da
SALVATORE GRIFÓ, La Madonna delle Grazie
di Centùripe – Frate Andrea del Guasto e il convento degli Agostiniani,
2001
INTRODUZIONE
Il comune di Centuripe fa parte della provincia di
Enna, da cui dista circa 58 km. L’abitato è costruito sopra un’altura a circa
730 metri d’altezza sul livello del mare, tra l’Etna, la piana di Catania e le
catene montuose dei Nebrodi e degli Erei. Il suo territorio è di circa 172,98
kmq., bagnato a sud dal fiume Dittaino ed a nord dal Salso, entrambi affluenti
del fiume Simeto. La vegetazione è tipicamente mediterranea, disposta su
terrazzamenti, con una prevalenza di ulivi, agrumeti, vigneti e colture
cerealicole. La montagna centuripina ha avuto da sempre un’importanza
strategica e, grazie alla sua invidiabile posizione, da cui si può ammirare uno
splendido panorama, soprattutto dalla villa “Corradino”, è un osservatorio
naturale del maestoso vulcano, tanto da essere chiamata da Garibaldi: “Il
Balcone della Sicilia”. In questa splendida cornice di meravigliose bellezze e di
numerosi resti archeologici, a testimonianza della storia millenaria di
Centuripe, sorge, a poca distanza da questa villa, il santuario della “Madonna
delle Grazie”. La piccola chiesa, costruita dentro una grotta, ancora oggi
mantiene l’antica struttura. Essa fu la prima sede del convento degli
Agostiniani e custodisce al suo interno un bellissimo quadro della Vergine che
allatta Gesù Bambino, con accanto Santa Monica e Sant’Agostino.
I PRIMI EREMITI
Gli avvenimenti relativi alla chiesa della Madonna delle
Grazie e al convento degli Agostiniani di Centuripe, sono legati alla storia
degli eremi di monte “Scalpello” e “Iudica”. Sappiamo, infatti, che agli inizi
del XVI secolo, e precisamente nel 1517, sotto il pontificato di Leone X, un
frate, Filippo Dulcetto, originario di Agira, decise di andare a vivere in
solitudine sopra un monte chiamato “Scalpello”, al fine di stabilire un
contatto diretto con Dio. Questo monaco-eremita abitava in una piccola casa,
che aveva costruito per ripararsi dalle intemperie, e alternava la sua vita da
penitente, con digiuni, preghiere e meditazioni, cibandosi di erbe crude e
radici, che raccoglieva nelle pendici del monte. Visse in quelle condizioni,
assistito dalla grazia di Dio, fino a quando un gruppo di frati, provenienti
dall’abbazia di Agira, decisero di seguire il suo esempio e si recarono su quel
colle, per condurvi una vita eremitica. Da quel momento in poi frate Filippo
Dulcetto non abitò più da solo ma ebbe come compagni fra Mariano e fra Matteo
Rotolo. Apprendiamo inoltre, dalle notizie fornite da p. Umberto Amore, da p.
Fulgenzio da Caccamo e confermate da Filippo Ansaldi, che nell’arco di
trent’anni il numero dei frati che abitarono quell’eremo arrivò a circa
duecento. Per ospitare tutta quella gente, si costruirono sul monte nuovi
romitori, ognuno viveva nella propria cella, da solo, e tutti vestivano con un
abito cinerizio cinto da una rozza corda. Nel frattempo molti di loro decisero
di dividersi ed abbandonarono l’eremo per andare a vivere in varie parti della diocesi
di Catania e di Siracusa. Racconta l’Ansaldi: “Oltre a quelli che rimasero in
Scalpello, di essi altri portaronsi nel Rossomarino, altri in Giudica, altri in
Centorbi, altri in Santo Antonio, altri in San Basilio ed altri in altri simili
luoghi adatti alla nuova lor maniera di vivere”. Un gruppo di monaci eremiti,
dunque, decise di stabilirsi a Centuripe da poco riedificata. La città di
Centuripe infatti, è stata assediata e distrutta nel 1233 da Federico II di
Svevia, che ne aveva deportato gli abitanti in varie parti della Sicilia. Trentacinque
anni dopo la città fu completamente rasa al suolo da Carlo d’Angiò. Qualcuno,
probabilmente, continuò ad abitare in quel territorio, ma Centuripe da allora
cessò di esistere come città e divenne un feudo appartenente alla contea di
Adrano. Infatti l’Ansaldi continua dicendo: “Nel 1408 molti abitatori dell’Etna
mossi dallo spavento per gl’immensi fuochi del vulcano eruttati e dal tremuoto
che nel nove novembre dello stesso anno sopravvenne, abbandonarono quelle
funeste contrade e trasportando seco quanto poterono de’ loro mobili, vennero a
ricoverarsì fra le rovine dì Centuripe ove piantaron le lor novelle dimore,
come luogo da essi riconosciuto sicuro e lontano da simili disastri”. Dopo tre
secoli (1548) Centuripe fu ricostruita, nella stessa posizione, dalla nobile
famiglia dei Moncada che rese possibile il suo progressivo e lento
ripopolamento. Si chiamò “Centorbi” e mantenne questo appellativo fino al 1863,
quando ritornò a chiamarsi con il suo antico nome di “Centuripe”. La città
ricominciò a vivere nuovamente ed un’ulteriore spinta alla sua crescita arrivò
proprio da quei religiosi che con il permesso del vescovo di Catania, Nicola
Maria Caracciolo, nel 1554 costruirono all’interno di una grotta un altare, per
potervi celebrare la Santa Messa per la poca gente che abitava il sito. Il
Vescovo concesse “non il luogo come grotta, che apparteneva all’illustrissimo
duca di Montalto (Moncada), ma come chiesa rimasta dopo l’antiche rovine di
Centorbi”. Una testimonianza importante, che avvalora questa ipotesi, la
troviamo documentata nel libro “Catania Mariana” del sac. Giovanni Lanzafame
che nel capitolo dedicato ai “Conventi e Priorati in onore di Maria” dice: “il
Vescovo Giovanni de Piscibus (1431-1444) parlando dell’anno dei Priorati
assegnati ai canonici del Duomo, riporta un Priorato sotto titolo di S. Maria
di Centorbi”, (di cui purtroppo non è indicata una data precisa) e specifica
inoltre che: “sebbene si trovasse in un luogo lontano da Catania furono i catanesi
a dare il nome e ad erigere in quei luogo una cappella alla amatissima Maria”. Da
quanto esposto, possiamo pensare che il culto mariano dentro la Sacra Grotta
non fu mai abbandonato dai pochi abitanti rimasti, che continuarono a vivere
sulla montagna centuripina dalla distruzione fatta ad opera di Federico II alla
sua riedifìcazione. Quindi quei monaci occuparono la Sacra Grotta, dove un
tempo (prima del 1554) esisteva già un’antica chiesa cristiana e ai suoi lati
stabilirono la loro dimora, sfruttando le spelonche incavate nella roccia da
cui ricavarono le loro celle. Nelle Memorie Storiche di Centuripe troviamo
scritto: “questa grotta, posta a settentrione ed a poca distanza dalla torre di
Corradino, fu dopo a forza di picconi, da quei religiosi eremiti, ingrandita
finché coll’andare del tempo le fu data la forma di una piccola chiesa, perciò
detta Sacra specus, seu parva ecclesia”. Fu questa, dunque,
la prima chiesa che rinacque a Centuripe. I frati abbandonarono così l’eremo di
monte “Scalpello”, dove prima vivevano sotto la guida spirituale di fra Matteo
Rotolo. Dedicarono quella piccola chiesa alla Vergine Maria che da quel giorno
chiamarono: “Madonna della Grotta” o “Santa Maria la Stella, forse per la
imagine di questa che ivi trovavasi o vi fu fatta dipingere”. Un’immagine della
Vergine che, presumibilmente, trovarono già all’interno della Sacra Grotta e
che apparteneva alla prima antica chiesa cristiana. Comunque, intorno a questo
nucleo di religiosi si costruì Centuripe, tuttavia, passò circa un secolo per
poter vedere aumentare notevolmente la popolazione. Fra i tanti monaci che
abitavano nelle montagne vicino Centuripe vi era anche un frate, Andrea del
Guasto, nato il 16 agosto del 1534 a Castro Giovanni (Enna), da Pier Antonio
del Guasto e Sicilia Xilla. I suoi genitori lo battezzarono nella parrocchia di
San Leonardo della suddetta città, educandolo nel timore di Dio. Passarono gli
anni ed il giovane Andrea decise di offrire la sua vita al Signore, abbandonò
tutto quello che aveva e si ritirò nell’eremo di “Iudica”, dove visse insieme
con gli altri eremiti per circa vent’anni, confidandosi puntualmente con il suo
Maestro e Direttore p. Matteo Rotolo. Si flagellava con catene o con un ruvido
cilicio, digiunava e pregava. Il suo digiuno consisteva nel mangiare pane ed
acqua; solo nelle feste del Santo Natale e della Pasqua assaggiava un piatto di
legumi o latticini. A volte lasciava il proprio cibo, sopportando la fame di
diversi giorni per soccorrere i bisognosi. Il suo letto erano le nude tavole ed
una pietra per guanciale, dove prendeva solo un paio d’ore di sonno. Passava
intere notti nella preghiera e nella contemplazione. Era amato e temuto,
ritenuto da tutti un sant’uomo. Egli stesso componeva canzonette allegre e
devote, in rima siciliana, con cui rallegrava i cuori afflitti. Fra Andrea era,
inoltre, il primo a spazzare, zappare, arare la terra ed a compiere ogni altro
esercizio manuale. I frati rimanevano stupefatti nel vederlo lavorare meglio di qualsiasi altro frate giovane,
mentre portava sulle spalle legna e pietre pesanti. Tentato più volte dal
demonio, riuscì sempre a sconfiggerlo, scacciando le tentazioni e tutti i
pensieri oziosi e lascivi. Si impegnava nel sentire tutti i frati che andavano
ad esporre le loro necessità, conosceva le loro pene, passioni e tentazioni e
dava loro i consigli opportuni per superarli. Molte persone andavano a
confessarsi da lui, arrivando anche da paesi lontani per conoscerlo, imitarlo,
vederlo e seguirlo nella penitenza. Governò “verbo et exemplo” per otto anni di
seguito la sua Congregazione fino al 1593, e desiderava che i novizi seguissero
il suo esempio.
LA CONGREGAZIONE
Dl CENTORBI
Tutti questi monaci, che abitavano gli
eremi sulle montagne vicino a Centuripe, non appartenevano ad un ordine
religioso e non seguivano nessuna regola, erano soltanto dipendenti dal Vescovo
del luogo di appartenenza o terziari di qualche ordine religioso senza fare mai
la professione solenne. Per cui la Sacra Congregazione dei Vescovi e Religiosi
incaricò Matteo Saminiati, protonotario apostolico e vicario generale di
Catania, di far sì che quei frati entrassero a far parte di qualche ordine
religioso riconosciuto dalla chiesa o che lasciassero l’abito eremitico e
vivessero come chierici secolari. Per cui fra Andrea del Guasto ed i suoi
compagni decisero di seguire la regola di S. Agostino. Furono dodici quelli che
seguirono fra Andrea che, dopo tante difficoltà, fondò la “Congregazione dei
Frati Agostiniani Riformati di Centorbi”. Il due febbraio del 1579 fra Andrea
si recò a Roma dal generale dell’Ordine Agostiniano, Tadeo da Perugia, che
approvò l’aggregazione di questo gruppo di frati eremiti all’OSA., ottenendo il
primo decreto che lo autorizzava a fondare la nuova Congregazione Riformata in
Sicilia sotto la regola di Sant’Agostino. Al suo ritorno nell’isola, però, per
poter attuare quel decreto, il frate incontrò molte difficoltà, per
l’opposizione del vescovo di Catania Cutelli e di alcuni eremiti, che durò
circa cinque anni, dal 1580 alla fine del 1584. Nel frattempo, tra il 1579 ed
il 1581, furono aperti altri dieci romitori per attendere alla vita
contemplativa ed al “laborizio”. Nel 1581 arrivò l’approvazione di tale
Congregazione da parte di papa Gregorio XIII e del Governo della Sicilia. In
questo periodo fra Andrea del Guasto si recò per ben tre volte a Roma e alla
fine, il 22 maggio del 1585, su licenza del Vescovo, prese l’abito dalle mani
del p. Malchiore Testaì da Regalbuto, nel convento di Sant’Agostino di Catania,
con l’approvazione del vicario generale Matteo Saminiati, insieme con i suoi
dodici compagni: Andrea Diaz (Dias) spagnolo, Francesco di Paternò, Mario di
Paternò, Matteo di San Filippo, Matteo di Vizzini, Domenico di Troina, Filippo
di Regalbuto, Michele di San Filippo, Zaccaria di Francofonte, Bonaventura
spagnolo, Leone del Guasto di Castrogiovanni (Enna) e Agostino spagnolo. Indossato
l’abito, fra Andrea del Guasto, con i dodici monaci, si recò a Centuripe e
fondò nella Sacra Grotta, dove si trovava la chiesa dedicata alla Vergine
Maria, il primo Convento Agostiniano e così i tredici eremiti iniziarono il
loro primo anno di prova. Nello stesso anno (1585) fu eletto il primo Vicario
Generale della Congregazione, nella persona del fra Andrea del Guasto. Le
elezioni del Vicario Generale si svolgevano sempre ogni due anni fino al 1745.
In seguito il Capitolo Generale dell’Ordine OSA. dispose di poter fare le elezioni
dei Vicari della Congregazione e dei Provinciali ogni tre anni. Questa
Congregazione, in poco tempo, si diffuse negli altri eremi di Sant’Antonio di
Regalbuto, di San Michele di Militello, di San Basilio sul Monte Scalpello ed
in altri luoghi solitari. Propagatasi, ormai, in varie parti della Sicilia, i
frati della Congregazione si chiamarono: “Frati Eremiti dell’Ordine di
Sant’Agostino della Congregazione di Sicilia”. Il primo novembre, festa di
tutti i Santi, del 1586 frate Andrea con i suoi compagni emise i voti di
Castità, Povertà ed Obbedienza nel convento di Sant’Antonio a Regalbuto (come
risulta dagli atti del notaio Ottavio di Paula). In questo periodo fra Andrea
si recò ancora a Roma. La nuova Congregazione fu regolata da uno statuto a cui
tutti i frati dovevano fare riferimento. Esso fu approvato dal Generale
dell’Ordine Agostiniano, sotto il pontificato di Sisto V, il primo aprile del
1587, confermato il 30 luglio dello stesso anno e messo in pratica il 12 marzo
del 1588. Il 3 giugno del 1587 i due conventi della Congregazione di S. Adriano
si unirono a quella di Centorbi, secondo l’atto notarile di unione già
effettuata dal P. Generale il 14 aprile dello stesso anno. Nell’anno 1588 i
fratelli fra Santoro e fra Gregorio fondarono il convento di Militello; due
anni dopo, nel 1590, fra Matteo Panzica fondò quello di Caccamo ed infine fu
eretto il convento di Paternò. Costoro erano i primi discepoli di fra Andrea
del Guasto. Il 10 luglio del 1591 il P. Generale OSA concede al Vicario della
Congregazione la facoltà di ricevere “servatis servandis” anche i religiosi
della provincia O.S.A. Apparteneva alla “Congregazione dei Frati Eremiti Riformati
di Centorbi” anche il conventino dei SS. Marcellino e Pietro, aperto da p.
Girolamo Grazian a Roma, in via Labicana e preso nel 1592 da fra Andrea Diaz,
compagno di fra Andrea del Guasto e secondo nella lista dei tredici frati
eremiti fondatori di tale Congregazione. Fra Andrea Diaz, iniziatore della
riforma degli Agostiniani Scalzi d’italia, sbarcò a Messina intorno al 1584 ed
entrò a far parte della Congregazione Centorbana, insieme con i suoi due
compagni spagnoli, fra Bonaventura e fra Agostino. Durante il suo periodo a
Centuripe p. Diaz insieme con p. Andrea del Guasto, introdusse la vita
riformata e fu importantissimo il suo lavoro di “agostinizzazione” nella
Congregazione, secondo la direttiva dell’Ordine. Padre Andrea Diaz rimase a
Centuripe fino al 1588 poi, venuto a sapere che la provincia di Castiglia, nel
Capitolo di Toledo, aveva accolto finalmente la Riforma Agostiniana, rientrò in
Spagna. Il diciannove ottobre 1589 entrò a far parte della prima comunità
recolletta nel convento di Talavera. Ottenuta la licenza dal Nunzio Apostolico
in Spagna di portare la riforma in Italia, si trasferì nell’aprile del 1592 a
Roma, presso il convento dei SS. Marcellino e Pietro. Il 19 maggio 1592, nel
centesimo Capitolo Generale Agostiniano, si parlò della riforma dell’Ordine
voluta da Clemente VIII. Il neo eletto priore generale, p. Andrea da Fivizzano,
il 22 maggio dello stesso anno approvò i Capitoli per il buon progresso della
Congregazione degli Eremiti Riformati di Sicilia. Il 28 giugno 1592 giunse a Napoli,
nel convento di Sant’Agostino, fra Andrea Diaz, “vestito con un abito di panno
nero e grosso, un cappuccio tondo in testa e alle spalle, cinto da una cintura
larga, scalzo con le sandole di corde alla spagnola ed un lungo mantello”. Espresso
il desiderio di vita riformata, il Priore gli mise a disposizione i due
conventini di Santa Maria dell’Olivella, dove va a vivere, e quello di Santa
Maria della Grazia, alla Renella. Nel conventino di Santa Maria dell’Olivella,
p. Andrea Diaz abitò insieme con p. Andrea da Sicignano. Il 6 luglio si
aggiunsero due laici: Andrea Taglietta e Lorenzo della Tolfa. Il 20 luglio
arrivarono altri due giovani sacerdoti agostiniani p. Ambrogio Staibano da
Taranto e p. Giovan Battista Cristallino, e infine si unirono a loro altri due
religiosi più anziani: p. Giulio Calabrese e p. Giovanni da Bologna. Costoro
furono i primi “riformati”. Infatti, nello stesso giorno “tutti rivestiti di
rozza lana si scalzarono”. Padre Andrea Diaz diventò il Superiore di quei
religiosi dei conventini di Napoli, ma tra la fine del mese di marzo e i primi
di aprile del 1593 fu eletto Vicario Generale della sua Congregazione di
Centorbi. La notizia fece scalpore nel convento dell’Olivella, perché p. Andrea
Diaz voleva ufficialmente unire alla Congregazione Centorbana i due conventini
di Napoli. Allora la piccola comunità si divise: p. Sicignano era d’accordo con
fra Andrea Diaz mentre p. Staibano e p. Cristallino erano contrari, perché
ritenevano la Congregazione di Centorbi diversa da quella che stava nascendo
nei conventini di Napoli. Questi ultimi fecero ricorso al P. Generale affinché
non permettesse l’unione. Il Generale, allora incaricò come suo delegato, per
risolvere quella controversia, p. Cristoforo di Roma. Nel frattempo p. Andrea
Diaz, amareggiato da quegli eventi, decise di abbandonare tutto e far ritorno
in Spagna, rifiutando anche la carica di Vicario Generale della sua
Congregazione di Centorbi. I Padri Centorbani, sapendo che p. Diaz non voleva
iniziare il suo governo della Congregazione, dopo alcuni mesi elessero padre
Domenico da Troina, con l’approvazione del P. Generale. La questione durò per
circa sette mesi e alla fine, a metà novembre del 1593, si arrivò ad un
compromesso. Il 16 novembre del 1593 p. Andrea Securani da Fivizzano, priore
generale, con il decreto “Cum Ordinis nostri splendorem”, nominando padre
Staibano primo vicario generale, riconobbe giuridicamente la nuova
Congregazione degli Agostiniani Scalzi, separandola da quella degli Eremiti di
Sicilia. Il 19 novembre 1593 l’elezione a Centorbi di padre Domenico da Troina,
non essendo canonica, fu considerata nulla e quindi fu dichiarato legittimo vicario
generale p. Diaz, al quale fu ordinato di recarsi in Sicilia a governare la sua
Congregazione Centorbana. Quindi da un lato il Priore Generale diede ragione a
p. Staibano, ufficializzando gli Agostiniani Scalzi d’Italia, dall’altro
ridiede fiducia a p. Andrea Diaz inviandolo nella sua Congregazione a
completare i due anni di Vicariato. Completato il suo mandato a Centorbi p.
Diaz decise di ritornare in Spagna, per fondare un nuovo convento. Durante il
viaggio la nave su cui viaggiava, a causa di una tempesta, fu trasportata sulle
coste della Catalogna, vicino a Cadaquez, qui si ammalò gravemente e nel 1596
morì. Fu sepolto nella Parrocchia di S. Maria. L’Ordine agostiniano gli riconosce
il titolo di Venerabile. Il 15 agosto del 1609, p. Andrea del Guasto fu
rieletto vicario generale a Centorbi dove si celebrò il Capitolo, che fu uno
dei più famosi tenutisi allora per il gran numero di frati che vi parteciparono
e per le tante leggi stabilite. Il 15 agosto del 1617, fra Andrea si ammalò
gravemente nel suo convento di Sant’Antonio. La sua agonia durò fino al 7
settembre, quando, dopo aver abbracciato un Crocifisso, rivolgendogli lo
sguardo pieno di gioia, morì. Si concluse così, secondo il racconto di p.
Fulgenzio da Caccamo, la straordinaria vita di questo frate che, dopo
ottantatre anni vissuti santamente in terra, raggiunse l’eternità. Passati
tredici anni dalla sua morte, su istanza del Vescovo di Catania, fu esaminato
il corpo del ven. frate e fu trovato intero ed incorrotto, come più volte
attestò, insieme ad altre persone, fra Vincenzo da Regalbuto della nobile
famiglia dei Picardi. Il suo corpo fu analizzato nuovamente il 27 settembre
1674, durante il vicariato di p. Adeodato di Geraci. Il 4 maggio del 1918, su
ordine di Mons. Agostino Felice Addeo, vescovo di Nicosia, su istanza del
priore del convento di Sant’Agostino p. Giuseppe M. Campione, si è accertata,
nella chiesa del convento di Sant’Antonio Abbate fuori le mura della città di
Regalbuto, l’esistenza delle reliquie di fra Andrea del Guasto e l’inviolata
conservazione delle medesime. Le ossa furono poste in un’altra cassa e il 19
maggio dello stesso anno furono traslate nella chiesa di Sant’Agostino della
suddetta città. L’ultima ricognizione fu effettuata il tredici novembre del
1927.
IL NUOVO CONVENTO
Due anni prima della morte di fra
Andrea, il 20 novembre 1615, il nobile Francesco Moncada dichiarò esente da
ogni tassa chiunque volesse costruire una casa a Centuripe. Inoltre, per
evitare ai cittadini penosi viaggi da Centuripe ad Adrano, da cui dipendevano
per l’amministrazione della giustizia, dei beni e delle rendite, nominò Antonio
Spitaleri governatore e giudice della città. Il 21 novembre 1617, con un
accordo tra il priore del convento agostiniano, fra Michele di San Filippo,
Antonio Spitaleri governatore di Centuripe e don Giuseppe Perdicaro, cappellano
della città, si stabilì che quest’ultimo, non avendo nessuna chiesa a sua
disposizione dove poter esercitare il suo ministero sacerdotale, poteva
usufruire della piccola chiesa dei Padri Agostiniani. Nel frattempo con
l’aumento della popolazione, i Padri del convento pensarono di lasciare le loro
piccole e malconce abitazioni, scavate nella roccia, per costruirsi un convento
ed una nuova chiesa più grande e capace di poter accogliere tanta gente. Il nuovo
convento fu edificato tra il 1627 ed il 1628, sulle rovine della vecchia
fortezza ed il santuario fu intitolato a “Santa Maria La Stella” dal nome della
prima chiesetta costruita nella grotta. Era priore p. Stefano da Regalbuto. Però,
il Vescovo di Catania, da cui dipendeva Centuripe, non credette opportuno far
continuare l’amministrazione dei Sacramenti ai Padri Agostiniani e diede l’incarico
ad un parroco. Intorno al 1638 p. Agostino da Sanfilippo fu il primo vicario
foraneo, cioè un parroco fuori della città, inviato dal Vescovo, che giunse a
Centuripe. Con la costruzione della nuova chiesa, la “Sacra Grotta” rimase per
molti anni chiusa ed abbandonata. I Centuripini, che non avevano dimenticato
quel luogo sacro, nel 1649 ottennero dal Vescovo il permesso di farvi celebrare
di nuovo la Santa Messa, riaprendo così al culto quel Santuario, mèta di
numerosi pellegrini provenienti anche dai paesi vicini. Sotto il pontificato di
papa Innocenzo X, verso il 1662, furono soppressi molti conventi e ne rimasero
solo diciassette; i religiosi furono chiamati nei paesi ad aiutare i parroci.
Ricordiamo inoltre, che all’inizio tutti i conventi erano costruiti fuori delle
città. Soltanto nel 1632 i monaci ottennero il permesso di poterli fondare
dentro, ad eccezione del romitorio di Centorbi che rimase sempre dentro
l’abitato. La “Congregazione Centorbana” contava i seguenti conventi: Santa
Maria della Stella in Centorbi, Santa Domenica in Bideni (Vizzini),
Sant’Antonio in Regalbuto, San Leonardo in Militello, San Calogero in Caccamo,
Santa Maria in Artesina (EN), Santa Maria di Liccia (Castelbuono), Santa Maria
dei Gulfi in Chiaromonte, Santa Maria della Consolazione in San Filippo di
Agira, San Bartolomeo in Geraci, Santa Maria della Neve in Piazza, Santa
Rosalia in San Michele di Ganzaria, Santa Maria in Castiglione, Sant’Ippolìto
in Mineo (già in S. Basilio a quindici miglia), Santa Maria della Rocca in
Monreale, Santa Maria della Grazia in Paternò, San Nicola in Mascali, e Santa
Maria del Riposo in Francavilla Sicula (già in S. Adriano sul monte), Santa
Maria della Sanità in Castelvetrano, SS. Marcellino e Pietro in Roma, poi, dopo
il 1650, Sant’Agata la Pedata in Palermo, S. Giovanni Battista in Cattolica
Eraclea e San Giuliano in Racalmuto. Questo lungo elenco ci fa capire quanto si
sia propagata la Congregazione di fra Andrea del Guasto. Continuando con la
nostra indagine storica, siamo giunti al 1671, quando a Centuripe, con
l’aumento della popolazione, crebbe anche il numero delle parrocchie, che alla
fine del XVII secolo arrivò a sei. Il 26 dicembre 1721 i Padri Agostiniani
concessero agli esponenti dell’Arciconfraternita di Nostra Signora della
Consolazione, prima chiamata dell’Innacolata Concezione, un pezzo di terreno
adiacente alla loro chiesa maggiore “ad effetto di erigersi dai medesimi un
Oratorio [per] colà esercitarvi dalli confrati suddetti tutti gli officii
dovuti”. Nel 1728 il Vicario Generale della Congregazione chiese alla Santa
Sede di essere autorizzato a poter cambiare l’abito “di tessuto siciliano con
la sua tinta di vitriolo”, nocivo alla salute, per vestire come i Padri
Agostiniani Scalzi “con tunica di saja leggiera e ferrajuolo di panno”. Quello
stesso anno, il 20 gennaio, papa Benedetto XIII scrisse al generale dell’Ordine
Bellisini ordinandogli di interessarsi affinché anche quei Padri si vestissero
con un abito simile a quello degli Agostiniani Scalzi d’Italia. Il 12 febbraio
il Generale dell’Ordine accettò quella proposta e i Padri di Centorbi
cambiarono il loro abito. Nel 1757 il convento era abitato da tredici religiosi
tra sacerdoti, chierici e laici. I Padri Agostiniani continuarono ad occuparsi
del convento fino alla metà del XIX secolo, quando la Sicilia e, quindi,
Centuripe entrarono a far parte del nuovo Regno d’Italia. Tra il 1866 e il 1867
furono soppressi gli Ordini religiosi ed incamerati dallo Stato i loro beni.
Già nel gennaio del 1865 a Centuripe alcuni locali del convento furono adibiti
a caserma dei Carabinieri. Successivamente, il 20 maggio 1867, i due Padri
Agostiniani che vivevano nel monastero, furono costretti a cederlo allo stato.
L’ex convento passò al municipio di Centuripe, che ne occupò i locali, tranne
quelli adibiti come caserma. Uno dei Frati rimasti, l’ex priore don Francesco
Lo Giudice si assunse il compito del mantenimento delle due chiese. Nel 1868 vi
fu trasferita la biblioteca comunale e nel 1870 furono spostate le tre scuole
comunali maschili. Il convento di Sant’Agostino, poi, fu sede del Municipio,
della Pretura e di altri uffici comunali. Nel periodo fascista l’ex chiostro
del convento, che era aperto da una parte, fu chiuso e si costruirono nuovi
locali adibiti ad uffici e ad antiquarium comunale. In seguito il fabbricato
ormai con i locali umidi e fatiscenti, fu demolito e ricostruito ex novo. Di
quel convento ci rimane oggi soltanto la chiesa parrocchiale intitolata a
Sant’Agostino, con accanto l’oratorio.