da BOLLETTINO STORICO AGOSTINIANO, anno V
(1928), n. 1, pp. 13-20; anno V (1928), n. 3, pp. 79-83
IL MONASTERO DELLE AGOSTINIANE DI PORTA NUOVA
IN MILANO
In Milano, la città che fu testimone
della conversione e del battesimo del S. Padre, fiorì un tempo rigogliosa la
vita Agostiniana. Religiosi e Religiose di S. Agostino a poco a poco
edificarono grandiosi monasteri nei quali si formarono anime grandi per santità
e per scienza. Le soppressioni annientarono tutto. Le nostre belle chiese, i
nostri maestosi conventi passarono in mano d’altri e, in parte almeno, furono
ridotti ad usi ben diversi dalla loro originale destinazione. Unica superstite
in mezzo a tanta dispersione fu una privilegiata Comunità di Religiose
Agostiniane, quella di Porta Vittoria, tanto benemnerita, tanto amata da tutti
i buoni e che degnamente conserva nella capitale lombarda il nome e lo spirito
di S. Agostino. Credo che tornerà utile e caro al tempo stesso ai nostri
lettori se riportiamo nel nostro Bollettino una breve narrazione delle vicende
di detto Monastero, tali e quali ci sono state inviate da una Consorella del
medesimo. Intendiamo con ciò offrire un piccolo tributo di riconoscenza a tutta
quell’ottima Comunità per gli aiuti con i quali è venuta incontro ai nostri
bisogni e per la generosa ospitalità che sempre ha offerto ai nostri Padri di
passaggio per Milano.
CAPO
I - GLI INIZI
Fin dal 1256 le Cronache della città registrano l’esistenza del
Monastero di S. Agostino in Porta Nuova, da cui deriva la nostra fondazione.
Altre successivamente si notano. Nel 1315 quello di Santa Marta dove fiorirono
la B. Veronica (1497), la Beata Prudenzia (1492), la B. Arcangela da Panigarola
(1425) ed altre illustri per virtù, come Taddea da Ferrara, Monica, Margherita,
Liberata, Giustina, Chiara, Benedetta, Michelina. Così pure di S. Agnese, già
dell’Ordine degli Umiliati, riformato poi nel 1454, per ingiunzione della S.
Sede, da alcune Monache del nostro Monastero di Porta Nuova, dove vigeva la
regolarità e il fervore, quello di S. Caterina alla Chiusa, fondato nel 1470
dalla Beata Modesta Bolla, che lo resse per 32 anni in santità e perfetta
osservanza, quello di S. Caterina alla Ruota, nelle vicinanze dell’Ospedale
Maggiore, di fondazione del sig. Giovan Pietro Missaglia, che nel 1608, venuto
a morte, lasciò erede d’ogni suo avere l’Ospedale Maggiore, ponendogli a carico
di mantenere delle Vergini consacrate a Dio, le quali nel 1632, a compimento
del loro pio desiderio, ottennero dalla S. Sede la Bolla dell’Apostolica
Clausura, osservando la Regola del S. Padre Agostino.
A noi importa prendere in
considerazione le notizie che riguardano il Monastero di Porta Nuova, da cui
deriva, come si disse, la nostra fondazione. Per molti anni, anzi per circa due
secoli, nulla si sa di preciso sull’andamento del Monastero; si trovano solo
qua e là encomi sullo spirito d’osservanza e di fervore, sì da eccitare
ammirazione e stimolo alla pietà e alla santità in chi sapeva valutarne il
merito. Nel 1428 la duchessa Maria, moglie di Filippo Maria Visconti, signora
di Milano, la quale aveva dotato di largo censo il Monastero delle Agostiniane,
posto a 10 miglia fuori Porta Ticinese, in vicinanza di Cantalupo, volle che
otto di queste religiose, tra le quali la Rev.da M. Paola di Premenudo, che
aveva professato nel detto Monastero nel 1421, venissero ad unirsi a queste di
Milano in Porta Nuova. Qui fu eletta priora la detta Suor Paola. Il Monastero
non ebbe che a lodarsi della opera pia, intelligente, zelante di tale
Superiora. La Regola era osservata con ogni diligenza, e se in quest’epoca si trova registrato che quattro
di queste religiose pellegrinarono in Terra Santa, ciò non deve recare stupore,
atteso che la disciplina Ecclesiastica di quei tempi non obbligava ad una
stretta clausura. Solo nel 1472, dietro istanza delle nostre antiche Consorelle
a Sua Santità Papa Sisto IV, venne accordata la bolla di stretta Clausura
Papale.
E’ caro ricordare che appunto
nel viaggio che fecero le antiche religiose in Terra Santa, riportarono di là
la Reliquia della S. Spina, racchiusa in un ricco reliquiario, con dodici altre
Reliquie che vennero poi dalla M. Amigoni portata qui nel nostro Monastero. Le
antiche memorie attestano altresì, che, appunto in quest’epoca, le dette
Religiose che pellegrinarono in Terra Santa, nel loro ritorno, sostarono per
alcuni giorni nel Monastero del nostro Ordine a Cantalupo presso P. Ticinese;
nel recarsi poi alla loro sede nel Monastero di P. Nuova, da dove erano
partite, portarono seco, oltre le dette reliquie, anche l’urna di cristallo contenente
il corpo di S. Lucida vergine e martire, che ora noi teniamo nella Cappella
attigua alla Chiesa.
In quell’epoca, circa il
1440, le nostre Consorelle poterono fruire dell’ottima direzione del B. Giorgio
da Cremona, fondatore del Convento di S. Maria dell’Incoronata dei Frati
Eremitani di S. Agostino, nel borgo di P. Comasina, fuori le mura di Milano;
che resse il Convento con grande carità, pace e santità. In quest’epoca, e
precisamente il 7 dicembre festa di S. Ambrogio, per autorità di un Breve Apostolico,
le Monache cambiarono l’abito cenericcio che portavano prima, con l’abito nero,
simile a quello dei Frati Eremitani di S. Agostino, adottando pure lo scapolare
e la cintura. Da questo venne la denominazione al Convento di Monastero di S.
Agostino Nero.
CAPO
II - IL B. GIORGIO DA CREMONA
Il B. Giorgio
nacque dalla famiglia de’ Lazzoli in Cremona. Ancor giovanetto entrò
nell’Ordine Agostiniano nel Monastero di detta città, dove, passato
lodevolmente il corso di filosofia e di poi a Padova quello di teologia,
ottenne la laurea. A Padova venne fatto Priore di quel Monastero, e seppe
reggerlo così saggiamente che il R.mo P. Generale Gerardo da Rimini, gli affidò
la direzione del nuovo Monastero di Crema che si stava costruendo, stimandolo
degno di tale ufficio. Andato dunque a Crema, il Veneratissimo Padre vi gettò
le fondamenta della celebratissima Congregazione di Lombardia, di cui non solo
fu l’Istitutore, ma ancora il primo Vicario Generale. In questa città, per
testimonianza del Calvi, col suo zelo apostolico operò molte conversioni. Nel
1443 si portò a Milano per fondare il Monastero dell’Incoronata e quivi non è a
dire quanta stima e benevolenza si cattivasse e come fosse a tutti
splendidissimo esempio di religiosa perfezione. Continue sue occupazioni erano:
zelare il culto di Dio, procurare la salvezza delle anime, predicare,
confessare, correggere, esortare tutti all’osservanza della divina legge e
simili, e sue uniche delizie erano la solitudine, il silenzio, l’orazione, le
corporali mortificazioni, i gemiti, le lagrime, e altri pii esercizi propri dei
Santi. Finalmente infierendo in Milano
e in tutta la Lombardia la peste, egli pure cadde vittima, e, dopo averne
predetta la cessazione, nel 1451 volava al Cielo. Dopo morte operò molti
miracoli, fra i quali meritano menzione le guarigioni prodigiose del nobile
Luigi Moneta milanese, e del nobile Bonifacio da Cremona, che in attestato
della loro riconoscenza appesero al sepolcro di lui degli ex-voti. Inoltre
apparve a due religiosi agostiniani, al P. Pastore da Torino, esimio
predicatore, che liberò da infermità atrocissima, e a certo P. Stefano cui
predisse la vicina morte. Per questi e altri preclarissimi fatti, trovasi
dichiarata la santità di lui nel martirologio dell’Ordine con le seguenti parole:
“Ai 16 Agosto in Milano, nel Monastero della Incoronata,
deposizione del B. Giorgio Confessore dell’Ordine dei Frati Eremitani di S.
Agostino, che fu insigne per santita e miracoli”. Il corpo di Lui, come scrive Usio, nell’anno 1652, nei
restauri che si fecero in detta Chiesa, fu trovato intatto in una arca di
piombo. Nel 1918 o 19, l’Arcivescovo di Milano Em. Cardinale Ferrari, nella sua
visita pastorale alla Chiesa, avendo trovato l’urna contenente il corpo del
Beato sotto l’altare, ordinò che venisse trasportata dietro il coro.
CAPO
III - L’OPERA DELLA MADRE SUOR PAOLA
L’influenza benefica della direzione illuminata e santa del pio
religioso contribuì a rendere sempre più fervente ed esemplare la Comunità di
P. Nuova. La Rev. Madre Paola, degna sua discepola, ne coadiavò l’opera con
amore e costanza. Nella prova terribile della carestia, che rese la vita di
Comunità tanto penosa, sì da costringere le Religiose ad implorare la carità di
un tozzo di pane, si potè ammirare la virtù e lo spirito profondamente
religioso della pia Superiora che sapeva trasfondere nelle figlie l’amore al
patire e l’uniformità al Divino Volere. Nel 1451 diede preclaro esempio di
fortezza d’animo e di santo abbandono in Dio, sopportando con piena
rassegnazione il fiero flagello della peste, e per dolorosa conseguenza, la
morte del Padre Giorgio che era l’anima e la vita della Comunità. Ella adorò,
umile e sottomessa, i Voleri di Dio e raddoppiò le sue energie e i suoi
conforti alle povere Sorelle che, già stremate di forze per la dura carestia
degli anni precedenti, furono più sensibili ai terribili effetti dell’epidemia;
sì che 20 tra esse dovettero soccombere. Superata la dura prova la R. M.
Priora, per ordine dell’Arciv. di Milano, l’Agostiniano Mons. Gabriele Sforza,
fratello del signor Duca Francesco Sforza, dovette nel 1454 assumersi la
delicata missione di riformare il Monastero di S. Agnese, già detto di
Arcagnago. Fu imponente la funzione religiosa che si tenne per tale
circostanza. La Madre Priora, autorizzata anche da bolle Apostoliche, andò
processionalmente con le Religiose sue figlie dal proprio Monastero di S.
Agostino Nero a quello di S. Agnese, con accompagnamento altresì di religiosi e
di nobili cittadini. La Rev. Madre Paola prese possesso del Monastero e vi fece
rifiorire l’antica monastica disciplina. L’anno dopo, cioè nel 1455, per ordine
del P. Provinciale, la Rev. Madre Paola condusse alcune tra le Religiose più
esemplari a fondare un nuovo Monastero dell’Ordine in terra di Crema. Il
Monastero prese il nome di S. Monica. Così, piena di meriti e di opere buone,
la Rev. Priora M. Paola
chiuse la sua carriera in concetto di Santa, pianta da tutte le sue figlie con
lagrime di riconoscenza, di venerazione e di sincero affetto. Anche i Superiori
Ecclesiastici, e quanti ne ammiravano le virtù e le nobili fatiche, unirono il
loro compianto a quello delle orbate figlie e sorelle.
CAPO
IV - AMPLIAMENTI E RIFORME
Nel 1472 le nostre Religiose Sorelle furono autorizzate a incorporare
un ampio caseggiato attiguo al proprio. Ampliato così il locale, provvidero a
restaurare la Chiesa con moderna architettura. Un ampio portico sostenuto da
colonne serviva da atrio o da ingresso nella Chiesa, che si elevava con alta
cupola sostenuta da quattro grandi archi, con altrettante colonne: l’adornavano
varie statue di pietra di grandezza naturale entro nicchie nel muro.
Nell’interno v’erano 3 Cappelle; nella maggiore era dipinta la nascita di G.
C.; in una delle laterali si ammirava l’immagine dell’inclito lume della nostra
Religione S. Nicola da Tolentino, dipinto da Domenico Pellegrini; nell’altra
era rappresntato il martirio di S. Agata, opera di Carlo Francesco Nuvoloni
detto il Panfilo. Nel 1570 S. Carlo Borromeo, il quale onorava di sua fiducia
il Monastero di S. Agostino Nero, aderì alle suppliche fatte da alcune pie
Religiose che per mancanza di mezzi e di soggetti non potevano sussistere, di
aggregarsi al detto Monastero. Le nostre Sorelle le accolsero affettuosamente e
con grande allegrezza; e ad esse fu assegnato il posto di decananza come se
fossero sempre state membri della Casa. Si ricordano due di esse la Madre Sr.
Francesca Vescovi e Sr. Vittoria. Nel secolo susseguente, e precisamente nel
1642, la Storia del Monastero registra una nuova riforma nel Monastero di S.
Giustino in Cannobio per opera di due ottime Suore di Santo Agostino Nero, la
madre Ippolita Margherita Corti e Sr. Anna Preda conversa. In seguito questo
Convento divenne una villa privata, che passata in proprietà delle Pie Signore
di Nazareth vi rinvennero una copia antica del Breviario Agostiniano, che
gentilmente ci fu trasmessa. Null’altro di ragguardevole troviamo registrato in
questo secolo nelle memorie dell’Ordine. Nel secolo susseguente, e precisamente
nel 1728, sotto il Pontificato di Benedetto XIII, e sedendo sulla Cattedra di
Pavia il Vescovo Francesco Pertusati, venne dichiarato che le Reliquie
ritrovate nella tomba conservata nella Chiesa di S. Pietro in Ciel d’Oro erano
quelle del N. S. P. Agostino. Questo giudizio confermato e notificato con Bolla
Pontificia il 22 Settembre dello stesso anno, riuscì di gaudio ed esultanza per
tutti i Religiosi e Religiose dell’Ordine. E’ noto che il N. S. P. A. morì ad
Ippona in Africa, che le sue Spoglie dai Vescovi esiliati vennero trasferite in
Sardegna, e che nel 722 il re Liutprando le fece trasportare in Pavia capitale
del regno Longobardo. Le nostre Madri, partecipando con religiosa allegrezza al
fausto avvenimento, si animarono sempre più nell’amore e nella venerazione del
Santo Fondatore. Così per lunga serie di anni nel nostro Monastero tutto
procedette regolarmente: la vigilanza paterna e amorosa dei santi Arcivescovi
che si succedettero nel Pastorale Ufficio (quali Federico Borromeo, Gaspare
Visconti, Cesare Monti, Alfonso II Litta, Federico II Visconti, Federico III
Caccia, Giuseppe I Archinto, Benedetto II, Erba Odescalchi, Giuseppe
Pozzobonelli) contribuì al buon andamento della vita Monastica.
CAPO
V - L’ORA DELLA GRANDE PROVA
Solo per un tratto speciale della Divina Provvidenza il Monastero potè
sfuggire la persecuzione di Giuseppe II, il quale alla morte della Madre M.
Teresa, credendosi autorizzato a spingere la sua ingerenza anche su materie per
nulla dipendenti dall’autorità civile, cominciò una serie di vessazioni anche
contro gli ordini Religiosi. Molti conventi furono soppressi, dopo averli
spogliati dei loro beni; altri oppressi con ingiuste imposizioni, quali la
proibizione di ammettere novizie, di comunicare con le altre Case, coi Generali
dell’Ordine ecc. Grazie a Dio, il nostro Monastero, come si disse, sfuggì a
tante calamità; anzi le Cronache riferiscono che diede asilo a 16 Suore
Cappuccine dei soppressi monasteri degli Angeli, di S. Barbara, e di S.
Prassede. Questi due ultimi Monasteri erano limitrofi all’attuale nostro
Monastero, e precisamente quello di S. Prassede nella posizione ove ora è
fabbricato la caserma prospiciente il Corso, quello di S. Barbara ove è l’altra
caserma, di fronte al nostro giardino. Vennero aggregate 27 religiose di altri
Monasteri, anch’esse colpite dall’ingiusta soppressione dell’Imperatore. Questo
stato di cose però teneva gli animi sospesi, perchè la sventura toccata ad
altri incuteva seri timori sul conto proprio. Giuseppe II in Austria, Federico
I in Germania, i filosofi Volteriani in Francia, Leopoldo in Toscana, Carlo III
in Napoli, tutti ostili più o meno alla Chiesa e alle sue sante istituzioni,
facevano presagire giorni tristi e gravi d’incertezze. La politica umana, è
vero, suggerì a Leopoldo e ai principi di Toscana e di Napoli una conciliazione
col Papa a sostegno del loro potere, ma il lavorìo indefesso e compatto dei
filosofi atei aveva già preparato, con la Rivoluzione Francese, una lotta
accanita contro la Chiesa e la Religione. Difatti Luigi XVI, vittima di giudici
empi e perversi, lasciò la vita sul patibolo, e le ree dottrine d’iniquità e di
libertinaggio e lo spirito di ribellione contro l’autorità si diffusero
rapidamente anche nelle altre nazioni. Le penose incertezze divennero dura
realtà sotto il governo di Napoleone. La Francia, stanca dei suoi tiranni,
rivestì del titolo di Console Napoleone Bonaparte vagheggiando un avvenire di
pace e di tranquillità per la Chiesa e per lo Stato. Ma purtroppo il Bonaparte
stimava la Religione forse solo in quanto potesse servire alla sua ambizione.
La Storia registra fatti inauditi di persecuzione e di oltraggi contro i
Pontefici Pio VI e Pio VII e contro le istituzioni della Chiesa. Purtroppo
anche il Monastero di S. Agostino Nero, che dal 1256 fino a quest’epoca aveva
conservato senza interruzione vita e
vigore, spargendo intorno il grato profumo di religiose virtù, venne
travolto dall’orribile uragano che sommerse inesorabilmente Conventi, Pii
Istituti, e tutto ciò che aveva rapporto al Divin Culto. E ciò avvenne il 21
vendemmiale (12 ottobre 1798) in forza del messaggio del Direttorio del 12
fiorile, anno VI della Repubblica (ossia 6 maggio 1898).
Già il 7 gennaio 1797 le
Monache avevano affidato il maneggio degli affari temporali al Rev. Sac. Don
Giovanni Francesco Ponti costituendolo loro Procuratore. All’epoca della
soppressione era Priora Sr. Luigia Giuseppa Casati; una delle più giovani
Religiose era la nostra Sr. Giuseppa Marianna Amigoni, fondatrice dell’attuale
Monastero. La soppressione privò le Suore di tutti i loro beni scacciandole
dalla Casa che avevano abitato per 542
anni. Avevano dovuto compilare un minuzioso inventario di tutta la
suppellettile, perfino dei più piccoli oggetti che trovavansi in Convento, e
tutto abbandonare alle mani dei predatori che osavano chiamarsi messageri vendicatori
della libertà conculcata. Alla espropriazione la Madre Amigoni seppe salvare
più che fu possibile in arredi sacri, reliquie ecc, come quella della S. Croce
portata da Terra Santa, l’urna contenente il corpo di S. Lucida, la Cintura
della S. Vergine, le insigni reliquie di quattro santi Martiri: S. Martino, S.
Lucio, S. Prospero, e S. Vincenzo, il capo di S. Maurizio Martire della legione
Tebana e quello di una delle Vergini Martiri compagna di S. Orsola. La Cappella
indulgenziata di Gesù deposto dalla Croce, un simulacro della Santa Vergine col
Bambino, denominato la Madonna dell’Aiuto, che veneriamo nella Cappella di
fianco al Coro; vari quadri fra gli altri S. Tommaso da Villanova in detta
Cappella. Ma più che la espropriazione di tutti i beni materiali, era dolore
sommo al cuore delle povere Religiose la necessità della separazione e il
ritorno forzato alla vita di famiglia. Però gli animi rimasero uniti nella
carità di nostro Signore e nell’aspettativa di un giorno vagheggiato da tutte
in cui si sarebbe ristabilito l’ordine. A quest’epoca ottennero dal S. Padre
Pio VIII che la facoltà per la benedizione papale riservata ai RR. Padri
Agostiniani fosse trasmessa pro tempore al Parroco della Chiesa ove le ex Suore
abitavano. Intanto gli anni si succedevano agli anni; e la morte, nel colpire
le ex Religiose sembrava volere spegnere nei cuori la dolce speranza che fino
allora era stata il conforto di quelle anime afflitte, di vedere ristabilita la
vita monastica. Ma la Provvidenza vegliava. La M. Giuseppa Marianna Amigoni,
fedele interprete dei desideri comuni, conservava con cura qualche piccola
eredità che fiduciariamente riceveva dalle Consorelle, a cui, alla morte della
Madre sua, aggiunse il proprio patrimonio; e con una somma di L. 184.000 si
diede attorno per acquistare uno stabile che potesse adattarsi a Monastero. Già
aveva chiesto e ottenuto dalla S. Sede le facoltà all’uopo necessarie. Era
allora in vendita la casa dei Nobili Signori Eredi Bianchi, già appartenente al
Marchese Settala, posta nel Borgo di P. Tosa, contrada di S. Prassede n. 117
con annessi orti di circa pertiche 10, e un’attigua casa segnata col n. 116. E’
appunto l’attuale nostra proprietà. L’annessa casa di cui si è accennato, è la
parte adibita a Educandato, che al momento della compera era una diroccata
casupola senza difesa, disabitata da tempo immemorabile. Le nostre Anziane
dicevano di aver sentito narrare che nelle Camerette soprastanti l’attuale
Cappella delle Educande, allora asilo di povere famiglie della plebe, essendosi
verificato dei casi di peste, S. Carlo andò a portare i suoi religiosi conforti
ai morenti; e ricordavano il fatto con santo compiacimento.
La Rev. M. Amigoni, preso
consiglio da persone competenti, passò alla compera di detta Proprietà Bianchi,
e con le poche ex Religiose superstiti e alcune pensionanti si chiuse in ritiro
nella casa comperata, tenendo scuole esterne di fanciulle civili. Si conserva
appunto in Archivio la relativa autorizzazione del Governo. Così si preparava
il momento sospirato in cui avrebbesi potuto dar principio alle pratiche per
erigere in Comunità Religiosa la piccola famiglia che di giorno in giorno
andava aumentando di numero. A tal uopo la Rev. Madre Amigoni indirizzò una
supplica a S. Em.za il Cardinale Gaisruk per ottenere l’estensione delle
facoltà e dei privilegi dell’antico Monastero di S. Agostino al nuovo erigendo
istituto; ma siccome il numero delle ex religiose era esiguo, le nuove
aggregate erano considerate solo come secolari in ritiro. Sua Eminenza
non credette di poter aderire alla domanda almeno pel momento, sicchè le povere
Suore, che non potevano conservare il SS. Sacramento, si videro obbligate ad
uscire ogni mattina di casa per ascoltare la S. Messa. Per buona sorte nel
soppresso Monastero delle Cappuccine di S. Prassede, convertito in Caserma, si
era riservata al culto la Chiesa annessa, dedicata appunto a S. Prassede,
prospicente il lato del nostro Monastero dove ora teniamo refettorio, dispensa
e cucina. Le nostre Sorelle potevano dunque con facilità attraversare la via ed
entrare in detta Chiesa. Anzi, narravano esse, che già chiuse in clausura,
avevano tanto praticata quella chiesuola, che al segno della campanella,
prendevano parte in ispirito alle funzioni che si celebravano, e se era tempo
libero, si inginocchiavano nel nostro cortiletto per ricevere la benedizione
del SS. Sacramento. Pregavano tanto le nostre ex Monache ed assicuravano di
aver attinto sì grande forza e conforto nel rammemorare le vicende dolorose
delle povere Cappuccine, che come abbiamo già notato, soppresse da Giuseppe II,
avevano trovato rifugio nell’antico loro Monastero di S. Agostino Nero. Questo
stato di cose durò parecchi anni, allietato però da care speranze. La
Divina Provvidenza veniva in aiuto all’opera indefessa della nostra M. Amigoni
con elargizioni, con lusinghiere proposte, per un prossimo compimento dei
comuni desideri. Ma le opere di Dio sogliono essere contrassegnate dalla croce,
e alle speranze di ieri succedevano delusioni nell’oggi; poi nuovi raggi di
luce che lasciavano intravvedere il lavoro di Dio sopra quelle anime elette, le
quali rafforzate sempre meglio nella virtù e nell’amore alla santa vocazione,
stavano infine per vedere realizzate le loro pie aspirazioni. Dispose Iddio che
la pia Signora Angiola Maghetti vedova Pizzagalli con testamento del 19 Marzo
1828 lasciasse un legato del valore di milanesi L. 106.000 costituito da tre
case con orto, poste in Milano lungo il Naviglio del Ponte dei Fabbri ai numeri
2716-2717-2718, perchè si erigesse un monastero di Religiose Agostiniane, sotto
il titolo della Presentazione di Maria Vergine al Tempio, avente per iscopo
l’istruzione e l’educazione di fanciulle. Lasciava inoltre un capitale di
milanesi L. 10.000 che diverrebbe proprietà del monastero solo alla morte della
madre sua, divenutane usufruttuaria. La M. Amigoni riconobbe la mano di Dio in
questo felice avvenimento che rendeva possibile erigere in monastero la
comunità che fino allora aveva tenuto forma di semplice ritiro, e,
nell’esultanza di tutte, iniziò le pratiche per ottenere le dovute licenze.
Avuta il 30 luglio la risposta favorevole di Sua Eminenza il Card Arciv. di
Milano Conte di Gaisruk, inoltrò ricorso a S. M. I. R. Austriaca Francesco I,
ed ottenne l’approvazione alla designata erezione con dispaccio del 17 luglio
1833, ricevuto privatamente il 27 di detto mese, e con lettera della Curia
Arcivescovile il 7 agosto. Sotto il Governo Austriaco anche le singole licenze
di entrare in una Corporazione Religiosa e di vestirvi l’abito doveva
domandarsi di volta in volta, e il permesso a tal fine conceduto, autorizzava
la vestizione e la professione, purchè fossero adempiute le necessarie
condizioni. La supplica per la vestizione doveva inoltrarsi al Governo dalla
Superiora per mezzo dell’Ordinario. Ad essa dovevansi unire: la informazione e
i motivi per cui la Corporazione desiderava l’ammissione della postulante,
semprechè a tempo giustificasse le qualità necessarie per essere ammessa alla
professione. La informazione sui mezzi economici, se cioè la postulante fosse
provvista della dote prescritta, se concorrevano in suo favore motivi bastanti
per invocarne l’ammissione con dote minore o con dispensa totale. A tale
informazione doveva poi unirsi la proposta di assicurare legalmente la dote a
beneficio del monastero. La fede di battesimo perchè il Governo conoscesse se
la persona proposta fosse suddita di S. Maestà e rilevasse l’età determinata
per la professione (si richiedevano 24 anni compiuti). Attestati comprovanti le
qualità fisiche e morali che rendevano la postulante adattata all’Istituto in
cui proponevasi di entrare. Formale dichiarazione di assenso del padre, del
tutore, o del competente tribunale, se la postulante era minorenne.
Dichiarazione di accettazione da parte della Corporazione Religiosa. Il Governo
si riservava di conoscer
la dote da recarsi al monastero e prescriveva non potersi effettuare la
professione religiosa prima che la dote, approvata dal Governo, fosse pagata e
investita a favore della Corporazione. Il momento tanto sospirato stava alfine
per spuntare, e quelle anime fedeli e forti pregustavano la gioia di un voto
compiuto, gioia tanto più gustata quanto più lungo e doloroso era stato il
periodo degli anni di incerta aspettativa. La M. Amigoni sollecitò i
lavori necessari per stabilire nella Comunità l’osservanza.