da ANALECTA AUGUSTINIANA, LXVII (2004),
pp. 183-254
L’ORDINE AGOSTINIANO E LE CONGREGAZIONI DI OSSERVANZA IN
CALABRIA (SECC. XV - XIX)
di Foca Accetta
PREMESSA
Nel tracciare un bilancio critico
dei contributi storiografici sulla chiesa e le istituzioni ecclesiastiche in
Italia nell’età moderna lo storico Gaetano Greco sottolinea che la stridente
opposizione fra i due universi e stili clericali - quello secolare e quello
regolare - si è riverberata persino nella ricerca storica, che, quando ha
affrontato la storia delle diocesi italiane nell’età della controriforma, ha di
fatto trascurato gli ordini regolari, la loro organizzazione, i loro mutamenti
interni, il loro ruolo (1). Valide a livello generale le osservazioni del
Greco sono evidenti anche per la storiografia religiosa calabrese,
sostanzialmente priva di ricerche che indagano e documentano il contributo dei
regolari alla riforma e al rinnovamento della vita cristiana in Calabria (2). Per
colmare gli spazi vuoti sono utili indagini specifiche presso gli archivi
centrali degli Ordini religiosi, soprattutto perché la documentazione locale
sui regolari nell’età moderna non presenta in genere la stessa completezza e
omogeneità delle fonti delle altre istituzioni ecclesiastiche diocesane.
Un’ampia indagine condotta nell’archivio generale dell’Ordine agostiniano in
Roma ha permesso di documentare e valutare l’attività degli agostiniani in
Calabria a partire dal XV secolo.
Il materiale conservato nel
fondo “Aa (voll.
VII-IX)” è stato utile per delineare uno spaccato della vita religiosa e
comunitaria all’interno dei conventi, per verificare l’insofferenza verso la
disciplina religiosa e, infine, per seguire, tra il XVI e XVIII secolo, le fasi
alterne della recezione e attuazione di una riforma morale e disciplinare in
linea con le norme dettate dal concilio di Trento. Inoltre, questo fondo
archivistico è risultato essenziale per valutare i rapporti che gli agostiniani
intrattenevano con le comunità locali, le autorità ecclesistiche secolari e gli
altri Ordini religiosi.
Altro fondo interessante è
stato quello indicato con l’ordinamento “Ii”, che nei volumi III-VI raccoglie le relazioni del 1650
della congregazione zumpana e della provincia di Calabria; nel volume XI
conserva documenti della seconda metà del XVI secolo riguardanti la
congregazione degli zumpani, in particolare: la corrispondenza fra il priore
generale e il vicario, le disposizioni del visitatore p. Donato da Benevento
per adeguare gli statuti originali del movimento, purtroppo dispersi, alla
normativa tridentina.
Infine, l’archivio custodisce
nella sezione “Ff” gli
atti dei capitoli della provincia di Calabria e della congregazione degli
zumpani che coprono un arco temporale di circa due secoli: dal 1568 al 1781.
Attraverso le dispositiones familiarum, contenute nei singoli atti capitolari, è possibile
ricostruire cronologicamente l’andamento demografico dei conventi, la serie dei
vicari, provinciali e priori. Tuttavia, l’importanza di questo fondo è nella
possibilità di conoscere le decisioni localmente adottate per affrontare e
risolvere i problemi che di volta in volta si presentavano. Per quanto riguarda
i rapporti tra gli agostiniani di Calabria e superiori dell’Ordine, di notevole
interesse sono stati i registri dei priori generali: Egidio da Viterbo,
Girolamo Seripando e Cristoforo da Padova, nelle edizioni curate
rispettivamente da Alberico de Meijer, da David Gutiérrez e da Arnolfo
Hartemann, e quelli dei loro successori conservati nel fondo “Dd” dell’archivio generale (3).
_________________________________
(1) G. GRECO, La chiesa in Italia nell’età moderna, Bari 1999, p. 94.
(2) M. MARIOTTI, Linee di orientamento e sviluppo
negli studi di storia religiosa della Calabria Moderna e contemporanea, in Ricerca storica e
chiesa locale in Italia, atti
del IX convegno di studio dell’associazione italiana dei professori di storia
della chiesa, Grado 9-13 settembre 1991, Roma 1995, p. 337, 343.
(3) A. DE MEIJER, Aegidii Viterbiensis OSA., res gestae
generalatus, voll. I-II, 1506-1518, Roma 1984-1988; D. GUTIERREZ, Hieronymi
Seripando OSA., Registrum Generalatus, voll. I-VI, 1538-1554, Roma
1982-1990; A. HARTMANN, Cristophori Patavini OSA., Registrum Generalatus, voll. I-V et VII, 1551-1558, Roma
1985-1997 et 2002.
1
- ORIGINE E SVILUPPO DELL’ORDINE AGOSTINIANO IN CALABRIA.
LA
CONGREGAZIONE DEGLI ZUMPANI E LA PROVINCIA DI CALABRIA
L’introduzione e lo sviluppo degli
Ordini mendicanti in Calabria e nel Mezzogiorno rispetto al resto della
penisola avviene con modalità e tempi diversi, sia per l’ostilità nutrita da
Federico II nei confronti dei mendicanti, considerati strumenti della politica
papale di contestazione e contrasto aperto alla sua attività di governo (4), sia
per la “occupazione di campo” dei preesistenti monasteri greci e latini (5).
Esclusi i francescani (6), non è possibile per le età precedenti il
secolo XV accertare la presenza dei mendicanti in regione, anche se non mancano
documenti e indizi che opportunamente vagliati possano anticipare se non
l’inserimento quanto meno il tentativo. Così rimane isolata nella storia dei
domenicani (7)
la concessione, nel 1240, d’una chiesa “iuxta Cusentia” a favore dell’Ordine da
parte del vescovo della città, e incerta resta la datazione dell’insediamento
carmelitano di Corigliano, fondato secondo il Pugliese (8) nel 1295, mentre altri lo
pongono al 1470, a spese dei prìncipi di Bisignano, o al 1492-1493. La questione
della data rimane aperta anche se il titolo dell’Annunziata ha indotto studiosi
come Emanuele Boaga e Giorgio Leone a guardare con preferenza l’anno 1295 (9).
Riguardo all’inserimento
degli agostiniani in Calabria è diffilice stabilire delle date precise;
seguendo le relazioni del 1650 dei conventi di Paola (1145) e di Fuscaldo
(1162) si può ipotizzare che già nel secolo XII, prima della canonica
istituzione dell’Ordine – 1256 - esistessero degli insediamenti monastici o
eremitici che s’ispiravano alla regola del S. Patriarca, incorporati
dall’Ordine nei secoli successivi; infatti il p. Benigno Van Luijk indica per
Paola il 1433 e per Fuscaldo l’anno 1300 (10). Certo è che alla fine Quattrocento l’Ordine
agostiniano in Calabria non aveva ancora una sua precisa identità e fisionomia.
I conventi esistenti: Paola (1145/1433), Fuscaldo (1162/1300), Tarsia (1400),
Acri (1408), Monteleone (1423), Cosenza (1426), Belvedere (1446), Terranova
(1461), Bucchigliero (1470), Amantea (1490), ricadevano sotto la giurisdizione
della provincia di Terra di Lavoro o Napoletana.
Elemento fondamentale per lo
sviluppo e diffusione degli agostiniani in Calabria è la penetrazione del
movimento di “Riforma” che, nel dialettico rapporto tra “conventuali” e
“osservanti”, proponeva di vivere coerentemente la Regola di S. Agostino e le
Costituzioni dell’Ordine. Già avviata nel secolo XIV in altre regioni d’Italia,
la “riforma” era favorita dai superiori dell’Ordine, che approvavano e
sostenevano il sorgere di Congregazioni di Osservanza, svincolate dalla giurisdizione dei
provinciali e sottoposte alla propria giurisdizione diretta tramite un vicario (11).
In Calabria l’esigenza di una
più genuina fedeltà agli ideali delle origini si riscontra tra la fine del Quattrocento
e gli inizi del Cinquecento, grazie all’opera di p. Francesco Marino da Zumpano
(1455-15l9) (12),
nei conventi di Aprigliano (1490), di Soverato (1490), di Nocera (1500), di
Francavilla (1502), di Bombile (1506). Noto con il nome di Congregazione di
Calabria o degli Zumpani, il
movimento di riforma fu approvato dal priore generale Egidio da Viterbo il 24
maggio 1509 (13).
L’affiliazione all’Ordine e gli statuti della congregazione furono confermati
dal pontefice Paolo III, con il breve Pastoralis officii del 2 gennaio
1539 (14).
L’importanza e il ruolo che nel giro di pochi anni la congregazione venne ad
assumere, nel più vasto progetto dell’Ordine di ripristinare la regularis
observantia, sono
contenuti nella proposta avanzata nel 1522 dal priore generale Gabriele della
Volta di costituire la Provincia Osservante di Calabria, unendo i conventi calabresi
appartenenti alla provincia di Terra di Lavoro con quelli dell’osservanza
zumpana. Per la perplessità e il timore di essere influenzata negativamente
dall’indisciplina e corruzione esistente nella provincia, la congregazione non
aderì alla richiesta del priore generale e sotto la spinta popolare accolse
soltanto il convento di Cosenza (15). La successiva autonoma sistemazione
giuridico-amministrativa dei conventi calabresi della provincia napoletana,
sancita nel 1539 dal capitolo generale di Napoli, ebbe come punto di
riferimento la riforma zumpana. La decisione di costituire la Provincia di
Calabria rispondeva all’esigenza di promuovere anche tra i conventuali
un’osservanza rigida e coerente della Regola di S. Agostino e delle
Costituzioni dell’Ordine, in armonia con lo spirito di riforma perseguito dagli
zumpani. Infatti, il priore generale Girolamo Seripando nella lettera Ad
nationem Calabriae, del
1 settembre 1539, scrive: “hortantes eos ad talem vitae reformationem, ut
comparatione fratrum congregationis fratris Francisci de Zampano ipsi
reputarentur observantes et non illi. Commendavimus insuper eis efficacissime
observantiam Regulae divi Augustini ac definitiones capituli generalis”
(16).
______________________________
(4) Cfr. L.G.
ESPOSITO, I domenicani in Calabria. Ricerche archivistiche, Edizioni domenicane
italiane, Napoli-Bari 1997, p. 15; P. DALENA, Federico II e gli ordini
monastici nel Regno, in
Chiesa e società nel Mezzogiorno. Studi in onore di Maria Mariotti, Rubbettino, Soveria Mannelli 1999,
vol. I, pp. 135-170.
(5) M. MARIOTTI - F. ACCETTA, Per uno studio sulla
riforma agostiniana in Calabria (secc. XV-XVIII), in A. CESTARO (a cura), Geronimo Seripando e la
Chiesa del suo tempo, (Salerno, 14-16 ottobre 1994), Ed. di Storia e
Letteratura, Roma 1997, p. 328.
(6) E. ZINZI, Calabria. Insediamento e trasformazioni
territoriali dal V al XV secolo,
in A. PLACANICA (a cura), Storia della Calabria medievale.
Culture, Arti, Tecniche, Gangemi,
Reggio-Roma 1999, p. 64-66.
(7) F. ACCETTA, Insediamenti e strategie dell’Ordine
domenicano in Calabria (secc. XV-XIX), in “Rivista Storica Calabrese”, n. s., XXI (2000), n.
1-2, pp. 223-259.
(8) P.T. PUGLIESE, Antiquae Calabrensis Provinciae
Ordinis Carmelitarum…, Napoli 1690, p. 148.
(9) E. BOAGA, La presenza dei carmelitani in Calabria
e il convento di S. Elia di Curinga,
in “Carmelus” 42, 1995, pp. 197-236; G. LEONE, L’iconografia
della Madonna del Carmine e la committenza confraternale in Calabria dal XVI al
XIX secolo, in L.
BERTOLDI LENOCI (a cura), Confraternite chiesa e società, Schena editore, Fasano 1994,
pp. 717-754.
(10) B. VAN LUIJK, Le
monde augustinien, pp.
37-38.
(11) P. BELLINI, Le congregazioni di osservanza, in “Presenza Agostiniana”,
n. 3-5, maggio-ottobre 1994, pp. 18-26; A. MARTINEZ CUESTA, Il contesto
storico-ecclesiale della riforma agostiniana, in “Presenza Agostiniana”, n. 2-4, marzo-agosto 1992,
pp. 66-68; M. ROSA (a cura), Clero e società nell’Italia moderna, Bari 1995; G. GRECO, La
chiesa in Italia, cit.
(12) D. CIRILL0, Soverato 1577. Notizie storiche sul
culto pubblico reso al beato Francesco da Zumpano nella chiesa del monastero
della Pietà in Soverato, Chiaravalle
1977.
(13) A. DE MEIJER, Aegidii
Viterbensis, cit.,
vol. I, Roma 1988, p. 104, n. 241: “Confirmavimus electionem vicarii nationis
Calabrie fratris Antonii Cosentini, mandamusque ei ut definitiones et leges
alias servari faceret sub pena privationis officii, confirmavimus et acta omnia
capituli”. Lo stesso priore generale,
Egidio da Viterbo nel 1515 riconosce l’autorità e il prestigio di p. Francesco
da Zumpano e apre la strada all’espansione del movimento. IDEM, vol. II, p. 146, n. 470.
(14) AGA, CB - 1- 31. La bolla è edita in F. ACCETTA, La
congregazione agostiniana del ven. Francesco da Zumpano in Calabria (secc.
XV-XVII), in “Analecta
Augustiniana”, LX (1997), pp. 83-130.
(15) B. VAN LUIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma
monastica, in “Augustiniana”,
XIX (1969), pp. 350.
(16) D. GUTIERREZ (a cura), Hieronymi Seripando, cit. vol. I, 1982, p. 125.
2
- GLI STATUTI ZUMPANI DEL 1569
Nonostante la stima
accreditata presso i superiori dell’Ordine, anche nella congregazione degli zumpani
cominciarono a comparire abusi, indisciplina, sintomi di un declino
dell’osservanza religiosa. Da qui le esortazioni del Seripando al vicario p.
Ludovico da Petrizzi “ut reformare conventus et fratres suos omnes studeat, ut
quandoque fratrum observantium sit congregatio, potius opere quam solo titulo” (17). Nel tentativo di reintrodurre la disciplina regolare,
di eliminare le relazioni troppo strette con i laici e di sopire divisioni e
rivalità, i superiori dell’Ordine non esitano a minacciare la soppressione
della congregazione e l’attribuzione dei conventi zumpani alla provincia di
Calabria (18).
Il 14 luglio 1568, il priore generale Cristoforo da Padova inviò ai vertici
della congregazione le rinnovate Costituzioni dell’Ordine, per una organica azione
di rilancio e riqualificazione della vita religiosa in sintonia con i decreti
tridentini (19).
Dopo aver superato resistenze e problemi organizzativi, nell’agosto del 1569 il
vicario della congregazione, p. Agostino della Roccella, diede le opportune disposizioni
affinché la Riforma sancita dal Concilio e dal Capitolo Generale fosse
applicata in ogni singolo convento da tutti i religiosi indistintamente: “Volendo noi
osservare et far osservare da tutti li padri della Congregatione li statuti
fatti dal nostro capitolo di Padua confirmati per sua P. R.ma Maestro Tadeo da
Perusa, li quali statuti furono ordinati e fatti in Padua dalla bona memoria
del R.mo P. Generale M.ro Christophoro da Padua; et acciò tale constitutioni
non siano incognite dalli nostri inferiori et che non fussino ripresi per
negligenti, pertanto ci è parso provvedere et fare osservare le predette
deffinitioni da tutti li priori et che loro le facciano ancora dalli loro
suditi osservare ad unguem, si come per il Sacro Santo Concilio di Trento siamo
reformati, et ciasched’uno priore voglia ponere la mano et sottoscrivere come
li presenti ordini l’hanno ricevuti, letti et promulgati, aggiungendo anco al
ultimo di questi alcune constitutioni estratte per noi, et questo ordiniamo che
tutti quelli che receveranno dette constitutioni le facciano leggere, osservare
et fare osservare, e questo restando certi che farete quanto si comanda non
altro [...]. Dal nostro monasterio de Francavilla a dì 15 agosto dell’anno
1569. Delle presenti constitutioni se ne piglia copia ogni priore, altrimenti
incorrerà alla pena debita” (20). I principi spirituali, teologici e pastorali
stabiliti nel capitolo generale di Padova furono sintetizzati nelle Ordinationi
et Constitutioni fatte per me frate Agostino della Roccella nel presente anno
del nostro vicariato 1569 (21). Tra i punti fondamentali inseriti nel
documento - rappresenta il primo testo
normativo della congregazione degli zumpani, dopo che gli statuti originali
sono andati dispersi - sono l’adozione del breviario romano e il principio
della povertà personale. Infatti, è proibita qualunque forma di proprietà
privata, mentre è riconosciuta quella comunitaria: “Ordiniamo et comandiamo da parte del P. R.mo
che nessun frate di qualsivoglia sorte tenga denari, bestiami, tanto de mobili
come stabili [...], fra lo spazio d’un mese habbiano da acogliere li detti
denari et ponerli in deposito”. L’amministrazione dei beni
dell’unico soggetto riconosciuto quale proprietario, e cioè il convento, è
attribuita al procuratore. Il priore, invece, è tenuto a vigilare sulla
corretta gestione, ad assicurare il “vestiario” ai sacerdoti e agli altri
membri della famiglia conventuale, oltre che curare tutti gli altri aspetti
della vita comunitaria e la preparazione culturale degli aspiranti sacerdoti. I
singoli religiosi sono richiamati al senso di responsabilità, a condurre una
vita esemplare, al fine di tutelare l’onore della religione e di garantire la
pacifica esistenza della congregazione. Alle Ordinationi del vicario p.
Agostino della Roccella sono legate le disposizioni del visitatore generale per
la Calabria p. Donato da Benevento, inserite nella lettera Per non mancare del
16 agosto 1569 (22).
Non si tratta di un legame esclusivamente burocratico e temporale, i due
documenti furono pubblicati a distanza di 24 ore l’uno dall’altro e
controfirmati dal visitatore generale; la loro affinità va al di là di questi
segni esteriori, che pur esistono e dei quali si deve tenere conto per una più
completa comprensione della riforma. Essi, infatti, per i contenuti e le
reciproche integrazioni costituiscono un unico testo normativo che ha come fine
l’osservanza religiosa: “havendo [...] noi
veduto e toccato con le mani molti disordini in questa vostra congregatione, ci
è parso farv’intendere
in molte cose qual sia la nostra volontà sopra la riforma, e tutto a honor di
Dio et splendor di nostra Religione, et a beneficio et quiete publica”.
Il tono e il contenuto della lettera rilevano che la situazione in cui versava
la congregazione non era eccellente. La vita comune non sempre era praticata,
le norme relative la povertà eluse da dispense, frati spinti “dalla ambitione
di regnare et dominare et essere superiori” organizzati in fazioni completavano
il quadro e rafforzavano nel visitatore la convinzione che gli zumpani fossero
osservanti solo di nome. Al fine di porre un freno a questo stato di cose (“desideriamo
ancora che al nome corrispondano le opere e li fatti”) nel documento
sono indicate forme e modalità d’attuazione della riforma. In linea con gli
statuti dell’Ordine e con le Ordinationi del vicario della congregazione
è ribadito il principio della povertà personale: “quale opera può corrisponder al nome
d’osservante, più illustre, et grata a Dio et al mondo, quanto quella che ci
priviamo di proprietà delle cose si stabili come mobili, siano patrimoniali o
acquistate”. I religiosi sono invitati a far “rinuncia reale d’ogni proprietà di stabili e
mobili”. Per eliminare gli altri abusi è introdotto il principio
della mobilità dei frati; nessuno poteva dimorare in un luogo per più di due
anni, tranne coloro “che hanno [...] gratia particulare”, poiché le
famiglie conventuali sarebbero state formate “secondo il volere di padri deffinitori et
vicario, et non secondo il volere de’ priori de luoghi” (art. 4). Così pure la concessione
degli ordini sacri “da qui in poi” rientra nelle competenze dei pp.
deffinitori e visitatori, che su proposta del vicario generale dovevano
valutare i requisiti dei candidati (età, moralità, preparazione culturale). Per
ridurre il gran tumulto dei capitoli ad un dialettico confronto ed
evitare di attribuire responsabilità di governo a persone non idonee è
stabilito: “che
habbin voce in capitolo altro che i padri deffinitori et i padri visitatori del
precedente capitolo, i priori dei luoghi et i discreti, et questi vogliamo che
siano o possino essere eletti se non saranno persone, et di giudicio, et di
età, et di costume mature, et tali che mai dalla Religione siano stati apostati
o di notabili vitio notati”. Nella
prospettiva di garantire la vita comunitaria, di pacificare la congregazione,
superando contrasti e divisioni, s’iscrive il divieto di denunciare fatti e
persone senza prove a carico: “Nessuno habbi ardire di querelare persona alcuna che prima
non si oblighi di stare alla pena del taglione, cioè a quella che meriterebbe
il querelato se non proverà la querela per testimoni degni di fede”.
Le disposizioni promulgate dal vicario generale p. Donato da Benevento furono
approvate dal priore generale Taddeo da Perugia il 29 ottobre 1569 (23).
_______________________________________
(17) Ivi, vol.
II, p. 44, lettera del 30 agosto 1540.
(18) A. HARTMANN (a cura), Cristofori Patavini OSA.,
Registra generalatus, vol.
V, Roma 1997, n. 718, lettera del 3 giugno 1558, p. 323: “imprecavimus graviter fratres congregationis
nostrae Calabriae, quod non nisi ambitioni et proprio commodo studerent et
viderentur prorsus in suam ipsorum ruinam coniurasse et omnia implerent rixis
contentionibus et publica bona iam aperte dilapidarent. Interminati sumus,
quod, nos desperata eorum correptione, congregationem ipsam Provinciae esse
unituros”.
(19) AGA, Ii, vol. XI, ff. nn.
(20) Ivi.
(21) Appendice 1.
(22) Appendice 2.
(23) Ivi.
3
- LA VITA RELIGIOSA NEI CONVENTI: LE RELAZIONI DEI VISITATORI GENERALI E LA
RIFORMA DELLA CONGREGAZIONE ZUMPANA DEL 1584
Nei superiori dell’Ordine esisteva il timore che il tentativo di
ripristinare la regularis observantia nella sua pratica applicazione si
rilevasse un fallimento. La corrispondenza intercorsa tra il priore generale e
il vicario della congregazione, nel periodo immediatamente successivo, conferma
tale preoccupazione. Ad esempio, il 3 marzo 1570 il priore generale diede
precise istruzioni per eliminare durante la celebrazione del capitolo
comportamenti che suscitavano scandalo tra i laici e confusione tra i
religiosi: “perché
nel tempo del capitolo della congregatione tal’hora li frati sogliono per loro
particolari affetti scordarsi et del bene et dell’honore delli monasterij et del
commodo pubblico et ben spesso lasciano li conventi senza frati onde spesso tra
il popolo cagionasi scandalo et si da occasione di mormarationi, et in capitulo
sono causa di confusione et disturbo, per questo acciò et all’uno et all’altro
si dia giusto et opportuno rimedio, ordiniamo [...] et commandiamo [...]
sotto pena di ribellione et di escomunicatione che nessuno vadi al
capitolo eccepto il priore et il discreto; et dove sono tre sacerdoti uno debba
restare, et dove ne sono due soli, il priore vada et l’altro resti. Et quelli
come discoli poco temeranno delli superiori li commandamenti, non havendo
licentia, da se veniranno, ordiniamo che in capitolo non habbino altrimenti
voce; et quando altrimenti si faccia oltre che ci sarà molesto non mancheremo anco
di procedere col rigore della giustitia contro quelli che così meriteranno”
(24).
In un’altra successiva lettera del 26 febbraio 1571 i toni sono molto più
distesi, ma sostanzialmente fermi nel ribadire il concetto di riforma: “il più efficace
segno d’amor ci potreste mostrare et che voi stiate in pace et non consumate
l’uno all’altro con insidie, calunnie et false imputationi et che attendiate a
vivere religiosamente con timor di Dio et con li esempi con le buone opere; il
che doviate fare voi per essere religiosi et far professione de’ vita più
riformata; lasciate stare le gare, le contestationi, le conventicole che
parturiscono se non inimicitie, odi, sdegni. Daremo ordine di quello che si
haverà da fare nel capitolo vostro de la Congregatione, che non volemo altro se
non che la Congregatione sia ben governata, la quale sarà governata da voi
altri, non ce manderemo forestieri, ma facciate altramente saremo sforzati
servirci da quelli che la govemeranno bene” (25). Per verificare la reale
osservanza delle costituzioni agostiniane nei conventi calabresi sono
interessanti gli atti delle visite compiute dal p. Felice da Napoli e dal
priore generale Spirito Anguisciolo, rispettivamente nel 1576 e nel 1584.
Infatti, i visitatori, dopo aver ispezionato chiesa e locali conventuali,
sottoponevano ai singoli frati un questionario, poi sottoscritto
dall’interessato, tendente ad accertare lo stato e il tono della vita religiosa
della comunità. Le domande erano formulate in questi termini:
1.
“se il priore o altro frate di questo convento fosse persona scandalosa o di
cattiva vita”;
2.
“se il priore faceva servir bene la chiesa et trattava bene li frati”;
3.
“se lui sapeva che frate alcuno facesse faccende di bestiame o havesse dinari
fuora dati a secolari”;
4.
“se lui haveva robbe stabili o mobili o dinari”;
5.
“se lui haveva a dar querela ad alcuno et si l’occorreva dirmi cosa alcuna”.
La visita compiuta dal visitatore generale p. Felice da Napoli nel 1576
è mutila, non è possibile stabilire da quale convento prese l’avvio; rimane
solo la parte finale relativa ai conventi di Francavilla, Castiglione, Nocera,
Mormanno, Scigliano, Stilo, S. Stefano, Aprigliano, Cosenza. Tuttavia, riveste
una certa importanza nei giudizi espressi e nelle proposte avanzate dal p. Felice
per eliminare il rilassamento della congregazione degli zumpani: “l’intento del
beato Padre era d’introdurre nella Nostra Religione una Osservantia tale che
fosse come quella de’ Cappuccini nella religione di S. Francesco, et questo si
vidde hanco nell’habito che introdusse et nel concederli la barba, ma questa
cattiva sementa di Calabresi non solo fruttificò frutto buono, ma marciò subito
dentro l’ambitione et havaritia, poiché altro qui non si ritrova in abondantia
[...]. Del resto della riforma non so che dire poiché mai avrà acquisizione
finché non sono mandati via questi frati et venghino de’ forestieri et se ne
vestano piccolini, et incominciano dalla fanciullezza alli comuni costumi della
Religione; per ora giudico savio espediente et necessario [che] S. P. Rev.ma
faccia ordine che in tutti i modi a spese comune si faccia un Novitiato in
Cosanza, dove gli anderà poca spesa, et vi mandi un Maestro de’ fora, poiché
qui non ce nissuno che sappia né cantare né leggere” (26).
Viceversa le autorità laiche, nel tentativo d’influenzare la vita dei conventi
e la scelta dei priori, ponevano in primo piano la necessità di sostituire i
vicari forestieri con frati del luogo. Ciò è testimoniato da due lettere del
1568 del cardinale Guglielmo Sirleto che, su indicazione del duca di Nocera e
del marchese di Fuscaldo, patrocina presso il priore generale degli agostiniani
il trasferimento del provinciale forestiero e la nomina del p. m. Andrea da
Paola “soggetto
degnissimo” (27). E’ compiuta dal priore generale Spirito
Anguisciolo la visita del 1584 (28) che riguarda i conventi di Terranova,
Monteleone (29),
Belforte, Spadola, Soverato e Montepaone. Sulla base del questionario
precedentemente illustrato, sono interessanti i giudizi che gli stessi frati esprimono
sullo stato della vita religiosa all’interno della provincia di Calabria e
della congregazione degli zumpani. Ad esempio il p. m. Giovanni Battista da
Monteleone (29),
residente nel convento di quella città, dichiara: “li frati alle volte si fanno pregare e
sforzare ad andare a dir le messe. Et è intervenuto che tal giorno non ne siano
state dette più di due, essendovi di molti oblighi. Non c’è lampada anche nella
solennità maggiore davanti l’altare grande [...]; il priore l’anno passato per
relazione del sagrestano che era allora, ha celebrato rare volte stando 15-20
giorno senza celebrarsi. Et le hore canoniche si dicono troppo in fretta; il
priore ha prattica stretta d’un frate Agostino di Catania, professo fuggito di
Sicilia et un frate di Satriano, giovinotto di tredici anni in circa, con
vestirlo tutto, fuori dalli trattamenti che agli altri professi usa; ha dato
sospetto di se di vitii tristi” (30). Riguardo alla situazione nella congregazione
degli zumpani, p. Angelo da Chiaravalle del convento di Spadola sostiene: “questa
congregatione ha gran bisogno di riforma perché molto rilasciata et non tiene
maniera né forma di vivere religioso et regolato et questo particolarmente per
difetto di superiori” (31). Il p. Antonio d’Acquaro del convento di
Terranova conferma, con dovizia di particolari, il rilassamento morale,
culturale e religioso del movimento d’osservanza; infatti, dice: “nella
congregatione non vi è cura alcuna degli infermi, così è per tutto. Et così
similmente si trattano gli hospiti. Vi è grande ignorantia. Et li priori fanno
ogni cosa pro arbitrio et imperio et maltrattano li conventi et li frati. Si
sono fatti capituli sempre con gran tumulto et si danno uffici a persone
indegne et immeritevoli et questo per lucro [...]; si legge qualche volta alla
mensa tra la settimana il caso morale, ma non sempre [...]; non si tiene mai il
capitulo de Culpis, ne si fa l’onere per i benefattori vivi et morti [...]; li
novitii et professi pratticano tutto senza altra cura di costumi nè di lettere”
(32). La
necessità di riformare la congregazione degli zumpani, dove la corruzione e
l’indisciplina avevano raggiunto tutti i livelli gerarchici, divenne una
questione non più prorogabile. Lo stesso priore generale Anguisciolo ebbe modo
di constatare che “in questa Congregatione (salvo sempre l’honore de’ buoni,
ma pochi) non v’è quasi vestigio di virtù, non di bontà, non di santità, nè di
disciplina monastica nè regolare, ma bene colmo de’ vitii et d’ignorantia
[...]; tra le tanti imperfetioni et gravi le quali ritroviamo [...] sono le
partialità [...] sicché in questa Congregatione i suoi religiosi [...] si
sentono nominar Levantini et Ponentini, come già per l’Italia al tempo delle
fattioni tra gli suoni di guerra s’udivano chiamare li Guelfi et Ghibellini”
(33).
La riforma della congregazione si realizzò nel capitolo celebrato il 4 ottobre
1584 nel convento di S. Maria della Pietà di Soverato. Le decisioni adottate in
quell’occasione, pubblicate nel 1586, ribadiscono e integrano gli statuti del
1569 alla luce dell’esperienza e delle costituzioni dell’Ordine del 1581: “ordiniamo che le
costitutioni riformate dell’Ordine nostro siano di bene in meglio osservate,
come quelle dalle quali dipende la vera osservanza, et la vera riforma di ogni
Provincia et d’ogni Congregatione, fin dal principio che forono publicate sono
state accettate da questa venerabile Congregatione et hora più che mai
prontamente e con ogni humiltà et obedientia accettiamo” (34). In
questa prospettiva sono da considerare le norme circa il culto divino, la
proprietà personale, la gestione del patrimonio comunitario. Rispetto alla
legislazione precedente, la Riforma del 1584 riserva maggiore attenzione
alla preparazione culturale e teologica dei religiosi. Per l’ammissione agli
ordini minori si esige che si sappia “leggere distintamente e bene”; per il
subdiaconato, oltre agli altri requisiti, che si sappia “cantare canto fermo”
e “mediocremente
grammatica”. La generica prescrizione del 1569: “ordiniamo a
tutti li priori che facciano imparare li diaconi, subdiaconi et novitij”,
è riformulata in modo più preciso, nella consapevolezza che la formazione
culturale e teologica dei singoli religiosi serva a renderli idonei ad
affrontare tanto le istanze spirituali della società, quanto la penetrazione
delle idee protestanti in Calabria: “si leggano continuamente casi di conscientia nella
Congregatione per istitutione e ammaestramento non solo della pueritia et
gioventù, ma anco di tutti i sacerdoti, li quali tutti n’hanno bisogno”.
La necessità di conciliare la vita comunitaria e i tempi richiesti dallo
studio, suggerisce di concedere “tempo, giorno et hore determinate, et deputate per poter
imparare a leggere et scrivere” a “li fratini et professi atti a passare agli
ordini”, dispensandoli dai lavori faticosi; di contro “a quelli che non
sono atti, né habili ad imparare non li si conceda cappuccio, ma si occupino
alla cerche et altri tali negotii”. Finalizzata a fornire un
bagaglio di conoscenze teologiche, pastorali e culturali ai religiosi, avviati
al sacerdozio o già ordinati, è l’istituzione di due noviziati e quattro luoghi
di studio.
Infine, il problema che la
vita comunitaria, gli ideali dell’osservanza (umiltà e uguaglianza dei frati) e
le varie componenti della pastorale (predicazione, sacramenti, devozioni)
risultassero compromessi dai privilegi di cui potevano godere i graduati
(lettore, baccelliere, maestro) è affrontato e risolto in maniera molto
semplice, nel senso che i privilegi circa il modo di vestire, dormire e
viaggiare sono riconosciuti e godibili a discrezione dei singoli, mentre
nessuna esenzione è prevista per tutto ciò che investiva la sfera spirituale e
l’impegno pastorale; infatti, all’articolo 27 della Riforma si legge: “accettiamo et
ammettiamo il breve di Nostro Signore Gregorio XIII in materia di maestri et
magisterio, ma pregamo il Padre Reverendissimo, che detti maestri che verranno
attendano a leggere casi di conscientia et predicare altrimenti non godano
l’essentioni magistrali”.
Vicario generale fu eletto il
p. Damiano da Bevagna della provincia umbra, personaggio che ben rispondeva al
“bisogno di
persona savia, prudente, da bene, di buono esempio, prattica de’ governi,
osservante da vero de’ precetti della Regola di S. Agostino e delle nostre
costitutioni et soprattutto che non sia partiale […] ma governi con equità et
carità questa Congregatione, questi religiosi indifferentemente” (35).
Ulteriori provvedimenti per garantire la vita comune,
la formazione non solo spirituale, ma anche culturale degli aspiranti sacerdoti,
il governo delle varie componenti dell’Ordine in Calabria furono emanati dai
priori generali nella prima metà del secolo XVII. In questo contesto
s’inserisce la definizione del nuovo assetto giuridico e amministrativo della
congregazione, e cioè la creazione nell’ambito della suddivisione civile della
regione di due circoscrizioni zumpane. Infatti, nel decreto di divisione,
emanato dal priore Ippolito Fabriani il 29 maggio 1603 e ratificato da Clemente
VIII con il breve Ex iniuncto nobis del 30 ottobre successivo, si legge:
“Auctoritate
itaque nobis [...] praefatam
zampanorum congregationem in duas partes dividimus et divisam declaramus: una
Congregatio Zampanorum superioris Calabriae nuncupanda, altera vero Congregatio
Zampanorum Calabriae inferioris appellanda; ita ut unaquaeque potestatem in
posterum habeat suum canonice eligere vicarium, ne unus se immisceat in officio
alterius” (36).
In concreto le conseguenze
del provvedimento furono che dei 39 conventi esistenti 18 costituirono la
Congregazione di Calabria Citra e 21 la Congregazione di Calabria Ultra.
Tuttavia, il provvedimento più significativo è quello contenuto nel decreto In
utilitatem et bonum regimen Provinciae nostrae Calabriae, emanato il 29 maggio 1616
dal priore generale Nicola Giovannetti. Oltre a riordinare le tasse e le
collette a carico di ogni singolo convento, il decreto stabiliva la creazione
di un nuovo noviziato a Catanzaro, da aggiungersi a quello già esistente in
Monteleone, istituito nel 1584; vietava ai priori di accogliere nei conventi
nuovi novizi senza l’autorizzazione del provinciale, che doveva valutare l’età
e i requisiti morali del candidato (37).
_________________________
(24) Ivi.
(25) Ivi.
(26) AGA, Aa XI, f. 505v.
(27) F. Russo, Regesto vaticano
per la Calabria, vol.
IV, Roma 1974, p. 430, n. 21888.
(28) AGA, Aa XI, ff. 473-497v. I1 diario di viaggio
dell’Anguisciolo, compilato da Angelo Rocca, fondatore della biblioteca
Angelica di Roma, è conservato il AGA, Dd 41, ff. 53-55/75-97. Copre un arco
temporale che va dal 16 al 26 marzo e, dopo il ritorno dalla Sicilia, dal 31
luglio al 19 novembre 1584.
(29) A. TRIPODI, Il convento dell’Annunziata, poi di
Sant’Agostino, di Monteleone ora Vibo Valentia, in “Analecta Augustiniana”, LXII, (1999), pp. 213-244.
(30) AGA, Aa XI, f. 173.
(31) Ivi,
ff. 476-85v.
(32) Ivi,
f. 457.
(33) Ibidem,
Dd 41, f. 88.
(34) Appendice 3: Riforma della Congregatione del beato
Francesco da Zumpano dell’Ordine eremitano di S. Agostino in Calabria, in Roma, nella stamperia di
Vincenzo Accolti, in Borgo, 1586, art. 1.
(35) AGA, Dd 41, f. 89.
(36) Archivio
Segreto Vaticano (ASV), Secr. Brevi, vol. 338, ff. 361-362r; edit.: in Analecta
Augustiniana 60 (1997) 122-123.
(37) AGA, Dd 16, ff. 202-207.
4. LA CONGREGAZIONE DI S.
MARIA DI COLLORETO
L’altra congregazione d’osservanza nata in Calabria è quella di S.
Maria di Colloreto, fondata
nel 1545 da p. Bernardo Milizia da Rogliano (1519-1602) e approvata da Pio IV,
con la bolla Cum a nobis petitur del 23 marzo 1561 (38). L’aggregazione all’Ordine
agostiniano, richiesta nel 1592, fu accolta il 15 aprile 1604 dal priore
generale Ippolito Fabriani (39) e
confermata da Paolo V con la costituzione Ad ea pro nostri del 27 aprile
1606 (40).
La congregazione, sviluppatasi in Calabria e Basilicata (41), ebbe un rapporto molto
contrastato con i superiori dell’Ordine dovuto soprattutto all’indisciplina e
corruzione che presto erano subentrate ai primi comprensibili fervori. Un
riscontro relativamente al tono e allo stato dell’osservanza religiosa nella
congregazione viene da una dichiarazione sottoscritta da alcuni religiosi: “Le
ordinationi lasciate dal sudetto loro fondatore si obligarono tutti quei primi
religiosi osservarle e farle in posterum con puntualità osservare da tutti
quelli [che] professeranno in detta Congregatione; ma non essendo trascorsi
molti anni, pur tuttavia si vive al giorno di hoggi con largezza si perniciosa
e larga che di tutto che sta in quelle ordinato se ne osserva cosa niuna; anzi
ne’ luoghi, ove si è loro convento che sono al numero di dieci e questi in
Calabria, Basilicata, uno in Napoli et un altro nello stato di Madalone, si
portano si scioccamente che in vece di essere di edificatione, son di molto
scandalo a popoli, andando soli per gli habitati, usando vesti e cammiscie di
lino, calzetti, lenzuoli, materassi e maneggiando denari, fatti a fatto
proibiti dalle suddette ordinationi; e (che è peggio) non vivendosi con quella
carità si doveria nelle maggiori necessità; [...] atteso penitus non si cura di
provvedere i padri e i frati se non di stima, delle vesti necessarie e di
scarpe; ne tampoco i poveri infermi di medici e necessarie medicine, in guisa
che si prattica alla giornata comunemente, che è d’uopo ad ogni frate
procurarsi vesti e scarpe fuori della Congregatione, e nell’infermità o patire
non poco, o spendere del suo, chi ne ha, o ritirarsi a casa di parenti; a segno
che molti frati sino al giorno d’hoggi sono stati astretti da tal forma di
vivere ad apostatare dalla detta Congregatione. Ne essendovi persona di lettere
giammai in questo misero giardino cavar potrarsi frutto alcuno per l’anime, né
figura veruna nella chiesa di Dio [...]. E di più i religiosi di detta
Congregatione molti pochi, in guisa che non arrivano al numero di 40 sacerdoti;
alcuni che sono eletti priori per mezzo di signori secolari vi si mantengono
per più e più anni in modo che sembrano piuttosto perpetui Abbati che Priori
con discapito grande ed evidenza d’inosservanza de’ nostri instituti (42).
Falliti i tentativi di una
riforma il priore generale si vide costretto a rinunciare alla congregazione ed
inoltrò richiesta alla Santa Sede per essere dispensato. Il relativo decreto,
emanato dalla Congregazione dei Vescovi e Regolari il 20 dicembre 1629,
confermato da Urbano VIII con breve del 20 marzo 1630, nel quale specificava
che il priore generale degli agostiniani aveva rinunciato, di sua spontanea
iniziativa, all’aggregazione della congregazione di Colloreto al suo Ordine e
che il papa, ammettendo tale rinuncia, sottoponeva i membri del movimento alle
dipendenze dei vescovi nelle cui diocesi ricadevano i conventi, con la
proibizione ai superiori di ammettervi alla vestizione dell’abito e alla
professione altre persone senza il permesso dell’ordinario (43). I membri della congregazione
compresero la gravità del decreto pontificio e le conseguenze che poteva avere
sull’esistenza stessa del movimento, perché non assicurava, da parte dei
vescovi, l’adozione di una comune linea di condotta. Così, il 24 aprile 1631,
decisero di inviare a Roma il vicario generale p. Giosefatto da Nucera “per trattare
cose necessarie, utili et importantissime per detta congregatione,
costituendolo sopra di ciò procuratore et che possa trattare tanto la nova
unione con la Religione Agostiniana appresso il Padre Rev.mo Generale di detta
Religione quanto in ogni altra cosa che li parerà espediente appresso la
sacrosanta sedia apostolica” (44). La missione del padre vicario ebbe come
risultato il breve Inter coeteras del 24 aprile 1632, con il quale
Urbano VIII decise che la congregazione di S. Maria di Colloreto fosse
sottoposta all’unica giurisdizione del vescovo di Anglona “cum facultatibus necessariis et opportunis,
pro maiore dictae Congregationis utilitate” (45). Tuttavia i colloretani non si
rassegnarono all’idea di rimanere al di fuori dell’Ordine scelto dal fondatore.
Alla Congregazione dei Vescovi e Regolari venne inviata una supplica,
sottoscritta da numerosi religiosi, con la quale si domandava un “Breve da Sua
Santità, che tutti li frati di detta Congregatione possìno unirsi nella sacra
Religione di 5. Agostino sotto la di cui Regola professano” (46).
L’iniziativa ebbe successo; infatti, Urbano VIII con il breve Romanus
pontifex del 23 dicembre 1634 di nuovo concedeva alla congregazione di S.
Maria di Colloreto di aggregarsi all’Ordine agostiniano (47). La pubblicazione nel 1636
degli Statuti seu Costitutioni della Congregatione di S. M. di Colorito, scritti dal fondatore p.
Bernardo Milizia, alla luce degli eventi sopra descritti, assume un significato
più profondo del semplice fatto in sé, vuole significare l’identificazione del
movimento nello spirito del suo fondatore e il tentativo di riportare la
congregazione al primitivo fervore (48). Confrontando la Riforma degli zumpani
e gli Statuti dei colloretani è possibile cogliere le principali
caratteristiche, le affinità e le distanze che connotavano le congregazioni
d’osservanza nate in Calabria. Le affinità che si possono rinvenire riguardano
in particolare l’osservanza religiosa, poiché le norme contenute nei due testi
sono uniformate a quanto stabilito dalle costituzioni dell’Ordine del 1581 e
dalle disposizioni di Clemente VIII, circa la vita in comune, la recita
dell’Ufficio, la povertà, la castità, l’ubbidienza, la cura degli infermi, la
formazione dei sacerdoti, e infine l’adozione dell’abito nero. Le differenze,
invece, sono dovute al tipo di organizzazione interna e alle particolari forme
cultuali e devozioni adottate dalle due congregazioni (49).
__________________________________
(38) F. RUSSO, Il beato Bernardo di Rogliano e la
Congregazione Agostiniana di Colloreto, in “Calabria Nobilissima”, XXXV, n. 78-79, pp. 51-62. Inoltre Cfr. L.
TUFARELLO, Vita del P. Bernardo a Rogliano, Cosenza 1610; D. MARTIRE, Calabria sacra e
profana, vol. II,
Cosenza 1878, pp. 136-143; A. GUARASCI, Fra Bernardo Milizia da Rogliano e
gli Agostiniani, in “Cronache di Calabria”, IX (1969), pp. 41-58; B. CAPPELLI, Il monastero di
Colloreto, in “Magna
Grecia”, VII, n. 3, pp. 7-8.
(39) AGA, Aa VII, f. 214 e seg.
(40) B. VAN LUIJK,
L’Ordine agostiniano e la riforma, cit., vol. XIX (1969), p.
361.
(41) M. A. RINALDI,
Gli ordini religiosi nell’area salernitana-lucana al tempo di
Seripando, in A. CESTARO (a cura), Geronimo Seripando, cit. pp.
539-63.
(42) AGA, Aa VII, f. 200rv.
(43)
F. Russo, Regesto, cit., vol. VI, 1982, p. 243,
n. 30633; C. ALONSO, Bullarium Ordinis Sancti Augustini. Regesta, vol. VI (1621-1644), p. 138, n. 391.
(44) AGA, Aa VII, f. 208.
(45)
F. Russo, Il beato, cit., p. 57.
(46)
AGA, Aa VII, f. 200v.
(47)
F. Russo, Il beato, cit., p. 57; C. ALONSO, Bullarium, vol. VI, p. 210, n. 603.
(48)
Appendice 4.
(49) Per le affinità e le specificità dei due movimenti
Cfr.: M. MARIOTTI - F. ACCETTA, Per uno studio della riforma agostiniana in
Calabria, cit.
5.
LA CONGREGAZIONE DEGLI AGOSTINIANI SCALZI
Alle altre componenti dell’Ordine già esistenti in regione si aggiunse
nel 1614 la Congregazione degli Agostiniani Scalzi (50). Il 22 aprile di quell’anno fu sottoscritto l’accordo
per la fondazione “d’un loco et chiesa sotto il titolo di S. Carlo Borromeo”
in Castiglione (frazione di Falerna - CZ) tra il priore del convento di S.
Maria della Verità di Napoli e il principe Carlo D’Aquino. Quest’ultimo s’impegnava
a sostenere finanziariamente la realizzazione del complesso religioso e a
cedere il terreno necessario. Tuttavia, il convento di S. Carlo ebbe vita
breve; a seguito del terremoto del 1638 fu abbandonato e perciò non risulta tra
quelli censiti in occasione dell’inchiesta innocenziana. Nel 1656 gli scalzi,
per soddisfare le numerose richieste degli abitanti, decisero di ripristinarlo,
ma furono costretti a rinunciare nel 1659 poiché la famiglia religiosa presente
non rispondeva alle disposizioni pontificie che prevedevano un organico di
almeno sei frati per ciascun convento (51).
Il secondo convento in ordine di tempo aperto in Calabria è quello di Tropea,
fondato nel 1619. In una relazione del 19 marzo 1658, sottoscritta da p. Matteo
di S. Eustachio, sulla fondazione del convento si legge: “per rispondere a quello che P. M. R. mi
domanda nella sua circa la fundatione di questo convento dico che qui non vi
sono scritture autentiche come V.S. desidera haver certezza, per quel che si
ritrova, e per quanto ho possuto far diligenza, il convento [fu] fondato nel
1619 nel mese di marzo, con l’occasione della predica del nostro p.
Bonaventura, si stabilì detta fundatione benché prima li Padri erano venuti. Il
fundatore principale fu l’Ill.mo Vescovo di questa città chiamato D. Fabrizio
Caracciolo cavalier napoletano per devotione antica al suo habbito
(52). Il convento fu abolito nel 1809.
L’edificio conventuale acquistato dalla famiglia Toraldo fu poi trasformato in
abitazione privata; la chiesa dedicata a S. Maria della Libertà è attualmente
una delle parrocchiali di Tropea.
Nello stesso anno 1619 gli
agostiniani scalzi s’insediarono in Monteleone, oggi Vibo Valentia. Un
memoriale, intitolato Origine della fondazione del nostro monasterio nella città
di Monteleone, sottoscritto
da p. Leone di Santo Gesualdo e datato 25 marzo 1658, fornisce nella prima
parte molte notizie circa l’erezione del convento di S. Maria della Pietà: le
disposizioni testamentarie del fondatore Scipione Candiota, l’accettazione del
testamento da parte degli agostiniani scalzi, il beneplacito delle autorità
religiose locali e la presa di possesso del luogo (53). La seconda parte del documento citato riguarda,
invece, lo sviluppo della comunità, l’attività di apostolato dei frati e i
rapporti con la città di Monteleone: “si diede principio facendo accomodare l’habitationi per li
frati e farci la chiesa da potersi celebrare, e piano piano ad accomodare le
altre cose nicessarie per potervi abitare. Vi corse di tempo sino all’anno 1621
quale per il capitolo generale vi assegnarono sei frati di famiglia, cioè tre
sacerdoti e tre frati conversi, e così stette per cinque anni continui.
Trovandosi molto soddisfatta la città dalli loro santi e dotti documenti si
affettionò tanto alli detti RR. PP. che di giorno in giorno andò criscendo la
devotione et insieme la carità per potervi fabricare e sostenersi [...]. Et
havendo li superiori vista la divotione delli popoli permisero [...] chiamarsi
priorato, come fé l’anno 1625, a primo giugno, dove assignarono dodeci frati di
famiglia; vedendosi soddisfatta la signoria e tutto il popolo di detta città
dalla carità e servitù che a loro da essi [padri è] fatta, e scorgendosi che il
loco ove erano fondati era assai angusto et improprio alle loro qualità per
essere poco honorato d’habitationi gli propose e offerse la chiesa di S.
Giuseppe con tutte le sue entrate e parendo alli RR. PP. bono il sito [...]
accettarono il partito e vi fecero parola alli superiori dalli quali [...] vi
fu fatta parola alla Sacra Congregazione, dove mostrato il consenso della città
e religiosi, la donatione de’ mastri di detta chiesa gli concesse licenza da
poter passare in S. Giuseppe. Non fu possibile [...] havendo imposto Sua Maestà
che li frati havissero da stantiare al primo luoco lasciato dal sig. Scipione e
non in S. Giuseppe; del che avvisato li superiori fu per il capitolo detto che
non si levasse la prima fundatione et che li frati stantiassero nelle case
prese e lasciate dal sig. Scipione Candiota, e così restò per Deo Gratia e sta
al presente” (54). Il
convento fu abolito nel 1809 a seguito dei provvedimenti adottati da Gioacchino
Murat contro gli Ordini religiosi esistenti nel regno di Napoli.
L’ultimo convento degli agostiniani scalzi in Calabria
è quello di Lago, fondato nel 1632 sotto il titolo di S. Maria degli Angeli. La
documentazione esaminata (55) dimostra
che le trattative per l’apertura di questo cenobio, voluto dalla famiglia Longo
e dall’università di Lago, erano state avviate nel 1614, contemporaneamente a
quelle per il convento di Castiglione, ma una serie di difficoltà pratiche
impedirono la concreta realizzazione. Il 10 settembre 1614, le autorità
cittadine inviarono all’arcivescovo di Cosenza mons. Costanzo una petizione
nella quale si legge: “essendo venuti qua li padri Gesimondo e fra Bernardo
dell’Ordine degli Scalzi di S. Agostino, et di quella Santa Vita che V.S.
Ill.ma creduno sia stata informata, ci han commosso con le loro sante opre a
pigliare convento il questa terra della loro religione, et per agiuto di quella
terra universale e particolare, ci havemo agiustato in si brevissimo tempo
ducati cento d’intrata, oltre molta altra quantità di denari per la fabrica;
resta solo che V.S. Ill.ma con la sua solita gentilezza et bontà si degni farci
gratia darci la sua benedittione et consenso, et la supplichiamo oltre sia
servita di farne doi righi al P[ad]re R.mo loro Vicario Generale dal quale
senza dubio speramo con l’agiuto del Signore ricevere questa gratia, et che tra
tanto sia lecito a quelli padri [...] mettere la croce, poiché speramo in breve
tempo per la grande affettione che havemo pigliare questo convento”.
All’approvazione dell’arcivescovo, concessa il giorno successivo, seguirono il
consenso dei francescani del convento di S. Maria del Soccorso, l’erezione
della croce nel luogo designato al “novo monasterio”, e infine private e
pubbliche elargizioni. La famiglia Longo (Epadimonda e Sartorio), con due atti
stipulati rispettivamente il 20 e 21 dicembre 1614, destinò a sostegno dell’erigendo
convento 200 ducati, diversi beni fondiari e capi di bestiame, con l’obbligo
che fossero celebrate tre messe quotidiane e fosse pagato un vitalizio di 24
ducati annui ad Artemisia Longo. Da parte sua anche l’università (comune) di
Lago avvertì la necessità di sostenere la fondazione del convento “perché dette
annue entrate date ut supra non sono sufficienti a detto monasterio e padri”.
Il 26 dicembre 1614, in un “publico parlamento” si trattò la questione e si
decise di assegnare ai frati 600 ducati in tre anni, a partire dall’agosto
1615, e che alla costituzione delle singole rate “habbiano di contribuire tutte le persone
franche, cioè ogni uno”. Tuttavia, a compromettere l’iniziativa e
frenare gli entusiasmi contribuirono la morte del p. Bernardo dello Spirito
Santo - sepolto “con molta riverenza e devozione del popolo nella chiesa parrocchiale”
di Lago - e la decisione dei superiori di non accettare il convento. Le rendite
assegnate furono ritenute insufficienti “per lo giusto sostentamento dei frati” e per la
costruzione del complesso religioso. Successivamente, nel 1630, il dottor
Sartorio Longo, “per sua devotione a quella religione ex nunc mediante donatione
irrevocabiliter inter vivos”, assegnò agli scalzi una rendita annua
di 700 ducati. A seguito della donazione, accettata dai religiosi, sembrava che
tutti gli impedimenti per la fondazione del convento fossero stati eliminati,
ma non fu così. I frati del 3° Ordine di S. Francesco, infatti, negarono il
consenso, che in precedenza avevano concesso. La loro opposizione, giustificata
dal timore di subire un decurtamento degli introiti spirituali (messe,
elemosine, cerche), fu giudicata non sufficientemente valida, sia dalla curia
di Cosenza sia dalla congregazione dei vescovi. Quest’ultima con un decreto del
2 aprile 1632 stabiliva che gli scalzi potessero fondare il convento “iuxsta
decretum” dell’arcivescovo di Cosenza del 1614. Per la positiva risoluzione
della vertenza la popolazione di Lago, che finalmente vedeva realizzarsi un
sogno che durava da circa 20 anni, “ne ha fatto festa con universale allegrezza con sonar li
campani a gloria, fattosi luminarie et altri segni, lodandosi il nostro Signore
di tanta gratia ricevuta, d’haver questa santa religione in questa Terra”.
Da parte sua anche la congregazione degli agostiniani scalzi adottò i
provvedimenti necessari, che in una memoria, anonima e non datata, dal titolo: Fondatione
del convento di S. Maria degli Angeli nella Terra del Lago della Diocesi di
Cosenza, Calabria Citra, sono
descritti nei termini: “il P.N. Vicario generale con gli altri padri del
definitorio dell’istesso anno 1632 determinarono che venissero li nostri padri
al Lago et fu eletto per primo presidente e superiore [...] il padre Giulio di
Santa Agnese napolitano, il quale arrivò in detta Terra alli 20 settembre del
medesimo anno 1632; il quale fu ricevuto con gran allegrezza e giubilo di tutto
il popolo di Lago, et considerando il sito dove al presente stà fondato il
monasterio commodo per li religiosi che vi doveano habitare et per la gente di
detta Terra essendo li vicino benedisse sollennemente la prima pietra alli 4 di
maggio dell’anno 1633 e così si diede principio alla fabrica di questo
monasterio” (56). Il convento fu soppresso nel 1809. Rimane
ancora viva la memoria di p. Bernardo dello Spirito Santo tra la popolazione di
Lago, tanto che nel luogo dove prima sorgeva la chiesa è stato innalzato un
monumento a ricordo, benedetto il 26 ottobre 1957 dal priore generale p.
Gabriele M. Raimondo.
______________________
(50)
La Congregazione dei Frati Scalzi
dell’Ordine degli Eremitani di S. Agostino venne costituita 16 novembre
1593, con il decreto Cum Ordinis nostri splendorem emanato dal priore
generale Andrea Securani, e confermata da Clemente VIII con il breve Docet
romanum pontifìcem del 5 novembre 1599. Sulle vicende degli agostiniani
scalzi in Calabria Cfr. M. CAMPANELLI, Gli agostiniani scalzi nell’Italia
meridionale attraverso l’inchiesta innocenziana, in Ordini religiosi e società nel Mezzogiorno
moderno, a cura di
B. PELLEGRINO - F. GAUDIOSO, Galatina 1987, vol, I, pp. 231-255; M. GENCO, I conventi agostiniani scalzi. La
provincia napoletana, in “Presenza Agostiniana”, 1991, n. 3,
pp. 23-26; F. ACCETTA, Gli agostiniani scalzi in Calabria, in “Presenza Agostiniana”,
XXIII, marzo-agosto 1996, pp. 71-77.
(51)
M. CAMPANELLI, Gli agostiniani
scalzi, cit.
(52)
Archivio di Stato di Roma (ARS), Congregazioni
soppresse, agostiniani scalzi, Maria e Gesù, b. 131, fasc. XI, ff. nn.
(53) Ibidem.
(54) Ibidem.
(55) Ibidem.
(56)
Ibidem.
6.
CRONOLOGIA E DIFFUSIONE DEGLI
INSEDIAMENTI
Seguendo l’andamento cronologico indicato nelle relazioni del 1650,
rapportato ai principali atti giuridici dell’Ordine e delle autorità
pontificie, ai provvedimenti restrittivi contro la moltiplicazione dei conventi,
è possibile cogliere e distinguere le fasi che hanno caratterizzato
l’immissione dell’Ordine agostiniano in Calabria. La prima fase 1145-1539 (tab.
1), corrispondente alla fondazione dei primi cenobi agostiniani, al
riconoscimento della congregazione zumpana da parte dell’Ordine (1509) e alla
creazione della Provincia di Calabria (1539), comprende quindici conventi
zumpani, tra cui quello di Cosenza fondato nel 1426 e aggregato alla
congregazione nel 1522, e dodici fondazioni dell’Ordine da Paola (1145-1433) a
Rocca di Neto (1539).
______________________________________________________________________________________
TAB. I - FONDAZIONE
DEI CONVENTI NEL PERIODO 1145-1539
Anno Provincia Zumpani
Colloretani Scalzi Titolo Diocesi
1145/1433 Paola
S. Caterina Cosenza
1162/1300 Fuscaldo S. Gio.
Battista Cosenza
1400 Tarsia S.
Giacomo Ap. Rossano
1408 Acri
S. Caterina
Bisignano
1423 Monteleone S.
Agostino Mileto
1426
Cosenza S. Agostino Cosenza
1446 Belvedere Ss.ma
Annunziata S. Marco
1461 Terranova S. M. del
Socc. Rossano
1470 Bucchigliero Ss.ma
Annunziata Rossano
1490 Amantea S. M.
della Calcata Tropea
1490
Aprigliano
S. M. delle Grazie Cosenza
1490
Soverato S. M. della Pietà Squillace
1500
Nocera S. M. di Loreto Tropea
1502
Francavilla S. M. della Croce Mileto
1504 Belforte
Ss.ma Annunziata Mileto
1506
Bombile S. M. della Grotta Gerace
1518
Crucoli Ss.ma Annunziata Umbriatico
1520 Curinga S.
M. delle Grazie Nicastro
1524
Rovito S. M. delle Grazie Cosenza
1526 Casole S. Michele Arc. Cosenza
1527
Spadola S. M. del Carmine Squillace
1530 Castelvetere S. M. del
Carmine Gerace
1531
Terranova S. M. del Soccorso Oppido
1531
Scigliano
S. Agostino Martirano
1535
Belvedere S. Venere Cariati
1539 Rocca di Neto
S. M. delle Grazie S. Severina
1539
Montepaone S. M. degli Angeli Squillace
______________________________________________________________________________________
La seconda fase 1542-1600 (tab. 2), che registra la massima espansione
dell’Ordine in Calabria con la fondazione di 37 conventi (24 zumpani e 13 della
provincia), si caratterizza per l’apertura contemporenea di due o più sedi
negli anni 1546 (Melissa, Acquaro), 1561 (Catanzaro, Tropea, Gioia), 1570
(Pannaconi, Albi, Sellia), 1571 (Varapodio, S. Stefano), 1580 (Brancaleone,
Magli), 1590 (Mesiano, Macchia, Reggio, Stalittì), 1591 (S. Floro, Nicastro),
1593 (Agruso, Borgia); inoltre è da segnalare la fondazione del convento di
Morano (1545) da cui prese avvio la congregazione dei colloretani.
_____________________________________________________________________________
TAB. 2 - FONDAZIONE
DEI CONVENTI NEL PERIODO 1542-1600
Anno Provincia Zumpani
Colloretani Scalzi Titolo Diocesi
1542 Feroleto
S. Giovanni Batt. Nicastro
1544 Bruzzano S.
M. delle Grazie Gerace
1545 Morano S.M. di Colloreto Cassano
1546
Melissa
Ss.mo Salvatore Umbriatico
1546 Acquaro S. M. del
Soccorso Mileto
1547 Cortale S. M. del
Soccorso Nicastro
1553 Dasà S. M. della
Pietà Mileto
1555 Pizzo
S. M. del Soccorso Mileto
1559 Zumpano S. M degli Angeli Cosenza
1561
Catanzaro
S. M. del Soccorso Catanzaro
1561
Tropea S. M. del Soccorso Tropea
1561 Gioia S.
Sebastiano Mileto
1563 Stilo S. Antonio Abate Squillace
1565 Davoli S. M. del
Trono Squillace
1568
Benvicino
S. Giovanni Batt. S. Marco
1569 Gioiosa S. M. del
Soccorso Gerace
1570
Pannaconi
S. M del Bosco Mileto
1570 Albi S. M.
Misericordia Catanzaro
1570 Sellia S. M. delle
Grazie Catanzaro
1571 Varapodio S. M. delle Grazie Oppido
1571 S. Stefano Ss.ma Annunziata Cosenza
1572 Castiglione S. M. della Pietà
Tropea
1574 Martirano Ss.ma Annunziata Martirano
1579
Polistena
Santo Spirito Mileto
1580 Brancaleone S. Sebastiano Bova
1580 Magli S. M. della
Croce Cosenza
1585 Rose
S M. degli Angeli Bisignano
1588 Paterno S. Marco Cosenza
1590
Mesiano S. Agostino Mileto
1590 Stalittì S. M. del
Soccorso Squillace
1590 Macchia S. M. della
Sanità Cosenza
1590 Reggio S. M. della
Melissa Reggio
1591 S.
Floro S. Anna Squillace
1591 Nicastro S. M. della
Sanità Nicastro
1593 Agrusto S. M. della Sanità
Squillace
1593 Borgia S. Leonardo Squillace
1598
Strongoli
S. M. del Popolo Strongoli
1600 S.
Mauro
Ss.mo Salvatore S. Severina
____________________________________________________________________________________
La terza fase 1603-1650 (tab. 3), i cui termini temporali corrispondono
da un lato alla decisione del priore generale di dividere la congregazione
zumpana in Calabria Ultra e Citra e dall’altro alla bolla Instaurandae
regularis disciplinae, segna
per il movimento zumpano e la provincia un periodo di ristagno e di difficoltà,
dovuto alle disposizioni pontificie contro la proliferazione degli insediamenti
mendicanti. Infatti, oltre il ripristino del convento di Reggio (1639), si
segnala la fondazione di otto conventi: tre zumpani e cinque della provincia di
Calabria. Al contrario, per le altre componenti dell’Ordine in Calabria questo
è un periodo di sviluppo poiché registra l’immissione e la diffusione degli
agostiniani scalzi e la fondazione di due cenobi colloretani nella diocesi di
Cassano.
_____________________________________________________________________________________
TAB. 3 - FONDAZIONE
DEI CONVENTI NEL PERIODO 1603-1650
Anno Provincia Zumpani
Colloretani Scalzi Titolo Diocesi
1607 Papanice
Ss.ma Annunziata Crotone
1611
Grisolia
Ss.mo Salvatore S. Marco
1612 Cotronei S .
Marco S. Severina
1614
*Castiglione S. Carlo Tropea
1616
Vazzano
Spirito Santo Mileto
1617 Bovalino S.
Leonardo Gerace
1618 Serrastretta
Ss.ma Annunziata Nicastro
1619
Monteleone S. M. della
Pietà Mileto
1619 Tropea S. M. della Libertà Tropea
1619 Mormanno
Cassano
1620
Mormanno
S. M. di Costantin. Cassatso
1622
Colavati
Ss.ma Annunziata Rossano
1632 Lago S. M. degli Angeli Cosenza
1640 Cassano
Cassano
* Il convento di Castiglione fu abbandonato nel 1638 a
seguito di un terremoto, per questo motivo non risulta tra quelli censiti
dall’inchiesta innnocenziana.
___________________________________________________________________________________
La tipologia dell’insediamento agostiniano in rapporto al territorio
non si discosta da quelle che erano le caratteristiche degli altri Ordini
Mendicanti presenti nella regione. In tutto l’arco di sviluppo dell’Ordine
viene privilegiata la penetrazione e la diffusione in zone rurali piuttosto che
la concentrazione nei grossi centri urbani. Prevale una rete di piccoli
insediamenti in borghi rurali dell’area centro meridionale (tab. 1-3). Ciò
appare chiaro se la tipologia dell’insediamento è confrontata con le
circoscrizioni ecclesiastiche delle due province storiche della Calabria;
infatti, nel 1650 il 60,25% dei conventi è concentrato e distribuito nelle
diocesi di Calabria Ultra, ad eccezione di quelle di Belcastro, Isola e
Nicotera; mentre nelle diocesi dì Calabria Citra si registrano 31 conventi
(39,7%), situati prevalentemente in quella di Cosenza. Rapportando gli
insediamenti alle varie componenti dell’Ordine si nota per la Calabria Ultra il
predominio delle sedi zumpane (61,7%), rispetto a quelle della provincia (34%)
e degli scalzi (4,2%), l’assenza della congregazione di S. Maria di Colloreto
che, concentrata nella diocesi di Cassano, rappresentava, invece, il 9,6% dei
conventi di Calabria Citra. In quest’ultima circoscrizione amministrativa il
rapporto tra i conventi dell’osservanza zumpana (4 1,9%) e quelli della
provincia (45,1%) è fondamentalmente equilibrato; gli agostiniani scalzi hanno,
invece, un’esigua rappresentanza (3,2%) (tab. 4).
___________________________________________________________________________________________________
TAB.
4 - CONVENTI AG.NI NELLE DIOCESI DI CALABRIA ULTRA E CITRA NEL 1650
Diocesi Calabria
Ultra Provincia Zumpani Colloretani Scalzi
Totale
Belcastro
0
Bova 1
1
Catanzaro 1
2
3
Crotone 1
1
Gerace 5 5
Isola
0
Mileto 7 4 1 12
Nicastro 3 2 5
Nicotera
0
Oppido 2
2
Reggio 1
1
Santa Severina 2 1
3
Squillace 1 8 9
Tropea 2 2 1 5
Totale 16 29 2 47
______________________________________________________________
Diocesi Calabria
Citra Provincia Zumpani Colloretani Scalzi
Totale
Bisignano 2
2
Cariati 1 1
Cassano 1 3 4
Cosenza 2 9 1 12
Martirano 2
2
Rossano 4
4
S. Marco 3
3
Strongoli 1
1
Umbriatico 1
1 2
Totale 14 13 3 1
31
_____________________________________________________________
Circa la dislocazione dei conventi è da rilevare che la maggior parte
di essi sorgevano a breve distanza dai centri abitati, lungo le principali vie
di comunicazioni allora esistenti. Questo tipo di distribuzione territoriale
rispondeva sia all’esigenza di un rapido collegamento tra i diversi conventi,
sia alla necessità d’indirizzare l’azione di apostolato ai centri vicini a
quello prescelto quale sede conventuale. D’altro canto i frati non mancano di
sottolineare i vantaggi dell’ubicazione extra urbana soprattutto per
quest’ultimo aspetto. Ad esempio il sito del convento di S. Maria del Soccorso
di Acquaro viene descritto nei termini: “luogo comodo per sentirsi li Divini Officij e Sacrificij
dalli popoli [...] per il passaggio continuo delli cittadini dello Stato
d’Arena et altri con grandissimo concorso de’ populi dell’uno e dell’altro così
in giorno festivi come di lavoro” (57). Tuttavia, la localizzazione
extra moenia non sempre è stata accolta con favore dalle popolazioni rurali,
poiché usufruivano dei servizi spirituali e materiali offerti dai religiosi in
maniera insufficiente. Nel 1637 l’università di Melissa, “riconoscendo il puoco benessere”
che i cittadini ricevevano dal convento del SS.mo Salvatore (1546), ubicato “dentro montagne
e selve”, domandò al provinciale di trasferirlo nel centro abitato.
Questi, considerato “la giusta dimanda et gli esclami et insulti che facevano
gli huomini di mala vita [...] dentro la chiesa”, diede il suo
consenso (58).
__________________________________________
(57) AGA, Ii, vol. VI, f. 219.
(58) Ibidem f. 93.
7. STRATEGIA INSEDIATIVA
Un ruolo decisivo ai fini dell’insediamento degli agostiniani nelle
aree rurali calabresi venne svolto dalle università locali (comuni), che, per
far fronte all’inadeguata assistenza spirituale del clero secolare, furono
promotrici di numerosi conventi, concepiti come centri d’irradiazione di
attività pastorali da cui trarre benefici spirituali (predicazione,
amministrazione dei sacramenti, suffragi). Le università intervenivano non solo
nella concessione di chiese e nella costruzione dei complessi conventuali, ma
erano disposte a contribuire al sostentamento dei frati, attraverso donazioni
ed elemosine. Ad esempio nel 1570 l’università di Albi, con il consenso
dell’ordinario diocesano, concedeva agli zumpani la chiesa di S. Maria della
Misericordia e un contributo annuo di 23 scudi al fine di fondare un convento (59).
Così l’università di Benvicino nel 1568 s’obbligava a versare ai frati 16
ducati annui e a “fabricare tumuli 100 di calce infino che sarà finito il
convento” (60).
In cambio le autorità locali chiedevano una serie di prestazioni culturali,
devozionali e caritative a beneficio della collettività. Da un’indagine
comparativa emerge che le richieste variano dal semplice obbligo di “dir messa”
(Macchia, 1590) ad impegni più specifici quali la partecipazione alle
processioni “senza
protestare et percepire elemosina alcuna” (S. Mauro, 1600); il
tenere “l’hospitale
per li poveri pellegrini” (Terranova, 1461; S. Stefano, 1571;
Martirano, 1574); il mantenere in famiglia “un predicatore per il tempo delle
predicationi” (Scigliano, 1531), o un numero preciso e determinato
di religiosi (Albi, 1570; S. Floro, 1591), oppure un insegnante per istruire “i figlioli di
quando in quando” (S. Stefano, 1571) (61). Alcune università come Rovito
(1524), Zumpano (1559) e Papanice (1607) pur di avere la presenza stabile dei
frati non chiesero impegni formali e i rispettivi conventi furono fondati
“senza esservi stato patto, o numero prefisso di frati, ma gratis et libero” (62).
Alle volte erano le autorità diocesane, che avevano accordato il loro assenso,
a richiedere obblighi pecuniari. Ad esempio i conventi di Feroleto (1542) e di
Serrastretta (1618) dovevano pagare “alla vigilia de’ Ss. Apostoli Pietro e Paolo, titolo della
Cathedrale, una libra di cera l’anno alla mensa episcopale” di
Nicastro; mentre i frati del convento di Martirano (1574) erano “obligati ad
intervenire al vespro et festa dell’Assunta nel vescovado et habbino di portare
un cereo d’una libra” (63). Significativo è stato anche il contributo di
personaggi appartenenti all’aristocrazia. A Crucoli (1518) i feudatari avevano
concesso agli agostiniani la chiesa di S. M. dell’Annunziata e alcuni fondi “col peso di
celebrare ogni giorno una messa per l’anima de’ loro morti” (64). A
Sellia (1570) il barone aveva offerto la chiesa e un contributo annuo di 19
ducati per la fondazione del convento con l’obbligo di “tenere di famiglia 4 sacerdoti et due
servienti, et che due sacerdoti dovessero ogni giorno celebrare per loro” (65). A
Cotronei (1612) era stata la baronessa Anna Morana ad offrire agli agostiniani
il terreno dove erigere il convento, “et elomisine per la fabrica” con l’obbligo che
fosse sempre abitato da tre sacerdoti (66). Anche esponenti della borghesia, a conferma
del largo consenso suscitato dagli agostiniani, diedero il loro apporto alla
fondazione di alcuni conventi. A Tarsia (1400) il notaio Nicolò Grimaldi, “per la
trasmutatione di un voto, che doveva andare a S. Giacomo di Galizia”,
aveva donato una serie di appezzamenti di terra e alcuni immobili allo scopo di
permettere ai frati di insediarsi nel paese e svolgere serenamente il loro
apostolato, senza problemi economici (67). A Strongoli (1598) la signora Persia Pica e
il figlio Agostino Simonetta avevano assegnato agli agostiniani 500 ducati,
cioè 100 per la costruzione dell’edificio religioso e 400 per acquistare beni
immobili. I due benefattori si riservavano “l’altare maggiore futuro di detta chiesa con
l’obbligo di celebrare due messe pro defunctis dalli frati pro tempore
esistenti per l’anima dell’antipassati di detta Persia” (68). Le
richieste di nobili e borghesi a differenza di quelle delle comunità contadine
sottintendono l’aspetto privato della devozione, la preoccupazione di
assicurarsi la celebrazione di messe in suffragio delle proprie anime. Rivelano
anche l’esigenza di manifestare il rapporto privilegiato che si era instaurato
tra l’Ordine e la famiglia del benefattore, la posizione sociale e giuridica
che quest’ultima ricopriva all’interno della comunità. Funzionale a questa
operazione erano il diritto di esporre “l’armi et epitafio dentro e fuori la chiesa”,
la scelta dell’altare, quasi sempre quello maggiore ché assicurava preminenza
liturgica rispetto a quelli laterali. Significativi a tal proposito sono i
capitoli per la fondazione del convento di Castiglione (frazione di Falerna -
CZ), stipulati il 22 aprile 1614 tra il principe Carlo D’Aquino e il p.
Gregorio del S. Spirito priore del convento di S. M. della Verità di Napoli;
infatti, si legge: “se conviene che sia lecito al detto principe come
fundatore di detto luoco fundando sopra la porta et arco dell’altare maggiore
di detta chiesa effigere e ponere l’arme et insigne et descrittioni d’esso
principe di quello modo che li parerà et alla tribuna, et all’altare maggiore
di detta chiesa se conceda al detto principe per se et suoi heredi et
successori il ius sepulchri et seppellendi di modo tale che in detti luochi non
si possono seppellire altri, ne concedere ad altre persone restando detta
tribuna et altare maggiore per servitio et beneficio di detto principe et suoi
heredi et successori” (69). Tuttavia, le obbligazioni connesse ai legati
e alle donazioni, che contribuivano a rendere solide le basi economiche dei
conventi, erano soddisfatte nella misura in cui non ostacolavano l’azione
pastorale a beneficio dell’intera comunità. Dalla documentazione relativa alla
fondazione del citato convento di Castiglione risulta che dopo due anni dalla
firma dell’accordo gli scalzi chiesero e ottennero la revisione del medesimo
circa l’onere dei suffragi da celebrare quotidianamente. L’esiguo numero di
frati presenti e la necessità di operare a favore di tutta la popolazione impedivano
di celebrare “ogni
giorno due messe et una per esso principe et l’altra per Laura sua sorella vita
durante pro peccatis et poi le loro morti per le anime loro” (70).
Nel riformulato accordo del 10 agosto 1616 veniva riconosciuta la facoltà di
sospendere la celebrazione dei suffragi nei giorni in cui si verificava la
malattia o il decesso di uno dei frati; la morte di “altra persona o gentilhuomo” di
Castiglione; nel giorno delle “esequie o aniversario” e in quello dell’“aniversario
della Religione”. Era, comunque, una concessione temporanea che non
inficiava la validità degli oneri pattuiti nel 1614 che sarebbero stati
soddisfatti senza ulteriore dilazione “quando non ci sarà tal impedimento, cioè quando detti
padri saranno più di quattro” (71). Al di là degli obblighi spirituali contratti
per la fondazione dei singoli conventi era la consapevolezza di agire in un
ambiente dove l’inefficienza e l’ignoranza del clero secolare, devozionismo e
superstizione, costituivano i tratti essenziali. Nel contesto di una strategia
tesa al recupero spirituale e all’assistenza morale e materiale delle
popolazioni locali si pone l’istituzione di confraternite e monti di pietà,
indispensabili strumenti di vita religiosa, penetrazione sociale, attività
caritativo-assistenziale. Nel 1584 il priore generale Anguisciolo autorizzò la
fondazione di sette confraternite sotto il titolo di S. Monica (Acquaro,
Condoianni, Cosenza, Dasà, Martirano, Terranova). Altre tredici confraternite
chiesero e ottennero il privilegio di essere aggregate all’arciconfraternita
dei Cinturati di Bologna al fine di “godere l’indulgenze, gratie, et prerogative che detta
arciconfraternita gode” (Castelvetere, Castiglione, Cosenza,
Melissa, Montepaone, Pedace, Pietrafitta, Pizzo, Ravello, Rose, S. Angelo di
Celico, Spezano, Zumpano). Inoltre le istanze spirituali delle popolazioni
erano soddisfatte attraverso l’attività missionaria e la predicazione
periodica, soprattutto, quando la richiesta di avere la presenza stabile dei
frati non poteva al momento essere soddisfatta. In una dichiarazione del 6
novembre 1631, sottoscritta dal clero e dalle autorità civili di Lago, il
rapporto che si era instaurato tra quella comunità e gli scalzi dopo il
fallimento del primo tentativo di fondare il convento (1614), è descritto nei
termini: “di
quando in quando son venuti li detti Padri Scalzi a visitare la predetta Santa
Croce, con mantener la divozione nella Terra predetta […]. Per opra loro da
quel tempo insino alla giornata d’oggi non s’è occasionato tumulto o rumore
alcuno o distintione fra persone secolari e ecclesiastici o tra secolari et
religiosi. Ma sempre hanno aumentato grandezza di devotioni, et donato veri e
sant’esempij con haver agiutato queste anime con li loro confessioni
sacramentali, con l’haver fatto l’officio di visitar l’infermi et agiutar li
morienti” (72). Infine è importante ricordare che gli
agostiniani favorivano la sviluppo di culti locali come quello di San Foca
Martire in Francavilla Angitola e di S. Maria della Grotta in Bombile d’Ardore (73).
________________________________________
(59) Ibidem, f.
183.
(60) AGA, Ii, vol. III, f. 88.
(61) AGA, Ii, vol. III, f. 91, 114; vol. VI, ff. 168, 172,
292.
(62) AGA, Ii, vol. VI, ff. 164, 166, 185.
(63) AGA, Ii, vol. III, ff. 70, 99; vol. VI, f. 176.
(64) AGA, Ii, vol. VI, f. 189.
(65) Ivi, f.
181.
(66) Ivi, f.
175.
(67) AGA, Ii, vol. III, f. 75.
(68) Ivi,
f. 110.
(69) ASR, Congregazioni soppresse, agostiniani scalzi,
Gesù e Maria, b.
131, fasc. XI, ff. nn.
(70) Ivi.
(71) Ivi.
(72) Ivi.
(73) F. ACCETTA, Francavilla Angitola. Ricerche e Documenti, comune di Francavilla
Angitola, tip. Mapograf 1999, pp. 89-101; S. GEMELLI, Il santuario della
Madonna della Grotta in Bombile d’Ardore, Chiaravalle 1979.
8. I RAPPORTI CON GLI ALTRI
ORDINI RELIGIOSI
La penetrazione agostiniana in Calabria è stata, invece, contrastata
dagli altri Ordini religiosi. Alla base di questo atteggiamento ostile contro i
nuovi insediamenti, soprattutto dove la presenza dei mendicanti era più forte,
erano motivi pastorali e economici. Infatti, la fondazione di un nuovo convento
aveva come conseguenza immediata la riduzione dell’azione pastorale, il
decurtamento delle entrate e l’instabilità economica dei conventi già
esistenti. Emblematico è il caso di Reggio Calabria dove gli agostiniani si
erano insediati nel 1590: “per beneficio di quello loco e quando si ha passare a
Messina per accomodamento degli padri e [per] quello che troveranno de’ bisogno”
(74).
Costretti a lasciare la città, perché “più volte saccheggiata e bruggiata de’ Turchi”,
ritornarono nel 1639 suscitando le proteste degli altri regolari; infatti, i
domenicani, i minimi, i riformati e i cappuccini il 5 agosto dello stesso anno
presentarono alla Congregazione dei Vescovi un ricorso per impedire la
riapertura del convento agostiniano: “mesi addietro sono venuti in questa città di Reggio di
Calabria alcuni frati di S. Agostino per fondare un convento dell’Ordine loro
et mons. Vicario Capitolare con passione (con riverenza) l’accettò, et non
obstante la nostra protesta l’ha ammesso che vengano alle processioni
pubbliche, senza il nostro consenso di noi mendicanti, che è contro alle
disposizioni delli Brevi Apostolici, sotto pretesto che detta Religione,
cinquanta anni in circa sono, havesse havuto convento in questa città, il che è
falsissimo perché vennero dui frati ad agitare una lite e per quella finita si
partirono senza mai havessero retto convento […]. Oltre che dato e non concesso
havessero allora eretto convento non sono in tempo di ripigliarlo senza il nostro
consenso essendo trascorsi cinquant’anni in circa che detti padri mancano da
qui, et in verun modo possono detti religiosi fondare convento in questa città
senza il nostro consenso, et mons. Vicario Capitolare accettandoli e
mantenendoli ci fa molto aggravio [...]. Le Vostre Emminenze restino servite
ordinare a detto mons. Vicario Capitolare che faccia partire detti religiosi di
S. Agostino, et non l’ammettano all’erettione di novo monasterio senza il
nostro consenso, ne vengano a processioni” (75) . Tuttavia, l’iniziativa non ebbe l’esito
desiderato: gli agostiniani riuscirono a provare l’inattendibilità delle
rimostranze degli altri regolari e a documentare la loro precedente residenza a
Reggio Calabria: “I Domenicani con gli altri Regolari hanno strepitato non
potendo soffrire l’applauso col quale siamo stati ricevuti e reintegrati, della
quale reintegrazione e non fondatione ho mandato le scritture autentiche al
Procuratore Generale dove appare il gran mandace asserto da Padri Domenicani,
che giammai la Religione Agostiniana fosse stata per la dietro in questa città
di Reggio e perché appaia maggiormente questa bugia s’è presa sommaria via
juris, ed i più seniori e saniori della città testificarono de visu l’essere
stata habitante la Religione per la gran pezza d’anni nella chiesa di S. Maria
della Melissa” (76). Quale era il vero scopo del ricorso?
Probabilmente andava al di là della salvaguardia delle disposizioni apostoliche
circa l’assenso che bisognava chiedere alle altre famiglie religiose già dimoranti
in un luogo per procedere ad una nuova fondazione. In una lettera del 23 giugno
1639, inviata al priore generale, p. Deodato Solera propone una chiave di
lettura che mette in ombra i protagonisti della vicenda e in modo particolare i
domenicani. Questi ultimi avrebbero iniziato e sostenuto la querelle al
solo fine di ammorbidire la rigida opposizione degli agostiniani all’apertura
di un loro insediamento a Pizzo Calabro (77). I contrasti per l’apertura di nuove sedi non
sempre venivano portati avanti in modo leale e corretto, potevano trascendere
in atti di vero e proprio sabotaggio. A Vallelonga, nel 1634, i domenicani, che
avevano abbandonato la sede poi assegnata agli agostiniani dalle autorità
locali, penetrarono nottetempo nei locali conventuali e portarono via tutti i
mobili (78).
Il tribunale diocesano di Mileto, investito della questione, con decreto del 29
luglio 1641, stabiliva che gli agostiniani potessero mantenere la chiesa di S.
Maria di Monserrato e il convento, ordinava ai domenicani di astenersi da
qualsiasi azione di rivalsa “sub poenis et censuris ecclesiasticis a sacris canonibus
inflictis”, infine, concedeva agli agostiniani la facoltà di
ricorrere al “brachium
saeculare” in caso di nuovi contrasti e molestie (79).
Tuttavia è utile ricordare che in queste vicende gli agostiniani non furono
solo soggetti passivi. Al contrario si opposero ai riformati di S. Francesco e
ai domenicani in occasione della fondazione dei conventi di Bucchigliero e di
Pizzo. Al pari degli altri Ordini mendicanti anche gli agostiniani erano
preoccupati di subire una diminuzione delle entrate e di vivere nell’incertezza
economica: “Non
solo perderiemo li elemosine, ma anco la frequenza della chiesa, di maniera
perderiemo li elemosine, la divotione, perché oggedì il mondo si compiace di
novità; come già per esperienza che prima questo convento faceva quattro,
cinque e più ducati il mese adesso non passa dui ducati, perché il Rosario lo
recitano nella parrocchiale sicché di questa maniera tanto è fondare Ospitio quanto
Convento, che mentre vanno a fondare Ospitio non devono [i domenicani] fare
stare sacerdoti, è quello che ci leva il pane”. Così il priore del
convento di Pizzo p. Dionisio da Catanzaro in una lettera del 28 agosto 1642
indirizzata al priore generale Ippolito Monti (80).
_______________________________
(74) F. ACCETTA,
La presenza agostiniana a Reggio Calabria. Fondazione (1589-90) e
reintegrazione (1639) del convento,
in “Rivista storica
calabrese”, n.s., XVII (1996), pp. 305-329.
(75) Ivi.
(76) Ivi, lettera
di p. Solera al cardinale protettore del 20 ottobre 1639.
(77) AGA, vol. XI, f. 462. L’avversione e le motivazioni
degli agostiniani all’insediamento domenicano a Pizzo sono indicate in una
missiva del 21 gennaio 1640 spedita da Napoli dal provinciale di Calabria p.
Giovan Pietro da Tarsia al priore generale: “Ritrovandomi in Napoli mi è sopragiunto un
avviso dal p[adre] nostro Giovanni da Fuscaldo il quale risiede nel nostro
convento nel Pizzo, nel quale dice essere andati in detta Terra li padri domenicani,
e pigliatosi un luogo, con consenso de’ cittadini, sotto nome di ospitio. E
perché è solito a questi padri entrar sotto nome d’ospitio e poi impatronirsi
del tutto con darsi nome di convento, com’han fatto in molti luoghi, senza
domandar assenso a niun capo di conventi che ivi si ritrovano; e già
attualmente, tutti se oppongano, e mi viene di più havisato qualmente han
incominciato a predicare et erger congregationi, del che può giudicare V.P.R.
si è modo di ergere Ospitio o Convento, e nessuno ne viene più interessato di
noi essendo che stà in mezzo la strada, dove sarà l’ultima mina del nostro
monasterio, perché a fatto si leverà quella poca frequenza che vi è. Priego
dunque V.P.R. di far quanto può in nostro beneficio alla Sacra Congregazione acciò
si impedisca l’esecutione et vedere quanto s’estenda la loro autorità nelli
Ospitii”. Cfr.: AGA, Aa XI, f. 426. Sull’insediamento domenicano in
Pizzo Calabro Cfr. F. ACCETTA, I conventi domenicani nella diocesi di Mileto, in “Calabria Letteraria”, XXXVIII,
aprile-giugno 1990, pp. 43-46; C. LONGO, Conventi domenicani della provincia
di Vibo Valentia, in
I beni culturali del vibonese. Situazione attuale - Prospettive
future, Atti
convegno Nicotera 27-29 dicembre 1995, Vibo Valentia 1998, pp. 166-169.
(78) AGA, Aa XI, f. 101.
(79) Ivi.
(80) Ivi.
9. ORGANIZZAZIONE E STRUTTURA
DEI COMPLESSI CONVENTUALI
I complessi conventuali agostiniani non si differenziavano dai modelli
utilizzati dagli altri Ordini religiosi. Quasi tutti i conventi si disponevano su
due piani: al primo piano erano situate le cosiddette “officine”, che si aprivano
direttamente sul chiostro, e cioè la cucina, il refettorio, la dispensa, il
deposito per gli attrezzi agricoli. Al piano superiore erano i dormitori con le
rispettive celle per i frati, il guardaroba, le stanze riservate agli ospiti,
la biblioteca. Particolari accorgimenti, per garantire l’incolumità dei
religiosi, si segnalano nella struttura dei conventi delle località costiere
frequentemente sottoposte alle incursioni turchesche. Ad esempio il convento di
S. Maria della Pietà di Soverato, “più volte bruggiato da’ Turchi”, era costruito
“a modo di
castello con balestrieri attorno” (81). Il convento di S. Maria del
Soccorso di Stalittì per contenere gli attacchi corsari era circondato “per tutto da
gagliarde mura di quattro palmi di grandezza” (82). Lo stato di avanzamento dei
lavori, da quanto risulta dalle relazioni del 1650, procedeva molto a rilento,
sia per le difficoltà economiche, che per le citate incursioni. Risultano in
fase di completamento i conventi di Bovalino (1617): “sta fabricandosi havendosi per la penuria
de’ tempi compito solamente un quarto del disegno” (83); di
Brancaleone (1580): “si sta in atto fabricando et al mio parere detto convento
potrà essere finito fra otto anni” (84); di Rocca di Neto (1539): “per compirsi il
modello del convento vi bisognano da 1000 ducati in circa” (85). Il
convento di Gioia (1561), “a causa che detto convento fu sacchegiato e
abbruggiato dalle galere di Biserta nell’anno 1625”, presentava venticinque
anni dopo le “mure disfatte” (86). Tuttavia l’attenzione dei frati si rivolgeva
innanzitutto alle chiese, spesso completate prima degli altri locali
conventuali e abbellite con statue, quadri ed altre opere d’arte. In
particolare nel convento di Francavilla Angitola era la statua marmorea di S.
Maria della Croce, commissionata dal priore p. Giovan Matteo Mileto allo
scultore Giovan Battista Mazzolo, attivo in Messina negli anni 1515-1550. Il
contratto (87),
stipulato dal notaio Francesco Calvo il 29 giugno 1542, indica i modelli cui
l’artista doveva ispirarsi, le proporzioni, le decorazioni del basamento. La
statua della Vergine doveva essere della stessa altezza (m. 1,58) di quella
esistente nel convento di S. Maria del Gesù in Messina, rappresentata con il
bimbo in braccio, nella stessa posizione in cui era la statua della Madonna
conservata nella chiesa di S. Agostino di quella città, eccettuato “chi lu pedi seu
gamba dexstera sia dritta et la mano voltata cum uno mundo in mano”.
Lo scannello doveva essere istoriato con un bassorilievo della Pietà al centro,
di S. Giovanni Battista a destra, di S. Agostino a sinistra. La consegna doveva
essere effettuata al p. Matteo Mileto nella prima settimana della quaresima del
1543. Attualmente la statua si conserva nella chiesa del Carmine in Filadelfia.
Altre opere segnalate nel complesso conventuale di Francavilla sono le statue
lignee di S. Nicola da Tolentino e del Crocifisso; le tele raffiguranti il
beato Francesco da Zumpano, la Natività, la Fuga in Egitto, S. Nicola da
Tolentino, la SS.ma Trinità, la Vergine Addolorata, S. Tommaso di Villanova, la
Madonna degli Afflitti, S. Agostino, la Madonna del Buon Consiglio. La
relazione del 1650 del convento di Bombile informa che nell’altare maggiore
della chiesa era “una bellissima imagine della B.V. scolpita di marmo bianco
di grandissima devotione e veneratione fatta l’anno 1509” (88);
mentre in quella del convento di Acquaro si legge che l’altare maggiore era
decorato con “bellissimi
quadri dorati con bellissime custodie tutte poste dentro la lamia” (89).
Infine, nella chiesa di S. Maria di Colloreto a Morano erano tre opere marmoree
di Pietro Bernini, padre di Lorenzo, cioè il tabernacolo, le statue di S.
Caterina e di S. Lucia (90). Curata in ogni minimo particolare, la chiesa
veniva a costituire la prima fonte di sostentamento della comunità religiosa,
attraverso le cosiddette “rendite spirituali”, ovvero i proventi ricavati
dalle messe, elemosine ecc., oltre a permettere lo svolgimento dell’opera di
apostolato e l’attivazione dei culti legati all’Ordine. Per quanto riguarda le
biblioteche esistenti nelle sedi conventuali, le notizie sono molto scarse. In
genere gli inventari danno spazio a tutto ciò che permetteva ai religiosi un
tenore di vita accettabile, e il patrimonio librario ove si fa accenno viene
liquidato con la generica formula di “libri”. Così ad esempio in un inventario
relativo al convento di Cosenza del 1668 è registrata la presenza di “40 pezzi
di libri” (91).
Le uniche notizie finora emerse riguardano la biblioteca di S. Maria della
Croce di Francavilla Angitola. Nel 1728 il p. Fulgenzio Marinari “ritrovandosi in
uso tanti libri per il valore di 270 ducati, e meditando con il principio di
questi ordinare una libreria per maggior decoro del monastero a cui è aggregato”
chiese e ottenne dal priore generale Fulgenzio Bellelli l’autorizzazione ad
utilizzare “una
stanza contigua a quelle che era da lui si abitato per ridurla in forma di
libreria”. La biblioteca, “mediocre libreria universale, non di quantità, ma di
qualità. Piena di libri di ogni specie, di scienza così di Sacra Scrittura,
Theologia Speculativa, Morale, di Prediche, Filosofia, Astrologia, Geografia, come
anche di Legge Civile e Canonica, Medicina, Poesia, Rettorica, Istoria, Belle
Lettere”, si disperse a seguito del terremoto del 1783 con
l’istituzione della Cassa Sacra, istituto delegato a censire e alienare i beni
della manomorta ecclesiastica, per provvedere poi alla ricostruzione dei centri
sinistrati (92).
Le biblioteche erano incrementate non solo con acquisti periodici, ma anche
facendo confluire nel loro corpus i volumi appartenenti ai religiosi
defunti. È probabile quindi che nella biblioteca di Cosenza fossero conservati
i libri rinvenuti il 29 ottobre 1610 nella cella del p. Claudio da Cortona. Si
tratta di testi di autori gesuiti (Francesco Toledo, Maldonado), e domenicani
(Domenico Soto, Girolamo Osorio) ispirati alla teologia della controriforma,
alla riflessione sul peccato, alla predicazione (93).
_______________________________________
(81) AGA, Ii. vol. VI, f. 217.
(82) Ivi, f.
243.
(83) Ivi, f.
263.
(84) Ivi, f.
250.
(85) Ivi, f.
106.
(86) Ivi, f.
267.
(87) F. ACCETTA, Il convento di S.
Maria della Croce in Francavilla Angitola, in “Analecta Augustiniana”, LVII (1994), pp. 143-160;
il contratto è alle pp. 159-160; A. TRIPODI, Notizie e documenti sul
convento agostiniano di S. Maria della Croce di Francavilla Angitola, “Analecta Augustiniana”, LIX
(1996), pp. 367-398.
(88) F. ACCETTA, I conventi agostiniani della
congregazione degli zumpani in Calabria, in “Analecta Augustiniana”, LXI (1998), p. 22.
(89) Ivi, p.
21. Sulla storia del convento cfr. A. TRIPODI, Il convento di S. Maria del
Soccorso di Acquaro, in
“Brutium”, LXX, ottobre-dicembre 1991, pp. 6-8.
(90) F. Russo, Il beato, cit., p. 53.
(91) AGA, Aa XI, f. 32v.
(92)
F. ACCETTA, Francavilla Angitola.
Ricerche e documenti, cit.
(93) AGA, Aa XI, ff. 27-29.
10. LA SOPPRESSIONE INNOCENZIANA
La bolla Instaurandae regularis disciplinae emanata da Innocenzo
X nel 1652 per abolire i parva conventus esistenti in Italia, interessò
il 60,2% dei conventi agostiniani calabresi, in particolare 19 conventi su 30
della Provincia di Calabria, 15 conventi su 20 della congregazione degli
zumpani di Calabria Citra, 14 su 22 della congregazione degli zumpani di
Calabria Ultra, mentre la congregazione di S. Maria di Colloreto, coinvolta
solo nelle sedi poste fuori dei confini regionali, e gli scalzi mantennero i
loro conventi (tab. 5).
________________________________________________________________________________________________
TAB.
5 - CONVENTI SOPPRESSI DALLA RIFORMA INNOCENZIANA NEL 1650
Provincia di Calabria Zumpani di Calabria Ultra
Zumpani di Calabria Citra
Acri
Agrusto Albi
Amantea
Bombile Aprigliano
Belforte Borgia Belvedere
Benvicino
Bovalino Casole
Colavati
Brancaleone
Cotronei
Curinga
Castelvetere Crucoli
Grisolia
Cortale Macchia
Mesiano Dasà Magli
Mormanno Davoli
Nicastro
Pannaconi Gioia
Paterno
Polistena
Gioiosa Rovito
Rocca di
Neto
Montepaone S. Stefano
Rose
Stalittì Scigliano
S.
Floro
Stilo Sellia
S.
Mauro
Zumpano
Serrastretta
Strongoli
Tropea
Vazzano
_____________________________________________________________
Il motivo della soppressione, come ha chiaramente dimostrato il Boaga,
non è stato il rilassamento morale, ma l’esiguo numero di religiosi dimoranti
nei conventi che non permetteva l’osservanza religiosa (94). I dati ricavati dalle
relazioni del 1650 (95) confermano che dei 78 Conventi agostiniani in
Calabria solo il 7,6%, prevalentemente le sedi di Studio e Noviziato, vantava
un numero di religiosi compreso tra 14-25 membri (96); il 23%, annoverava un organico
variabile tra 7-12 religiosi (97); il 10,2% rientrava nel limite fissato dalla
bolla innocenziana delle 6 unità (98); e infine il 57,6%, aveva una dimensione
demografica con un margine di oscillazione compreso tra 1-5 unità. Tra i
religiosi significativa è la presenza dei sacerdoti pari al 51,6% dell’intera
popolazione agostiniana calabrese (tab 6). Sorprendono invece l’esigua presenza
di chierici e professi che rappresentano il 9,3%, e lo scarso numero di novizi,
pari soltanto al 2,3%. Quest’ultimo dato, al di là delle giustificazioni
inserite in alcune relazioni (99), colpisce perché solo in parte l’esiguo
numero di coloro che erano avviati al sacerdozio è riconducibile al divieto
innocenziano di ammettere nuovi giovani alla professione, dal momento che il
lasso di tempo intercorso fra la bolla e la stesura delle relazioni è molto
breve. Del resto già 10 anni prima Thoma De Herrera nel suo Alphabetum
Augustinianum (Madrid, 1644), riferendo della congregazione degli zumpani,
denunciava: “Sunt
omnia huius Congregationis Monasteria triginta Fratres vero centum nonaginta
quatuor. Dolendum sane, praecipue in Congregatione, quae observantiae titulo
gloriatur, in tanta Fratrum penuria tantam Coenobiorum multitudinem reperiri.
Vix enim sunt quatuor, aut quinque, quae sufficientem numerum alant ad vitae
regularis reformationem observandam. Quae enim vitae austeritas, quae regulae,
et costitutionum observantia poterit aut introduci, aut permanere ubi tantum
quatuor, aut sex Fratres in terris et casalibus vitam agunt? Satius sane esset
in minori domorum numero plura esse Monasteria” (100). Consistente è infine la
presenza “laica”, incidendo sulla popolazione agostiniana per circa il 37% (il
23,1% costituito da laici professi e conversi e il 13,7% da servitori).
__________________________________________________________________________________________________________________________
TAB.
6 - FRATI AGOSTINIANI IN CALABRIA NEL 1650
Sacerdoti Chierici Novizi Laici professi Servitori Totale
Professi
Conversi
Provincia 112
25 5 44 23
209
Zumpani di
Calabria Ultra 76 8 5 42 19
150
Zumpani di
Calabria Citra 56 11 - 11 12
90
Colloretani 7
4 2 6 11 30
Scalzi 16 -
- 17 6 39
Totale 267 48
12 120 71 518
%
51,6 9,3 2,3 23,1 13,7
__________________________________________________________________________________________________________________________
Il provvedimento innocenziano, giudicato
eccessivamente severo, provocò la protesta delle autorità locali e
l’opposizione dei frati, sanzionata dalle autorità pontificie con provvedimenti
coercitivi nei confronti dei religiosi ribelli. Nella provincia di Calabria i
disordini furono provocati da uno dei definitori, p. Alessandro Mannarino, che,
nonostante il parere contrario del provinciale, fece eleggere i priori dei
conventi soppressi. In una lettera del 5 maggio 1653, inviata a Prospero
Fagnani, segretario della congregazione sullo stato dei regolari, il priore
generale degli agostiniani Filippo Visconti descrive l’accaduto nei termini: “Nella provincia
di Calabria essendovi assegnati tutti li conventi soppressi, il p. Alessandro
Mannarino da Catanzaro, uno dei Definitori, essendosi fatta la congregatione
per l’elezione dei priori rimasti, fece istanza con alcuni altri [bacc. Antonio
da Belforte, p. Tommaso da Belvedere, p. Francesco da Paola, p. Fabio da
Melissa, p. Nicola da Fuscaldo] al Padre Provinciale, che si eleggessero li
priori anco de’ conventi soppressi sub conditione, che Sua Santità li
confermasse, e non volendo il Padre Provinciale con altri membri acconsentire a
questa elettione come repugnante agli ordini di Sua Santità, non di meno detto
p. Alessandro Mannarino chiamando altri tre frati per compiere il numero
prescritto del Definitorio, in luogo del p. Provinciale e due altri frati, che
non vollero acconsentirvi, venne, senza l’intervento del p. Provinciale e
l’altri due vocali legittimi, a eleggere li Priori de’ conventi soppressi sub
conditione, et perché questo fatto ha partorito molto disturbo in quella
Provincia, il medesimo Generale supplica dichiarare se, oltre la nullità
dell’elettione, debba procedere ad altre pene” (101). Il Fagnani rispose di
dichiarare nulla l’elezione e di privare i responsabili della voce attiva e
passiva. In calce alla citata lettera si legge che il religioso che portava
l’ordine del priore generale, giunto in Calabria, venne brutalmente percorso.
Tuttavia, se inquadrata all’interno delle attività religiose e devozionali che
gli agostiniani svolgevano nelle aree rurali, anche attraverso i piccoli
insediamenti, ricoprendo gli spazi lasciati scoperti dalle istituzioni
diocesane e parrocchiali, l’iniziativa di p. Mannarino perde la connotazione di
ribellione e si configura come preoccupazione di abbandonare le istanze
spirituali e assistenziali delle popolazioni locali nelle mani di un clero
secolare incapace di soddisfarle, poiché privo di un elementare indottrinamento
e di dedizione alla cura delle anime. D’altro canto anche i procuratori
generali degli Ordini mendicanti nel confronto con la congregazione dei
regolari insistevano su questo aspetto fondamentale del rapporto
popolazione/clero regolare. Il timore era di non poter fornire alle comunità
quell’assistenza fino allora assicurata dai conventini. Le autorità pontificie
e la congregazione dei regolari non rimasero insensibili a queste esigenze e
alle istanze delle comunità nel cui territorio sorgevano i piccoli conventi
oggetto del provvedimento di soppressione. Nel 1654, dopo due anni dalla
promulgazione della bolla di soppressione, si ottenne la riapertura dei
conventi di Belforte, Belvedere, Castelvetere, Melissa, Strongoli, Vazzano e
Zumpano.
___________________________
(94) E. BOAGA, La soppressione innocenziana dei piccoli
conventi in Italia, Roma
1971, p. 44.
(95) Per una analisi dei dati relativi alla popolazione agostiniana
nel Mezzogiorno Cfr. M. CAMPANELLI, La popolazione ecclesiastica nel
Mezzogiorno d’Italia alla metà del XVII secolo. Gli eremitani di Sant’Agostino
e le congregazioni agostiniane osservanti, in “Bollettino di Demografia Storica”, n. 22, 1995, pp.
43-68.
(96)
Morano 25, Monteleone 24, Francavilla
22, Paola 21, Cosenza 16, Castelvetere 14.
(97) Castelvetere, Terranova, Spadola, Soverato, Acquaro,
Reggio, Varapodio, Bombile, Tarsia, Catanzaro, Belvedere, Belforte, Strongoli,
Melissa, Terranova, Feroleto, Pizzo, Monteleone e Tropea.
(98) Papanice, Nocera, Bruzzano, Bucchigliero, Fuscaldo,
Rocca di Neto, Mesiano e Mormanno.
(99) Ad esempio in quella di Cosenza si legge: “s’è levato il
novitiato, che in nessun altra comunità n’habbiamo in questa congregatione, per
il che sono mancati sacerdoti e chierici e si patisce per l’insoddisfazione
delle chiese e dei suffragi”.
(100) T. DE HERRERA, Alphabetum Augustinianum, vol. II, Madrid 1644, p.
427.
(101) AGA, Cc 25.
11. LA RIORGANIZZAZIONE
DELL’ORDINE E LA FINE DELLE CONGREGAZIONI D’OSSERVANZA
Un altro problema che i superiori dell’Ordine dovettero affrontare
subito dopo l’attuazione della bolla del 1652 fu quello di definire il tipo di organizzazione
nel quale inquadrare i conventi superstiti, perché non era possibile mantenere
la preesistente struttura con un ridotto numero di conventi. A tal fine nel
1662 il priore generale ordinò la convocazione di “Un capitolo privato da
chiamarsi in Catanzaro coll’intervento del provinciale e de’ due vicari
generali, insieme con altri padri di più maturo giudizio, sotto la direzione
del p. maestro Antonio Visconti [...] col consiglio di fra Filippo Visconti,
altre volte generale dell’Ordine ed allora vescovo di Catanzaro” (102).
Le decisioni adottate dal capitolo, e cioè l’abolizione della congregazione
degli zumpani e la creazione di due province con il nome di Provincia di
Calabria Citra e di Calabria Ultra, furono approvate da Alessandro VII con il
breve Militantis ecclesiae del 30 settembre 1662 (103). Le due province erano formate
complessivamente da 29 conventi; in particolare 16 costituivano la Provincia di
Calabria Ultra e 13 la provincia di Calabria Citra (tab. 7).
__________________________________________________________________________________________________________________________
TAB.
7 - CONVENTI AGOSTINIANI IN CALABRIA NEL 1662
Provincia
di Provincia di
Calabria
Ultra Calabria Citra
Acquaro Belvedere
Belforte Bucchigliero
Bruzzano Castiglione
Castelvetere Cosenza
Catanzaro Fuscaldo
Feroleto Martirano
Francavilla Melissa
Monteleone Nocera
Papanice
Paola
Pizzo Strongoli
Reggio Tarsia
Soverato Terranova
Spatola Zumpano
Terranova Varapodio
Vazzano Varapodio
__________________________________________________________________________________________________________________________
Nuovi sintomi di rilassamento, antichi abusi, lotte e intrighi per
ottenere incarichi di primo piano riemersero nella seconda metà del secolo XVII
nelle due province. Il priore Fulgenzio Travillone, per contenere il
decadimento morale della provincia di Calabria Citra, il 15 ottobre 1687 emise
un decreto che, oltre a determinare le tasse e le collette a carico dei
Conventi, ordinava “inviolabili observantia Decretum Capituli generalis anni
1685 tum quo ad ea quae Divum cultum, Religionis Observantias, tum quae
gubernationem spectaverint, sub poenis quae iisdem ipsis decretis
praescribuntur” (104). Nella provincia di Calabria Ultra la
situazione era molto più complessa; al suo interno erano divisioni e rivalità
che nel corso dei capitoli provinciali tenuti tra il 1690 e il 1697 si
concretizzarono in scontri tra opposte fazioni, pressioni di signori laici,
intervento di armati (105). Il priore generale con il breve Ex
commissae nobis del 17 aprile 1703 ottenne l’autorizzazione a nominare il
provinciale e il definitorio (106). Tuttavia la nomina del napoletano p.
Guglielmo Aniello a provinciale di Calabria Ultra venne contrastata dal p.
Tommaso Carnevale che, autoproclamatosi “Procuratore dei Padri Zelanti della Provincia di Calabria
Ultra”, produsse ricorso presso la Congregazione sullo Stato dei
Regolari (107).
Circa la situazione in Calabria Ultra dopo l’elezione del p. Aniello il
procuratore generale dell’Ordine, a cui la congregazione pontificia aveva
chiesto chiarimenti, in una lettera del 2 ottobre 1703, scrive: “per ubbidire ai
benegnissimi comandi dell’EE. VV. […] devo riverentemente rappresentarle
che il qualificarsi che fa l’orante [il p. Carnevale] d’essere Procuratore de’
Padri Zelanti della Provincia di Calabria Ultra è una sua vanità senza
fondamento [...]; nella detta Provincia non vi sono religiosi non Zelanti e
Zelanti, ma tutti sono vissuti da alcuni anni in qua in santa pace et unione in
cui si viverebbe ancora se non fussero stati turbati dall’orante insieme con
due o tre huomini inquieti sollevati da lui per suoi fini particolari et in
questi consiste tutta la massa de’ Padri Zelanti, essendosi ricevute lettere
dai religiosi più qualificati della Provincia, et anche universalmente dagli
altri, che detestano la mossa et operationi dell’orante e si dolgono acremente
d’essere da lui maltrattati con li sopranomi di scandalosi e processati”
(108).
Negli stessi anni in cui si verificavano questi scontri poco edificanti si
registrano anche iniziative tendenti ad aumentare il numero delle sedi di
noviziato e a provvedere più efficacemente alla formazione di nuovi sacerdoti.
Nelle lettere inviate al priore generale, i priori di Calabria Ultra
sottolineavano la necessità di avere “un altro luogo di Noviziato, mentre per la lontananza del
convento di Catanzaro destinato all’educazione de’ novitii, [la provincia]
viene a restar priva di molti buoni soggetti che desiderebbero essere ammessi
all’abito della religione” e indicavano quale sede dell’istituendo
noviziato i conventi di Francavilla, Soverato e Terranova, poiché “più commodi e
più conformi alli decreti e costitutioni apostoliche” (109).
Per quanto riguarda l’osservanza religiosa all’interno dei conventi un certo
interesse suscitano la visita compiuta nel gennaio 1700 e le richieste
d’informazione avanzate dalla Congregazione sullo Stato dei Regolari ai priori
di Feroleto e di Morano. Dall’esame degli atti della visita, eseguita da p.
Giovan Battista di Melfi provinciale di Puglia e da p. Raffaele Agostino Loyola
da Altamura, si nota che essa si svolse seguendo le modalità precedentemente
illustrate e con il medesimo questionario sottoscritto dai religiosi, mentre
più articolata appare l’indagine informativa della congregazione pontificia (110).
Nel complesso lo stato e il tono della vita religiosa sembrano più elevati
rispetto a quanto riscontrato nelle altre visite, anche se non mancano frati
accusati di concubinato o di eresia (111). Al contrario la congregazione di S. Maria
di Colloreto versava in “un cronico rilassamento”, per l’intromissione
dei baroni locali che imponevano superiori di loro gradimento. Nel 1675 il
papa, con il breve Cum sicut pro parte, autorizzava il priore generale Nicola Oliva a nominare
direttamente il vicario e il definitorio, perché il capitolo non si poteva
celebrare “libere
et rite propter baronorum et aliarum personarum protectionem” (112).
Il provvedimento non assicurò un miglioramento dell’osservanza all’interno
della congregazione colloretana, anzi la situazione diventava sempre più
difficile per l’indisciplina, i soprusi e la mancanza di un minimo impegno
religioso. In un memoriale, presentato il 7 gennaio 1697 da p. Tommaso da
Saracena al visitatore p. Vincenzo Mormile, si legge: “in nessun nostro convento si dice di
continuo il Divino Officio [...]; li padri e frati non si confessano come
comandano le nostre Costitutioni; non si osserva nessuna carità circa la cura degli
infermi e poi alcuni religiosi vi à tutto quello è di necessario et alcuni per
non morire da disperati si ni sono annati nelle loro case [...]; nessuno
osserva il digiuno come comandano le nostre costitutioni il mercodì, il venerdì
e il sabato; [...] vi è ignoranza crassa atteso li superiori non hanno vigilato
sopra li studenti, nemmeno ci hanno ammessi quelli abili; hanno occupato in
luogo di studente [quelli] che non hanno studiato e nemmeno hanno li principi,
oggi intendono la teologia; li studenti che vi sono non intendono il latino;
[...] il loro studio non è stato altro che fare l’amure a si puntani; [...] li
priori si fanno per aver il voto in Capitolo mentre nelli loro Priorati non ci
vanno, oppure li fanno priore per dominare chi si fa [...]. Nella congregazione
non vi è altro che fumo, ignoranzia, superbia, maldicenze, abonda di vitij e li
nostri padri e frati non attendono ad altro che a dare male esempio atteso
[che] pochi religiosi sono che non hanno avuto e tengono il morbo gallico; vi sono
religiosi che tengono figli [...]. In nessun modo si fa conto delli bolli e
decreti pontifici con trasgredirle tutti senza fare conto delli scomuniche.
[...] La nostra congregazione poi è ridotta fabola e ludibrio de’ secolari per
la mala vita de’ religiosi e scandali sortiti alla giornata di ogni genere e
siamo mostrati a dito in tutte le parti e precise dove sono nostri conventi”
(113).
Per non interrompere definitivamente ogni rapporto con l’Ordine agostiniano -
nel 1727 il priore generale aveva ventilato la possibilità di abolire la
congregazione - venne presentato un piano di riforma, in occasione del capitolo
intermedio celebrato il 18 aprile 1728 nel convento di S. Agostino di Benevento
(114).
Nel documento, elaborato dal delegato apostolico mons. Giovanni di Nicastro
vescovo di Claudiopoli, si sottolinea la necessità di applicare la normativa
post-tridentina sulla formazione dei novizi e di non ammettere al noviziato “se
non chi esaminato diligentemente almeno nella grammatica e nell’artemetrica sia
stimato idoneo per apprendere poscia le altre scienze nella Congregazione
Coloritana” (115).
Per superare le difficoltà pratiche, connesse al problema della preparazione e
formazione dei novizi, quale la “scarsezza di Lettori”, si prospetta la
possibilità di domandare al priore generale di “concedere ad tempus due idonei lettori, uno
di teologia e l’altro di filosofia” (116). Inoltre, si fa obbligo al
vicario generale di garantire e di provvedere che vi sia “in ogni convento, ed in ispecie ne’ conventi
destinati allo studio, un religioso perito nel canto gregoriano, il quale possa
ben insegnarlo ai giovani” (117). Il completamento degli studi è considerato
condizione indispensabile al fine di ricoprire in futuro incarichi di governo “anche di
semplice priore”. In tal modo si cerca di porre un freno alle
ingerenze dei signori laici che facevano eleggere personaggi culturalmente
impreparati e di dubbia reputazione. Per quanto riguarda l’indisciplina e gli
abusi, si chiede una maggiore sorveglianza da parte dei priori e del vicario
generale e una pronta ubbidienza dei singoli frati “virtutis amore e non già formidine poenae”.
Tuttavia, questi provvedimenti non migliorarono la vita conventuale e
l’osservanza religiosa all’interno della congregazione di S. Maria di
Colloreto. Il priore generale Agostino Gioia non trovò altro rimedio che
chiedere l’immediata soppressione, decretata da Benedetto XIV con il breve Assidua
pastoralis officii del 6 ottobre 1751 (118). A seguito della soppressione gli elementi
migliori passarono alla provincia di Calabria e alla congregazione Napoletana (119).
_______________________
(102) G. FIORE, Calabria
illustrata, Napoli
1743, vol. II, p. 385. Sulla figura di Filippo Visconti già priore generale
degli agostiniani e vescovo di Catanzaro (1657-1664) Cfr. F. ACCETTA, Le
“confessioni” e “confusioni” di un agostiniano milanese presule in Calabria. La
corrispondenza di Filippo Visconti vescovo di Catanzaro (1657-1664), in “Analecta Augustiniana”,
LXII (1999), pp. 5-124.
(103) F. RUSSO, Regesto, cit., vol. VIII, 1984, n.
39670.
(104) AGA, Aa XI,
f. 98.
(105) Per le controversie insorte nei capitoli provinciali
del 1690, del 1692 e del 1697 cfr. AGA, Aa XI, ff. 634-635, 647-650, 673-83;
Archivio di Stato di Vibovalentia, notaio Francesco Valente, atto del 26 aprile
1692.
(106) B. VAN LUIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma
monastica, in
“Augustiniana”, XXII (1972), p. 298.
(107) AGA, Aa XI, f. 592.
(108) Ivi, f.
594.
(109) Ivi, f.
628.
(110) La visita del 1700 e il questionario della Congregazione
dei Regolari, inviato nel 1701 ai priori dei conventi di Feroleto e di Morano,
si trovano in AGA, Aa XI, ff. 532-569; Aa VII, ff. 50-60.
(111) AGA, Aa XI, ff. 535, 547.
(112) F. RUSSO, Il beato, cit., p. 58.
(113) AGA, Aa VII, ff.156-157r.
(114) Appendice 5.
(115) Ivi, art. II e VII.
(116) Ivi,
art. IV.
(117)
Ivi,
art. IX.
(118) Sulla vicenda della soppressione Cfr. F. RUSSO, Il
beato, cit., pp.
58-62.
(119) B. VAN LIIJK, L’Ordine agostiniano e la riforma
monastica, in
“Augustiniana”, XXII (1972), pp. 285-286.
12. IL TERREMOTO DEL 1783
All’indomani del terremoto del 1783, la distruzione materiale dei
centri abitati, gli sconvolgimenti del territorio, le condizioni psicologiche e
materiali delle popolazioni calabre furono per il governo borbonico l’occasione
per assumere provvedimenti radicali e per alcuni versi innovativi, in linea con
la politica anticlericale, avviata ormai da qualche decennio, e le idee
illuministe portate avanti dagli intellettuali napoletani (120). Tra le disposizioni invocate
e adottate, infatti, fu la decisione di abolire le case religiose, d’incamerare
le rendite per “convertirle
in sollievo di tanti miserabili venuti allo stato dell’ultima desolazione”,
e di sospendere la riedificazione “de’ ricchi e superbi conventi, ed altre pie fondazioni,
che i terremoti han rovinato”. La descrizione delle strutture
conventuali, inserita nei volumi delle Liste di Carico, conservati nell’archivio di
Stato di Catanzaro, evidenzia come ai danni provocati dal sisma si aggiunsero
quelli scaturiti per l’incuria e la sistematica spoliazione. Il convento e la
chiesa di S. Maria del Soccorso d’Acquaro (121) “restarono l’uno e
l’altra intieramente diroccati, cosicché oggi non si osservano che mucchi di
pietre”. Mentre il convento di Catanzaro (122) “è quasi intieramente diruto; per la parte
superiore vi esiste però un braccio, [...] ma per rendersi abitabile ha bisogno
di molto riattamento; sotto di esso vi sono poche camere, che sarebbero
abitabili, ma si come il convento è fuori l’abitato, così non è agevole che
fossero abitati. La chiesa è destinata per parrocchia”. Meno gravi,
nonostante i segni dell’abbandono, sembrano le condizioni statico-funzionali
dei due insediamenti di Monteleone (123): S. Agostino (1423) e S. Maria della Pietà
degli agostiniani scalzi (1614). “La chiesa è tutta in buon essere a riserba di una lesione
che si trova verso il portico, e specialmente sotto l’antico campanile, quale
avendo patito molto per li tremuoti, per conseguenza l’angolo della chiesa che
stà attaccato al medesimo patì pure. La stessa è officiata dal priore Tripodi,
prima agostiniano ed ora sacerdote secolare. Contiene sette altari, uno
maggiore e l’altri minori. Gli stessi sono arcati di pilastri, e colonne di
stucco, e quadri in mezzo. Sopra la porta esiste il coro de’ monaci colla
parata di legname in buon essere. Evvi il pulpito fatto parimenti di legname.
L’intempiata della stessa chiesa, come pure quella dei presbiterio e delle
cappelle, sono in buon essere. Il convento però patì molto per causa de’
tremuoti. Lo stesso è stato assegnato per Casa di Corte, e ultimamente si fece
perizia per i risacrimenti che vi bisognano. La sagristia è sana, e contiene un
solo armadio da un lato colle sue credenze per uso de’ sagri arredi. [...]. La
chiesa ed il convento dei pp. agostiniani scalzi restarono molto lesionati per
causa de’ tremuoti, ma essendosi poi tolta la copertura dell’una e dell’altro,
le mura maggiormente vennero a patire coll’introduzione delle acque piovane,
onde al presente si veggono ruinose. Sopra la chiesa solamente esisteno poche
tegole, e quantunque vi è altresì poco legname lo stesso è tutto infracidito”
____________________________
(120) A. PLACANICA, L’Iliade funesta. Storia del
terremoto calabro messinese del
1783, Roma
1982; IDEM, Il filosofo e la catastrofe, Torino 1985; I. PRINCIPE, Città nuove in Calabria
nel tardo settecento, Chiaravalle
Centrale 1976.
(121) ASCZ, Liste di Carico, vol. VII, f. 164.
(122) Ibidem, vol. IX, f. 779.
(123) Ibidem, vol. XXIII, f. 420.
13. LA SOPPRESSIONE
MURATTIANA
Quando il 7 agosto 1809 Gioacchino Murat emanò il decreto di
soppressione di tutti gli Ordini religiosi esistenti nel regno di Napoli, gli
agostiniani contavano in Calabria 18 conventi, nove per ogni provincia (124)
(tab. 8).
__________________________________________________________________________________________________________________________
TAB. 8 - CONVENTI AGOSTINIANI NEL 1809
Provincia
di
Provincia di
Calabria
Ultra Padri Laici Calabria
Citra Padri Laici
Catanzaro 3
2 Belvedere 2 1
Francavilla 4
5 Bucchigliero 2 3
Feroleto 1
- Cosenza 6 1
Monteleone 3
3 Martirano 2 -
Soverato 4
5 Melissa 2 -
Spatola 4 1
Morano 2 -
Terranova 3
- Nocera 4 1
Varapodio 2
- Paola 9
5
Vazzano 1
- Terranova 3 -
TOTALE 25
16 32 11
__________________________________________________________________________________________________________________________
Dopo la firma del concordato del 1818 tra la S. Sede e il regno di
Napoli furono riaperti i conventi di S. Maria del Soccorso di Terranova
(provincia di Calabria Citra) e di S. Maria della Croce di Francavilla Angitola
(provincia di Calabria Ultra) (124).
Il convento di Terranova venne ripristinato il 4 dicembre 1819 con una rendita
di ducati 1906 e grana 58. Il 18 maggio 1820 i frati si trasferirono nell’ex
convento dei paolotti perché l’antica sede era inagibile. Il decreto di
riattivazione del convento di S. Maria della Croce di Francavilla fu firmato
l’11 gennaio 1820 con una rendita di ducati 1221 e grana 21. Poiché l’antico
convento era in condizioni statico-funzionali molto precarie l’Alta Commissione
per il concordato autorizzò, nel 1821, il trasferimento dei religiosi in
Monteleone. I due conventi furono aboliti dopo il 1860. Si chiudeva così un
capitolo della storia religiosa calabrese.
________________________________
(124) C. TESTA, Ricerche sulla soppressione dell’Ordine
agostiniano nel Regno di Napoli durante l’occupazione napoleonica, in “Analecta Augustiniana”,
XXXIX (1976), pp. 207-252.
(125) IDEM, Ricerche sulla restaurazione dell’Ordine
agostiniano nel regno di Napoli 1816-1838, I parte, in “Analecta Augustiniana”, XLII
(1979), pp. 217-281; II parte, in
“Analecta Augustiniana” XLIII (1980), pp. 253-302. Il 16 agosto 1835 la
ripristinata congregazione di S. Giovanni a Carbonara ottenne l’autorizzazione
regia ad aprire un convento a Sinopoli (prov. di Reggio Calabria), abolito nel
1860.
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- 1 -
ORDINATIONI
EI CONSTITUTIONI FATTE PER ME FRATE AGOSTINO DELLA ROCCELLA NEL PRESENTE ANNO
DEL NOSTRO VICARIATO 1569
1. Ordiniamo e comandiamo sotto pena di essere
trasgressori delli comandamenti del Sommo Pontefice e della scomunica
promulgata da Sua Santità che ogni priore habbi da comprare un Breviario nuovo
per monasterio, et Cosenza dui, per l’uno caso l’altro per l’altro, infra
termine di un mese altrimenti si procederà [...] secondo il iuditio, et de che
lo comprenderà.
2. Ordiniamo et comandiamo da parte del P. R.mo che nessuno
frate di qualsivoglia sorte tenga denari, bestiami, tanto de mobili come de
stabili o che habbia dato ad alcuno con polize, o con guadagno. Dopo lette le
presenti fra lo spazio d’un mese habbiano da acogliere li detti denari et
ponerli in deposito con suo proprio nome, et non potendo racogliere li detti
denari, habbiano da racogliere le polize, scritture, altramente superandosi
questo quelli saranno confiscati et attribuiti per quello monasterio et esso
sarà tenuto proprietario; si sarà priore sarà privo de voce attiva et passiva
per tre anni e punito da proprietario.
3. Ordiniamo et comandiamo che nessuno frate habbi da
dare scorrette per la Congregatione né priore nè sudditi senza urgente
necesità, ne fare liste, quadrigli, et simonie per le quali possino conturbare
la Congregatione et sapendosi essendo priore sia casso d’ufficio e suddito
punito et privato de voce per uno capitolo generale.
4. Ordiniamo ancora che nessuno habbi da dire male ne
accusare, ne esaminare l’uno contro l’altro, ne renovi cose passate conformi
alle constitutioni fatte dal R.do p. maestro Spirito nel capitolo nostro de
Campo d’Arato passate per Sua P[aternità] R.ma quale constitutioni, dal priore
vogliamo che si osservino per conservatione et onore comune di questa
Congregatione.
5. Ordiniamo ancora che tutti li priori habbino da
essere caritativji con gli hospiti. Li padri della Congregatione tanto con
persone religiosi et estranei et di qualsivoglia sorte tanto priore, come
suddito, tanto piccolo come grande.
6. Ordiniamo a tutti li priori che faccino imparare li
diaconj, subdiaconj et novitij et che loro siano obedienti alli loro priori et
sacerdoti.
7. Ordiniamo che nessuno priore habbi da recevere alcuno
frate estraneo senza licenza in scriptis, ne habbi da vestire frati d’altra
Religione, ne di qualsivoglia grado et conditione.
8. Ordiniamo che nessuno priore pona mano alle intrate
del monasterio ma che lo procuratore sia diligente all’intrate et non essendo
vadano per mano del sacristano, ma il priore habbi occhio sopra tutte le cose
et che li fruiscano ben governati del vitto et governo loro.
9. Ordiniamo a tutti li priori che habbino da dare o
fare spendere per li sacerdoti, calzette, pianelli et habbito di valuta di
quattro ducati [...] et questo per essere penuria de panni che sono tanto cari.
Et li Jaconi secondo sarà meritevole sarà nell’arbitrio delli priori, senza che
nessuno sia aggravato, quale aggravio lo intenderemo noi alla visita che
faremo.
10. Ordiniamo che nessuno frate vada fuora del distretto del
monasterio senza licentia del suo priore, et quando accascherà andare vada con
il compagno divotamente come conviene a Religiosi, et che nessuno porti armi
proibiti, ma che l’armi de’ frati siano breviarij, missali, et officioli et
altri libri spirituali non proibiti.
11. Ordiniamo che s’habbi cura alli infermi de medici et
medicinj et d’ogni loro bisogno conforme alle nostre Constitutionj.
12. Ordiniamo che nessuno frate lassi mangiare seculari
in tavola de frati, ne garzoni, ne altra famiglia di casa ecetto si fosse
alcuna persona d’autorità et il priore facendo il contrario in questo starà in
terra la sesta feria per due hebdemoda con solita disciplina.
Fr.e AUGUSTINO DE ROCCELLA Vicarius indignus
da AGA, Ii, vol. XI, ff. nn.
- 2 -
DISPOSIZIONI
DI FRA DONATO DA BENEVENTO PER LA CONGREGAZIONE ZUMPANA
(16
AGOSTO 1569)
Fr. Donatus Beneventanus Ordinis Sancti Augustini Vicarius Generalis
totius Calabriae Indignus.
Per non mancare in nulla all’ufficio che per gratia di superiori ci è
stato concesso, havendo noi per quel poco di tempo che siamo stati con esso noi
veduto e toccato con le mani molti disordini in questa vostra Congregatione ci
ha parso farv’intendere in molte cose qual sia la nostra volontà sopra la
vostra riforma, e tutto a honor di Dio et splendor di nostra Religione, et a
beneficio et quiete publica, et utile, ascoltate adunque che cominceremo la
riforma dalle cose spirituali prima.
1. In primis ordiniamo, et in virtù di Santa Ubbidienza
comandiamo che in tutte le chiese di questa Congregatione tanto esistenti ne i
boschi, quanto dentro terre, per il bisogno che potrebbe succedere, si tenghi
in custodia honorata, secondo la facultà de luoghi, il Corpo Sagrato di nostro
Signore avanti del quale habbi da star sempre accesa una lampada, et si potrà
designar a questo uso in quei conventi, che non hanno entrata di olio, qualche
entrata di cappelle che è meglio sia designata a questo uso santo che ad altro
uso profano, come sarebbe a dire a uso di bocca o di vestimenta di frati; ne
gioverà dir che il monasterio non habbi possibilità perché in tal negotio Dio
benedetto non mancherà, et come i populi vidranno et sapranno, non mancheranno
di donare a Dio poiché non mancano di donare a noi, onde si ordina che il
priore quando manderà per la cerca del pane, mandi ancora per la cerca
dell’olio per la lampada del Corpo di Christo, et così al tempo quando si
mancinano gli ulivi et quel che si troverà sia dedicato a quest’uso, et non
altro; et habbiano speranza nella devotioni de’ popoli, che nulla o poco occorrerrà
ci metta il convento, et che gran cosa sarà, che i conventi vostri vivono de
limosine mettesino in tal opera quattro et cinque docati, poiché i nostri che
vivono senza limosine in tal opera non ci mettono meno di sei o sette docati
l’anno. Et perché il convento di Suverato per il pericolo di Mori, di Turchi
non è giusto ne deve tenere detto Sagramento, ordiniamo che in tal tempo, che
non può tenerlo soccorra tre conventi più poveri e più vicini a esso di una
libra d’olio per convento, ne si faccia altrimenti, sotto pena di scomunica,
che non possi assolversi da nissun nostro inferiore. Quest’ordine di tenere il
Sagramento s’intende ne conventi ove le chiese son fabricate et sicure, si che
il Sagramento sia sicuro ancora da qualsia sorte di persona.
2. Ordiniamo ai sagrestani che habbin miglior cura di
quella che han havuto per il passato alle sagrestie, et che siano solleciti a
tener i calici ben mondi et netti con i suoi purificatori et fazzuoletti, quali
vogliamo che si mutino due volte la settimana et accioché quanto al Sagramento
del calice non naschi qualche disordine, che con ogni facilità potrebbe
nascere, se sopportassemo più i vasetti, che habbiamo veduto servire in luoghi
d’ampolline, ordiniamo strettamente al venerabile priore pro tempore, che
sempre in sagrestia facci stare due para di ampolline di vetro come habbiamo
veduto in tutti i luoghi di nostra Religione; et siaci pur freddo quanto si
voglia, o veramente dia ordine che si faccino di creta bianca, ma a modo di
ampolline et carafille col becco, o pizzo lungo et stretto, accioché non si
facci errore nel ponere dell’acqua al vino. Il priore et sagrestano che
contrafaranno a questa ordinatione sieno privati della metà delle loro
vestimenta.
3. Da che è chiaro che siete osservanti di nome, desideriamo
ancora che al nome corrispondano le opere et li fatti, et qual opera può
corrisponder al nome d’osservante, più illustre et grata a Dio et al mondo
quanto quella con che ci priviamo di proprietà delle cose si stabili come
mobili, sieno patrimoniali o acquistate? Però, in virtù di Santa Ubbidienza, vi
ordiniamo, et sotto pena di scomunica alla quale ipso facto vogliamo che
incorriate, se non ubbidirete, vi comandiamo che infra termine d’un mese tutti
da sedeci o dicesette anni in su facciate solenne professione, per mano di
notaro autentico, et tali professioni vogliamo che si trascrivino nel libro
della Congregatione col nome del notaro che le scrisse, et in autentica forma,
et si faccino con rinuncia reale d’ogni proprietà di stabili, o mobili, al
quanto ove detti professi presero l’habbito, con notare distintamente et
particularmente si i stabili, come i mobili, di vacche, capre, pecore, porci de
quali faranno volontaria rinuncia; et cerchino di non mettere in pericolo
l’anima loro con volersi ritener qualche cosa, accioché non accaschi, come
accaschò nella primitiva chiesa ad Anania et a Saphira, che morittero
miseramente per volersi con fraude ritenere parte del campo. Ordiniamo ben poi
al padre vicario pro tempore et al priore del luogo che, rimossa da loro ogni
passione, dispensino del usufrutto alle necessità di detti padri [...].
4. Ordiniamo, che esclusi quelli ch’hanno [...] gratia
particulare da superiori, nissuno possi tenere nella Congregatione stanza
perpetua, ma che ogni due anni al più si mutino i frati da luogho a luogho, et
intendiamo di quelli che si porteranno bene, perché quei che si portano male
non si ha da permetere che doppo l’eccesso siano sopportati manco un giorno, et
questo intendiamo non solamente di sacerdoti, ma et di zaghi ancora quali
vogliamo che siano posti per i conventi secondo il volere di padri diffinitori
et vicario, et non secondo il volere de’ priori de luoghi.
5. Ordiniamo, da che si vede chiaro che ogn’uno attende a
far partito mosso dalla ambitione che si ha di regnare et dominare et di essere
superiore, et che per haver voci in capitolo et far vicarij ad vota si danno
licentia da messe a giovani non di età come comanda il Sacro Concilio, ne manco
atti et idonei, che da qui in poi non si possi dar fra un anno licentia dal
padre vicario a nissuno d’ordine sacro, ma ben vogliamo che nel capitolo dal
padre vicario si proponghino quei che si haveranno a ordinare, et preposti
siano esaminati da padri deffinitori e visitatori di quell’anno, da quali
vogliamo che siano o per indegni riprobati o per degli approbati, et
dell’approbatione questa forma [segue formula].
6. Ordiniamo che i padri deffinitori et visitatori nell’approbare non
riguardino solamente a costumi e alla sufficientia, ma più all’età, et che come
comanda il Sacro Santo Concilio non siano da manco di 18 anni quelli che
approberanno al subdiaconato, ne manco di 22 anni quei che al diaconato, ne
manco di 24 o 25 quei che al sacerdotio.
7. Ordiniamo ancora che i deffinitori e visitatori non possino essere
eletti salvo che quegli che saran stati a altri tempi vicarij della
Congregatione e padri atti a far detta esamina degli candidati da doversi
riprobare o approbare da loro a gl’ordinj.
8. Per levar di mezzo ogni confusione, vogliamo et sotto pena di
disubbidienza comandiamo, che non habbin voce in capitolo altro che i padri
deffinitori et i padri visitatori del precedente capitolo, i priori de luoghi,
et i discreti, et questi non vogliamo che siano o possino essere eletti se non
saranno persone, et di giudicio, et di età, et di costumi mature, et tali che
mai dalla Religione siano stati apostati o di notabil vitio notati.
9. Vogliamo ancora che tali padri havran voce attiva non habbino autorità
di eleggere persone in vicario che non sappi ben leggere, scrivere et cantare
di canto fermo al manco et tale ordiniamo che sia eletto, quali ricerchiamo che
siano gl’elettori, cioè di età et di costumi maturo, et che mai sia stato
apostata dalla Religione, ne notato e convinto di notabil vitio, salvo sempre
altre volte sendo stato eletto per via degl’honori della Religione si sarà
levato da tal macchia.
10. Accioché si tolghi via di mezzo ogni materia di confusione et di
disturbo dalla Congregatione ordiniamo che nessuno habbi ardire querelare
persone alcuna che prima non si oblighi di stare alla pena del taglione, cioè a
quella che meriterebbe il querelato se non proverà la querela per testimoni
degni di fede. Vogliamo ancora che in tal facende non s’habbi ricorso a giuristi
o a persone del secolo siano laici o preti, chi contrafarà sia privato di voce
attiva e passiva per dieci anni. Et così intendiamo di quegli che havranno
ardir di rivelare in tutto o in parte a layci et a qual sia secolare i segreti
del capitolo et della casa. Et se doppo questa pena con verità saranno trovati
protervi, si proceda contro di loro con pena di carcere di sei mesi, et di
digiuno di 2°, 4° et 6° feria in pane et acqua solamente et con pena di
disciplina ogni feria sesta. Et se all’esecutione di questo precetto serreranno
gl’occhi i padri vicarij pro tempore ex nunc, pro ex tunc s’intendono d’essere
privati del loro vestimento, et poi sieno inabili per tre anni a ogni officio.
Queste cose ci ha parso
lasciarvi, che giudichiamo siano molte necessarie per il quieto et honesto
vivere di vostra Congregatione. Ufficio vostro sarà di effettuare, et adempiere
la detta nostra volontà, anzi non nostra, ma del Sagro Concilio, et de Padri
dell’Ordine che si esplica in queste nostre lettere, se volete meritare
appresso di Dio, et essere di presso a presso di vostri superiori, che vi
governano, et sotto l’ubbidientia de quali di stare e di vivere non
sforzatamente, ma di volontà vi obligaste per la presa dell’habito, altrimenti
ci protestiamo che della disubbidienza havrete, et da superiori la degna pena,
et da Dio, a cui farete resistenza, resistendo a loro, a cui dispiacerete
dispiacendo loro, et cui sprezerete sprezzando loro [...].
Soverato 16 agosto 1569
Fr. DONATO BENEVENTANUS
da AGA, Ii vol. XI, ff. nn.
- 3 -
RIFORMA
DELLA CONGREGATIONE DEL BEATO FRANCESCO DI ZUMPANO DELL’ORDINE EREMITANO DI S.
AGOSTINO IN CALABRIA.
ROMA
- NELLA STAMPERIA DE VINCENZO ACCOLTI IN BORGO MDLXXXVI
DEFFINITIONI
FATTE NEL DEFINITORIO DEL CAPITOLO DELLA CONGREGATIONE DI ZOMPANO
PRESIDENTE
L’ISTESSA PERSONA DEL PADRE REVERENDISSIMO GENERALE M. SPIRITO DA VICENZA
ESSENDO
ELETTO VICARIO IL R. P. MAESTRO DAMIANO DA BEVAGNA NEL 1584
1. Ordiniamo che le costitutioni riformate dell’Ordine
nostro siano di bene di bene in meglio osservate, come quelle dalle quali
dipende la vera osservanza, et la vera riforma di ogni Provincia et
d’ogni Congregatione fin dal principio che forono publicate sono state
accettate da questa Venerabile Congregatione et hora di nuovo più che
mai prontamente con ogni debita humiltà et obedientia accettiamo.
2. Che il culto del Divino Offitio si esseguisca con
ogni debita divotione, et sollecitudine così di giorno come di notte et
non si manchi di dire l’Officio di Nostra Donna in tutte le nostre chiese
ne giorni debiti, secondo il Breviario Romano, et con la Benedicta tu
etc., secondo il consueto della Religione.
3. Del silentio, della clausura, de digiunare si osservi
quanto comandano le nostre Costituzioni: così anco del leggere alla mensa, et
nel Venerdì et Sabbato la Regola.
4. Così anco dell’Oratione della sera per li beni, che
ci sono stati fatti, perché si prieghi per li vivi et morti, et nel Capitolo de
Culpis ne giorni che dicono le Costitutioni.
5. Che non sia lecito a frate alcuno di questa Congregatione
portare vesti di panno fino o pretioso, ma tutti li Sacerdoti vestino di
ferandina grossa di tutta lana di quella che si fa al paese. Li professi et
novitii et tutti gli altri non sacerdoti siano vestiti di quello di arbascio,
il quale sono stati soliti di portare gli antichi Patri di questa Congregatione
del principio di essa; di quel panno s’anco alcuno sacerdote, per maggior
humiltà o maceratione di carne, dimanderà di essere vestito ce ne contentiamo,
pure che sia bel nero, di forte che si conosca dal colore essere veramente
dell’habito della nostra Sacra Eremitana Agostiniana Religione.
6. Che del medesimo arbascio siano tutti i materiali
delli religiosi et siano fatti a cartoccio, serrati col suo osso al petto, et
non molti corti; così anco li manti più corti ferraioli per cavalcare siano di
arbascio; et non sia lecito ad alcuno di qualunque grado sia d’haver ferraiolo
per cavalcare, se non haverà prima il mantello a cartoccio per casa et per la
città, il quale può servire per il viaggio ne bisogni.
7. Che non si conceda se non agli sacerdoti dormire sul
materasso, gli altri di grado inferiore dormino nel pagliericcio.
8. Che tutti portino le camiscie di lana, et con
dispensa del patre vicario di canevaccio, o di stoppa grossa senza collaro, però
et senza comparenza nelle maniche.
9. Che nessuno porti tonica bianca in alcuno tempo
dell’anno, né grossa né sottile, poiché questa Congregatione dal suo primo
instituto non l’ha havuto in uso, ma ha perseverato in portare l’habito nero
solo per tante decine d’anni, et così determinano le costitutioni dell’ordine
nostro, che si debba osservare in simile caso.
10. Che ognuno porti un tonichino bianco di panno, di
rascia grossa o di altra materia tale di lana, longa sin al genochio per la
divotione della gloriosa Vergine madre di Dio, nostra avvocata con lo
scappuccio della notte; et non ardiasca religioso alcuno di alzarsi le falde
della cappa né in viaggio né in convento né in altra parte, se non haverà sotto
il detto tonichino bianco, sotto pena di una buona disciplina da esserle data
nel mezo del Capitolo overo Refettorio alla presenza di tutti li frati del
convento, et non si dia il denaro a nessuno, ma per mano del procuratore per
ordine del Priore, sotto la medama pena, si spenda; le scarpe siano alla
fratesca et niuno porti berettini di tela lavorati, né anco a capo scoperto, et
tutti portino lo scappuccio in dosso anco in viaggio, così a piedi, come a
cavallo, et li giopponi siano come comandano le costitutioni.
11. Che non sia lecito di andara a cavallo se non al
Vicario della Congregatione et al suo compagno, a’ Visitatori, alli padri
Maestri graduati et predicatori, ai vecchi che passano sessanta anni et a gli
infermi; gli altri frati tutti vadino a piedi secondo l’antico costume et
ancora tutti questi eccettuati non cavalchino ordinariamente cavalli o
giumenti, ma muli o asinelli, come si conviene allo stato della humiltà di
questa Congregatione. Però niuno tenga cavalcatura particolare, ma tutti si
vendino et comparisca il prezzo al deposito.
12. Che siano ricevuti amorevolmente gli hospiti et
forestieri et ben trattati, o sian di questa, o d’altra Congregatione
dell’Ordine nostro, o di qual si voglia Provintia, pur che venghino con licenza
in scriptis di loro Superiori, come comandano le costitutioni riformate; et non
si manchi di lavare loro i piedi oltre l’altre carezze secondo l’antica et
lodevole usanza di questa Congregatione; et si provvegga a’ gli infermi et
facciasi l’infermeria a mese, et si legga per ogni mese alla mensa eccettuando chi
sia absente per sua rata che li toccarebbe, i priori, i maestri o graduati et
li sessagenarij.
13. Che non sia lecito a niun frate di questa
Congregatione di tagliarsi la barba, ma lasciarsi crescere, come la manda la
natura senza fomento o coltura alcuna, se non acconciare almeno ogni quindici
giorni li mostacci con la debita moderatione, come ricerca la riverenza del
Santissimo Sacramento dell’altare, et lavarsi alle volte per il medesimo
rispetto; et non manchi dell’opera del barbiero a tempi debiti per questo, come
per fare la corona o chierica a frati secondo che le Costitutioni. Quelli che
mancheranno siano gravemente ripresi, corretti et puniti dal Vicario et dagli
Visitatori.
14. Che da qui innanzi quelli che si faranno professi si
chiamino del luogo della professione et non della patria, il che anco
desideriamo che si faccia di quelli che sono professi et non sacerdoti,
potendosi fare senza pregiudizio di atti publici et di scritture nelle quali
siano intervenuti o nominati in conformità delle Visitationi, et si lascino
totalmente li sopranomi sotto pena grande al padre Vicario pro tempore etc.
15. Che non si ammetta niuno agli ordini minori se non sa
leggere distintamente et bene. Al subdiaconato non si ammetta, oltre l’altre
conditioni che si ricercano, se non saperà cantare canto fermo almeno
mediocremente grammatica.
16. Che si determini in ogni convento quanto si debba
spendere continuativamente per la pietanza de’ frati et siano ben trattati li
frati secondo la possibilità degli conventi, et non stia in arbitrio del priore
et procuratore di spendere come pare a loro.
17. Che li priori non essigano, né spendino, né maneggino
denari, ma lasciano fare gli offitii debiti agli procuratori et depositari et
agli altri offitiali, li quali siano eletti secondo la forma delle costitutioni
dalli vocali del convento.
18. Che li priori habbiano li libri cartellati con li
numeri, come conviensi et scrivano distintamente la giornata, la quantità et il
valore delle robbe, chi compra, per cui, per quali occasioni, di che, et
rendano li conti dell’introito et essito ogni mese innanzi a tutti li vocali.
19. Che si faccia annotatione et introito non solo del
denaro, ma del grano, vino, oglio, orzo et cascio, et di legumi, della seta,
lana et d’ogni altra sostanza, la quale o per intrata ferma, o per elemosina
verrà in convento, et passerà dagli offitiali, et le cose di momento stiano
sotto due chiavi.
20. Che vi siano almeno due Novitiati a quattro luoghi principali
determinati, si leggano continuamente casi di conscientia nella Congregatione
per institutione non solo della pueritia et gioventù, ma anco di tutti i
sacerdoti, li quali tutti n’hanno bisogno.
21. Che negli quattro luoghi principali vi sia la carcere
secura et sana.
22. Che li fratini atti a passare agli ordini sacri non
siano perpetuamente aggravati et oppressi in continua occupazione di cerche, et
tanto meno in opere di masseria, ma concedasi loro tempo, giorno et hore
determinate, et deputate per poter imparare a leggere et scrivere, et imparare
di grammatica, et cantare canto fermo, et si provveda che in ogni luogo si
consegni persona atta ad insegnarli; et a quelli che non sono atti, né habili
ad imparare non si conceda cappuccio, ma si occupino alla cerche et altri tali
negotii etc.
23. Che non ardisca frate alcuno nominarsi con nome di
partialità di levante o ponente, ne’ anco nominar così altro frate di questa
Congregatione o dell’Ordine sotto pena la prima volta di una buona disciplina a
spalle nude, la seconda un mese di carcere, la terza ad essere bandito per tre
anni di questa Congregatione; la medesima pena haveria chi chiamerà li frati
della Provincia Conventuali, o figli non legitimi di S. Agostino, poiché già
tanti anni è stata levata ogni conventualità, et nel Capitolo di Milano
nell’anno 1564, sotto il generalato della buona memoria del Reverendissimo
Patre Maestro Christoforo, la dove forono raccolti tutti li padri delle
Provintie all’osservanza et ordinato che così si chiamassero, cioè Osservanti.
24. Che niun frate ardischi d’infamare frate alcuno né
grande né picciolo della nostra Congregatione, né rivelare ad alcuno né altra
persona fuori dell’Ordine li secreti del Capitolo o della Religione, o
imperfetione de’ nostri religiosi, oltre la pena contenuta nelle Costitutioni
sotto privatione et escomunicatione latae
sententiae riserbando di questo caso l’assolutione al Padre Reverendissimo
Generale, al Padre nostro Vicario, et ognuno si guardi in questo della mal
ventura. Et non vogliamo che il Padre Vicario usi misericordia verso questi
tali detrattori et diffamatori. Et chi farà libelli, rime, canzoni, o versi
infamatori sia dechiarato dal Padre Vicario scomunicato et castigato
rigorosamente.
25. Che niuno tenga denari in camera, o appresso di se,
ma tutti stiano nel deposito sotto pena di scomunicatione, eccettuando quel
poco che ad alcuni sarà permesso per qualche necessità quotidiana dal Padre
Reverendissimo, o dal Padre Vicario in scriptis. Et contrafacendosi s’incorra
nelle pene dichiarate nelle Costitutioni et Sacro Concilio Tridentino. Il
medesimo s’intenda contro quelli che teneranno robbe fuori di convento ovvero
presteranno denari fuori della Congregatione, o chi tenesse animali.
26. Gli Apostati et fuggitivi perdano il luogo et la voce
secondo ordinano le Costitutioni.
27. Accettiamo et ammettiamo il Breve di Nostro Signore
Gregorio XIII in materia di maestri et magisterio, ma pregamo il Padre
Reverendissimo, che li detti maestri che verranno, attendano a leggere casi di
conscientia et predicare altrimenti non godano l’essentioni magistrali.
28. Vogliamo anco che quanto prima si potrà senza danno
di questi conventi si provvegga di levare le masserie, li buovi et le vacche,
affinché i religiosi nostri possano attendere meglio al servitio di Dio.
29. Ordiniamo che per l’avvenire non possi essere eletto
Vicario di questa Congregatione se non dopo sei anni intieri, non computando
però il tempo del suo primo vicariato, altrimenti l’elettione fatta sia nulla,
et esso accettandola inhabile a tale offitio per dieci anni.
30. Che col mezo del favore del Molto Eccellente et
Rev.mo Vescovo di Squillacci si raccolga la vita et li miraculi del Beato
Francesco di Zompano fondatore di questa Congregatione, tanto più che vive il
padre fra Gerolamo di Scigliano suo discepolo.
da Biblioteca Angelica, Roma, [SS]
11.21.(21).
- 4 -
STATUTI
SEU COSTITUTIONI DELLA CONGREGATIONE DI S. MARIA DI COLORITO DI MORANO DI
CALABRIA CITRA DELL’ORDINE EREMITANO DI S. AGOSTINO DELL’OSSERVANZA FATTI DAL
MOLTO R. P. F. BERNARDO DA ROGLIANO, FONDATORE CONFERMATI DAL REV. PADRE
GENERALE DEL DETTO ORDINE MANDATI IN LUCE PER ORDINE DEL M. R. P. FRA PIETRO DA
MORANO VICARIO GENERALE DI DETTA CONGREGATIONE IN NAPOLI PER GIOVANNI MONTANARA
MDCXXXVI
Fra Bernardo alli frati della sua Congregazione: venite filij,
audite me, timorem Domini docebo vos. Parole che disse il Profeta David a
tutti gli uomini del mondo et hora io dico a voi particolari, ritirati, per
divina gratia, dal secolo all’eramo per poter più liberamente servire a sua
Divina Maestà, e caminare alla celeste beatitudine per la via della Sacra
Religione del Santo Padre nostro Agostino, la cui Regola ci abbiamo eletta e
professamo, l’osservanza della quale facile ci sarà, col divino aiuto, se
mortificati di carne, viverà in noi lo spirito del timore et amore del Signore.
CAP. I - DELL’OFFICIO DIVINO
Primariamente dunque (per cominciare da Dio benedetto dal quale ogni
nostra attione deve havere principio) l’Officio Divino si dica secondo il rito
della Santa Romana Chiesa col Breviario riformato per decreto del Sacro
Concilio Tridentino e Clemente VIII di f. m. stando in piedi in Choro, con voce
semplice, intellegibile, uniforme, e posatamente. Il Matutino si dica a
mezzanotte; e l’altre hore canoniche ne tempi stabiliti. E ne’ medesimi tempi
si dica ancora l’Officio picciolo della Beata Vergine ogni giorno, eccetto
quando si dice l’Officio grande di essa nostra Signora. Ogni volta che si farà
fine all’Officio, dopo l’antifona, secondo i tempi, si dica la Letania della
Beata Vergine Nostra Signora. Li frati laici dicano l’Officio, tanto del giorno
quanto della Madonna, conforme è ordinato nelle Costitutioni del nostro S.
Agostino. E così ancora s’intenda dell’Officio de’ defonti. Nessuno si parta
dal Choro senza fare riverenza al superiore e ricevuta la sua benedittione.
Oltre li quattro anniversari ordinari nel commune del Santo Padre nostro
Agostino, tutti li Padri sacerdoti delli monasterij della nostra Congregatione
sono obbligati ogni anno in perpetuo celebrare quattro altri Anniversari per li
padri e fratelli della nostra Congregatione. Il primo a 20 di aprile, il
secondo a 15 di luglio, il terzo a 25 di settembre, et il quarto a 12 di
dicembre. Li chierici dicano per ciasched’una volta tutto l’Officio de’ Morti,
e li laici 50 Pater Noster e 50 Ave Maria. Quando alcun frate mancherà, tanto
di notte, quanto di giorno in Choro all’hore canoniche, senza ligittima causa,
per la prima volta sia fraternamente corretto dal superiore in pubblico Refettorio,
e la seconda mangi in terra pane et acqua.
CAP. II - DELL’ORAZIONE
Volemo che tutti i nostri frati assistano alla santa oratione, la quale
si faccia continuamente ogni giorno un’hora la mattina, et un’altra la sera
pria di cena a suono di campana.
CAP. III - DELLA CONFESSIONE E
COMUNIONE DE’ FRATI
Tutti i nostri frati, tanto professi, quanto novitij, si confessino et
comunichino ogni otto giorni et anco nelle infrascritte feste, cioè la prima
domenica dell’Advento, la Natività del Signore, l’Epifania, la Purificazione
della Nostra Signora, la prima e la quarta domenica di quaresima,
nell’Annontiatione della Madonna, nella Resurrettione di Nostro Signore,
Ascentione, Pentecoste, il dì del Santissimo Corpo di Christo, la festa di S.
Giovanni Battista, de’ SS. Pietro e Paolo, l’Assuntione di Nostra Signora, il
dì del Santo Padre nostro Agostino, la Natività della gloriosa Vergine, il dì
di S. Michele Arcangelo, et il dì di tutti i Santi. Nelle quali festività dal
P. Vicario Generale o dai Priori de’ Conventi si faccia l’assolutione generale
ai frati.
CAP. IV - DEI PREDICATORI
Li predicatori della nostra Congregatione, che anderanno a predicare in
quei luoghi dove saranno chiamati, e destinati dal Superiore, si sforzino di
predicare più con la buona vita e buono esempio, che con la dottrina. E
prohibemo affatto, che ne per se, ne per interposita persona ricevano denari,
ne per la loro predicatione, ne meno per le spese; ma sia pensiero di quelle
Università, dove predicheranno, provvedere loro delle cose necessarie. E
facendosi da essi il contrario, incorrono nella privatione di voce attiva e
passiva in perpetuo. Volemo di più che in questa nostra Congregatione in nessun
modo s’introducano o ammettano graduati, come Maestri, Baccelieri. Ne meno i
predicatori habbiano essentione dal Choro senza licenza del Superiore, a cui
appartenga concederla, quando giudicherà essere opportuno.
CAP.
V - DELLO STUDIO E SCOLARI
Li frati giovani della nostra Congregatione, che si troveranno idonei,
e sufficienti a poter studiare, dopo la loro professione, si facciano attendere
ad imparare le Scienze, come Logica, Filosofia e la Sagra Theologia. Et il P.
Vicario, accioché la nostra Congregatione vada innanzi ancora per mezzo delle
lettere, habbia pensiero di provvedere un Monastero di ciasched’una Provincia
di un Lettore di buona vita et di sufficiente dottrina e scienza. E caso che
lettori non ne fussero nella nostra Congregatione, non se ne pigli di altre
religione se non dal nostro ordine di S. Agostino. E se in alcuna città dove
sia nostro Monasterio sarà studio publico, il P. Vicario col consenso de’ Padri
Deffinitori, potrà dar licenza a quelli che saranno atti a studiare di andare
al detto studio publico.
CAP. VI - DE QUELLI CHE S’HANNO DA RICEVERE ALL’HABITO
Nel ricevere, vestire, allevare e professare i Novitii si osservi tutto
quello che è stato ordinato da Sagrosanto Concilio di Trento, e specialmente
quanto si contiene nelle Costitutioni di Clemente VIII di f. m.; circa il modo
e cerimonie del vestire e professare i Novitii si osservi quello ch’è ordinato
nelle Costitutioni del nostro P. S. Agostino.
CAP.
VII - DELLA OBEDIENZA
Siamo obligati li frati della nostra Congregatione ubidire con ogni sincerità
e prontezza di animo ai loro superiori in tutto quello che sarà loro ordinato,
purché non sia contrario ai precetti di Dio, alla nostra Regola et Istituto, et
habbiano sempre in mente quanto sia grata a sua Divina Maestà questa Santa
Virtù dell’Obedienza.
CAP. VIII - DELLA POVERTÀ
Acciò che la nostra Congregatione si conservi nell’Osservanza della
Santa Povertà, ordiniamo che nessuno habbia in cella cose particolari, ne
vesti, ne cibi, ne altra cosa che non gli sia deputata per uso dal Superiore.
Ma tutto sia nelle officine communi a tutti, distribuendosi da Superiori
secondo necessità. Comandiamo in virtù dello Spirito Santo e di Santa
Obedienza, che questo voto sia fedelmente osservato da i nostri frati, di modo
che a nessuno sia lecito appropriarsi cosa alcuna, ne tenere denari, o altra
cosa in poter suo o di persone secolari. E se alcun frate fossero date
elemosine per messe, o per altra causa sia tenuto a consignarle in potere de’
Depositarij. E circa questo voto si osservi in tutto e per tutto quello che è
ordinato nelle Costitutioni dell’Ordine del nostro P. S. Agostino, dove si
tratta la pena del proprietario, cap. 9, nella parte sesta.
CAP.
IX - DELLA CASTITÀ
Come dalli nostri frati s’habbia da osservare l’inviolabile virtù della
Castità ci insegna il N. P. S. Agostino nelle sue Regole; però senza dare altri
precetti habbiano i nostri frati avanti gli occhi, e scritto nel core quello
che in detta regola si comanda. E quelli che violassero (quod Deus avertat)
questa Santa Virtù, incorrono, secondo la qualità e gravezza del Peccato,
quelle pene, che sono stabilite nelle Costitutioni del nostro Ordine, nella
sesta parte, cap. 5.
CAP.
X - DEL DIGGIUNO
I nostri frati siano tenuti a diggiunare (oltre li giorni ordinarij,
ordinati dalla Santa Madre Chiesa) tutte le quarte e seste ferie, e sabbati
dell’anno. Di più la quadragesima d’agosto, che incomincia dal primo dì del
detto mese sino alli quindici, che è l’Assontione della Beatissima Vergine. Si
diggiuni anco la quadragesima dell’Advento, che si piglia dopo il giorno di
tutti i Santi alla Natività di Nostro Signore. E venendo la Natività in giorni
di diggiuno, possano mangiare carne. E, quinte volte senza legittima causa, e
senza veruna licenza del superiore, alcuno romperà detti diggiuni, mangi in
terra pane et acqua.
CAP. XI - DELLA
DISCIPLINA
Tutti li nostri frati (eccetto gli indisposti) siano obligati farsi
disciplina tre volte la settimana, cioè ferie quarta, sesta o sabbato, doppo il
Matutino in Choro. E fatto il segno del superiore, l’hebodomadario soggiungerà:
servite Domino in timore etc. (qui si comincia a far la disciplina)
dicendo il salmo Miserere mei Deus con il Gloria Patri etc. et il
salmo De Profundis con requiem aeternam etc. per li Defonti, con dire
un verso l’hebodomadario et un altro il choro alternativamente. Detti li quali
salmi, dicano insieme la Salva Regina; o altra antifona, secondo, si dirà nella fine
dell’Officio. E dopo soggiungansi: Christus factus et pro nobis obediens
usque ad mortem; mortem autem crucis;
e l’hebodomadario dica: Respice, quaesumus Domine, su per hanc
familiam tuam, etc.
E se alcuno frate senza legittima causa mancherà sia tenuto farsilo in publico
refettorio.
CAP.
XII - DELLA FORMA DEL NOSTRO HABITO
L’habito nostro sia di lana rustica negra naturale, senza tintura
alcuna, lungo fino sopra i piedi. Il cappuccio tondo in testa, e rotonde le
falde, che circondano le spalle, e il petto. E la cintura di pelle in segno
della regola presa dal S. P. nostro Agostino. Il mantello arrivi sino al
ginocchio. Le vesti di sotto l’habito potranno portarsi di fiandrina, o di lana
rustica, secondo che vogliano far penitenza. Ma in niun modo si portino vesti
di tela, come camicia, calzoni o calzetti. Vadano ancora li nostri frati senza
calzetti, eccetto in caso di necessità, e con licenza e dispensa del superiore.
E chi sarà trovato portar vesti di tela, per la prima volta sia fraternamente
corretto, e se non deporrà subito, sia tenuto farsi la disciplina e mangiare
pane et acqua in publico Refettorio in terra, e se perseverasse sia punito più
gravemente. Per calceamenti adoperino scarpe, e siano uniformi a tutti, la
quale uniformità si osservi così nel calzare come nel vestire, mangiare,
dormire, et in ogni altra cosa, senza eccettione di persona.
CAP.
XIII - IN CHE TEMPO SI DEVONO VESTIRE
LI FRATI
Nel giorno di tutti i Santi ciasched’uno priore deve provvedere li
frati del suo monasterio di vestimenti, calciamenti, secondo il bisogno di
ciasched’uno. Non si doni panno, o denari, ma vesti fatte, accioché conforme la
nostra regola: si come siete pasciuti da un cellario, così siate vestiti da un
vestiario. E tutti li vestimenti siano riposti nella communità, e siano
distribuiti dal superiore, siccome a ciached’uno vedrà esser di bisogno. Et il
priore, che non osservasse o facesse [non] osservare la communità, sia deposto
dall’officio.
CAP. XIV - DELLE CELLE DE’ FRATI
Ogni frate habiti in quella cella che gli assegnerà il superiore, e non
altrove. E li superiori de’ monasterij non possano avere più di una cella per
uno. Nessuno tenga in cella cose curiose, ma solo qualche figura di santi
devota. A ciasacuno sia provisto d’una banchetta, d’una sedia, d’una lucerna,
d’una littiera con saccone pieno di paglia, e con un cavezzale, d’una manta, o
altra coperta di lana. Ne si possano tenere lenzuole, ne meno spogliarsi, ma
dormono vestiti, fuorché gli ammalati, se così ordinerà il medico. E chi fosse
trovato dormire altramente, o in lenzuoli, o spogliato, o senza cappuccio, per
ciasched’una volta si faccia la disciplina in publico Refettorio, e mangi a
terra pane et acqua senza cappuccio. Ordiniamo, che ogni priore visiti, quante
volte gli parerà espediente, tutte le celle del suo monasterio con due padri di
gravità; e diligentemente veda se alcuno tenesse cosa contro le nostre regole
et ordini superiori, che sconvenisse alla nostra povertà.
CAP.
XV - DELLA CURA DEGLI INFERMI E DE
FRATI CHE STANNO IN FINE DI
MORTE
Circa li frati infermi, o che si troveranno in fine di morte il priore sia
diligentissimo, e n’habbia cura con grandissima sollecitudine, senza eccettione
di persone; et si osservi, e faccia osservare tutto quella che intorno a questo
è ordinato nelle Costitutioni del nostro Padre S. Agostino nella seconda parte,
al cap. 14.15. E perché questo monasterio di S. Maria di Colorito è lontano
dall’habbitato, volemo che si faccia l’infermeria nella terra di Morano in una
casa del monasterio, accioché gli infermi habbiano li medici e le medicine a
tempo opportuno.
CAP. XVI - DELLA VOCE
DELLI FRATI LAICI
Perché in questa nostra Congregatione vi sia paucità di frati, e
accioché ancora si tolgano via molte perturbationi contrarie al pacifico e
quieto stato de’ buoni religiosi, volemo che i nostri frati laici habbiano
l’una e l’altra voce, avvertendo però che la voce passiva non s’intenda al
vicariato. Ne meno habbiano voce se non dopo quattro anni della loro
professione, dopo la quale siano tenuti ancora dir la colpa per tre anni in
Refettorio. Quelli che saranno ricevuti sacerdoti al nostro habito siano privi
dell’una e l’altra voce per due anni dopo la loro professione, e per un anno
dopo quella siano tenuti dir la colpa ogni giorno. Li chierici quando saranno
di ordini sacri habbiano solamente la voce attiva, ma la passiva da poi che saranno
sacerdoti. E se alcuno costituito in ordini sacri, sarà ricevuto al nostro
habito, sia privo dell’una e l’altra voce per tre anni, e sia tenuto dir la
colpa per due anni dopo la sua professione.
CAP.
XVII - DEL REGIMENTO DELLA NOSTRA
CONGREGATIONE
La nostra Congregatione si regerà e governerà con la regola del S. P.
nostro Agostino, la quale professiamo in pura osservanza, e con li nostri
instituti e diffinitioni particolari, che si faranno nelli capitoli, secondo
l’occorrenza. Si servirà et avvelerà ancora delle Costitutioni dell’Ordine del
N. P. S. Agostino, cioè di quelle solamente che non contraddicono al nostro
instituto, et alla regolare osservanza di essa nostra Congregatione il cui
Rettore e Governatore canonicamente eletto habbia assoluta, libera e generale
autorità sopra tutta la Congregatione. E volemo che ogni due anni si celebri il
nuovo capitolo, e che per detti due anni duri l’officio del Vicariato. Ogni
anno si faccia ancora la congregatione, nella quale li priori eletti in
capitolo, o siano assoluti dal loro officio, o confermati così parerà
espediente. Dichiariamo che nell’elettione da farsi dal P. Vicario Generale
concorrono solamente il P. Presidente e il P. Vicario assoluto, e suo compagno,
li Deffinitori, Priori che si ritrovano all’hora, e Discreti delli nostri
conventi. Dichiariamo ancora, che nella Congregatione che si farà per
l’elettione dei nuovi Priori, o confermatione dei passati concorrono il P.
Vicario Generale, assistenti et il Deffinitorio. Di più il P. Vicario Generale
assoluto nonostanti le costitutioni dell’Ordine Agostiniano habbia voce
solamente nel prossimo Capitolo, che si darà, e non più. Quando nella nostra
Congregatione sarà il numero di venti sacerdoti, all’hora volemo che si
facciano quattro Deffinitori; ma sin tanto che non si arriverà al detto numero
per la paucità dei frati, che ne facciano due solamente.
CAP.
XVIII - DELLA VISITA DELLA NOSTRA CONGREGATIONE
Essendo la visita uno de’ principali officij del Pastore et alla salute
del suo gregge sommamente necessaria et utile, il P. Vicario della nostra
Congregatione almeno una volta l’anno personalmente visiterà con ogni pietà e
diligenza tutte le chiese, monasterij e frati nostri, corrigendo e riformando
tutto ciò che si troverà essere di bisogno, secondo la regola di S. Agostino, e
le Diffinitioni e Statuti nostri, havendo in sua compagnia uno de’ Deffinitori,
et il Padre suo compagno ordinario il quale scriverà gli atti della visita; et
in ciasched’uno luogo lascerà copia authentica de’ decreti fattivi, procedendo
con ogni carità et amore. Avvertisca però il P. Vicario Generale, quando
troverà eccessi di frati, di punirli solamente con pene salutari e personali,
non in denari, o altro che fosse contro la povertà che noi professiamo et
osserviamo. E quando il nostro P. Rev.mo Generale una volta nel suo sessennio
del suo Generalato si degnasse personalmente, o destinar visitatore (conforme
il nostro breve di PP. Paolo V di f.m.) per visitare la nostra Congregatione e
ritrovassi da punire i nostri frati, la pena non sia pecuniaria (mentre a
nostri frati non è lecito tenere o havere denari) ma personale solamente.
da Biblioteca Angelica, Roma, z. 13. 6.
- 5 -
LETTERA CIRCOLARE
CON
CUI DALL’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO MONSIGNOR GIOVANNI DI NICASTRO VESCOVO
DI CLAUDIOPOLI, ARCIDIACONO DI BENEVENTO, E DE’ MOLTO RR. PP. ROMITANI
OSSERVANTI DELL’ORDINE DI S. AGOSTINO, DETTI COLORITANI, DELEGATO APOSTOLICO,
SI TRASMETTONO AI MEDESIMI RELIGIOSI ALCUNI ORDINI EMANATI NELL’ULTIMA
CONGREGAZIONE INTERMEDIA, CELEBRATA IN BENEVENTO NEL CONVENTO DI S. AGOSTINO A
18 APRILE 1728.
Molto Reverendi Padri
Tra le altre cose commesse alla nostra debolezza dalla clementissima
degnazione del nostro Santissimo Padre Benedetto Papa XIII, le quali leggonsi
nella lettera spedita dalla Segreteria di Stato in data de’ 21 di febbraio
dell’anno corrente, ed inserita nel nostro Editto, pubblicato a 3 del seguente
mese di marzo, la prima si era di dover Noi nella terza domenica di Pasqua
convocare per la quiete delle PP. VV. e per lo buon servigio loro la solita
Congregazione Intermedia colla facoltà espresse nella lettera sopraccennata. In
esecuzione adunque de’ veneratissimi ordini di Sua Santità, precedente la
dovuta convocatoria, si è celebrata
la sudetta Congregazione in questo giorno appunto, ed è stata sottoscritta da Noi e da Padri congregati. Stimiamo
ora nostro debito, anche per adempiere al consueto lodevolissimo costume di
tali azioni, di comunicar loro i seguenti ordini intorno alla buona condotta
della osservanza, e disciplina Regolare, e cioè:
I. Che non possano essere eletti a grado alcuno, anche
di semplice priore, se non quegli i quali avranno terminato il corso de’ loro
studii, eccettuato però chi per lo passato è stato Vicario Generale; e questi
solamente possa godere il privilegio, come se gli avesse compiti.
II. Che non si ammetta al Noviziato, se non chi,
esaminato diligentemente almeno nella grammatica e nell’artemetrica, sia
stimato idoneo per apprender poscia le altre scienze nella Congregazione
Coloritana.
III. Che senza giuridico processo
non possano gli attuali studenti essere privati dello studio, si come si è
fatto per lo passato ad onta, ed a capriccio; ma ciascun professo, ammesso già
al noviziato coll’esamina come di sopra, si debba onninamente ammetter ad essi.
IV. Che per la scarsezza de’ Lettori in questa
Congregazione si supplichi il Reverendissimo P. Generale di S. Agostino a
compiacersi di conceder ad tempus due idonei Lettori, uno di Teologia e
l’altro di Filosofia.
V. Che tutti i Lettori debbano ammaestrare i giovani non
solo nelle scienze, ma ancora in tutto quel che appartiene allo Spirito,
giacché Initium Sapientiae est timor Domini secondo il Salmista Reale.
VI. Che per lo studio della Sagra Teologia s’intendano
stabiliti, siccome stabiliamo, i due principali conventi di S. Maria della Fede
in Napoli, e quello di
S. Maria di Colorito in Morano, e per la Filosofia il convento di S. Maria
della Strada, e quello dell’Episcopia. Perché al presente non vi sono studenti
di Teologia, per tanto potranno avvalersi per lo studio della Filosofia de’ due
conventi destinati per la Sagra Teologia.
VII.
Che si osservi esattamente per gli
nuovi professi la Costituzione della felice memoria di Papa Clemente VIII, la
quale comincia Cum ad regularem disciplinam §. Ut autem novitiis,
etc., ed in particolare nello stare racchiusi, e sotto chiave almeno tre
anni; ed in niuna maniera sia permesso ad essi l’uscir di convento senza
compagno.
VIII. Che tutti i conventi, i quali non hanno il peso
attuale di mantenere i giovani allo studio, sieno obbligati di pagare il
vestiario agli studenti secondo la tassa da farsi nel Capitolo Generale
dell’Ordine, considerate però le rendite di ciascun convento.
IX. Che
si assegni in ogni convento, ed in ispecie ne’ conventi destinati allo studio,
un religioso perito nel Canto Gregoriano, il quale possa ben insegnarlo ai
giovani.
X.
Che per mantenersi la uniformità
nell’abito debbano tutti vestire il panno o di Calabria o di Piedimonte, e
l’abito di sotto sia solamente di color bianco, e chi vestisse di altra sorte
debba fra otto giorni mutarlo.
XI.
Che niuno di qualsisia grado e
condizione sia lecito di usar tacchi di legno alle scarpe, e chi altrimenti gli
usasse, debba subito deporli.
XII. Che niuno fuori della propria cella compaia senza
l’abito regolare, mentre alcuni in tempo di [e]state a cagion del caldo si
fanno vedere senza la tonica, ed in tempo di [in]verno a cagion del freddo
adoperano sopra dell’abito la vesta camerale fuor di camera.
XIII. Che sotto pena della privazione di voce attiva e
passiva niuno ardisca di esercitar la caccia, e precisamente strepitosa, mentre
abbiamo saputo, che ne’ conventi di S. Maria della Strada e di Morano, perché
lontani dall’abitato, non si attende ad altro; ed i religiosi più frequentano
il bosco che il Coro, travestendosi da sgherri, e si pregiano di essere non già
venatores animarum, ma
avium.
XIV. Che sotto gravi pene riserbate all’arbitrio di Sua
Beatitudine tutti i Capitoli debbano celebrarsi alternativamente una volta in
Napoli, ed un’altra in Morano, e lo stesso parimenti debba farsi delle Diete.
XV. Acciocché possa conservarsi la pace procurata in
questa Congregazione stimiamo necessario, non solo di celebrarsi il futuro
Capitolo nell’anno vegnente 1729 nella città di Napoli, e poi seguitarsi la
sovradetta alternativa; ma parimente che in detto Capitolo debba presiedere il
P. Bernardo Scisci di Morano, ex Vicario Generale della medesima Congregazione,
religioso assai zelante, e prudente.
XVI. Che gli ex Vicarii Generali, essendo stati un tempo
Padri di tutta la Congregazione Coloritana, debbano aver la voce solamente ne’
Capitoli della stessa Congregazione, e debbano precedere nel Convento, dove
dimorano, ai sottopriori, cedendo solo al priore attuale.
XVII. Che ai medesimi ex Vicari Generali giunti
all’età di 60 anni, e bisognosi di chi li serva, si assegni un converso di
servizio, purché il converso abbia altri uffizii, co’ quali serva la comunità.
XVIII. Che non sia lecito ad alcuno religioso portarsi da un
convento ad un altro senza la licenza in scriptis, o del P. Vicario Generale per quegl’i quali dimorano
nella Calabria e Basilicata, o del Provicario Generale esistente in Napoli per
quegl’i quali dimorano in detta città di Napoli, e ne’ conventi di S. Maria
della Strada, e di Marano.
XIX. Che ne’ luoghi, dove sono i conventi della
Congregazione Coloritana, debbano i religiosi esteri dimorare in essi conventi,
non già nelle osterie, o nelle case de’ secolari, ancorché congiunti. Si
permette ad ogni modo ad essi di desinar, di raro però, nelle case de’ loro
parenti, ma non di pernottarvi, se non in qualche caso di grave necessità, e
colla licenza del Superiore.
XX. Che godendo i religiosi nativi della Provincia di
Basilicata l’alternativa al Vicariato, e Diffinitorio Generale per uso della
Congregazione, s’intendono essi uniti, e fare un sol corpo per l’avvenire con
quei della Calabria, a quali sono più vicini, non già colla Nazione Napoletana,
e Terra di Lavoro assai lontana.
Chi contravverà alle cose
sovradette, essendo suddito sarà gastigato dal Priore locale ad arbitrio, ed
essendo Superiore sarà gastigato dal Padre Vicario Generale colla privazione
della voce attiva e passiva. Ad ogni modo stimiamo, che ed i Superiori ed i
Sudditi saranno tutti prontissimi ad ubbidire, virtutis amore, e non già formidine
poenae. Tanto ci occorre per ora significare alle Paternità Vostre, a
servigio delle quali affettuosamente ci offeriamo.
Benevento dal convento di S.
Agostino a 17 aprile 1728
Delle PP. VV. molto Rev.
Affezzionatissimo per servirle sempre, e di
cuore,
G. Vescovo
di Claudiopoli Delegato Apostolico
Approvazione
fatta dalla Santità di Nostro Signore Benedetto Papa XIII della sorvadetta
Lettera Circolare.
Ex audientia Sanctissimi die 5 Maii 1728 Sanctissimus annuit.
N. M. Cardinalis Lercari
Locus + Sigilli
in AGA, Aa VII, f. 19