da SALVATORE GRIFÓ, La Madonna delle Grazie di Centùripe – Frate Andrea del Guasto e il convento degli Agostiniani, 2001

 

INTRODUZIONE

Il comune di Centuripe fa parte della provincia di Enna, da cui dista circa 58 km. L’abitato è costruito sopra un’altura a circa 730 metri d’altezza sul livello del mare, tra l’Etna, la piana di Catania e le catene montuose dei Nebrodi e degli Erei. Il suo territorio è di circa 172,98 kmq., bagnato a sud dal fiume Dittaino ed a nord dal Salso, entrambi affluenti del fiume Simeto. La vegetazione è tipicamente mediterranea, disposta su terrazzamenti, con una prevalenza di ulivi, agrumeti, vigneti e colture cerealicole. La montagna centuripina ha avuto da sempre un’importanza strategica e, grazie alla sua invidiabile posizione, da cui si può ammirare uno splendido panorama, soprattutto dalla villa “Corradino”, è un osservatorio naturale del maestoso vulcano, tanto da essere chiamata da Garibaldi: “Il Balcone della Sicilia”. In questa splendida cornice di meravigliose bellezze e di numerosi resti archeologici, a testimonianza della storia millenaria di Centuripe, sorge, a poca distanza da questa villa, il santuario della “Madonna delle Grazie”. La piccola chiesa, costruita dentro una grotta, ancora oggi mantiene l’antica struttura. Essa fu la prima sede del convento degli Agostiniani e custodisce al suo interno un bellissimo quadro della Vergine che allatta Gesù Bambino, con accanto Santa Monica e Sant’Agostino.

 

I PRIMI EREMITI

Gli avvenimenti relativi alla chiesa della Madonna delle Grazie e al convento degli Agostiniani di Centuripe, sono legati alla storia degli eremi di monte “Scalpello” e “Iudica”. Sappiamo, infatti, che agli inizi del XVI secolo, e precisamente nel 1517, sotto il pontificato di Leone X, un frate, Filippo Dulcetto, originario di Agira, decise di andare a vivere in solitudine sopra un monte chiamato “Scalpello”, al fine di stabilire un contatto diretto con Dio. Questo monaco-eremita abitava in una piccola casa, che aveva costruito per ripararsi dalle intemperie, e alternava la sua vita da penitente, con digiuni, preghiere e meditazioni, cibandosi di erbe crude e radici, che raccoglieva nelle pendici del monte. Visse in quelle condizioni, assistito dalla grazia di Dio, fino a quando un gruppo di frati, provenienti dall’abbazia di Agira, decisero di seguire il suo esempio e si recarono su quel colle, per condurvi una vita eremitica. Da quel momento in poi frate Filippo Dulcetto non abitò più da solo ma ebbe come compagni fra Mariano e fra Matteo Rotolo. Apprendiamo inoltre, dalle notizie fornite da p. Umberto Amore, da p. Fulgenzio da Caccamo e confermate da Filippo Ansaldi, che nell’arco di trent’anni il numero dei frati che abitarono quell’eremo arrivò a circa duecento. Per ospitare tutta quella gente, si costruirono sul monte nuovi romitori, ognuno viveva nella propria cella, da solo, e tutti vestivano con un abito cinerizio cinto da una rozza corda. Nel frattempo molti di loro decisero di dividersi ed abbandonarono l’eremo per andare a vivere in varie parti della diocesi di Catania e di Siracusa. Racconta l’Ansaldi: “Oltre a quelli che rimasero in Scalpello, di essi altri portaronsi nel Rossomarino, altri in Giudica, altri in Centorbi, altri in Santo Antonio, altri in San Basilio ed altri in altri simili luoghi adatti alla nuova lor maniera di vivere”. Un gruppo di monaci eremiti, dunque, decise di stabilirsi a Centuripe da poco riedificata. La città di Centuripe infatti, è stata assediata e distrutta nel 1233 da Federico II di Svevia, che ne aveva deportato gli abitanti in varie parti della Sicilia. Trentacinque anni dopo la città fu completamente rasa al suolo da Carlo d’Angiò. Qualcuno, probabilmente, continuò ad abitare in quel territorio, ma Centuripe da allora cessò di esistere come città e divenne un feudo appartenente alla contea di Adrano. Infatti l’Ansaldi continua dicendo: “Nel 1408 molti abitatori dell’Etna mossi dallo spavento per gl’immensi fuochi del vulcano eruttati e dal tremuoto che nel nove novembre dello stesso anno sopravvenne, abbandonarono quelle funeste contrade e trasportando seco quanto poterono de’ loro mobili, vennero a ricoverarsì fra le rovine dì Centuripe ove piantaron le lor novelle dimore, come luogo da essi riconosciuto sicuro e lontano da simili disastri”. Dopo tre secoli (1548) Centuripe fu ricostruita, nella stessa posizione, dalla nobile famiglia dei Moncada che rese possibile il suo progressivo e lento ripopolamento. Si chiamò “Centorbi” e mantenne questo appellativo fino al 1863, quando ritornò a chiamarsi con il suo antico nome di “Centuripe”. La città ricominciò a vivere nuovamente ed un’ulteriore spinta alla sua crescita arrivò proprio da quei religiosi che con il permesso del vescovo di Catania, Nicola Maria Caracciolo, nel 1554 costruirono all’interno di una grotta un altare, per potervi celebrare la Santa Messa per la poca gente che abitava il sito. Il Vescovo concesse “non il luogo come grotta, che apparteneva all’illustrissimo duca di Montalto (Moncada), ma come chiesa rimasta dopo l’antiche rovine di Centorbi”. Una testimonianza importante, che avvalora questa ipotesi, la troviamo documentata nel libro “Catania Mariana” del sac. Giovanni Lanzafame che nel capitolo dedicato ai “Conventi e Priorati in onore di Maria” dice: “il Vescovo Giovanni de Piscibus (1431-1444) parlando dell’anno dei Priorati assegnati ai canonici del Duomo, riporta un Priorato sotto titolo di S. Maria di Centorbi”, (di cui purtroppo non è indicata una data precisa) e specifica inoltre che: “sebbene si trovasse in un luogo lontano da Catania furono i catanesi a dare il nome e ad erigere in quei luogo una cappella alla amatissima Maria”. Da quanto esposto, possiamo pensare che il culto mariano dentro la Sacra Grotta non fu mai abbandonato dai pochi abitanti rimasti, che continuarono a vivere sulla montagna centuripina dalla distruzione fatta ad opera di Federico II alla sua riedifìcazione. Quindi quei monaci occuparono la Sacra Grotta, dove un tempo (prima del 1554) esisteva già un’antica chiesa cristiana e ai suoi lati stabilirono la loro dimora, sfruttando le spelonche incavate nella roccia da cui ricavarono le loro celle. Nelle Memorie Storiche di Centuripe troviamo scritto: “questa grotta, posta a settentrione ed a poca distanza dalla torre di Corradino, fu dopo a forza di picconi, da quei religiosi eremiti, ingrandita finché coll’andare del tempo le fu data la forma di una piccola chiesa, perciò detta Sacra specus, seu parva ecclesia”. Fu questa, dunque, la prima chiesa che rinacque a Centuripe. I frati abbandonarono così l’eremo di monte “Scalpello”, dove prima vivevano sotto la guida spirituale di fra Matteo Rotolo. Dedicarono quella piccola chiesa alla Vergine Maria che da quel giorno chiamarono: “Madonna della Grotta” o “Santa Maria la Stella, forse per la imagine di questa che ivi trovavasi o vi fu fatta dipingere”. Un’immagine della Vergine che, presumibilmente, trovarono già all’interno della Sacra Grotta e che apparteneva alla prima antica chiesa cristiana. Comunque, intorno a questo nucleo di religiosi si costruì Centuripe, tuttavia, passò circa un secolo per poter vedere aumentare notevolmente la popolazione. Fra i tanti monaci che abitavano nelle montagne vicino Centuripe vi era anche un frate, Andrea del Guasto, nato il 16 agosto del 1534 a Castro Giovanni (Enna), da Pier Antonio del Guasto e Sicilia Xilla. I suoi genitori lo battezzarono nella parrocchia di San Leonardo della suddetta città, educandolo nel timore di Dio. Passarono gli anni ed il giovane Andrea decise di offrire la sua vita al Signore, abbandonò tutto quello che aveva e si ritirò nell’eremo di “Iudica”, dove visse insieme con gli altri eremiti per circa vent’anni, confidandosi puntualmente con il suo Maestro e Direttore p. Matteo Rotolo. Si flagellava con catene o con un ruvido cilicio, digiunava e pregava. Il suo digiuno consisteva nel mangiare pane ed acqua; solo nelle feste del Santo Natale e della Pasqua assaggiava un piatto di legumi o latticini. A volte lasciava il proprio cibo, sopportando la fame di diversi giorni per soccorrere i bisognosi. Il suo letto erano le nude tavole ed una pietra per guanciale, dove prendeva solo un paio d’ore di sonno. Passava intere notti nella preghiera e nella contemplazione. Era amato e temuto, ritenuto da tutti un sant’uomo. Egli stesso componeva canzonette allegre e devote, in rima siciliana, con cui rallegrava i cuori afflitti. Fra Andrea era, inoltre, il primo a spazzare, zappare, arare la terra ed a compiere ogni altro esercizio manuale. I frati rimanevano stupefatti nel vederlo lavorare meglio di qualsiasi altro frate giovane, mentre portava sulle spalle legna e pietre pesanti. Tentato più volte dal demonio, riuscì sempre a sconfiggerlo, scacciando le tentazioni e tutti i pensieri oziosi e lascivi. Si impegnava nel sentire tutti i frati che andavano ad esporre le loro necessità, conosceva le loro pene, passioni e tentazioni e dava loro i consigli opportuni per superarli. Molte persone andavano a confessarsi da lui, arrivando anche da paesi lontani per conoscerlo, imitarlo, vederlo e seguirlo nella penitenza. Governò “verbo et exemplo” per otto anni di seguito la sua Congregazione fino al 1593, e desiderava che i novizi seguissero il suo esempio.

 

LA CONGREGAZIONE Dl CENTORBI

Tutti questi monaci, che abitavano gli eremi sulle montagne vicino a Centuripe, non appartenevano ad un ordine religioso e non seguivano nessuna regola, erano soltanto dipendenti dal Vescovo del luogo di appartenenza o terziari di qualche ordine religioso senza fare mai la professione solenne. Per cui la Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi incaricò Matteo Saminiati, protonotario apostolico e vicario generale di Catania, di far sì che quei frati entrassero a far parte di qualche ordine religioso riconosciuto dalla chiesa o che lasciassero l’abito eremitico e vivessero come chierici secolari. Per cui fra Andrea del Guasto ed i suoi compagni decisero di seguire la regola di S. Agostino. Furono dodici quelli che seguirono fra Andrea che, dopo tante difficoltà, fondò la “Congregazione dei Frati Agostiniani Riformati di Centorbi”. Il due febbraio del 1579 fra Andrea si recò a Roma dal generale dell’Ordine Agostiniano, Tadeo da Perugia, che approvò l’aggregazione di questo gruppo di frati eremiti all’OSA., ottenendo il primo decreto che lo autorizzava a fondare la nuova Congregazione Riformata in Sicilia sotto la regola di Sant’Agostino. Al suo ritorno nell’isola, però, per poter attuare quel decreto, il frate incontrò molte difficoltà, per l’opposizione del vescovo di Catania Cutelli e di alcuni eremiti, che durò circa cinque anni, dal 1580 alla fine del 1584. Nel frattempo, tra il 1579 ed il 1581, furono aperti altri dieci romitori per attendere alla vita contemplativa ed al “laborizio”. Nel 1581 arrivò l’approvazione di tale Congregazione da parte di papa Gregorio XIII e del Governo della Sicilia. In questo periodo fra Andrea del Guasto si recò per ben tre volte a Roma e alla fine, il 22 maggio del 1585, su licenza del Vescovo, prese l’abito dalle mani del p. Malchiore Testaì da Regalbuto, nel convento di Sant’Agostino di Catania, con l’approvazione del vicario generale Matteo Saminiati, insieme con i suoi dodici compagni: Andrea Diaz (Dias) spagnolo, Francesco di Paternò, Mario di Paternò, Matteo di San Filippo, Matteo di Vizzini, Domenico di Troina, Filippo di Regalbuto, Michele di San Filippo, Zaccaria di Francofonte, Bonaventura spagnolo, Leone del Guasto di Castrogiovanni (Enna) e Agostino spagnolo. Indossato l’abito, fra Andrea del Guasto, con i dodici monaci, si recò a Centuripe e fondò nella Sacra Grotta, dove si trovava la chiesa dedicata alla Vergine Maria, il primo Convento Agostiniano e così i tredici eremiti iniziarono il loro primo anno di prova. Nello stesso anno (1585) fu eletto il primo Vicario Generale della Congregazione, nella persona del fra Andrea del Guasto. Le elezioni del Vicario Generale si svolgevano sempre ogni due anni fino al 1745. In seguito il Capitolo Generale dell’Ordine OSA. dispose di poter fare le elezioni dei Vicari della Congregazione e dei Provinciali ogni tre anni. Questa Congregazione, in poco tempo, si diffuse negli altri eremi di Sant’Antonio di Regalbuto, di San Michele di Militello, di San Basilio sul Monte Scalpello ed in altri luoghi solitari. Propagatasi, ormai, in varie parti della Sicilia, i frati della Congregazione si chiamarono: “Frati Eremiti dell’Ordine di Sant’Agostino della Congregazione di Sicilia”. Il primo novembre, festa di tutti i Santi, del 1586 frate Andrea con i suoi compagni emise i voti di Castità, Povertà ed Obbedienza nel convento di Sant’Antonio a Regalbuto (come risulta dagli atti del notaio Ottavio di Paula). In questo periodo fra Andrea si recò ancora a Roma. La nuova Congregazione fu regolata da uno statuto a cui tutti i frati dovevano fare riferimento. Esso fu approvato dal Generale dell’Ordine Agostiniano, sotto il pontificato di Sisto V, il primo aprile del 1587, confermato il 30 luglio dello stesso anno e messo in pratica il 12 marzo del 1588. Il 3 giugno del 1587 i due conventi della Congregazione di S. Adriano si unirono a quella di Centorbi, secondo l’atto notarile di unione già effettuata dal P. Generale il 14 aprile dello stesso anno. Nell’anno 1588 i fratelli fra Santoro e fra Gregorio fondarono il convento di Militello; due anni dopo, nel 1590, fra Matteo Panzica fondò quello di Caccamo ed infine fu eretto il convento di Paternò. Costoro erano i primi discepoli di fra Andrea del Guasto. Il 10 luglio del 1591 il P. Generale OSA concede al Vicario della Congregazione la facoltà di ricevere “servatis servandis” anche i religiosi della provincia O.S.A. Apparteneva alla “Congregazione dei Frati Eremiti Riformati di Centorbi” anche il conventino dei SS. Marcellino e Pietro, aperto da p. Girolamo Grazian a Roma, in via Labicana e preso nel 1592 da fra Andrea Diaz, compagno di fra Andrea del Guasto e secondo nella lista dei tredici frati eremiti fondatori di tale Congregazione. Fra Andrea Diaz, iniziatore della riforma degli Agostiniani Scalzi d’italia, sbarcò a Messina intorno al 1584 ed entrò a far parte della Congregazione Centorbana, insieme con i suoi due compagni spagnoli, fra Bonaventura e fra Agostino. Durante il suo periodo a Centuripe p. Diaz insieme con p. Andrea del Guasto, introdusse la vita riformata e fu importantissimo il suo lavoro di “agostinizzazione” nella Congregazione, secondo la direttiva dell’Ordine. Padre Andrea Diaz rimase a Centuripe fino al 1588 poi, venuto a sapere che la provincia di Castiglia, nel Capitolo di Toledo, aveva accolto finalmente la Riforma Agostiniana, rientrò in Spagna. Il diciannove ottobre 1589 entrò a far parte della prima comunità recolletta nel convento di Talavera. Ottenuta la licenza dal Nunzio Apostolico in Spagna di portare la riforma in Italia, si trasferì nell’aprile del 1592 a Roma, presso il convento dei SS. Marcellino e Pietro. Il 19 maggio 1592, nel centesimo Capitolo Generale Agostiniano, si parlò della riforma dell’Ordine voluta da Clemente VIII. Il neo eletto priore generale, p. Andrea da Fivizzano, il 22 maggio dello stesso anno approvò i Capitoli per il buon progresso della Congregazione degli Eremiti Riformati di Sicilia. Il 28 giugno 1592 giunse a Napoli, nel convento di Sant’Agostino, fra Andrea Diaz, “vestito con un abito di panno nero e grosso, un cappuccio tondo in testa e alle spalle, cinto da una cintura larga, scalzo con le sandole di corde alla spagnola ed un lungo mantello”. Espresso il desiderio di vita riformata, il Priore gli mise a disposizione i due conventini di Santa Maria dell’Olivella, dove va a vivere, e quello di Santa Maria della Grazia, alla Renella. Nel conventino di Santa Maria dell’Olivella, p. Andrea Diaz abitò insieme con p. Andrea da Sicignano. Il 6 luglio si aggiunsero due laici: Andrea Taglietta e Lorenzo della Tolfa. Il 20 luglio arrivarono altri due giovani sacerdoti agostiniani p. Ambrogio Staibano da Taranto e p. Giovan Battista Cristallino, e infine si unirono a loro altri due religiosi più anziani: p. Giulio Calabrese e p. Giovanni da Bologna. Costoro furono i primi “riformati”. Infatti, nello stesso giorno “tutti rivestiti di rozza lana si scalzarono”. Padre Andrea Diaz diventò il Superiore di quei religiosi dei conventini di Napoli, ma tra la fine del mese di marzo e i primi di aprile del 1593 fu eletto Vicario Generale della sua Congregazione di Centorbi. La notizia fece scalpore nel convento dell’Olivella, perché p. Andrea Diaz voleva ufficialmente unire alla Congregazione Centorbana i due conventini di Napoli. Allora la piccola comunità si divise: p. Sicignano era d’accordo con fra Andrea Diaz mentre p. Staibano e p. Cristallino erano contrari, perché ritenevano la Congregazione di Centorbi diversa da quella che stava nascendo nei conventini di Napoli. Questi ultimi fecero ricorso al P. Generale affinché non permettesse l’unione. Il Generale, allora incaricò come suo delegato, per risolvere quella controversia, p. Cristoforo di Roma. Nel frattempo p. Andrea Diaz, amareggiato da quegli eventi, decise di abbandonare tutto e far ritorno in Spagna, rifiutando anche la carica di Vicario Generale della sua Congregazione di Centorbi. I Padri Centorbani, sapendo che p. Diaz non voleva iniziare il suo governo della Congregazione, dopo alcuni mesi elessero padre Domenico da Troina, con l’approvazione del P. Generale. La questione durò per circa sette mesi e alla fine, a metà novembre del 1593, si arrivò ad un compromesso. Il 16 novembre del 1593 p. Andrea Securani da Fivizzano, priore generale, con il decreto “Cum Ordinis nostri splendorem”, nominando padre Staibano primo vicario generale, riconobbe giuridicamente la nuova Congregazione degli Agostiniani Scalzi, separandola da quella degli Eremiti di Sicilia. Il 19 novembre 1593 l’elezione a Centorbi di padre Domenico da Troina, non essendo canonica, fu considerata nulla e quindi fu dichiarato legittimo vicario generale p. Diaz, al quale fu ordinato di recarsi in Sicilia a governare la sua Congregazione Centorbana. Quindi da un lato il Priore Generale diede ragione a p. Staibano, ufficializzando gli Agostiniani Scalzi d’Italia, dall’altro ridiede fiducia a p. Andrea Diaz inviandolo nella sua Congregazione a completare i due anni di Vicariato. Completato il suo mandato a Centorbi p. Diaz decise di ritornare in Spagna, per fondare un nuovo convento. Durante il viaggio la nave su cui viaggiava, a causa di una tempesta, fu trasportata sulle coste della Catalogna, vicino a Cadaquez, qui si ammalò gravemente e nel 1596 morì. Fu sepolto nella Parrocchia di S. Maria. L’Ordine agostiniano gli riconosce il titolo di Venerabile. Il 15 agosto del 1609, p. Andrea del Guasto fu rieletto vicario generale a Centorbi dove si celebrò il Capitolo, che fu uno dei più famosi tenutisi allora per il gran numero di frati che vi parteciparono e per le tante leggi stabilite. Il 15 agosto del 1617, fra Andrea si ammalò gravemente nel suo convento di Sant’Antonio. La sua agonia durò fino al 7 settembre, quando, dopo aver abbracciato un Crocifisso, rivolgendogli lo sguardo pieno di gioia, morì. Si concluse così, secondo il racconto di p. Fulgenzio da Caccamo, la straordinaria vita di questo frate che, dopo ottantatre anni vissuti santamente in terra, raggiunse l’eternità. Passati tredici anni dalla sua morte, su istanza del Vescovo di Catania, fu esaminato il corpo del ven. frate e fu trovato intero ed incorrotto, come più volte attestò, insieme ad altre persone, fra Vincenzo da Regalbuto della nobile famiglia dei Picardi. Il suo corpo fu analizzato nuovamente il 27 settembre 1674, durante il vicariato di p. Adeodato di Geraci. Il 4 maggio del 1918, su ordine di Mons. Agostino Felice Addeo, vescovo di Nicosia, su istanza del priore del convento di Sant’Agostino p. Giuseppe M. Campione, si è accertata, nella chiesa del convento di Sant’Antonio Abbate fuori le mura della città di Regalbuto, l’esistenza delle reliquie di fra Andrea del Guasto e l’inviolata conservazione delle medesime. Le ossa furono poste in un’altra cassa e il 19 maggio dello stesso anno furono traslate nella chiesa di Sant’Agostino della suddetta città. L’ultima ricognizione fu effettuata il tredici novembre del 1927.

 

IL NUOVO CONVENTO

Due anni prima della morte di fra Andrea, il 20 novembre 1615, il nobile Francesco Moncada dichiarò esente da ogni tassa chiunque volesse costruire una casa a Centuripe. Inoltre, per evitare ai cittadini penosi viaggi da Centuripe ad Adrano, da cui dipendevano per l’amministrazione della giustizia, dei beni e delle rendite, nominò Antonio Spitaleri governatore e giudice della città. Il 21 novembre 1617, con un accordo tra il priore del convento agostiniano, fra Michele di San Filippo, Antonio Spitaleri governatore di Centuripe e don Giuseppe Perdicaro, cappellano della città, si stabilì che quest’ultimo, non avendo nessuna chiesa a sua disposizione dove poter esercitare il suo ministero sacerdotale, poteva usufruire della piccola chiesa dei Padri Agostiniani. Nel frattempo con l’aumento della popolazione, i Padri del convento pensarono di lasciare le loro piccole e malconce abitazioni, scavate nella roccia, per costruirsi un convento ed una nuova chiesa più grande e capace di poter accogliere tanta gente. Il nuovo convento fu edificato tra il 1627 ed il 1628, sulle rovine della vecchia fortezza ed il santuario fu intitolato a “Santa Maria La Stella” dal nome della prima chiesetta costruita nella grotta. Era priore p. Stefano da Regalbuto. Però, il Vescovo di Catania, da cui dipendeva Centuripe, non credette opportuno far continuare l’amministrazione dei Sacramenti ai Padri Agostiniani e diede l’incarico ad un parroco. Intorno al 1638 p. Agostino da Sanfilippo fu il primo vicario foraneo, cioè un parroco fuori della città, inviato dal Vescovo, che giunse a Centuripe. Con la costruzione della nuova chiesa, la “Sacra Grotta” rimase per molti anni chiusa ed abbandonata. I Centuripini, che non avevano dimenticato quel luogo sacro, nel 1649 ottennero dal Vescovo il permesso di farvi celebrare di nuovo la Santa Messa, riaprendo così al culto quel Santuario, mèta di numerosi pellegrini provenienti anche dai paesi vicini. Sotto il pontificato di papa Innocenzo X, verso il 1662, furono soppressi molti conventi e ne rimasero solo diciassette; i religiosi furono chiamati nei paesi ad aiutare i parroci. Ricordiamo inoltre, che all’inizio tutti i conventi erano costruiti fuori delle città. Soltanto nel 1632 i monaci ottennero il permesso di poterli fondare dentro, ad eccezione del romitorio di Centorbi che rimase sempre dentro l’abitato. La “Congregazione Centorbana” contava i seguenti conventi: Santa Maria della Stella in Centorbi, Santa Domenica in Bideni (Vizzini), Sant’Antonio in Regalbuto, San Leonardo in Militello, San Calogero in Caccamo, Santa Maria in Artesina (EN), Santa Maria di Liccia (Castelbuono), Santa Maria dei Gulfi in Chiaromonte, Santa Maria della Consolazione in San Filippo di Agira, San Bartolomeo in Geraci, Santa Maria della Neve in Piazza, Santa Rosalia in San Michele di Ganzaria, Santa Maria in Castiglione, Sant’Ippolìto in Mineo (già in S. Basilio a quindici miglia), Santa Maria della Rocca in Monreale, Santa Maria della Grazia in Paternò, San Nicola in Mascali, e Santa Maria del Riposo in Francavilla Sicula (già in S. Adriano sul monte), Santa Maria della Sanità in Castelvetrano, SS. Marcellino e Pietro in Roma, poi, dopo il 1650, Sant’Agata la Pedata in Palermo, S. Giovanni Battista in Cattolica Eraclea e San Giuliano in Racalmuto. Questo lungo elenco ci fa capire quanto si sia propagata la Congregazione di fra Andrea del Guasto. Continuando con la nostra indagine storica, siamo giunti al 1671, quando a Centuripe, con l’aumento della popolazione, crebbe anche il numero delle parrocchie, che alla fine del XVII secolo arrivò a sei. Il 26 dicembre 1721 i Padri Agostiniani concessero agli esponenti dell’Arciconfraternita di Nostra Signora della Consolazione, prima chiamata dell’Innacolata Concezione, un pezzo di terreno adiacente alla loro chiesa maggiore “ad effetto di erigersi dai medesimi un Oratorio [per] colà esercitarvi dalli confrati suddetti tutti gli officii dovuti”. Nel 1728 il Vicario Generale della Congregazione chiese alla Santa Sede di essere autorizzato a poter cambiare l’abito “di tessuto siciliano con la sua tinta di vitriolo”, nocivo alla salute, per vestire come i Padri Agostiniani Scalzi “con tunica di saja leggiera e ferrajuolo di panno”. Quello stesso anno, il 20 gennaio, papa Benedetto XIII scrisse al generale dell’Ordine Bellisini ordinandogli di interessarsi affinché anche quei Padri si vestissero con un abito simile a quello degli Agostiniani Scalzi d’Italia. Il 12 febbraio il Generale dell’Ordine accettò quella proposta e i Padri di Centorbi cambiarono il loro abito. Nel 1757 il convento era abitato da tredici religiosi tra sacerdoti, chierici e laici. I Padri Agostiniani continuarono ad occuparsi del convento fino alla metà del XIX secolo, quando la Sicilia e, quindi, Centuripe entrarono a far parte del nuovo Regno d’Italia. Tra il 1866 e il 1867 furono soppressi gli Ordini religiosi ed incamerati dallo Stato i loro beni. Già nel gennaio del 1865 a Centuripe alcuni locali del convento furono adibiti a caserma dei Carabinieri. Successivamente, il 20 maggio 1867, i due Padri Agostiniani che vivevano nel monastero, furono costretti a cederlo allo stato. L’ex convento passò al municipio di Centuripe, che ne occupò i locali, tranne quelli adibiti come caserma. Uno dei Frati rimasti, l’ex priore don Francesco Lo Giudice si assunse il compito del mantenimento delle due chiese. Nel 1868 vi fu trasferita la biblioteca comunale e nel 1870 furono spostate le tre scuole comunali maschili. Il convento di Sant’Agostino, poi, fu sede del Municipio, della Pretura e di altri uffici comunali. Nel periodo fascista l’ex chiostro del convento, che era aperto da una parte, fu chiuso e si costruirono nuovi locali adibiti ad uffici e ad antiquarium comunale. In seguito il fabbricato ormai con i locali umidi e fatiscenti, fu demolito e ricostruito ex novo. Di quel convento ci rimane oggi soltanto la chiesa parrocchiale intitolata a Sant’Agostino, con accanto l’oratorio.