniani e vescovo di Catanzaro (1657-1664) Cfr. F. ACCETTA, Le “confessioni” e “confusioni” di un agostiniano milanese presule in Calabria. La corrispondenza di Filippo Visconti vescovo di Catanzaro (1657-1664), in “Analecta Augustiniana”, LXII (1999), pp. 5-124.

(103) F. RUSSO, Regesto, cit., vol. VIII, 1984, n. 39670.

(104) AGA, Aa XI, f. 98.

(105) Per le controversie insorte nei capitoli provinciali del 1690, del 1692 e del 1697 cfr. AGA, Aa XI, ff. 634-635, 647-650, 673-83; Archivio di Stato di Vibovalentia, notaio Francesco Valente, atto del 26 aprile 1692.

(106) B. VAN LUIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma monastica, in “Augustiniana”, XXII (1972), p. 298.

(107) AGA, Aa XI, f. 592.

(108) Ivi, f. 594.

(109) Ivi, f. 628.

(110) La visita del 1700 e il questionario della Congregazione dei Regolari, inviato nel 1701 ai priori dei conventi di Feroleto e di Morano, si trovano in AGA, Aa XI, ff. 532-569; Aa VII, ff. 50-60.

(111) AGA, Aa XI, ff. 535, 547.

(112) F. RUSSO, Il beato, cit., p. 58.

(113) AGA, Aa VII, ff.156-157r.

(114) Appendice 5.

(115) Ivi, art. II e VII.

(116) Ivi, art. IV.

(117) Ivi, art. IX.

(118) Sulla vicenda della soppressione Cfr. F. RUSSO, Il beato, cit., pp. 58-62.

(119) B. VAN LIIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma monastica, in “Augustiniana”, XXII (1972), pp. 285-286.

 

 

12. IL TERREMOTO DEL 1783

All’indomani del terremoto del 1783, la distruzione materiale dei centri abitati, gli sconvolgimenti del territorio, le condizioni psicologiche e materiali delle popolazioni calabre furono per il governo borbonico l’occasione per assumere provvedimenti radicali e per alcuni versi innovativi, in linea con la politica anticlericale, avviata ormai da qualche decennio, e le idee illuministe portate avanti dagli intellettuali napoletani (120). Tra le disposizioni invocate e adottate, infatti, fu la decisione di abolire le case religiose, d’incamerare le rendite per “convertirle in sollievo di tanti miserabili venuti allo stato dell’ultima desolazione”, e di sospendere la riedificazione “de’ ricchi e superbi conventi, ed altre pie fondazioni, che i terremoti han rovinato”. La descrizione delle strutture conventuali, inserita nei volumi delle Liste di Carico, conservati nell’archivio di Stato di Catanzaro, evidenzia come ai danni provocati dal sisma si aggiunsero quelli scaturiti per l’incuria e la sistematica spoliazione. Il convento e la chiesa di S. Maria del Soccorso d’Acquaro (121) restarono l’uno e l’altra intieramente diroccati, cosicché oggi non si osservano che mucchi di pietre”. Mentre il convento di Catanzaro (122)è quasi intieramente diruto; per la parte superiore vi esiste però un braccio, [...] ma per rendersi abitabile ha bisogno di molto riattamento; sotto di esso vi sono poche camere, che sarebbero abitabili, ma si come il convento è fuori l’abitato, così non è agevole che fossero abitati. La chiesa è destinata per parrocchia”. Meno gravi, nonostante i segni dell’abbandono, sembrano le condizioni statico-funzionali dei due insediamenti di Monteleone (123): S. Agostino (1423) e S. Maria della Pietà degli agostiniani scalzi (1614). “La chiesa è tutta in buon essere a riserba di una lesione che si trova verso il portico, e specialmente sotto l’antico campanile, quale avendo patito molto per li tremuoti, per conseguenza l’angolo della chiesa che stà attaccato al medesimo patì pure. La stessa è officiata dal priore Tripodi, prima agostiniano ed ora sacerdote secolare. Contiene sette altari, uno maggiore e l’altri minori. Gli stessi sono arcati di pilastri, e colonne di stucco, e quadri in mezzo. Sopra la porta esiste il coro de’ monaci colla parata di legname in buon essere. Evvi il pulpito fatto parimenti di legname. L’intempiata della stessa chiesa, come pure quella dei presbiterio e delle cappelle, sono in buon essere. Il convento però patì molto per causa de’ tremuoti. Lo stesso è stato assegnato per Casa di Corte, e ultimamente si fece perizia per i risacrimenti che vi bisognano. La sagristia è sana, e contiene un solo armadio da un lato colle sue credenze per uso de’ sagri arredi. [...]. La chiesa ed il convento dei pp. agostiniani scalzi restarono molto lesionati per causa de’ tremuoti, ma essendosi poi tolta la copertura dell’una e dell’altro, le mura maggiormente vennero a patire coll’introduzione delle acque piovane, onde al presente si veggono ruinose. Sopra la chiesa solamente esisteno poche tegole, e quantunque vi è altresì poco legname lo stesso è tutto infracidito

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(120) A. PLACANICA, L’Iliade funesta. Storia del terremoto calabro messinese del

1783, Roma 1982; IDEM, Il filosofo e la catastrofe, Torino 1985; I. PRINCIPE, Città nuove in Calabria nel tardo settecento, Chiaravalle Centrale 1976.

(121) ASCZ, Liste di Carico, vol. VII, f. 164.

(122) Ibidem, vol. IX, f. 779.

(123) Ibidem, vol. XXIII, f. 420.

 

 

13. LA SOPPRESSIONE MURATTIANA

Quando il 7 agosto 1809 Gioacchino Murat emanò il decreto di soppressione di tutti gli Ordini religiosi esistenti nel regno di Napoli, gli agostiniani contavano in Calabria 18 conventi, nove per ogni provincia (124) (tab. 8).

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TAB. 8 - CONVENTI AGOSTINIANI NEL 1809

Provincia di                                          Provincia di

Calabria Ultra      Padri      Laici       Calabria Citra    Padri      Laici      

Catanzaro                 3              2          Belvedere                2             1

Francavilla               4              5           Bucchigliero           2             3

Feroleto                     1              -           Cosenza                  6             1

Monteleone               3              3           Martirano              2             -

Soverato                    4              5           Melissa                   2             -

Spatola                      4              1           Morano                  2             -

Terranova                 3              -           Nocera                    4             1

Varapodio                 2              -           Paola                       9             5

Vazzano                     1             -           Terranova               3             -

 

TOTALE                  25           16                                         32            11

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Dopo la firma del concordato del 1818 tra la S. Sede e il regno di Napoli furono riaperti i conventi di S. Maria del Soccorso di Terranova (provincia di Calabria Citra) e di S. Maria della Croce di Francavilla Angitola (provincia di Calabria Ultra) (124). Il convento di Terranova venne ripristinato il 4 dicembre 1819 con una rendita di ducati 1906 e grana 58. Il 18 maggio 1820 i frati si trasferirono nell’ex convento dei paolotti perché l’antica sede era inagibile. Il decreto di riattivazione del convento di S. Maria della Croce di Francavilla fu firmato l’11 gennaio 1820 con una rendita di ducati 1221 e grana 21. Poiché l’antico convento era in condizioni statico-funzionali molto precarie l’Alta Commissione per il concordato autorizzò, nel 1821, il trasferimento dei religiosi in Monteleone. I due conventi furono aboliti dopo il 1860. Si chiudeva così un capitolo della storia religiosa calabrese.

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(124) C. TESTA, Ricerche sulla soppressione dell’Ordine agostiniano nel Regno di Napoli durante l’occupazione napoleonica, in “Analecta Augustiniana”, XXXIX (1976), pp. 207-252.

(125) IDEM, Ricerche sulla restaurazione dell’Ordine agostiniano nel regno di Napoli 1816-1838, I parte, in “Analecta Augustiniana”, XLII (1979), pp. 217-281; II parte, in “Analecta Augustiniana” XLIII (1980), pp. 253-302. Il 16 agosto 1835 la ripristinata congregazione di S. Giovanni a Carbonara ottenne l’autorizzazione regia ad aprire un convento a Sinopoli (prov. di Reggio Calabria), abolito nel 1860.

 

 

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DOCUMENTI

 

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ORDINATIONI EI CONSTITUTIONI FATTE PER ME FRATE AGOSTINO DELLA ROCCELLA NEL PRESENTE ANNO DEL NOSTRO VICARIATO 1569

 

1. Ordiniamo e comandiamo sotto pena di essere trasgressori delli comandamenti del Sommo Pontefice e della scomunica promulgata da Sua Santità che ogni priore habbi da comprare un Breviario nuovo per monasterio, et Cosenza dui, per l’uno caso l’altro per l’altro, infra termine di un mese altrimenti si procederà [...] secondo il iuditio, et de che lo comprenderà.

2. Ordiniamo et comandiamo da parte del P. R.mo che nessuno frate di qualsivoglia sorte tenga denari, bestiami, tanto de mobili come de stabili o che habbia dato ad alcuno con polize, o con guadagno. Dopo lette le presenti fra lo spazio d’un mese habbiano da acogliere li detti denari et ponerli in deposito con suo proprio nome, et non potendo racogliere li detti denari, habbiano da racogliere le polize, scritture, altramente superandosi questo quelli saranno confiscati et attribuiti per quello monasterio et esso sarà tenuto proprietario; si sarà priore sarà privo de voce attiva et passiva per tre anni e punito da proprietario.

3. Ordiniamo et comandiamo che nessuno frate habbi da dare scorrette per la Congregatione né priore nè sudditi senza urgente necesità, ne fare liste, quadrigli, et simonie per le quali possino conturbare la Congregatione et sapendosi essendo priore sia casso d’ufficio e suddito punito et privato de voce per uno capitolo generale.

4. Ordiniamo ancora che nessuno habbi da dire male ne accusare, ne esaminare l’uno contro l’altro, ne renovi cose passate conformi alle constitutioni fatte dal R.do p. maestro Spirito nel capitolo nostro de Campo d’Arato passate per Sua P[aternità] R.ma quale constitutioni, dal priore vogliamo che si osservino per conservatione et onore comune di questa Congregatione.

5. Ordiniamo ancora che tutti li priori habbino da essere caritativji con gli hospiti. Li padri della Congregatione tanto con persone religiosi et estranei et di qualsivoglia sorte tanto priore, come suddito, tanto piccolo come grande.

6. Ordiniamo a tutti li priori che faccino imparare li diaconj, subdiaconj et novitij et che loro siano obedienti alli loro priori et sacerdoti.

7. Ordiniamo che nessuno priore habbi da recevere alcuno frate estraneo senza licenza in scriptis, ne habbi da vestire frati d’altra Religione, ne di qualsivoglia grado et conditione.

8. Ordiniamo che nessuno priore pona mano alle intrate del monasterio ma che lo procuratore sia diligente all’intrate et non essendo vadano per mano del sacristano, ma il priore habbi occhio sopra tutte le cose et che li fruiscano ben governati del vitto et governo loro.

9. Ordiniamo a tutti li priori che habbino da dare o fare spendere per li sacerdoti, calzette, pianelli et habbito di valuta di quattro ducati [...] et questo per essere penuria de panni che sono tanto cari. Et li Jaconi secondo sarà meritevole sarà nell’arbitrio delli priori, senza che nessuno sia aggravato, quale aggravio lo intenderemo noi alla visita che faremo.

10. Ordiniamo che nessuno frate vada fuora del distretto del monasterio senza licentia del suo priore, et quando accascherà andare vada con il compagno divotamente come conviene a Religiosi, et che nessuno porti armi proibiti, ma che l’armi de’ frati siano breviarij, missali, et officioli et altri libri spirituali non proibiti.

11. Ordiniamo che s’habbi cura alli infermi de medici et medicinj et d’ogni loro bisogno conforme alle nostre Constitutionj.

12. Ordiniamo che nessuno frate lassi mangiare seculari in tavola de frati, ne garzoni, ne altra famiglia di casa ecetto si fosse alcuna persona d’autorità et il priore facendo il contrario in questo starà in terra la sesta feria per due hebdemoda con solita disciplina.

Fr.e AUGUSTINO DE ROCCELLA Vicarius indignus

da AGA, Ii, vol. XI, ff. nn.

 

 

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DISPOSIZIONI DI FRA DONATO DA BENEVENTO PER LA CONGREGAZIONE ZUMPANA

(16 AGOSTO 1569)

Fr. Donatus Beneventanus Ordinis Sancti Augustini Vicarius Generalis totius Calabriae Indignus.

Per non mancare in nulla all’ufficio che per gratia di superiori ci è stato concesso, havendo noi per quel poco di tempo che siamo stati con esso noi veduto e toccato con le mani molti disordini in questa vostra Congregatione ci ha parso farv’intendere in molte cose qual sia la nostra volontà sopra la vostra riforma, e tutto a honor di Dio et splendor di nostra Religione, et a beneficio et quiete publica, et utile, ascoltate adunque che cominceremo la riforma dalle cose spirituali prima.

1. In primis ordiniamo, et in virtù di Santa Ubbidienza comandiamo che in tutte le chiese di questa Congregatione tanto esistenti ne i boschi, quanto dentro terre, per il bisogno che potrebbe succedere, si tenghi in custodia honorata, secondo la facultà de luoghi, il Corpo Sagrato di nostro Signore avanti del quale habbi da star sempre accesa una lampada, et si potrà designar a questo uso in quei conventi, che non hanno entrata di olio, qualche entrata di cappelle che è meglio sia designata a questo uso santo che ad altro uso profano, come sarebbe a dire a uso di bocca o di vestimenta di frati; ne gioverà dir che il monasterio non habbi possibilità perché in tal negotio Dio benedetto non mancherà, et come i populi vidranno et sapranno, non mancheranno di donare a Dio poiché non mancano di donare a noi, onde si ordina che il priore quando manderà per la cerca del pane, mandi ancora per la cerca dell’olio per la lampada del Corpo di Christo, et così al tempo quando si mancinano gli ulivi et quel che si troverà sia dedicato a quest’uso, et non altro; et habbiano speranza nella devotioni de’ popoli, che nulla o poco occorrerrà ci metta il convento, et che gran cosa sarà, che i conventi vostri vivono de limosine mettesino in tal opera quattro et cinque docati, poiché i nostri che vivono senza limosine in tal opera non ci mettono meno di sei o sette docati l’anno. Et perché il convento di Suverato per il pericolo di Mori, di Turchi non è giusto ne deve tenere detto Sagramento, ordiniamo che in tal tempo, che non può tenerlo soccorra tre conventi più poveri e più vicini a esso di una libra d’olio per convento, ne si faccia altrimenti, sotto pena di scomunica, che non possi assolversi da nissun nostro inferiore. Quest’ordine di tenere il Sagramento s’intende ne conventi ove le chiese son fabricate et sicure, si che il Sagramento sia sicuro ancora da qualsia sorte di persona.

2. Ordiniamo ai sagrestani che habbin miglior cura di quella che han havuto per il passato alle sagrestie, et che siano solleciti a tener i calici ben mondi et netti con i suoi purificatori et fazzuoletti, quali vogliamo che si mutino due volte la settimana et accioché quanto al Sagramento del calice non naschi qualche disordine, che con ogni facilità potrebbe nascere, se sopportassemo più i vasetti, che habbiamo veduto servire in luoghi d’ampolline, ordiniamo strettamente al venerabile priore pro tempore, che sempre in sagrestia facci stare due para di ampolline di vetro come habbiamo veduto in tutti i luoghi di nostra Religione; et siaci pur freddo quanto si voglia, o veramente dia ordine che si faccino di creta bianca, ma a modo di ampolline et carafille col becco, o pizzo lungo et stretto, accioché non si facci errore nel ponere dell’acqua al vino. Il priore et sagrestano che contrafaranno a questa ordinatione sieno privati della metà delle loro vestimenta.

3. Da che è chiaro che siete osservanti di nome, desideriamo ancora che al nome corrispondano le opere et li fatti, et qual opera può corrisponder al nome d’osservante, più illustre et grata a Dio et al mondo quanto quella con che ci priviamo di proprietà delle cose si stabili come mobili, sieno patrimoniali o acquistate? Però, in virtù di Santa Ubbidienza, vi ordiniamo, et sotto pena di scomunica alla quale ipso facto vogliamo che incorriate, se non ubbidirete, vi comandiamo che infra termine d’un mese tutti da sedeci o dicesette anni in su facciate solenne professione, per mano di notaro autentico, et tali professioni vogliamo che si trascrivino nel libro della Congregatione col nome del notaro che le scrisse, et in autentica forma, et si faccino con rinuncia reale d’ogni proprietà di stabili, o mobili, al quanto ove detti professi presero l’habbito, con notare distintamente et particularmente si i stabili, come i mobili, di vacche, capre, pecore, porci de quali faranno volontaria rinuncia; et cerchino di non mettere in pericolo l’anima loro con volersi ritener qualche cosa, accioché non accaschi, come accaschò nella primitiva chiesa ad Anania et a Saphira, che morittero miseramente per volersi con fraude ritenere parte del campo. Ordiniamo ben poi al padre vicario pro tempore et al priore del luogo che, rimossa da loro ogni passione, dispensino del usufrutto alle necessità di detti padri [...].

4. Ordiniamo, che esclusi quelli ch’hanno [...] gratia particulare da superiori, nissuno possi tenere nella Congregatione stanza perpetua, ma che ogni due anni al più si mutino i frati da luogho a luogho, et intendiamo di quelli che si porteranno bene, perché quei che si portano male non si ha da permetere che doppo l’eccesso siano sopportati manco un giorno, et questo intendiamo non solamente di sacerdoti, ma et di zaghi ancora quali vogliamo che siano posti per i conventi secondo il volere di padri diffinitori et vicario, et non secondo il volere de’ priori de luoghi.

5. Ordiniamo, da che si vede chiaro che ogn’uno attende a far partito mosso dalla ambitione che si ha di regnare et dominare et di essere superiore, et che per haver voci in capitolo et far vicarij ad vota si danno licentia da messe a giovani non di età come comanda il Sacro Concilio, ne manco atti et idonei, che da qui in poi non si possi dar fra un anno licentia dal padre vicario a nissuno d’ordine sacro, ma ben vogliamo che nel capitolo dal padre vicario si proponghino quei che si haveranno a ordinare, et preposti siano esaminati da padri deffinitori e visitatori di quell’anno, da quali vogliamo che siano o per indegni riprobati o per degli approbati, et dell’approbatione questa forma [segue formula].

6. Ordiniamo che i padri deffinitori et visitatori nell’approbare non riguardino solamente a costumi e alla sufficientia, ma più all’età, et che come comanda il Sacro Santo Concilio non siano da manco di 18 anni quelli che approberanno al subdiaconato, ne manco di 22 anni quei che al diaconato, ne manco di 24 o 25 quei che al sacerdotio.

7. Ordiniamo ancora che i deffinitori e visitatori non possino essere eletti salvo che quegli che saran stati a altri tempi vicarij della Congregatione e padri atti a far detta esamina degli candidati da doversi riprobare o approbare da loro a gl’ordinj.

8. Per levar di mezzo ogni confusione, vogliamo et sotto pena di disubbidienza comandiamo, che non habbin voce in capitolo altro che i padri deffinitori et i padri visitatori del precedente capitolo, i priori de luoghi, et i discreti, et questi non vogliamo che siano o possino essere eletti se non saranno persone, et di giudicio, et di età, et di costumi mature, et tali che mai dalla Religione siano stati apostati o di notabil vitio notati.

9. Vogliamo ancora che tali padri havran voce attiva non habbino autorità di eleggere persone in vicario che non sappi ben leggere, scrivere et cantare di canto fermo al manco et tale ordiniamo che sia eletto, quali ricerchiamo che siano gl’elettori, cioè di età et di costumi maturo, et che mai sia stato apostata dalla Religione, ne notato e convinto di notabil vitio, salvo sempre altre volte sendo stato eletto per via degl’honori della Religione si sarà levato da tal macchia.

10. Accioché si tolghi via di mezzo ogni materia di confusione et di disturbo dalla Congregatione ordiniamo che nessuno habbi ardire querelare persone alcuna che prima non si oblighi di stare alla pena del taglione, cioè a quella che meriterebbe il querelato se non proverà la querela per testimoni degni di fede. Vogliamo ancora che in tal facende non s’habbi ricorso a giuristi o a persone del secolo siano laici o preti, chi contrafarà sia privato di voce attiva e passiva per dieci anni. Et così intendiamo di quegli che havranno ardir di rivelare in tutto o in parte a layci et a qual sia secolare i segreti del capitolo et della casa. Et se doppo questa pena con verità saranno trovati protervi, si proceda contro di loro con pena di carcere di sei mesi, et di digiuno di 2°, 4° et 6° feria in pane et acqua solamente et con pena di disciplina ogni feria sesta. Et se all’esecutione di questo precetto serreranno gl’occhi i padri vicarij pro tempore ex nunc, pro ex tunc s’intendono d’essere privati del loro vestimento, et poi sieno inabili per tre anni a ogni officio.

   Queste cose ci ha parso lasciarvi, che giudichiamo siano molte necessarie per il quieto et honesto vivere di vostra Congregatione. Ufficio vostro sarà di effettuare, et adempiere la detta nostra volontà, anzi non nostra, ma del Sagro Concilio, et de Padri dell’Ordine che si esplica in queste nostre lettere, se volete meritare appresso di Dio, et essere di presso a presso di vostri superiori, che vi governano, et sotto l’ubbidientia de quali di stare e di vivere non sforzatamente, ma di volontà vi obligaste per la presa dell’habito, altrimenti ci protestiamo che della disubbidienza havrete, et da superiori la degna pena, et da Dio, a cui farete resistenza, resistendo a loro, a cui dispiacerete dispiacendo loro, et cui sprezerete sprezzando loro [...].

Soverato 16 agosto 1569

Fr. DONATO BENEVENTANUS

da AGA, Ii vol. XI, ff. nn.

 

 

 

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RIFORMA DELLA CONGREGATIONE DEL BEATO FRANCESCO DI ZUMPANO DELL’ORDINE EREMITANO DI S. AGOSTINO IN CALABRIA.

ROMA - NELLA STAMPERIA DE VINCENZO ACCOLTI IN BORGO MDLXXXVI

 

DEFFINITIONI FATTE NEL DEFINITORIO DEL CAPITOLO DELLA CONGREGATIONE DI ZOMPANO

PRESIDENTE L’ISTESSA PERSONA DEL PADRE REVERENDISSIMO GENERALE M. SPIRITO DA VICENZA

ESSENDO ELETTO VICARIO IL R. P. MAESTRO DAMIANO DA BEVAGNA NEL 1584

1. Ordiniamo che le costitutioni riformate dell’Ordine nostro siano di bene di bene in meglio osservate, come quelle dalle quali dipende la vera osservanza, et la vera riforma di ogni Provincia et d’ogni Congregatione fin dal principio che forono publicate sono state accettate da questa Venerabile Congregatione et hora di nuovo più che mai prontamente con ogni debita humiltà et obedientia accettiamo.

2. Che il culto del Divino Offitio si esseguisca con ogni debita divotione, et sollecitudine così di giorno come di notte et non si manchi di dire l’Officio di Nostra Donna in tutte le nostre chiese ne giorni debiti, secondo il Breviario Romano, et con la Benedicta tu etc., secondo il consueto della Religione.

3. Del silentio, della clausura, de digiunare si osservi quanto comandano le nostre Costituzioni: così anco del leggere alla mensa, et nel Venerdì et Sabbato la Regola.

4. Così anco dell’Oratione della sera per li beni, che ci sono stati fatti, perché si prieghi per li vivi et morti, et nel Capitolo de Culpis ne giorni che dicono le Costitutioni.

5. Che non sia lecito a frate alcuno di questa Congregatione portare vesti di panno fino o pretioso, ma tutti li Sacerdoti vestino di ferandina grossa di tutta lana di quella che si fa al paese. Li professi et novitii et tutti gli altri non sacerdoti siano vestiti di quello di arbascio, il quale sono stati soliti di portare gli antichi Patri di questa Congregatione del principio di essa; di quel panno s’anco alcuno sacerdote, per maggior humiltà o maceratione di carne, dimanderà di essere vestito ce ne contentiamo, pure che sia bel nero, di forte che si conosca dal colore essere veramente dell’habito della nostra Sacra Eremitana Agostiniana Religione.

6. Che del medesimo arbascio siano tutti i materiali delli religiosi et siano fatti a cartoccio, serrati col suo osso al petto, et non molti corti; così anco li manti più corti ferraioli per cavalcare siano di arbascio; et non sia lecito ad alcuno di qualunque grado sia d’haver ferraiolo per cavalcare, se non haverà prima il mantello a cartoccio per casa et per la città, il quale può servire per il viaggio ne bisogni.

7. Che non si conceda se non agli sacerdoti dormire sul materasso, gli altri di grado inferiore dormino nel pagliericcio.

8. Che tutti portino le camiscie di lana, et con dispensa del patre vicario di canevaccio, o di stoppa grossa senza collaro, però et senza comparenza nelle maniche.

9. Che nessuno porti tonica bianca in alcuno tempo dell’anno, né grossa né sottile, poiché questa Congregatione dal suo primo instituto non l’ha havuto in uso, ma ha perseverato in portare l’habito nero solo per tante decine d’anni, et così determinano le costitutioni dell’ordine nostro, che si debba osservare in simile caso.

10. Che ognuno porti un tonichino bianco di panno, di rascia grossa o di altra materia tale di lana, longa sin al genochio per la divotione della gloriosa Vergine madre di Dio, nostra avvocata con lo scappuccio della notte; et non ardiasca religioso alcuno di alzarsi le falde della cappa né in viaggio né in convento né in altra parte, se non haverà sotto il detto tonichino bianco, sotto pena di una buona disciplina da esserle data nel mezo del Capitolo overo Refettorio alla presenza di tutti li frati del convento, et non si dia il denaro a nessuno, ma per mano del procuratore per ordine del Priore, sotto la medama pena, si spenda; le scarpe siano alla fratesca et niuno porti berettini di tela lavorati, né anco a capo scoperto, et tutti portino lo scappuccio in dosso anco in viaggio, così a piedi, come a cavallo, et li giopponi siano come comandano le costitutioni.

11. Che non sia lecito di andara a cavallo se non al Vicario della Congregatione et al suo compagno, a’ Visitatori, alli padri Maestri graduati et predicatori, ai vecchi che passano sessanta anni et a gli infermi; gli altri frati tutti vadino a piedi secondo l’antico costume et ancora tutti questi eccettuati non cavalchino ordinariamente cavalli o giumenti, ma muli o asinelli, come si conviene allo stato della humiltà di questa Congregatione. Però niuno tenga cavalcatura particolare, ma tutti si vendino et comparisca il prezzo al deposito.

12. Che siano ricevuti amorevolmente gli hospiti et forestieri et ben trattati, o sian di questa, o d’altra Congregatione dell’Ordine nostro, o di qual si voglia Provintia, pur che venghino con licenza in scriptis di loro Superiori, come comandano le costitutioni riformate; et non si manchi di lavare loro i piedi oltre l’altre carezze secondo l’antica et lodevole usanza di questa Congregatione; et si provvegga a’ gli infermi et facciasi l’infermeria a mese, et si legga per ogni mese alla mensa eccettuando chi sia absente per sua rata che li toccarebbe, i priori, i maestri o graduati et li sessagenarij.

13. Che non sia lecito a niun frate di questa Congregatione di tagliarsi la barba, ma lasciarsi crescere, come la manda la natura senza fomento o coltura alcuna, se non acconciare almeno ogni quindici giorni li mostacci con la debita moderatione, come ricerca la riverenza del Santissimo Sacramento dell’altare, et lavarsi alle volte per il medesimo rispetto; et non manchi dell’opera del barbiero a tempi debiti per questo, come per fare la corona o chierica a frati secondo che le Costitutioni. Quelli che mancheranno siano gravemente ripresi, corretti et puniti dal Vicario et dagli Visitatori.

14. Che da qui innanzi quelli che si faranno professi si chiamino del luogo della professione et non della patria, il che anco desideriamo che si faccia di quelli che sono professi et non sacerdoti, potendosi fare senza pregiudizio di atti publici et di scritture nelle quali siano intervenuti o nominati in conformità delle Visitationi, et si lascino totalmente li sopranomi sotto pena grande al padre Vicario pro tempore etc.

15. Che non si ammetta niuno agli ordini minori se non sa leggere distintamente et bene. Al subdiaconato non si ammetta, oltre l’altre conditioni che si ricercano, se non saperà cantare canto fermo almeno mediocremente grammatica.

16. Che si determini in ogni convento quanto si debba spendere continuativamente per la pietanza de’ frati et siano ben trattati li frati secondo la possibilità degli conventi, et non stia in arbitrio del priore et procuratore di spendere come pare a loro.

17. Che li priori non essigano, né spendino, né maneggino denari, ma lasciano fare gli offitii debiti agli procuratori et depositari et agli altri offitiali, li quali siano eletti secondo la forma delle costitutioni dalli vocali del convento.

18. Che li priori habbiano li libri cartellati con li numeri, come conviensi et scrivano distintamente la giornata, la quantità et il valore delle robbe, chi compra, per cui, per quali occasioni, di che, et rendano li conti dell’introito et essito ogni mese innanzi a tutti li vocali.

19. Che si faccia annotatione et introito non solo del denaro, ma del grano, vino, oglio, orzo et cascio, et di legumi, della seta, lana et d’ogni altra sostanza, la quale o per intrata ferma, o per elemosina verrà in convento, et passerà dagli offitiali, et le cose di momento stiano sotto due chiavi.

20. Che vi siano almeno due Novitiati a quattro luoghi principali determinati, si leggano continuamente casi di conscientia nella Congregatione per institutione non solo della pueritia et gioventù, ma anco di tutti i sacerdoti, li quali tutti n’hanno bisogno.

21. Che negli quattro luoghi principali vi sia la carcere secura et sana.

22. Che li fratini atti a passare agli ordini sacri non siano perpetuamente aggravati et oppressi in continua occupazione di cerche, et tanto meno in opere di masseria, ma concedasi loro tempo, giorno et hore determinate, et deputate per poter imparare a leggere et scrivere, et imparare di grammatica, et cantare canto fermo, et si provveda che in ogni luogo si consegni persona atta ad insegnarli; et a quelli che non sono atti, né habili ad imparare non si conceda cappuccio, ma si occupino alla cerche et altri tali negotii etc.

23. Che non ardisca frate alcuno nominarsi con nome di partialità di levante o ponente, ne’ anco nominar così altro frate di questa Congregatione o dell’Ordine sotto pena la prima volta di una buona disciplina a spalle nude, la seconda un mese di carcere, la terza ad essere bandito per tre anni di questa Congregatione; la medesima pena haveria chi chiamerà li frati della Provincia Conventuali, o figli non legitimi di S. Agostino, poiché già tanti anni è stata levata ogni conventualità, et nel Capitolo di Milano nell’anno 1564, sotto il generalato della buona memoria del Reverendissimo Patre Maestro Christoforo, la dove forono raccolti tutti li padri delle Provintie all’osservanza et ordinato che così si chiamassero, cioè Osservanti.

24. Che niun frate ardischi d’infamare frate alcuno né grande né picciolo della nostra Congregatione, né rivelare ad alcuno né altra persona fuori dell’Ordine li secreti del Capitolo o della Religione, o imperfetione de’ nostri religiosi, oltre la pena contenuta nelle Costitutioni sotto privatione et escomunicatione latae sententiae riserbando di questo caso l’assolutione al Padre Reverendissimo Generale, al Padre nostro Vicario, et ognuno si guardi in questo della mal ventura. Et non vogliamo che il Padre Vicario usi misericordia verso questi tali detrattori et diffamatori. Et chi farà libelli, rime, canzoni, o versi infamatori sia dechiarato dal Padre Vicario scomunicato et castigato rigorosamente.

25. Che niuno tenga denari in camera, o appresso di se, ma tutti stiano nel deposito sotto pena di scomunicatione, eccettuando quel poco che ad alcuni sarà permesso per qualche necessità quotidiana dal Padre Reverendissimo, o dal Padre Vicario in scriptis. Et contrafacendosi s’incorra nelle pene dichiarate nelle Costitutioni et Sacro Concilio Tridentino. Il medesimo s’intenda contro quelli che teneranno robbe fuori di convento ovvero presteranno denari fuori della Congregatione, o chi tenesse animali.

26. Gli Apostati et fuggitivi perdano il luogo et la voce secondo ordinano le Costitutioni.

27. Accettiamo et ammettiamo il Breve di Nostro Signore Gregorio XIII in materia di maestri et magisterio, ma pregamo il Padre Reverendissimo, che li detti maestri che verranno, attendano a leggere casi di conscientia et predicare altrimenti non godano l’essentioni magistrali.

28. Vogliamo anco che quanto prima si potrà senza danno di questi conventi si provvegga di levare le masserie, li buovi et le vacche, affinché i religiosi nostri possano attendere meglio al servitio di Dio.

29. Ordiniamo che per l’avvenire non possi essere eletto Vicario di questa Congregatione se non dopo sei anni intieri, non computando però il tempo del suo primo vicariato, altrimenti l’elettione fatta sia nulla, et esso accettandola inhabile a tale offitio per dieci anni.

30. Che col mezo del favore del Molto Eccellente et Rev.mo Vescovo di Squillacci si raccolga la vita et li miraculi del Beato Francesco di Zompano fondatore di questa Congregatione, tanto più che vive il padre fra Gerolamo di Scigliano suo discepolo.

 

da Biblioteca Angelica, Roma, [SS] 11.21.(21).

 

 

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STATUTI SEU COSTITUTIONI DELLA CONGREGATIONE DI S. MARIA DI COLORITO DI MORANO DI CALABRIA CITRA DELL’ORDINE EREMITANO DI S. AGOSTINO DELL’OSSERVANZA FATTI DAL MOLTO R. P. F. BERNARDO DA ROGLIANO, FONDATORE CONFERMATI DAL REV. PADRE GENERALE DEL DETTO ORDINE MANDATI IN LUCE PER ORDINE DEL M. R. P. FRA PIETRO DA MORANO VICARIO GENERALE DI DETTA CONGREGATIONE IN NAPOLI PER GIOVANNI MONTANARA MDCXXXVI

Fra Bernardo alli frati della sua Congregazione: venite filij, audite me, timorem Domini docebo vos. Parole che disse il Profeta David a tutti gli uomini del mondo et hora io dico a voi particolari, ritirati, per divina gratia, dal secolo all’eramo per poter più liberamente servire a sua Divina Maestà, e caminare alla celeste beatitudine per la via della Sacra Religione del Santo Padre nostro Agostino, la cui Regola ci abbiamo eletta e professamo, l’osservanza della quale facile ci sarà, col divino aiuto, se mortificati di carne, viverà in noi lo spirito del timore et amore del Signore.

 

CAP. I - DELL’OFFICIO DIVINO

Primariamente dunque (per cominciare da Dio benedetto dal quale ogni nostra attione deve havere principio) l’Officio Divino si dica secondo il rito della Santa Romana Chiesa col Breviario riformato per decreto del Sacro Concilio Tridentino e Clemente VIII di f. m. stando in piedi in Choro, con voce semplice, intellegibile, uniforme, e posatamente. Il Matutino si dica a mezzanotte; e l’altre hore canoniche ne tempi stabiliti. E ne’ medesimi tempi si dica ancora l’Officio picciolo della Beata Vergine ogni giorno, eccetto quando si dice l’Officio grande di essa nostra Signora. Ogni volta che si farà fine all’Officio, dopo l’antifona, secondo i tempi, si dica la Letania della Beata Vergine Nostra Signora. Li frati laici dicano l’Officio, tanto del giorno quanto della Madonna, conforme è ordinato nelle Costitutioni del nostro S. Agostino. E così ancora s’intenda dell’Officio de’ defonti. Nessuno si parta dal Choro senza fare riverenza al superiore e ricevuta la sua benedittione. Oltre li quattro anniversari ordinari nel commune del Santo Padre nostro Agostino, tutti li Padri sacerdoti delli monasterij della nostra Congregatione sono obbligati ogni anno in perpetuo celebrare quattro altri Anniversari per li padri e fratelli della nostra Congregatione. Il primo a 20 di aprile, il secondo a 15 di luglio, il terzo a 25 di settembre, et il quarto a 12 di dicembre. Li chierici dicano per ciasched’una volta tutto l’Officio de’ Morti, e li laici 50 Pater Noster e 50 Ave Maria. Quando alcun frate mancherà, tanto di notte, quanto di giorno in Choro all’hore canoniche, senza ligittima causa, per la prima volta sia fraternamente corretto dal superiore in pubblico Refettorio, e la seconda mangi in terra pane et acqua.

 

CAP. II - DELL’ORAZIONE

Volemo che tutti i nostri frati assistano alla santa oratione, la quale si faccia continuamente ogni giorno un’hora la mattina, et un’altra la sera pria di cena a suono di campana.

 

CAP. III - DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE DE’ FRATI

Tutti i nostri frati, tanto professi, quanto novitij, si confessino et comunichino ogni otto giorni et anco nelle infrascritte feste, cioè la prima domenica dell’Advento, la Natività del Signore, l’Epifania, la Purificazione della Nostra Signora, la prima e la quarta domenica di quaresima, nell’Annontiatione della Madonna, nella Resurrettione di Nostro Signore, Ascentione, Pentecoste, il dì del Santissimo Corpo di Christo, la festa di S. Giovanni Battista, de’ SS. Pietro e Paolo, l’Assuntione di Nostra Signora, il dì del Santo Padre nostro Agostino, la Natività della gloriosa Vergine, il dì di S. Michele Arcangelo, et il dì di tutti i Santi. Nelle quali festività dal P. Vicario Generale o dai Priori de’ Conventi si faccia l’assolutione generale ai frati.

 

CAP. IV - DEI PREDICATORI

Li predicatori della nostra Congregatione, che anderanno a predicare in quei luoghi dove saranno chiamati, e destinati dal Superiore, si sforzino di predicare più con la buona vita e buono esempio, che con la dottrina. E prohibemo affatto, che ne per se, ne per interposita persona ricevano denari, ne per la loro predicatione, ne meno per le spese; ma sia pensiero di quelle Università, dove predicheranno, provvedere loro delle cose necessarie. E facendosi da essi il contrario, incorrono nella privatione di voce attiva e passiva in perpetuo. Volemo di più che in questa nostra Congregatione in nessun modo s’introducano o ammettano graduati, come Maestri, Baccelieri. Ne meno i predicatori habbiano essentione dal Choro senza licenza del Superiore, a cui appartenga concederla, quando giudicherà essere opportuno.

 

CAP. V - DELLO STUDIO E SCOLARI

Li frati giovani della nostra Congregatione, che si troveranno idonei, e sufficienti a poter studiare, dopo la loro professione, si facciano attendere ad imparare le Scienze, come Logica, Filosofia e la Sagra Theologia. Et il P. Vicario, accioché la nostra Congregatione vada innanzi ancora per mezzo delle lettere, habbia pensiero di provvedere un Monastero di ciasched’una Provincia di un Lettore di buona vita et di sufficiente dottrina e scienza. E caso che lettori non ne fussero nella nostra Congregatione, non se ne pigli di altre religione se non dal nostro ordine di S. Agostino. E se in alcuna città dove sia nostro Monasterio sarà studio publico, il P. Vicario col consenso de’ Padri Deffinitori, potrà dar licenza a quelli che saranno atti a studiare di andare al detto studio publico.

 

CAP. VI - DE QUELLI CHE S’HANNO DA RICEVERE ALL’HABITO

Nel ricevere, vestire, allevare e professare i Novitii si osservi tutto quello che è stato ordinato da Sagrosanto Concilio di Trento, e specialmente quanto si contiene nelle Costitutioni di Clemente VIII di f. m.; circa il modo e cerimonie del vestire e professare i Novitii si osservi quello ch’è ordinato nelle Costitutioni del nostro P. S. Agostino.

 

CAP. VII - DELLA OBEDIENZA

Siamo obligati li frati della nostra Congregatione ubidire con ogni sincerità e prontezza di animo ai loro superiori in tutto quello che sarà loro ordinato, purché non sia contrario ai precetti di Dio, alla nostra Regola et Istituto, et habbiano sempre in mente quanto sia grata a sua Divina Maestà questa Santa Virtù dell’Obedienza.

 

CAP. VIII - DELLA POVERTÀ

Acciò che la nostra Congregatione si conservi nell’Osservanza della Santa Povertà, ordiniamo che nessuno habbia in cella cose particolari, ne vesti, ne cibi, ne altra cosa che non gli sia deputata per uso dal Superiore. Ma tutto sia nelle officine communi a tutti, distribuendosi da Superiori secondo necessità. Comandiamo in virtù dello Spirito Santo e di Santa Obedienza, che questo voto sia fedelmente osservato da i nostri frati, di modo che a nessuno sia lecito appropriarsi cosa alcuna, ne tenere denari, o altra cosa in poter suo o di persone secolari. E se alcun frate fossero date elemosine per messe, o per altra causa sia tenuto a consignarle in potere de’ Depositarij. E circa questo voto si osservi in tutto e per tutto quello che è ordinato nelle Costitutioni dell’Ordine del nostro P. S. Agostino, dove si tratta la pena del proprietario, cap. 9, nella parte sesta.

 

CAP. IX - DELLA CASTITÀ

Come dalli nostri frati s’habbia da osservare l’inviolabile virtù della Castità ci insegna il N. P. S. Agostino nelle sue Regole; però senza dare altri precetti habbiano i nostri frati avanti gli occhi, e scritto nel core quello che in detta regola si comanda. E quelli che violassero (quod Deus avertat) questa Santa Virtù, incorrono, secondo la qualità e gravezza del Peccato, quelle pene, che sono stabilite nelle Costitutioni del nostro Ordine, nella sesta parte, cap. 5.

 

CAP. X - DEL DIGGIUNO

I nostri frati siano tenuti a diggiunare (oltre li giorni ordinarij, ordinati dalla Santa Madre Chiesa) tutte le quarte e seste ferie, e sabbati dell’anno. Di più la quadragesima d’agosto, che incomincia dal primo dì del detto mese sino alli quindici, che è l’Assontione della Beatissima Vergine. Si diggiuni anco la quadragesima dell’Advento, che si piglia dopo il giorno di tutti i Santi alla Natività di Nostro Signore. E venendo la Natività in giorni di diggiuno, possano mangiare carne. E, quinte volte senza legittima causa, e senza veruna licenza del superiore, alcuno romperà detti diggiuni, mangi in terra pane et acqua.

 

CAP. XI - DELLA DISCIPLINA

Tutti li nostri frati (eccetto gli indisposti) siano obligati farsi disciplina tre volte la settimana, cioè ferie quarta, sesta o sabbato, doppo il Matutino in Choro. E fatto il segno del superiore, l’hebodomadario soggiungerà: servite Domino in timore etc. (qui si comincia a far la disciplina) dicendo il salmo Miserere mei Deus con il Gloria Patri etc. et il salmo De Profundis con requiem aeternam etc. per li Defonti, con dire un verso l’hebodomadario et un altro il choro alternativamente. Detti li quali salmi, dicano insieme la Salva Regina; o altra antifona, secondo, si dirà nella fine dell’Officio. E dopo soggiungansi: Christus factus et pro nobis obediens usque ad mortem; mortem autem crucis; e l’hebodomadario dica: Respice, quaesumus Domine, su per hanc familiam tuam, etc. E se alcuno frate senza legittima causa mancherà sia tenuto farsilo in publico refettorio.

 

CAP. XII - DELLA FORMA DEL NOSTRO HABITO

L’habito nostro sia di lana rustica negra naturale, senza tintura alcuna, lungo fino sopra i piedi. Il cappuccio tondo in testa, e rotonde le falde, che circondano le spalle, e il petto. E la cintura di pelle in segno della regola presa dal S. P. nostro Agostino. Il mantello arrivi sino al ginocchio. Le vesti di sotto l’habito potranno portarsi di fiandrina, o di lana rustica, secondo che vogliano far penitenza. Ma in niun modo si portino vesti di tela, come camicia, calzoni o calzetti. Vadano ancora li nostri frati senza calzetti, eccetto in caso di necessità, e con licenza e dispensa del superiore. E chi sarà trovato portar vesti di tela, per la prima volta sia fraternamente corretto, e se non deporrà subito, sia tenuto farsi la disciplina e mangiare pane et acqua in publico Refettorio in terra, e se perseverasse sia punito più gravemente. Per calceamenti adoperino scarpe, e siano uniformi a tutti, la quale uniformità si osservi così nel calzare come nel vestire, mangiare, dormire, et in ogni altra cosa, senza eccettione di persona.

 

CAP. XIII - IN CHE TEMPO SI DEVONO VESTIRE LI FRATI

Nel giorno di tutti i Santi ciasched’uno priore deve provvedere li frati del suo monasterio di vestimenti, calciamenti, secondo il bisogno di ciasched’uno. Non si doni panno, o denari, ma vesti fatte, accioché conforme la nostra regola: si come siete pasciuti da un cellario, così siate vestiti da un vestiario. E tutti li vestimenti siano riposti nella communità, e siano distribuiti dal superiore, siccome a ciached’uno vedrà esser di bisogno. Et il priore, che non osservasse o facesse [non] osservare la communità, sia deposto dall’officio.

 

CAP. XIV - DELLE CELLE DE’ FRATI

Ogni frate habiti in quella cella che gli assegnerà il superiore, e non altrove. E li superiori de’ monasterij non possano avere più di una cella per uno. Nessuno tenga in cella cose curiose, ma solo qualche figura di santi devota. A ciasacuno sia provisto d’una banchetta, d’una sedia, d’una lucerna, d’una littiera con saccone pieno di paglia, e con un cavezzale, d’una manta, o altra coperta di lana. Ne si possano tenere lenzuole, ne meno spogliarsi, ma dormono vestiti, fuorché gli ammalati, se così ordinerà il medico. E chi fosse trovato dormire altramente, o in lenzuoli, o spogliato, o senza cappuccio, per ciasched’una volta si faccia la disciplina in publico Refettorio, e mangi a terra pane et acqua senza cappuccio. Ordiniamo, che ogni priore visiti, quante volte gli parerà espediente, tutte le celle del suo monasterio con due padri di gravità; e diligentemente veda se alcuno tenesse cosa contro le nostre regole et ordini superiori, che sconvenisse alla nostra povertà.

 

CAP. XV - DELLA CURA DEGLI INFERMI E DE FRATI CHE STANNO IN FINE DI MORTE

Circa li frati infermi, o che si troveranno in fine di morte il priore sia diligentissimo, e n’habbia cura con grandissima sollecitudine, senza eccettione di persone; et si osservi, e faccia osservare tutto quella che intorno a questo è ordinato nelle Costitutioni del nostro Padre S. Agostino nella seconda parte, al cap. 14.15. E perché questo monasterio di S. Maria di Colorito è lontano dall’habbitato, volemo che si faccia l’infermeria nella terra di Morano in una casa del monasterio, accioché gli infermi habbiano li medici e le medicine a tempo opportuno.

 

CAP. XVI - DELLA VOCE DELLI FRATI LAICI

Perché in questa nostra Congregatione vi sia paucità di frati, e accioché ancora si tolgano via molte perturbationi contrarie al pacifico e quieto stato de’ buoni religiosi, volemo che i nostri frati laici habbiano l’una e l’altra voce, avvertendo però che la voce passiva non s’intenda al vicariato. Ne meno habbiano voce se non dopo quattro anni della loro professione, dopo la quale siano tenuti ancora dir la colpa per tre anni in Refettorio. Quelli che saranno ricevuti sacerdoti al nostro habito siano privi dell’una e l’altra voce per due anni dopo la loro professione, e per un anno dopo quella siano tenuti dir la colpa ogni giorno. Li chierici quando saranno di ordini sacri habbiano solamente la voce attiva, ma la passiva da poi che saranno sacerdoti. E se alcuno costituito in ordini sacri, sarà ricevuto al nostro habito, sia privo dell’una e l’altra voce per tre anni, e sia tenuto dir la colpa per due anni dopo la sua professione.

 

CAP. XVII - DEL REGIMENTO DELLA NOSTRA CONGREGATIONE

La nostra Congregatione si regerà e governerà con la regola del S. P. nostro Agostino, la quale professiamo in pura osservanza, e con li nostri instituti e diffinitioni particolari, che si faranno nelli capitoli, secondo l’occorrenza. Si servirà et avvelerà ancora delle Costitutioni dell’Ordine del N. P. S. Agostino, cioè di quelle solamente che non contraddicono al nostro instituto, et alla regolare osservanza di essa nostra Congregatione il cui Rettore e Governatore canonicamente eletto habbia assoluta, libera e generale autorità sopra tutta la Congregatione. E volemo che ogni due anni si celebri il nuovo capitolo, e che per detti due anni duri l’officio del Vicariato. Ogni anno si faccia ancora la congregatione, nella quale li priori eletti in capitolo, o siano assoluti dal loro officio, o confermati così parerà espediente. Dichiariamo che nell’elettione da farsi dal P. Vicario Generale concorrono solamente il P. Presidente e il P. Vicario assoluto, e suo compagno, li Deffinitori, Priori che si ritrovano all’hora, e Discreti delli nostri conventi. Dichiariamo ancora, che nella Congregatione che si farà per l’elettione dei nuovi Priori, o confermatione dei passati concorrono il P. Vicario Generale, assistenti et il Deffinitorio. Di più il P. Vicario Generale assoluto nonostanti le costitutioni dell’Ordine Agostiniano habbia voce solamente nel prossimo Capitolo, che si darà, e non più. Quando nella nostra Congregatione sarà il numero di venti sacerdoti, all’hora volemo che si facciano quattro Deffinitori; ma sin tanto che non si arriverà al detto numero per la paucità dei frati, che ne facciano due solamente.

 

CAP. XVIII - DELLA VISITA DELLA NOSTRA CONGREGATIONE

Essendo la visita uno de’ principali officij del Pastore et alla salute del suo gregge sommamente necessaria et utile, il P. Vicario della nostra Congregatione almeno una volta l’anno personalmente visiterà con ogni pietà e diligenza tutte le chiese, monasterij e frati nostri, corrigendo e riformando tutto ciò che si troverà essere di bisogno, secondo la regola di S. Agostino, e le Diffinitioni e Statuti nostri, havendo in sua compagnia uno de’ Deffinitori, et il Padre suo compagno ordinario il quale scriverà gli atti della visita; et in ciasched’uno luogo lascerà copia authentica de’ decreti fattivi, procedendo con ogni carità et amore. Avvertisca però il P. Vicario Generale, quando troverà eccessi di frati, di punirli solamente con pene salutari e personali, non in denari, o altro che fosse contro la povertà che noi professiamo et osserviamo. E quando il nostro P. Rev.mo Generale una volta nel suo sessennio del suo Generalato si degnasse personalmente, o destinar visitatore (conforme il nostro breve di PP. Paolo V di f.m.) per visitare la nostra Congregatione e ritrovassi da punire i nostri frati, la pena non sia pecuniaria (mentre a nostri frati non è lecito tenere o havere denari) ma personale solamente.

 

da Biblioteca Angelica, Roma, z. 13. 6.

 

 

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LETTERA CIRCOLARE

CON CUI DALL’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO MONSIGNOR GIOVANNI DI NICASTRO VESCOVO DI CLAUDIOPOLI, ARCIDIACONO DI BENEVENTO, E DE’ MOLTO RR. PP. ROMITANI OSSERVANTI DELL’ORDINE DI S. AGOSTINO, DETTI COLORITANI, DELEGATO APOSTOLICO, SI TRASMETTONO AI MEDESIMI RELIGIOSI ALCUNI ORDINI EMANATI NELL’ULTIMA CONGREGAZIONE INTERMEDIA, CELEBRATA IN BENEVENTO NEL CONVENTO DI S. AGOSTINO A 18 APRILE 1728.

 

Molto Reverendi Padri

Tra le altre cose commesse alla nostra debolezza dalla clementissima degnazione del nostro Santissimo Padre Benedetto Papa XIII, le quali leggonsi nella lettera spedita dalla Segreteria di Stato in data de’ 21 di febbraio dell’anno corrente, ed inserita nel nostro Editto, pubblicato a 3 del seguente mese di marzo, la prima si era di dover Noi nella terza domenica di Pasqua convocare per la quiete delle PP. VV. e per lo buon servigio loro la solita Congregazione Intermedia colla facoltà espresse nella lettera sopraccennata. In esecuzione adunque de’ veneratissimi ordini di Sua Santità, precedente la dovuta convocatoria, si è celebrata la sudetta Congregazione in questo giorno appunto, ed è stata sottoscritta da Noi e da Padri congregati. Stimiamo ora nostro debito, anche per adempiere al consueto lodevolissimo costume di tali azioni, di comunicar loro i seguenti ordini intorno alla buona condotta della osservanza, e disciplina Regolare, e cioè:

I. Che non possano essere eletti a grado alcuno, anche di semplice priore, se non quegli i quali avranno terminato il corso de’ loro studii, eccettuato però chi per lo passato è stato Vicario Generale; e questi solamente possa godere il privilegio, come se gli avesse compiti.

II. Che non si ammetta al Noviziato, se non chi, esaminato diligentemente almeno nella grammatica e nell’artemetrica, sia stimato idoneo per apprender poscia le altre scienze nella Congregazione Coloritana.

III. Che senza giuridico processo non possano gli attuali studenti essere privati dello studio, si come si è fatto per lo passato ad onta, ed a capriccio; ma ciascun professo, ammesso già al noviziato coll’esamina come di sopra, si debba onninamente ammetter ad essi.

IV. Che per la scarsezza de’ Lettori in questa Congregazione si supplichi il Reverendissimo P. Generale di S. Agostino a compiacersi di conceder ad tempus due idonei Lettori, uno di Teologia e l’altro di Filosofia.

V. Che tutti i Lettori debbano ammaestrare i giovani non solo nelle scienze, ma ancora in tutto quel che appartiene allo Spirito, giacché Initium Sapientiae est timor Domini secondo il Salmista Reale.

VI. Che per lo studio della Sagra Teologia s’intendano stabiliti, siccome stabiliamo, i due principali conventi di S. Maria della Fede in Napoli, e quello di S. Maria di Colorito in Morano, e per la Filosofia il convento di S. Maria della Strada, e quello dell’Episcopia. Perché al presente non vi sono studenti di Teologia, per tanto potranno avvalersi per lo studio della Filosofia de’ due conventi destinati per la Sagra Teologia.

VII. Che si osservi esattamente per gli nuovi professi la Costituzione della felice memoria di Papa Clemente VIII, la quale comincia Cum ad regularem disciplinam §. Ut autem novitiis, etc., ed in particolare nello stare racchiusi, e sotto chiave almeno tre anni; ed in niuna maniera sia permesso ad essi l’uscir di convento senza compagno.

VIII. Che tutti i conventi, i quali non hanno il peso attuale di mantenere i giovani allo studio, sieno obbligati di pagare il vestiario agli studenti secondo la tassa da farsi nel Capitolo Generale dell’Ordine, considerate però le rendite di ciascun convento.

IX.   Che si assegni in ogni convento, ed in ispecie ne’ conventi destinati allo studio, un religioso perito nel Canto Gregoriano, il quale possa ben insegnarlo ai giovani.

X. Che per mantenersi la uniformità nell’abito debbano tutti vestire il panno o di Calabria o di Piedimonte, e l’abito di sotto sia solamente di color bianco, e chi vestisse di altra sorte debba fra otto giorni mutarlo.

XI. Che niuno di qualsisia grado e condizione sia lecito di usar tacchi di legno alle scarpe, e chi altrimenti gli usasse, debba subito deporli.

XII. Che niuno fuori della propria cella compaia senza l’abito regolare, mentre alcuni in tempo di [e]state a cagion del caldo si fanno vedere senza la tonica, ed in tempo di [in]verno a cagion del freddo adoperano sopra dell’abito la vesta camerale fuor di camera.

XIII. Che sotto pena della privazione di voce attiva e passiva niuno ardisca di esercitar la caccia, e precisamente strepitosa, mentre abbiamo saputo, che ne’ conventi di S. Maria della Strada e di Morano, perché lontani dall’abitato, non si attende ad altro; ed i religiosi più frequentano il bosco che il Coro, travestendosi da sgherri, e si pregiano di essere non già venatores animarum, ma avium.

XIV. Che sotto gravi pene riserbate all’arbitrio di Sua Beatitudine tutti i Capitoli debbano celebrarsi alternativamente una volta in Napoli, ed un’altra in Morano, e lo stesso parimenti debba farsi delle Diete.

XV. Acciocché possa conservarsi la pace procurata in questa Congregazione stimiamo necessario, non solo di celebrarsi il futuro Capitolo nell’anno vegnente 1729 nella città di Napoli, e poi seguitarsi la sovradetta alternativa; ma parimente che in detto Capitolo debba presiedere il P. Bernardo Scisci di Morano, ex Vicario Generale della medesima Congregazione, religioso assai zelante, e prudente.

XVI. Che gli ex Vicarii Generali, essendo stati un tempo Padri di tutta la Congregazione Coloritana, debbano aver la voce solamente ne’ Capitoli della stessa Congregazione, e debbano precedere nel Convento, dove dimorano, ai sottopriori, cedendo solo al priore attuale.

XVII. Che ai medesimi ex Vicari Generali giunti all’età di 60 anni, e bisognosi di chi li serva, si assegni un converso di servizio, purché il converso abbia altri uffizii, co’ quali serva la comunità.

XVIII. Che non sia lecito ad alcuno religioso portarsi da un convento ad un altro senza la licenza in scriptis, o del P. Vicario Generale per quegl’i quali dimorano nella Calabria e Basilicata, o del Provicario Generale esistente in Napoli per quegl’i quali dimorano in detta città di Napoli, e ne’ conventi di S. Maria della Strada, e di Marano.

XIX. Che ne’ luoghi, dove sono i conventi della Congregazione Coloritana, debbano i religiosi esteri dimorare in essi conventi, non già nelle osterie, o nelle case de’ secolari, ancorché congiunti. Si permette ad ogni modo ad essi di desinar, di raro però, nelle case de’ loro parenti, ma non di pernottarvi, se non in qualche caso di grave necessità, e colla licenza del Superiore.

XX. Che godendo i religiosi nativi della Provincia di Basilicata l’alternativa al Vicariato, e Diffinitorio Generale per uso della Congregazione, s’intendono essi uniti, e fare un sol corpo per l’avvenire con quei della Calabria, a quali sono più vicini, non già colla Nazione Napoletana, e Terra di Lavoro assai lontana.

   Chi contravverà alle cose sovradette, essendo suddito sarà gastigato dal Priore locale ad arbitrio, ed essendo Superiore sarà gastigato dal Padre Vicario Generale colla privazione della voce attiva e passiva. Ad ogni modo stimiamo, che ed i Superiori ed i Sudditi saranno tutti prontissimi ad ubbidire, virtutis amore, e non già formidine poenae. Tanto ci occorre per ora significare alle Paternità Vostre, a servigio delle quali affettuosamente ci offeriamo.

   Benevento dal convento di S. Agostino a 17 aprile 1728

 

Delle PP. VV. molto Rev.

Affezzionatissimo per servirle sempre, e di cuore,

G. Vescovo di Claudiopoli Delegato Apostolico

 

Approvazione fatta dalla Santità di Nostro Signore Benedetto Papa XIII della sorvadetta Lettera Circolare.

Ex audientia Sanctissimi die 5 Maii 1728 Sanctissimus annuit.

N. M. Cardinalis Lercari

Locus + Sigilli

 

in AGA, Aa VII, f. 19